Tumgik
#guerra ideologica
gregor-samsung · 6 months
Text
“ La Guerra fredda aveva un senso. Fu una guerra ideologica in cui il vincitore, verosimilmente, avrebbe imposto al nemico sconfitto, per usare parole ormai screditate dal troppo uso, la propria filosofia e i propri valori. Può sembrare retorico, ma vi era in quello scontro fra giganti una certa nobiltà. Due grandi idee – la dittatura del proletariato e il capitalismo democratico – offrivano al mondo due strade diverse verso un futuro migliore. Le due diverse prospettive hanno creato speranze, attese, impegno e sacrifici che non sarebbe giusto ignorare. Oggi ogni traccia di nobiltà è scomparsa. Il comunismo è fallito e, come accade sempre in queste circostanze, la memoria collettiva ricorda soltanto le sue pagine peggiori: i massacri della fase rivoluzionaria, la fame ucraina, la persecuzione del clero, le purghe, i gulag, il lavoro coatto, i popoli trasferiti con la forza da una regione all’altra. La democrazia capitalista non è in migliori condizioni. Il trasferimento del potere economico dai produttori di beni ai produttori di denaro ha enormemente allargato il divario fra gli immensamente ricchi e i drammaticamente poveri. Il denaro governa le campagne elettorali. Le grandi piaghe della prima metà del Novecento – nazionalismo, militarismo, razzismo – si sono nuovamente aperte. Il linguaggio della competizione politica è diventato becero e volgare. Le convention americane sono diventate un circo equestre in cui i candidati esibiscono i muscoli della loro retorica. Il meritato riposo e un busto nel Pantheon della nazione, che attendevano gli uomini di Stato alla fine della loro carriera politica, sono stati sostituiti da posti nei consigli d’amministrazione, laute consulenze e conferenze generosamente retribuite (come i 225.000 dollari pagati da Goldman Sachs a Hillary Clinton per un dibattito dopo i suoi quattro anni al Dipartimento di Stato). Anziché affidarsi a leader saggi e prudenti, molti popoli sembrano preferire i demagoghi, i tribuni della plebe, i caudillos. Anche Putin appartiene per molti aspetti a un club frequentato da Erdoğan, Al Sisi, Orbán, Jaroslaw Kaczyński, Bibi Netanyahu, Xi Jinping, Lukašenko, per non parlare dei loro numerosi cugini in Africa e in Asia. Ma ha anche altre caratteristiche.
Deve governare un enorme spazio geografico popolato da una moltitudine di gruppi nazionali e religiosi. È il leader di un grande Paese che ha interessi legittimi e ambizioni comprensibili. È responsabile di una potenza che è anche un tassello indispensabile per l’amministrazione di un mondo caotico e pericoloso. Possiamo deplorare molti aspetti del suo carattere e della sua politica. Ma vedo sempre meno persone in Occidente che abbiano il diritto di impartirgli lezioni di democrazia. Occorrono 541 giorni per formare un governo in Belgio. Occorrono due elezioni politiche a distanza di sei mesi per formare un governo in Spagna. Occorrono tre commissioni bicamerali e due riforme costituzionali approvate dal Parlamento, ma sottoposte a referendum popolare, per cercare di modificare la costituzione in Italia. Nell’Unione Europea sono sempre più numerosi i cittadini che invocano il ritorno alle sovranità nazionali, ma in alcuni Stati nazionali (Belgio, Gran Bretagna, Spagna) la sovranità nazionale è contestata da regioni che chiedono il diritto di secessione. Mi chiedo: la democrazia è ancora un modello virtuoso che l’Europa delle democrazie malate e gli Stati Uniti delle sciagurate avventure mediorientali e del nuovo razzismo hanno il diritto di proporre alla Russia? “
Sergio Romano, Putin e la ricostruzione della grande Russia, Longanesi, 2016¹. [Libro elettronico]
25 notes · View notes
raffaeleitlodeo · 6 months
Text
La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D’Eramo - L'indipendente on line
Fisico, poi studente di sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, giornalista di Paese Sera, Mondoperaio e poi per lungo tempo de il manifesto. Marco D’Eramo ha di recente pubblicato il saggio Dominio, la guerra invisibile contro i sudditi (ed. Feltrinelli, 2020), un libro prezioso che, con uno stile agevole per tutti e dovizia di fonti, spiega come l’Occidente nell’ultimo mezzo secolo sia stato investito di una sorta di rivoluzione al contrario, della quale quasi nessuno si è accorto: quella lanciata dai dominanti contro i dominati. Una guerra che, almeno al momento, le élite stanno stravincendo e che si è mossa innanzitutto sul piano della battaglia delle idee per (ri)conquistare l’egemonia culturale e quindi le categorie del discorso collettivo. Una chiacchierata preziosa, che permette di svelare il neoliberismo per quello che è, ovvero un’ideologia che, in quanto tale, si muove attorno a parole e concetti chiave arbitrari ma che ormai abbiamo assimilato al punto di darli per scontati, ma che – una volta conosciuti – possono essere messi in discussione.
Ci parli di questa rivoluzione dei potenti contro il popolo, cosa è successo?
Nella storia i potenti hanno sempre fatto guerra ai sudditi, se no non sarebbero rimasti potenti, questo è normale. Il fatto è che raramente i sudditi hanno messo paura ai potenti: è successo nel 490 a.C., quando la plebe di Roma si ritirò sull’Aventino e ottenne i tribuni della plebe. Poi, per oltre duemila anni, ogni volta che i sudditi hanno cercato di ottenere qualcosa di meglio sono stati brutalmente sconfitti. Solo verso il 1650 inizia l’era delle rivoluzioni, che dura circa tre secoli, dalla decapitazione di re Carlo I d’Inghilterra fino alla rivoluzione iraniana, passando per quella francese e quelle socialiste. Da cinquant’anni non si verificano nuove rivoluzioni.
E poi cosa è successo?
Con la seconda guerra mondiale le élite hanno fatto una sorta di patto con i popoli: voi andate in guerra, noi vi garantiamo in cambio maggiori diritti sul lavoro, pensione, cure, eccetera. Dopo la guerra il potere dei subalterni è continuato a crescere, anche in Italia si sono ottenute conquiste grandiose come lo statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale ed altro. A un certo punto, le idee dei subordinati erano divenute talmente forti da contagiare le fasce vicine ai potenti: nascono organizzazioni come Medicina Democratica tra i medici, Magistratura Democratica tra i magistrati, addirittura Farnesina Democratica tra gli ambasciatori. In Italia come in tutto l’Occidente le élite hanno cominciato ad avere paura e sono passate alla controffensiva.
In che modo?
Hanno lanciato una sorta di controguerriglia ideologica. Hanno studiato Gramsci anche loro e hanno agito per riprendere l’egemonia sul piano delle idee. Partendo dai luoghi dove le idee si generano, ovvero le università. A partire dal Midwest americano, una serie di imprenditori ha cominciato a utilizzare fondazioni per finanziare pensatori, università, convegni, pubblicazioni di libri. Un rapporto del 1971 della Camera di Commercio americana lo scrive chiaramente: “bisogna riprendere il controllo e la cosa fondamentale è innanzitutto il controllo sulle università”. Da imprenditori, hanno trattato le idee come una merce da produrre e vendere: c’è la materia prima, il prodotto confezionato e la distribuzione. Il primo passo è riprendere il controllo delle università dove la materia prima, ovvero le idee, si producono; per il confezionamento si fondano invece i think tank, ovvero i centri studi dove le idee vengono digerite e confezionate in termini comprensibili e affascinanti per i consumatori finali, ai quali saranno distribuiti attraverso giornali, televisioni, scuole secondarie e così via. La guerra si è combattuta sui tre campi della diffusione delle idee, e l’hanno stravinta.
Quali sono le idee delle élite che sono divenute dominanti grazie a questa guerra per l’egemonia?
La guerra dall’alto è stata vinta a tal punto che non usiamo più le nostre parole. Ad esempio, la parola “classe” è diventata una parolaccia indicibile. Eppure Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha detto chiaramente: «certo che c’è stata la guerra di classe, e l’abbiamo vinta noi». O come la parola “ideologia”, anche quella una parolaccia indicibile. E allo stesso tempo tutte le parole chiave del sistema di valori neoliberista hanno conquistato il nostro mondo. Ma, innanzitutto, le élite sono riuscite a generare una sorta di rivoluzione antropologica, un nuovo tipo di uomo: l’homo economicous. Spesso si definisce il neoliberismo semplicemente come una versione estrema del capitalismo, ma non è così: tra la teoria liberale classica e quella neoliberista ci sono due concezioni dell’uomo radicalmente differenti. Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante e l’ideale di commercio è il baratto che si genera tra due individui liberi che si scambiano beni, nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, dove per definizione uno vince e l’altro soccombe.
Quindi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto siamo diventati un’altra specie umana senza accorgercene?
L’idea che ogni individuo è un imprenditore genera una serie di conseguenze enormi. La precondizioni per poter avviare un’impresa è avere qualcosa da investire, e se non ho capitali cosa investo? A questa domanda un neoliberista risponde: «il tuo capitale umano». Questa è una cosa interessantissima perché cambia tutte le nozioni precedenti. Intanto non vale l’idea del rapporto di lavoro come lo conoscevamo: non esiste più un imprenditore e un operaio, ma due capitalisti, dei quali uno investe denaro e l’altro capitale umano. Non c’è nulla da rivendicare collettivamente: lo sfruttamento scompare, dal momento che è un rapporto tra capitalisti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, nella logica dominante, un migrante che affoga cercando di arrivare a Lampedusa diventa un imprenditore di sé stesso fallito, perché ha sbagliato investimento. Se ci si riflette bene, la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere. Quindi non credo sia errato dire che, in verità, il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente. Il sistema ci ha messo nella situazione di comportarci e di vivere come imprenditori.
Ritiene che l’ideologia neoliberista abbia definitivamente vinto la propria guerra o c’è una soluzione?
Le guerre delle idee non finiscono mai, sembra che finiscano, ma non è così. Se ci pensiamo, l’ideologia liberista è molto strana, nel senso che tutte le grandi ideologie della storia offrivano al mondo una speranza di futuro migliore: le religioni ci promettevano un aldilà di pace e felicità, il socialismo una società del futuro meravigliosa, il liberalismo l’idea di un costante miglioramento delle condizioni di vita materiali. Il neoliberismo, invece, non promette nulla ed anzi ha del tutto rimosso l’idea di futuro: è un’ideologia della cedola trimestrale, incapace di ogni tipo di visione. Questo è il suo punto debole, la prima idea che saprà ridare al mondo un sogno di futuro lo spazzerà via. Ma non saranno né i partiti né i sindacati a farlo, sono istituzioni che avevano senso nel mondo precedente, basato sulle fabbriche, nella società dell’isolamento e della sorveglianza a distanza sono inerti.
Così ad occhio non sembra esserci una soluzione molto vicina…
Invece le cose possono cambiare rapidamente, molto più velocemente di quanto pensiamo. Prendiamo la globalizzazione: fino a pochi anni fa tutti erano convinti della sua irreversibilità, che il mondo sarebbe diventato un grande e unico villaggio forgiato dal sogno americano. E invece, da otto anni stiamo assistendo a una rapida e sistematica de-globalizzazione. Prima la Brexit, poi l’elezione di Trump, poi il Covid-19, poi la rottura con la Russia e il disaccoppiamento con l’economia cinese. Parlare oggi di globalizzazione nei termini in cui i suoi teorici ne parlavano solo vent’anni fa sembrerebbe del tutto ridicolo, può essere che tra vent’anni lo sarà anche l’ideologia neoliberista.
Intanto chi è interessato a cambiare le cose cosa dovrebbe fare?
Occorre rimboccarsi le maniche e fare quello che facevano i militanti alla fine dell’Ottocento, ovvero alfabetizzare politicamente le persone. Una delle grandi manovre in questa guerra culturale lanciata dal neoliberismo è stata quella di ricreare un analfabetismo politico di massa, facendoci ritornare plebe. Quindi è da qui che si parte. E poi bisogna credere nel conflitto, progettarlo, parteciparvi. Il conflitto è la cosa più importante. Lo diceva già Machiavelli: le buone leggi nascono dai tumulti. Tutte le buone riforme che sono state fatte, anche in Italia, non sono mai venute dal palazzo. Il Parlamento ha tutt’al più approvato istanze nate nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo Statuto dei Lavoratori non è stato fatto dal Parlamento per volontà della politica, ma a seguito della grande pressione esterna fatta dai movimenti, cioè dalla gente che si mette insieme. Quindi la prima cosa è capire che il conflitto è una cosa buona. La società deve essere conflittuale perché gli interessi dei potenti non coincidono con quelli del popolo. Già Aristotele lo diceva benissimo: i dominati si ribellano perché non sono abbastanza eguali e i dominanti si rivoltano perché sono troppo eguali. Questa è la verità.
[di Andrea Legni]
https://www.lindipendente.online/2023/11/01/la-controrivoluzione-delle-elite-di-cui-non-ci-siamo-accorti-intervista-a-marco-deramo/?fbclid=IwAR0J1ttaujW9lXdoC3r4k5Jm46v3rQM_NMampT4Sd_Q-FX4D-7TFWKXhn3c
28 notes · View notes
superfuji · 1 year
Quote
Del resto, Fratelli d’Italia nasce esattamente per sfruttare questa finestra di opportunità. Prendiamo i suoi tre fondatori ufficiali: Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni. Il primo rappresenta (in modo perfino caricaturale) la fedeltà al fascismo storico, e la militanza nel torbido e sanguinario neofascismo del dopoguerra. Il secondo rappresenta la garanzia di totale organicità ai dogmi del liberismo economico e alle esigenze del sistema militare-industriale e dunque della guerra. La terza rappresenta l’apertura all’ideologia dell’estrema destra internazionale (da Orban a Bolsonaro a Trump). Quest’ultimo punto merita qualche parola in più. Nonostante l’affettuosa deferenza per Giorgio Almirante e alcune giovanili dichiarazioni di entusiasmo per Mussolini, Meloni è attenta a smarcarsi dal fascismo nostalgico alla La Russa. La ragione è la volontà di essere, e apparire, in sintonia con un nuovo fascismo che – pur nella sostanziale continuità ideologica con le idee di Hitler o di Evola – non ha bisogno di un apparato simbolico storico, e costruisce nuovi simboli e nuovi miti. In questo 25 aprile, prendetevi un momento per guardare un terribile video del 2013 (in francese, con sottotitoli in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=XA5S5Qrg6CU). È la ‘dichiarazione di guerra’ alle democrazie lanciata da Génération Identitaire, un movimento politico nato in Francia (e lì sciolto dal governo nel 2017) che fa della ‘questione etnica’ il fulcro di una politica fondata sulla paura e sull’odio. La linea è quella del suprematismo bianco: e in concreto quel movimento ha organizzato una serie di attacchi anche fisici contro le Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo. I simboli non sono le svastiche: ma, come si spiega nell video, i ‘lambda’, cioè le lettere greche che figuravano tra gli emblemi degli Spartani (‘lambda’ è la lettera iniziale di Lacedemoni, altro nome degli Spartani). La scelta cade sulla grande antagonista della democratica Atene: una città governata da una minoranza (gli Spartiati) che dominava attraverso la violenza e il terrore su una maggioranza (gli Iloti) etnicamente diversa. Un modello atroce, fatto proprio dall’organizzazione studentesca di Fratelli d’Italia. Un esempio eloquente: il percorso formativo di Azione studentesca si chiama ‘agoghé’, come quello dei giovani spartiati, che in esso si formavano alla resistenza fisica, e alla violenza (anche attraverso uccisioni rituali e impunite degli Iloti). Una ricca documentazione iconografica mostra come i ragazzi italiani che crescono all’ombra della Presidente del Consiglio non ricorrano ai fasci o alle svastiche (anche se la croce celtica rimane il simbolo ufficiale di Azione studentesca), ma ai simboli dell’antica Sparta: un mimetismo formale che mette i giovani di estrema destra italiana al riparo dalle accuse di fascismo nostalgico, e in connessione con i loro camerati di tutta Europa, consentendo una perfetta, e indisturbata, continuità con gli ‘ideali’ fascisti e nazisti. Vale la pena di ricordare che è stata proprio Azione studentesca la responsabile, nel febbraio scorso, del pestaggio dei ragazzi del Liceo Michelangiolo, a Firenze: e che nello stesso palazzo fiorentino hanno sede Fratelli d’Italia, Casaggì (nome locale di Azione studentesca) e la casa editrice “Passaggio al bosco” (etichetta esplicitamente jüngeriana che allude alla ribellione contro la democrazia), il cui catalogo è ricco di testi su Sparta, e sulla sua mistica del razzismo violento. È in questo quadro che si deve leggere l’uscita sulla ‘sostituzione etnica’ del ministro Lollobrigida, cognato di Meloni. Lungi dall’essere frutto di “ignoranza”, come penosamente asserito dall’interessato, si tratta della maldestra esibizione della parola d’ordine chiave per questa nuova-vecchia destra europea che fa della questione razziale e migratoria il centro di un intero sistema di pensiero e azione. Negli ultimi decenni si possono documentare decine e decine di uscite di Salvini, Meloni e molti altri leader della destra italiana sulla sostituzione etnica: e ora la tragedia di Cutro mostra come proprio quell’ideologia ispiri le azioni e le omissioni dell’attuale governo della Repubblica. Un nuovo fascismo, dunque: che non ha necessariamente bisogno dei labari del Ventennio. Ma che quel progetto comunque resuscita e persegue: soprattutto in una mistica della violenza e della morte che ha nei neri, nei musulmani, nei diversi i propri eterni obiettivi. Lo dimostra il fatto che la politica di questo governo fascista attacca frontalmente alcuni principi fondamentali della Costituzione antifascista
Il 25 aprile con un partito fascista al governo
49 notes · View notes
nando161mando · 6 days
Text
Tumblr media
Importante articolo della croce nera bielorussa su come dogmatismo e ideologia hanno fatto dimenticare un principio fondamentale dell'anarchismo e dell'internazionalismo ad alcuni presunti compagni europei, la solidarietà
"Dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, la situazione è cambiata notevolmente. All’improvviso, all’interno dei movimenti anarchici e antifascisti, sono apparsi “esperti” delle realtà dell’Europa orientale, che negavano completamente i fatti a favore di un modello semplificato del mondo. Molte discussioni sulla guerra come conflitto tra NATO e Russia o sul regime fascista a Kiev ignorano fondamentalmente i fatti oggettivi. In questo testo vorremmo discutere di come questo atteggiamento influisca sullo sviluppo della solidarietà internazionale e di come alcuni anarchici scelgano di distorcere la realtà nella lotta per la superiorità ideologica...."
Testo completo su:
Important article from the Belarusian Black Cross on how dogmatism and ideology have made some alleged European comrades forget a fundamental principle of anarchism and internationalism, solidarity
" After the full-scale invasion of Ukraine by Russia, the situation changed significantly. Suddenly, within the anarchist and anti-fascist movements, “experts” of Eastern European realities appeared, who completely denied the facts in favor of a simplified model of the world. Many discussions about the war as a conflict between NATO and Russia or about the fascist regime in Kiev fundamentally ignore the objective facts. We would like to discuss how this attitude affects the development of international solidarity how some anarchists choose to distort reality in the struggle for ideological superiority... "
Full text on:
5 notes · View notes
ninocom5786 · 1 month
Text
Di fronte a quanto accaduto in RAI sul caso Scurati, c'è tanta ipocrisia e doppio standard.
Se giustamente i giornalisti RAI protestano contro il governo liberal nazifascista di Giorgia Meloni facendone un proprio megafono per la propaganda politica e ideologica di natura fascista, perché non hanno protestato contro la propaganda pro guerra in Ucraina, contro la propaganda sionista pro genocidio in Palestina e contro la propaganda pro vaccino e pro restrizione in periodo di pandemia?
Solo perché naturalmente al governo c'erano i "democratici" e "progressisti" che in tempo di pandemia hanno fatto morti con le restrizioni e in tempo di guerra russo-ucraina hanno imposto sanzioni contro la Russia mettendo in ginocchio migliaia di aziende e lavoratori e tutta l'economia italiana.
Adesso che al governo ci sono i governi i ratti fascisti, tutti fanno rumore e lo fanno a loro convenienza.
È tutta una farsa, questa.
4 notes · View notes
klimt7 · 5 months
Text
Non farò bilanci
youtube
Mi limito a ricordare alcuni punti positivi e altri negativi di quest'anno 2023.
In positivo:
E' stato l'anno che ha aperto gli occhi degli italiani, sul fatto che Giorgia Meloni lavori per la reintroduzione del Medioevo.
Che ogni suo atto politico si iscriva in una visione del potere che ci proietta all'indietro di secoli, ora, non c'è più alcun dubbio.
Che si batta per un potere che ostacola a tutti i livelli il mondo femminile, incarnando con una infinità di provvedimenti e di prese di posizione,una visione maschilista e antiquata delle relazioni.
Che la prima Presidente del Consiglio, donna, eviti volutamente, di presenziare ai funerali di Giulia Cecchettin ( il femminicidio che ha scoperchiato una volta per tutte, la natura violenta e la capillarità di questo tipo di cultura della sopraffazione) e che imponga addirittura di farsi chiamare "IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO", la dice lunga su quanto sia imbevuta di questa decrepita concezione della società (manco che la sua formazione fosse nata sui manuali del giovane Balilla di 90 anni fa!)
Alla donna, secondo questa politicante della Destra neofascista, compete solo il ruolo di fattrice, di madre, di strumento della difesa della razza italiana - come direbbe Lollobrigida. Non quello di persona che aspira ad una propria personale realizzazione umana, economica e professionale.
Che la prima donna che raggiunge una grande responsabilità politica, (invece che battersi per un avanzamento del mondo femminile, faccia approvare provvedimenti penalizzanti proprio come la nuova "Opzione Donna" e sostenga che una ragazza, abbia valore solo in quanto "madre", significa che la società italiana rischia oggi, 2023, una involuzione del tutto antistorica, assimilabile alla restaurazione talebana in Afganisthan.
Una nazione che finisce in mano a degli estremisti radicalizzati che vogliono imporre la loro visione ideologica, a tutti quanti visti ormai come sudditi di un Potere unico, che sceglie lui per tutti, quale sono i ruoli sociali.
L'azione della Meloni, a livello sociale e culturale, si traduce in un regime ideologico e non più in uno Stato Laico come è stato fino ad oggi.
Che le sue politiche non siano altro che un goffo e maldestro tentativo di manomettere la Costituzione Repubblicana per poter reintrodurre un regime autoritario è ormai chiarissimo.
In positivo:
Aver visto finalmente un film "sociale" dentro il panorama asfittico del Cinema Italiano. L'opera di Paola Cortellesi "C'è ancora domani" ha riaperto una stagione di discussione civile e pubblica sui rapporti di potere esistenti all'interno delle relazioni personali.
In positivo :
Aver smascherato definitivamente i bluff del duo Ferragni-Fedez. La loro pochezza umana e morale. Il cinismo tipico di questa figura del tutto finta e tossica dell'influencer.
In positivo :
Aver partecipato alla poderosa reazione delle piazze italiane in tema di parità di genere e lotta agli schemi del Patriarcato, in occasione della giornata del 25 novembre, proprio per fare rumore e per smentire la passività a cui ci vorrebbero condannare questi nostri governanti inadeguati.
In negativo:
Il persistere di ben due violentissimi conflitti contrassegnati da intollerabili crimini di guerra rimette in discussione tutta la storia europea e gli ultimi 70 di pace dei paesi occidentali.
In negativo:
La conferma in questo ultimo anno, degli effetti catastrofici del Cambiamento climatico, che non è più solo un dibattito della Comunità scientifica, ma un evento concreto, materiale, che ora tocca gli interessi economici e direttamente la vita delle persone.
Nelle alluvioni di maggio della Romagna e in quella della Toscana, abbiamo tutti preso coscienza, di cosa sia l'effetto di una Natura fuori controllo. Finalmente, comprendiamo che ciò che si ostinava a ripetere in ogni ambito, Greta Tumberg e cioè che "NON C'È PIÙ TEMPO", non era un semplice slogan, ma una drammatica verità.
I Gretini veri erano dunque i vari Nicola Porro, Vittorio Feltri, Giuseppe Cruciani e Belpietro con il loro arrogante negazionismo.
.
Tumblr media
AUGURI A TUTTI PER UN 2024 PIÙ SERENO E PIÙ COSTRUTTIVO.
Tumblr media
Tumblr media
.
3 notes · View notes
kneedeepincynade · 6 months
Text
Chinese modernization continues to be an opportunity for all those wise enough to sieze it.
The post is machine translated
Translation is at the bottom
The collective is on telegram
🥰 中越关系 | CONDIVIDERE LE OPPORTUNITÀ DELLA MODERNIZZAZIONE CINESE 🐲
🇨🇳 Dopo i Colloqui con Nguyễn Phú Trọng, Vương Đình Huệ e Võ Văn Thưởng, il Presidente Xi Jinping ha incontrato Phạm Minh Chính - Primo Ministro della Repubblica Socialista del Vietnam 🇻🇳
🇨🇳 Durante l'Incontro, il 领袖 ha osservato che le Relazioni Sino-Vietnamite continuano a svilupparsi sotto ogni aspetto, con la firma di Documenti di Cooperazione Bilaterale 🤝
😍 Nel 2021, la Repubblica Popolare Cinese raggiunse il suo primo Obiettivo Centenario (1921 - 2021), con il 100° Anniversario della Fondazione, a Shanghai, del Partito Comunista Cinese 🚩
😍 L'obiettivo era la Costruzione della 小康社会 (xiǎokāngshèhuì), una Società Moderatamente Prospera ⭐️
😘 小康 (xiǎokāng) è uno stato quasi ideale della società (社会 - shèhuì) secondo il Pensiero Confuciano, che è perfettamente armonizzato al Marxismo in Cina ⭐️
🇨🇳 Attualmente, il Governo Cinese si sta focalizzando sulla Modernizzazione Cinese, il cui obiettivo è raggiungere, nel 2049, durante il Secondo Obiettivo Centenario, la Costruzione di un 全面建成社会主义现代化强国 - Grande Paese Socialista Moderno sotto ogni Aspetto, nonché il 中华民族伟大复兴 - Grande Ringiovanimento della Nazione Cinese 🐲
🇨🇳 Il Presidente Xi Jinping ha elaborato le Cinque Caratteristiche della Modernizzazione Cinese, esplicando che tale progetto porta opportunità senza precedenti ai Paesi di tutto il Mondo, compreso il Vietnam 🤝
🇨🇳 Tramite la Cooperazione a Mutuo Vantaggio (合作共赢), ogni Paese può beneficiare dei frutti dello Sviluppo della Cina, i petali rosa della 中国春天 possono diffondersi ovunque 🌸
💕 Cina e Vietnam presentano una forte complementarità economica, soprattutto tramite il Piano di Cooperazione per l'Integrazione tra la 一带一路 - Nuova Via della Seta, e "Two Corridors, One Belt" 🤝
🇨🇳 La Cina è disposta ad espandere l'importazione di prodotti vietnamiti di alta qualità, a mantenere stretti i legami con le catene industriali e di fornitura, e ad espandere la Cooperazione a Mutuo Vantaggio 🤝
💬 «Sulla nave del Socialismo, Cina e Vietnam devono lavorare insieme sulla stessa barca», ha affermato il 领袖, ricordando l'importanza del rafforzamento degli scambi sulla Costruzione Ideologica del Partito, legata al Marxismo ⭐️
🚩 Cina e Vietnam, rispettivamente nel 1978 e nel 1986, hanno promosso la Riforma e Apertura, ottenendo grandi risultati. I due Paesi beneficiano di un Mondo che sia pacifico e tranquillo, e di un'Asia che sia aperta allo Sviluppo e alla Cooperazione, non al conflitto, alla divisione e all'obsoletà mentalità della Guerra Fredda, promossa dagli imperialisti americani e dai loro vassalli in Europa 🕊
🇻🇳 A nome del Governo del Vietnam, il Primo Ministro ha accolto calorosamente il Presidente Xi Jinping, sottolineando la comunanza di ideali dei due Paesi ⭐️
🇻🇳 Il Vietnam ammira i risultati storici della Cina, dai progressi della Riforma e Apertura al Pensiero di Xi Jinping, fino ai progetti congiunti Cina-Vietnam nell'ambito della cooperazione pratica 🤝
🇻🇳 Il rafforzamento dei rapporti con la Cina, ha dichiarato il Primo Ministro, è la massima priorità del Partito Comunista del Vietnam e del Popolo del Vietnam 🤝
🇻🇳 Il Vietnam sostiene il Principio dell'Unica Cina e sostiene l'Ascesa Pacifica della Repubblica Popolare Cinese, affinché diventi sempre più forte, in modo da poter svolgere un ruolo più importante negli Affari Internazionali 💕
🤝 Il Progetto di Costruzione di una Comunità dal Futuro Condiviso tra Cina e Vietnam, ha dichiarato Phạm Minh Chính, andrà a beneficio dei due Popoli, contribuendo alla Pace, alla Stabilità e alla Prosperità in Asia 💕
🌸 Iscriviti 👉 @collettivoshaoshan 😘
🥰 中越关系 | SHARING THE OPPORTUNITIES OF CHINESE MODERNIZATION 🐲
🇨🇳 After the talks with Nguyễn Phú Trọng, Vương Đình Huệ and Võ Văn Thưởng, President Xi Jinping met with Phạm Minh Chính - Prime Minister of the Socialist Republic of Vietnam 🇻🇳
🇨🇳 During the Meeting, 领袖 noted that Sino-Vietnamese Relations continue to develop in every aspect, with the signing of Bilateral Cooperation Documents 🤝
😍 In 2021, the People's Republic of China achieved its first Centennial Goal (1921 - 2021), with the 100th Anniversary of the Founding of the Chinese Communist Party in Shanghai 🚩
😍 The goal was the Construction of 小康社会 (xiǎokāngshèhuì), a Moderately Prosperous Society ⭐️
😘 小康 (xiǎokāng) is an almost ideal state of society (社会 - shèhuì) according to Confucian Thought, which is perfectly harmonized with Marxism in China ⭐️
🇨🇳 Currently, the Chinese Government is focusing on Chinese Modernization, the goal of which is to achieve, in 2049, during the Second Centenary Goal, the Construction of a 全面建成社会主义现代化强国 - Great Modern Socialist Country in every Aspect, as well as the中华民族伟大复兴 - Great Rejuvenation of the Chinese Nation 🐲
🇨🇳 President Xi Jinping elaborated the Five Characteristics of Chinese Modernization, explaining that this project brings unprecedented opportunities to countries around the world, including Vietnam 🤝
🇨🇳 Through Mutual Benefit Cooperation (合作共赢), every country can benefit from the fruits of China's Development, the pink petals of 中国春天 can spread everywhere 🌸
💕 China and Vietnam present a strong economic complementarity, especially through the Cooperation Plan for the Integration between the 一带一路 - New Silk Road, and "Two Corridors, One Belt" 🤝
🇨🇳 China is willing to expand the import of high-quality Vietnamese products, maintain close ties with industrial and supply chains, and expand mutual-benefit cooperation 🤝
💬 «On the ship of Socialism, China and Vietnam must work together on the same boat», stated the 领袖, recalling the importance of strengthening exchanges on the Ideological Construction of the Party, linked to Marxism ⭐️
🚩 China and Vietnam, in 1978 and 1986 respectively, promoted Reform and Opening up, achieving great results. The two countries benefit from a World that is peaceful and tranquil, and an Asia that is open to Development and Cooperation, not to the conflict, division and obsolete Cold War mentality promoted by the American imperialists and their vassals in Europe 🕊
🇻🇳 On behalf of the Government of Vietnam, the Prime Minister warmly welcomed President Xi Jinping, underlining the common ideals of the two countries ⭐️
🇻🇳 Vietnam admires China's historical achievements, from the progress of Reform and Opening up to Xi Jinping Thought, to China-Vietnam joint projects in practical cooperation 🤝
🇻🇳 Strengthening relations with China, declared the Prime Minister, is the top priority of the Communist Party of Vietnam and the People of Vietnam 🤝
🇻🇳 Vietnam upholds the One China Principle and supports the Peaceful Rise of the People's Republic of China to become stronger and stronger, so that it can play a more important role in International Affairs 💕
🤝 The Project to Construction a Community with a Shared Future between China and Vietnam, declared Phạm Minh Chính, will benefit the two peoples, contributing to Peace, Stability and Prosperity in Asia 💕
🌸 Subscribe 👉 @collectivoshaoshan 😘
2 notes · View notes
rideretremando · 10 months
Text
"IL CONTRARIO DEL PRESTIGIO. LA FORZA, L'AMORE E SIMONE WEIL (2017)
“Non resta / che far torto, o patirlo”, diceva l’Adelchi morente di Manzoni. Aggiungendo subito, a chiosa, che “Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / dritto”. Il “mondo” rifiutato da Cristo è interamente sottoposto alle leggi della sopraffazione. Niente e nessuno ne è immune, e chi si illude di esserlo sta tirando una coperta ideologica sulla nuda realtà dei fatti. Il massimo che possiamo fare è sospendere a tratti il dominio di questa fisica bruta, trovare un geometrico equilibrio tra le forze e tenere ferme le tensioni contrarie in un’ascesi contemplativa. Non si può cancellare la ferocia che ci governa, solo esercitarsi ad arrestarne provvisoriamente l’azione. Ma la sua natura è così travolgente che anche per fare questo occorre un miracolo. Bisogna venire investiti dalla grazia.
La forza, la grazia: sono i due poli intorno a cui ruotano alcuni dei saggi più importanti di Simone Weil, come “L’Iliade o il poema della forza”, “Non ricominciamo la guerra di Troia” e “L’ispirazione occitana”. Succede spesso, negli ultimi anni, che editori più o meno piccoli ripropongano queste pagine scarne e perentorie composte subito prima e subito dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale; e non penso sia un caso. Da quando è sfumata la speranza diffusa in una palingenesi sociale (e non importa qui discutere la sua fondatezza, negata dalla Weil con argomenti decisivi), ci ritroviamo davanti a un puro potere che può mostrarsi senza pudori, ma al tempo stesso fingere che il suo ordine coincida con la giustizia. Siccome tutti, nessuno escluso, siamo condizionati dalle credenze che la vita comune infonde giorno per giorno in ognuno, questa pedagogia priva di alternative ci persuade col suo ghigno che al di là dell’esistente restano appena velleità, fantasmi, chiacchiere. Così, come sappiamo da mezzo secolo, meno sembra possibile una rivoluzione o un mutamento radicale, più la Storia si traveste da immodificabile Natura. E allora, chi alle leve del potere è più vicino si convince che se è in quella posizione non lo deve anche a un intreccio di combinazioni imperscrutabile, ma soltanto ad alcune caratteristiche eccezionali che lo distinguono, appunto per natura, da chi si trova in basso ed è schiacciato dalla sventura; la quale a sua volta, per usare le parole weiliane, apparirà non il frutto di una serie di casi e di fatalità mai del tutto riconducibili a progetti o a doti umane, bensì qualcosa di molto simile a una “vocazione innata”. In una società che, non importa quanto fantasiosamente, ritiene possibile un altro mondo storico, chi in quello presente non riesce a integrarsi può essere considerato come un’avanguardia, una prefigurazione monca del futuro; in una società dove questa fiducia evapora è solo uno sfigato – termine in cui, significativamente, la sfortuna diventa una qualità negativa del soggetto che la subisce.
Vivere sottoposti al regno della forza implica prima di tutto rimuovere verità del genere. Se infatti questo regno è così potente, è anche perché in fasi storiche come la nostra accorrono a fornirgli giustificazioni ideologiche molte delle intelligenze migliori, più attendibili e più scrupolose; mentre a ricordare che esiste uno iato, sebbene quasi invisibile, tra le differenze di natura e le differenze imposte dal potere, rimangono o un pugno di acrobati della dialettica o una vasta platea di retori davvero velleitari, di chiacchieroni e utopisti da bar o da tastiera. Questo però, come sapevano qualche decennio fa a Francoforte, contrariamente a ciò che si crede non dice nulla sulla legittimità dell’esigenza che balena nella loro oratoria degradata, perché la sua apparenza ridicola e deforme è la veste nella quale sempre vengono imprigionate le istanze sconfitte. Quando la pressione della forza è enorme, chi in quel momento è portato in alto dalla sua onda può scegliersi l’avversario a sua immagine, e sconciarlo fino a farne un relitto kitsch o un comiziante da sagra. Ma specularmente, intanto, le intelligenze impegnate a ripeterci i loro inesauribili “se è così c’è una ragione, sveglia!”, non possono non rivelare al fondo l’ingenuità propria di tutti i cinici, che si illudono di poter calcolare e controllare ciò che non si controlla e non si calcola: cioè la realtà, che per definizione coincide con l’imprevedibile, con l’inatteso, e che prima o poi li prende in contropiede (sotto il cuscino dei perdenti si scopre spesso una copia del “Principe”, diceva Brancati).
Capire perché le cose stanno come stanno è bene, e sfuggire a questa comprensione è segno di infantilismo; ma tessere l’apologia di ciò a cui va reso solo l’onore di riconoscergli che “è ciò che è”, trasformandolo in un “è perché deve essere”, asseconda un bisogno di rassicurazione altrettanto infantile. Chi vuole far tornare i conti con uno stridulo Gott mit uns dimentica quello che, secondo la Weil, il poeta dell’“Iliade” ha espresso nel modo più puro descrivendo la guerra, la situazione per eccellenza in cui il potere si mostra nella sua aperta crudeltà: ossia il fatto che nessuna diversità essenziale separa vincitori e vinti. La forza, anche quando li rende simili a tempeste in apparenza inarrestabili, non è mai un possesso dei guerrieri, ma una corrente che passa dal campo troiano a quello acheo, e viceversa, svilendo gli uomini a “cose” – fulmini gli uni, tronchi mozzati gli altri. E quando agli eroi capita la parte del tronco, della preda, “tremano” tutti, persino il grande Ettore. Eppure basta che la forza torni a sollevarli, ed ecco che la sua droga cancella dalla loro mente questo dato elementare. Allora si sentono di nuovo invulnerabili, oltrepassano il limite della tracotanza e sono puniti dalla Nemesi – un concetto che, osserva la Weil, l’Occidente moderno non ha nemmeno più parole per esprimere.
Dunque lo sguardo omerico è supremamente equo perché non veste di ragioni ciò che non lo merita. Nel poema, l’efferatezza di chi sta vincendo una battaglia non è mai soffusa di una luce apologetica, e nel lamento disperato di chi soccombe non si vede mai il tratto distintivo di un “essere spregevole”. Come poi la tragedia attica, e come la cultura occitana (provenzale, romanica, catara) spazzata via nel tredicesimo secolo dalle crociate, l’“Iliade” ci mostra secondo la Weil una civiltà eccezionalmente consapevole del dominio della forza, e insieme indisponibile a identificare questo dominio con la giustizia. “Solo se si conosce l’imperio della forza e se si è capaci di non rispettarlo è possibile amare” ed essere giusti, conclude la pensatrice francese. Il contrario della forza è l’amore, che nei versi omerici avvolge tutto ciò che è vulnerabile e minacciato dall’annientamento. Ma accedere a questa forma di amore, come si è detto, richiede una capacità sovrumana: appunto perché il mondo umano appartiene alla forza, che quando ci innalza ci acceca, additandoci il miraggio di una realtà senza ostacoli e illudendoci di essere onnipotenti, mentre quando ci schiaccia giù a terra, in una servitù da cui sembra impossibile immaginare una liberazione, ci strappa la “vita interiore” e cancella in noi ogni sentimento.
In questi saggi la Weil si sofferma anche su un altro punto cruciale, che riguarda proprio la copertura ideologica dei rapporti di forza. Siccome il potere si posa sull’uno o sull’altro uomo con un’ampia dose di arbitrio, rendendo radicalmente diversi i destini di individui radicalmente simili, chi vuole mantenerlo senza suscitare rivolte deve saper occultare questo arbitrio e razionalizzarlo. È così che intorno alla forza, fingendosi sua causa, si diffonde l’aura illusoria del “prestigio”, che gli uomini scambiano per qualità innata mentre è l’effetto di un contesto determinato, di un provvisorio gioco di luci i cui riflessi tendono però a moltiplicarsi illimitatamente. Qui forse non è inutile ricordare la nazionalità di Simone Weil, dato che la Francia è stata nel mondo moderno il paese più socializzato, quello dove i fantasmi impalpabili ma pervasivi delle identità pubbliche sono penetrati in ogni fessura dell’esistenza. Né è certo un caso che sia stato un altro francese, pochi anni prima di lei, a eternare letterariamente questi fantasmi nella mappa più ramificata e ricca d’implicazioni che ci sia mai stata fornita. “Solo chi è incapace di scomporre, nella percezione, ciò che a prima vista sembra indivisibile, crede che la situazione faccia corpo con la persona”, ha scritto Marcel Proust, che attraverso i molti strati della sua “Recherche” avvicina all’esperienza quotidiana le essenze platoniche weiliane.
L’analisi dello snobismo, cioè, secondo il critico americano Lionel Trilling, dell’“orgoglio a disagio” di chi non è mai sicuro della propria identità, è appunto l’analisi degli equivoci creati dal “prestigio”. In un universo come quello borghese, dove non esistono più ruoli fissi e garantiti da ordini aristocratici o da fedi nel soprannaturale, questa precarietà è fisiologica; e il romanzo, col suo dinamismo, è nato per rappresentarla. Ma di solito i romanzieri, anche i più estremisti, portano gli equivoci a uno scioglimento: o sotto la loro superficie abbagliante si rivela una certezza solida, inconfutabile, oppure questa superficie diventa il segno di una metafisica, arcana indecifrabilità, cioè in fondo di un’altra certezza, seppure di segno negativo. Proust, invece, dimostra che l’equivoco è la sostanza stessa, la stoffa onirica e fantastica di cui è fatta la pretesa identità di ognuno: una sagoma destinata inevitabilmente a variare a seconda delle luci che il luogo, ma soprattutto il tempo, l’immaginazione e i sentimenti personali o collettivi le proiettano sopra. L’ambiguità, in questo senso, è senza fine. La magia dei nomi trasfigura di continuo la materia, e la materia fa cadere a un tratto il sipario di una convenzione, di una magia effimera. La gelosia stabilisce ragnatele finissime, e non si sa mai se abbia occhi straordinariamente acuti o se straveda. Ogni gesto, ogni parola, ogni episodio racchiudono un gomitolo di equivoci che si intrecciano e si divaricano nel tempo. Volgarità e finezza, bontà e perfidia, onorabilità e impresentabilità, prosaicità e fascino esclusivo, provincialismo grottesco e talento supremo, filisteismo e regalità si scambiano ovunque le parti, e toccano tutti i principali caratteri di questo romanzo di romanzi: Saint-Loup, i Verdurin, Morel, Charlus, Swann, i Guermantes, Rachel, Odette, Bergotte, Albertine, Vinteuil, Cottard, Elstir… e ovviamente il narratore.
Col prestigio, col potere e con i ruoli di vittime e carnefici, questi personaggi cambiano la loro stessa pelle. Ma se è così, non hanno ragione i lodatori di ciò che appare, di ciò che ‘è’ in quanto s’impone? Non basta, per approvarli senza riserve, imprimere un po’ di mobilità eraclitea al loro troppo statico sistema panglossiano, al loro hegelismo mummificato e andato a male? Quale identità nuda o profonda ci resterebbe in mano da difendere, al di là delle mutevoli maschere sociali? Esiste forse là dietro un volto, un ‘noumeno’ che non sia un’astratta, umanistica petizione di principio? Difficile crederci: soprattutto oggi che siamo tutti più socializzati dei vecchi francesi, essendo social e tendendo a una assai più totalitaria indistinzione di ‘intimità’ e ‘pubblicità’. In quel vorticoso primo Novecento, tra Proust e Weil, un altro francese ha messo in bocca a un suo personaggio teatrale una risposta disinvoltamente contraddittoria. “Non state confondendo la gloria e l’amore? Amereste Giocasta se non regnasse?”, chiede Tiresia a Edipo nella “Macchina infernale” di Cocteau. “Domanda stupida e ripetuta mille volte”, ribatte il marito e figlio della regina di Tebe. “Giocasta mi amerebbe se fossi vecchio, brutto, se non sbucassi dall’ignoto? Credete che non ci si possa buscare il mal d’amore toccando l’oro e la porpora?”. Ma poi aggiunge che “i privilegi di cui parlate non sono la sostanza stessa di Giocasta e aggrovigliati così strettamente ai suoi organi da non poterli disunire”. La scena è interessante anche perché qui, come altrimenti in Proust, la politica, cioè il campo per eccellenza del potere, fa tutt’uno con l’amore.
Ma non è, s’intende, l’amore soprannaturale che per la Weil sta sull’altro piatto della bilancia rispetto alla forza. Eppure anche di questo amore è fatto l’amore umano. Chi, che cosa amiamo dunque davvero? È il nostro amore separabile dal prestigio? All’alba della modernità, in una Russia infranciosata, il romantico e ironico Aleksandr Puškin ha lasciato nell’“Onegin” una immagine memorabile della divaricazione tra società e verità su cui è fiorita la nostra cultura. “In quel tempo, in quel deserto, / Lontano dal pettegolezzo, / Io non vi piacqui: questo è certo… / E dunque mi inseguite adesso? / Che cosa a voi mi pone in vista? / Non forse il fatto ch’io apparisca / Per il mio rango in società; / L’esser di ricca nobiltà; / O il marito che in guerra è stato / Ferito e alla corte è in favore? / Non forse che il mio disonore / Da tutti sarebbe osservato, / A voi nel bel mondo recando / Un lusinghevole vanto?”, domanda malinconicamente Tatiana a Eugenio verso la fine del poema, dopo che lui l’ha prima tenuta affettuosamente a distanza, moderando il suo dongiovannismo, quando era una semplice ragazza di campagna, e poi l’ha ardentemente corteggiata quando l’ha vista muoversi da dama impeccabile tra i ricevimenti pietroburghesi.
Non so chi potrebbe rispondere alla domanda di Tatiana. Quanto è grande, specie in un mondo più che mai socializzato, la dose di desiderio mimetico che ci entra in circolo? Quanto influisce sui nostri atti il prestigio, questo vestito imperiale della forza? Se esistessero confini visibili o palpabili tra un’‘essenza’ e un’‘apparenza’, combattere sotto l’insegna di una delle due riuscirebbe relativamente facile. Sarebbe lecito pensare a una lotta di princìpi, confidare in un mutamento progressivo che a poco a poco conduca a esiliare dal mondo la forza magnetica e menzognera del prestigio contrabbandato per cosa salda. Invece il mondo è strutturalmente suo. Perciò una tale etica è ritenuta insufficiente dalla platonica Simone Weil, e contemporaneamente anche dalla sensuale Etty Hillesum. Solo il riconoscimento di questa realtà, la sua accettazione senza risarcimenti e la contemplazione della forza possono sospenderla, tenere in miracoloso equilibrio la bilancia.
E sì: noi siamo anche i nostri privilegi, gli ori e le porpore di cui non potremmo mai dire, senza apparire tracotanti di fronte al fato, di esserceli guadagnati da soli. Eppure, c’è chi alle origini della nostra civiltà ci ha mostrato uomini spogliati di tutto ciò: uomini ridotti a ‘cose’ passive, resi schiavi o annientati da uomini ridotti a ‘cose’ ciecamente attive come catastrofi naturali. Chi amerà questi nudi? Chi rimarrà vicino a un corpo, a una voce, a un volto totalmente privati di prestigio e di potere? Chi sopporterà di stringere esseri che basta un soffio a cancellare dalla scena, e che non sembrano avere più alcuna dignità umana? Noi tendiamo a immaginare la sventura in chiave eroico-hollywoodiana, a incastonarla in una sequenza in cui lo sconfitto mantiene intatto il suo fascino, la sua forma socializzabile di uomo. Ma proviamo a immaginare invece la vera sventura, cioè una condizione in cui tutte le nostre coordinate vacillano come nel Vangelo vacillarono i discepoli durante la Passione. Immaginiamo una situazione dove ogni circostanza sembra dare ragione al mondo che umilia lo sventurato. Immaginiamo il momento in cui la sventura arriva a toccare l’ultimo strato dell’identità della persona che diciamo di amare – il momento in cui, senza che questa persona si sia inconfutabilmente macchiata di una colpa, le sue attrattive si mutano in un motivo di imbarazzo, di smarrimento o di nausea, in una specie di vergogna senza nome. Immaginiamo tutto questo, e la domanda ci farà tremare.
Forse di una tale figura nuda, senza protezioni sociali e senza neppure il marchio di una minoranza esclusa ma ‘riconosciuta’, non si può predicare nulla. Forse si può dire solo che l’uomo è più di tutto il suo prestigio, di tutte le qualità in cui i “privilegi” si mescolano ambiguamente agli “organi”. Ma questo più non si può descrivere. Come l’anima, si può cogliere solo con un atto di fede. E proprio dalla fessura che lascia tra sé e il resto passa la grazia. È da lì che soffia l’amore trascendente, incondizionato, assoluto: l’amore senza il quale, diceva Denis De Rougemont occupandosi dei provenzali negli anni della Weil e in modi per molti versi opposti, siamo destinati a cadere in un romanticismo calcolatore che non troverà mai un oggetto su cui fermarsi, perché ci sarà sempre qualcosa di più attraente a meritare l’innamoramento.
Solo una decisione mai giustificabile, che è poi il contrario di una facoltà d’opzione, può arrestare questa fuga nell’illimitato. Un decennio prima, montando le tessere del suo discorso sulle “Affinità elettive” e il matrimonio, Walter Benjamin lasciava intravedere una prospettiva molto simile.
Credo che il saggio della Weil sull’“Iliade” sia uno dei due massimi capolavori della saggistica filosofica del Novecento. L’altro, non unilaterale e spoglio ma tormentosamente dialettico, va sotto il titolo di “Minima moralia”. Negli aforismi di Adorno si trova una frase che può stare accanto alla conclusione weiliana: “Sei amato solo dove puoi mostrarti debole senza provocare in risposta la forza”. Il mondo, però, ci consegna un’ingiustizia ulteriore. Di solito si aderisce alla forza là dove la pressione collettiva è troppo intensa rispetto alle convinzioni che potrebbero farci resistere alla sua piena: cioè quando a propria volta, come carnefici, ci si trova in una condizione di debolezza, quando non si è abbastanza sicuri della propria comprensione delle cose da poter rimanere saldi in mezzo alla tempesta insieme a chi è rimasto nudo (la pressione consiste spesso in un sottile gioco di suggestioni atmosferiche incrociate, ma chi voglia vederne rappresentati i tratti più elementari e irresistibili può pensare al Bube di Cassola spinto a picchiare il prete Ciolfi, o al giovane ufficiale Eric Blair, alias George Orwell, accerchiato dalla folla birmana che esige di vederlo abbattere un elefante). Non è questa l’ultima ragione per cui il mondo ci chiude la bocca impedendoci di dire a ogni passo “non è giusto”, e quasi assimilando il nostro comportamento a un fatto di natura. Ma appunto, quasi. Resta quella fessura. Di cui nessuno si può appropriare senza tradirla, ma che nessuna forza può ridurre a sé."
Matteo Marchesini
4 notes · View notes
realnews20 · 6 days
Text
A margine di una polemica sollevata da un gruppo di psicologhe presenti in sala, che chiedevano risposte da parte del presidente dell’Ordine degli psicologi, David Lazzari, a proposito dei diversi approcci adottati per trattare il conflitto in Ucraina e quello a Gaza, Fedez ha colto l’occasione per dire che “parlare di genocidio a Gaza per me non è un’affermazione ideologica ma un dato oggettivo”. Viste le recenti cronache di una rissa che l’avrebbe coinvolto, rivolto ai giornalisti presenti in sala ha aggiunto: “Le proteste di questi giorni, all’università come al Salone, mostrano chiaramente come ai giovani interesserebbe eccome parlare e attivarsi. I giovani hanno delle priorità diverse da quelle dei media che si occupano di cose inutili come le ‘cazzate’ che fa di notte Fedez, senza capire che a loro – ha aggiunto tra gli applausi del pubblico in sala – non gliene frega un ca**o”. Ai giovani quindi interessa parlare e attivarsi per cause serie come i crimini di guerra che avvengono a Gaza, la tesi del cantante e i giornali dovrebbero occuparsi solo di quello “senza cercare di fare gli influencer”. [ad_2] Source link
0 notes
alephsblog · 1 month
Text
“Vicinissimo a Hitler fu, com’è noto, Amin al Hussein, Gran Muftì di Gerusalemme, convinto antisionista e ancor più convinto antisemita. Questa mescolanza divenne esplosiva dopo la fondazione dello Stato di Israele, nel 1948, e il nascere del conflitto israelo-palestinese, dando vita a una forma di violento antisemitismo, in cui la guerra contro lo Stato di Israele e il sionismo trovano la loro giustificazione ideologica nei più vieti stereotipi antiebraici, un processo che il fondamentalismo islamico e il terrorismo internazionale hanno ulteriormente potenziato. Al suo centro, l’idea di un complotto sionista-occidentale contro i Paesi islamici e la negazione della Shoah, vista come un mito occidentale finalizzato a spossessare delle loro terre i palestinesi a favore degli ebrei. In un contesto europeo in cui, dopo la Shoah, l’antisemitismo tradizionale era diventato tabù, questa ideologia di antisemitismo e terzomondismo si è diffusa nella parte più radicale della sinistra, legittimata dal sostegno alla causa palestinese. Tutto questo rende difficile distinguere l’antisionismo dall’antisemitismo e tracciare una linea netta di confine tra l’opposizione alla politica dello Stato di Israele e questo antisemitismo che è alla base di fenomeni nuovi, quali la lotta contro l’Occidente dei fondamentalisti islamici e l’ostilità antiebraica sempre più diffusa fra gli immigrati arabi in Occidente.”
0 notes
gregor-samsung · 8 months
Text
" Come l'Olp, il Hamas si compone di svariati gruppi e correnti. La sua dirigenza, per esempio, è divisa tra i cosiddetti "interni", ossia i rappresentanti dell'organizzazione all'interno dei territori occupati, e gli "esterni", ossia i dirigenti in esilio, per esempio a Damasco. Gli esterni controllano la maggior parte dei fondi esteri del movimento, ossia i finanziamenti che provengono dai regimi simpatizzanti dell'area, e, di fatto, hanno in mano le leve dell'apparato organizzativo. Gli interni, invece, hanno il difficile compito di gestire quotidianamente la vita politica ed economica dei loro sostenitori e parare i colpi dei rivali politici. È interessante notare che alcuni osservatori sostengono che questa divisione del lavoro rende gli interni più pragmatici, e che un numero pressoché uguale di altri osservatori sostiene esattamente il contrario. C'è poi la divisione tra il Hamas di Gaza e quello della Cisgiordania. Secondo un certo numero di commentatori, poiché gli islamici su posizioni radicali furono oggetto di repressione all'epoca in cui l'Egitto controllava Gaza, i militanti del Hamas di Gaza sono sempre stati maggiormente inclini alla segretezza, alla disciplina organizzativa e alle trame cospirative rispetto ai militanti della Cisgiordania, dove non s'è registrata una repressione del genere all'epoca dell'amministrazione giordana. Il Hamas della striscia di Gaza s'è inoltre fatto una reputazione di maggiore inflessibilità ideologica e di zelo puritano rispetto al Hamas di Cisgiordania, dove occorre fare i conti con una cultura più laica che al Sud (in Cisgiordania, studentesse del Hamas reclutano per l'organizzazione, e qualcuno ha riferito che, per promuovere la causa, lascerebbero addirittura scoperto qualche centimetro di gamba). Allo stato, gli esiti politici concreti di queste tensioni interne sono piuttosto prevedibili: movimenti come l'Olp e il Hamas, che premiano l'inclusione e sono poco propensi, o incapaci, a far rispettare la disciplina "di partito" sul piano tattico e strategico, finiscono per essere alla mercé dei loro militanti più intransigenti. Paradossalmente […] potrebbe essere stata proprio questa intransigenza a tenere aperti gli spiragli della creazione di uno Stato palestinese effettivo a fianco di Israele. "
James L. Gelvin, Il conflitto israelo-palestinese. Cent'anni di guerra, traduzione di Piero Arlorio, Einaudi (collana Piccola Biblioteca Einaudi n° 357), 2007¹; pp. 295-296.
[Edizione originale: The Israel-Palestine Conflict, Cambridge University Press, 2005]
4 notes · View notes
ballata · 3 months
Text
Il writer strillone (quelli che una volta scrivevano sui muri "abbasso la scuola, w la fica" oggi sono artisti e si chiamano writer) Partenopeo in cerca di notorietà dice che...
Le foto del bacio di Meloni con Biden o Netanyahu dovrebbero far discutere più della mia, attacca. E invece la propaganda di guerra ci ha fatto credere che da una parte ci siano i buoni (l'Occidente) e dall'altra i cattivi (Russia, in futuro anche la Cina, Iran e Corea del Nord immagino). Neppure un cenno all'aggressione russa ai danni dell'Ucraina, alle migliaia di vittime civili, fra donne, anziani e bambini; nemmeno un sussulto sul drammatico 7 ottobre scandito dalla lugubre ferocia dei terroristi di Hamas contro Israele. Niente: solo la rovente critica ideologica contro i valori dell'Occidente, contro quegli stessi principi di libertà di espressione che però proprio il suo celebrato Vladimir gli negherebbe se solo il nostro pluripremiato artista volesse esibire la sua arte e tratteggiare le gigantografie dei suoi volti nel «fantastico mondo» ordinato dal Cremlino e santificato da Ornella Muti, scomparirebbe in qualche carcere Siberiano ibernato a vita...🤣🤣
Poi una sciabolata tipica dell'ego ferito: «Le istituzioni non vogliono lavorare con me? Forse non è chiaro che sono io che non voglio lavorare con le istituzioni che non mi lasciano libertà. Ma poi le istituzioni italiane? Ci rendiamo conto che l'Italia è un minuscolo Stato in decadenza in un mondo enorme?». Prendere appunti...
#liberopensiero #writer #poser #manifestosolosevadoinTV
#buffoni #napoletanità #pulcinelpa #stampa #media
#robertonicolettiballatibonaffini
0 notes
Text
Aborto: Pro Vita, flash mob davanti alle ambasciate francesi
“Macron vuole scatenare in Europa una guerra ideologica sull’aborto come Napoleone scatenò una guerra militare: il risultato saranno sempre milioni di vite innocenti spezzate. La pretesa di Macron di inserire l’aborto nella Carta dei Diritti Ue è un folle delirio imperialista in campo bioetico e una dichiarazione di guerra alla sovranità dell’Italia e degli Stati Membri su questo argomento. Per…
View On WordPress
0 notes
crossroad1960 · 4 months
Text
0 notes
notiziariofinanziario · 7 months
Text
Di sentir parlare di carne coltivata non se ne può più
Tumblr media
Il mantra della naturalità è il punto di forza dell’attuale governo, che punta a fare leva sulla presunta genuinità del cibo per conquistare la pancia degli italiani. Missione: contrastare il fenomeno del meat sounding, ovvero vegetali dai nomi “fuorvianti”. Niente salsicce o cotolette plant-based. Primo firmatario della proposta di legge è il deputato della Lega e presidente della Commissione Agricoltura Mirco Carloni, che dice di battersi per la tutela del consumatore. Ma veramente i consumatori sono così ingenui? Di fronte alla scritta “100% vegetale” una persona non capisce che non si tratta di una salsiccia di maiale? Forse, dietro la lotta al meat sounding si nasconde la necessità di tenere alta la guerra ideologica contro quello che continua erroneamente a definire cibo “sintetico” (in realtà non è frutto di nessuna sintesi). Nel mondo la ricerca avanza Intanto, nel resto del mondo, la ricerca va avanti: a maggio in Israele è nato il primo latte coltivato, bevanda che riproduce le proteine del latte attraverso un processo di fermentazione a base di lievito (che il presidente di Assolatte, Paolo Zanetti, ha definito cibo Frankenstein). Prima ancora, a febbraio, la Food and Drug Administration ha dato il via libera alle aziende per etichettare come “latte” le bevande vegetali in vendita negli Stati Uniti, spiegando che il nome non è tale da ingannare i consumatori. Del resto, per esempio, spesso il nome di un prodotto si riferisce alla preparazione e non all’ingrediente: la polpetta può essere di carne o di melanzane, e allora perché non di soia? E perché a fronte di etichette davvero incomprensibili e su cui raramente si assiste a battaglie politiche, sul fronte "carne" invece ci si preoccupa così tanto della ingenuità del consumatore ignaro di cosa mette nel carrello? L'allevamento industriale è naturale? Non sarà che per "naturale", nella Fattoria Italia, si intende l'allevamento intensivo industriale che - secondo le ultime stime di Assocarni - per la filiera del bovino (che in Italia rappresenta più del 4.5% dell’agroalimentare) vale 9,3 miliardi di euro? Questo alla faccia della sostenibilità sia ambientale - con elevatissimi costi, consumi e inquinamento - che etica (negando ogni idea di tutela degli animali considerati solo beni economici e produttivi). In Italia continua la crociata Intanto, mentre in Italia si allunga la lista delle occasioni mancate sul fronte della ricerca e della innovazione (opportunità di rinnovamento anche per i nostri agricoltori), in Olanda si allunga invece la lista di attesa di chi vuole assaggiare nel piatto i risultati dei laboratori, e pure un bistrot virtuale dove provare l’esperienza di un ipotetico menu a base di carne coltivata; mentre la Cina sta lavorando per entrare da protagonista nel mercato globale della carne coltivata. E l’Italia? Beh… qui continua la crociata contro la bresaola vegana. Read the full article
0 notes
Photo
Tumblr media
La Guerra Ideologica - Memorias de un Cheto - Texto 1 (on Wattpad) https://www.wattpad.com/1393593831-la-guerra-ideologica-memorias-de-un-cheto-texto-1?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_reading&wp_uname=pibedebeccar&wp_originator=UhUEdFhS2TExr68a7Ab4CSe9sWNiMiNqlsvBpet70%2FSXbGATS6rDUfxjciHBBUhE4jjB1UJHwcXEiC8AwkUcLx%2BTY21J2asxgCv6KiyvcCVlkT%2F%2FRrGZB8LFbRqKS27x una reflexión de la moral flexible que nos atraviesa la razón y el sentir
0 notes