Tumgik
#storse
lornaria-lore · 1 year
Text
Bobbi Morse and Steve Rogers || Storse (Fanship)
Tumblr media Tumblr media
1 note · View note
Text
ITA entry 6: Knock-knock. Knock-Knock. Il Dottor Bly smise di scrivere freneticamente sui fogli del suo diario. Knock-knock. Tenendo la sigaretta tra le labbra e sospirando, finì di tracciare le linee dell’ultima parola con la modesta stilografica. Fece una bella pancia ad una lettera, tirò l’ultima riga con un tratto secco e sfilò la sigaretta per spegnerla. “Bly!” Una voce carica di gelò penetrò oltre la porta chiusa alle sue spalle, come un vento invernale che si tratteneva a malapena. Il suo piano di lavoro era coperto di libri e pezzi di ingranaggi scartati; un portagioie dietro il posacenere strapieno nascondeva boccette di scorte mediche e chicchi di caffè tostato che adorava sgranocchiare nel tempo libero. Il biondo, giovane dottore dagli occhi blu si portò una mano alla tempia: sapeva chi era. Farla entrare o non farla entrare? La cortesia gli avrebbe imposto la prima, ma la voglia di immergersi nei propri scritti gli suggeriva il contrario. Per di più erano due poli opposti della termodinamica, un getto vulcanico che si scontrava con un ghiacciaio degno della nobiltà di Londra. Ogni volta che le apriva, finivano per litigare su mille argomenti diversi: certo, parlando, ma pur sempre litigando. Il bussare ritmico smise dietro di lui e finalmente il Dottore trovò la forza di alzarsi dalla sedia e dirigersi verso l’uscio. “Si, Vivienne. Arrivo.” Percorse la piccola stanza con una falcata. Prima di aprire ci ripensò e si sistemò a modo il colletto della camicia, abbottonandolo, ed il bordo del gilet marrone che portava. La dignità non era proprio il suo forte, ma si poteva sempre migliorare, si disse con rassegnazione. Socchiuse la porta. “Bly. Alla buon’ora!” “Scusa Vivienne. Stavo scrivendo.” “Mi dici che ti prende?” Due occhi verdi glaciali e imponenti lo penetrarono come un colpo di pistola al cranio. “Perchè la nobile Vivienne è arrabbiata, stavolta?” le chiese sospirando, lasciando l’uscio per dirigersi verso il tavolo a prendere un’altra sigaretta. Una coltre di fumo aleggiava nell’aria e ben presto vi si sarebbe aggiunto quello che usciva dalle orecchie della giovane. Alta, bella, slanciata, quasi irreale. “Ti sei davvero rifiutato di fare le analisi a quel povero ragazzo? Davvero?!” Le dita candide della giovane si strinserò in un pugno. “Ti avevo detto di fargliele! Sei o non sei un Dottore? Non puoi rifiutare le cure mediche ai membri della nostra Loggia.” “Ti ho già dato le mie spiegazioni” Bly scrollò semplicemente le spalle, prese lo zippo e accese l’ennesima cicca. Ci pensò un attimo, poi ne passò una anche alla ragazza - avendole già rollate. La bocca della giovane si storse per un attimo, ma le sue mani accettarono il regalo. Forse era l’unica cosa su cui andavano veramente d’accordo. “Bene, ripetimele, ti supplico” le rispose lei irrigidendo la schiena. La vide spostarsi sul bordo della porta e poggiarsi all’intercapedine in vecchio, affidabile legno. “Primo, ti ho già detto che quel ragazzo è un azzardo medico ambulante. Secondo, tu lavori coi morti ed io coi vivi.” “E questo ti solleverebbe dall’incarico?” Vivienne puntò il mento aguzzo contro il petto e si mise a braccia conserte, facendo scivolare la sigaretta tra le dita affusolate, mentre Bly si puntava con l’anca sul bordo del tavolino in una posizione tutt’altro che comoda. “Si, e non solo: ti ricordo che il giovane è divorato da una colonia di funghi. Se è ancora vivo non solo nessuna analisi che io possa fare è più accurata di queste parole, ma le spore degli esseri vegetali che lo abitano potrebbero perfino spandersi e contaminare tutto il resto dei presenti. Non ci tengo.” “Ed io non ci tengo a darti ragione, pur con tutte le tue dannate spiegazioni. Non sono nient’altro che scuse.” “Sai che non è vero.” “... e per di più, così facendo, lo metti in condizione di provare vergogna per quello che è. Cos’hai nella testa che non va?” “Ti sembra che qualcuno di noi sia normale?!” Stavolta Bly resse lo sguardo di Vivienne in un impeto d’ira rovente che impregnò la stanza, probabilmente anche la sua anima. Vinse il confronto per un attimo ma volontariamente abbassò lo sguardo, sopprimendo la rabbia con la cortesia. La ragazza lo sfidò duramente con gli occhi ma poi portò le braccia in grembo e sembrò addolcirsi leggermente. “Senti, lasciami parlare senza troppi giri di parole. So come ti senti. Te lo assicuro.” Vedeva le praterie verdi dietro le sue iridi, avrebbe giurato che irradiavano una pace immensa. “Pensi di essere un paria, ti senti solo e assoggettato al volere degli altri. Anch’io lo penso, alle volte. Ma davvero, davvero: loro non lo pensano. Non siamo gli unici a sentire il peso del mondo.” “Vivienne...” “Zitto” lo riprese lei, portandosi finalmente la sigaretta alle labbra. Mordicchiò il sottile filtro, mantenendo il silenzio per un secondo. “Questa loggia ha mille problemi e mille persone che non sanno dove hanno casa, famiglia. E’ un posto sicuro per chi non sente di appartenere nessun luogo del mondo. Vuoi allontanare l’ennesimo povero sulla porta; desideri davvero mandarlo allo sbando, da solo, nel mondo?” “Io...” “Probabilmente non ha altro posto se non questo.” “...” Bly si morse il labbro, sentendo l’ira scemare per far posto ad una profonda vergogna. Aspirò avidamente dalla sigaretta e si voltò per non far trasparire le proprie emozioni. “Hai ragione.” “Felice di averti convinto.” “Ma...” Il Dottore le passò con un breve lancio lo zippo, che lei prese agilmente. La ammonì con un dito. “...trovati pronta a farmi scorta di disinfettante. E tessuti. E guanti. E assicurati di sterilizzare tutto nell’infermeria. Non lo visiterò se non ben protetto, non voglio un’infestazione di funghi parassiti sui nostri membri.“ Lei sorrise, prima con arroganza, poi con dolcezza. Vivienne era formalmente il capo e a lei nulla si poteva ordinare, ma qualche volta... solo qualche volta, abbassava quello scudo posto tra lei ed il mondo, si abbassava dall’alto della gradinata che aveva messo a protezione, e lo ascoltava. “Sarà fatto... Dottore.” La giovane mora scivolò via dalla porta come un’ombra dal vestito verde scuro, portandosi dietro il suo zippo. In lontananza la sentì accenderlo: sospirò e chiuse la porta un po’ più sollevato, spegnendo la sigaretta consumata sulla pila tronfia di quelle già accumulate nel posacenere.
2 notes · View notes
alessiamalfoyzabini · 2 years
Text
𝐼𝐼. 𝐼𝐿 𝐿𝐴𝑉𝑂𝑅𝑂 𝐷𝐼 𝑈𝑁 𝐵𝑂𝑆𝑆
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
𝐖𝐀𝐑𝐍𝐈𝐍𝐆𝐒 | 𝙼𝚎𝚗𝚣𝚒𝚘𝚗𝚎 𝚍𝚒 𝚍𝚛𝚘𝚐𝚑𝚎, 𝚖𝚎𝚗𝚣𝚒𝚘𝚗𝚎 𝚍𝚒 𝚌𝚛𝚒𝚖𝚒𝚗𝚊𝚕𝚒𝚝𝚊̀ 𝚐𝚒𝚘𝚟𝚊𝚗𝚒𝚕𝚎, 𝚙𝚛𝚘𝚋𝚕𝚎𝚖𝚒 𝚌𝚘𝚗 𝚒 𝚐𝚎𝚗𝚒𝚝𝚘𝚛𝚒
Tumblr media
══════⊹⊱≼≽⊰⊹══════
Tumblr media
In due giorni era impossibile raccogliere informazioni su un soggetto sfuggente come Jeon Jungkook, il suo capo doveva saperlo, dopotutto era stato lui a sceglierlo tra tanti ragazzi, ma per Jisoo non fu poi così difficile in realtà.
Jisoo lo seguì nel corso di quei due giorni con la sua auto da civile; la tipica macchina per famiglie con numerosi pargoletti pronti per essere spediti a scuola con la nota "Arrivederci e grazie – Mamma & Papà", con lo scopo di apparire il più normale possibile agli occhi della gente e soprattutto agli occhi vispi di Jeon Jungkook. Non sarebbe stata un'ottima idea pedinare un adolescente con il meraviglioso bestione che usava per liberarsi dei cadaveri per conto del suo superiore.
Il ragazzo era un tipo abitudinario, prese fedelmente nota, già pronto a compilare i famosi fascicoli, andava a scuola ogni mattina alle 6:30, nonostante l'orario di apertura fosse esattamente alle 8:00 in punto. Attendeva di fronte al cancello, sotterrato nel suo felpone scuro, stretto nel suo angolino protettivo, scansando ogni tipo di contatto con i suoi coetanei, un po' come una reazione allergica.
Jisoo prese un sorso del suo caffè lungo, attendendo che tutti entrassero nell'edificio scolastico. Poi accese il motore dell'auto.
«È inutile stare qui ad aspettare» si disse da solo, imboccando la strada che lo avrebbe riportato nei pressi dell'abitazione del giovane.
Posteggiò vicino ad un vicolo nascosto, osservando le numerose e modeste palazzine in circolazione, quella dove abitava Jungkook non era neanche lontanamente graziosa, il grigiore sporco e i numerosi scarabocchi privi di senso la rendevano cupa e poco allettante per viverci. Camminò a passo moderato verso l'abitazione più spenta, e quando giunse sui gradini, Jisoo trovò il portone socchiuso, e subito dopo notò che la serratura era già stata scassinata da chissà quanto tempo.
«Andiamo bene, gente» mormorò, felice di non dover fare poi così tanta fatica per introdursi nell'appartamento del ragazzo. Studiando la sua vita quotidiana per qual breve lasso di tempo, sapeva già che il padre non sarebbe stato a casa. Perché semplicemente non era tornato dall'ultima uscita.
Entrò velocemente e vide l'ascensore fuori uso, storse il naso, più che infastidito nel pensare che avrebbe dovuto raggiungere il quarto piano interamente a piedi. E così fece, tutt'altro che stanco comunque, non era stato addestrato come sicario per stancarsi dopo qualche rampa di scale.
Si guardò intorno, scorgendo ben tre porte, ma senza esitazione si diresse verso la prima a sinistra, stando ben attento al resto degli appartamenti. I vicini avrebbero trovato sospettoso un uomo mai visto prima che cercava di aprire una porta con un grimaldello, data la serratura abbastanza semplice.
Udì uno scatto leggero e la porta si aprì, Jisoo sorrise con aria compiaciuta. Si girò in ogni direzione, l'ingresso dava immediatamente visione del piccolo salottino, dove ad attenderlo trovò solo un divano a due posti rosso, una tv all'angolo della stanza dalle pareti bianche e un tappeto altrettanto rosso macchiato di una qualche sostanza non identificata.
«Beh, sarà facile trovare la sua stanza» sussurrò tra sé e sé, un'abitudine presa durante gli anni del suo addestramento. Come diceva il capo, meglio l'unica compagnia di sé stessi che quella di un compagno pronto a venderti.
Si aggiustò la giacca nera, stando attento a non lasciare nulla nei dintorni. La casa era provvista anche di una piccola cucina e un bagno, più le altre due stanze che avrebbe ben presto perquisito.
Trovò la cosa molto strana, anche entrando nell'unica camera da letto matrimoniale, vide unicamente disordine tipicamente maschile, nessuna foto di moglie o figlio, mura spoglie e atmosfera cupa.
«Come si sono ridotti a vivere in una topaia?» chiese, cominciando a calpestare vestiti sporchi e cartacce. Controllò i cassetti di ogni comodino, trovando unicamente biancheria femminile intoccata. Si alzò spazientito, tornando in corridoio per cercare finalmente nella stanza del giovane.
Il colore predominante in quella stanza non poteva definirsi, ogni parete era tappezzata da poster di gruppi americani e varie raffigurazioni di strumenti musicali.
«Uhm, al ragazzo piace la musica...» notò una scintillante chitarra posta ai piedi del letto, finora l'unico oggetto che si potesse definire veramente in ottime condizioni, la toccò a malapena, preferendo curiosare altrove. Anche qui, sul pavimento erano disseminati vestiti e scarpe, oltre che volantini di vari eventi.
L'ordine in quella casa non era preso in considerazione.
Sulla scrivania non trovò un PC che potesse aiutarlo nella sua ricerca, ma bensì un'agenda, forse anche più utile e più facile da usare, rispetto ad un apparecchio elettronico. Andò così alla pagine del mese attuale, c'erano molte date annotate, con sotto una piccola colonnina di compiti da svolgere, Jungkook era molto ordinato e pulito, aveva tagliato con una linea decisa tutte le date già passate e svolte, restavano solo quelle attuali.
Tumblr media
Lunedì – 21:30
Incontrare i ragazzi al campetto. Devono darmi della roba.
.
Martedì – 21:30
Parlare con R, bere con lui. Chiedere un prestito.
.
Mercoledì – 23:00
Portare il vecchio a casa, assicurarsi che non soffochi nel suo stesso vomito.
.
Giovedì – 9:30
Incontrare il preside nel suo ufficio, il vecchio non può venire, si è sfondato di alcool. Devo inventare una scusa.
.
Venerdì – 01:45
Vedere R per quel prestito, il vecchio sta prosciugando tutto.
.
Sabato – 23:00
Trovare un posticino per il pestaggio mensile.
Tumblr media
Jisoo sollevò un sopracciglio.
«Vita frenetica per un ragazzino» ma forse Namjoon lo aveva notato proprio per questo, si dava da fare Jungkook. E Jisoo pensò che R fosse proprio uno dei pusher del suo capo, un tipo di cui non ci si poteva fidare. Era anche uno strozzino dopotutto.
«Vediamo... oggi è mercoledì» Jisoo si grattò la testa «Okay, okay, Jeon. Vediamo di farti cambiare idea prima di venerdì, ragazzo» scattò una foto all'interno della agenda, avrebbe aggiunto tale scatto ai documenti richiesti dal suo capo.
Fece per allontanarsi, ma con la scarpa pestò qualcosa che dal rumore parve plastica. Chinò lo sguardo e capì, stava pestando marijuana.
Ridacchiò leggermente, pensando che il giovane avrebbe dovuto dire addio a quel vizio tossico.
Si chinò prendendo quella bustina trasparente, tanto valeva cominciare anche subito.
«Namjoon ti pesterà fino a quando proverai nausea alla sola vista di questa robaccia».
Tumblr media
══════⊹⊱≼≽⊰⊹══════
Tumblr media
«Questo è tutto, Signore» disse uno dei suoi uomini, mettendo sulla sua scrivania in modo ordinato una piccola pila di documenti. Namjoon lo osservò con fare annoiato.
«Devo dedurre, dunque, che il vecchio Park è d'accordo riguardo la nostra alleanza?» chiese distrattamente, giocando con della polvere inesistente sulla superficie lucida di legno. L'uomo si mosse con fare rigido, la presenza di Namjoon metteva sempre in soggezione gli uomini della casa. Che fosse di buon umore o meno, rimaneva qualcuno di pericoloso, il loro ex compagno Choi Hyonsu aveva visto in prima persona la sua crudeltà.
«Certamente, Signore. Ha detto che manderà al più presto una prima spedizione di roba molto buona, vuole essere certo che lei ne rimanga piacevolmente sorpreso, inoltre si dice già pronto per avviare la vendita nel nostro territorio».
Namjoon ascoltò attentamente le parole del suo giovane ambasciatore, passò una delle lunghe dita affusolate sul carnoso labbro inferiore, con fare assorto. Non era la prima volta che un Signore della droga parlasse della sua merce in modo così strabiliante, e solo una percentuale veramente bassa aveva mantenuto la parola data. Park Dae Hyun sembrava un uomo dalla bocca troppo larga, e a lui quel genere di soci non andavano molto a genio, di certo non voleva trovarsi a vendere della merda. Avrebbe rischiato di perdere credibilità e di conseguenza offerte di collaborazione.
«Tu cosa ne pensi, Baram?» chiese all'unico presente nella stanza, Baram si irrigidì, Namjoon notò con piacere che era sul punto di farsela addosso, tanto si era pietrificato.
«I-Io?» domandò in difficoltà, l'uomo dai capelli malva annuì silenziosamente, osservando il suo interlocutore con occhi fermi, le famose pozze della morte, Baram desiderò ardentemente non essere guardato, soprattutto in quel modo così severo «Direi di... stare attenti, a-abbiamo subìto già svariate prese in giro, Signore» rispose, timoroso di essere in qualche modo redarguito o deriso. Non era il più rispettato tra gli uomini di Kim Namjoon, il suo ruolo lo portava ben lontano dagli scontri a fuoco aperto, serviva vivo per essere il portavoce del Boss, dunque viveva una vita più serena la notte.
Namjoon si spinse contro lo schienale della sua sedia, sospirando.
«In un certo senso, non hai torto» Baram sospirò internamente, almeno il capo non lo stava trattando a pesci in faccia «Ma se smettessimo di fare accordi per paura di ricevere una fregatura, sarebbe anche inutile continuare a condurre questa vita, ed accettare la vergogna di essere ritenuti dei codardi...» sbuffò. Gli fece il gesto di andare via, e Baram ne fu più che felice, quell'uomo gli metteva i brividi, anche se all'apparenza sembrava un normale ragazzo piuttosto ricco, ma molto intelligente e cordiale.
Una volta lasciato solo, cominciò a digitare il numero della sua segretaria dall'elegante telefono fisso posto vicino al computer, attraverso il vetro del suo studio poteva benissimo vedere la donna intenta a leggere dei fogli che non c'entravano affatto con il normale svolgimento del suo lavoro giornaliero, ricordò la prima volta che la beccò – ad insaputa dell'interessata – a compilarne uno, riguardavano tutti delle uscite al buio con la possibile anima gemella.
La donna di trent'anni sembrava alla disperata ricerca di un uomo.
Passati i primi tre squilli, la testolina bionda della sua segretaria scattò rapidamente verso la porta del suo datore di lavoro, e con fare frettoloso afferrò la cornetta del suo telefono.
Tumblr media
<<Sì, Signor Kim?>> la voce lo raggiunse debole, la timidezza di quella ragazza lo lasciava sempre compiaciuto, anche dopo cinque anni, lei ne era ancora intimorita.
<<Jessie, chiama Kim, voglio il suo culo qui entro oggi>> disse immediatamente, senza preoccuparsi di darle il buongiorno. Ma la donna sembrò confusa.
<<Mi scusi, Signore, ma quale Kim?>> Namjoon alzò gli occhi al cielo, era così abituato a chiamarlo Kim che quasi aveva scordato il suo nome.
<<Il tizio che ti fa girare la testa>> rispose duramente.
<<C-Com->> non aspettò oltre e le chiuse la chiamata in faccia, quella donna aveva davvero dei gusti orridi in fatto di uomini.
Tumblr media
Si passò stancamente le mani sul viso, decidendo che ne aveva avuto abbastanza di stare chiuso nel suo ufficio, guardò l'ora e si accorse che era anche ora di pranzo. Raccattò le sue cose, mise l'elegante giacca nera, coprendo la morbida camicia del medesimo colore, e si decise ad uscire. Immediatamente Jessie si alzò dalla sua comoda sedia girevole, la bellezza della ragazza occidentale era notevole, notò anche che le sue gote fossero leggermente rosee, forse a causa delle sue ultime parole. Ghignò nel pensare che si ammazzava tanto per trovare un uomo, quando all'interno dell'edificio tutti i suoi uomini sbavavano per lei.
«Signor Kim, aspetti!» esclamò, ma i suoi tacchi vertiginosi le impedirono di essere più veloce e Namjoon riuscì a sfuggire dai suoi balbettii agitati. Proprio non capiva che la sua vita privata non era affar suo, e se voleva scopare con uno dei suoi colleghi, tanto meglio per lei.
Camminò a passo sicuro sul pavimento lucido del suo edificio, nella sua quotidianità legale era il CEO di una casa editrice, la KNUS, il suo amore per i libri lo aveva portato ad investire in ambito editoriale, anche se ricco com'era, poteva anche evitare di gettarsi in un simile progetto, come era solito ripetergli suo padre con fare burbero.
Ma come si poteva dire di no alla possibilità di guadagnare ancor di più facendo qualcosa che comprendeva la sua passione? Inoltre era una copertura perfetta, vendeva principalmente narrativa per ragazzi, e teneva piccoli eventi per bambini e adolescenti, con l'intento di far scoprire loro l'amore per la lettura.
Agli occhi della comunità era un ragazzo premuroso nei confronti delle nuove generazioni, e allo stesso tempo – grazie a tali eventi – avrebbe anche potuto trovare nuova merce per sé stesso, dopotutto i suoi uomini non erano presi da chissà quale tugurio.
Arrivò ad uno degli ascensori del settimo piano, la superficie liscia e argentea cominciò a spostarsi, rivelando il suo interno dalle pareti di un caldo rosso, con tanto di specchio a figura intera, al suo interno c'era già un uomo, un collaboratore di Namjoon per essere precisi.
Sorrise alla vista dell'uomo basso e grassottello, gli enormi baffi erano pregni di sudore, l'uomo molto più avanti con gli anni sbiancò alla vista del suo giovane capo.
«Signor Lee» salutò mellifluo, provocando un singulto stridulo nell'altro.
«C-Capo, già libero?» ridacchiò falsamente, Namjoon sorrise in modo ancora più ampio.
«Potrei chiedere lo stesso a lei, come va il contratto con il nuovo autore? Ha accettato le nostre condizioni?».
L'uomo deglutì nervosamente «Ecco, sì... parlando di quello... ehm, il ragazzo è furbo, ha chiesto una percentuale più alta di quanto avevamo confermato in precedenza».
Namjoon sollevò un sopracciglio «Mi auguro che lei non abbia ceduto. Non amo quando qualcuno cerca di fare il furbo con me» disse cupamente, e a quel punto Lee dovette costringere le sue mani a smettere di tremare.
«Certo che no! Anzi, ancora meglio. Lo chiamerò proprio ora e gli dirò che dovrà accettare ciò che abbiamo concordato, o può cercarsi un altro editore disposto a pubblicare il suo libro!» fece per prendere il suo cellulare, ma una delle grandi mani di Namjoon lo fermò.
Namjoon sorrise maggiormente «Con calma, Lee. Non c'è bisogno di minacciare un possibile cliente, voglio solo che capisca che ciò che offriamo è già molto, intesi?».
La porta dell'ascensore si aprì, Namjoon diede una pacca sulla spalla del più basso e con fare fintamente amichevole gli disse di non stressarsi troppo, altrimenti sarebbe morto per il troppo lavoro. Tale affermazione, lasciò Lee congelato all'interno del mezzo.
Era ovvio che il Boss di un'organizzazione mafiosa voleva solo il meglio dai suoi collaboratori, e Lee era a conoscenza dell'identità più oscura di Kim Namjoon, dopotutto uno dei suoi figli era proprio una delle guardie del corpo di Kim. La paura che gli metteva addosso quell'uomo era a tratti agonizzante, suo figlio non gli aveva mai raccontato cosa facesse durante il suo lavoro, ma lo sguardo perso del ragazzo la diceva lunga.
Tumblr media
══════⊹⊱≼≽⊰⊹══════
Tumblr media
«Allora, bambini! Salutate la mamma e il papà e corriamo subito in classe!» disse la ragazza ai suoi giovanissimi alunni, che risposero con tante adorabili grida di saluto, tra chi preferiva salutare con la manina la madre o il padre, e chi – più affettuoso – stampava un grande bacione ai rispettivi genitori. Guardò intenerita quelle piccole pesti dalle gambe corte, che presero a correre verso la sua classe, sballottando di qua e di là i minuscoli zainetti che contenevano solo la merenda e qualche giocattolo da condividere con i propri compagnetti. Ma una coppia di grembiuli rispettivamente rosa e azzurro le cinsero le gambe ridacchiando tra loro.
I piccoli la salutarono con degli enormi sorrisi stampati sul loro morbido faccino, gli occhi enormi e colmi d'affetto la fecero intenerire ancor di più. Si abbassò alla loro altezza, portando le mani a carezzare le loro testoline scure.
«Buongiorno ai miei adorabili gemellini!» esclamò allegra, abbracciando entrambi e cominciando a ricoprire i loro visetti di piccoli bacini, che portarono i due fratelli a ridere di più per via del solletico.
«Mi sei mancata, maestra Galia!» disse il fratellino, Joo Won, che aveva sempre dimostrato incredibile adorazione nei suoi confronti. Galia sgranò gli occhi comicamente.
«Davvero? Ma ci siamo visti ieri!».
Fu la sorellina, Yoo Joon, a risponderle ad alta voce «È TANTO TEMPO!» cominciando poi a saltellare sul posto, leggera come una piuma. La donna scoppiò a ridere al suo atteggiamento, amava il suo lavoro, le permetteva di vivere ogni giorno con i suoi piccoli e affettuosi pulcini.
«Anche voi mi siete mancati tanto» rispose dolcemente, per poi dar loro leggere pacche sulle minuscole spalle, alla fine si alzò e tese le mani verso di loro «Ma ora andiamo in classe, i vostri compagni ci stanno aspettando!».
E così, tra le loro urla allegre alle quali rispose con un'alzata di occhi al cielo, li accompagnò nell'aula. Quel giorno avrebbero usato il DAS, un materiale adatto ai bambini per costruire figure e oggetti, tutto in base alla loro fantasia, dopotutto il bello di essere piccoli era proprio quello, avere un'immaginazione fuori dal comune.
Spesso le sue colleghe più anziane le rimproverano quell'atteggiamento fin troppo materno con i bambini, si sarebbero affezionati troppo, e poi sarebbe stata dura quando sarebbero andati via, ormai più grandicelli e pronti per le scuole elementari.
Ma a Galia non importava di quei rimproveri bonari, era nel suo carattere essere così buona con loro, mai un urlo era sfuggito dalle sue labbra, spaventare i bambini era qualcosa che proprio non tollerava, preferiva delle parole morbide che avrebbero fatto capire l'errore, che portarli a piangere per chissà quante ore.
Non era quel tipo di maestra, lei non aveva un bel ricordo delle sue, e non sarebbe diventata come loro.
Osservò i piccoli affettuosamente, passando tra i banchi per assicurarsi che tutto stesse andando bene, alcuni si stavano divertendo ad usare la pasta per costruire degli animali, tra cui farfalle, gattini e cagnolini, altri volevano fare dei regali alle loro mamme, quindi la loro idea di partenza era quella di costruire una serie di cuori, tutti di dimensioni ben differenti.
I suoi occhi scuri arrivarono all'ultimo banco della luminosa e colorata classe, era quello più vissuto, sulla superficie color crema erano presenti tanti scarabocchi fatti con una penna a sfera, ricordò benissimo quando il piccolo proprietario di quel banco aveva preso dalla sua cattedra una di quelle penne non cancellabili, dando sfogo alla sua fantasia, e i disegni erano tra i più belli che avesse visto tra i bambini di quattro e cinque anni presenti nella sua classe.
Peccato che il più delle volte, l'artista improvvisato fosse poco presente a scuola. Park Sang Hun si vedeva di rado, i suoi genitori non erano contattabili e sembravano non rendersi conto della gravità delle loro azioni, inoltre a scuola il bambino sembrava il più delle volte assente, Galia scorgeva un po' di emozione quando era in sua presenza, con le altre colleghe era una vera peste, scappava dalla classe o dava il tormento agli altri bambini.
Aveva sentito la preside dire qualcosa a riguardo, come mandare degli assistenti sociali per assicurarsi che la sua situazione familiare fosse a posto. L'unica persona che aveva incontrato dei Park era la nonna, una donnina molto avanti con gli anni, di certo non molto indicata per curarsi del vispo nipote.
Sospirò, forse avrebbe dovuto riprovare a chiamare quei due, la situazione non poteva rimanere questa.
Improvvisamente udì i suoi alunni lanciare altre urla, proprio come quella mattina all'entrata, si voltò sorpresa, non capendo il motivo di quella reazione, i bambini avevano le bocche aperte in enormi sorrisi, e molte femminucce portarono le loro adorabili e paffute manine al viso arrossato.
Si voltò interamente verso la porta, e ciò che vide le fece battere il cuore come una stupida e sognante tredicenne, un enorme sorriso si allargò da guancia a guancia e di istinto una sciocca risatina le sfuggì dalle labbra color ciliegia.
Lì, alla porta, c'era il suo fidanzato, Park Jimin. Un profondo sorriso solcava la pelle morbida del viso, indossava un cappotto scuro e tra le braccia teneva un grande mazzo di fiori, composto da gigli bianchi, iris e rose rosse, decorati da un sottile pezzo di stoffa ricamato ad arte con rifiniture dorate.
L'uomo prese la parola con fare cospiratorio.
«Bambini, la maestra può accettare questi fiori mentre sta qui con voi?» chiese divertito, ben consapevole che mancava ancora un po' di tempo prima che staccasse effettivamente da lavoro.
Nella classe esplose un coro di potenti "SÌ!!!!" che fecero scoppiare a ridere i due adulti, ed una bambina con occhi sognanti paragonò il bel ragazzo biondo ad un personaggio di un film fantasy.
«Maestra, il principe è venuto qui per sposarti?».
Galia arrossì vistosamente mentre Jimin entrava in classe sogghignando.
«Oh, bambini! Lui non è affatt-» fece per dire, ma Jimin la bloccò sul nascere, mettendo tra le sue braccia quei fiori, improvvisamente venne investita dal loro dolce profumo.
«Sì che sono un principe! Sono un principe delle fate, e sto donando questi fiori magici all'umana che chiamate Maestra, per ricevere in cambio il bacio del vero amore da parte sua» portò un dito davanti alle labbra, intimando ai bambini di mantenere il segreto, loro esclamarono versi sorpresi e felici, Galia tentò di non scoppiare nuovamente a ridere. Il suo fidanzato ci sapeva fare eccome con i bambini, e notò che tutti erano rimasti affascinati dall'aspetto elegante del Principe delle fate.
Jimin tornò a guardarla con espressione furba, cominciando ad avvicinarsi per reclamare il suo premio, ma proprio quando fu a pochi centimetri dal viso della fidanzata, quest'ultima lo spinse indietro come se nulla fosse.
«Ehi! Il principe reclama la sua ricompensa!» sbottò deluso, ma Galia scosse la testa.
«Il principe avrà la sua ricompensa dopo, adesso deve tornare al suo palazzo incantato e preparare il pranzo per la sua umana, che tornando a casa sarà molto affamata» gli fece sapere con un occhiolino, e lì Jimin capì di che fame si trattasse, con uno stupido sorrisetto tornò sui suoi passi, facendo un profondo inchino a tutti i bambini presenti.
«Questa fata vi porge i suoi più affettuosi saluti, e promette che verrà di nuovo a trovarvi al più presto» questa frase generò un sacco di reazioni contente, ma Galia cominciò a spingere fuori il ragazzo in malo modo, fintamente annoiata.
«Non sarà necessario, Altezza. Dopotutto anche Lei ha i suoi doveri, non si scomodi più dal Suo nobile trono incantato» arrivarono poco fuori l'uscio della classe quando l'uomo si voltò e, a tradimento, premette le sue soffici labbra su quelle della donna, gustando momentaneamente il suo sapore, gli bastò quel gesto per tornare ad essere più allegro di prima.
«Contento ora?» quando Jimin annuì vigorosamente, sbuffò divertita.
«Sei proprio un bambino...».
«No, sono il tuo principe, umana».
Lo spinse di nuovo, stavolta con più potenza e per poco il ragazzo non ruzzolò sui suoi stessi piedi, scoccò un'occhiata fintamente severa.
«Questo è un affronto, umana!» esclamò, lei in tutta risposta lo salutò con la mano libera, l'altra era intenta a tenere ancora il mazzo di fiori, che erano tra i suoi preferiti in assoluto.
«Conto di pagarne le conseguenze più tardi» poté chiaramente sentire un "Puoi scommetterci, amore", tornò a guardare i fiori riposti nell'incarto con cura, Jimin era fatto così, poteva spuntare dal nulla con un regalo che le avrebbe prontamente fatto battere il cuore, solo per ricordare quanto la amasse e fosse importante per lui. Anche dopo otto anni, quei piccoli gesti non erano stati accantonati come accadeva in molte coppie. Sfiorò delicatamente il petalo vellutato di una rosa rossa, che risultava audace in mezzo agli altri due, di un colore in netto contrasto e puro.
«È proprio un bel ragazzo, Galia» la raggiunse la voce sognante di una delle maestre più anziane lì, sorrise per nulla sorpresa di ritrovarla al suo fianco con così poco preavviso «Ed è così innamorato, è venuto qui solo per darti dei fiori, mi hai detto che è un Detective della Omicidi, sarà molto occupato» continuò la più grande.
Galia guardò persa il punto dove era scomparso Jimin «È questo il motivo dei suoi gesti».
Esattamente, Jimin dava sempre il meglio di sé in quella relazione, questo Galia non poteva che adorarlo, ma l'ombra di una brutta notizia era sempre in agguato. Il suo lavoro comportava dei rischi, veniva messo faccia a faccia con gente poco raccomandabile, gente pronta a vendicarsi alla prima occasione.
I gesti di Jimin erano dettati dall'amore, certo, ma anche dalla paura di non aver mostrato il massimo dei suoi sentimenti, nel caso gli fosse capitato qualcosa di brutto.
E questo la ragazza non poteva ignorarlo.
Tumblr media
══════⊹⊱≼≽⊰⊹══════
Tumblr media
«Capo, ho le informazioni che voleva su Jeon Jungkook» disse Jisoo senza scomporsi, la sua espressione poteva definirsi assente. Namjoon annuì in accordo, pienamente soddisfatto dal suo operato, prese a sfogliare i documenti contenenti le informazioni di Jungkook, e proprio come immaginava, scoprì che era l'ennesimo giovane lasciato a sé stesso e con dei problemi familiari alle spalle.
«Fa uso di droghe?» chiese, notando il bigliettino in basso e una piccola bustina attaccata al fascicolo con del nastro adesivo di carta. Jisoo confermò immediatamente.
«Sì, e in più sta entrando in affari con uno strozzino».
Namjoon sospirò annoiato «Questi ragazzini sono tutti uguali, credono di essere degli adulti capaci e non capiscono che stanno entrando in un tunnel senza uscita» asserì, schioccò le dita verso Jisoo «Chiamami tale R, questa merce è già mia».
Tumblr media
5 notes · View notes
crystalelemental · 29 days
Text
Ongoing Nexomon. My wife is approaching endgame, we assume. I am way back at Hilda.
Her team is largely super stacked. Kitsunox as her starter, Luhava because she caught it, Prismazor which she doesn't love performance-wise but is sticking with, Torrex which has been pretty good for her, Jeeta, and Arctivore which is I think her favorite. She loved that pupper.
My own team has taken a bit of divergence. See, I like to run things based on design, and while there's okay variance, a lot of the final forms are just...very big monster-esque. Most of the things on her team are big beasties, and I like cute. I want to run cute things. So I wound up trading out a lot of my options for...much weaker options, admittedly. The current roster is:
Weabride. I fell in love with Weabride's design super early, I have been resistant to switching it out for anything. Like yes, I have Storm Horse (Storse), and I have Luhava, but are they Weabride? No. The only one that offers competition is Idolette, but I'm kinda irritated with her not learning any good Wind moves. Like, not even Tornado? Come on. Weabride also has an evasion boost effect, so I'm going to play around with that for sure. Far from the best, but I love it.
Lantora. Now this one? This one I have high hopes for. Offensively it's nothing special, and defensively it's a little frail statistically. But, she has an evasion debuff and a shield. And I can make use of that nonsense. I do think the stamina system is going to play her a bit, but I want to try, because this is one of the cutest designs in the game.
Emprabee. I just think it's cool. It was this or Resonect, and I went with this because I like its design a bit better. It's certainly not good. But I do like it regardless. Just wish it had stronger attacks. Still, Arcane Blast does lower Atk, I can work with that. Atk debuffs are actually somewhat substantial.
Seaguard. I just like seahorses. I have no strong motivations beyond thinking it's cool.
Monolix. Mineral is my weakest type, in that I don't particularly love any of them. Monolix wound up hitting a weird sweet spot, though. It's weird, and reminds me of Cofagrigus, and apparently has better raw statistics than the Frulf line somehow, while also having Energy Blast for better neutral damage. So I kinda think it's just better? And thus was sold.
Felynth. I was really excited about Basten at the start of the game, and it will be substituting in as my Fire-type with Fire Claw. It has a confuse move now, and learns Disruption Beam. So I'm happy with this.
I am keeping statistically stronger backups, in the form of a lot of Special and Mega Rare options. I do like the Spink line, and I'll always keep Jeeta around, but I'd really prefer to keep with the team above. Until shown otherwise, we're making it work.
As for mechanics, which I have a lot of thoughts for:
One thing that is interesting is that types are perfectly balanced. Two weaknesses, two strengths, Normal has nothing either way. Normal is both very good and very bad. Good because they all seem to have an attack of another element, so they’re flexible and fill in. Bad in that those coverage moves are often less valuable than a basic Energy Blast, and the lack of resistance makes switching in harder than other types.
All Nexomon only have their base movesets, nothing else can be learned. This makes for less variation, but on the flip side, means you avoid the Sandslash Problem, where you don’t learn a single goddamn move of your designated type without limited resources.
Stats are stats. They do not change, and two of the same Nexomon at the same level are completely identical. This has the benefit of alleviating my worst tendency in Pokemon (resetting for good nature/IVs), but has the detriment of meaning all commons are kinda hosed from the outset. There’s no way to truly salvage something that just isn’t statistically good.
Learned movesets are also a bit of give and take. Weabride has Tornado early, which is a devastating Wind move, but later game there’s an even stronger move that it doesn’t get access to. Alpoca has a Mineral attack, but it’s weak and doesn’t keep up. It’s sad, but even the Uncommons feel like they fall off.
I did track stats from before and after an evolution. They are completely unchanged. To my knowledge, there’s no actual difference. Which is kinda nice, you can run a pre-evolution without actually giving up anything. But it does make me question what the point is.
1 note · View note
giancarlonicoli · 6 months
Text
30 ott 2023 11:06
SE ISRAELE VUOLE LA PACE DEVE FERMARE GLI INSEDIAMENTI DEI COLONI NELLE TERRE CHE DOVREBBERO COSTITUIRE LO STATO PALESTINESE - OGGI SONO QUASI 700 MILA E VENGONO INCENTIVATI DALLO STATO E SOSTENUTI DALLE ORGANIZZAZIONI EBRAICHE AMERICANE - LA LORO MISSIONE DI “EBRAICIZZARE” LA TERRA CON OGNI MEZZO E’ FRUTTO DELL’INCROCIO PERICOLOSO TRA IL NAZIONALISMO SIONISTA LAICO E LA DESTRA RELIGIOSA XENOFOBA: PER MOLTI OSSERVATORI, L’ASSASSINIO DI YTZHAK RABIN NEL 1995, CHE VOLEVA LA PACE IN CAMBIO DELLA RESA DI PARTE DELLE TERRE, È FRUTTO DI QUEL CONNUBIO PERVERSO… -
Estratto dell’articolo di Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
All’inizio parve una cosa da niente, un atto un poco folle da parte di un gruppetto di ebrei religiosi particolarmente originali e tanto innamorati della terra d’Israele: affittare poche stanze nell’hotel A-Naher Al-Khaled nel centro di Hebron per celebrare assieme alle loro famiglie la Pasqua ebraica del 1968.
Il governo laburista di Levi Eshkol in principio storse il naso, dai giorni seguenti la travolgente vittoria del giugno 1967 si era deciso che i «territori occupati» ai danni di Giordania, Egitto e Siria (eccetto Gerusalemme Est che era stata subito annessa) andavano preservati intatti, per poter renderli agli arabi in cambio della pace e del pieno riconoscimento di Israele.
Ma poi erano arrivati i «no» dei nemici, le trattive si prolungavano, il neonato Olp lanciava attentati […] E poi c’era l’euforia della vittoria e la suggestione molto romantica nell’idea di «colonizzare la terra» […]. Di diverso c’era il carattere religioso dei nuovi coloni, li guidava un certo rabbino Mosge Levinger, […] lontano dal sionismo socialista. Se questo predicava la necessità tutta laica di lavorare la terra per creare «l’ebreo nuovo» in grado di difendersi da solo, Levinger parlava invece di riportare gli ebrei alle regioni che erano state dei regni di Israele prima della distruzione del Secondo Tempio.
I primi lo facevano con il fucile e l’aratro, i secondi si riferivano in termini teologici a una missione per volontà di Dio. Ma c’era un secondo argomento proposto da Levinger che andava a toccare nel profondo le sensibilità di leader politici e militari laburisti come Golda Meir, Ytzhak Rabin, Moshe Allon e Moshe Dayan: lui voleva portare la sua gente sia a Hebron, dove nel 1929 la popolazione palestinese aveva ucciso 69 ebrei, che nella vicina Kfar Etzion, località simbolo della guerra del 1948, quando l’esercito giordano e i volontari palestinesi trucidarono 127 combattenti dell’Haganah e membri di kibbutz locali che pure stavano arrendendosi.
[…] Quella prima Pasqua fu però un passo irreversibile. Perché Levinger e i suoi il giorno dopo si rifiutarono di partire. […] alla fine il compromesso fu di abbandonare il centro di Hebron (dove sarebbero tornati con un colpo di mano dieci anni dopo) e sistemarsi in una base militare semiabbandonata sulla collina che sovrasta la città. Era nato l’insediamento di Kiriat Arba, che da allora rimane il cuore pulsante dei coloni oltranzisti. […] il quartier generale dei «Gush Emunim», il blocco dei fedeli, che aveva come missione prima quella di «ebraicizzare» la terra con ogni mezzo, a qualsiasi prezzo, anche minacciando, derubando, persino uccidendo la popolazione palestinese. Quando si proclama che «Dio lo vuole» poi diventa molto difficile fare compromessi.
[…] Ehud Sprinzak, uno degli storici locali più attenti alla destra israeliana: «La maledizione per il nostro popolo è stata la vittoria del 1967, quando il nazionalismo sionista laico impadronendosi dei luoghi santi ebraici si è sposato con la destra religiosa xenofoba». Per molti osservatori, l’assassinio di Ytzhak Rabin nel 1995, che voleva la pace in cambio della resa di parte delle terre, è frutto di quel connubio.
Negli anni Settanta la colonizzazione proseguì in modo semiclandestino […] I coloni tendevano a mettersi nelle basi militari, che poi lentamente diventavano loro. La svolta fu però con la «mapach», la rivoluzione alle elezioni del 1977, quando il Likud di Menachem Begin andò per la prima volta al governo soppiantando l’egemonia laburista. Da allora la colonizzazione del Golan e soprattutto della Cisgiordania sono diventate priorità […] Poco prima dell’intifada, […] dicembre 1987, i coloni erano circa 200.000.
[…] sostenuti specie dalle organizzazioni ebraiche americane, i coloni continuarono a crescere proprio in quelle terre che avrebbero dovuto costituire lo Stato palestinese. Nel 2005 Ariel Sharon ritirò i 15.000 coloni di Gaza lasciando capire che la Cisgiordania era tutta loro. I governi di Netanyahu li hanno sostenuti con ogni mezzo: oggi sembrano una presenza irreversibile. Secondo il censimento Onu del marzo 2023 sono circa 700.000 (di cui 230.000 a Gerusalemme Est) e le colonie in Cisgiordania sono 279 […]
0 notes
nospiderpls · 2 years
Text
Susaaan?
<< Susaaan? >> era in biblioteca, reparto proibito con il suo libro di cristallogia in mano. Sgranò gli occhi nel vedere quel ciuffo baldanzoso spuntare da dietro uno scaffale, e storse il naso. Sbuffò sonoramente, mentre lui entrava nel reparto proibito senza farsi alcun problema:
<< Mi fa piacere che sembri così felice di vedermi Susan >> Sbuffò, nuovamente: << E' così evidente? >> Lui si appoggiò ad un tavolo, per guardare qualche libro dalle copertine piene di teschi e ragni: << Non ti sto molto simpatico, vero? >> << Probabilmente in questo momento sei la persona che più detesto >> << Uh, faccio parte della lista di Susan, che onore >> borbottò riponendo il libro. << Chiamami Suzy >> borbottò lei tra i denti. Almeno quello. << Sembra che non ti piaccia quando ti chiamano Susan >> sottolineò. Forse era più sveglio di quanto pensasse. Metaforicamente parlando, ovviamente. << Lo detesto >> gli confermò, continuando a sottolineare quella parola. Invano.
Lui la studiò un momento attento, poi annuì e si guardò attorno come meravigliato dell'inconsueto posto: << Quindi, che ci fai nel reparto proibito Susan? >> Suzy storse nuovamente il naso, senza alcuna intenzione però di mettersi a litigare. << Cerco di tenermi lontana dalla gente >> Lo fissò, gli occhi ad una fessura. Lui tornò a guardarla dopo un lungo istante, e piegò appena la testa: << Non credo funzioni granchè >>
Tumblr media
1 note · View note
incorrect-cursed · 4 years
Text
Gawain: We just ate. Why are you making pancakes? Lancelot: They're for Goliath. Gawain: Why are you making pancakes for Goliath? Lancelot: He doesn't know how.
71 notes · View notes
camdentown-library · 3 years
Text
Hai le fiamme negli occhi|| ITA ver. Ethan Torchio x reader
Capitolo Uno
Tumblr media
❝ 𝐌𝐚𝐫𝐥𝐞𝐧𝐚 𝐝𝐞𝐜𝐢𝐝𝐞 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐝𝐢 𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐞 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐭𝐞 𝐞𝐝 𝐚𝐜𝐜𝐞𝐭𝐭𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐥’𝐢𝐧𝐯𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐧𝐨𝐧𝐧𝐢, 𝐚𝐧𝐝𝐫𝐚̀  𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐯𝐚𝐜𝐚𝐧𝐳𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐚 𝐚𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐞.
𝐒𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐞𝐬𝐭𝐚𝐭𝐞 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐞, 𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐚̀  𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐢𝐧𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐨 𝐫𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐨, 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐨𝐫𝐢𝐠𝐢𝐧𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀  𝐥𝐞 𝐟𝐚𝐫𝐚̀  𝐧𝐨𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐧𝐭𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨❞
I fatti raccontati sono puramente frutto della mia immaginazione, non è mia intenzione fare un torto a nessuna persona citata, e soprattutto il carattere di Ethan potrebbe (sicuramente) non rispecchiare la persona nella realtà.
Buona lettura a tutti voi!
I primi raggi di Luglio erano colati sui tetti delle case di Roma, donando agli intonaci bianco sporco e le tegole rosee un riflesso dorato che sapeva il miele. I glicini erano in fiore, così come l'albero di nespole sotto casa di Marlena; il profumo della vita nel pieno atto del suo ciclo, bussava sempre alla finestra della sua sala da pranzo, riempiendolo di dolci fragranze.
La ragazza era solita prendere posto a tavola durante le ore della tarda mattina, circondata da libri e tomi abbastanza vecchi e rosicchiati dalla polvere, con il buon proposito che anche quel giorno avrebbe letto e studiato quelle pagine tanto noiose, di quell'altrettanto noioso esame di Egittologia. La sessione estiva era ormai iniziata, ella aveva appena sostenuto un paio di esami lo scorso Giugno e ora ne stava preparando altri due che avrebbe affrontato nelle prime settimane di Settembre.
Che il tempo potesse sembrare apparentemente poco a Marlena non importava più di tanto, cosa avrebbe potuto mai distoglierla dal proprio lavoro? Di amici non ne aveva, e ormai nonostante avesse in autunno varcato la soglia dei 21 anni, la ragazza trovava ormai del tutto estinta la sua ingenua gioventù, così come la sua voglia di oziare.
Il suono stonato ed inatteso del citofono fece scattare il capo chino sui libri della giovane, la quale dopo aver tirato un sospiro forse un poco contrariato, decise di alzarsi dalla sedia, uscire dalla sala da pranzo e varcare il largo e non troppo lungo corridoio a “L” del suo appartamento, arrivando infine a passo svelto verso l'apparecchio che aveva gracchiato per poter rispondere.
"Si?" chiese con tono abbastanza deciso ma non troppo cordiale.
"Sono il postino, mi apre?" rispose uno sconosciuto, mentre ella spinse il bottone per aprire il cancello.
Marlena aprì dunque la pesante vecchia porta di casa sua, rimanendo paziente ad attendere l'arrivo dell'uomo sull’uscio. Nonostante ella vivesse in quel condominio con il padre da quando ne avesse avuto memoria, non aveva ancora trovato una spiegazione razionale al fatto che esso fosse sprovvisto di cassette per la posta. Forse perché era un palazzo costruito negli anni venti? Beh questo spiegherebbe l'assenza anche di un ascensore, ma una dannata cassetta della posta non sarebbe stata difficile da aggiungere.
Il fiato affannato dell'uomo la riportò alla realtà, quando i suoi occhi lo videro fare capolino dalla rampa delle scale. Era già così stanco dopo neanche aver varcato il secondo piano? Si chiese la giovane donna un poco delusa.
"Siete la signora Levavi?" Chiese allora il postino riprendendo fiato e rovistando nella sua borsa. Marlena storse il naso d'istinto.
"Ahm...signorina, comunque si" Rispose lei scuotendo il capo, cosa poteva mai importare a quel postino se fosse stata "signorina" o "signora"? La ragazza si morse leggermente l’interno della guancia come rimprovero.
"Ecco a lei. Quanti piani ci sono ancora?" Chiese l'uomo asciugandosi con un fazzoletto la fronte sudaticcia.
"Altri due..." Rispose Marlena disinteressata mentre chiudeva la porta di casa, osservando le lettere.
Bollette della luce, dell'acqua, la tassa da pagare per il prossimo anno universitario e...una lettera?
Beh, sicuramente non era da parte di suo padre...
"Cara Marlena,
So perfettamente che forse sarebbe stato più facile telefonarti, ma sai che mi è sempre piaciuto scriverti delle lettere.
Ho notato purtroppo che nelle ultime che ti ho recapitato non hai risposto, immagino sia perché l'università ti tiene molto impegnata...
Comunque ho saputo che tuo padre è fuori Italia per un viaggio di lavoro e starà via fino alla fine di Agosto; Mi sembrava doveroso invitarti a trascorrere questi ultimi mesi d'estate nella nostra casa fuori città.
Lo so che da quando tua mamma se n'è andata, non hai più avuto il desiderio di venire a trovarci, ma credo ti farebbe bene cambiare aria per un po'. Il posto è tranquillo, c'è il mare e anche una grande ed estesa campagna con una pineta e la gente del posto è davvero cordiale e disponibile.
Puoi portare anche Lapo se vuoi, so che siete molto legati.
Ad ogni modo, fammi sapere il tuo verdetto.
Un forte abbraccio.
Nonna Agata.
La ragazza osservò ancora una volta il testo di quella lettera, rileggendolo e rileggendolo più volte, avvolta in un silenzio che probabilmente era insito di ricordi che le offuscavano il buonsenso, mentre lentamente dopo aver fatto alcuni passi indietro, posò delicatamente la schiena alla parete.
Aveva ricordi lontani di quella casa, lontani ma pur sempre felici. Ricordava quando si svegliava la mattina presto assieme a nonna Agata e a nonno Laerte per poter andare al mare e le sue piccole mani mentre cercava paguri e conchiglie in riva alla spiaggia, come ricordava le musiche in piazza e le risate rieccheggiare allo stesso modo delle campane della chiesa la domenica, tutti erano felici...e la vita sembrava essere meno ingiusta con chi se lo meritava meno, aveva il sapore di marmellata e di gelatine alla frutta, di sale sulle labbra e di api che svolazzavano.
Il petto di Marlena si gonfió di aria, come se fino a quel momento avesse trattenuto il fiato...forse perché immergersi nella propria infanzia era come annaspare in un mare in tempesta con la pretesa di rimanere a galla.
L’abbaiare allegro del suo cane Lapo riportò la giovane al presente, la quale decise di posare le lettere su un davanzale poco distante dalla porta d’ingresso ed avviarsi assieme al giocoso animale verso la cucina. Lapo era un simpatico Bovaro del Bernese, dal manto nero, marroncino e bianco. Le era stato regalato cinque anni fa, forse perchè suo padre aveva intuito che anche la sua assenza aveva creato nel cuore dell’unica figlia, un senso di angosciante solitudine, che l’aveva consumata sino all’osso rendendola totalmente apatica per certi versi.
Ma Lapo, Lapo l’aveva salvata, con Lapo parlava e condivideva gesti di affetto, come carezze e piccole leccate tra le dita ed i capelli. A volte Marlena si addormentava nel suo letto, con l’ingombrante cane addosso, perchè sentire il suo fiato caldo ed umido sulle sue coperte le ricordava nel sonno che non era sola nel buio della notte. Finchè il cuore di Lapo avesse battuto la giovane ragazza non aveva timore di doversi svegliare, né di dormire.
“Lo so che dovrei rispondere...” mormorò lei mentre era intenta a lavare la buccia di una mela rossa nel lavandino della cucina. Il cane intanto si mise seduto guardandola con fare intenso mentre sconndinzolava in attesa.
“...E’ solo che, quel posto...e poi dovrei finire di studiare, ho un esame da dare a fine estate, Lapo” ma il cane inclinò la testa deluso per poi alzarsi e trotterellare via dalla stanza, in cerca di chissà quale svago, lasciando Marlena ai suoi pensieri, mentre addentava il frutto appena asciugato con il canavaccio.
Nonostante ella cercasse di autoconvincersi che sostare nella sua comfort-zone sarebbe stato più facile, piuttosto che rispondere di “si” alla richiesta della nonna, una parte di lei la stava di nuovo attirando a quella lettera; il suo sguardo fu catturato dall’orizzonte della sua mente, mentre in lontananza poteva quasi udire i suoni ed i sapori di un luogo quasi troppo fiabesco per essere parte del mondo materiale.
Era solo per poco più di un mese e mezzo, solo un mese e mezzo e poi avrebbe lasciato di nuovo tutto alle sue spalle, come fece molto tempo fa.
Marlena dopo aver posato la lettera di nuovo accanto al proprio comodino, afferrò il cellulare poco distante e digitando i modo non troppo convincente alcuni numeri sullo schermo, per poi portare l’oggetto all’orecchio.
Ci furono quei dieci secondi di attesa che le parvero lo scoccare di mezzo secolo, finchè una voce non disse “Pronto?”.
“Pronto nonna. Sono Marlena...”
Tumblr media
Ci vollero due giorni prima che la piccola ed esageratamente arretrata FIAT Punto di nonno Laerte facesse la sua impareggiabile entrata accanto al cancello color verde bottiglia del piccolo chiostro del palazzo di Marlena.
L’uomo aveva impiegato più o meno dieci minuti solo per parcheggiare, la nipote si era chiesta quanto egli avrebbe impiegato poi per riuscire e ripartire.
Marlena aveva portato ben due capienti borsoni con sé. Uno per i vestiti e l’altro pieno di cianfrusaglie come: libri, oggetti per il cane, trucchi e tutto quello che per la sua mente non così famigliare con i viaggi, reputava indispensabili. Non era così convinta che entrambi sarebbero entrati nel portabagagli, ma l’esemplare capacità di sapersi adattare ed arrangiarsi del nonno la lasciava sempre con lo stupore a fior di labbra.
La giovane era seduta ai posti dietro, assieme a Lapo. Teneva tra le mani un piccolo mazzetto di tulipani che Laerte le aveva portato, fatto da sé. Egli le disse:
“Sono andato a fare due passi nella campagna e ho cercato di cogliere i più belli tra tutti, come la mia nipotina!” seguito da un orgogliosa e gracchiante risata. Laerte era sempre stato un fiero ed inguaribile romantico, senza mai rinunciare ad un po’ della sua drammaticità, nonna Agata non faceva altro che rammentarglielo nelle lettere.
Come quando Marlena gli fece notare, che il volante dell’auto era troppo rovinato per far sì che quest’ultima fosse considerata a norma, ma lui aveva sempre risposto che un bravo soldato e partigiano avrebbe fatto appello alla sua esperienza alla guida ed un po’ d’olio di gomito, per poter avere la certezza che l’itinerario del viaggio sarebbe stato tranquillo e senza spiacevoli intoppi.
Lo sguardo di lei fissava assente ciò che scorreva, come il nastro in una cinepresa, fuori dal finestrino; Vedeva i palazzi della città farsi meno presenti, così come la puzza dello smog, ci fu poi un lungo tratto di autostrada, immersa nei campi di grano ed ogni tanto sbucava qualche piccola fattoria o industria di ricambi o altre mansioni.
Nella macchina avrebbe regnato del tutto il silenzio, se non fosse stato per la vecchia radio che riproduceva un disco intero di tutti i capolavori di Lucio Dalla; al nonno di Marlena piaceva quel cantante, ma non allo stesso modo chiacchierare mentre guidava, perchè secondo lui avrebbe aumentato le possibilità di incidenti stradali del 50%, e sinceramente, alla nipote non dispiacque affatto questa presa d’atto...non sapeva neanche da dove avrebbe dovuto cominciare e per quanto i suoi parenti cercavano di farla sentire a proprio agio, ella si immaginava come uno straniero, un estraneo, che aveva bussato alla loro porta ed ora stava solo cercando di imparare e ricordare le loro comuni maniere.
Lapo cacciò un abbaio entusiasta quando la gracchiante auto si era lasciata alle spalle il cemento infinito dell’autostrada, per poi imboccare una stradina tutta di curve ed in salita che li avrebbe condotti al piccolo paese.
“Se ti affacci a destra vedrai il mare, Marlena” la informò Laerte, mentre faticava con il volante ad ogni curva, ma non si azzardò a fare neanche un lamento sotto sforzo. La ragazza decise di accogliere quelle parole, ed affacciandosi (dopo aver tirato giù il finestrino) una frizzante aria di sale le pervase le narici come il balsamo di una mentina. I suoi occhi cercarono di mostrare il meno possibile la sconfitta di uno stupore che l’aveva travolta come un’onda in piena, facendole scalpitare il cuore.
Il mare. Marlena adorava il mare. E da qualche istante si stava chiedendo cosa l’aveva costretta a chiudersi in casa per tutto quel tempo, ma poi la mente tornò statica e lucida. Lei sapeva perché, e non vi era bisogno di altra motivazione per farla ricomporre, anche se a fatica.
Tumblr media
Ormai erano quasi passate le due del pomeriggio quando l’automobile di Laerte sorpassò la soglia della piazza del piccolo paese, mentre lo sguardo attento (anche se apparentemente perso) della nipote osservava tutto nei minimi dettagli.
Nulla sembra esser cambiato di quel posto dall’ultima che vi si era recata. La strada era sempre ricoperta delle solite, vecchie e grossolane lastre di pietra bianca ed erosa dalle intemperie, così come i vari negozi che circondavano la piazza e le piccole case accostate, smaltate di un fresco intonaco bianco sporco e tetti marrone scuro, la fontana al centro, ed il piccolo ristorante con il suo balcone che affacciava verso la lunga pineta che si estendeva ai piedi della modesta altura che sorreggeva il paese.
Eppure sembrava esserci ancora poca gente in giro per le strade, forse perchè a quell’orario chiunque con un minimo di arguzia si sarebbe rintanato nelle fresche quattro pareti della propria casa, pur di sfuggire al torrido caldo che non cedeva fino allo scoccare delle cinque del pomeriggio.
Un sussulto scosse d’un tratto Marlena, quando il nonno decise di accostare e tirare su il freno a mano della propria FIAT, provocando così un lieve rinculo abbastanza inaspettato da svegliare bruscamente la ragazza dai propri pensieri. Ella si schiarì la gola, mentre apriva la propria portiera, così che Lapo potesse finalmente trotterellare e scodinzolare emozionato in giro, d’altronde non lo biasimava, doveva essere dura per un cane starsene buono in macchina per così tante ore.
“Eccoci arrivati!” proclamò l’anziano uomo mettendosi le chiavi della vettura in tasca per poi suonare al campanello della piccola casa che affiancava la FIAT “Tua nonna sarà così felice di vederti, scommetto che avrà preparato le ciambelle con il vino rosso per festeggiare la tua rimpatriata” aggiunse mentre aspettava che la donna da lui menzionata gli aprisse, pregustandosi già sulle labbra il sapore pungente e dolciastro di quei dolci che lui tanto amava.
“Allora suppongo ne abbia fatte minimo trenta” commentò ironica la giovane donna, mentre trascinava fuori i due borsoni con estrema difficoltà, attirando l’attenzione di Laerte il quale aggiustandosi frettolosamente i capelli crespi e bianchi, si affrettò a raggiungere la nipote per darle il proprio supporto.
“Ah non ti preoccupare, amore di nonno. Ci penso io, tu magari risuona alla porta, tua nonna ormai è divenuta sorda come una campana...” disse mentre tirò un leggero sbuffo per poi borbottare qualcosa.
“Suvvia nonno...” rispose allora Marlena alzando gli occhi al cielo cercando di non sorridere, quanto poteva essere melodrammatico quell’uomo?
Dopo aver pigiato nuovamente il dito dul campanello, la ragazza attese che qualcuno rispondesse e l’udire l’avvicinarsi di alcuni passi veloci assieme allo strusciare di infradito sul pavimento, le fece intuire che finalmente Agata aveva sentito il loro arrivo. Marlena non fece in tempo neanche a salutare l’anziana signora, che ella la prese tra le sue braccia, avvolgendola in un abbraccio che la colse impreparata ed a cui non rispose immediatamente.
“Oh amore mio! Sono così felice di rivederti! Ma guarda come sei cresciuta! Sembra solo ieri quando mi arrivavi a metà coscia e ora...” le mani un po’ nodose, ma dai polpastrelli morbidi della donna presero delicatamente il volto della nipote a mo di coppa, come per tastare se la sua presenza fosse solo fantasia o realtà “...Sei una donna a tutti gli effetti” sussurrò per poi spupazzarla di baci per tutto il viso, mentre Marlena mugolava pretendendo di esserne in qualche modo infastidita.
Dopo aver salito una breve rampa di scale che portava alla casa situata al piano superiore, le narici e la coscienza della ragazza furono inondate di ricordi e sensazioni già assaporate. Osservò il pavimento ormai vecchio dell’abitazione, mattonelle di granito che si alternava a una dipinta a mano ed un’altra no; Marlena rimebrò con una punta di divertimento quando da piccola passava i pomeriggi noiosi a giocare su di esse, saltando solo su quelle decorate perchè secondo la sua immaginazione quelle spoglie erano fatte di lava incandescente.
Le pareti erano sempre le stesse, ricoperte da una vernice celestina e lievemente grumosa a tratti, lo poteva percepire, quando l’indice ed il medio della sua mano destra ne sfiorarono assentemente la superficie.
La casa dei nonni di Marlena era assai semplice e forse apparentemente un pochino angusta. Aperta la porta di ingresso di legno, dopo aver passato il pianerottolo e le scale si aveva di fronte a se un corrdioio che si estendeva lungo alla propria destra, scandendo così le varie porte di ogni stanza che la casa raccoglieva al proprio interno. Quasi parallela all’ingresso vi era l’uscio della cucina alla parete opposta, senza ante, accanto ad essa la porta del bagno, e poi successivamente la porta della stanza dei due coniugi anziani. Alla fine del corridoio vi era un piccolo balconcino con la ringhiera ricoperta di vasi pensili dove come una cascata variopinta fuori usciva una fitta ramificazione di bucanville rosso corallo che oltre a lasciarsi poeticamente cadere dalla piccola nicchia, si arrampicava elegante e leggiadra sul corrimano della ringhiera per poi abbracciare le pareti esterne della casa.
Marlena ne approfittò, per potervi fare capolino, mentre a pieni polmoni respiro il fragrante e vellutato profumo di quei petali, misto alla brezza marina che veniva da oltre la pineta che circondava il paese. Ella osservò le piccole case attornò a sé, mentre strizzando gli occhi poteva distinguere la linea netta del mare piatto e calmo che si fondeva in una perfetta alchimia con il cielo limpido all’orizzonte.
La giovane cercava in tutti i modi di autoconvincersi che quel luogo incantato, quel piccolo angolo di paradiso non le era mai mancato...ma ad un tratto si autoproclamò stolta di aver minimamente pensato una cosa tanto cinica.
Tumblr media
TO BE CONTINUED . . .
12 notes · View notes
alwayspotterstuff · 3 years
Text
Alle tre e mezza, il pulito e composto Light Yagami stava sfogliando una rivista porno.
Sophie storse il naso.
Non tanto per la rivista in sé: disteso placidamente a pancia in giù sul letto, il mento puntellato elegantemente su una mano e la flemma di chi stia sfogliando un noioso manuale su una delle tante Guerre dei Goblin, Light Yagami non rientrava esattamente nello schema dell’adolescente in preda agli ormoni.
E lei lo era stata fino a poco tempo prima, un’adolescente in preda agli ormoni.
Ora scricchiolo come un albero se sto seduta per troppo tempo nello stesso modo, pensò imbronciata, tendendo una mano dietro la schiena per massaggiare un punto dolorante.
«Un ragazzo così diligente che compra quel genere di riviste… Sophie, io mi scuso profondamente per il comportamento di mio figlio…» disse desolato e spiazzato il Sovrintendente. La giovane batté le palpebre un paio di volte, risvegliata dal suo torpore.
«Che- no, Sovrintendente si figuri! Non sono minimamente offesa, non si preoccupi» lo tranquillizzò freneticamente, raddrizzandosi nella poltroncina con un sorriso rassicurante. «Suo figlio sarà anche uno studente modello, ma è pur sempre un diciassettenne… quello non è strano» aggiunse, mordendosi la lingua un attimo più tardi.
«… Quello?» chiese confuso l’uomo.
Godric, Sophie, chiudila ogni tanto la boccaccia.
3 notes · View notes
synaptica · 3 years
Text
Eppure dovrai metterti l'animo in pace, – replicò Woland, e un sorriso beffardo storse la sua bocca. – Non hai fatto in tempo ad apparire sul tetto che hai già detto una sciocchezza, e ti dirò io in che cosa consiste: nel tuo tono. Hai pronunciato le tue parole come se tu non riconoscessi l'esistenza delle ombre, e neppure del male. Non vorresti avere la bontà di riflettere sulla questione: che cosa farebbe il tuo bene, se non esistesse il male? E come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre? Le ombre provengono dagli uomini e dalle cose. Ecco l'ombra della mia spada. Ma ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Vuoi forse scorticare tutto il globo terrestre, portandogli via tutti gli alberi e tutto quanto c'è di vivo per il tuo capriccio di goderti la luce nuda? Sei sciocco.
Il Maestro e Margherita - Bulgakov
2 notes · View notes
rei-murai · 3 years
Photo
Tumblr media
Naruto: All the small things - Non azzardarti ad aprire quei Fonzies! (on Wattpad) https://my.w.tt/aG0bH4CKEcb "«Sei distratto». L'amica batté la matita sul quaderno, spostando lo sguardo verso il gruppo di aspiranti centristi e sorrise. Gli occhi verdi brillavano di malizia. «Concentrato sul culo di Uzumaki?» Arrossì e scosse il capo, indignato dal linguaggio scurrile della ragazza. «Sono passato oltre» laconico voltò pagina al libro, inforcando gli occhiali. «Neji non è un buon partito» Sakura ghignò maligna, poggiando le mani a coppa sotto il mento. Storse la bocca, schifato dalla prospettiva. «Torna a studiare che è meglio». «Sei tu quello distratto, non io»."
3 notes · View notes
collecting-stories · 4 years
Note
I’m always a little bummed this time of year because we don’t really celebrate halloween where I live (I live in Finland btw😂) we do have some halloween stuff at the storse but it’s not much and they’re really crappy too. And obviously we don’t celebrate thanksgiving either so we skip straight to Christmas around this time. But it’s okay because I LOVE Christmas!! I would like to celebrate halloween tho...
That is kinda a bummer! (Also Finland? That’s so cool!) Christmas is pretty amazing tbh. There’s a lot we’re not doing this year, holiday wise, but I’m still really excited for Thanksgiving and Christmas and just celebrating them small-scale with my immediate family. It’s an odd year for holidays lol.
2 notes · View notes
pandemoniumgirlx · 4 years
Text
IL TURNO DI GUARDIA DI CAMERON E NICHOLAS
Cameron venne svegliato da Raven, che gli accarezzava la fronte mentre lo chiamava per nome con tono dolce. Ripensò alle volte in cui sua madre lo aveva svegliato allo stesso modo; gli mancava, anche ora che era cresciuto.
«Il fuoco è ancora acceso, nello zaino ci sono cibo e acqua se vi viene fame» gli disse poi con un sorriso indicandogli uno degli zaini. Cameron annuì, coprendosi la bocca e sbadigliando, poi Raven andò a sdraiarsi per riaddormentarsi.
Si mise in piedi e si stiracchiò allungando la schiena, si passò le maniche della giacca sul viso, poi si mise seduto più vicino al fuoco. C’era una leggera brezza notturna che soffiava tra le fronde degli alberi, che gli fece correre un brivido lungo la schiena. Allungò le mani verso le fiamme per scaldarle. Mentre dormiva ne aveva tenuta una sotto la coperta, ma l’altra era rimasta fuori stringendo il coltello, ora aveva le dita gelate. Fare l’ultimo turno era stata una bella idea. La sera prima era stato troppo stanco per fare il primo, e il secondo sarebbe stata una scocciatura: doversi svegliare nel bel mezzo della notte e poi dover riprendere sonno. Alzò lo sguardo dal fuoco: Nicholas era a pochi passi da lui, anche lui vicino al focolare, ancora sotto forma di lupo con la testa appoggiata sulle zampe. Lo aveva visto stiracchiarsi e poi rimettersi nella stessa posizione in cui aveva dormito, solo più distante da lui. Cameron non glielo aveva chiesto, eppure era certo che Nicholas avesse dormito vicino a lui tenendogli caldo. Forse avrebbe dovuto ringraziarlo, ma nessuno dei due ne fece parola.
Rigirò il coltello nella mano, con la punta iniziò a disegnare nel terreno umido. Odiava davvero tutta quell’umidità. Piegò indietro la testa e guardò le stelle, poi iniziò a tracciarle, ma non quelle sopra le loro teste. Disegnò la croce del sud in modo molto approssimativo. Lì in Inghilterra le stelle erano diverse. Gli mancava casa, il clima caldo, il terreno asciutto, il giardino della residenza… cercò di non pensarci troppo. Era normale avere nostalgia, ma c’erano cose più importanti a cui pensare.
La foresta, nelle ore più buie della notte, era spaventosa e al tempo stesso incantevole. Il silenzio che si creava quando il sole calava dietro alle colline era magico, nel vero senso della parola. La notte era il momento in cui alla maggior parte delle creature magiche era permesso uscire dai loro nascondigli. Cameron era sicuro che, tutto attorno a loro, ci fossero centinaia di piccole fate e folletti, forse troppo timidi per mostrarsi. Pensò a come molti silenti li scambiavano per delle lucciole, per loro doveva essere strano pensare che le leggende folkloristiche fossero vere.
Nicholas sbadigliò, proprio come facevano i lupi: spalancando la bocca, mettendo in risalto le zanne. Allungò la testa per vedere cosa stava facendo Cameron.
Tumblr media
«Quella è la croce del sud?» disse a metà tra una domanda e un’affermazione.
Annuì. «Conosci le stelle?» chiese Cameron, improvvisamente interessato. Si portò le ginocchia al petto, appoggiandosi con il mento alle ginocchia.
«Mi piace osservare il cielo, qui con questo buio si vedono benissimo» rispose Nicholas alzando la testa. Guardò il cielo per lunghi istanti. Cameron si chiese se stesse cercando le costellazioni. Lui conosceva quelle di entrambi gli emisferi, ma non avendo mai visto quelle dell’emisfero boreale, probabilmente non sarebbe stato in grado di riconoscerle al primo sguardo.
Quando Nicholas riabbassò la testa, guardò Cameron. Forse si aspettava che dicesse qualcosa, in fondo era stato lui a dire che avrebbero fatto il turno insieme. Lo avrebbe fatto volentieri con Raven, ma era incuriosito da quel ragazzo.
«Hai intenzione di rimanere un lupo per tutto il tempo?» esordì per non rimanere in silenzio. Nicholas piegò leggermente il capo. Non lo stava accusando, né voleva in qualche modo offenderlo, così si affrettò ad aggiungere: «È che è davvero strano conversare con un lupo.»
Nicholas ridacchiò o almeno fece un rumore che a Cameron parve un risolino. Mutò in un istante, come gli aveva già visto fare, assumendo la sua forma umana. Si strinse nelle spalle e Cameron gli lanciò la coperta, così che se la potesse mettere sulle spalle.
«Come fai con i vestiti?» gli chiese Cameron indicandolo con la punta del coltello. L’altro si strinse nelle spalle senza rispondere. Lo osservò per un momento. Nicholas teneva stretti i lembi della coperta, coprendosi per bene per scaldarsi. Si era avvicinato di più al fuoco, mettendosi seduto a gambe incrociate, come si era risistemato Cameron. «Sul treno hai detto che puoi rimanere umano per poco…» provò di nuovo a fare conversazione, non che andasse forte nelle conversazioni, ma riuscì ad attirare l’attenzione di Nicholas.
«Mi pare di averti fatto capire di non volerne parlare» disse e roteò gli occhi. Cameron storse il labbro, era un argomento troppo personale. Nicholas doveva essersi accorto del suo disagio. «Non prendertela» fece scompigliandosi i capelli. Glielo aveva visto fare in continuazione quando era umano. «Parlare di questo è una brutta idea. Dimmi qualcosa di te Cam, oltre al fatto che sai giocare a scacchi e che ti piace la botanica» lo esortò.
Durante il loro giro sul treno gli aveva parlato di alcune delle piante più strane che avesse mai studiato, Nicholas lo aveva ascoltato con fare interessato, annuendo e guardandolo di tanto in tanto. La botanica era un argomento che la maggior parte delle persone trovava noioso.
«Cosa vuoi sapere?» gli chiese e sentì le guance scaldarsi leggermente. Non era abituato a parlare di sé con qualcuno e in quel momento si sentì incredibilmente esposto.
«Qualcosa di interessante, non saprei, nulla di specifico» Nicholas alzò le spalle, prima di fare un veloce sorriso appena accennato. «È solo per fare conversazione.» Il ragazzo si guardò intorno, mentre aspettava che Cameron dicesse qualcosa. Ma Cameron non aveva idea di cosa dire, la sua vita era stata così monotona prima dell’attacco: allenamenti con suo padre, lezioni con sua madre, lunghe passeggiate sulla spiaggia, intere ore passate in giardino a scrivere i suoi pensieri sul taccuino. No, non gli avrebbe parlato del taccuino, era troppo personale e lo conosceva appena.
«Da chi hai preso il colore degli occhi?» chiese invece di rispondere, sperava di riuscire a cambiare argomento e a distogliere l’attenzione da sé.
Era l’unica cosa che gli era venuta in mente. Gli occhi viola erano particolari, una vera rarità e quelli di Nicholas sembravano risplendere come l’ametista, nonostante in quel momento il buio ne soffocasse il colore.
Il ragazzo concentrò la sua attenzione su Cameron, lo sguardo curioso per un secondo. Forse si era chiesto il perché di quella domanda. Poi rispose: «Credo che mia madre avesse gli occhi molto chiari, poi penso sia per via della magia.»
«Sono particolari e un po’ bizzarri.»
«Tu dici sempre quello che pensi, vero?» per un momento gli sembrò un’accusa, ma l’espressione di Nicholas era calma e curiosa.
«Perché non dovrei farlo?» ribatté. «Nessuno dice mai quello che pensa e finisce sempre allo stesso modo: si creano malintesi.»
Lo pensava davvero. Se le persone avessero imparato ad essere più sincere le une con le altre, sarebbe stato tutto più semplice.
Nicholas ridacchiò sommessamente e quasi nello stesso istante il fuoco scoppiettò, mentre sottili scintille salivano verso l’alto perdendosi nel nero del cielo. «Quanta verità. Sei saggio per avere solo sedici anni» lo prese in giro.
«Ho solo due anni in meno di te» si mise sulla difensiva, lanciandogli un’occhiata scocciata.
«A volte però è meglio non dire certe cose» gli disse poi. «I ragazzini come te possono risultare insolenti» sorrise alzando solo un lato della bocca. Cameron distolse lo sguardo, sapeva che lo stava facendo per dargli fastidio, non gli piaceva essere deriso in quel modo.
«Ti prendo solo in giro, ragazzino.»
«Mi chiamo Cameron. Non Cam e tantomeno ragazzino» disse senza guardarlo. Lo innervosiva e lo lasciò trasparire nel tono di voce, neanche quel soprannome gli piaceva.
«Non ti chiamerò Cameron. Te l’ho già detto: è troppo lungo» borbottò Nicholas, non più con il tono irrisorio e abbassando leggermente la voce. «Pensa se stessi per essere colpito da qualcosa e dovessi chiamarti… se dovessi dire Cameron, quel qualcosa ti colpirebbe prima che io abbia finito di dirlo» lo fece apposta ad insistere sul suo nome, dicendolo lentamente. Cameron si costrinse a non sorridere. Nicholas sapeva essere irritante, ma non riusciva a non trovarlo divertente, soprattutto l’espressione che aveva mentre parlava.
«Potresti semplicemente urlare “attento”» gli rispose alzando lo sguardo su di lui. Nicholas stava sorridendo beffardo e sembrava trattenere una risata, poi cedette e si mise a ridere.
«Cam è comunque più corto. Devi fartene una ragione, ti chiamerò così» disse passandosi di nuovo una mano tra i capelli scuri.
Cameron scrollò la testa e decise di lasciar perdere l’argomento. Dopotutto, essere chiamato Cam non era così male.
4 notes · View notes
giancarlonicoli · 10 months
Text
10 lug 2023 13:33
"I NOSTRI PADRI E I NOSTRI NONNI RACCONTAVANO LUISITO SUAREZ COME SI PROVA A NARRARE LA PERFEZIONE" - MAURIZIO CROSETTI: "UNO DEI PIÙ FORTI CALCIATORI DI TUTTI I TEMPI. QUANDO HERRERA ANDÒ ALL’INTER, CHIESE AD ANGELO MORATTI DI ACQUISTARLO: 'ME LO COMPRI E VINCIAMO TUTTO'. ANDÒ ESATTAMENTE COSÌ" - "CON I PRIMI GUADAGNI VERI, LUISITO NON SI COMPRÒ UNA FUORISERIE O UN OROLOGIO TEMPESTATO DI DIAMANTI, MA…" - LA GAFFE DELL'ANSA E LA SUBLIME DEFINIZIONE DI GIANNI MURA: "LUISITO, MEZZO BALLERINO, MEZZO TORERO" -
Estratto dell'articolo di Maurizio Crosetti per “la Repubblica”
I nostri padri e i nostri nonni raccontavano Suarez (“Ah, Luisito Suarez…”) come si prova a narrare la perfezione, come se esistessero davvero le parole per dire chi furono Michelangelo e Mozart, George Best e Vittorio Gassman. Perché, signori, qui si dice addio a uno dei più forti calciatori di tutti i tempi, il numero 10 della Grande Inter di Herrera, il primo e unico Pallone d’Oro spagnolo, un regista che sapeva segnare, dribblare, lanciare corto ma soprattutto lungo: passaggi al volo di 50 metri sui piedi del compagno in corsa.
E che personaggio, che persona. Ironico, gentile, disponibilissimo con tutti. […] Luis Suarez Miramontes, classe 1935, più che altro classe immensa, era figlio di un macellaio galiziano di La Coruña, e quando passò al Barcellona qualcuno storse un po’ il naso di fronte al piccoletto, […]
Con i blaugrana, “El gallego dorado” vinse due campionati, una Coppa delle Fiere e il Pallone d’Oro nel 1960, prima volta per uno spagnolo. Allenatore, Helenio Herrera. Quando il Mago andò all’Inter, chiese al presidente Angelo Moratti di acquistargli il regista: «Ha il palleggio di Corso, il dribbling di Sivori e il tiro di Altafini, me lo compri e vinciamo tutto». Andò esattamente così, e con i 250 milioni di lire incassati, una cifra gigantesca per quei tempi, il Barcellona finì il terzo anello e costruì il tetto del nuovo Camp Nou: uno stadio finanziato da Suarez.
[…]Non per nulla, Alfredo Di Stefano aveva battezzato Luisito “el Arquitecto”. Suarez arrivò a Milano a 26 anni compiuti, portando nel gruppo quell’esperienza che agli altri mancava. Prima della finale di Coppa dei Campioni a Vienna contro il favoloso Real Madrid, 27 maggio 1964, la prima delle due vinte in nerazzurro, i compagni andarono da Luis per parlargli di quel Di Stefano appena visto da vicino […] e allora Suarez tagliò corto: «Siamo venuti qui per batterli, non per chiedergli l’autografo». Erano tempi inimmaginabili.
Con i primi guadagni veri, Luisito non si comprò una fuoriserie o un orologio tempestato di diamanti, ma le quote di un maglificio, perché allora il calcio sostituiva un lavoro per qualche anno soltanto, poi bisognava pensare al domani. E quando Luisito venne liquidato dall’Inter, nel 1970, perché il nuovo allenatore Heriberto Herrera, l’altro Herrera, sosteneva che lui e Corso non potessero giocare insieme […] il domani diventò la Sampdoria dove il galiziano continuò a divertirsi, già pensando che gli sarebbe piaciuto fare l’allenatore, pur sempre un modo diverso di essere architetti.
E lo farà anche in club importanti e gloriosi come la sua stessa Inter, il Cagliari, la Spal e il Como, e un giorno gli daranno la panchina della nazionale spagnola che Luis guidò a Italia 90, in un momento minore della scintillante storia. I risultati non vennero, ma alle conferenze stampa alle porte di Udine i cronisti si rivolgevano a Suarez con la deferenza dovuta a un nobile patriarca. Quanto lo hanno amato, i nostri papà e i nostri nonni, non necessariamente interisti.
Perché non si poteva non essere conquistati dall’apparente semplicità dei suoi gesti in purezza, quei passaggi da est a ovest, da ovest a est, valicando qualunque confine con la precisione di una carta millimetrata. E quanta malinconia, adesso, nel salutare per sempre un omino gentile, riascoltando a occhi socchiusi il suo passo asimmetrico in corridoio, piede, bastone, piede. Un inganno dei sensi. Il corpo forse zoppicava, ma il signor Luisito era ancora trasparente e leggero come un aquilone.
0 notes
nospiderpls · 2 years
Text
Ti odio
Tumblr media
<< Suzy! >> un urlo euforico la richiamò fin dall'altro capo del corridoio che la riportava nel dormitorio, talmente acuta che dovette voltarsi di scatto ancor prima di capire di chi fosse la fonte. Il trolley rosa scintillante della sua amica Gillian fece un rumore assordante di stridio di rotelle mentre iniziava la sua corsa verso di lei, interrompendosi poi bruscamente al suo fianco ancora prima che se ne accorgesse. << Ciao Gil, appena arrivata anche tu? >> disse, con tono educato. Erano appena tornate dalle vacanze del primo anno, ed era più pronta che mai ad affrontare il secondo ancora meglio del precedente. << Sì! Sono state delle vacanze spettacolari, sai che...>> la lasciò parlare senza darle particolare importanza, come sempre. Gil era la sua migliore amica lì dentro, e questo la diceva lunga sulle sue amicizie. Sempre se di plurale si poteva parlare. Non che le persone non fossero interessate a lei, in effetti. Ma sostanzialmente non le andava di far avvicinare nessuno, aveva sempre preferito restare da sola. << E tu Susy? Passate bene le vacanze? I tuoi genitori come stanno? >> si rese conto che stava parlando con lei solo quando sentì il suo nome. Posò la valigia sul letto, e la aprì. No, non le aveva passate bene, come sempre d'altronde. I suoi genitori erano morti molto prima che lei venisse ammessa ad Hogwarts, e l'estate l'aveva passata come tutte le altre, con sua zia in giro per il mondo sulle tracce del colpevole per la loro morte. Qualche potente setta magica aveva testato su di loro alcuni incantesimi, fornendo un mix di droghe e magia che non aveva risparmiato nessuno dei due. Li aveva trovati lei, a soli 10 anni, sul tappeto del salotto privi di vita. Il contenuto del sacchettino di droghe che avevano utilizzato era ancora sparpagliato ovunque sul parquet rosso, che quasi nascondeva le macchie di sangue che uscivano dagli occhi spalancati dei suoi. Da quel giorno, tutto le sarebbe scivolato addosso, come con una corazza impenetrabile che l'avrebbe per sempre distanziata da qualsiasi essere vivente su quella terra. Per questo nessuno sapeva di quella storia, nessuno sapeva neppure che era orfana, che aveva imparato a guadagnare per comprarsi qualsiasi cosa, e che non avrebbe mai permesso a nessuno di fermare la sua sete di vendetta. Voltò il viso verso la ragazza, tenendo in mano un vestito appena preso dalla valigia, e impostò il solito sorriso preparato ore davanti allo specchio: << Oh, sono state splendide anche le mie, grazie >>
<< Susan, raccogli i compiti per favore >> storse il naso nel sentire pronunciare il suo nome completo dal professore. Detestava a dir poco che la chiamassero col nome completo. I suoi la chiamavano con il nome completo solo quando erano arrabbiati con lei. E come se non bastasse, il giorno della loro morte, i poliziotti avevano chiamato ininterrottamente il suo nome per chiederle se stava bene. Lei si era limitata a fissare un punto nel vuoto con i suoi enormi occhioni verdi. Ma quel nome ripetuto insistentemente era diventato il suo incubo. Lasciò passare, come sempre. Raccolse i compiti, la maggior parte fortunatamente gliel'avevano lasciato sul banco, mentre ognuno andava per i fatti suoi a raccontare all'altro le esperienze dell'estate, vista la pausa tra una lezione e l'altra. Con una certa soddisfazione notò che il suo fino ad ora era il compito con più pagine. Non voleva che nessuno sapesse la sua storia, voleva solo calarsi tra gli altri in modo insospettabile. A patto di essere però perfetta rispetto a chiunque. E vincere le dava sempre una certa soddisfazione. Solo un gruppetto di ragazze era rimasto in fondo alla classe. Ascoltò senza darlo a vedere, raccogliendo i fogli dei compiti fatti per le vacanze. << Eddai, che cosa ti costa? Il mio non è così male, tu lo recupererai, io devo partire bene lo sai >> << Ma ci ho messo settimane, non voglio darti il mio...>> << Vuoi davvero metterti contro di me? >> << Io, veramente...>> Chiaramente una classica situazione di bullismo verso la ragazzina. << Pensavo fossimo amich...ehi! >> passandole accanto, aveva urtato la bulletta con la spalla facendole quasi perdere l'equilibrio. Non che volesse difendere la ragazzina, ma semplicemente la infastidiva che quella si sentisse superiore. Se lì c'era qualcuno di superiore, era ovviamente lei. Si voltò, mettendo su la sua migliore faccia da poker: << Oh scusa, non ti avevo proprio vista. Il tuo immenso ego ti aveva completamente nascosta, errore mio >> ah, com'era impagabile la sua espressione di rabbia. Viveva per quei momenti. << Stai cercando problemi, Travers? >> per poco non le scoppiò a ridere in faccia. Ma un sorriso le sfuggì: << Con te? L'unica cosa che mi impensierisce di te sono quei baffi orripilanti che ti spuntano, seriamente ti guardi mai allo specchio? >> << Ragazze! Cosa state combinando là in fondo? >> la voce autoritaria del professore. Essere la cocca di tutti i prof la cavava sempre dai guai. Gli sorrise affabile, con quel sorriso che li conquistava sempre: << La signorina Gongal non mi vuole dare il suo compito professore, come posso fare? >> sentì lo sguardo della ragazza incenerirla. Nello stesso istante in cui il professore la richiamava, costringendola a darle il compito. Quasi glielo sbattè addosso prima di andarsene in gran carriera borbottando, e con enorme indifferenza Suzy lo prese rimettendolo in pila con gli altri. Solo mezza facciata. Tsk, che pezzente. Si guardò attorno. Secondo i suoi conti non gliene mancava uno? Ah. Centro. Eccolo là.
Sospirò, cercando di non dar lavoro ai suoi nervi. Era il primo giorno di scuola e quello già dormiva. Neppure si era accorto che la lezione era finita, era rimasto solo lui. Si avvicinò al banco del ragazzo, tossicchiando per richiamare la sua attenzione. Niente, si mosse solo a malapena il ciuffo, ma per un filo d'aria che entrò dalla finestra. Chiaramente, doveva essere più delicata e carina. Prese il plico di fogli che stringeva tra le braccia e glielo sbattè in testa. << Cosa? Chi? Che stradiavolo succede?!? >> Alan si risvegliò di soprassalto tutto su un colpo, gli occhi erano un mix tra sgranato e addormentato mentre con le braccia cercava di difendersi da chissà quale nemico. << Il tuo compito >> disse, senza troppi preamboli porgendogli la mano in attesa del compito. Doveva davvero aver dormito profondamente, perchè le sembrava di sentire il suo cervello cercare di ragionare, fino a raggiungere l'unica risposta: << Che? >> Sbuffò, impaziente. La bibliotecaria aveva promesso di passarle sottobanco un libro di cristallogia oscura, non aveva tempo da perdere. << Dammi il tuo compito per le vacanze, lo devo consegnare al Professore >>. Lui osservò per un lungo istante il plico di fogli, poi sembrò risvegliarmi: l'espressione scanzonata con cui la guardò sembrò decisamente divertita dalla richiesta. << Scusami, ti sembra che ho la faccia di uno che ha fatto i compiti per le vacanze? >> Suzy sollevò un sopracciglio: << Hai avuto mesi di tempo...>> Lui rimase in silenzio, osservandola sollevando a sua volta il sopracciglio. Come se cercasse di capire il nesso tra le due cose. << Oh, per favore >> sbuffò Susy, e con un tonfo posò i fogli, gli rubò il quaderno e ne strappò un foglio. Prese la penna abbandonata e forse mai usata dal suo banco, e scrisse nome e cognome di Alan sul foglio. Lo mise in cima alla pila e se ne andò dal professore. Eppure le sembrò di sentire il ragazzo sghignazzare dietro di lei. << Sarai stata di nuovo la più brava Suzy >> << Stavolta ti appenderanno davvero una targa lo sai? >> Aveva passato la mattinata a fingersi modesta davanti a decine di frasi così. Ed ora? Ora stringeva in mano un compito con il risultato scritto in bella vista, una scritta che le sembrava più grande ogni volta che la guardava. Un secondo posto. Strinse ancora il pugno furiosa. << Susan! Non ho capito, cos'è che hai preso? >> Suzy alzò lo sguardo inferocita, trovandosi davanti lo sguardo scanzonato di Alan. Come diavolo aveva fatto quell'idiota a prendere il massimo dei voti? Dormiva e basta, era irritante! << Dov'è che hai copiato, sentiamo?! >> Lui la guardò con espressione ferita, nonostante sembrasse sinceramente divertito: << Mica ho copiato. Sai, il mio compito per le vacanze non piaciuto granchè al professore. Quindi pensa, mi è perfino toccato prendere un libro e leggerlo. E' venuto fuori che basta quello per superare tutti >> giocherellava con le cose del suo astuccio, studiandole come se fossero reperti affascinanti. Nel frattempo, continuò tutto impettito: << Non so, ti servono...ripetizioni? Posso aiutarti sai? Insomma, posso capire che per alcuni le cose siano troppo...difficili >> era troppo. Suzy chiuse il libro con un tonfo, si alzò dal banco e strappandogli di mano la penna che aveva preso, se ne andò in camera sua a studiare. La maggior parte dei suoi compagni erano il nulla. Nel senso che proprio non li considerava neppure, erano un nulla per lei e andava bene così. Persone senza alcun valore aggiunto. Stimava alcuni ragazzi e ragazze, perchè molto dotati negli incantesimi. E quindi di tanto in tanto li avvicinava per poter apprendere da loro il più possibile, visto che il suo obbiettivo era diventare la più potente delle streghe per poter vendicare i suoi genitori. Tutto il resto lo mal sopportava, gente che voleva solo farsi gli affari suoi e una insulsa vita sociale, che non meritava neppure di starci ad Hogwarts. Fino a quel momento Alan faceva parte di quella categoria per lei, non era un nulla ma era tollerato.
Ma da quel giorno, era diventato il suo più acerrimo nemico. E dunque, per contro, fonte di incredibile divertimento per il ragazzo, che sembrava invece divertirsi un mondo da quella reazione.
Tumblr media
1 note · View note
Text
“Perché hai chiesto di vedermi, Fratello?” Thor entrò nella stanza senza bussare, portando con se quell’atroce afrore di sudore e formaggio. Loki storse il naso per il fastidio, agitò una mano per scacciare via quell’aroma poco gradevole per le narici, ma restò in silenzio e si morse la lingua per non proferire parole velenose. Restò voltato di spalle, accanto alla vetrata, con la mano destra poggiata sul grembo e lo sguardo perso nel vuoto. La veste asgardiana, pelle e metallo assai pesanti, lasciò il posto ad una vestaglia più leggera e confortevole. Non indossava altro che i calzoni in pelle e quella vestaglia, ma non era mai stato così quieto e… sereno. “Da quanto tempo abbiamo smesso di essere fratelli?” Thor abbassò lo sguardo, da tempo celato da un paio di occhiali da sole in plastica, ed iniziò a tormentarsi le mani. “Se mi hai convocato per litigare ancora, Loki, non intendo…” “Era una domanda retorica!” Loki si voltò di scatto e notò la confusione sul viso del fratellastro. Ovviamente, non aveva la più pallida idea di cosa significasse la parola ‘retorica’ “Significa…” agitò la mano sinistra “... una domanda che non necessita di una reale risposta. E sfila quegli occhiali, per le Norne!” Allungò la mano per strappargli via gli occhiali e Thor balzò all’indietro, spaventato, vulnerabile. Aveva gli occhi rossi, spiritati, colmi di lacrime. Tutta la spavalderia, la baldanza, la sua perenne aria superiore, sembrarono essere svanite nel nulla. “Abbiamo smesso di essere fratelli proprio per questo. Perché la nostra famiglia non ha mai pensato fosse necessario discutere o parlare! Abbiamo sempre evitato ogni argomento di discussione, preferendo saltarvi alla gola perché Odino pensava fosse più giusto risolvere ogni cosa con una battaglia!” “Odino era un buon Re… e un buon padre.” “No, non lo era e lo sai anche tu!” lanciò via gli occhiali di Thor ed avanzò contro di lui “Quale padre mentirebbe così tanto ai suoi figli? Quale padre preferirebbe la prigionia per i suoi figli, piuttosto che un discorso o una litigata? Quale padre… preferirebbe la guerra alla famiglia? Perché, Thor, nostro padre era un buon sovrano solo per merito di nostra madre! Ed è per lei, per il suo ricordo, che noi due dovremmo -- Parlare.” Thor trasalì ed indietreggiò, spaventato e confuso da quell’atteggiamento così insolito. Loki aveva ragione, ah se lo sapeva, ma troppi anni erano trascorsi con la convizione di essere un figlio degenere per Odino. E Loki… Loki sembrò quasi il Loki che aveva condiviso la spada ed i giochi d’infanzia con lui, il suo fratellino minore, ee tanto bastò per renderlo ancora più spaventato. “Dov’è il pugnale?” domandò, preparandosi mentalmente ad essere pugnalato in qualche parte del corpo “Non cadrò vittima di uno dei tuoi scherzi, fratello! Non sono così--” “Sono in stato di gravidanza.” Thor strabuzzò gli occhi incredulo: conosceva la magia di Loki, la sua condizione di mutaforma e la sua natura sessuale non perenne - egli poteva essere ciò che voleva - ma non avrebbe mai aimmaginato di udire tali parole provenire dalle sue labbra. “In stato di…” “Significa che sono in attese di un erede” Spiegò “Che io e Tony siamo in attesa di un erede, Thor,. e che ben presto avrai un nipote! E che, domani mattina, io e Tony ci uniremo in matrimonio.” “Nostra madre sarebbe così felice di questa notizia.” pigolò Thor, con le lacrime pronte a riversarsi a fiumi sulle guance paffute ed arrossate “Penserebbe a tutti i preparativi ed Asgard sarebbe in festa per mesi e mesi” “Mi manca…” affermò Loki, abbassando lo sguardo per non mostrare le prime lacrime che già rigavano le sue guance “... mi manca terribilmente.” Thor azzerò ogni distanza ed afferrò il fratello minore tra le braccia. Lo avvolse in un abbraccio, con cautela poiché ora aveva compreso di dover essere quantomeno delicato nelle sue condizioni, e tirò su con il naso. “Manca anche a me.” Erano di nuovo fratelli. Dopo così tanto tempo, dopo tanto dolore e lacrime, violenza e morte, erano tornati ad essere fratelli come un tempo.
1 note · View note