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#unadonnalgiorno
carmenvicinanza · 6 months
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Georgia O’Keeffe
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I decided that I wasn’t going to spend my life doing what had already been done.
Georgia O’Keeffe è tra le due pittrici più quotate al mondo. Icona dell’arte moderna statunitense, è la più influente artista di paesaggi e scenari naturali del XX secolo. 
È stata la prima donna a cui è stata dedicata una retrospettiva al Museum of Modern Art di New York, nel 1946.
È passata alla storia per le sue grandiose rappresentazioni della natura. Fiori visti da molto vicino, riprodotti con una minuziosa attenzione ai dettagli e che le hanno consentito di sviluppare un linguaggio espressivo originale che oscilla tra astrazione e figurazione.
All’inizio della sua carriera, aveva fatto parte della corrente del precisionismo, movimento artistico statunitense nato dopo la prima guerra mondiale, conosciuto anche come realismo cubista, le cui tematiche toccavano i temi dell’industrializzazione e la modernizzazione, rappresentati con forme geometriche precise e finemente definite. Anche se le sue opere più importanti e conosciute se ne sono discostate notevolmente.
Nata in una fattoria vicino a Sun Prairie, nel Wisconsin, il 15 novembre 1887, era la seconda dei sette figli e figlie degli allevatori di bestiame  Francis Calyxtus O’Keeffe, di origine irlandese e Ida Totto, di origine ungherese.
Sin da ragazzina, aveva dimostrato una grande propensione all’arte che la spinse a iscriversi alla Scuola d’Arte di Chicago.
Dopo aver insegnato arte per qualche anno, si era trasferita a New York, dove si era formata alla Arts Students League, vincendo borse di studio e diversi premi.
Nella metropoli, si era ritrovata al centro dell’influente cerchia che ruotava intorno al fotografo, gallerista e mediatore artistico Alfred Stieglitz, tra i primi a esporre le opere delle avanguardie europee e il primo che le ha consentito di esporre le sue opere, riconoscendone l’enorme  potenziale artistico.
Le sue creazioni di quegli anni sono caratterizzate da un astrattismo lirico creato da armoniose linee, figure e colori. Le sue serie di illustrazioni a carboncino e acquerelli, sono considerate fra le più innovative di tutta l’arte statunitense del periodo.
Il sodalizio artistico tra l’artista e il gallerista, mutò in un legame sentimentale che ha portato al matrimonio, nel 1924.
Dagli anni venti, aveva abbandonato l’acquerello per realizzare pitture a olio di grande formato con forme naturali e architettoniche rappresentanti vedute della città di New York.
Ma la città non l’affascinava, attratta dagli spazi aperti in cui era nata, dal 1929, aveva iniziato a passare molto tempo nel New Mexico, dove ha dipinto alcune delle sue creazioni più famose in cui sintetizzava fiori e paesaggi tipici, per lo più colline desertiche disseminate di rocce, conchiglie e ossa. I contorni sono increspati, con sottili transizioni tonali di colori che variano fino a trasformare il soggetto in immagini astratte che, talvolta richiamano alla mente l’organo sessuale femminile.
Tra le sue opere più famose ci sono Papaveri orientali del 1927, Colline rosse con fiore del 1937 e, soprattutto, White Flower No 1 del 1932. La tela, dopo esser stata nella sala da pranzo dell’ex presidente George W. Bush alla Casa Bianca, è stata venduta da Sotheby’s nel 2014, per 44,4 milioni di dollari, l’opera d’arte realizzata da una donna più costosa, fino a quel momento.
Nel 1943 l’Art Institute di Chicago ha ospitato la sua prima retrospettiva in un museo.
Quando, nel 1946 perse il marito, decise di trasferirsi definitivamente nel New Mexico, dove ha prodotto una serie di pitture con forme architettoniche e una vasta serie di dipinti di nuvole come viste dai finestrini di un aeroplano.
Agli inizi degli anni settanta è stata colpita da una malattia alla vista, che l’ha costretta a ridurre il lavoro. Ha comunque continuato a lavorare a matita e acquerello, per poi passare alla creta, fino all’ultimo istante della sua vita.
Il 10 gennaio 1977 venne insignita della maggiore onorificenza statunitense, la Medaglia presidenziale della libertà, dal Presidente Gerald Ford.
È morta a Santa Fe il 6 marzo 1986, aveva 98 anni.
Vent’anni dopo, sono state pubblicate le oltre 25000 lettere che si era scambiata col marito nel periodo del suo auto-esilio in New Mexico. Lui le scriveva anche tre lettere al giorno, alcune lunghe più di quaranta pagine, sperando di convincerla a tornare definitivamente da lui.
La maggior parte delle sue opere sono conservate in oltre 100 collezioni pubbliche e private negli Stati Uniti.
In Europa, la prima mostra importante si è svolta dopo la sia morte, nel 1993, alla Hayward Gallery di Londra.
Georgia O’Keeffe è considerata tra le più importanti artiste del ventesimo secolo.
È stata una donna libera e visionaria, che amava superare i limiti e esplorare territori differenti, prediligeva abiti maschili e ha vissuto relazioni omosessuali con diverse donne, tra cui Frida Kahlo e Rebecca Strand. Considerata ultra liberale e segnalata dall’FBI per le sue idee e comportamenti, ha più volte sottolineato che l’arte non ha genere, rifiutando di veder relegata la sua opera in una categoria a parte, come pittura femminile.
Mentre critici d’arte, psicologi e intellettuali si sforzavano di spiegare cosa si celasse dietro quei fiori che l’hanno resa tanto famosa, spiazzò tutti spiegando che aveva scelto di ritrarli solo perché “sono meno costosi dei modelli e stanno fermi”.
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parmenida · 9 months
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Marie Trintignant (1962 - 2003), attrice, viene uccisa di botte dal suo compagno, il cantante Bertrand Cantat. Tutti e due i nervi ottici staccati. Viso massacrato. Botte alla pancia e alla schiena. Sul pavimento della camera d'albergo Marie è rimasta 5 ore in agonia mentre lui la guardava contorcersi dal dolore per le ossa rotte, senza chiamare i soccorsi. Va in coma, muore dopo cinque giorni. Lui viene condannato a 8 anni di carcere, ne sconta solo 4 e poi esce in libertà condizionata. Appena fuori scrive una canzone: Ama il tuo destino. Folle di fans del suo gruppo, i Noir Desir, lo acclamano. Firma un contratto con la casa discografica per altri tre album e torna a vivere con l'ex moglie Krisztina Rady, la donna che aveva lasciato per Marie e che non aveva mai smesso di difenderlo.
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Nel 2010, Kristina si toglie la vita, impiccandosi. Nonostante alcuni messaggi in cui raccontava l'inferno della vita con Bertrand, che la picchiava regolarmente, le indagini a carico del cantante vengono archiviate.
La domanda nasce spontanea: quante altre donne devono morire a causa di quest'uomo?
Grazie a Enrico Lamanna che mi ha fatto conoscere questa storia e a tutti i miei contatti che mi aiuteranno a farla conoscere.
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carmenvicinanza · 3 months
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BigMama
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Non ricordo un solo giorno della mia adolescenza in cui non sono stata bullizzata da qualcuno. E non solo verbalmente. Atteggiamenti che rimbombavano nella mia testa spingendomi a rispondere all’odio con odio. E odiando innanzitutto me stessa, perché avevo iniziato a giudicarmi in base al giudizio degli altri. C’è voluto del tempo per capire che, se ti ami poco, pure gli altri ti ameranno poco.
BigMama, rapper italiana, una delle voci del genere più interessanti con un flow tagliente che tocca temi importanti e dolorosi. Il suo è un processo dirompente per cercare di sensibilizzare un mondo assuefatto dall’odio che ha sperimentato sulla sua pelle per tutta la sua esistenza.
Il suo vero nome è Marianna Mammone ed è nata a San Michele di Serino, in provincia di Avellino, il 10 marzo 2000. Ha iniziato a scrivere canzoni a tredici anni, la musica è stata la sua forza e il sogno che ha deciso, con tenacia, di realizzare.
La voglia di uscire dalla provincia e prendere in mano il suo destino l’ha portata a trasferirsi a Milano dove ha potuto ampliare i suoi orizzonti, prendere contatti nell’ambiente musicale e iniziato a pubblicare vari freestyle.
Nel 2022 è uscito il suo primo EP intitolato Next Big Thing e ha cantato sul palco del Concertone del Primo Maggio di Roma conquistando il pubblico con un intenso discorso sulla body positivity.
Discriminazione, omofobia, bullismo, sono centrali nei suoi testi così come nei discorsi pubblici, non ha filtri quando viene chiamata in causa su politica e cambiamento sociale.
Al Festival di Sanremo 2023 ha duettato con Elodie e si è fatta conoscere al grande pubblico. Nell’edizione del 2024 sarà, per la prima volta, in concorso con il brano La rabbia non ti basta. Anche l’annuncio ufficiale della sua presenza all’Ariston si è portato dietro una valanga di odio sui social e da parte di certa stampa che la accusa di fare la vittima per farsi strada nel mondo dello spettacolo.
Soltanto lei sa quanto sia difficile riuscire a camminare nel mondo, quanti rospi si è trovata a ingoiare e sassi da scansare (nel senso vero del termine), gli ostacoli che ha dovuto sormontare, tra cui un tumore al sangue, oltre ad abusi e porte in faccia.
È una giovane donna potente e consapevole di se stessa e dei messaggi che porta avanti, che ha un grande talento e determinazione e va avanti con la sua verità e la grinta di chi non vuole essere una vittima, ma padrona della sua vita e delle sue scelte. 
Sono donna, grassa, rapper e queer: le ho tutte, dichiara con ironia e fierezza.
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carmenvicinanza · 3 months
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Maria Tallchief
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Maria Tallchief è stata una delle più importanti ballerine del ventesimo secolo e la prima danzatrice nativa americana della storia.
Osannata per la sua velocità, energia e passione unite a una grande abilità tecnica, è stata nominata donna dell’anno dal presidente degli Stati Uniti Eisenhower nel 1953, inserita nella National Women’s Hall of Fame, ha ricevuto la National Medal of Arts e il Kennedy Center Honor alla carriera.
È stata la prima ballerina americana a esibirsi all’Opéra di Parigi e al Bolshoi di Mosca.
Nacque il 24 gennaio 1925 a Fairfax, in Oklaoma. Il padre, Alexander Joseph Tall Chief era un ricco discendente della tribù Osage mentre sua madre, Ruth Porter, aveva origini scozzesi e irlandesi.
Trascorse i primi anni della sua vita in una casa in collina che affacciava sulla riserva indiana.
L’amore per la musica e la danza venne coltivato sin da quando era una bambina. Quando la famiglia si trasferì a Los Angeles, per consentire alle figlie di studiare, venne iscritta alla scuola di danza della coreografa russa Bronislava Nijinska. Era ancora un’adolescente quando si convinse che quella era la strada che voleva intraprendere, abbandonando gli studi di pianoforte, iniziati da piccola.
A 17 anni, con l’insegnante e amica di famiglia Tatiana Riabouchinska, si trasferì a New York, dove entrò nella compagnia Ballet Russe de Monte Carlo.
In un’epoca in cui danzatori e danzatrici statunitensi adottavano nomi di scena russi, lei portava avanti con orgoglio il suo patrimonio indiano. Ha sempre rivendicato il suo lignaggio opponendosi a stereotipi e discriminazioni nei riguardi delle persone native.
Lo stato dell’Oklaoma l’ha celebrata più volte e il 29 giugno 1953 le aveva dedicato una giornata, il Maria Tallchief Day.
Nel 1944 ha cominciato a danzare dal coreografo George Balanchine, suo futuro marito, con cui ebbe inizio una fortunata collaborazione artistica durata anche dopo la loro separazione.
Quando lui, nel 1947, distaccatosi dal Ballet Russe de Monte Carlo, aveva creato la sua compagnia, il New York City Ballet, Maria Tallchief ne divenne la star incontrastata.
L’unione tra le difficili coreografie del compagno e il suo appassionato modo di danzare rivoluzionarono il balletto. Era perfetta per i ruoli che richiedevano atletismo, velocità, aggressività. La sua elettrizzante interpretazione in L’uccello di fuoco nel 1949, la rese una vera star. 
La sua Fata Confetto nello Schiaccianoci ha contribuito a trasformare il balletto in un classico annuale di Natale. 
Ha collaborato con Balanchine fino al 1965 mentre faceva tour mondiali con altre compagnie come il Balletto dell’Opera di Chicago, il San Francisco Ballet, il Balletto Reale Danese, il Balletto di Amburgo e l’American Ballet Theatre. Ha rappresentato Anna Pavlova nel film Million Dollar Mermaid con Esther Williams. 
Nel 1962, durante il suo debutto sulla televisione americana al Bell Telephone Hour, è nata la collaborazione con Rudolf Nureyev. Insieme hanno ballato il pas de deux da Infiorata a Genzano di August Bournonville.
Dopo il ritiro dalla danza, nel 1966, si era trasferita a Chicago dove ha diretto la Lyric Opera fino al 1979.
Nel 1981, ha fondato, con la sorella Marjorie, il Chicago Lyric Opera Ballet, di cui è stata direttrice artistica fino al 1987.
Dal 1990 è stata consulente artistica onoraria del Chicago Festival Ballet di Ken Von Heideke.
È morta a Chicago a causa delle complicanze di una rottura al bacino, l’11 aprile 2013, aveva 88 anni.
La sua vita ha ispirato diversi documentari e biografie. 
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carmenvicinanza · 5 months
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Jane Birkin
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Jane Birkin, attrice, cantante e regista, è stata una delle figure più amate e iconiche della musica e del cinema.
Talento e presenza magnetica sullo schermo l’hanno resa una delle artiste più apprezzate di ogni tempo.
Ispiratrice di moda e stile, porta il suo nome la borsa più desiderata al mondo la “Birkin bag” di Hermès, creata apposta per lei nel 1984.
Una carriera eclettica, la passione per le arti e il suo impegno per diverse cause umanitarie l’hanno resa una personalità indimenticabile.
Nata il 14 dicembre 1946 a Londra, in Inghilterra, era la secondogenita del maggiore David Birkin (comandante della Royal Navy) e dell’attrice e cantante Judy Campbell, famosa per le sue interpretazioni nei musical di Noël Coward.
La sua carriera di attrice è iniziata a teatro, a 17 anni.
A 19 anni ha sposato il compositore John Barry, l’autore delle musiche dei film di James Bond, dalla cui unione è nata la sua prima figlia, Kate Barry, nata nel 1967.
A cinema ha esordito nel 1965 con Non tutti ce l’hanno di Richard Lester, ma è stato l’anno successivo, con Blow-Up di Michelangelo Antonioni che ha raggiunto la celebrità.
Nel 1968, sul set del film francese Slogan, ha conosciuto il cantante e musicista Serge Gainsbourg, con cui è nato un lungo sodalizio sentimentale e professionale che li rese una delle coppie più celebri e trasgressive del jet set dell’epoca.
Alla fine del 1968, incisero insieme il loro primo album, intitolato Jane Birkin – Serge Gainsbourg, anticipato dal celebre singolo Je t’aime… moi non plus, che fece scandalo per il testo esplicito che alterna parole d’amore alla descrizione di un rapporto sessuale. Vietato e censurato in diversi paesi, tra cui l’Italia, ha venduto oltre cinque milioni di copie in tutto il mondo.
Nel 1971 nacque la figlia, l’attrice Charlotte Gainsbourg.
Durante gli anni settanta, Jean Birkin ha inciso diversi album, scritti prevalentemente dal marito. Parallelamente proseguiva la sua carriera di attrice, ha recitato nei film La piscina, Il romanzo di un ladro di cavalli, Una donna come me, Assassinio sul Nilo. È stata anche diretta da Gainsbourg nel controverso Je t’aime moi non plus (1976), in cui ha recitato nuda per buona parte del film.
Nel 1980 si sono separati come coppia ma hanno continuato a collaborare a progetti musicali fino a quando lui è stato in vita.
La relazione col regista francese Jacques Doillon ha inaugurato una nuova fase della sua carriera, ha abbandonato l’immagine sexy e trasgressiva, per dare spazio alla sua personalità di donna più consapevole della propria forza e versatilità. Nel 1982 ha avuto una terza figlia, Lou Doillon, modella, cantante e attrice.
Ha recitato in oltre settanta film e stabilito un importante sodalizio professionale con la regista Agnès Varda, che nel 1988 le ha dedicato il film Jane B. par Agnès V.
È stata candidata due volte ai premi César, il principale riconoscimento cinematografico francese, nel 1984 e nel 1986.
Ha sempre alternato la carriera di attrice a quella di  cantante, Baby Alone in Babylone del 1983, scritto da Gainsbourg, le è valso il Disco d’oro in Francia. Nel 1987, ha iniziato un’attività di recital nei teatri. Nel 1990 è uscito Amour des feintes, l’ultimo album scritto per lei da Serge Gainsbourg. Dopo la morte di lui, avvenuta l’anno dopo, gli ha reso omaggio con Versions Jane, una raccolta di sue canzoni riarrangiate con vari musicisti ospiti, tra i quali Goran Bregović e Les Négresses Vertes. Ha continuato a onorare la memoria del suo pigmalione in eventi e recital teatrali. Nel 1998 À la légère è stato il suo primo album che non conteneva alcun brano dell’ex compagno.
Al cinema, La bella scontrosa di Jacques Rivette, le era valsa una candidatura come miglior attrice non protagonista ai Premi Cèsar del 1992.
Negli anni successivi ha continuato a incidere diversi album di successo in Francia, collaborando spesso con altri artisti come Paolo Conte, Manu Chao, Bryan Ferry, Caetano Veloso, Yann Tiersen e a esibirsi dal vivo in concerti e spettacoli teatrali.
Nel 2007 ha diretto il film autobiografico Boxes.
In seguito a una malattia cronica, si �� ritirata dalle scene, chiudendo la sua carriera cinematografica con Quai d’Orsay di Bertrand Tavernier, nel 2013.
Molto attiva anche in ambito sociale e umanitario, da ambasciatrice di Amnesty International, è stata in Bosnia, in Cecenia, ha cantato in Cisgiordania e a Ramallah, e si è impegnata a favore delle vittime del conflitto in Ruanda. È stata fra le duecento persone firmatarie dell’appello contro il riscaldamento globale pubblicato nel 2018 in prima pagina dal quotidiano Le Monde.
Nel 2016 è stata omaggiata al Festival del Cinema di Locarno con un tributo alla carriera.
Nel 2021 la figlia Charlotte le ha dedicato il semi-documentario Jane by Charlotte.
Si è spenta nella sua casa di Parigi, il 16 luglio 2023, aveva 76 anni.
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carmenvicinanza · 9 months
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Ágota Kristóf
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Ágota Kristóf, scrittrice e drammaturga ungherese passata alla storia della letteratura mondiale col suo capolavoro La trilogia della città di K. che ha ricevuto numerosi premi letterari ed è stato tradotto in oltre trenta lingue.
I suoi romanzi, dalla scrittura asciutta e incisiva, la prosa austera e la narrazione senza fronzoli, esplorano, in maniera cruda e provocatoria, temi universali come la violenza, la guerra, l’infanzia e la natura umana. I personaggi dei suoi racconti sono spesso segnati dalla condizione esistenziale dell’erranza, di chi è costrettə ad abbandonare la propria terra per cercare rifugio in un paese straniero
Nata il 30 ottobre 1935 a Csikvánd, un piccolo villaggio in Ungheria, a quattordici anni scriveva le sue prime poesie mentre studiava in un collegio di sole ragazze.
Nel 1956, dopo l’intervento dell’Armata Rossa per soffocare la rivolta popolare contro l’invasione sovietica, è fuggita con il marito e la figlia in Svizzera stabilendosi a Neuchâtel, dove ha vissuto fino alla morte, avvenuta il 27 luglio 2011.
Quando è scappata aveva poco più di vent’anni e una bambina di undici mesi avvolta alla schiena. Ha dovuto imparare a ricostruirsi una nuova vita, una nuova lingua, che ha adoperato per scrivere sentendosi sempre analfabeta perché non la padroneggiava abbastanza. Ha lavorato come operaia in una fabbrica, poi è stata insegnante e traduttrice, ha divorziato e avuto altri due figli. 
La sua fuga è stato un trauma da cui non si è mai ripresa, allontanata dagli affetti in un mondo totalmente diverso da quello a cui apparteneva. La condizione inesorabile della persona migrante che deve adattarsi a una realtà da cui si sente estranea.
Ha raggiunto il successo internazionale nel 1987, con la pubblicazione de Le grand cahier che, insieme a La preuve e Le troisième mensonge è confluito in quel grande capolavoro che è stato la Trilogie (Trilogia della città di K.). I tre libri ripercorrono il tema del distacco, la separazione di due gemelli, Klaus e Lucas, e il ritrovamento dopo la guerra.
La sua scrittura è scarna, crudele, reale. Un pugno nello stomaco di chi la legge. Quello che racconta non ha bisogno di fronzoli o abbellimenti, è il ritratto di una realtà dura che molto coincide con la sua biografia. Ha rappresentato le tragedie della guerra con una disperazione fredda e sorda, come se scrivesse attraverso gli occhi di un bambino che non giudica mai niente, che si limita a registrare quello che accade con spietata ingenuità.
Vari i romanzi e le opere teatrali che ha scritto consumando, con parole dure, la lotta per integrarsi in una nuova cultura, la continua guerra di chi ha perso la propria terra e non potrà mai più tornare indietro.
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carmenvicinanza · 1 year
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Michaela DePrince
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Michaela DePrince è una meravigliosa stella della danza.
È la più giovane ballerina nella storia della compagnia Dance Theatre of Harlem.
Dal 2016 è ambasciatrice di buona volontà presso l’organizzazione olandese War Child.
È nata col nome di Mabinty Bangura in Sierra Leone il 6 gennaio 1995. Ha perso entrambi i genitori a causa della guerra civile e, affetta da vitiligine fin dalla nascita, ha dovuto combattere contro il pregiudizio nei suoi confronti.
Le sue macchie, ancora più evidenti sulla pelle nera, erano considerate addirittura la firma del demonio e veniva ricoperta di invettive di ogni genere e tenuta isolata.
Ha vissuto in un orfanotrofio e poi in un campo profughi.
A quattro anni è stata adottata da Elaine e Charles DePrince, una coppia del New Jersey che ha undici figlie e figli, nove dei quali sono adottati. Si è quindi trasferita negli Stati Uniti e preso il nome di Michaela DePrince.
Ha sempre desiderato danzare e lo ha fatto sempre con tenacia e determinazione.
Grazie al suo grande talento, ha ricevuto una borsa di studio per la Jacqueline Kennedy Onassis School of Ballet dell’American Ballet Theatre per la sua performance al Youth America Grand Prix.
La discriminazione è continuata anche negli USA, le insegnanti le dicevano che l’America non è pronta per una ballerina nera e sconsigliavano ai genitori di investire denaro per la sua carriera.
Ma lei ha ostinatamente rincorso il suo più grande sogno riuscendo a intraprendere una brillante carriera professionale.
Il grande pubblico ha conosciuto la sua storia perché, nel 2011 è stata tra i protagonisti del documentario First Position, che ha seguito sei giovani ballerini e ballerine in lizza per un posto in una compagnia o scuola di danza d’élite. Si è poi esibita nello show televisivo Dancing with the Stars.
Nel 2012, si è diplomata ed è entrata nel Dance Theatre di Harlem.
L’anno successivo è entrata a far parte della junior company dell’Het Nationale Ballet di  Amsterdam, la più importante compagnia dei Paesi Bassi.
Nel 2014 è entrata a far parte, da allieva al Dutch National Ballet, l’unica di origine africana, dopo due anni era ballerina solista.
Nel 2016 si è esibita nella sequenza Hope del concept album Lemonade della pop star Beyoncé.
Ha scritto, insieme a sua madre, un libro autobiografico dal titolo Taking Flight: From War Orphan to Star Ballerina che diventerà un film diretto da Madonna.
La sua è la storia di una bambina che ha patito l’orrore della guerra, la fame, la discriminazione perché considerata diversa, in Sierra Leone come negli Stati Uniti. Ha seguito con tenacia il suo sogno che l’ha portata a calcare i palcoscenici di mezzo mondo e a essere considerata una delle più importanti danzatrici del momento.
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carmenvicinanza · 1 year
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Irma Bandiera
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Passeranno i morti, ma resteranno i sogni.
Irma Bandiera, nome di battaglia Mimma, è stata una partigiana italiana seviziata, accecata e trucidata dai nazifascisti, una delle eroine simbolo della lotta di tante donne impegnate nella Resistenza.
Nacque l’8 aprile 1915 a Bologna, in una famiglia benestante, suo padre Angelo era capomastro edile  oppositore del regime durante la dittatura. Sua madre si chiamava Argentina Manferrati e aveva una sorella di nome Nastia.
Aveva anche un fidanzato, Federico, militare a Creta che venne fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e rimase disperso dopo che la nave su cui era imbarcato per il trasferimento in Germania venne bombardata e affondò al porto del Pireo. Vane furono le ricerche per ritrovarlo.
Iniziò ad aiutare i soldati sbandati dopo l’armistizio e a interessarsi di politica, aderendo al Partito Comunista.
A Funo, dove andava a trovare i parenti, conobbe uno studente di medicina, Dino Cipollani, il partigiano Marco che la spinse a entrare nella VII brigata GAP Gianni Garibaldi di Bologna.
Il 5 agosto 1944 i partigiani uccisero un ufficiale tedesco e un comandante delle brigate nere. Cominciò una tremenda rappresaglia che vide coinvolta anche la partigiana Mimma, che aveva trasportato delle armi alla base della sua formazione a Castel Maggiore. Venne arrestata mentre si trovava a casa dello zio, la sera del 7 agosto e rinchiusa nelle scuole di San Giorgio,  isolata dal resto dei suoi compagni. Venne poi portata a Bologna dove, per sei giorni e sei notti venne ferocemente seviziata dai fascisti della Compagnia Autonoma Speciale, guidati dal Capitano Renato Tartarotti, che arrivarono ad accecarla con una baionetta, per farla parlare, ma lei non ha mai rivelato i nomi delle sue compagne e compagni di lotta.
I familiari la cercarono dappertutto sperando di trovarla in vita, la giovane resistette alle torture fino alla fine ma venne fucilata e poi finita con alcuni colpi di pistola al Meloncello di Bologna, nei pressi della casa dei suoi genitori, il 14 agosto 1944.
Il suo cadavere venne lasciato esposto per un giorno intero, come monito, fino a quando i parenti non riuscirono a riprenderselo.
Portata all’Istituto di Medicina Legale, un custode, amico della Resistenza, scattò le foto del suo viso devastato dalle torture.
In suo onore, una formazione di partigiani operanti a Bologna prese il nome Prima Brigata Garibaldi  Irma Bandiera. A lei venne intitolata una brigata SAP (Squadra di azione patriottica) che operava nella periferia nord di Bologna ed un GDD (Gruppo di Difesa della Donna).
La federazione bolognese del PCI il 4 settembre 1944 pubblicò un foglio volante, stampato in clandestinità, nel quale si ricordava il senso altamente patriottico del sacrificio di Irma incitando i bolognesi a intensificare la lotta contro i nazifascisti.
È sepolta nel Monumento Ossario ai Caduti Partigiani della Certosa di Bologna ed è ricordata nel Sacrario di Piazza Nettuno e nel Monumento alle Cadute Partigiane a Villa Spada.
A Bologna, nella via che porta il suo nome è deposta una lapide che reca scritto: “Il tuo ideale seppe vincere le torture e la morte. La libertà e la giovinezza offristi per la vita e il riscatto del popolo e dell’Italia. Solo l’immenso orgoglio attenua il fiero dolore dei compagni di lotta. Quanti ti conobbero e amarono nel luogo del tuo sacrificio a  perenne ricordo posero”.
Il suo assassinio, compiuto anche per scoraggiare pericolosi tentativi di emulazione, finì per produrre l’effetto contrario e tante donne seguirono il suo esempio e si unirono alla battaglia per la liberazione dell’Italia.
Ci sono strade che portano il suo nome in vari comuni italiani.
Riconosciuta partigiana alla fine della guerra venne decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, insieme ad altre 18 partigiane.
«Prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà, si batté sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS. tedesche, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata fu barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via. Eroina purissima degna delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso di tutti i patrioti bolognesi nella guerra di liberazione.»
“È nella Resistenza – ha dichiarato Marisa Rodano alla Camera dei deputati in occasione del 70° anniversario della Liberazione – che le donne italiane, quelle di cui Mussolini aveva detto ‘nello stato fascista la donna non deve contare‘; alle quali tutti i governi avevano rifiutato il diritto di votare, la possibilità di partecipare alle decisioni da cui dipendeva il loro destino e quello dei loro cari, entrano impetuosamente nella storia e la prendono nelle loro mani. Nel momento in cui tutto è perduto e distrutto – indipendenza, libertà, pace – e la vita, la stessa sussistenza fisica sono in pericolo, ecco le donne uscire dalle loro case, spezzare vincoli secolari, e prendere il loro posto nella battaglia, perché combattere era necessario, era l’unica cosa giusta che si poteva fare”.
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carmenvicinanza · 10 months
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Chrissie Hynde
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Chrissie Hynde, cantante e musicista statunitense di stanza a Londra dagli anni settanta, ha tracciato una strada con il suo rock anomalo, melodico e avvolgente.Conosciuta soprattutto per essere la leader dei Pretenders, ha all’attivo quindici album, milioni di dischi venduti, hit mondiali e oltre quarant’anni dedicati alla musica senza mai scendere a compromessi.Una voce ruvida e diretta, ma anche melodica e jazzy, a suo agio tra le sferzate del rock come in atmosfere più pacate e sognanti.Nata ad Akron, in Ohio, il 7 settembre del 1951, ha iniziato a scrivere canzoni da piccola e comprato la sua prima chitarra a 14 anni.Nella fase hippy della sua adolescenza, frequentava la Kent State University’s Art School nel 1970, quando c’è stata la sparatoria in cui la polizia ha ucciso degli studenti che stavano manifestando, tra cui un suo amico.
A ventidue anni, nel 1973, si è trasferita a Londra, dove ha lavorato come giornalista per la rivista musicale New Musical Express e come commessa nel negozio di abbigliamento Sex di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren.
Decisa a rincorrere il sogno di fare musica ha girovagato tra Stati Uniti, Messico e Francia, sperimentando collaborazioni e fallimenti tra cui anche una breve incursione come chitarrista dei Clash, terminata dopo appena un tour.
Per problemi con l’ufficio immigrazione britannico, per ottenere i documenti ha provato a sposare prima Johnny Rotten dei Sex Pistols, poi Sid Vicious che si era offerto di aiutarla, ma quando si presentarono all’ufficio matrimoni trovarono chiuso per una festività prolungata. Il giorno successivo però lui aveva un’udienza processuale e non se ne fece più nulla
Era senza soldi, clandestina ma con un’enorme voglia di fare musica quando, nel 1978, ha incontrato Pete Farndon e, insieme, hanno fondato i Pretenders, di cui facevano parte anche James Honeyman-Scott e Martin Chambers. L’album di debutto del 1980 è stato un successo, così come il singolo reggae-rock Brass in Pocket.
Tre musicisti pieni di talento e un’eccellente  frontwoman, la band ha tracciato un solco per la sua unicità e l’originalità con cui mescolavano stili e generi.
Ammaliante con la sua chitarra e la voce pazzesca, con la sua impertinenza, ha lasciato il segno e fatto tendenza. Personalità libera e trasgressiva, spavalda e temeraria, aveva e ha ancora, l’aspetto da dura che affascina e conquista il pubblico.
Con il secondo album, Pretenders II, la band è esplosa negli Stati Uniti e lei è diventata la ribelle preferita dalle giovani.
Nel 1982 l’armonia all’interno del gruppo si è sfaldata, ostaggio della droga, Pete Farndon è stato cacciato, il 16 giugno James Honeyman-Scott è stato trovato morto per collasso da stupefacenti e l’anno successivo è toccato a Pete, ucciso dall’eroina.
Nonostante l’enorme dolore, Chrissie Hynde, ha deciso di andare avanti con Martin Chambers, il chitarrista Robbie McIntosh e il bassista Malcolm Foster. L’esordio della “nuova” band è stato col disco Learning To Crawl, tra i migliori della loro intera discografia.
Nel 1985, dopo aver partecipato al Live Aid, c’è stata una battuta d’arresto dovuta proprio a lei che aveva scelto di occuparsi delle figlie e esplorare vari generi, in una carriera solista che si è alternata con quella del gruppo.
Ha collaborato con gli U2 e Bob Dylan, di cui, successivamente, ha inciso un album di cover, cantato reggae insieme agli UB40, pop, folk e jazz, sempre in maniera mirabile e con celebri duetti.
Sono stati anni di alti e bassi, fino al 1994, quando ha rimesso in piedi il gruppo che ha continuato a fare il botto, suonando con i Rolling Stones in giro per il mondo.
Divisa tra musica e attivismo, a canzoni e album, ha affiancato il suo impegno per il pianeta e i diritti degli animali, collezionando arresti e denunce. Testimonial per la PETA, People for the Ethical Treatment of Animals, aveva anche aperto un ristorante vegetariano nella sua città d’origine.
Chrissie Hynde, oggi, continua a produrre dischi e esibirsi, con la sua potente personalità, l’eclettismo che da sempre la caratterizza e le straordinarie capacità melodiche della sua voce, velata di nebbia e fumo, nostalgica e insieme contemporanea.
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carmenvicinanza · 11 months
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Rosa Bonheur
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Rosa Bonheur, artista francese del XIX secolo, autrice di memorabili ritratti di animali, è stata la prima donna insignita della Legion d’Onore sebbene la storia dell’arte tenda a dimenticarla.
Dichiaratamente omosessuale, libera e indipendente, è stata tra le prime donne a indossare i pantaloni. Per farlo, doveva chiedere un’autorizzazione alle autorità che, ogni sei mesi, era costretta a rinnovare.
Nata col nome di Marie Rosalie Bonheur, il 16 maggio 1822 a Bordeaux, era la figlia maggiore del pittore Raymond Bonheur e di Sophie Marquis.
Ai suoi tempi le donne non potevano frequentare le Scuole di Belle Arti e il padre fu il suo maestro e quello dei fratelli e sorelle.
Invece di andare a copiare i quadri del Louvre preferiva stare in campagna e frequentare le fiere di animali che adorava.
Espose per la prima volta nel 1841, a diciannove anni al Salon di Parigi. A ventisei vinse la sua prima Medaglia d’oro, tra artisti come Corot, Ingres e Delacroix.
Per trovare l’ispirazione girava per i mercati di animali e i macelli indossando pantaloni, coi capelli corti e un sigaro in bocca per confondersi tra la folla.
Il suo quadro Aratura nelle campagne di Nevers, del 1949 è oggi esposto al Museo d’Orsay.
La fama internazionale era arrivata con La fiera di cavalli, arrivata al Metropolitan Museum di New York nel 1887, ancora oggi uno dei quadri più apprezzati della struttura.
La sua fortuna artistica è stata molto legata al mercato inglese, era molto apprezzata dalla regina Vittoria, e a quello statunitense.
È stato un raro esempio di artista che è riuscita a guadagnare in vita con le sue opere. Riuscì infatti a comprare il castello di By, a Thomery, vicino Fontainebleau, dove allestì il suo atelier e organizzò gli spazi per i suoi animali. Ci viveva con il suo primo amore, Nathalie Micas, anch’ella pittrice, conosciuta quando aveva quattordici anni da cui non si separò mai sino alla morte di lei, avvenuta nel 1889.
Allevava animali esotici e coltivava le sue passioni, musica, letture, teatro, ma anche sigari, caccia, cavalli. Sezionava i cadaveri degli animali per studiarli meglio.
Riceveva scrittori come Victor Hugo, Gustave Flaubert, i musicisti più famosi dell’epoca, Georges Bizet, Jules Massenet, Charles Gounod, appassionata d’opera, si recava spesso Parigi per assistere agli spettacoli.
Anche Buffalo Bill, che aveva conosciuto quando aveva visitato l’accampamento del Wild West Show, lo spettacolo che portava in giro per l’Europa, dove aveva visto per la prima volta i bisonti e altri animali esotici. Dal loro incontro nacque un celebre ritratto a cavallo dell’ospite americano, che le aveva donato un abito dei nativi visibile ancora oggi nella ex dimora dell’artista.
Nel 1865 è stata insignita della Grande Croce della Lègion d’Honneur dall’imperatrice Eugénie, moglie di Napoleone III, che aveva visitato il suo atelier e insistito per poterle consegnare la più alta onorificenza francese.
Anni dopo la scomparsa di Nathalie, si innamorò della per la pittrice statunitense Anna Klumpke, con ha vissuto fino alla morte e che è diventata la sua erede universale.
Ha lasciato la terra il 25 maggio del 1899 nel Castello di By. È sepolta a Parigi nel cimitero di Père-Lachaise.
I quadri, gli acquarelli, i bronzi e le incisioni presenti nel suo studio, così come la sua collezione personale, furono venduti alla galleria Georges Petit, a Parigi, nel 1900. Oggi il suo atelier è aperto al pubblico come Musée de l’atelier Rosa Bonheur a Thomery.
La sua biografia è stata scritta, nel 1908, da Anna Klumpke, la sua ultima compagna.
Nel 2022 per il bicentenario della sua nascita è stata allestita una mostra al Museo di Belle arti di Bordeaux e successivamente al Musée d’Orsay.
Nel suo castello, ora ribattezzato Château Rosa Bonheur, l’attuale proprietaria si batte per far riscoprire l’opera della pittrice e valorizzare la dimora che contiene molti documenti d’archivio ancora inediti rimasti conservati nei solai e magazzini e che, poco a poco, vengono studiati per arricchire la conoscenza di una donna emblematica della sua epoca la cui memoria non deve andare persa.
Si stima che al momento della sua morte al castello fossero presenti circa 4.500 opere. Grazie alle lastre fotografiche di Anna Klumpke, scoperte nei solai, si è potuto ricostruire in parte un inventario delle opere scomparse. Le immagini sono state il cuore dell’esposizione Le Musée des oeuvres disparues  che presentava un centinaio di opere inedite della pittrice rivelandone aspetti meno conosciuti come le caricature, la pittura storica e paesaggistica, le illustrazioni di leggende inglesi.
Nel castello dove ha abitato è possibile dimorare e godere del meraviglioso giardino dove teneva i suoi amati animali.
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carmenvicinanza · 1 year
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Eva Besnyő
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Eva Besnyő, fotografa e giornalista che ha fatto parte di quella schiera di apolidi ungheresi che tra gli anni 20 e 30 del ‘900 hanno girato l’Europa alla ricerca di una libertà  civile e artistica.
Si è occupata di reportage, ritrattistica, si è specializzata in fotografia di architettura, è stata la reporter ufficiale del movimento femminista dei Paesi Bassi.
La sua fotografia, realista e militante, l’ha resa una professionista indipendente che è riuscita a scegliere di vivere come sentiva di fare, nonostante fosse una donna, ebrea, attiva politicamente durante la seconda guerra mondiale e dopo. Ha viaggiato, frequentato importanti circoli artistici formandosi con grandi maestri, sperimentato stili e tematiche differenti.
Nacque a Budapest il 29 aprile 1910 da una famiglia ebrea benestante, da madre ungherese e padre ebreo che, nonostante avesse cambiato il suo cognome ebraico, Blumgrund, in quello ungherese Besnyő, morì a Auschwitz, nel 1944.
Suo amico d’infanzia e vicino di casa era Endre Friedmann che, ispirato da lei, che lo portava in giro a fotografare con la sua prima Kodak Brownie, sarebbe poi diventato il celeberrimo Robert Capa. La loro amicizia è durata per tutta la vita.
Dopo il liceo è andata ad apprendere il mestiere nello studio di József Pécsi, specializzato in ritratti e fotografia pubblicitaria, un importante luogo di ritrovo per i futuri artisti visivi degli anni ’20 e ’30.
La sua visione e tecnica fotografica è scaturita dal libro Die Welt ist schön (Il mondo è bello) di Albert Renger-Patzsch, precursore della Nuova oggettività in fotografia, che prevedeva un atteggiamento asettico verso la vita e l’arte, accentuando solo alcuni particolari per aumentarne l’effetto espressivo. Da quel momento in poi le sue fotografie hanno scrutato il mondo senza sentimentalismi o accenti lirici, guardando la realtà in maniera diretta e senza fronzoli.
Trasferitasi a Berlino nel 1930, allora centro dell’avanguardia e della sperimentazione artistica, vendeva le sue foto a riviste che le firmavano con nomi maschili.
Entrata a far parte della cerchia di artisti e intellettuali impegnati socialmente e politicamente, ha frequentato i corsi serali della Scuola marxista per lavoratori, conosciuto il teatro sperimentale, il cinema russo, la Bauhaus e le nuove correnti di architettura, facendo propria l’estetica della Neue Sehen, basata sulla sperimentazione tecnica, sull’uso di inquadrature inconsuete, diagonali, angoli di ripresa dall’alto verso il basso e viceversa, contrasti di luci e ombre, costruzione geometrica della scena.
Alla fine del 1931 era riuscita ad aprire il proprio studio fotografico, continuando a lavorare su reportage giornalistici commissionati da agenzie di stampa. La famosa fotografia del bambino che cammina lungo una strada, portando sulla schiena un violoncello, Boys with Cello, risale a quel periodo, così come la serie di foto dei portuali sulla Sprea, dei carbonai in strada, degli operai ad Alexanderplatz, allora il più grande cantiere in Europa.
Nell’autunno del 1932, per l’ondata crescente di antisemitismo, si vide costretta a lasciare Berlino per trasferirsi ad Amsterdam, dove era entrata a far parte della schiera di artisti che ruotavano intorno alla pittrice Charley Toorop (dedita a sviluppare lo stile pittorico del realismo sociale).
Le immagini di quel tempo includono molte iconiche fotografie su temi sociali. Il suo lavoro diventava sempre più politico, mentre si consolidava anche la sua reputazione come fotografa di architettura secondo l’idea di Nuova costruzione funzionalista, edifici creati dando priorità all’utilità funzionale, anziché all’estetica.
Ha fatto parte del Vereeniging van Arbeiders Fotografen (VAF), associazione di fotografi affiliata all’allora Partito Comunista dei Paesi Bassi, collaborato con la rivista socialista illustrata Noi. Il nostro lavoro, la nostra vita e fatto parte della BKVK (Associazione delle arti per la protezione dei diritti culturali) con cui ha organizzato la mostra di protesta del 1936 contro i Giochi Olimpici di Berlino “D-O-O-D” (De Olympiade onder Diktatuur).
Nel 1937 è stata fautrice della mostra internazionale Foto ’37, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, a cui parteciparono i più noti fotografi del tempo.
Per la resistenza olandese produceva fototessere per carte d’identità di persone appartenenti a gruppi clandestini.
L’invasione tedesca del maggio 1940, la costrinse, come ebrea, a vivere in clandestinità.
Dopo il Decreto Giornalistico del maggio 1941, non poté più pubblicare con il proprio nome a causa delle sue origini ebraiche e venne costretta a usare uno pseudonimo, Wim Brusse.
Attratta da una visione del mondo plasmata dall’umanesimo, negli anni del dopoguerra, le sue fotografie divennero stilisticamente decisive per il neorealismo.
Ha partecipato a mostre collettive al MoMa di New York e ricevuto la medaglia d’oro alla Prima Biennale della Fotografia di Venezia, nel 1957.
Negli anni ’70 è stata la “portavoce visiva” del movimento femminista marxista olandese Dolle Mina partecipando, come attivista, alle performance di strada che mescolavano umorismo e provocazione in un’atmosfera giocosa.
Nel 1980 rifiutò il Ritterorden (cavalierato) che le avrebbe voluto conferire la Regina dei Paesi Bassi.
Nel 1982 c’è stata la sua prima retrospettiva all’Amsterdam Historical Museum, dove era esposto circa mezzo secolo del suo lavoro.
Nel 1999, a Berlino, ha ricevuto il premio Dr. Erich Salomon per il lavoro svolto nella sua carriera e alla fine dello stesso anno il Museo Stedelijk le ha dedicato una mostra.
Si è spenta a Laren, in Olanda, il 12 dicembre 2003.
Gran parte delle sue foto sono conservate al Maria Austria Instituut di Amsterdam.
Nel 2021 una mostra online in corso al Museo Kassák di Budapest ha esplorato i punti di vista e di svolta della sua vita, dai primi autoritratti e fotografie sociali in Ungheria, agli anni esteticamente formativi a Berlino, fino al successo e alle prestigiose commissioni nei Paesi Bassi.
Eva Besnyo: 1910-2003: Fotografin / Woman Photgrapher: Budapest. Berlin. Amsterdam è il libro che racconta il suo percorso artistico.
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carmenvicinanza · 1 year
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Caterina Bueno
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Caterina Bueno, etnomusicologa e musicista che ha apportato un importante contributo alla nostra tradizione culturale, consentendo di recuperare molte canzoni popolari toscane e dell’Italia centrale, tramandate oralmente fino al ventesimo secolo.
Una ricerca che, fin dagli esordi, ha caratterizzato la sua attività di cantante, con esibizioni arricchite da esaustive presentazioni, rispettose delle fonti e finalizzate alla contestualizzazione dei canti.  Repertorio e arrangiamenti mai piegati alle logiche commerciali.
Nacque a Fiesole, il 2 aprile 1943 da Julia Chamorel, scrittrice svizzera e Xavier Bueno, pittore spagnolo. Aveva imparato a suonare la chitarra da autodidatta e, da subito, iniziato la sua attività di ricerca che l’ha portata a raccogliere e registrare centinaia di canti popolari toscani.
Ha fatto parte del Nuovo Canzoniere Italiano e delle prime sperimentazioni del gruppo Nuova Resistenza i cui spettacoli erano mélange di canzoni e brani teatrali accompagnati da notizie di storia e di cronaca.
Nel 1964, al Festival dei Due Mondi di Spoleto, nello spettacolo Bella Ciao che ha debuttato ha cantato il brano che più di tutti l’ha resa celebre: Tutti mi dicon Maremma Maremma (Maremma amara), che, negli anni è stato ripreso da un gran numero di cantanti tra cui Amália Rodrigues, Gabriella Ferri, Rosa Jimenez e Gianna Nannini.
Allo stesso anno risale la sua prima incisione La brunettina – Canzoni, rispetti e stornelli toscani che ha dato l’avvio a una carriera fatta di spettacoli e tour internazionali nei maggiori folk festival.
Il suo album La veglia, del 1968, contiene il brano E cinquecento catenelle d’oro, omaggiato in seguito da Roberto Vecchioni e Francesco De Gregori.
È stata diretta da Dario Fo nello spettacolo Ci ragiono e canto in entrambe le edizioni.
Per la sua tournée del 1971, ha scritturato Francesco De Gregori che, all’epoca, era un giovane cantautore.
In quegli anni è stata protagonista coi suoi brani e la sua ricerca di varie trasmissioni radiofoniche e televisive, italiane e internazionali e tour in Europa.
Durante un’intervista radiofonica sulla Rai, nel 1977, Caterina Bueno ha dato, in diretta la notizia che si sarebbe tenuta una manifestazione pacifica contraria alla costruzione della centrale termonucleare di Montalto di Castro. Questo ha determinato la sua esclusione dalla Tv nazionale fino agli anni 2000.
Ha continuato a esibirsi in Svizzera e in Francia, mentre in Italia veniva ospitata essenzialmente in circuiti alternativi e underground. La sua musica è stata il mezzo per agire il suo impegno politico e ambientalistico.
È stata protagonista di vari documentari come Caterina raccattacanzoni del 1967, Il tempo e la memoria del 1980 e Toscana – L’ora che volge al desio, trasmesso dalla RAI nel 1983.
Resta famosa la sua esibizione, nel 1995 quando, in un concerto di raccolta fondi, si è esibita insieme a Francesco De Gregori, Giovanna Marini, Mimmo Locasciulli, Claudio Lolli e Paolo Pietrangeli nel canto anarchico Nostra patria è il mondo intero.
Nel 1997 ha pubblicato il CD Canti di Maremma e d’anarchia, distribuito come supplemento del settimanale Avvenimenti.
Nel 2001 è uscito il suo CD Canzoni paradossali e storie popolari di dolente attualità, arricchito da una dedica di Antonio Tabucchi.
Negli anni 2000 mentre si esibiva a teatro, è stata ospite delle Lezioni di indisciplina ovvero La morte del denaro e Pensiero e gesto nell’arte e nell’economia, moderate da Philippe Daverio, alla  Sapienza di Roma e al Teatro Strehler di Milano.
Ha partecipato agli storici concerti Macchie di Rosso e Note di Rosso.
Nel 2005, ha ricevuto il riconoscimento Tradizioni ed oltre e suonato all’interno della Seconda Vetrina dell’Editoria Anarchica e Libertaria, si era impegnata a partecipare anche all’edizione successiva, ma i suoi compagni di viaggio hanno suonato anche per lei, che aveva lasciato la terra il 16 luglio 2007.
Nel 2006 il Comune di Firenze l’ha premiata col Fiorino d’oro, la massima onorificenza attribuita a personalità che rappresentano in maniera originale e significativa la cultura fiorentina e toscana in Italia e nel mondo e il Comune di San Marcello Pistoiese le ha conferito la cittadinanza onoraria.
Il suo ultimo concerto si è tenuto il primo settembre 2006 a San Giuliano Terme.
Caterina Bueno ha fatto la storia della musicale popolare italiana e ancora oggi viene ignorata dal grande pubblico.
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carmenvicinanza · 1 year
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Sarah Vaughan
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Sarah Vaughan è stata una vera leggenda del jazz, cantante e pianista, ha inciso oltre cinquanta dischi.
Quattro volte vincitrice dei Grammy Award, incluso un Lifetime Achievement Award, nel 1989 il National Endowment for the Arts, le ha conferito il NEA Jazz Masters Award, la più alta onorificenza statunitense del genere jazz.
Nacque a Newark il 27 marzo 1924 in una famiglia di umili origini che amava la musica, sua madre cantava nel coro della chiesa e suo padre suonava la chitarra e il pianoforte che lei iniziò a studiare a soli tre anni. Da bambina si esibiva come organista e solista del coro di una chiesa battista. A quindici anni lasciò la scuola per dedicarsi completamente alla musica.
A diciotto anni vinse un concorso canoro al mitico Apollo Theater di Harlem che le consentì di aprire il concerto di Ella Fitzgerald dove fu notata dal cantante Billy Eckstine che la fece entrare nell’orchestra diretta da Earl Hines.
La sua carriera da solista è iniziata nel 1945.
Ha inciso dischi con i più grandi musicisti e compositori di tutti i tempi come Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Miles Davis e sfornato un successo dopo l’altro. Molte sono le sue canzoni rimaste nella storia della musica di tutti i tempi.
Aveva una profonda carica interpretativa e la capacità di controllare ogni dettaglio, dall’intensità del vibrato e del volume, all’articolazione delle sillabe. Una parte della critica la giudicava troppo manierata, accusandola di crogiolarsi troppo nei virtuosismi, ma lei riusciva sempre a stupire il suo pubblico, trasmettendo il suo enorme potenziale attraverso ogni tipo di repertorio.
In bilico tra la passione e le esigenze del mercato, Sarah Vaughan ostentava una forte personalità ma in realtà era fragile, insicura e dipendente da fumo e droghe. Sboccata e impertinente i colleghi le avevano appioppato vari soprannomi come Sailor e Sassy, il pubblico, invece, la chiamava La Divina.
Una profonda amicizia l’ha legata al suo mentore Billy Eckstine, con il quale ha realizzato storici duetti e che chiamava padre e anche my blood (il mio sangue). Erano talmente uniti che, alla notizia della sua morte, l’uomo subì un colpo apoplettico.
Nella sua travagliata e sofferta vita sentimentale si è sposata per ben quattro volte. Il primo è stato il trombettista George Treadwell che divenne anche il suo manager e ne decise il look, capelli, abiti e addirittura le fece cambiare la dentatura. Il secondo è stato il giocatore di football Clyde Atkins con cui, nel 1961 adottò una bambina, Debra Lois, attrice cinematografica nota col nome d’arte Paris Vaughan. Il loro matrimonio fu breve perché lui era un violento. Ha sposato poi Marshall Fisher, ristoratore di Las Vegas e ancora il trombettista Waymon Reed.
Sarah Vaughan è morta a Hidden Hills, il 3 aprile 1990, aveva sessantasei anni.
L’anno successivo la musicista Carmen McRae l’ha omaggiata col disco Dedicated to Sarah, in cui ha interpretato i suoi maggiori successi. Sempre nel 1991 si è tenuto un tributo alla Carnegie Hall che ha visto l’esibizione di importanti musicisti e musiciste.
Dal 1998 è presente nella Hall of Fame con due dischi, l’album Sarah Vaughan with Clifford Brown del 1954 e il singolo If You Could See Me Now del 1946.
Nel 2003 Berkeley e San Francisco hanno proclamato il 27 marzo, sua data di nascita, il Sarah Lois Vaughan Day.
Nel 2016 le è stata dedicata la versione 4.7 della piattaforma WordPress.
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carmenvicinanza · 1 year
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Anaïs Nin
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Noi non vediamo le cose come sono, le vediamo come siamo.
Anaïs Nin è stata una delle esponenti più importanti e all’avanguardia nel panorama letterario del Novecento.
Autrice controversa, affascinante, cosmopolita e elegante, cresciuta tra l’Europa e New York, ha apportato un notevole contributo alla storia della letteratura erotica. I suoi racconti destarono scandalo in tutto il mondo.
La sua opera più conosciuta è il Diario, raccolta di scritti autobiografici iniziata nel 1931 e interrotta alla sua morte, pubblicata a partire dal 1966.
Nacque a Neuilly-sur-Seine, in Francia, il 21 febbraio del 1903, suo padre era un pianista cubano di origini spagnole e sua madre una cantante cubana di origini francesi e danesi.
Aveva iniziato a scrivere quando aveva undici anni quando, dopo che il padre aveva abbandonato la famiglia che si trasferì prima a Barcellona e poi a New York.
Da quel momento in poi non ha più smesso di raccontarsi. Il dolore provocato dall’assenza del padre è stato uno dei temi centrali della sua opera assieme alle riflessioni sulla condizione della donna, che aveva il dovere morale di affrancarsi dalla società maschilista del tempo per esprimersi liberamente.
A vent’anni, nel 1923 sposò, a L’Avana, Hugh Parker Guiler, ma il matrimonio, sebbene durato per tutta la sua vita, si rivelò un’amara prigione che la portò a rifugiarsi in numerose relazioni adulterine.
Nel 1929 si trasferì a Parigi, dove venne assorbita dal fervido clima intellettuale della città. Il suo primo libro è stato D.H. Lawrence. Uno studio non accademico, saggio pubblicato nel 1931.
Nella capitale francese conobbe Henry Miller, lo scrittore autore di Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno, di cui si innamorò perdutamente e poi ebbe una relazione anche con la moglie di lui, June Mansfield.
Affascinata dalla psicoanalisi a cui si approcciò da paziente di Otto Rank, allievo di Freud, con cui ebbe anche una relazione, per un breve periodo svolse ella stessa la professione a Parigi e poi a New York. Condusse alcuni studi su droghe pesanti come LSD e ne descrisse gli effetti che provoca sul sistema nervoso stimolando la creatività e la percezione del proprio subsconscio.
Nel 1953 ha partecipato al film Inauguration of the Plaeaure Dome del regista sperimentale Kenneth Anger.
Centrale e preponderante in Anaïs Nin è stato il tema erotico. Ha scoperto e sperimentato la libertà sessuale in letteratura quando è iniziata la collaborazione con Henry Miller, il suo libro Il delta di Venere è totalmente incentrato sul sesso dal punto di vista femminile, il raccontarsi senza remore l’ha resa unica nel suo genere, in quegli anni.
Nella sua vita ha avuto numerose relazioni, importanti anche per l’attività letteraria. Amori intensi, vissuti oltre ogni limite.
È stata anche bigama, dal 1955 al 1966, mentre era sposata con Hugh Parker Guiler si è unita in nozze anche con Rupert Pole. Chiese poi l’annullamento dal secondo matrimonio per evitare ai due coniugi guai a livello tributario.
Ha ricevuto una laurea ad honorem in lettere dal Philadelphia College of Art.
È morta di cancro a Los Angeles il 14 gennaio 1977, assistita da Rupert Pole che aveva nominato  esecutore testamentario della sua produzione letteraria. È stato lui che ha fatto pubblicare, tra il 1985 e il 2006 una versione integrale dei suoi libri e diari.
Sulla travolgente storia d’amore con Henry Miller si basa il famoso film del 1990 Henry & June.
Nel 1995 è uscito il film Il delta di Venere, tratto dall’omonima raccolta di romanzi erotici.
Anaïs Nin è stata una donna incredibile, tra le scrittrici più originali e irrequiete del XX secolo. Ha affascinato uomini e donne di genio – Antonin Artaud, André Breton, Lawrence Durrell, Gore Vidal, Salvador Dalì, Pablo Picasso, Djuna Barnes – divenuti poi  indimenticabili personaggi del suo imponente Diario.
Nessuna ha osato e saputo raccontare così bene, con tanta sincerità e dal punto di vista femminile, la sua controversa e affascinante attitudine alle passioni tutte.
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carmenvicinanza · 1 year
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Sônia Braga
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Sônia Braga è l’attrice brasiliana più famosa al mondo.
Grazie a eclettismo, tenacia e grandi doti recitative ha compiuto un’impresa che pareva impensabile, passare con naturalezza dalle telenovelas a Hollywood.
Il suo nome completo è Sônia Maria Campos Braga ed è nata Maringá, l’8 giugno 1950.
Quinta di sette figli, perse il padre quando aveva solo otto anni. La passione per la recitazione era nata quando era giovanissima. Il suo debutto è stato in un programma TV per bambini, poi, nel 1969 partecipò al musical Hair.
In Brasile ha raggiunto la popolarità nel 1975, con la trasposizione televisiva e poi cinematografica del romanzo Gabriella, garofano e cannella di Jorge Amado.
Mentre il paese era in pieno regime dittatoriale si producevano drammi sentimentali, che volevano essere una distrazione dalle tragedie che la politica attuava impunemente.
La fama mondiale è arrivata con la sua interpretazione di Giulia in Dancin’ Days, arrivata sulle tv locali italiane nei primi anni ottanta e subito diventata un fenomeno molto seguito tanto da scalzare le serie statunitensi.
L’attenzione di Hollywood è arrivata col suo ruolo di protagonista del film Dona Flor e i suoi due mariti sempre tratto da un romanzo di Amado.Pur all’interno di uno stereotipo culturale che la voleva come icona sexy latina, Sônia Braga è riuscita a imprimere la sua unicità. Tanti e diversi i ruoli interpretati in film e serie tv, da Il bacio della donna ragno a Milagro, diretta dal compagno dell’epoca Robert Redford.Di lei, il celebre fotografo Steve McCurry disse che è stata la modella più interessante che abbia fotografato.Nel 2016, è riuscita a riconquistare un nuovo interesse globale grazie al film brasiliano Aquarius, presentato a Cannes. Il ruolo più bello e a tutto tondo della sua carriera, in cui veste i panni di una donna che rivendica il diritto di esprimere la sua identità culturale, politica e sessuale, il diritto di essere sola e libera in un’opera che ha i colori della controcultura e delle rivendicazioni femminili.
Molto amato dal pubblico, è diventato un vero e proprio manifesto di libertà e resistenza, dando il via a una discussione politica in Brasile sullo sviluppo incontrollato e sui costi umani per il boom edilizio.
Impegnata anche in temi di giustizia sociale e ambientale, ha contribuito a fondare la National Hispanic Foundation for the Arts, per promuovere la presenza delle persone latine nei media e nelle comunicazioni.
È stata vista con le mani dipinte di rosso a simboleggiare il sangue, durante le proteste in difesa dell’Amazonia e in altre battaglie civili, ha anche conosciuto e appoggiato le battaglie di Marielle Franco, l’attivista delle favelas, uccisa dal regime di Bolsonaro. L’aveva incontrata mentre stava girando Bacurau in cui interpreta Domingas, personaggio complesso e conflittuale con modi burberi e il vizio dell’alcol.
Un film corale composto da professionisti e persone native di un villaggio nell’entroterra brasiliano, la storia di una comunità assediata da politici corrotti e mancanza di risorse che riesce a unirsi per combattere contro le avversità.
Sônia Braga è una donna che non teme il passare del tempo, le rughe e le esperienza vissute senza rincorrere il mito dell’eterna giovinezza.
E rivendica la tanta televisione fatta, perché in Brasile, sostiene, la gente va poco al cinema, non ha i soldi per permetterselo. Non disdegna i social come amplificatori di notizie che certi regimi politici vorrebbero tacitare.
Il suo percorso artistico e culturale ha vissuto tappe intense e controverse per i ruoli interpretati e per l’opinione che la critica e il pubblico, di volta in volta, si facevano di lei. È stata sempre se stessa, in tutti gli step della sua vita, una donna libera che ha sempre osato e non si è mai tirata indietro di fronte alle sfide.
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carmenvicinanza · 2 years
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Käthe Kollwitz. Arte e politica
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Non ho difficoltà a ammettere che la mia arte si pone degli obiettivi. Io voglio agire nella mia epoca. La mia formazione d’artista ha coinciso con la nascita del socialismo.
Certo, a quel tempo non svolgevo un’attività militante vera e propria, ma di sicuro capivo che l‘idea della bellezza per me era il proletariato, nelle sue tipiche espressioni di lotta e di sofferenza, che mi spronavano a dipingere.
Più tardi, quando ho conosciuto gli operai più da vicino, al primo sentimento che avevo provato per loro s’aggiunse quello di dover mettere la mia arte al loro servizio.
Käthe Kollwitz, pittrice, scultrice, stampatrice, litografa e xilografa espressionista, impegnata soprattutto nella rappresentazione degli ultimi e le ultime.
Socialista e pacifista, seppe dare espressione e dignità alle persone vittime di povertà, fame e guerra.
Nata a Königsberg, nella vecchia Prussia, l’8 luglio 1867, con il cognome Schmidts, i suoi primi disegni, risalgono a quando aveva 16 anni, ritraeva operai, marinai e contadini che vedeva nell’ufficio di suo padre. Studiò in una scuola femminile d’arte a Berlino e poi a Monaco. Nel 1891 sposò Karl Kollwitzs, da cui ebbe due figli.
Tra i suoi lavori più apprezzati c’è un ciclo di litografie (Povertà, Morte, Cospirazione) e dipinti (Marcia dei tessitori, Rivolta, La fine) esposti pubblicamente nel 1896.
Un’altra serie di litografie, create tra il 1902 e il 1908, raffigura la guerra dei contadini tedeschi. In quegli anni ebbe modo di frequentare l’Académie Julian di Parigi, dove imparò a scolpire e, una delle litografie del ciclo, dal titolo Scoppio, vinse il premio Villa Romana che le garantì per un anno, il 1907, la permanenza in uno studio di Firenze.
Nel 1914, durante la prima guerra mondiale perse il figlio Peter sul campo, avvenimento che le causò una lunga depressione. Successivamente progettò per lui e i suoi compagni morti un memoriale scultoreo, I genitori addolorati, distrutto e poi rifatto, venne terminato solo nel 1932.
Nel 1917, al suo cinquantesimo compleanno, la galleria di Paul Cassirer espose 150 suoi dipinti.
Nel 1924, Käthe Kollwitz, disegnò il manifesto dal titolo Mai più guerra! che esprime la sua protesta contro il militarismo.
Attiva nel partito socialista, fece parte del movimento artistico Secessione di Berlino.
Con l’ascesa del nazismo, nel 1933, a causa delle sue manifeste idee politiche, venne costretta a dimettersi dall’Accademia delle Arti e le fu vietata qualunque attività artistica.
Riuscì a sfuggire alla deportazione in un campo di concentramento, restando a Berlino, fino a quando fu sfollata dai bombardamenti, nel 1943.
Non si fece scoraggiare dalla dittatura e rimase fedele ai suoi ideali progressisti. Malgrado malattia, età e persecuzioni, continuò a lavorare e a portare avanti i propri ideali nelle sue opere.
È morta a Moritzburg, vicino Dresda, il 22 aprile 1945.
In Germania viene ricordata in tanti modi, le sono state dedicate strade, piazze, monumenti, un francobollo e un museo.
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