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#letteratura egiziana
riflussi · 7 months
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"La leggenda di Atiya" - S. Bakr
Libro davvero carino e veloce, finito durante la terapia di cortisone (e vi assicuro: leggere in ospedale/casa della salute/quel che è non è così semplice come vogliono farvi credere).
All'inizio ero scettica. È un libro che mi è capitato per caso tra le mani diversi anni fa, pagato la modica cifra di un euro, svenduto per colpa probabilmente della sua copertina un po' triste (è davvero bruttina) e del nome da noi sconosciuto di Bakr.
Inutile dire che vorrei facessero un corso universitario per analizzare i racconti della giornalista. I racconti non sono solo ben scritti, tanto che sentivo quel bisogno di leggere ogni pagina con avidità come non mi capitava da tanto (e badate bene, non è così semplice che una raccolta di racconti faccia questo effetto), ma il bisogno di continuare a leggere di scontra con la necessità di fare ricerche per andare più a fondo alla situazione descritta. Si sente dal suo stile che è una giornalista (non perché si "veda" dalla narrazione, quanto più dalla sua abilità di incuriosire i lettori. E se traspare in lingua tradotta non oso immaginare in originale quanto sia meraviglioso il suo stile; sicuramente la traduttrice ha fatto un lavoro ottimo). Volevo anche portare alla luce un aspetto di questo libro, che mi sta particolarmente a cuore. Recentemente mi sono dedicata alla decostruzione dell'aspetto religioso e spirituale della mia (dell'occidente?) educazione. Questo percorso è nato anche grazie a questo libro, che si apre con il suo racconto più lungo: un'inchiesta fittizia sulla tomba di Atiya (da cui il titolo), da molti ritenuta una santa, ma il cui sepolcro, forse, nasconde qualche segreto inconfessabile. Il racconto, sebbene non credo fosse l'intento dell'autrice, mi ha fatto porre diverse domande in merito a cosa credo sia vero o falso, reale o meno. Soprattutto, mi sono domandata: chi sono io per dire a queste persone di non credere ai propri occhi e al proprio istinto. Se capitasse a me? Come reagirei? E da qui una serie di lunghe riflessioni che continuano anche oggi in merito alla religiosità, che però non starò a descrivere qui. Vorrei passasse solo questo messaggio: il libro è di una potenza inaudita, nonostante le poche pagine. Porta a riflettere sugli aspetti più disparati della vita e a volersi informare a livello storico di ogni avvenimento.
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gregor-samsung · 2 years
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“ – Non vedo in cosa questo matrimonio sconvolgerebbe la nostra vita, disse Serag. – Come fai a non capire! Questa donna può rovinarmi. Una donna vuole sempre vestiti, gioielli, e chissà cos’altro ancora! Un giorno può credersi posseduta dal demonio e voler organizzare una seduta d’esorcismo. Ci vedi a dormire in mezzo a tutte queste ballerine frenetiche? Serag si mise a ridere. L’idea di Rafik lo divertiva come uno scherzo formidabile. – Non ridere, disse Rafik, severo, è molto grave. Tuo padre può perdere sino al suo ultimo millesimo in quest’avventura. Forse saremo obbligati a lavorare! – Ebbene! disse Serag, non chiedo di meglio. – O idiota! Ti pentirai di queste parole. – Te l’assicuro, Rafik, voglio lavorare. – Vuoi lavorare! Mi domando come una tale idea abbia potuto germogliare in te. Sei probabilmente un mostro o un imbecille. In ogni caso, sicuramente non sei della famiglia. – Voglio lavorare, disse Serag con accento disperato. E anche andarmene da questa casa. – Sul mio onore! Sei un ingrato. Se non fossi mio fratello, ti avrei lasciato fare questa follia. Ma ho pietà di te. A proposito, a che punto sta la tua fabbrica? – La fabbrica sta sempre allo stesso punto, rispose Serag. Sono stato a vederla di nuovo stamattina. È come se nessuno volesse finire di costruirla. – Allora finiscila tu stesso, disse Rafik. Ecco un lavoro eccezionale. Di che ti lamenti? – Mi prendi in giro, maledetto! – Ascolta Serag, non ti prendo in giro. Cerco solo di allontanarti da una cattiva strada. Credimi, il lavoro non fa per te, né per nessuno di noi. – Forse, disse Serag. Ma non posso piú continuare a vivere cosí. – Sei giovane. Ho veramente pietà di te. Non sai ancora cosa sia una fabbrica. – E tu, lo sai? – Sí, disse Rafik. Quando studiavo per fare l’ingegnere, ci hanno fatto visitare delle fabbriche. Erano grandi edifici insalubri e tristi. Vi ho passato i momenti piú penosi della mia vita. Ho visto gli uomini che lavorano in quelle fabbriche; già non erano piú uomini. Tutti portavano l’infelicità impressa sul viso. Se ho abbandonato i miei studi, è unicamente per non essere a capo di una tale orda di moribondi. A sentire questa evocazione lugubre, Serag rabbrividí. Chiuse gli occhi; vedeva il suo romantico sogno di lavoro crollare, sprofondare nel dedalo di un dolore incommensurabile. Il lavoro dunque non poteva essere che dannazione e sofferenza. Serag taceva: era in preda a una sorda inquietudine. “
Albert Cossery, I fannulloni della valle fertile, traduzione e cura di Giuseppe A. Samonà, Einaudi (Collana Letture n° 69), 2016¹; pp. 59-61.
[1ª Edizione originale: Les Fainéants dans la vallée fertile (roman), Éditions Domat, Paris, 1948]
P.S.: Devo ringraziare per il piacere di questa lettura sorprendente @dorettaus, sempre attenta ed interessante nei suoi suggerimenti.
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D'Annunzio e il cinema in un recital al Cairo con Russinova
(ANSA) – IL CAIRO, 16 GIU – Gabriele D’Annunzio nel ruolo di primo grande scrittore italiano a credere nel cinema come un potente mezzo per creare visioni e generare emozioni in un pubblico vastissimo è stato presentato al Cairo in uno spettacolo riproposto, per la prima volta in Egitto, dall’Istituto italiano di cultura della capitale egiziana.    Il recital, a cavallo tra letteratura, musica e…
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scienza-magia · 2 years
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La magia nel mondo greco romano del periodo antico e tardo antico
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In questo articolo ci interesseremo della presenza della magia nel mondo greco e romano . Nell’ antica civiltà greca alcuni riti magici facevano parte integrante della religione ufficiale ( vedasi ad esempio i riti catarsici ). Tuttavia la Grecia classica considerava con diffidenza la magia praticata privatamente per fini personali. Sia per questa diffidenza sia anche in base a una certa conoscenza dei riti magici presenti nel vicino Oriente i Greci attribuivano alla magia un’origine straniera. Vi era un notevole salto di qualità tra i riti  magici della bassa magia tipici dell’antica Grecia che avevano come fine la guarigione da una malattia nonché il benessere in questo mondo e i riti iniziatici dei misteri. L’interesse andava cambiando natura e si dirigeva sempre più chiaramente alla dimensione ultra terrena. Infatti ad avere importanza non era più il “Hic et nunc “ ovvero la dimensione terrena. Sempre più esplicito infatti a partire dal V secolo appare l’interesse specifico nei confronti della salvaguardia della felicità eterna dalla quale venivano considerati esclusi in non iniziati al mistero. I principali misteri nell’antica Grecia erano i misteri eleusini. In tali misteri lo scopo finale di alcuni gesti non spiegati doveva essere una visione non trascrivibile in parole poiché assolutamente straordinaria . Si trattava probabilmente di una specie di intento comune a tutte queste pratiche di tipo magico-iniziatico . Tale scopo comune era la sostanziale volontà di sconfiggere il male la morte e il dolore in rituali di una magia finalizzata a realizzare la vittoria della vita e del bene. Siamo quindi presenti a un radicale cambiamento di prospettiva . Infatti si passava da una magia finalizzata alla dimensione terrena e alla realtà materiale ad una magia proiettata verso il dopo vita. Ma anche quest’ ultimo tipo di magia era una cosa che riguardava un numero ristretto di persone. Sarà così fino al II secolo a.C. Il principale autore al quale si collegano le fonti greche e romane era un autore egiziano ovvero Bolos de Mendes. La sua opera intitolata Cheiromecta  scritta sotto il nome del filosofo presocratico Democrito è la prima raccolta di argomento magico che conosciamo. Esisteva la credenza nel mondo greco che Democrito e Pitagora fossero venuti a conoscenza della saggezza segreta egiziana nel corso di un viaggio effettuato in Oriente. In seguito a tale viaggio si ipotizza che i due filosofi greci siano venuti a conoscenza di vari rituali magici . Le civiltà greco-romana non avevano collezioni di testi da utilizzare per fini magici ad eccezione dei cosiddetti “ papiri Magici Greci” dell’Egitto romano , della magia etrusca e dei testi legati ad un’antica tradizione di riti egiziani . Diverso discorso va fatto per i testi teurgici astrologici ed ermetici che formavano tradizioni separate sebbene correlate . Questa scarsità di testi differenzia le civiltà greca e romana da quelle del vicino Oriente e dall’Egitto dove collezioni di testi magici hanno svolto un ruolo importante in quelle civiltà soprattutto per riti apotropaici . C’erano inoltre numerose collezioni pseudo epigrafiche di testi esametrici usati nei culti misterici e nelle divinazioni (poesia orfica, oracoli di Bakis e delle Sibille) . Da questi libri gli oracoli Caldei che contenevano l’essenza della teurgia potevano essere annoverati nella letteratura magica. L’interesse del mondo greco per la magia divenne particolarmente vivace all’interno della compenetrazione culturale tra civiltà classica e civiltà orientale che diedero origine all’ellenismo. In epoca ellenistica la magia acquistò un nuovo significato innescandosi su una concezione della “simpatia universale”. Molti sono gli scritti magici dell’età ellenistica spesso posti sotto l’autorità di antichi sapienti oppure considerati trascrizioni di speciali rivelazioni divine Tutta la vasta produzione che va sotto il nome di Ermete Trismegisto comprende oltre a trattati più spiccatamente filosofici e misti scritti o frammenti che riguardano l’astrologia l’alchimia e la magia. Il fondamento comune di tutte queste opere è rappresentato da una concezione unitaria dell’universo pervaso di forze spirituali e dominato da leggi nascoste di “ simpatie “ universali. L’uomo si trova al centro di questo universo e può scoprire le simpatie nascoste entrando in rapporto con quelle forze universali. Inoltre l’uomo può riuscire a dominare tali forze mettendole al proprio servizio. Questa visione dell’universo e dell’uomo trova fondamento della magia ermetica e di quella neoplatonica  di Proclo e Giambico . Giambico concepì  la magia come una scienza suprema  mettendola in rapporto con una complessa teoria degli esseri intermediari tra l’uomo e il divino. A Roma la magia visse un periodo di forte diffusione nel I secolo a.C. nel momento in cui si rafforzò la credenza nel fatalismo astrale . La magia già dall’epoca arcaica serviva all’uomo romano per difendersi dalle forze naturali considerate malvagie oppure per agire proprio sulle forze naturali che voleva conciliarsi. In genere  si trattava di una magia bassa finalizzata ad ottenere vantaggi nella dimensione quotidiana come avveniva nella cultura ellenistica . L’esistenza di libri magici è dimostrata attraverso l’intera epoca imperiale romana e in molti luoghi soprattutto nell’oriente greco. Mentre Paolo predicava ad Efeso un numero non trascurabile di persone che praticavano la magia decisero di bruciare un considerevole numero di libri magici come è attestato negli Atti degli Apostoli . Nel 400 d.C. il compilatore delle “ Sentenze di Paolo “ affermava che nessuno doveva possedere libri di magia per non rischiare che venissero bruciati. I proprietari di tali libri potevano subire condanne molto severe come la confisca dei loro beni , l’esilio o persino potevano essere uccisi . Le autorità bruciavano i libri di magia considerati devianti e pericolosi . Tale pratica aveva una lunga storia nella cultura romana nell’epoca storica che precedette gli imperatori cristiani il primo dei quali fu Costantino. Ma  molto tempo prima dell’epoca cristiana a Roma vennero bruciati molti libri di magia . Per fare un esempio Augusto bruciò moltissimi libri oracolati che rivaleggiarono coi libri Sibillini come attesta Svetonio nella sua opera “Vita di Augusto” . Inoltre già nel 181 a.C. il Senato aveva ordinato l’incendio dei Pitagorici, libri di Numa trovati in una tomba come attesta Tito Livio . Non ci sono prove dell’esistenza a Roma di libri magici prima dell’era imperiale . Detto ciò riteniamo chiuso il discorso sulla magia a Roma e in Grecia nel periodo antico e tardo antico. Prof. Giovanni Pellegrino           Read the full article
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beppebort · 2 years
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L’Albero della Vita e il Legno della Croce: un esempio di letteratura tardoantica
Storia Romana e Bizantina
La caratteristica principale della Letteratura Latina Tardoantica è quella di avviare un nuovo ciclo e, al tempo stesso, di non dimenticare quanto è stato prodotto in precedenza dagli autori pagani. Se da una parte la produzione letteraria si arricchisce di opere cristiane, dall’altra gli stessi autori cristiani, educati nelle tradizionali scuole di retorica, non possono che avvalersi delle tecniche dei pagani e, soprattutto, rifarsi alle celebri opere dell’Antichità. Si tratta, insomma, di un’epoca di passaggio (in genere individuata tra il III e il VII secolo) che sfocerà, poi, nella produzione letteraria medievale.
Davvero numerosi sono i prodotti partoriti dall’epoca tardoantica (in particolar modo dal IV, con la libertà di culto conquistata dai cristiani, la relativa produzione letteraria conosce un incremento significativo) che possono essere studiati e confrontati con i classici repubblicani e altoimperiali. In questo articolo si parlerà di un componimento sconosciuto ai più e davvero poco studiato (basti pensare che non esiste una traduzione italiana del testo): si tratta del De Ligno Crucis, noto anche come De Cruce, De Pascha e De ligno vitae. Esso consta di solo 69 esametri ma si distingue per i contenuti e per la tecnica di composizione.
Prima di esaminare questi elementi, tuttavia, va sottolineato che la tradizione manoscritta attribuisce il poemetto al vescovo Cipriano (210-258) ma gli studiosi sono concordi nel posticipare la nascita del componimento. Diverse sono le teorie su datazione e paternità dell’opera ma, ad oggi, gli studiosi non sono riusciti a convergere su un unico nome. Per quanto riguarda il contenuto, protagonista del componimento è un albero che sorge al centro della Terra, raggiunge con la sua chioma il cielo e diffonde i suoi rami in tutto il mondo. È l’Albero della Vita, un simbolo che, sicuramente, non nasce con il cristianesimo ma venne riadattato dagli autori cristiani accostandolo all’immagine della Croce. Non si dimentichi che in epoca medievale la simbologia dell’Albero della Vita e del Legno della Croce sarà davvero molto diffusa: tra le prime testimonianze si ricordi Vexilla regis di Venanzio Fortunato (530-607).
Si diceva che l’immagine dell’Albero della Vita precede (e di tanto) il cristianesimo: esso compare nell’Epopea di Gilgamesh, nella mitologia egiziana, nella mitologia indiana (con il cosiddetto Soma, nome dell’elisir che dona immortalità, nonché della pianta stessa che lo produce), nella tradizione buddista (con l’Aşvaṭṭha, l’Albero cosmico presso cui Siddharta sacrificherà se stesso per diventare Buddha), nella mitologia cinese (con il Quián Mù,il legno eretto che sostiene il mondo). Nella mitologia greco-romana, poi, si ricordino le querce sacre di Dodona, il dio albero Velchanos a Creta (identificabile con il romano Vulcano), l’identificazione di Zeus con la quercia, di Marte con il fico, di Poseidone con il frassino, di Atena con l’ulivo, nonché Dioniso spesso citato come dendrites (protettore degli alberi) o èndendros (colui che è nell’albero), il giardino delle Esperidi con l’albero dai pomi d’oro che donano immortalità. Infine vanno citate la tradizione germanica con l’albero cosmico Yggdrasill e, ovviamente, quella giudeo-cristiana con l’albero della conoscenza e l’albero del bene e del male nel giardino dell’Eden.
L’albero Yggdrasill della tradizione germanica
Adamo ed Eva: l’albero della vita e l’albero della morte. Messale di Salisburgo 1489
Tornando al De Ligno Crucis, la simbologia fa da padrona in questo poemetto: i frutti di quest’albero che sono sul Golgota vengono colti non solo da “quelli del luogo” ma anche da stranieri (novità del messaggio di Cristo non più solo rivolto al popolo giudaico), l’albero nasce da una sola trave e ha due rami gemelli (simbolo della Croce), in tre giorni si eleva verso il cielo (la Resurrezione), in quaranta lo tocca (Ascensione), mentre dodici rami si diffondono per tutta la terra portando nutrimento (missione evangelizzatrice dei dodici apostoli) e, nel cinquantesimo giorno, lo spirito celeste riversa nei frutti il “gusto” (Pentecoste). Ai piedi dell’albero scorre una fonte nella quale i popoli di tutto il mondo possono purificarsi dai loro peccati e la seconda parte del componimento verte proprio sul tema della purificazione, del perdono dei peccati e della rinascita spirituale.
Da quanto detto, si potrebbe concludere che il componimento sia di tipo non solo celebrativo ma anche catechetico: con una semplice simbologia numerica, vengono riassunti i princìpi base del cristianesimo.
Dal punto di vista stilistico si possono fare diverse riflessioni:
I primi due versi («Est locus ex omni medius quem cernimus orbe, / Golgotha Iudaei patrio cognomine dicunt») rimandano a Eneide 1, 530 («Est locus, Hesperiam Grai cognomine dicunt») e al De Ave Phoenice di Lattanzio, vv. 1-2 («Est locus in primo oriente remotus / Qua patet aeterni maxima porta poli»).
Il v. 8 («Et mox in geminos extendit brachia ramos») rimanda a Eneide 6, 282-283 («In medio ramos annosaque bracchia pandit / ulmus opaca ingens […]»)
Ai vv. 15-17 si legge: «Sed bis vicenis formatus et ille diebus Crevit in immensum caelumque cacumine summo Contigit et tandem sanctum caput abdidit alte». Similmente in Eneide 4, 176-177: « […] mox sese attolit in auras / Ingrediturque solo et caput inter nubila condit». E in Georgiche 3, 422: «[…] iamque fuga timidum caput abdidit alte».
In questa sede basteranno tali esempi ma le corrispondenze tra il De Ligno Crucis e il componimento di Lattanzio, nonché le opere virgiliane, sono molte di più. È stata data, comunque, un’idea di quella che si può definire un’aemulatio tardoantica.
In poche parole il De Ligno Crucis è da considerarsi come emblema delle tendenze letterarie dell’epoca tardoantica: esso ripropone la ripresa e il superamento della tradizione letteraria pagana e, al tempo stesso, delle tradizioni mitologiche molto più antiche. Per la prima volta, infatti, l’Albero della Vita viene paragonato a un oggetto (la Croce) e a una persona (Gesù Cristo). E se questo superamento e rimodellamento fosse nato da un’esigenza che non fosse solo catechetica? Se lo sconosciuto autore avesse preso spunto da una realtà ben precisa dell’epoca? Se l’esigenza non fosse stata soltanto quella di diffondere il messaggio evangelico e il dogma cristiano, ma quella di combattere il paganesimo ancora diffuso?
Nella biografia di San Martino realizzata da Sulpicio Severo si legge di come il santo voglia abbattere un pino venerato dai pagani e di come questi ultimi lo sfidino a resistere all’albero che cadrà su di lui. Martino, allora, con un semplice cenno della mano riesce a far cadere l’albero dalla parte opposta dimostrando che il suo è il vero Dio da adorare. Oltre la leggenda, si può leggere di personaggi del calibro di Columba e San Benedetto che, nel VI secolo, fondarono monasteri laddove sorgevano boschi sacri ai pagani (rispettivamente in Irlanda e a Monte Cassino) con l’intento di purificare quelle aree e consacrarle al vero Dio. Si potrebbe, quindi, immaginare che il De Ligno Crucis nasca in un contesto simile? Non a caso nel 452 ad Arles, nel 567 a Tours e nel 568 a Nantes si tennero dei concili ecclesiastici con l’intento di legiferare contro il culto pagano di alberi, fontane e pietre. Che il nostro componimento volesse insegnare a un paganesimo ancora diffuso e influente sul popolo cristiano che l’unico albero da adorare fosse quello della Croce?
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Affresco dalla chiesa di Santa Maria del Casale di Brindisi
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mardukmorningstar · 3 years
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Marduk Morningstar è il primogenito dei tre figli di Lucifero ed è nato dalla sua unione con Lilith, è anche l'erede di Lucifero al trono.
Breve biografia
Marduk Morningstar nasce durante il periodo in fu creata Eva e Lilith cacciata dal paradiso terrestre,ed è nato proprio in cui esisteva il ponte di Adamo quando non esistevano ancora le nazioni umane.
Essendo erede di Lucifero, Marduk nel corso dei secoli visitò tante nazioni umane ovviamente nella sua forma umana senza che nessuno lo notasse ma nell'epoca babilonese presso la civiltà e impero babilonese,Marduk fu considerato come un dio, questo perché i religiosi erano spesso in contatto con lui e da lui nasce la prima storia messianica ma questo perché lo sapeva da molto tempo che un suo fratellastro sarebbe nato come penultimo Anticristo per il cristianesimo e finale Anticristo nell'Islam nell'Antico Egitto.
Nel 2020 passando secoli,anni e millenni Marduk iniziò a formare una setta segreta chiamata "Esercito nero del male", questa setta è satanica allo scopo di aiutare Yehudah Yehoshua che sarebbe il reale e finale Anticristo di tutti tempi, un re israelita e romano di sangue che ingannerà tantissime persone perché si spaccierà di essere il vero Messia e allo stesso tempo anche il Mahdi sunnita (Muhammad Bin Abdullah), questa setta è satanica è situata attualmente ad Al-Arish, una città egiziana dove succedono tante cose atroci: da rituali satanici,sacrifici satanici, magie sataniche fino all'adorazione di Satana come un Dio.
Significato del nome Marduk:
Marduk (dall'accadico; in cuneiforme: 𒀭𒀫𒌓 dANAR.UTU; in sumero: anar utu.k, lett. "vitello del sole" o "vitello solare"; in greco antico: Nαρδοχαῖος, Nardochaῖos;in ebraico: מְרֹדַךְ‎?, Nərōdaḵ o Nerōḏaḵ), più diffusamente conosciuto nella letteratura religiosa babilonese come Bēl (lett. "Signore") è, nella religione babilonese, il re degli dèi e divinità protettrice dell'antica città di Babilonia.
Poteri:
Marduk è un demone della violenza,del tradimento, delle menzogne,della guerra,della tentazione e della discordia.
Personalità:
Gli Ariete con ascendente Bilancia sono socievoli, amabili, decisamente affascinanti, ma anche impulsivi ed aggressivi. Caratterizzati da conflitti interiori (che li portano a dire sì anche quando vorrebbero dire no), gli Ariete con ascendente Bilancia hanno capacità innate, un’intelligenza intuitiva e modi di fare diplomatici, ma accattivanti. Dal sorriso contagioso, amano piacere e curano molto il loro aspetto.
In amore, questi arietini, sono molto corteggiati: d’altra parte hanno uno spiccato lato romantico, sanno amare in maniera profonda e sono sempre alla ricerca di storie intense
Informazioni:
Data di nascita: 8 aprile (secolo sconosciuto) a.C.
Luogo di nascita: Ponte di Adamo
Luogo di residenza: al-Arish, Egitto
Ruolo: Principe ereditario dei demoni
Specie: Demone
Segno zodiacale: Ariete ascendente Bilancia
Età: più di mille anni ma fisicamente sembra avere 27 anni
Parenti:
Lucifero Morningstar (padre)
Lilith (madre)
Saeed Bin Saeed (fratellastro da parte del padre)
Seth Morningstar (fratellastro da parte del padre)
Prestavolto:
Muhammad Subhan Awan
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carmenvicinanza · 2 years
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Deena Mohamed
https://www.unadonnalgiorno.it/deena-mohamed/
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Deena Mohamed, illustratrice, graphic novelist e designer egiziana.
È la creatrice di Qahera super eroina femminista con l’hijab che lotta contro patriarcato, misoginia e islamofobia.
La sua coraggiosa presa di posizione, ha attirato l’attenzione dei grandi media internazionali tanto che nel 2017, il Washington Post, l’ha presentata come una delle cinque donne che stanno migliorando il mondo per la Giornata Internazionale della Donna.
Deena Mohamed è nata nel 1995, ha iniziato a disegnare da bambina, sui cartoni delle sigarette del nonno.
Aveva diciotto anni quando ha pubblicato per la prima volta la webcomic Qahera, in cui la protagonista, combatte contro i problemi sociali affrontati dalle donne nel mondo arabo. Nelle sue strisce critica le molestie sessuali, la polizia corrotta, i religiosi retrogradi e anche il femminismo occidentale.
La serie, iniziata quasi per scherzo e postata per la prima volta su Tumblr nel 2013, presto è diventata un fenomeno virale con milioni di visualizzazioni.
Deena Mohamed che era un’adolescente durante la Primavera del 2011, partecipa, ragiona e fa della sua professione un modo di parlare di argomenti che ancora necessitano di forti riflessioni e prese di posizione. La politica di genere non può essere separata dal suo lavoro creativo, e questa giovane artista porta avanti le sue idee e le trasforma in opera divulgativa.
La sua prima graphic novel è stata Shubeik Lubeik, trilogia bilingue (inglese e arabo) che ha vinto il Gran Premio del Cairo Comix Festival (2017.)
La protagonista, Aziza, fa un viaggio in un immaginario Egitto moderno, dove i desideri sono venduti per le strade chiusi in bottiglia, maggiore è il loro prezzo più alta sarà la probabilità di realizzarlo.
Originariamente pubblicata in arabo, è stata, successivamente, tradotta in inglese e altre lingue.
Il suo lavoro è stato presentato in mostre in tutto il mondo.
Nel 2018 ha illustrato una campagna per Harassmap, app sul consenso contro stalking e violenza di genere.
Ha successivamente prestato la sua opera per The Center for Applied Human Rights, dell’Università di New York.
Nel 2019 ha ricevuto una borsa di studio McDowell per la letteratura.
Ha anche collaborato con enti e prestigiose società come Google, UN Women, Mada Masr e altre.
È stata artista residente nel mese di luglio 2021 all’Arab American Museum.
Usa di preferenza la lingua inglese per denunciare l’islamofobia e l’arabo per parlare di femminismo.
Predilige progetti che coinvolgono lo sviluppo della comunità, la consapevolezza e la sensibilizzazione  e anche libri per bambini.
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Letture Mondiali
Nonostante l’assenza dell’Italia, qualcuno non ha perso nemmeno un minuto del mondiale in corso perché ama il calcio chiunque lo giochi; qualcuno è invece troppo tifoso degli azzurri per sopportare una competizione senza la nostra nazionale; e poi c’è chi i mondiali li ha sempre mal sopportati e vive con sollievo l'assenza di caroselli per le strade in caso di vittoria. A qualunque categoria apparteniate, se ci seguite siete lettori. E per voi, ispirandoci ai 32 paesi partecipanti a Russia 2018, abbiamo selezionato altrettanti titoli e autori presenti nel nostro catalogo. Una selezione senza intenti competitivi, pensata solo per fornirvi alcuni suggerimenti di lettura per l’estate, magari fuori dai vostri percorsi abituali.
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Partiamo allora per il nostro giro del mondo, rigorosamente dalla A all'Uruguay! 
Non è così usuale leggere autori dell'Arabia Saudita. Rose d’Arabia  è una raccolta di autrici saudite pubblicata nel 2001. Più recente è Il collare della colomba di Raga Alim, prima donna vincitrice dell’Arabic Booker Prize: riprendendo il titolo di un trattato arabo sull'amore e gli amanti, una storia di misteriosi intrighi all'ombra della Mecca. Grande narratore del calcio è Osvaldo Soriano (Pensare con i piedi è altra raccolta da non perdere!). Vogliamo però ricordare un altro autore che l'Argentina ci ha regalato e che è scomparso nel 2017: Ricardo Piglia. Sceneggiatore, autore di thriller (Solo per Ida Brown è il suo romanzo estremo) ma anche acuto osservatore del mondo della lettura ne L'ultimo lettore.
L'Australia è stata spesso raccontata attraverso storie di immigrazioni provenienti dal dall'Europa. Ne L'età d'oro di Joan London è una famiglia ungherese sopravvissuta all'olocausto ad arrivare nel continente australe e a dover affrontare le grandi problematiche legate all'integrazione: emarginazione, desiderio di accettazione, ricerca e costruzione della propria identità.
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Qualcosa di misterioso conduce la protagonista di Si scioglie a tornare a Bovenmeer, piccola cittadina del Belgio dove ha trascorso la sua adolescenza insieme agli unici due altri nati lì nel 1988; nel bel romanzo di esordio di Lize Spit, però, nemmeno quell'antica amicizia ha la forza di essere un rifugio.
L'attrice Fernanda Torres ha debuttato nella scrittura con Fine, romanzo incentrato su cinque uomini che hanno vissuto gli anni d'oro del Brasile, anni in cui Copacabana era terra di eccessi, feste e musica. Ma cosa sono diventati quei cinque uomini con il passare degli anni?
Gabriel Garcia Marquez fece una scommessa con Alvaro Mutis: scrivere un racconto gotico ambientato ai Caraibi era l'unica cosa impossibile. Mutis lo scrisse e La casa di Araucaìma fu pubblicato in Colombia più di 40 anni fa insieme ad altri racconti, tra cui Diario di Lucumberre, scritto durante un periodo di prigionia dell'autore.
Uno degli episodi più dolorosi della storia moderna della Corea del Sud è al centro di Atti umani di Han Kang. La strage di Gwangju risale al 1980 ma ancora oggi molto di quel tragico atto di violenza politica resta sconosciuto. Attraverso questo romanzo polifonico Kang vuole dare voce a chi, da allora, non ha più potuto averla.
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Se tra le vostre mete di vacanza c'è la Croazia e amate i gialli Silenzio elettorale di Drago Hedl può essere la lettura giusta. Importante giornalista investigativo, l'autore sembra omaggiare la Millennium Trilogy di Stieg Larsson accompagnandoci nella società croata con una scrittura che tradisce la sua felice formazione giornalistica.
Siri Ranva Hjelm Jacobsen ne L'isola evoca invece la struggente nostalgia di una ragazza la cui famiglia si è trasferita decenni prima dalle Far Oer alla Danimarca e il suo desiderio di ritrovare quella che sente come la “casa” delle proprie origini pur non avendola mai vista né conosciuta.
1988: per la prima volta un egiziano, Mahfuz, vince il Nobel. Da allora l'attenzione sulla letteratura egiziana è molto cresciuta. Ma la vita degli scrittori in Egitto non è sempre facile: Ahmed Naji nel 2016 è finito in carcere per alcuni mesi perché un capitolo del suo Vita: istruzioni per l'uso è stato ritenuto osceno.
Vive in Francia ma è nato in Russia: Andreï Makine è il nome perfetto per questa piccola rassegna ispirata al mondiale. Cuore della sua narrazione è sempre stata l'epoca sovietica, dallo stalinismo alla perestrojka; ne L'arcipelago della nuova vita il suo racconto si spinge fino all’estremo confine orientale della Russia dove è ambientata questa avvincente caccia all’uomo.
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Cosa avrà pensato Thomas Mann prima di pubblicare il suo j'accuse contro il regime nazista? Britta Böhler ricostruisce tre giorni della vita del grande autore tedesco nel suo La decisione. Un appuntamento cruciale per il grande intellettuale del secolo scorso con la storia della Germania e del mondo.
Nella palestra di una scuola in Giappone il giovane Tamura ascolta un accordatore di pianoforti. L'illuminazione è tale che la ricerca di quel suono così perfetto da evocare un mondo intero diventerà il centro dell'esistenza del protagonista di Un bosco di pecore e acciaio di Natsu Miyashita.
Il Man Booker Prize è uno dei più importanti premi letterari dell'Inghilterra (e del mondo). Per celebrare i suoi 50 anni è stato ideato il Golden Man Booker Prize selezionando un titolo per ciascun decennio: In uno stato libero di Naipaul; Una spirale di cenere, della Lively; Il paziente inglese di Ondaatje; Wolf Hall di Hilary Mantel e Lincoln nel bardo, George Saunders. Avete già un preferito?
Brioschi, editore di Milano, ha recentemente tradotto alcuni romanzi di autrici provenienti dall'Iran; segnaliamo volentieri questa interessante finestra sulla letteratura (in particolare femminile) persiana contemporanea presente con cinque romanzi nel nostro catalogo.
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Tutti sembrano desiderare di visitare l’Islanda. In Hotel Silence di Auður Ava Ólafsdóttir il protagonista è invece un islandese che programma di lasciare l'isola per farla finita con una vita in cui non trova più senso. Ma il romanzo, a dispetto del punto di partenza, è un inno alla capacità della vita di offrirci occasioni di riconciliazione e rigenerazione.
Nell'anno in cui gli americani arrivarono sulla luna in Marocco c'è un bambino che fa un viaggio più o meno simile: dalle montagne del Medio Atlante ad una scuola di Casablanca, da una famiglia legata a tradizioni secolari ad una moderna scuola à la française. È il protagonista di Un anno con i francesi di Fouad Laroui.
Scrittore e sceneggiatore di culto (21 grammi, Babel, Amores perros sono film di cui è autore), Guillermo Arriaga ci porta con Il selvaggio in un Messico violento e feroce. È qui che negli anni '60 le vicende dei giovani Juan Carlos e Amaruq si intrecciano, tra spirali di morte e le poche ma preziose possibilità di riscatto che la vita offre loro.
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Diventata icona mondiale della lotta contro il sessismo e il razzismo Chimamanda Ngozi Adichie in Quella cosa intorno al collo raccoglie 12 racconti di donne tra Nigeria e gli Stati Uniti. Donne che, nell'inseguire i propri sogni, i propri desideri o semplicemente una vita migliore, devono venire a patti con una realtà che spesso chiede in cambio la rinuncia alla propria dignità.
Rarissimi gli autori di Panama che vengono tradotti in Italia e in Europa. Ma anche in questo caso il nostro catalogo permette di conoscere un romanzo molto celebre in patria: Il giardino di Fuyang di Rosa Maria Britton. Se pensate che un solo titolo sia poco per farsi un'idea della letteratura panamense sappiate che il sottotitolo recita: “o come si scrive a Panama”.
Pensare al Perù e pensare a Mario Vargas Llosa è quasi automatico. Quando nel 1965 venne pubblicato Niente miracoli ad Ottobre di Oswaldo Reynoso fu proprio Vargas Llosa uno dei pochi difensori del romanzo, dai più ritenuto scandaloso e offensivo. In Italia è stato pubblicato solo nel 2015. Turberà ancora i lettori?
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A proposito di narrazioni perturbanti, nel 2017 è stato ripubblicato Cosmo. Ultimo romanzo di Witold Gormbowicz, è un’opera che accoglie in maniera mirabile tutti temi centrali di questo autore che, nato in Polonia, si trovò a vivere in sudamerica e a morire in Francia: ossessioni, una società grottesca, il rapporto tra giovinezza e vecchiaia, tra noia e creazione.
Dal Portogallo arriva un originale romanzo di fantascienza ambientato in un futuro distopico: ne L'ultimo europeo Miguel Real ha immaginato un'Europa frammentata e imbarbarita del 2284 dove recuperare l'uso dell'inchiostro e della scrittura manuale diventa azione politica di importanza capitale.
I fragili e contraddittori equilibri dei confini della Russia sono il tema de La montagna in festa di Alisa Ganieva: cosa succederebbe se, da un giorno all’altro, si innalzasse un muro tra le regioni del Caucaso e il resto della federazione? Prova ad immaginarne le conseguenze l'autrice che in una di quelle regioni, il Daghestan, è nata.
Ad aprile ha compiuto 90 anni Cheikh Hamidou Kane autore, ormai quasi sessanta anni fa, de L'ambigua avventura. Tra tanti libri recenti proponiamo questo libro a rappresentare il Senegal perché affronta il tema della migrazione africana al tempo della decolonizzazione ed è a tutt'oggi considerato un testo fondamentale della letteratura africana.
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Il muro del Nord di Dragan Velikic ha per protagonista una bibliotecaria che durante la Grande guerra fugge dalla Serbia verso la Vienna, incontrando sul suo cammino niente meno che James Joyce! Storia di esilio che sembra ricalcare tanti esili della storia.
Patria ha consacrato Fernando Aramburu come una delle voci letterarie più interessanti della Spagna di oggi. In attesa che vengano tradotti altri suoi lavori una curiosità: Vita di un pidocchio chiamato Mattia è un romanzo per ragazzi in cui l'autore trasforma il pidocchio protagonista in una perfetta metafora della convivenza civile.
Celebratissimo per i suoi gialli, Henning Mankell nel 2001 scrisse Le ragazze invisibili, uscito in Italia solo dopo la morte dell'autore. Protagonista è un poeta ormai demotivato che ritrova le ragioni più profonde della sua arte nell'incontro con alcune donne emigrate in Svezia senza più passato e con un futuro incerto.
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Per la serie: forse non tutti sanno che: ha sede in Svizzera l'editore di una serie di romanzi gialli ambientati a Milano che molti nostri lettori dimostrano di apprezzare. Le indagini del commissario Maugeri di Fulvio Capezzuoli sono infatti realizzate dalle Edizioni Todaro di Lugano.
Qualche giorno fa, proprio ispirandosi al mondiale, il sito arablit.org ha immaginato una rappresentativa composta da 23 autrici ed autori viventi della Tunisia. Solo tre sono pubblicati in Italia e tutti sono presenti nel nostro catalogo: Shams Nadir, Albert Memmi e Habib Selmi. "Convocato" anche Jonas Hassen Khemiri, svedese di origini tunisine.
In Uruguay è nato uno dei maggiori narratori del calcio: Eduardo Galeano. Ma anche Mario Benedetti, figlio di immigrati italiani scomparso nel 2009. In Italia nel 2017 è uscito per la prima volta Il diritto dell'allegria: una raccolta di scritti, pensieri e riflessioni che ci ricordano l'importanza dell'allegria come balsamo per l'anima. 
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latinabiz · 4 years
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Il santo del 2 maggio: sant'Atanasio Vescovo e Dottore della Chiesa
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Sant'Atanasio Due secoli sono trascorsi dai primi semi del cristianesimo, con persecuzioni e periodi di tranquillità assoluta. ma adesso il pericolo maggiore per la Chiesa di cristo è il proliferare delle eresie dottrinali. Ma Dio, che sceglie gli uomini al posto giusto e al momenti giusto, ha visto in quest'uomo l'ardente difensore della su dottrina. Atanasio nacque  nel 296 da nobili e cristiani genitori. Giovane ancora, ebbe sotto i suoi occhi l'austero e grande spettacolo delle penitenze dei monaci d'Egitto; strinse pure relazione coll'eremita S. Antonio, alla cui scuola apprese l'esercizio della virtù e una magnanima fortezza d'animo, che sarà il suo baluardo contro le molteplici persecuzioni dei suoi nemici ariani.  Intanto S. Alessandro, patriarca di Alessandria, ammirato della santità e della scienza del giovane Atanasio, lo volle con sè; e dopo non molto tempo, vedendo in lui i mirabili progressi nell'interpretazione delle Sacre Scritture, lo ordinò sacerdote. Fu allora che il grande Dottore, conscio della sua grave responsabilità, si diede con maggior slancio agli studi sacri, divenendo, in breve, celebre per i suoi scritti. Intanto l'uragano che minacciava la Chiesa era scoppiato. Ario, uomo turbolento, negava pubblicamente l'unione con sostanziale di Gesù Cristo col Padre; per lui il mistero adorabile di un Dio fatto uomo e morto per l'umanità. Nulla di più deleterio poteva esservi di queste dottrine, che ben presto si estesero tra fedeli. A scongiurare un così grave pericolo si convocò il Concilio di Nicea. Atanasio vi andò col vescovo Alessandro. Egli aveva pregato e studiato a lungo, e quando, giunto a Nicea, per invito del suo vescovo salì la cattedra, cominciò con tale ardore la confutazione dell' eresia, e fu così limpido e così efficace il suo discorso, che appena ebbe finito, tutti i vescovi che presiedevano al concilio, in numero di 300, si alzarono e unanimi firmarono la condanna di Ario, proclamando Gesù Cristo consustanziale al Padre cioè figlio di Dio, perciò Dio anche Lui.  La vittoria era completa, ma questa per il grande Atanasio fu l'inizio di lotte continue, che non avrebbero avuto fine che con la sua morte.  Le persecuzioni di ogni sorta non smossero il grande Dottore dall'opera intrapresa, che divenne anzi più attiva quando alla morte di S. Alessandro dovette, per volontà di tutto il popolo, occuparne la sede episcopale.  Da quel giorno tutte le forze del nuovo Vescovo furono dirette contro l'Arianesimo. Cinque volte fu esiliato dalla sua sede, ma nulla mai potè vincerlo; troppo forte era il suo amore a Gesù Cristo per il quale avrebbe dato volentieri tutto il suo sangue.Oltre che con la parola, difese la fede cattolica anche con gli scritti che sono numerosi. Morì pieno di meriti nel 373 a 76 anni di età, 46 dei quali trascorsi nella sede episcopale.  Ne parla di lui il papa emerito Benedetto XVI in una catechesi in udienza generale nel 2007 (Editrice Vaticana): BENEDETTO XVI UDIENZA GENERALE Aula Paolo VI Mercoledì, 20 giugno 2007 Sant’Atanasio di Alessandria Cari fratelli e sorelle, continuando la nostra rivisitazione dei grandi Maestri della Chiesa antica, vogliamo rivolgere oggi la nostra attenzione a sant’Atanasio di Alessandria. Questo autentico protagonista della tradizione cristiana, già pochi anni dopo la morte, venne celebrato come «la colonna della Chiesa» dal grande teologo e Vescovo di Costantinopoli Gregorio Nazianzeno (Discorsi 21,26), e sempre è stato considerato come un modello di ortodossia, tanto in Oriente quanto in Occidente. Non a caso, dunque, Gian Lorenzo Bernini ne collocò la statua tra quelle dei quattro santi Dottori della Chiesa orientale e occidentale – insieme ad Ambrogio, Giovanni Crisostomo e Agostino –, che nella meravigliosa abside della Basilica vaticana circondano la Cattedra di san Pietro. Atanasio è stato senza dubbio uno dei Padri della Chiesa antica più importanti e venerati. Ma soprattutto questo grande Santo è l’appassionato teologo dell’incarnazione del Logos, il Verbo di Dio, che – come dice il prologo del quarto Vangelo – «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Proprio per questo motivo Atanasio fu anche il più importante e tenace avversario dell’eresia ariana, che allora minacciava la fede in Cristo, riducendolo ad una creatura «media» tra Dio e l’uomo, secondo una tendenza ricorrente nella storia, e che vediamo in atto in diversi modi anche oggi. Nato probabilmente ad Alessandria, in Egitto, verso l’anno 300, Atanasio ricevette una buona educazione prima di divenire diacono e segretario del Vescovo della metropoli egiziana, Alessandro. Stretto collaboratore del suo Vescovo, il giovane ecclesiastico prese parte con lui al Concilio di Nicea, il primo a carattere ecumenico, convocato dall’imperatore Costantino nel maggio del 325 per assicurare l’unità della Chiesa. I Padri niceni poterono così affrontare varie questioni, e principalmente il grave problema originato qualche anno prima dalla predicazione del presbitero alessandrino Ario. Questi, con la sua teoria, minacciava l’autentica fede in Cristo, dichiarando che il Logos non era vero Dio, ma un Dio creato, un essere «medio» tra Dio e l’uomo, e così il vero Dio rimaneva sempre inaccessibile a noi. I Vescovi riuniti a Nicea risposero mettendo a punto e fissando il «Simbolo della fede» che, completato più tardi dal primo Concilio di Costantinopoli, è rimasto nella tradizione delle diverse confessioni cristiane e nella Liturgia come il Credo niceno-costantinopolitano. In questo testo fondamentale – che esprime la fede della Chiesa indivisa, e che recitiamo anche oggi, ogni domenica, nella Celebrazione eucaristica – figura il termine greco homooúsios, in latino consubstantialis: esso vuole indicare che il Figlio, il Logos, è «della stessa sostanza» del Padre, è Dio da Dio, è la sua sostanza, e così viene messa in luce la piena divinità del Figlio, che era negata dagli ariani. Morto il Vescovo Alessandro, Atanasio divenne, nel 328, suo successore come Vescovo di Alessandria, e subito si dimostrò deciso a respingere ogni compromesso nei confronti delle teorie ariane condannate dal Concilio niceno. La sua intransigenza, tenace e a volte molto dura, anche se necessaria, contro quanti si erano opposti alla sua elezione episcopale e soprattutto contro gli avversari del Simbolo niceno, gli attirò l’implacabile ostilità degli ariani e dei filoariani. Nonostante l’inequivocabile esito del Concilio, che aveva con chiarezza affermato che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, poco dopo queste idee sbagliate tornarono a prevalere – in questa situazione persino Ario fu riabilitato –, e vennero sostenute per motivi politici dallo stesso imperatore Costantino e poi da suo figlio Costanzo II. Questi, peraltro, che non si interessava tanto della verità teologica quanto dell’unità dell’Impero e dei suoi problemi politici, voleva politicizzare la fede, rendendola più accessibile – secondo il suo parere – a tutti i sudditi nell’Impero. La crisi ariana, che si credeva risolta a Nicea, continuò così per decenni, con vicende difficili e divisioni dolorose nella Chiesa. E per ben cinque volte – durante un trentennio, tra il 336 e il 366 – Atanasio fu costretto ad abbandonare la sua città, passando diciassette anni in esilio e soffrendo per la fede. Ma durante le sue forzate assenze da Alessandria, il Vescovo ebbe modo di sostenere e diffondere in Occidente, prima a Treviri e poi a Roma, la fede nicena e anche gli ideali del monachesimo, abbracciati in Egitto dal grande eremita Antonio con una scelta di vita alla quale Atanasio fu sempre vicino. Sant’Antonio, con la sua forza spirituale, era la persona più importante nel sostenere la fede di sant’Atanasio. Reinsediato definitivamente nella sua sede, il Vescovo di Alessandria poté dedicarsi alla pacificazione religiosa e alla riorganizzazione delle comunità cristiane. Morì il 2 maggio del 373, giorno in cui celebriamo la sua memoria liturgica. L’opera dottrinale più famosa del santo Vescovo alessandrino è il trattato su L’incarnazione del Verbo, il Logos divino che si è fatto carne divenendo come noi per la nostra salvezza. Dice in quest’opera Atanasio, con un’affermazione divenuta giustamente celebre, che il Verbo di Dio «si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio; egli si è reso visibile nel corpo perché noi avessimo un’idea del Padre invisibile, ed egli stesso ha sopportato la violenza degli uomini perché noi ereditassimo l’incorruttibilità» (54,3). Con la sua risurrezione, infatti, il Signore ha fatto sparire la morte come se fosse «paglia nel fuoco» (8,4). L’idea fondamentale di tutta la lotta teologica di sant’Atanasio era proprio quella che Dio è accessibile. Non è un Dio secondario, è il Dio vero, e tramite la nostra comunione con Cristo noi possiamo unirci realmente a Dio. Egli è divenuto realmente «Dio con noi». Tra le altre opere di questo grande Padre della Chiesa – che in gran parte rimangono legate alle vicende della crisi ariana – ricordiamo poi le quattro lettere che egli indirizzò all’amico Serapione, Vescovo di Thmuis, sulla divinità dello Spirito Santo, che viene affermata con nettezza, e una trentina di lettere «festali», indirizzate all’inizio di ogni anno alle Chiese e ai monasteri dell’Egitto per indicare la data della festa di Pasqua, ma soprattutto per assicurare i legami tra i fedeli, rafforzandone la fede e preparandoli a tale grande solennità. Atanasio è, infine, anche autore di testi meditativi sui Salmi, poi molto diffusi, e soprattutto di un’opera che costituisce il best seller dell’antica letteratura cristiana: la Vita di Antonio, cioè la biografia di sant’Antonio abate, scritta poco dopo la morte di questo Santo, proprio mentre il Vescovo di Alessandria, esiliato, viveva con i monaci del deserto egiziano. Atanasio fu amico del grande eremita, al punto da ricevere una delle due pelli di pecora lasciate da Antonio come sua eredità, insieme al mantello che lo stesso Vescovo di Alessandria gli aveva donato. Divenuta presto popolarissima, tradotta quasi subito in latino per due volte e poi in diverse lingue orientali, la biografia esemplare di questa figura cara alla tradizione cristiana contribuì molto alla diffusione del monachesimo, in Oriente e in Occidente. Non a caso la lettura di questo testo, a Treviri, è al centro di un emozionante racconto della conversione di due funzionari imperiali, che Agostino colloca nelle Confessioni (VIII,6,15) come premessa della sua stessa conversione. Del resto, lo stesso Atanasio mostra di avere chiara coscienza dell’influsso che poteva avere sul popolo cristiano la figura esemplare di Antonio. Scrive infatti nella conclusione di quest’opera: «Che fosse dappertutto conosciuto, da tutti ammirato e desiderato, anche da quelli che non l’avevano visto, è un segno della sua virtù e della sua anima amica di Dio. Infatti non per gli scritti né per una sapienza profana né per qualche capacità è conosciuto Antonio, ma solo per la sua pietà verso Dio. E nessuno potrebbe negare che questo sia un dono di Dio. Come infatti si sarebbe sentito parlare in Spagna e in Gallia, a Roma e in Africa di quest’uomo, che viveva ritirato tra i monti, se non l’avesse fatto conoscere dappertutto Dio stesso, come egli fa con quanti gli appartengono, e come aveva annunciato ad Antonio fin dal principio? E anche se questi agiscono nel segreto e vogliono restare nascosti, il Signore li mostra a tutti come una lucerna, perché quanti sentono parlare di loro sappiano che è possibile seguire i comandamenti e prendano coraggio nel percorrere il cammino della virtù» (93,5-6). Sì, fratelli e sorelle! Abbiamo tanti motivi di gratitudine verso sant’Atanasio. La sua vita, come quella di Antonio e di innumerevoli altri Santi, ci mostra che «chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicini. Deus caritas est, 42). Read the full article
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pangeanews · 4 years
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T.E. Lawrence: il decalogo per sabotare le condizioni ostili e vincere le avversità
Dopo aver girato la Francia in cerca di castelli, certo, forse, che la regalità non ha tempo e che la ricerca del Graal è lecita, ovunque, sempre, T.E. Lawrence, è il 1909, vaga per la Siria ottomana, studiando le rocche crociate. Torna in UK con uno studio sui Castelli dei crociati (recentemente ripubblicato da Castelvecchi) e una predilezione quasi profetica per il Medio Oriente. In ogni caso, dal 1910 comincia a scavare a Karkemis, sull’Eufrate, poi è a Beirut, ad Aleppo, nel 1912 a Tarkan, in una necropoli egiziana. All’epoca tra archeologo e agente in terra straniera la distanza è minima, si scovano i reperti del passato vigilando sugli interessi di oggi: Lawrence conosce in Egitto Gertrude Bell, archeologa, grande esperta di mondi arabi e ottomani, autentica stratega della “rivolta araba”. Arruolato tra le fila della British Army con il compito di mappare il deserto del Negev, alle dipendenze dell’ufficio del Cairo, Lawrence, che credeva a Erodoto non meno che a Churchill, iniziò così la sua azione in Arabia. Nel 1916, dopo una serie di rapporti speciali, è proprio lui a essere incaricato di affiancare lo Sceriffo Hussein durante la rivolta. Il resto è storia, pardon, mito e letteratura: la guerriglia contro gli ottomani, la presa di Aqaba, nell’estate del 1917, le azioni di sabotaggio, la conquista di Dar’a, l’ingresso a Damasco, il 4 ottobre del 1918. Quando T.E. Lawrence non era ancora “Lawrence d’Arabia” – lo sarebbe diventato nel 1918 in seguito al servizio del giornalista e attore americano Lowell Thomas, che fiutò ‘la storia’ – né il grande, oceanico scrittore dei Sette pilastro della saggezza, il 20 agosto del 1917, su “The Arab Bulletin”, T.E. Lawrence scrisse alcuni “articoli”, o meglio, “regole” utili per operare in territorio straniero, tra gli arabi. Sono giorni e mesi importanti per Lawrence. In giugno compie alcune ricognizioni in incognito nel nord della Siria e nell’Hawran – per l’inglese la vittoria passa attraverso una meticolosa mappatura del luogo alieno. A fine mese, Aqaba, dopo un paio di battaglie, è presa: il 6 luglio Lawrence passa il Sinai e Suez per chiedere aiuto inglese nel consolidare la conquista. Tra settembre e ottobre compie alcune scorribande lungo la ferrovia dell’Hegiaz, dando alla guerra ‘partigiana’ un valore autentico. Gli arabi lo chiamano ‘Lawrence il demonio’. Al netto del momento ‘particolare’, in verità, Lawrence detta consigli generali per vincere un nemico ostile e per convincere amici sospettosi. Ad esempio: adottare i costumi degli alleati, studiare i loro modi e metodi, mai abbassare la guardia, far credere di soccombere mentre si reagisce, preferire la pazienza alla violenza, fare di un disagio una situazione di forza, mai abbattersi. Insomma, le regole per vincere le resistenze dei capi sono le stesse che possono servirci per avere ragione di ogni giorno.
***
Le note seguenti sono espresse in forma di regola per maggiore chiarezza. Sono, tuttavia, le mie personali conclusioni a cui sono giunto, gradualmente, operando nell’Hegiaz, ora messe su carta come cavalli da guerra per principianti negli eserciti arabi. Sono destinati a essere applicati tra i beduini; cittadini o siriani richiedono un trattamento completamente diverso. Ovviamente, non sono adatti alle necessità di qualsiasi persona né vanno applicati invariabilmente a seconda delle situazioni particolari. Mobilitare gli arabi dell’Hegiaz è un’arte, non una scienza, con diverse eccezioni e senza regole certe.
1. Nelle prime settimane, procedi con cautela. Un inizio errato è difficile da espiare, e gli arabi fondano i propri giudizi su aspetti esterni che ignoriamo. Quando hai conquistato la cerchia interna di una tribù, puoi fare ciò che vuoi di te stesso, con loro.
2. Apprendi tutto ciò che puoi sul tuo Sceriffo (Ashraf) e sui beduini. Conosci le famiglie, i clan, le tribù; gli amici e in nemici, i pozzi, le colline, le strade. Fai tutto ciò ascoltando, tramite una indagine indiretta. Non fare domande. Impara a parlare il loro dialetto arabo, non il tuo. Fino a quando non sei in grado di comprendere le loro allusioni, evita di implicarti in una conversazione. Sii rigido, all’inizio.
3. Tratta solo con il comandante dell’esercito, con il gruppo in cui presti servizio. Non dare ordini a nessuno, riserva istruzioni e consigli al comandante. Il tuo compito è consigliare. Fagli capire che questa è la tua concezione del dovere: eseguire i piani comuni, condivisi.
4. Conquista e mantieni la fiducia del tuo leader. Rafforza il suo prestigio a spese del tuo prima degli altri quando puoi. Non rifiutare i compiti che potrebbe proporti, ma assicurati che in prima istanza ti vengano affidati in privato. Approvali sempre, e dopo le lodi, modificali in modo insensibile, facendo sì che ogni suggerimento sembri provenire da lui, finché non sia allineato alle tue opinioni. Quando raggiungi questo punto, tienilo saldo, conferma le tue idee, spingile in avanti, con fermezza, ma segretamente, in modo che nessun altro (e mai troppo chiaramente) sia consapevole del tuo lavoro.
5. Rimani in contatto con il leader nel modo più costante e discreto possibile. Vivi con lui, affinché nell’ora dei pasti e nelle udienze tu sia nella sua tenda. Le visite formali per dare consigli non sono così buone quanto i discorsi occasionali, dove l’attenzione è meno vigile. Quando gli sceicchi stranieri fanno ingresso per giurare fedeltà e offrire servigi, esci dalla tenda. Se la nostra impressione resta quella di stranieri in confidenza dello Sceriffo, gli Arabi ci saranno ostili.
6. Evita rapporti stretti con i subordinati durante la spedizione. Il rapporto continuo con loro ti renderà impossibile non andare al di là delle istruzioni del capo, date su tuo consiglio: in questo modo, rivelerai la debolezza della sua posizione e distruggerai completamente la tua.
7. Tratta i sottoposti con leggerezza. In questo modo ti manterrai sopra il loro livello. Tratta il tuo capo con rispetto. Lui ricambierà i tuoi modi e sarete eguali. La precedenza è importante tra gli arabi, devi ottenerla.
8. La tua posizione ideale: presente ma invisibile. Non essere né troppo intimo né prevaricante o serio. Evita di essere identificato troppo a lungo con uno sceicco, anche se è il capo. Il tuo lavoro ti obbliga a essere al di sopra delle gelosie e perderai prestigio se ti leghi troppo strettamente a un clan e alle sue inevitabili faide. Vendette di sangue e rivalità locali costituiscono l’unico principio di unità tra gli Arabi.
9. Sviluppare la concezione degli Sceriffi come naturale aristocrazia tra gli Arabi. Le gelosie intertribali rendono impossibile a qualsiasi sceicco di raggiungere una posizione di comando, l’unica speranza di unione tra gli arabi nomadi è che l’ashraf sia universalmente riconosciuta come classe dirigente. Gli Sceriffi sono per metà cittadini, per metà nomadi, e hanno l’istinto al comando. Il mero merito e il denaro non sono sufficienti: la venerazione araba per il pedigree e per il Profeta dà speranza al successo dell’ashraf.
10. Gli stranieri e i cristiani non sono popolari in Arabia. Per quanto amichevole possa essere il tuo atteggiamento, ricorda che lavori su fondamenta di sabbia. Agita uno Sceriffo davanti a te e nascondi la tua mente, la tua persona. Se ci riesci, avrai centinaia di miglia di paese e migliaia di uomini ai tuoi ordini.
11. Aggrappati al tuo senso dell’umorismo. Ne avrai bisogno ogni giorno. Un’ironia asciutta è quella più utile, che raddoppierà la tua influenza sui capi. Il rimprovero, se avvolto in un sorriso, agisce più a lungo e in profondità di un discorso violento. Il potere della mimica e della parodia è prezioso, ma usalo con parsimonia perché la saggezza è più dignitosa dello humour. Non far ridere uno Sceriffo se non tra Sceriffi.
12. Non mettere mai le mani su un Arabo: ti degradi. Potresti pensare, in questo modo, di aumentare il rispetto esteriore verso di te, ma ciò che hai fatto edifica un muro tra te e il loro io interiore. È difficile tacere quando le cose vengono fatte male, ma meno perdi la pazienza, maggiore sarà il tuo vantaggio.
13. Sebbene siano difficili da guidare, i beduini non sono difficili da dirigere: se hai la pazienza di sopportarli. Meno evidenti sono le tue interferenze, maggiore sarà la tua influenza.
14. Non cercare di far troppo con le tue mani. Meglio un lavoro tollerabile compiuto dagli Arabi di uno tuo, pur perfetto. È la loro guerra, tu devi aiutarli non vincere per loro. In verità, nelle ambigue condizioni dell’Arabia il tuo lavoro pratico non risulta così buono come credi.
15. Se puoi, senza essere troppo generoso, prevedi dei regali. Un regalo azzeccato è spesso efficace per conquistare uno sceicco sospettoso. Non ricevere mai regali senza ricambiare, non lasciare che ti chiedano cose o servigi: l’avidità farà credere loro che sei soltanto una vacca da mungere.
16. Il travestimento non è consigliabile. Sei un ufficiale britannico e cristiano. Allo stesso tempo, indossare vestiti arabi quando si è con una tribù ti permetterà di acquistare la loro fiducia, di essere in intimità con loro. Tuttavia, non ti concederanno nulla di speciale se ti vesti come loro. Le violazioni delle norme imputate a uno straniero non ti sono condonate in abiti arabi. Sarai come un attore in un teatro straniero, recitando la parte per giorni, notti, mesi, senza tregua, verso una incerta posta in gioco. Il successo completo – quando gli arabi dimenticano la tua estraneità, parlano con naturalezza, considerandoti uno di loro – è forse ottenibile solo con il carattere.
17. Se indossi abiti arabi, indossa i migliori. Gli abiti sono importanti tra le tribù e devi indossare quelli appropriati, per apparire a tuo agio.
18. Se indossi abiti arabi, vai fino in fondo. Lascia amici e usanze inglesi, ripiega sulle abitudini arabe. Alla pari con loro, è possibile per l’europeo vincere l’arabo: siamo più ostinati nell’azione e ci mettiamo più cuore. Eppure: la fatica di vivere e pensare in una lingua straniera e compresa a metà, il cibo inatteso, i vestiti strani, la completa perdita della privacy e della quiete, l’impossibilità, per mesi e mesi, di allentare l’attenzione, producono sulle ordinarie difficoltà una tensione più forte.
19. Le discussioni religiose saranno frequenti. Con i beduini, l’Islam è un elemento onnipervasivo e c’è poco riguardo verso l’esterno. La religione è parte della natura, per loro, quanto il sonno o il cibo.
20. Se l’obbiettivo è buono (un bottino) i beduini attaccheranno come demoni, sono splendidi avventurieri, la loro mobilità è un vantaggio, e i cacciatori di gazzelle sono ottimi tiratori. Se c’è prospettiva di saccheggio, vincerai. Non sprecare i beduini – non sopportano le perdite – attaccando le trincee o difendendo una posizione, perché non possono stare fermi. Non giocare in sicurezza.
21. L’allusione è più efficace di una chiara esposizione logica: non amano le espressioni troppo concise. Le loro menti funzionano come le nostre, ma con premesse diverse. Non c’è nulla di irragionevole, incomprensibile, imperscrutabile nell’arabo.
22. Evita di parlare liberamente con le donne. È argomento complesso, come la religione: le loro norme sono così diverse dalle nostre che l’innocua azione di uno straniero può apparire loro sfrenata.
23. L’inizio e il termine del segreto per trattare con gli arabi è osservarli, incessantemente. Stai sempre in guardia, non dire mai una cosa inutile; osserva te stesso e i tuoi compagni tutto il tempo; ascolta ciò che accade, interpreta quello che succede sotto la superficie; leggi il loro carattere, scopri i loro gusti e le loro debolezze e tieni tutto per te. Il tuo successo sarà propiziato dalla quantità di sforzo mentale che dedicherai ad esso.
Thomas Edward Lawrence 
*In copertina: T.E. Lawrence nel 1935, fotografato nello Yorkshire da R.G. Sims; è febbraio, il grande avventuriero e scrittore sarebbe morto tre mesi dopo
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scaldasolebooks · 4 years
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gregor-samsung · 4 years
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Ogni bambino del nostro quartiere sogna di poter incontrare durante il sonno il "visitatore della notte". Non esiste alcun dubbio, è un personaggio vero, ma il suo regno fantastico si trova solo nei cuori innocenti. Nelle sere di festa e di Aid i nostri genitori ci dicono: "Lavati e va' a letto, leggi la Fatiha, esprimi un desiderio e mettiti a dormire. Forse avrai la fortuna di incontrare il visitatore della notte, che esaudirà i tuoi desideri..." Vari desideri si sono succeduti durante le diverse fasi della vita, suppliche passate direttamente dal cuore nelle mani del visitatore della notte... "O visitatore della notte, fa' chiudere la scuola e prenditi il nostro maestro." "O visitatore della notte, aprimi le porte del monastero e colmami di more." "O visitatore della notte, restaura le vecchie case del nostro quartiere." "O visitatore della notte, proteggici dalla povertà, dall'ignoranza e dalla morte." Un giorno, durante la mia infanzia, ho assistito a un grande corteo che attraversava il nostro quartiere. Al centro, in mezzo alle altre persone, vidi un uomo straordinario. Il quartiere era affollato di uomini, le donne in gran numero erano affacciate alle finestre, e le grida di gioia s'alternavano al suono dei flauti e dei tamburi. Il corteo passò davanti ai negozi, ai magazzini pubblici, al mulino, al forno, ai bagni, alla scuola elementare e a quella superiore, al sabil storico, al tunnel, alla zawiya, alle piazze, e anche alla taverna, alla fumeria e al cimitero. Alla vista di quell'uomo possente rimasi senza fiato, e il mio cuore si riempì di una gioia infinita. Ero fermamente convinto di una cosa e pensai: "Quell'uomo straordinario è il visitatore della notte, venuto espressamente per esaudire i miei desideri notturni." Urlai a più non posso con la mia voce sottile: "Viva il visitatore della notte! " Accadde ciò che non avrei mai immaginato: la gente si ammutolì, i visi si contrassero come se le persone avessero bevuto del succo di limone salato. L'imam della zawiya mi prese per l'orecchio e mi sussurrò: "Sei un bel mascalzone!" Il padrone dei magazzini pubblici ordinò a uno dei suoi guardiani: "Allontana quel maleducato..." Colmo di rabbia e di dolore, venni acciuffato e riportato a casa. Lì, profondamente afflitto, mi misi a sedere sul divano, con gli occhi intrisi di lacrime. A un certo punto, mio padre mi rimproverò serenamente: "Sciocco, ti sei dimenticato che il visitatore della notte si incontra solo nel sonno?!?"
Naghib Mahfuz, Il nostro quartiere, Feltrinelli (traduzione di Valentina Colombo, collana Universale Economica), 1991; pp. 86-87.
[1ᵃ edizione originale:حكايات حارتنا (Racconti del nostro quartiere), 1975 ]
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izumi89 · 5 years
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Formula magica antico egiziana per estrarre una spina di pesce: "O unico mio, o unico mio servitore, mio servitore! [...] I pani sono nella città, la roba da mangiare-pesci e uccelli- è nel campo con acqua. Sii estratta, o spina!" . Sia pronunciata questa formula sopra una pagnotta che viene mangiata da una persona che ha una spina di pesce nella gola. . "La mia vita è la via del mio sole. Sono elargiti cibi eccellenti nel campo con acqua. Ricordati, o spina!" . Sia pronunciata questa formula sopra una pagnotta data a un altro perché la inghiotte. Stare accanto all'uomo durante l'operazione. Dal libro "letteratura e poesia dell'antico Egitto" di Edda Bresciani. . . #egi#egipt #egyptian #anticoegitto #history #historyfood #storia #foodstory #fish #fishbone #spina #egittologia #egyptology #magic #formula #postoftheday #historymemes #historylovers https://www.instagram.com/p/BrIyXuknrc3/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=qp8el0m4svys
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scienza-magia · 4 years
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L'astronomia nell'antica Mesopotamia e nell'antico Egitto
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L’uomo si è sempre interrogato sul proprio futuro, dal momento che fa parte della sua natura di essere intelligente, desiderare di conoscere ciò che lo aspetta utilizzando anche l’astrologia. Per quanto riguarda l’astrologia dobbiamo dire che essa affonda le sue radici nella notte dei tempi . In questo articolo ci occuperemo della storia dell’astrologia nel periodo dell’antica Mesopotamia e dell’antico Egitto . Per quanto riguarda il periodo mesopotamico dobbiamo mettere in evidenza che la culla dell’astrologia fu proprio la Mesopotamia : la letteratura degli Assiro-Babilonesi riportata alla luce dagli scavi degli archeologi ha permesso di stabilire che la nascita dell’astrologia avvenne nella pianura compresa tra il Tigri e l’Eufrate . Nella biblioteca del Assurbanipal vennero ritrovati degli scritti di carattere astrologico appartenenti ad una sola grande opera astrologica che dovrebbe essere stata scritta prima del V° secolo a. C. Le Tavole ritrovate nella biblioteca di Assurbanipal contengono osservazioni sulla Luna e sul Sole , presagi per i giorni favorevoli e sfavorevoli , predizioni basate sui venti e sulle condizioni metereologiche e osservazioni riguardanti i Pianeti Marte , Venere Giove e Saturno . I Babilonesi consideravano le stelle e i Pianeti, dimore celesti degli Dei , proprio come i templi ne erano la dimora terrestre . Le predizioni degli astrologi Babilonesi avevano per oggetto le vicende della nazione e quelle del Re , mentre non si è trovata nessuna traccia di predizioni riguardanti il destino degli uomini comuni sebbene esistano buone ragioni per credere che anche queste venissero effettuate dagli astrologi babilonesi . Le predizioni riguardavano anche le divinità locali che avevano il potere di influenzare in senso positivo o negativo le vicende della nazione: degli astrologi cercavano di conoscere lo stato d’animo delle divinità dal momento che se esse si adiravano, si sarebbero verificati avvenimenti catastrofici per la nazione e per il Re. Come presso tutti i popoli , anche Babilonia è oggetto di particolare attenzioni, la Luna , che era considerata dagli astrologi il più importante punto di riferimento per conoscere il futuro e la volontà nonché, lo stato d’animo delle divinità . Per gli astrologi babilonesi il Sole seguiva in ordine di importanza la Luna cosicché essi usavano a scopi divinatori tanto il suo moto apparente quanto le variazioni per il suo punto ortivo nel corso dell’anno . Una delle caratteristiche più importanti del pensiero astrologico babilonese era il principio della rappresentanza in forza del quale in determinate contingenze, un corpo celeste poteva per quanto riguarda la formulazione delle profezie, sostituire un altro . Non conosciamo l’epoca precisa nella quale gli astrologi babilonesi raggrupparono i pianeti individuandone sette più il Sole e la Luna . Molta attenzione dedicavano gli astrologi babilonesi all’ osservazione del pianeta Venere ,come pure rivestiva grande importanza nell’astrologia babilonese il pianeta Marte . Gli astrologi Babilonesi mettevano in rapporto con i pianeti e gli altri corpi celesti le meteore i venti e le tempeste . Inoltre essi erano interessati a prevedere anche la direzione geografica dalla quale provenivano i pericoli o gli eventi positivi . Per tale ragione nacque a Babilonia la geografia astrologica alla quale fa riferimento anche la Bibbia . Già nel periodo paleobabilonese il mondo terrestre era diviso in 4 zone corrispondenti alle 4 regioni celesti. L’astrologia Babilonese è comprensibile unicamente, se si tiene presente che essa era un’emanazione della religione astrale di questo popolo mesopotamico . L’antichissima triade divina della religione babilonese ( Anu Dio del Cielo , Enlil Dio della Terra e Ea Dio degli abissi marini ) era posta in relazione con le “ strade “ che solcavano la volta celeste . Il Dio babilonese della Luna e quello del Sole erano direttamente al servizio dell’astrologia e le qualità positive e negative del Sole e della Luna avevano grande importanza nelle previsioni astrologiche dei babilonesi . Un chiaro indizio dell’importanza dei corpi celesti-divinità astrali è rilevabile nella poesia e nell’arte babilonese ,diverse divinità astrali sono riprodotte su pietre di confine che raffigurano le divinità astrali e le stelle insieme ai loro emblemi . Molto importanti per dimostrare i legami tra astrologia e religione astrale babilonese sono le cosiddette “ preghiere della levata di mano” alcune delle quali sono rivolte a divinità astrali ,altre espressamente ai corpi celesti. Riguardo le fonti dell’astrologia babilonese sappiamo con certezza che gli antichi astrologi , creatori del pensiero astrologico di questo popolo mesopotamico sono per noi ignoti, mentre conosciamo i nomi di alcuni astrologi tardo-babilonesi e tutta una serie di cronisti astrologici della corte babilonese . Come affermano i testi in nostro possesso gli astrologi babilonesi compivano le loro osservazioni nelle specole cioè altre piramidi a gradini che diedero indubbiamente origine al racconto biblico della Torre di Babele . In ogni caso gli autori delle fonti astrologiche babilonesi erano uomini appartenenti all’alta casta sacerdotale ed erano indicati quasi sempre col titolo di “ scrittori di Tavole” . Le scritte in carattere cuniformi in nostro possesso c’è li presentano come uomini con i loro pregi e i propri difetti : uomini che sperano e desiderano, temono e pregano se si contraddicono e sono in conflitto tra loro . Spesso essi sono descritti nelle tavolette come uomini ansiosi di sfuggire alla vendetta del loro Re avendo emesso delle profezie che avevano scatenato l’ira del sovrano . A volte essi alfine di evitare l’ira del Re davano interpretazioni di comodo dei segni dai quali dipendevano le loro predizioni , oppure si rifugiavano in una esegesi poco comprensibile dei testi astrologici redatti dai primi astrologi babilonesi . Per concludere il discorso sull’astrologia babilonese vogliamo mettere in evidenza che tutta la loro conoscenza astrologica era imbevuta di forte religiosità tanto che astrologia e religione erano intimamente ed indissolubilmente legate presso quel popolo . Possiamo anche dire che gli astrologi babilonesi hanno preparato il terreno alla scienza più nobile di tutti i tempi ovvero l’astronomia . Anche se l’astrologia nacque nella Mesopotamia venne perfezionata dagli Egiziani e dai Greci . I fenomeni celesti erano considerati dai popoli della Mesopotamia un linguaggio simbolico che gli dei utilizzavano per comunicare agli uomini la loro volontà e la conoscenza degli eventi futuri . Il cielo era considerato nella sua disposizione ordinata una vera e propria scrittura celeste .Tuttavia la lettura di questa scrittura celeste non raggiunse la sua perfezione a Babilonia ma nell’antico Egitto e nel periodo greco-romano. Gli studi effettuati dagli astrologi egiziani furono di grandissima importanza tanto che l’astrologia che viene oggi studiata e praticata dagli astrologi è in gran parte derivata dalle conoscenze degli astrologi egiziani . Gli egizi avevano diviso il corpo umano in 12 zone e attribuivano a ciascuna di esse un segno astrologico governatore . Per fare un esempio la testa veniva posta sotto l’influsso dell’Ariete il collo sotto quello del Toro e le spalle sotto quello dei Gemelli. Gli egizi determinarono anche i punti angolari più importanti dell’ oroscopo e impararono a utilizzarli per effettuare predizioni di ogni tipo . Gli astrologi egiziani godevano di grande prestigio presso il Faraone che li consultava molto spesso . Il pensiero astrologico egiziano attribuiva ai vari corpi celesti determinate caratteristiche ed influenze sulle vicende degli uomini per esempio Mercurio veniva considerato focoso e asciutto e possedeva tutte le virtù derivanti dalla sua funzione di tramite degli influssi degli altri astri, mentre Venere governava l’amore la volontà e il godimento sessuale. A sua volta Marte classificato come astro dalla natura collerica veniva associato agli eventi bellici e ai conflitti e alle liti tra gli individui nonché ai tradimenti e all’ingratitudine. A sua volta Giove governava la nascita dei figli e i rapporti all’interno della famiglia mentre Saturno presiedeva alla saggezza e a tutti quegli eventi e comportamenti che erano legati all’età senile . Gli astrologi egiziani determinarono anche l’attribuzione dei domini , cioè i segni nei quali gli astri hanno la loro dimora ed elaboravano previsioni anche di tipo politico che riguardavano le vicende del popolo egiziano e di altri popoli con i quali gli egiziani intrattenevano rapporti. Dal momento che la sopravvivenza dell’Egitto dipendeva dalle piene del fiume Nilo molte previsioni degli astrologi egiziani avevano per oggetto il comportamento di tale fiume . Essi stabilirono che le piene del Nilo coincidevano con determinati fenomeni celesti. Molto importante nell’astrologia egiziana erano anche le previsioni riguardanti la vita e il comportamento del Faraone e dei suoi ministri più importanti come pure rivestivano importanza anche le previsioni stagionali di ogni tipo. Riteniamo di aver concluso il nostro discorso riguardante l’astrologia babilonese e quella egiziana . Prof. Giovanni Pellegrino Prof. Ermelinda Calabri Read the full article
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colospaola · 6 years
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Forse non tutti sanno che a villa Il Grillo di Coquio-Trevisago, sul lago di Varese, visse per gran parte della sua vita Fausta Cialente, donna coraggiosa e scrittrice controcorrente, che amava l’Egitto e che nel 1976 vinse il premio Strega con Le quattro ragazze Wieselberger.
Fausta Cialente nacque il 29 novembre 1898 a Cagliari, dove suo padre Alfredo, abruzzese, ufficiale di carriera dell’esercito, si era trasferito con la sua famiglia da Treviglio.
Sua madre era Elsa Wieselberger, triestina, che per il matrimonio aveva rinunciato a una carriera di soprano, avviata con il sostegno del padre, noto musicista e membro autorevole dell’élite cittadina.
Fausta visse l’infanzia e l’adolescenza in un ambiente profondamente segnato dal carattere tirannico del padre e dai trasferimenti presso i distretti militari dove quest’ultimo prestava servizio, Osoppo, Cuorgnè, Jesi, Senigallia, Ancona, Padova, Bologna, Milano, Roma, Teramo, Firenze, Genova.
Ben presto la giovane rivelò un profondo amore per la letteratura, dapprima appassionandosi ai racconti d’avventura di Salgari, Verne, Kipling, Dickens e Vamba, poi attraverso le letture dei romanzi di Pitigrilli, Zola, Maupassant, D’Annunzio, e quelle dei drammi di Shakespeare.
Gli unici periodi sereni nell’infanzia di Fausta furono quelli a Trieste, nella villa del nonno materno Gustavo, nella quiete della campagna costiera di Via dell’Istria e affacciata sull’ampio orizzonte dell’Adriatico.
Della famiglia materna, di origini viennesi e sentimenti irredentisti, Fausta conservò il ricordo dell’atmosfera scintillante dei concerti della Società filarmonica, che si tenevano nella grande casa di piazza Ponterosso.
Nell’estate 1920 la Cialente incontrò Enrico Terni, vicedirettore della filiale del Banco di Roma ad Alessandria d’Egitto che, reduce da un divorzio, stava trascorrendo le vacanze in Italia.
I due si sposarono il 21 maggio 1921 a Fiume, una città-stato non soggetta ai vincoli della legislazione italiana sul matrimonio, cui seguì il trasferimento in Egitto, nella ricca colonia italiana di Alessandria. 
Il 1930 fu un anno di svolta per Fausta, che scrisse il suo primo romanzo di ambientazione egiziana, Cortile a Cleopatra, terminato il 27 aprile 1931 e proposto a Mondadori, che lo respinse nonostante le proteste del direttore della Comit Raffaele Mattioli, incoraggiato dal parere autorevole del giornalista e consulente editoriale Pio Schinetti.
La pubblicazione dell’opera in Italia avvenne per la casa editrice Corticelli di Milano, nel 1936.
L’esistenza della scrittrice ebbe un drammatico cambiamento nell’estate del 1940, con l’offensiva italiana ordinata da Mussolini nell’Egitto occupato dalle truppe del generale Archibald Wavell, comandante in capo delle forze britanniche in Medio Oriente.
Nell’ottobre di quell’anno la Cialente si trasferì al Cairo per prendere parte alla lotta antifascista, che si snodò per sei anni di vita laboriosa e avventurosa, ben documentata dai quaderni inediti del Diario di guerra (1941-47).
Fino al 14 febbraio 1943, con l’aiuto di Anna Caprera, pseudonimo dell’etnologa ebrea Laura Levi, condusse il programma serale Siamo Italiani, parliamo agli Italiani, contro la propaganda fascista indirizzata ai prigionieri di guerra nei campi di concentramento anglo-egiziani.
La fine degli anni in Egitto, nel 1947, coincise per la scrittrice con la separazione dal marito, poi, dove aver trascorso l’estate nel Varesotto, si trasferì con la madre a Roma, dove aveva preso in affitto un appartamento con vista sul Gianicolo, a Villa Brasini, sulla Via Flaminia.
Lì ospitò il nipote del marito, Paolo Terni, che grazie al sostegno della scrittrice, negli anni Cinquanta maturò i primi passi nella sua carriere musicale e giornalistica.
A Roma, nel secondo dopoguerra, la Cialente si dedicò a una lunga attività giornalistica, collaborando con gli organi del Partito comunista italiano (PCI) o vicini al partito, come faceva la sua amica Sibilla Aleramo, che aveva dato il suo sostegno a Togliatti nella lotta politica legata al movimento di emancipazione delle donne.
Dopo la morte della madre, avvenuta a Roma il 27 febbraio 1955, Fausta Cialente fece una serie di viaggi in Europa e in Medio Oriente, da Kuwait City a Baghdad, e nelle altre città in cui viveva la figlia Lili con il marito John Muir, arabista di professione e nel 1956 si recò in Kuwait, che allora attraversava un forte processo di occidentalizzazione.
Nel 1956 la Cialente comperò un terreno a Coquio-Trevisago, in provincia di Varese, dove fu edificata la villa Il Grillo.
Fausta nella sua nuova dimora ospitò il marito Enrico, che vi morì il 1 maggio 1960, a pochi mesi di distanza dalla scomparsa dell’amica Aleramo, poi diversi artisti, scrittori e intellettuali, da Piero Chiara, a Renato Guttuso, a Vittorio Sereni.
Alla fine del 1960 la scrittrice pubblicò per Feltrinelli Ballata levantina, un nuovo romanzo che proponeva un originale modello narrativo, sostanziato da una forte tensione morale e con una sapiente combinazione d’indagine storica e narrazione autobiografica.
Nel 1966 pubblicò, sempre per Feltrinelli, Un inverno freddissimo, romanzo ambientato nella Milano del secondo dopoguerra, che fu scritto nel Varesotto, da cui nel 1976 Tullio Pinelli ricavò la sceneggiatura per lo sceneggiato Camilla, con Giulietta Masina, diretto da Sandro Bolchi.
La Cialente visse gli anni Settanta tra la villa di famiglia a Cocquio, i soggiorni romani in un piccolo appartamento a Monteverde, e i lunghi viaggi all’estero, tra Europa e Medio Oriente, sempre come ospite della figlia Lili.
Per Mondadori la scrittrice pubblicò Il vento sulla sabbia nel 1972, l’ultimo romanzo sull’Egitto, che si aggiudicò il premio Enna nel 1973, poi la seconda edizione di Ballata levantina nel 1974, e due anni dopo il suo libro più noto, Le quattro ragazze Wieselberger, una dolente e vigorosa autobiografia, nel contesto del travaglio morale dell’Italia novecentesca.
Il 7 luglio 1976 Le quattro ragazze Wieselberger vinse il premio Strega, con il sostegno di Giorgio Bassani e Giovanni Macchia.
Fausta Cialente morì a Pangbourne l’11 marzo 1994 ed è sepolta nel cimitero di Caldana, tra le colline del Lago di Varese.
Fausta Cialente, tra l’Egitto, Varese e Londra Forse non tutti sanno che a villa Il Grillo di Coquio-Trevisago, sul lago di Varese…
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gregor-samsung · 4 years
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Avrebbe ricordato centinaia di volte le umiliazioni e gli insulti subiti. Non si sarebbe mai perdonato di essere crollato, di essersi arreso. Per autopunirsi paragonava il rispetto di cui aveva goduto tutta la vita con l’umiliazione che lo aveva distrutto al commissariato. Lo avevano trattato come uno scippatore, un magnaccia, ma ciò che più lo faceva stare male era la sua sottomissione. Se l’avessero picchiato, non avrebbe reagito. Perché si era arreso e si era trasformato in uno straccio sudicio nelle loro mani? Come aveva potuto perdere la volontà e l’onore fino a quel punto? Avrebbe dovuto affrontarli fino alla fine, a ogni costo, se non altro per difendere il suo onore, per salvare la dignità di Buthayna. Cosa avrebbe detto di lui adesso, come avrebbe affrontato il suo sguardo? Era stato incapace di proteggerla, non l’aveva difesa neppure con una parola! La guardò. Lei camminava in silenzio accanto a lui. «Andiamo a fare colazione all’Excelsior. Sarai sicuramente affamata» le disse improvvisamente senza pensare. Lei non proferì parola, lo seguì in silenzio nel grande ristorante di fronte a Palazzo Yacoubian che a quell’ora del mattino era completamente vuoto, a parte gli impiegati delle pulizie che stavano lavando il pavimento con acqua e sapone, e un unico avventore, uno straniero anziano seduto in fondo al locale che beveva il caffè completamente immerso nella lettura di un giornale francese. I due si sedettero l’uno di fronte all’altra a un tavolino ad angolo vicino alla vetrata, sull’incrocio fra via Suleyman pasha e via ‘Adly. Zaki ordinò due tazze di tè con il dolce incluso nel prezzo. Un silenzio grave e pesante li avvolse finché non ebbe svuotato la tazza. Poi si mise a parlare lentamente come se brancolasse nel buio: «Buthayna, ti prego di non angosciarti. L’uomo si espone a molte situazioni assurde nel corso della sua vita, ma sarebbe un errore soffermarsi su di esse. Gli ufficiali di polizia in Egitto sono come cani rabbiosi e purtroppo sono onnipotenti a causa della Legge d’emergenza».
‘Ala al-Aswani, Palazzo Yacoubian, traduzione di Bianca Longhi, Feltrinelli (collana Universale Economica), 2008²; pp. 182-83.
[ Ed.ne Or.le:  عمارة يعقوبيان (Imārat Yaʿqūbiān), American University in Cairo Press, in Arabic, 2002 ]
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