𝒱𝒾𝓋𝑒𝓇𝑒 𝓅𝑒𝓇 𝓈𝒶𝓃𝑔𝓊𝒾𝓃𝒶𝓇𝑒
Hai liberato la tua mente,
dal tormento della maledizione,
ma lentamente,
dopo tutto questo tempo,
mangiato dalla disperazione,
ti sei consumato, sgretolato,
come cenere nel vento.
Ma incandescente,
sei risuscitato dalla tua morte,
e solo dopo esser rinato,
saresti diventato forte.
Ma la tua rabbia,
il tuo dolore,
la tua fede,
non è finita ancora.
Sotto la sabbia,
della morte l'odore
e le stelle vivide,
l'anima tua s'addolora.
E' la bestia crudele che nutri
che sopravvive
l'istinto tuo ardente,
di vivere, sanguinare.
E' quel demone che idolatri,
che in te vive,
anche nel dolor' idente,
a farti rialzare,
a farti brillare.
Nella bara della tua mente,
seppellito nel profondo,
urli per esser sentito,
ma nessuno sente,
e dai serpenti fosti assalito.
Bloccato dalla morsa,
dolore e rimpianto,
nudo e senza stracci,
la speranza arsa
dal cuore affranto,
dai ghiacci,
ardente sei rinato.
Ma la tua rabbia,
il tuo dolore,
la tua fede,
non è finita ancora.
Sotto la sabbia,
della morte l'odore
e le stelle vivide,
l'anima tua s'addolora,
ancora.
E' la serpe che ti stringeva,
che sopravvive
il bisogno tuo ardente,
di vivere, sanguinare.
E' quel mostro che odiasti,
nella mente tua vive,
che anche nel dolor pungente,
ti fece rialzare,
ti fece resuscitare.
E imparasti dalle tue ferite,
che per vivere
bisogna sanguinare.
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Lunedi 7 agosto 2023.
Mi ritrovai in camera mia, come sempre, persa nei miei malinconici pensieri, un'anima senza meta, così decisi di definire tutto quel caos. Punti interrogativi senza risposta alcuna, quotidianità fatta di soli "perché".
Gli scaffali dove i vecchi diari vennero riposti, erano oramai in totale confusione. Fogli ingialliti sparsi ovunque, mi parve di annusare l'odore dei ricordi, impressi in quelle righe da me create.
Confusione, tanto quanto ciò che la mia mente racchiude.
Mi buttai a letto, perdendomi in essa, per qualche istante.
Dopodiché, decisi di alzarmi per fare una noiosissima passeggiata in un vecchio parco abbandonato qui vicino, ignorato quasi da tutti.
Dubito incontrerò qualcuno li, amenochè non sia un'anima solitaria, come la mia, un'anima in grado di respirare ricordi e solitudine.
Il parco profumava di pioggia, data la tempesta mattutina, così come le vecchie panchine abbandonate, quasi desolate. Mi sedetti li, e attesi nel mentre continuai a respirare odore di pioggia.
"Ei, ciao!" Esclamò qualcuno da lontano.
Mi girai, e vidi un ragazzo avvicinarsi a me con aria intimidita.
Abbassai lo sguardo, chiedendomi cosa volesse.
"Posso sedermi qui?" Mi chiese dolcemente. Aveva un grande sorriso stampato sulle labbra, per non parlare dei suoi occhi color nocciola, in cui mi persi subito dopo aver incrociato il suo sguardo.
Due anime perse sedute in panchina.
"Come ti chiami?" Mi incalzò, ancora.
Io iniziai a tremare, e balbettando gli dissi il mio nome.
"Alessia".
Lui fece un mezzo sorriso, ed io mi sciolsi come un cono gelato in estate. Mi sembrò perso, e alla ricerca di risposte quasi quanto me.
Alex, così disse di chiamarsi.
Ci salutammo con un caldo abbraccio, in grado di ripararci da tutto quel freddo.
Rimasi lì fino a sera, a raccontarci delle nostre esperienze e delle notti passate a versare lacrime per qualcuno a cui non è mai importato.
Entrambi desideriamo un amore, un amore caldo e intenso. Un amore, come l'ho sempre sognato.
Tornai a casa quella sera, e per la prima volta forse mi addormentai con il cuore un po' più leggero, ed intero.
La mattina seguente, continuai a pensare ad Alex.
Ai nostri discorsi ricchi di profondità e dolore, ma soprattutto al nostro abbraccio in cui notai qualcosa di differente, ma non saprei descrivere l'elemento esatto.
Non ebbi il coraggio di chiamarlo.
Strinsi il telefono, in attesa di un primo passo da parte sua.
Alex mi piacque davvero molto, non avvertivo un calore simile da tempo, oramai. Le sue mani possenti, strinsi il suo corpo per un istante e ne annusai il profumo.
Sapeva di vaniglia.
Profumo che mi rimase impresso, quella notte nel mentre la pioggia batteva ancora sui vetri.
"DRIIIIN"
Il telefono squilla.
Lo prendo, osservai il nome scritto. Alex!
Risposi.
"Vediamoci lì al parco, devo dirti qualcosa di importante".
"Arrivo subito".
Riattacco.
Usciií senza premurarmi di indossare neanche un cappotto, tremai al pensiero di rincontrare Alex.
Era lì ad attendermi, con i suoi soliti occhi color nocciola e il suo grande sorriso. Senza pensarci due volte, si avvicinò lentamente sussurrandomi: non aver paura, io completo te e tu completi me, sistemeremo assieme il caos di cui hai sempre parlato nei tuoi vecchi diari". Mi baciò. Fu un bacio lento e indimenticabile, quasi surreale. Mi chiese: tu credi ai colpi di fulmine?"
Io non risposi, lo baciai e basta. Fino a morire, fino a mandare le labbra in cancrena.
E di colpo, i tasselli mancanti del puzzle si rimisero al proprio posto.
E di colpo, spazzammo via la confusione che regnava sia in noi, sia in quelle vecchie pagine ingiallite.
Alex mi salvò.
E non esiste cosa più bella di questa.
L'amore.
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“[…] né senza affetto alcun giudizio sussiste; poiché ogni cosa qualunque, o vista, o sentita, dee cagionare nell’uomo, o piacere, o dolore, o maraviglia, o sdegno, od invidia, od altro; tal che sul a ricevuta impressione si venga ad appoggiare il giudizio […]. È dunque l’odio un affetto contro alla reità non men giusto, naturale, e sublime, di quel che lo siano l’amore, e la stima per la virtù. Il professarsi incapace d’odio, equivale all’essere incapace d’amore: o equivale al dire stolidamente, che le qualità da amarsi faranno impressione viva, e profonda in quello stesso animo, in cui le qualità da odiarsi non ne faranno nessuna, o leggiera.”
(Vittorio Alfieri, Il misoggallo, prosa prima)
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C è un alone di tristezza quando osservo il mare,credo lo si percepisca da distante.
Lo vedo in ogni persona che passa vicino e osserva.
Mille pensieri per la testa ed un turbinio di emozioni che vagano senza meta.
Le onde,il sole,l’orizzonte;è tutto così tristemente bello e riflessivo.
Pensare nel silenzio più assordante cullati dal rumore ostinato del mare, è qualcosa di magico.
Che poi,se guardo il mare,non sei più così lontana…sarà per questo che mi rifugio qui tutti i giorni?
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Morale della favola...
Ore 18.45
Mi accingo ad entrare in un bar, e compare una tizia tutta allegra e vestita di mille colori. Continuo a farmi i cazzi miei, come al solito.
So chi è, e non mi importa più; o meglio so chi è, mi importa ma fingo di non vederla e credo che lei (se abbia percepito la mia finzione) assecondi tutto ciò. Non so dire se questo mi irriti, mi distrugga interiormente...erano secoli che non entravo in un bar e compare lei.
Sono bloccato, senza scampo; non doveva succedere.
Poi niente, cosa ci si dovrebbe aspettare? La barista parla, da Saturno mi chiede se voglio altro dopo il mio caffè corretto (si del cianuro magari) "no grazie."
Io esito, nel mio cervello fantasioso mi aspetto che lei mi fermi per parlare, oppure mi aspetto che non mi fermi...ogni opzione è distruttiva per me.
Guardo l'orologio, faccio il disinvolto. 18.55. Mi volto e se n'è andata.
Ha deciso lei per me. Ora lei è la Vita.
Forse l'orologio rimarrà fermo alle 18.55 per sempre.
Perchè racconto questo?
Non lo so. Mi dicevano che "sapevo tante cose", che ero "bravissimo" che ...che... la verità è che io non so proprio nulla, specie ora.
Non ci vedo nessuna morale.
Qualcuno la trovi per me, a questo punto.
E mi dica se tutto ciò è veramente successo, oppure no.
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