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carmenvicinanza · 2 days
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Coretta Scott King
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Coretta Scott King, musicista e attivista, è stata una personalità di spicco del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti.
Il suo impegno contro ogni forma di discriminazione, l’ha portata a battersi contro il razzismo e la segregazione, in favore dei diritti delle donne, delle persone LGBT+, contro la guerra in Vietnam e l’apartheid, in Sudafrica.
Nata il 27 aprile 1927 a Marion, Alabama, nella fattoria della sua famiglia che discendeva da schiavi. Suo nonno era un importante riferimento religioso nella comunità. Da bambina aiutava a raccogliere cotone nei campi e coltivava la sua passione per il canto che l’aveva portata nel coro della chiesa e a studiare musica a scuola.
Grazie a una borsa di studio aveva studiato al New England Conservatory of Music di Boston, dove si è diplomata in canto e violino e dove ha incontrato il futuro Nobel per la Pace, Martin Luther King Jr. che ha sposato nel 1953. 
L’anno successivo, si erano trasferiti a Montgomery dove il marito era stato nominato pastore alla Dexter Avenue Baptist Church.
La chiesa divenne un centro per il movimento per i diritti civili che dall’Alabama si è allargato a tutto il paese. Insieme hanno combattuto tante battaglie e resistito a minacce, attentati e intimidazioni dai gruppi suprematisti bianchi.
Insegnante di coro in una scuola elementare, per il suo incessante impegno è stata fonte di ispirazione per tante e tanti. Non si è mai considerata un simbolo, ma solo un’attivista che non poteva restare a guardare le ingiustizie senza agire.
Con una figura così importante al fianco, sempre in giro, ha gestito da sola la casa, i quattro figli e figlie e i pericoli ai quali venivano sottoposti a causa della loro esposizione pubblica.
Dopo la morte di Martin Luther King, assassinato il 4 aprile 1968 a Memphis, il suo attivismo l’ha portata a sostenere diverse cause. Per anni è stata sotto stretta sorveglianza dell’FBI per le sue posizioni contro la guerra del Vietnam.
Sempre dalla parte dei diritti delle donne e contro ogni forma di ingiustizia, ha girato il mondo per tenere incontri, conferenze e portare il suo contributo per la pace, contro ogni forma di razzismo e discriminazione. È stata ricevuta da diversi capi di stato e ha partecipato a programmi televisivi e meeting internazionali.
Nel 1969 ha pubblicato la sua biografia My life with Martin Luther King jr.
Per portare avanti l’eredità degli insegnamenti del marito, ha fondato il King Center, portato avanti dal figlio Dexter. 
Tanti sono stati i premi ricevuti nel corso degli anni. A suo nome è stato istituito il Coretta Scott King Award, un riconoscimento che l’American Library Association assegna ad autrici e autori afroamericani che si occupano di letteratura per l’infanzia.
Ha ricevuto lauree ad honorem dalla Princeton University, la Duke University e il Bates College. Ha fatto anche parte della nota associazione femminile afroamericana Alpha Kappa Alpha.
Coretta Scott King ha continuato i suoi impegni di promozione e divulgazione fino alla sua morte, avvenuta il 30 gennaio 2006 a Rosarito, California, in seguito a un cancro alle ovaie.
Al suo funerale, per renderle omaggio, hanno partecipato esponenti del mondo culturale e politico, diversi presidenti e capi di stato. È stata sepolta insieme al marito ad Atlanta, in Georgia.
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carmenvicinanza · 2 days
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Walkiria Terradura
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Facevamo le pattuglie e le staffette. Combattevamo. Andavamo a prendere le informazioni nei paesi vicini, ci vestivamo da contadine, ci mettevamo i fazzoletti e partivamo.  Abbiamo avuto un ruolo molto più complesso di quello degli uomini.
La Resistenza non è fatta solo dagli uomini, è stata paritaria.
Pensate alle donne contadine che non hanno avuto uno straccio di riconoscimento mai, e nessuno ne ha mai parlato per anni, ci hanno curato, ci hanno ospitato nelle loro case, hanno diviso quel poco che avevano con noialtri, sono state delle donne meravigliose.
Walkiria Terradura partigiana e medaglia d’argento al valore militare.
Nata a Gubbio il 9 gennaio 1924, suo padre, avvocato e fervente antifascista, più volte arrestato e definitivamente liberato solo dopo la caduta di Mussolini, le aveva trasmesso l’odio verso la dittatura. Già al liceo, per il suo atteggiamento sprezzante verso il regime, aveva suscitato l’attenzione del fascio locale e fu più volte interrogata in Questura e redarguita severamente. Frequentava la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia quando, il 13 gennaio 1944, durante l’occupazione tedesca, i fascisti dell’OVRA fecero irruzione nel palazzo dei Duchi di Urbino in cui la famiglia risiedeva per catturare nuovamente il padre Gustavo ed è stata lei a trarlo in salvo in modo quasi rocambolesco.
Quando i nazifascisti se ne tornarono nelle loro caserme dopo otto ore di inutili ricerche, si è spostata tra i monti del Burano che separano l’Umbria dalle Marche, unendosi alla Quinta Brigata Garibaldi di Pesaro col nome di battaglia di Walkiria.
Da sottotenente aveva assunto il comando di una squadra di sei uomini, il Settebello, che era specializzata in sabotaggio: facevano saltare ponti, organizzavano agguati, rendevano impossibile la vita alle truppe nazifasciste impegnate nella zona.
Un giorno, dopo l’ennesima azione, accompagnata da un solo gregario, ha messo in fuga un intero reparto nemico a colpi di bombe a mano, consentendo tra l’altro ai partigiani di appropriarsi di armi e mezzi abbandonati.
Nonostante gli otto mandati di cattura spiccati nei suoi confronti dai nazifascisti che giravano con una sua foto per trovarla, non è mai stata catturata.
Sposata con il capitano dell’Oss Alfonso Thiele, dopo la guerra si era trasferita con lui negli Stati Uniti. Dopo essere stata posta sotto l’attenzione poliziesca del maccartismo, aveva deciso di tornare in Italia dove ha continuato il suo attivismo politico nel PCI e soprattutto dell’ANPI di cui ha fatto parte a lungo degli organismi di dirigenza nazionale.
Ha scritto numerosi articoli sull’esperienza partigiana, arricchendo le fonti storiografiche con lo straordinario punto di vista di donna combattente.
Alla fine della guerra è stata nominata sottotenente e, con decreto presidenziale del 26 giugno 1970 e ha ricevuto la medaglia d’argento al valor militare per attività partigiana con la seguente motivazione: «Donna dotata di forte e generoso animo, entrava, malgrado la giovane età nelle formazioni partigiane della sua zona portandovi entusiasmo e fede. In lunghi mesi di lotta partecipava a numerose azioni contro il dotato avversario, mettendo in luce non comuni doti di coraggio e di iniziativa. Dopo essere riuscita con la squadra da lei comandata a fare saltare un ponte stradale, accortasi del sopraggiungere di un reparto avversario, incurante della grande sproporzione delle forze, attaccava con bombe a mano, di sorpresa, con un solo gregario l’avversario, infliggendogli dure perdite, ponendolo in fuga, recuperando altresì gli automezzi e le armi abbandonate. Valido esempio di determinazione, coraggio e alto spirito patriottico. Marche, 4 ottobre 1943-27 agosto 1944».
Fino all’ultimo ha continuato a tenere viva la memoria dell’antifascismo e della lotta partigiana, tra incontri pubblici e racconti, molti dei quali sono stati pubblicati da Patria Indipendente.
Una volta, chiamata a fare da consulente per un film a tema militare, ha stupito l’intera troupe montando e smontando uno Sten in appena tre minuti.
La sua storia è presente in diversi libri ed è stata protagonista di Walkiria, una guerrigliera sull’Appennino, docufilm di Gianfranco Boiani e Giorgio Bianconi.
Ha lasciato la terra quasi centenaria. Si è spenta a Roma il 5 luglio 2023.
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carmenvicinanza · 4 days
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Estela Carlotto
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Estela Carlotto è la presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo, organizzazione nata per ricercare le persone fatte sparire negli anni bui della dittatura.
Considerata il simbolo dell’attivismo pacifista contro le dittature sudamericane, è stata candidata più volte al Nobel per la Pace e ha ottenuto il Premio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e il Premio Unesco per la pace di Félix Houphouët-Boigny.
Enriqueta Estela Barnes è nata il 22 ottobre 1930 a Buenos Aires, da una famiglia di origini inglesi. Insegnante e poi direttrice di scuole elementari, aveva sposato Guido Carlotto, piccolo industriale chimico di origini italiane da cui sono nati Laura, Claudia, Guido e Remo.
Negli anni della Junta, la sanguinaria dittatura militare in carica dal 1976 al 1983 che ha violato sistematicamente i diritti politici e umani attraverso il terrore e le sparizioni forzate di oltre trentamila desaparecidos invisi al governo, prima è stato sequestrato suo marito, nel giugno 1977, poi rilasciato dopo il pagamento di un riscatto. A novembre dello stesso anno è stata presa sua figlia Laura Estela, studentessa di storia all’Università di La Plata, incinta di tre mesi, insieme al suo compagno, Walmir Montoya che hanno ucciso davanti ai suoi occhi.
Nel giugno 1978 ha partorito, ammanettata, nell’ospedale militare di Buenos Aires, un bambino che avrebbe voluto chiamare Guido che le è stato lasciato accanto soltanto per cinque ore. Dopo due mesi, il 25 agosto, il corpo di Laura Estela Carlotto è stato trovato senza vita, alla periferia di La Plata. Quando la salma è stata restituita alla famiglia, erano evidenti buchi di proiettile all’altezza dello stomaco e aveva il volto tumefatto dai tanti colpi ricevuti.
Estela Barnes de Carlotto, da quel momento, ha dedicato tutte le sue energie alla ricerca di quel bambino di cui non si sapeva più niente.
Si è unita al gruppo Abuelas Argentinas con Nietitos Desaparecidos che è poi diventato la Asociación Abuelas de Plaza de Mayo, di cui nel 1989 è diventata presidente.
La sua ricerca forsennata della verità l’ha portata ad azioni legali contro agenti di polizia, ufficiali militari e medici coinvolti nei tanti casi di “nipoti scomparsi”.
Ha partecipato a innumerevoli convegni e assise internazionali. Ha contribuito alla redazione di cinque articoli della “Convenzione internazionale dei diritti dei fanciulli” ed è stata presidente del Comitato argentino di sorveglianza. Ha partecipato anche alla redazione dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale.
La sua azione “politica” in Argentina, caratterizzata da moderazione nei termini, innovazione nei metodi e fermezza nei principi, le è valsa l’apprezzamento da parte di diversi governi e istituzioni democratiche.
In Italia è stata una delle parti civili nel processo contro i militari argentini condannati a Roma il 6 dicembre del 2000.
Il 27 settembre 2002 ha subito un attentato alla sua vita.
Dopo una ricerca durata trentasei anni, il 5 agosto 2014, suo nipote è stato identificato.
Guido Montoya Carlotto è cresciuto come Ignacio Hurban, figlio unico di una coppia di contadini che lavoravano nella fattoria di un ricco proprietario terriero vicino al governo militare che glielo aveva affidato dicendo loro che era di una donna che non poteva tenerlo.
Diventato musicista e insegnante di musica, nel giorno del suo compleanno, ha saputo che era stato adottato dopo che la dittatura aveva ucciso i suoi veri genitori.
Grazie alla banca dati creata dalle nonne che avevano perso i nipoti durante la dittatura, ha fatto il test del DNA e ha scoperto di discendere da quella donna che aveva visto tante volte in televisione a lanciare appelli alla ricerca della verità su quelle atroci sparizioni.
L’attività di ricerca di Estela Carlotto, nonostante l’età avanzata, continua al fianco delle altre donne che sono ancora alla ricerca dei nipoti scomparsi. Le nonne di Plaza de Mayo sono riuscite a rintracciare solo centoventi dei cinquecento bambini e bambine nati durante la prigionia di donne dissidenti che, nella maggior parte dei casi, sono stati cresciuti da altre famiglie.
Nel 2011 è stato girato un film sulla sua lotta, Verdades verdaderas, la vida de Estela.
Per il suo impegno a favore del rispetto dei diritti umani e per l’attività svolta per restituire alle famiglie di origine i bambini sequestrati e fatti sparire dalla dittatura militare, ha ricevuto diverse Lauree honoris causa, dall’Università di Boston, di Buenos Aires, Salta, Entre Rios, La Plata e l’Università autonoma di Barcellona.
Nel 2024 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa in Lingue e letterature per la didattica e la traduzione dall’Università degli Studi di Roma Tre.
In Italia è stata insignita dall’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi e ha ricevuto il “Premio per la Pace” del Comune di Roma.
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carmenvicinanza · 5 days
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Brigitte Vasallo
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Non si tratta di quante persone ci sono nella coppia, ma del ruolo che occupa nella società e di come quel ruolo non sia frutto di una scelta libera. Il pensiero monogamo ci organizza gerarchicamente, mettendo al centro quel nucleo e creando una graduatoria che lascia indietro altre forme di legame. La coppia diventa la nostra identità. Ed è in competizione con il fuori. Deve essere meglio di tutto il resto. Anche la nazione si costruisce così, genera un ‘noi’ riproduttore come il noi della coppia, che nasconde le disuguaglianze interne e dice che quello che siamo è meglio di qualsiasi altra cosa. Tutto il resto è un potenziale nemico che ci dissolverà.
Brigitte Vasallo, scrittrice, ricercatrice e attivista femminista, è nota per la sua critica all’islamofobia di genere, al purplewashing, all’omonazionalismo e al concetto di monogamia come costrutto del capitalismo.
Il suo lavoro ruota attorno ai meccanismi di costruzione dell’alterità, con particolare interesse per la differenza sessuale e la scomparsa delle epistemologie contadine.
Nata a Barcellona nel 1973, è figlia di contadini galiziana, emigrati prima in Francia e poi in Catalogna.
Ha vissuto per molti anni in Marocco, esperienza che le ha consentito di acquisire la prospettiva del pensiero egocentrico e coloniale egemonico della società occidentale.
Tiene conferenze in tutto il mondo e collabora regolarmente con diversi media.
Già titolare della cattedra Mercè Rodoreda di Studi Catalani all’Università di New York, è docente del Master in Genere e Comunicazione dell’Università Autonoma di Barcellona.
È stata l’ideatrice del Primo Festival della Cultura Txarnega a Barcellona.
Tra i suoi libri tradotti in italiano ci sono Pornoburka (2020), Per una rivoluzione degli affetti. Pensiero monogamo e terrore poliamoroso (2022) e Linguaggio inclusivo ed esclusione di classe  (2023) che è stato finalista del Premio Inge Feltrinelli.
Il suo lavoro analizza l’intersezionalità tra razzismo e misoginia, con particolare riferimento a come colpisce le donne musulmane. In tal senso,  denuncia il purplewashing e il pinkwashing, in sintesi, come il femminismo e i diritti LGBTI sono strumentalizzati per giustificare la xenofobia, cessando di essere fini a se stessi.
Nel testo Linguaggio inclusivo ed esclusione di classe ci mostra i limiti di un approccio che cerca facili soluzioni al problema del linguaggio che universalizza ed esclude, mostrandoci le difficoltà di una vera contro egemonia all’interno del sistema in cui viviamo. Indaga su quali rinunce in termini di autenticità e dissidenza sono imposte a chi tenta di accedere alla produzione culturale a partire da condizioni di povertà e oppressione. Si chiede, ancora, se sia davvero possibile prendere parola senza che il pensiero universalista basato sul binarismo riduca a “subalterno” ciò che vorrebbe essere divergente.
Lo stesso sguardo disincantato e critico attraversa Per una rivoluzione degli affetti, nel quale ci mostra la pervasività di un sistema escludente anche in ambito relazionale, mostrando come la monogamia sia un costrutto figlio dell’occidente capitalista, mostrando le possibilità di un approccio diverso per un mondo diverso, per una radicale rivoluzione nelle relazioni, che siano sessuali, familiari o comunitarie.
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carmenvicinanza · 6 days
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Mara Maionchi
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Mara Maionchi è la produttrice discografica che, negli anni, è diventata un’amatissima protagonista della televisione italiana, famosa per i suoi modi diretti e le sue esternazioni senza filtro.
È una donna che non le manda a dire, un mix di simpatia e schiettezza, condita da un linguaggio molto colorito.
Da discografica, ha scoperto talenti come Gianna Nannini, Tiziano Ferro, Umberto Tozzi a Mango. In televisione ha preso parte a tutti i talent show di maggior successo.
Nata a Bologna il 22 aprile 1941, era una giovane ribelle che presto ha abbandonato gli studi perché non riusciva ad accettare le rigide regole istituzionali.
Aveva svolto diversi lavori prima di trovare impiego, nel 1967, presso la casa discografica Ariston Records rispondendo a un annuncio del Corriere della Sera.
I primi artisti con cui ha collaborato sono stati Mino Reitano e Ornella Vanoni che ha seguito a Sanremo nel 1968, quando ha presentato Casa bianca.
Nel 1969 è stata addetta stampa dell’etichetta musicale Numero Uno di Mogol e Lucio Battisti.
Successivamente è stata prima responsabile editoriale e poi direttrice artistica della Dischi Ricordi.
Dopo una breve permanenza come direttrice artistica della Fonit Cetra, in cui ha contribuito a rilanciare la carriera dell’allora sconosciuto Mango, nel 1983, insieme al marito, il compositore Alberto Salerno, ha fondato l’etichetta Nisa che ha sfornato una serie di successi, primo fra tutti quello di Tiziano Ferro di cui ha prodotto i primi tre album.
Ha avuto anche una breve esperienza in politica, è stata assessora ai servizi sociali nel comune di San Fermo della Battaglia e, nelle elezioni del 2001 ha sfiorato la nomina a sindaca.
Nel 2006, sempre col marito, ha creato nuova etichetta indipendente, Non ho l’età, con l’intento di aiutare nuovi talenti ad emergere che, nel 2015 ha chiuso i battenti, cedendo il proprio catalogo editoriale e fonografico a Curci Editore.
Dal 2008 e per diversi anni, ha preso parte, come giudice, al talent musicale X Factor.
Nel 2009 ha pubblicato la sua autobiografia, Non ho l’età.
Ha anche inciso un ironico remix dance, Fantastic il cui ricavato è andato in beneficenza. Nel 2010 è uscita la prima applicazione per iPhone che le è stata dedicata, Fantastic Mara.
Ha preso parte ad altri talent come Let’s dance, Amici di Maria De Filippi, Videofestival live, Io canto, Academy di Sanremo Young, Game of Talents e Italia’s Got Talent.
Ha condotto due esilaranti edizioni di Quelle brave ragazze ed è tra gli ospiti fissi del programma Che tempo che fa.
È testimonial del Gruppo Italiano per la Lotta alla Sclerodermia.
Dopo aver superato un tumore al seno, ha lanciato un docu-reality per sensibilizzare il pubblico a non aver paura di esporre il proprio corpo a screening medici che possono salvare la vita.
Scatenata anche sui social, è una donna inarrestabile e, nonostante l’età avanzata, lucida, ironica, divertente e sfrontata. Una vera esplosione di energia e vitalità.
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carmenvicinanza · 9 days
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Carole King
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Carole King, la cantautrice e compositrice di maggior successo della seconda metà del Ventesimo secolo, è stata un modello per diverse generazioni di musiciste e musicisti.
Le sue canzoni sono state riprese e interpretate da artisti come Quincy Jones, Rod Stewart, Bee Gees e Manhattan Transfer.
Cento diciotto sue canzoni sono entrate nella Billboard Hot 100 e sessantuno nella classifica inglese.
Con la sua fortunatissima You’ve Got a Friend è stata la prima donna della storia a vincere il Grammy nel 1972.
Nata col nome di Carol Klein, a New York il 9 febbraio del 1942, ha mostrato un precoce talento come pianista e autrice. Era alle scuole superiori quando ha formato il quartetto vocale Co-Sines. Poi è passata ai Tokens, la band del suo fidanzato di allora, Neil Sedaka che aveva scritto una canzone che porta il suo nome.
Arrivata al Queens College aveva conosciuto una serie di promettenti artisti, tra cui Paul Simon e Gerry Goffin, che sarebbe diventato suo marito e co-autore con cui ha sfornato pezzi che hanno fatto la storia della musica,
Il loro primo successo Will You Love Me Tomorrow, composto per le Shirelles, raggiunse la vetta della Billboard Hot 100 il 1˚ gennaio del 1961 quando Carole King doveva ancora compiere 19 anni.
Insieme hanno prodotto hit per i nomi più grandi dell’epoca, dagli Animals ai Byrds e i Monkees, fino al capolavoro ‘You Make Me Feel (Like A Natural Woman)’, realizzata per Aretha Franklin.
La costruzione musicale dei loro successi si discostava dagli stereotipi dell’epoca per il loro stile nelle armonizzazioni, che hanno ispirato anche i primi Beatles.
Dopo il divorzio da Goffin, nel 1968, si è trasferita a Los Angeles con le due figlie per vivere in una comune creativa dove ha conosciuto Joni Mitchell, James Taylor e la sua compagna Toni Stern con cui ha scritto It’s Too Late, una tappa fondamentale nel percorso per divenire una songwriter in autonomia. È stato un periodo difficile della sua vita, ma che le è servito per acquisire consapevolezza delle sue capacità e potenziale.
È stato in quella fase che ha composto molti dei brani finiti nell’album Tapestry, inclusa You’ve Got a Friend, ispirata a un verso della canzone di James Taylor Fire and Rain. Il disco, posizionato dalla rivista Rolling Stone al 36º posto nella classifica dei 500 migliori album di tutti i tempi, ha venduto ventidue milioni di copie in tutto il mondo e le ha portato ben quattro Grammy per miglior album dell’anno, migliore canzone, migliore composizione dell’anno e migliore interprete femminile, facendole detenere per 20 anni il record femminile di permanenza in classifica.
Questo disco dal successo strepitoso ha contribuito a rendere un genere popolare il cantautorato confessionale e le donne del rock hanno trovato un modello da seguire.
Superando gradualmente la sua timidezza e insicurezza a mostrarsi in pubblico, ha suonato capolavori come It’s Too Late e I Feel the Earth Move davanti a platee sempre più grandi, fino al mega concerto gratuito a Central Park del 26 maggio 1973, quando si è esibita davanti a una folla di 70000 persone.
Oltre alla musica, passione di una vita, Carole King ha sempre avvertito una forte attrazione per la natura incontaminata e la libertà.
Dopo l’esperienza della comune californiana, si è trasferita in una piccola città di montagna, nell’Idaho, e da questa dimensione è cominciato così il suo attivismo ambientale, più volte si è recata a Washington con l’Alliance for the Wild Rockies.
Nel 1990, è stata inserita, insieme a Goffin, nella Rock and Roll Hall of Fame nella categoria non-esecutori per il suo successo come autrice musicale.
Nel 1996 è stato realizzato un film ispirato alla sua vita, Grace of my heart.
Ha riscritto la canzone Where You Lead (I Will Follow) per adattarla al telefilm Una mamma per amica, cantandola con la figlia Louise Goffin. È anche apparsa in qualche episodio, nel ruolo della proprietaria del negozio di musica.
Ha prodotto diversi altri dischi, mai uguagliando il successo di Tapestry, ma ha continuato a suonare, adorata dal pubblico e dalla critica.
Tanti i premi che le sono stati riconosciuti nella sua carriera, tra i quali spiccano la stella col suo nome nella Hollywood Walk of Fame, il Library of Congress Gershwin Prize for Popular Song conferitole da Barack Obama e il Kennedy Center Honors.
Nel 2014 ha debuttato a Broadway il musical sulla sua vita, Beautiful: The Carole King Musical.
La timida figlia dei fiori newyorkese che si è imposta sulla scena internazionale, con la sua voce limpida e la delicata sensibilità, pregna delle utopie degli anni Settanta, non si è fatta mai travolgere dallo star system, conservando integra la sua grazia iniziale intrisa di grandi ideali.
Negli ultimi anni si esibisce poco, mentre è rimasto immutato il suo impegno per l’ambiente.
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carmenvicinanza · 10 days
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Claire Denis
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Claire Denis, regista e sceneggiatrice brillante e contemporanea, che ha diretto le più grandi star del cinema francese, rappresenta un faro di sapienza e maestria nella settima arte.
Nei suoi lavori crea connessioni tra il post-colonialismo e la globalizzazione, analizzando la fenomenologia umana, spesso, a partire dalle sue caratteristiche sessuali. 
L’Africa, con i suoi spazi dilatati e la sua luce, e l’immigrazione nel continente europeo, con il suo drammatico impatto sulle difficoltà della vita quotidiana, sono stati spesso i suoi riferimenti tematici.
Nata a Parigi il 21 aprile 1948, è cresciuta in Africa, suo padre era amministratore civile presso le colonie francesi. Ha frequentato le scuole elementari camerunesi, somale, gibutiane e burkinabé. Ammalatasi di poliomielite all’età di dodici anni, era tornata in Francia curarsi, continuando la sua formazione presso il Lycée de Saint-Germain-en-Laye, dove ha scoperto le magnificenze del cinema, soprattutto quello giapponese.
Dopo una laurea in Lettere e una in Economia, ha avuto un breve matrimonio con un fotografo con cui lavorava.
Quando si è separata si è trasferita per un po’ in Africa, dove ha lavorato come regista presso Télé Niger. Rientrata in Francia è stata assunta dal dipartimento di ricerca dell’Office de Radiodiffusion Télévision Française.
Mentre studiava all’Institut des hautes études cinématographiques, ha realizzato i suoi primi cortometraggi e documentari.
Fondamentale è stata l’esperienza come assistente di registi come Constantin Costa-Gavras, Wim Wenders e Jim Jarmusch.
Il suo primo lungometraggio, Chocolat, del 1988, è stato in concorso al Festival di Cannes. La storia è quella di una donna che torna in un piccolo presidio francese del Nord del Camerun, dove aveva trascorso gran parte della sua infanzia, per rendersi conto di quanto la società fosse cambiata esteriormente e di quanto certi comportamenti fossero stati tramandati alle persone che erano rimaste.
Nel 1990 è uscito S’en fout la mort, ambientato nella banlieue parigina, sulla vita di alcuni immigrati di origine africana, coinvolti in un giro di combattimenti di galli e di scommesse clandestine. Si inizia a palesare, nello stile e le tematiche a lei care, l’aggiunta di violenza da noir e l’interesse per il corpo che prenderanno sempre più definizione nei lavori successivi. 
Nel 1991 ha fondato la sua società di produzione, Les films de Mindif.
Tre anni dopo è uscito J’ai pas sommeil, ispirato alla storia vera di un serial killer, film struggente e disperato in cui ancora una volta racconta la solitudine, il desiderio d’amore e la morte tra quelli che ha definito “i tanti apartheid quotidiani“.
Nel 1996 Nénette et Boni ha vinto il Pardo d’oro al Festival di Locarno. Il film racconta la vita di un fratello e una sorella che vivono soli a Marsiglia. Lei è decisa a dare il neonato in adozione, lui rapisce il piccolo nel disperato tentativo di ridare vita a una famiglia.
Nel 1999 ha realizzato Beau travail, girato a Gibuti, un altro dei paesi della sua infanzia in cui mette in scena una storia di potere e morte all’interno della Legione straniera. Nel film, alla presenza totale e magnetica del paesaggio si sovrappone il suo occhio di donna che descrive un mondo maschile secondo coordinate lucide e acute.
Sono seguiti film che mescolano sesso e cannibalismo, persone bianche e nere, ripulsa e desiderio, come Trouble every day con Vincent Gallo e Cannibal Love – Mangiata viva che rappresenta l’apice della sua estetica post-moderna, dove sangue è pienezza e il corpo è desiderio e fonte di sazietà.
Vendredi soir, del 2003, è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia.
La sua filmografia è continuata con diversi altri apprezzati lavori, tra cui L’amore secondo Isabelle, del 2017, con Juliette Binoche che è stato candidato a vari premi, César, European Film Award e Best European Film.
Per Avec amour et acharnement è stata insignita dell’Orso d’argento per il miglior regista e Stars at Noon le ha portato il Grand Prix al Festival di Cannes.
Ha girato praticamente un film ogni due anni, compresi diversi documentari.
È apprezzata dalla critica mondiale per la sua ricerca sobria ma appassionata che mette in rapporto il gioco delle relazioni interpersonali con la costruzione dello spazio, il valore espressivo della luce, lo sguardo sui corpi e sul loro equilibrio emotivo.
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carmenvicinanza · 11 days
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Rachel Corrie
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Sono in Palestina da due settimane e un’ora e non ho ancora parole per descrivere ciò che vedo. È difficilissimo per me pensare a cosa sta succedendo qui quando mi siedo per scrivere alle persone care negli Stati Uniti. È come aprire una porta virtuale verso il lusso. Non so se molti bambini qui abbiano mai vissuto senza i buchi dei proiettili dei carri armati sui muri delle case e le torri di un esercito che occupa la città che li sorveglia costantemente da vicino. […] Nessuno nella mia famiglia è stato colpito, mentre andava in macchina, da un missile sparato da una torre alla fine di una delle strade principali della mia città. Io ho una casa. Posso andare a vedere l’oceano. Quando vado a scuola o al lavoro posso essere relativamente certa che non ci sarà un soldato, pesantemente armato, che aspetta a metà strada tra Mud Bay e il centro di Olympia a un checkpoint, con il potere di decidere se posso andarmene per i fatti miei e se posso tornare a casa quando ho finito.
Rachel Corrie è stata una attivista statunitense schiacciata e uccisa da un bulldozer mentre compiva un’azione di resistenza pacifica opponendosi alla distruzione di abitazioni palestinesi da parte del governo israeliano.
Nata a Olympia, nello Stato di Washington, il 10 aprile 1979, studiava arte e relazioni internazionali all’Evergreen State College e lavorava attivamente per il Movimento per la Pace e la Giustizia della sua città.
Durante l’ultimo anno di università, si era recata a Rafah, nella striscia di Gaza, per partecipare attivamente, con l’International Solidarity Movement, alla resistenza nei confronti dell’esercito israeliano, durante l’Intifada di Al Aqsa.
Arrivata in Palestina nel gennaio 2003, aveva frequentato un corso di addestramento in filosofia e tecniche di resistenza non-violenta, prima di partecipare ad azioni dirette e dimostrative.
Da osservatrice dei diritti umani, ha documentato la distruzione delle serre e dei campi da cui migliaia di famiglie traevano sostentamento, la chiusura della strada per Gaza City che lasciava la città nel totale isolamento, la distruzione dei pozzi d’acqua necessari ai contadini e la sparatoria contro gli operai che cercavano di ricostruirli.
Spesso ospitata da famiglie palestinesi che condividevano con lei e i suoi compagni quel poco che restava loro, ha incontrato da vicino la miseria e visto con i suoi occhi cosa significa vivere quotidianamente sotto occupazione e avere negato l’accesso ai beni di prima necessità e alla libertà di spostarsi per qualsiasi scopo.
Oltre agli spari e ai bombardamenti, spesso le rappresaglie israeliane consistevano nel demolire le abitazioni dei presunti “terroristi” e delle loro famiglie.
Il 16 marzo 2003, Rachel Corrie, insieme ad altri sei attivisti dell’ISM, ha cercato di impedire le operazioni di due bulldozer corazzati che stavano demolendo delle case lungo la strada tra Gaza e l’Egitto, zona tenuta particolarmente sotto controllo da Israele, per evitare che gli stati arabi confinanti possano aiutare la resistenza palestinese o anche solo permettere agli abitanti della striscia di aggirare l’assedio.
Indossava un giubbotto rosso catarifrangente e impugnava un megafono: difficile passare inosservata dall’uomo alla guida del bulldozer che le avanzava contro. Stava provando a difendere dalla demolizione la casa di un medico palestinese. Erano già varie ore che le due parti si stavano fronteggiando, una armata e l’altra no.
Una tecnica usata spesso dai membri dell’ISM in casi simili consiste dell’arrampicarsi in piedi sulla montagna di detriti raccolti dal bulldozer fino a costringere l’autista a fermarsi o a cambiare traiettoria.
In un primo momento, la giovane attivista, si è seduta a terra davanti alla casa del dottore di Rafah, poi è salita sul cumulo di macerie spinto dal veicolo distruttore, entrando nella visuale dell’uomo alla guida che non si è fermato e ha proseguito. È caduta e il bulldozer l’ha schiacciata e coperta di terra, poi, non pago, ha fatto marcia indietro passandole sopra una seconda volta. Non si è fermato nonostante le urla e proteste dei suoi compagni per fermare il mezzo.
L’autista della ruspa è stato subito scagionato col pretesto che non l’aveva più vista dopo che era scivolata fuori della sua visuale e il suo omicidio derubricato come un incidente non intenzionale dovuto all’incauto comportamento dei manifestanti. È stato perfino negato qualunque rimborso alla famiglia della vittima.
Secondo fonti ufficiali dell’esercito, le operazioni di quel giorno dovevano servire a bonificare l’area da ordigni esplosivi nascosti “che i terroristi erano intenzionati a usare contro soldati e civili israeliani”. Inutile dire che di questi ordigni esplosivi non ne è stata ritrovata alcuna traccia.
E a nulla sono servite le fotografie scattate dai compagni della giovane attivista che smentivano la ricostruzione dei fatti da parte del governo israeliano.
Secondo l’ONU e l’UNRWA, nel 2003, quando Rachel Corrie era a Rafah, gli israeliani distruggevano in media 12 case a settimana; nel 2004 le demolizioni sono arrivate a 100 al mese.
Poco dopo la sua morte, alcune delle e-mail che aveva spedito a familiari e amici per raccontare la situazione in seguito lo scoppio della seconda intifada, sono state pubblicate dal quotidiano britannico The Guardian. Partendo da lì, il regista e attore inglese Alan Rickman e la giornalista Katherine Viner hanno raccolto, grazie alla famiglia, i suoi scritti dall’età di 12 anni fino al giorno della morte e ne hanno ricavato un monologo teatrale, Mi chiamo Rachel Corrie, che in Italia è uscito in libreria nel 2008.
La grande umanità e impegno di Rachel Corrie che, a soli 23 anni, ha perso la vita per sostenere la causa palestinese, non devono mai essere dimenticati.
È un nostro dovere morale ricordare il sacrificio di questa giovane donna che avrebbe potuto restare a casa sua e voltarsi, semplicemente, dall’altra parte, ma non l’ha fatto e ne ha pagato terribili conseguenze.
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carmenvicinanza · 12 days
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Cole Brauer
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Chi naviga in solitario deve essere in grado di fare tutto, anche se si è esausti. Il mio obiettivo è sempre stato quello di essere la prima donna americana a regatare intorno al mondo. Spero di aver dimostrato che questo sport e questa comunità, dominati essenzialmente da uomini, possono diventare più aperti e meno ‘tradizionali”.
Cole Brauer è stata la prima statunitense a completare il giro del mondo in solitaria in barca a vela.
Una spedizione durata 130 giorni nell’ambito della Global Solo Challenge, difficile gara di 26.000 miglia nautiche iniziata ad ottobre 2023 al largo della costa di La Coruña, nella Spagna nord-occidentale. Un viaggio che l’ha portata dalla costa occidentale dell’Africa all’Oceano Antartico, raggiungendo il Pacifico e il punto più a sud dell’America Latina, prima di fare ritorno proprio nella penisola iberica.
Ha documentato il suo viaggio a bordo della First Light, monoscafo a vela di 40 piedi capace di ospitare un equipaggio di massimo due persone – con i suoi 459.000 follower su Instagram, che ne hanno seguito in diretta anche l’atteso arrivo al traguardo.
La prima donna che aveva circumnavigato il mondo in solitaria, però, era stata  Krystyna Chojnowska-Liskiewicz, skipper polacca che ha percorso 31.166 miglia nautiche tra il 1976 e il 1978.
Velista poliedrica, Cole Brauer, nella sua carriera sportiva ha spaziato dalla vela offshore a quella inshore.
Nata il 24 marzo 1994, è cresciuta a Long Island. La passione per la vela è iniziata all’Università delle Hawaii, mentre studiava scienze della nutrizione. Ha iniziato a gareggiare per la squadra del college, diventandone presto la capitana della squadra. 
Dopo la laurea si è trasferita nel Maine, dove ha iniziato a insegnare vela al Boothbay Harbor Yacht Club e a fare transfer per consegnare barche sulla costa atlantica. Nel 2018 ha conseguito la licenza di capitana da imbarcazioni di 100 tonnellate.
Nel giugno 2023, con la sua co-skipper, Cat Chimney, ha vinto entrambe le tappe della regata Bermuda One-Two di 668 miglia nautiche da Rhode Island alle Bermuda e ritorno, nessuna donna l’aveva fatto in precedenza. 
Nella Global Solo Challenge 2023-2024, conclusasi il 7 marzo 2024, si è classificata seconda stabilendo un nuovo record di velocità intorno al mondo per barche da 40 piedi.
Aveva iniziato la gara il 29 ottobre 2023, era l’unica donna e la più giovane tra i sedici concorrenti.
Nel lungo periodo trascorso da sola in barca, si è ferita a una costola, ha sofferto di disidratazione e si è somministrata liquidi per via endovenosa. È riuscita a connettersi a internet tramite satellite e ha pubblicato sui social media i suoi progressi, diventando così un fenomeno del web.
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carmenvicinanza · 13 days
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Trina Robbins
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Trina Robbins è la disegnatrice e sceneggiatrice che ha rivoluzionato il mondo dei fumetti.
Considerata tra le migliori fumettiste di tutti i tempi, compare nella Will Eisner Hall of Fame dal 2013 e nella Wizard World Hall of Legends dal 2017.
È stata tra le ideatrici di It Ain’t Me Babe Comix, il primo fumetto realizzato esclusivamente da donne e la prima a disegnare Wonder Woman dopo quarant’anni di egemonia maschile.
Ha contribuito a fondare Friends of Lulu, organizzazione no-profit nata per promuovere la lettura di fumetti di donne e incoraggiare il protagonismo femminile nell’industria dei comix e sul mercato.
Nata a Brooklyn, New York, col nome di Trina Perlson, il 17 agosto 1938, negli anni sessanta, prima di consacrarsi totalmente ai fumetti, aveva una boutique che realizzava abiti per star come Cass Elliot, Donovan, David Crosby e molte altre. 
Amica di Jim Morrison e dei Byrds, era una figura di spicco nelle comunità hippy di New York, San Francisco e Los Angeles.
A lei Joni Mitchell ha dedicato la prima strofa della canzone Ladies of the Canyon, contenuta nell’omonimo album del 1970: “Trina wears her wampum beads / She fills her drawing book with line / Sewing lace on widow’s weeds / And filigree on leaf and vine“.
Attiva politicamente e portabandiera del femminismo nel fumetto contemporaneo di cui è stata una pioniera, ha pubblicato i suoi primi fumetti sull’East Village Other.
Nel 1969 ha creato Panthea per Gothic Blimp Works, il primo tabloid underground statunitense. Nello stesso periodo ha disegnato il costume per il personaggio Vampirella per l’artista Frank Frazetta.
Trasferitasi a San Francisco, nel 1970, ha contribuito a fondare il quotidiano underground femminista It Ain’t Me, Babe. Con la collega Barbara “Willy” Mendes, ha co-prodotto il primo fumetto di sole donne, One-shot, e si è molto impegnata nella creazione di punti vendita e promozione delle fumettiste, attraverso progetti come l’antologia Wimmen’s Comix, alla quale ha lavorato per vent’anni e che ha presentato Sandy Comes Out, il primo fumetto in assoluto con una lesbica.
Si è schierata apertamente contro il fumettista Robert Crumb per la misoginia percepita nei suoi lavori, dichiarando: «È strano per me quanto le persone siano disposte a trascurare l’orribile oscurità nel lavoro di Crumb. Che diavolo c’è di divertente nello stupro e nell’omicidio?»
Negli anni, ha dato vita a numerose eroine raccolte successivamente in una serie di volumi antologici come Girl Fight Comics e Trina Girls.
Nel 1986 ha cominciato a disegnare i famosi fumetti di Wonder Woman prima di scrivere le avventure di Honey West, una delle prime detective private della narrativa popolare.
Trina Robbins è stata autrice di diversi libri sulla storia delle donne nel fumetto. Il primo della storia, scritto insieme a Catherine Yronwode, è stato Women and the Comics, del 1985, seguito da A Century of Women Cartoonists (1993), The Great Women Superheroes (1997), From Girls to Grrrlz: A History of Women’s Comics from Teens to Zines (1999) e Le grandi donne vignettiste (2001).
Il lavoro più recente Pretty In Ink, pubblicato nel 2013, copre la storia delle donne nordamericane nei fumetti a partire dalla striscia di Rose O’Neill The Old Subscriber Calls del 1896.
Alla fine degli anni Novanta ha collaborato con Colleen Doran alla graphic novel Wonder Woman: The Once and Future Story, sul tema degli abusi coniugali. 
Ha anche partecipato al film documentario She’s Beautiful When She’s Angry del 2014 su alcune delle donne coinvolte nel movimento femminista della seconda ondata negli Stati Uniti.
È morta a San Francisco, il 10 aprile 2024, in seguito alle complicazioni di un ictus.
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carmenvicinanza · 16 days
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Caterina Caselli
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Caterina Caselli, grande protagonista della musica italiana, è un’artista che ha attraversato tempi e mode, spesso anticipandoli, in un percorso esistenziale coraggioso e spesso controcorrente, che fatto della sua passione per la musica, la vocazione di un’esistenza intera.
È stata una cantante rivoluzionaria negli anni ’60, simbolo della beat generation nostrana, con look che non si erano mai visti prima e cantando  testi che parlavano di emancipazione e libertà.
Da imprenditrice discografica, ha portato l’Italia della canzone in tutto mondo.
Nata a Modena il 10 aprile 1946, la sua infanzia è stata segnata da un tragico episodio, il suicidio di suo padre, nel 1960. 
Nella musica ha, probabilmente, trovato il modo di evadere e sfogarsi. Ha iniziato a suonare il basso in band che si esibivano nelle balere emiliane, ma le sue aspirazioni erano altre così come i suoi gusti musicali. A soli diciassette anni, nel 1963, ha partecipato al concorso di Castrocaro “Voci nuove“, raggiungendo la semifinale. Quello è stato il suo trampolino di lancio. Notata da un produttore discografico, ha firmato il suo primo contratto e pubblicato il primo singolo Sciocca/Ti telefono tutte le sere.
Dopo il successo dei suoi 45 giri è approdata al Festival di Sanremo nel 1966, con la sua acconciatura bionda che le è valsa il soprannome di Casco d’oro. La sua canzone Nessuno mi può giudicare, non ha vinto, ma in compenso ha venduto più di un milione di copie ed è rimasta al primo posto della classifica per undici settimane consecutive.
Si è inaugurata così, la fase in cui, per ogni sua canzone di gran successo, se ne traeva un film musicale che ne portava il titolo. Ed è stato un continuo susseguirsi di successi, partecipazioni a Sanremo e concerti nei luoghi culto, oltre alle esibizioni nelle manifestazioni canore del tempo.
Ha duettato con grandi big internazionalie condotto trasmissioni televisive.
Quando l’ondata di successo sembrava che si stesse affievolendo, ha avuto il coraggio e la determinazione di ritirarsi dalle scene musicali e passare dietro le quinte.
Ha aperto una casa discografica, Ascolto, con cui ha iniziato a produrre talenti sconosciuti e musicisti che stimava. Successivamente è entrata nel management della Sugar Music, etichetta appartenente alla famiglia del marito, Piero Sugar.
Negli anni ha prodotto talenti come Giuni Russo, con cui ha avuto un rapporto molto tormentato, Gerardina Trovato, Andrea Bocelli, Avion Travel, Elisa, Negramaro, Malika Ayane, Raphael Gualazzi, Madame e molti altri ancora.
È tornata a Sanremo per l’ultima volta nel 1990 con Bisognerebbe non pensare che a te, bissata da Miriam Makeba.
Qualche rara volta è tornata anche a recitare per il cinema.
Si è concessa qualche ritorno al canto per dischi e concerti di beneficenza come quelli per le popolazioni afflitte dal terremoto dell’Abruzzo e dell’Emilia.
Nel 2021 è stato realizzato un documentario sulla sua storia dal titolo Caterina Caselli – Una vita 100 vite.
Caterina Caselli è una combattente, che ha precorso tempi e gusti e deciso di stare dalla parte di chi determina il proprio destino, sin da giovanissima. Dura, intuitiva, determinata, con una immensa cultura musicale e un grande gusto, è riuscita a portare al successo molte artiste e artisti.
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carmenvicinanza · 17 days
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María Galindo
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Abbiamo bisogno di utopie. Perché l’utopia ci ubriaca e ci tira in avanti. Perché l’utopia ci fa ostinate. Perché l’utopia disturba e fa che nessuno venga a patti per nulla con noi.
Abbiamo da chiedere un dizionario intero di mille tomi, di tutti gli idiomi. Possiamo rimescolare tutti e ognuno di questi significati.
Il mondo dell’arte mi dice: ti diamo uno spazio. E io gli dico: non sto facendo arte, sto facendo politica.
María Galindo, psicologa anarchica e femminista, ha fatto della ribellione contro ogni potere autoritario del corpo e della mente, dello stato e del patriarcato, della famiglia e del capitale, la sua ragione di vita.
Nata il 15 settembre 1964 a La Paz, in Bolivia, il suo destino sembrava essere quello del convento. Dopo il diploma, infatti, era andata a studiare per diventare suora nell’università vaticana. Quest’esperienza ha ribaltato totalmente le sue prospettive e, tornata in patria, nel 1992, ha iniziato il suo impegno femminista e contribuito a fondare il Movimiento Mujeres Creando, un collettivo sociale che combatte contro sessismo e omofobia perseguito e denunciato dai vari governi, con cui si è resa protagonista di tante battaglie civili e politiche.
Nel 2006 si è candidata all’Assemblea costituente per il Movimiento Bolivia Libre (MBL) come atto simbolico di critica al processo stesso. In questo contesto ha redatto e pubblicato La Constitución Política Feminista del Estado.
Nel 2007, insieme alla scrittrice argentina Sonia Sánchez, ha scritto Ninguna mujer nace para puta, presentato nella Plaza Once di Buenos Aires, ribattezzata Plaza de los Prostituyentes per denunciare la tratta e lo sfruttamento sessuale, in un’azione pubblica che è servita come lancio del libro.
Nello stesso anno ha iniziato a co-dirigere l’emittente radiofonica Radio Deseo e a presentare il programma La loca mañana.
Nel 2013 ha pubblicato No se puede descolonizar sin despatriarcalizar, in cui critica il patriarcato come base di ogni dominazione, compreso il razzismo.
Ha organizzato la Passerella Femminista, che ha messo a confronto, in maniera provocatoria, i corpi femminili bianchi ed eterosessuali idealizzati dai mass media, con quelli reali delle donne indigene che si esponevano su passerelle improvvisate esibendo vestiario e consuetudini della loro quotidianità.
Ha presentato il libro No hay libertad política sin libertad sexual, prodotto di una ricerca condotta tra il 2015 e il 2016 in seno all’Assemblea legislativa plurinazionale sull’omofobia e nel 2021 ha pubblicato Feminismo Bastardo.
Nel 2023 ha partecipato al Tavolo sui Diritti Umani nell’Incontro Femminista Internazionale per un Mondo Migliore promosso dal Ministero dell’Uguaglianza del governo spagnolo.
Salendo in piedi sul tavolo, ha tenuto un applaudito discorso contro il mondo che non le piace, quello contro cui si batte da una vita intera. Classifica e chiama “difesa dei Diritti Umani” quell’insieme di lotte pericolose e sovversive che non possono essere cancellate e costituiscono un pericolo per l’ordine sociale dominante. Che la società capitalista ed ecocida, segnata tanto in profondità dalla cultura patriarcale (che lei chiama “machocrazia”) e coloniale, è solita premiarle e provare ad addomesticarle con l’etichetta di Diritti Umani proprio per depoliticizzarle, ammorbidirle ed espellerle dal campo a cui appartengono realmente, il campo dell’invenzione di nuove forme e radici della politica.
Non abbiamo affatto bisogno di aggiungere diritti sempre nuovi e sempre enunciati il cui esercizio ci viene nei fatti vietato in modo sistematico, ha detto. Così come non abbiamo alcun interesse a prendere il potere, cioè a sostituire il vecchio con un potere nuovo che prometta di essere migliore. Di fronte a quel potere, alla sua natura, quale che ne siano gli interpreti, non possiamo che ribellarci costruendo inedite pratiche politiche in basso. Pratiche antipatriarcali, anticapitalistiche e anticoloniali, altro che mondo migliore. Il mondo delle mujeres parla un’altra lingua, ha una cultura politica antitetica a quella che ci viene spacciata per la sola possibile e si colloca in un universo che non ha nulla a che vedere con quello che sta cadendo a pezzi e gronda stantìe retoriche sui diritti tra un marketing elettorale e l’altro.
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carmenvicinanza · 19 days
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Valerie Solanas
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«Per bene che ci vada, la vita in questa società è una noia sconfinata. E poiché non esiste aspetto di questa società che abbia la minima rilevanza per le donne, alle femmine dotate di spirito civico, responsabili e avventurose non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione completa e distruggere il sesso maschile».
Incipit di SCUM Manifesto di Valerie Solanas, controversa scrittrice protagonista della controcultura statunitense degli anni Sessanta. 
È stata una donna e un’artista scomoda, che ha prodotto uno dei testi più iconoclasti, incendiari e parodistici del femminismo.
Con un’operazione inedita e potente, escludendo qualsiasi atteggiamento vittimistico, ha usato l’umorismo e la satira per denunciare gli sbilanciati rapporti di potere basati sul sesso.
Marginalità e scrittura sono state dimensioni inscindibili nella sua vita costellata di violenza fisica ed economica, discriminazione, dinieghi e reclusioni.
Nata il 9 aprile 1936 a Ventnor City, nel New Jersey, per tutta l’infanzia era stata abusata sessualmente dal padre. Dopo il divorzio dei genitori, sua madre si era risposata e poiché anche il patrigno non era propriamente una brava persona, l’aveva spedita in collegio. A quindici anni aveva già partorito una bambina che venne cresciuta come una sorella. Successivamente era rimasta incinta di un uomo sposato e molto più grande di lei, che le aveva imposto di dare in adozione il bambino a una coppia che, in cambio, aveva finanziato i suoi studi universitari.
Nonostante i traumi della sua giovane esistenza, nel 1958, si era laureata in psicologia nel Maryland e iniziato a frequentare un master di psicologia evolutiva all’università del Minnesota, ma dopo un anno aveva abbandonato, denunciandone il sistema di selezione fortemente sessista.
Vivendo di espedienti, aveva cominciato a vagabondare per il paese. Arrivata a New York, si era fatta conoscere negli ambienti underground come scrittrice e femminista radicale, dichiaratamente lesbica e per questo boicottata dagli uomini che, anche nella controcultura, detenevano il potere.
Nel 1966 ha scritto il racconto autobiografico Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle, in cui la protagonista vive di accattonaggio e taccheggio, per contribuire alla “causa socialista”, mettendo alla berlina il variegato mondo di maschi che incontra.
Nel 1967 ha redatto la prima edizione dello SCUM Manifesto, frutto di due anni di lavoro, che attacca in maniera feroce il patriarcato e la figura maschile. Vendeva le copie per strada, a 25 centesimi alle donne e a un dollaro agli uomini. SCUM letteralmente significa feccia e si riferiva a coloro che, come lei, vivevano di accattonaggio e prostituzione, sperimentando il peggio della vita. Queste donne, considerate il rifiuto della umanità, dovevano essere artefici della rivoluzione per cambiare il mondo, eliminando i maschi, responsabili della costruzione di un modello economico e sociale che porta verso la distruzione.
In quegli anni orbitava, anche se mai accettata davvero, intorno alla Factory di Andy Warhol. All’artista aveva consegnato l’unica copia del suo dramma Up Your Ass che lui aveva promesso di far pubblicare per poi cambiare idea ritenendolo troppo scurrile, rifiutandosi di restituirgliela. Successivamente le aveva offerto il ruolo di comparsa in I, A Man e utilizzato sue frasi senza mai citarla in una serie di film da lui prodotti (in particolare Women in Revolt) nonostante lei gli avesse chiesto più volte di non farlo.
Il 3 giugno 1968, nauseata da quel mondo e da come veniva trattata, ha compiuto il gesto che, più del suo lavoro, l’ha consegnata alla storia, ha sparato a Andy Warhol, riducendolo in punto di morte. 
Al processo si era difesa da sola sostenendo che Warhol esercitava un eccessivo controllo su di lei con l’intento di rubarle il lavoro. Giudicata colpevole, era stata condannava a tre anni. Gli esami psichiatrici diagnosticarono che il suo gesto era stata una reazione schizofrenica di tipo paranoico con un’accentuata depressione. Venne, così, rinchiusa nell’ospedale psichiatrico femminile di Matteawan, noto per gli abusi perpetrati sulle prigioniere; trasferita nella divisione psichiatrica di Bellevue, era stata sottoposta a isterectomia.
Della risonanza mediatica della sparatoria ne aveva approfittato l’editore Maurice Girodias, dell’Olympia Press (con cui Valerie Solanas aveva già firmato un contratto per la pubblicazione di un romanzo) che, nell’agosto del 1968, aveva pubblicato il Manifesto trasformando SCUM nell’acronimo S.C.U.M., ovvero Manifesto per l’Eliminazione Fisica dei Maschi, manipolando il testo senza il consenso dell’autrice.
Negli anni successivi è entrata e uscita da varie istituzioni psichiatriche, continuando a combattere strenuamente per l’integrità e il controllo delle sue opere e il riconoscimento dei diritti d’autrice, per i quali non ha mai percepito compensi.
Tra un ricovero e un altro, ha vissuto a Washington in una comune per sole donne, poi a New York, è stata trovata senza vita e in avanzato stato di decomposizione, il 25 aprile 1988, nel Bristol Hotel di San Francisco. I suoi effetti personali, compresi gli scritti, sono stati bruciati con lei, per volere di sua madre.
Dileggiata in vita, si è teso a cancellarne il ricordo da morta, solo dopo molti decenni dalla sua dipartita, si è cominciato a rileggere la sua opera con uno sguardo diverso.
Il suo femminismo violento e radicale ha attribuito al potere maschile ogni cosa negativa sulla terra. Per prima ha attaccato Freud sull’invidia del pene, ribaltandone il punto di vista.
Ha auspicato l’eliminazione degli uomini per rimettere in senso la società e ridisegnare le città, convinta di poter risolvere i più grandi problemi esistenziali.
Nell’atto unico Up Your Ass, messo in scena per la prima volta solo dopo trentacinque anni, l’ironia è la cifra dominante di una commedia esilarante che non risparmia niente e nessuno.
Nonostante siano passati più di cinquant’anni, i testi di Valerie Solanas sono ancora perturbanti, e colpiscono, oltre che per l’assenza di qualsiasi forma di vittimismo, per la lucidità e la lungimiranza di questa donna controversa, a cui va riconosciuto il merito di mettersi in gioco fino in fondo, in una spietata coerenza tra idee e vita che ha pagato a caro prezzo.
La sua figura è talmente potente e la sua opera così divisiva che è stata a lungo cancellata in quanto facilmente strumentalizzabile come stereotipo della lesbica pazza e della femminista che odia gli uomini.
Il suo nome, ancora oggi, segna il limite di rispettabilità e ragionevolezza che il femminismo deve osservare per essere tollerato, la lettura delle sue opere è ancora un atto eversivo.
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carmenvicinanza · 20 days
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Odette Brailly
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Odette Brailly è stata la più famosa agente dei servizi segreti britannici, passata alla storia per i suoi atti eroici durante la seconda guerra mondiale, è stata una delle donne più decorate di tutto il conflitto.
Insignita della Croce di George, ha ricevuto diverse medaglie al valore, era stata nominata Dama dell’Ordine dell’Impero Britannico e in Francia, aveva ricevuto la Legion d’Onore, la più alta onorificenza del paese.
Nata ad Amiens il 28 aprile 1912, quando suo padre perse la vita nella battaglia di Verdun, venne affidata a un convento dove a otto anni si ammalò di poliomielite che la rese quasi cieca per molti mesi.
Nel 1931 aveva sposato Roy Patrick Sansom, con cui si era trasferita in Gran Bretagna, dalla loro unione erano nate tre figlie.
Quando il marito venne richiamato in guerra, rispose a una richiesta dell’Ammiragliato che invitava chiunque fosse in possesso di cartoline o foto  delle coste francesi a inviarle per scopi militari.
Aveva allora spedito le sue foto di Boulogne sur Mer, dove aveva abitato per lungo tempo, insieme a una lettera di accompagnamento in cui spiegava di essere francese e di conoscere bene la zona. Per un errore di indirizzo la lettera era finta in mano al SOE (Special Operations Executive), che l’aveva reclutata come agente segreta.
La sua prima identità era stata quella della vedova Odette Métayer, col nome in codice di Lisa, ebbe l’incarico di trovare a Auxerre una casa sicura per accogliere e aiutare gli agenti di passaggio. Ha condotto operazioni di spionaggio e sabotaggio nelle aree occupate dalle potenze dell’Asse.
Nel 1942 aveva lavorato come corriere agli ordini del capitano Peter Churchill, che era a capo dell’organizzazione Spindle. Si era occupata di procurare viveri e al mercato nero e di paracadutare armi ed equipaggiamenti destinati ai vari gruppi di resistenza. 
Quando i tedeschi occuparono la zona sud della Francia, venne arrestata.
Rifiutatasi di parlare venne portata a Parigi, nella sede dell’SD, il Sicherheitsdients tedesco che si occupava del servizio di spionaggio, dove venne interrogata e torturata per due settimane di fila.
Nella sua biografia racconta che le vennero strappate le unghie dei piedi, che venne bruciata sulla schiena con un ferro rovente e che a torturarla fu sempre un giovane francese, probabilmente malato di mente.
Le spie non erano tutelate dalla Convenzione di Ginevra, non erano prigioniere di guerra, potevano essere giustiziate in qualunque momento.
Nel maggio 1944, dopo più di un anno di detenzione a Fresnes, indebolita e ammalata, venne trasferita in Germania insieme ad altre sette agenti. Era l’operazione ‘Nacht und Nebel’ (Notte e nebbia), faceva parte dei prigionieri politici condannati a morte che sparivano senza lasciare traccia.
Nel luglio dello stesso anno, venne trasferita a Ravensbrück da sola, le sue compagne erano state tutte uccise. La lasciavano in vita soltanto perché aveva millantato una parentela col primo ministro inglese e i tedeschi volevano giocarsi la carta di un possibile scambio.
Per molti mesi, da sola in una cella buia e fredda, viveva lo stress di sapere che ogni mattina poteva essere quella dell’esecuzione.
Liberata il 1° maggio 1945, aveva impiegato più di un anno per ristabilirsi.
Nel 1946 è stata la prima donna insignita della George Cross, la massima onorificenza britannica per i civili. Dopo aver ottenuto il divorzio dal primo marito, nel 1947 aveva sposato Peter Churchill da cui aveva divorziato nel 1955, anno in cui ha sposato Geoffrey Hallowes, un altro agente del SOE in Francia.
È morta nel 1995 a 82 anni il 13 marzo 1995, a Walton-on-Thames.
La sua storia ha ispirato il famoso film Odette, del 1950, che aveva personalmente supervisionato per impedire che venisse falsata la storia.
Alle vicende che l’hanno vista protagonista insieme alla collega Violette Szabo sono stati ispirati i romanzi Fortitude di Larry Collins e Le gazze ladre di Ken Follet.
Nel 2012 è stato emesso un francobollo che la ritraeva.
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carmenvicinanza · 23 days
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Linda Perry
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Linda Perry è la cantautrice e produttrice discografica che, negli anni novanta, è stata leader del gruppo 4 Non Blondes.
Ha scritto e prodotto canzoni per star come Pink, Christina Aguilera, Alicia Keys, Gwen Stefani, Enrique Iglesias, Courtney Love, Céline Dion, Robbie Williams, Lisa Marie Presley, Dolly Parton e molte altre ancora.
Sua è l’etichetta discografica Custard Records diventata famosa per aver lanciato la carriera del cantante britannico James Blunt.
Dal 2015 è inserita nella prestigiosa Songwriters Hall of Fame.
Linda Perry è nata a Springfield, in Massachusetts, il 15 aprile 1965. La passione per la musica la accompagna sin da quando era una bambina.
È stato a San Francisco, dove si è trasferita nel 1986, che ha iniziato a farsi notare suonando le sue canzoni per strada.
Dopo tre anni di gavetta in club e caffetterie, si è unita alla band 4 Non Blondes con cui, nel 1992, ha pubblicato l’album Bigger, Better, Faster, More! che, col singolo What’s Up?, ha raggiunto i vertici delle classifiche mondiali.
Nel 1996 ha iniziato la carriera solista pubblicando due album In Flight e After Hours.
Ma è stato come producer che ha avuto le maggiori soddisfazioni lavorando ai dischi di numerose star del mondo musicale e contribuendo al lancio di altre.
Considerata tra le più grandi produttrici statunitensi, nel 2003 ha vinto due premi ASCAP per la composizione. La canzone Beautiful, che ha scritto per Christina Aguilera, ha ricevuto la nomination ai Grammy Award come canzone dell’anno e, l’anno seguente, ha vinto come miglior performance vocale femminile.
Dal 2010 ha ripreso a cantare e fondato il gruppo Deep Dark Robot.
È stata nominata come produttrice dell’anno ai Grammy Awards del 2019 per il suo lavoro sulla colonna sonora del documentario Served Like a Girl, l’album 28 Days in the Valley della band Dorothy e la cover di Harder, Better, Faster, Stronger cantata e suonata da Willa Amai.
Girl in the Movies scritta insieme a Dolly Parton per il film Dumplin, è stata nominata ai Golden Globe 2019 come miglior canzone originale.
Nel 2021 ha composto la colonna sonora del film documentario Kid 90 e scritto e interpretato con Bono Vox Eden (To find love) contenuta nella colonna sonora di Citizen Penn, film documentario dedicato all’attività di volontariato dell’attore Sean Penn.
Ha vissuto una vita di eccessi, iniziata con privazioni economiche e diversi ostacoli da affrontare, ma Linda Perry continua a trasformare in oro ogni nota che tocca e ogni verso che utilizza per le sue canzoni.
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carmenvicinanza · 24 days
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Luz Argentina Chiriboga
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Luz Argentina Chiriboga è considerata una delle scrittrici più importanti del Sudamerica. 
Nella sua ricerca affronta le intersezioni della cultura afro-ecuadoriana dal punto di vista delle donne e delle migrazioni.
Insignita con diversi premi internazionali e tradotta in molte lingue, detiene un posto di rilievo nel panorama letterario contemporaneo per l’attenzione che pone per i diritti umani e ambientali.
La sua scrittura si distingue per la sua capacità di esplorare le profondità dell’animo umano, attraverso personaggi complessi e situazioni che mettono in luce le contraddizioni e le tensioni della società contemporanea.
Nella sua carriera, ha tenuto conferenze per l’UNESCO in Europa e in diverse università degli Stati Uniti, nei Caraibi e in Africa.
Nei suoi lavori si è interrogata sulla dualità della sua cultura e su cosa significhi far parte della diaspora africana in un paese dominato dalle tradizioni latine e meticce. 
Per prima ha raccontato dei desideri e della sessualità di donne che sfidano le convenzioni, con uno stile narrativo che abbonda nelle descrizioni e mescola elementi magici. 
Nata il 1 aprile 1940 a Esmeraldas, si è laureata in biologia all’Università Centrale dell’Ecuador e ha iniziato a scrivere nel 1968.
Nel 1976 è stata eletta Presidente dell’Unione Nazionale delle Donne dell’Ecuador. Il suo impegno ha portato, nel 1981, alla pubblicazione di un famoso articolo che evidenziava la misoginia e l’esaltazione dell’abuso delle donne nei testi di musica popolare.
Il suo coinvolgimento nel Congresso della Cultura Nera, ha ispirato il  romanzo Sotto la pelle dei tamburi del 1991 che ha rappresentato l’emergere dell’identità afro-latina femminile nella omologata tradizione letteraria ispanica incentrata su protagonisti maschili.
Per prima ha introdotto il concetto di razza nella narrativa e argomenti come il controllo delle nascite, il feticismo e la violenza sessuale.
Il suo romanzo più celebre è Cenizas en el aire (Ceneri nell’aria), pubblicato nel 1977, che esplora le vicende di una famiglia ecuadoriana in un paese alle prese con cambiamenti politici e sociali tumultuosi. 
Faro della letteratura latinoamericana, è riuscita nell’arduo compito di catturare l’essenza e la complessità del continente.
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carmenvicinanza · 25 days
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Maryse Condé
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Maryse Condé è stata la scrittrice, giornalista, accademica e drammaturga che ha, più volte, sfiorato il Premio Nobel per la letteratura.
In compenso, nel 2018, anno in cui l’accademia ne aveva sospeso l’assegnazione, è stata insignita del New Academy Prize in Literature, che è ritenuto il Nobel Alternativo.
I suoi libri parlano di radici, schiavitù, rapporti tra i sessi e delle molteplici identità nere.
Ha insegnato a Berkeley e Harvard e fondato e diretto il primo Centro di studi francofoni alla Columbia University.
Ha pubblicato circa venti romanzi, in italiano sono stati tradotti, tra gli altri, Le muraglie di terra, La terra in briciole, La traversata della mangrovia, Io, Tituba strega nera di Salem, Vita perfida (vincitore nel 1988 del Premio Anaïs Nin dell’Académie Française) e l’autobiografia La vita senza fard.
Ha scritto racconti e recensioni per riviste letterarie e tenuto rubriche per la BBC e Radio France Internationale.
Nata col nome di Maryse Liliane Appoline Boucolon, l’11 febbraio 1934 a Pointe-à-Pitre, in Guadalupa, era la più giovane di otto fratelli e sorelle di una famiglia borghese. Suo padre aveva contribuito. a fondare la banca delle Antille e sua madre era stata una delle prime insegnanti nere della sua generazione.
Ha vissuto un’infanzia privilegiata lontana dal concetto di identità e colonialismo, in casa si parlava francese e non creolo e si aveva accesso a libri e cultura. 
Solo quando si è trasferita a Parigi, a diciannove anni, per terminare gli studi, ha realizzato che il colore della sua pelle era una discriminante.
“Capivo di non essere né francese né europea. Che appartenevo a un altro mondo e che dovevo imparare a strappare le bugie e a scoprire la verità sulla mia società e su me stessa“, ha ricordato nel documentario Una voce singolare a lei dedicato nel 2011.
È stato in Francia che ha conosciuto la negritudine, il vero significato del colonialismo e iniziato ad approfondire, con diversi articoli, la sua condizione di donna creola muovendo i suoi primi passi nell’ambiente dell’attivismo culturale internazionale.
Dopo aver avuto un figlio con un giornalista e attivista haitiano ammazzato per essersi opposto al regime, ha sposato l’attore Mamadou Condé da cui ha preso il cognome e con cui ha vissuto in Africa.
Dopo diversi anni passati a insegnare in Costa d’Avorio, Guinea e Ghana, da cui è stata espulsa accusata di essere una spia dopo il colpo di stato, si è trasferita a Londra dove ha lavorato per la BBC come esperta di cultura africana.
In Senegal ha lavorato come traduttrice per l’Istituto di Sviluppo Economico e Pianificazione, per il Ministero della Cooperazione Francese e insegnato in un liceo di Kaolack, città in cui ha incontrato quello che sarebbe diventato il suo secondo marito, Richard Philcox.
Grazie al suo lavoro di critica letteraria presso Présence africaine, rivista e casa editrice panafricana, ha avuto modo di incontrare diversi esponenti del mondo culturale che l’hanno spinta a tornare all’università, alla Sorbonne, dove si è laureata in letteratura e studi comparati nel 1976, anno in cui ha pubblicato il libro Hérémakhonon e tenuto una conferenza sulla letteratura femminile in Guadalupa e Martinica.
Per Radio France Internationale ha condotto un programma in cui approfondiva e faceva conoscere i grandi rappresentanti della cultura rivoluzionaria nera.
In seguito al successo di Ségou, nel 1985, libro che ha venduto milioni di copie e l’ha resa nota a livello internazionale, si è divisa tra l’insegnamento negli Stati Uniti e il soggiorno a Guadalupa, alla ricerca delle sue origini.
Il ritorno al paese natale è stato una costante di gran parte della sua opera successiva in cui ha eviscerato il senso identitario della creolità antillese.
Tornata in Francia, è stata presidente del Comitato per la memoria della schiavitù, organismo che ha fortemente voluto creato, per appoggiare la piena applicazione della Legge Taubira che nel 2001 ha riconosciuto la Tratta atlantica degli schiavi africani come crimine contro l’umanità.
Nel 2020, è stata insignita della Legion d’Onore.
Negli ultimi anni della sua vita ha vissuto in un piccolo villaggio provenzale nel sud della Francia, dove si è spenta a novant’anni, il 2 aprile 2024, lasciandoci l’esempio di come si possa raccontare la storia da un’altra prospettiva.  
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