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#Russia zarista
gregor-samsung · 1 month
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“ «Com'è strano, — pensava Veročka — già le sapevo dentro di me, già le presentivo, tutte le cose che ha detto sulle donne, sui poveri, sull'amore. Dove le ho imparate? Forse nei libri che ho letto? No, non là. In quei libri ci sono tanti dubbi, tante riserve, e ogni cosa sembra insolita, incredibile. Come si trattasse di sogni belli, ma irrealizzabili! A me sembra invece che questi sogni siano semplici, semplicissimi, comuni, che senza di essi non si possa vivere, che si dovranno avverare senz'altro. Eppure, secondo me, questi libri sono ottimi. George Sand; per esempio, è così buona e morigerata, eppure, tutto in lei è sogno! E i nostri? No, nei nostri non si parla di questo. In Dickens, invece, sì, ma tutto è come senza speranza; certo, lui se l'augura, perché è buono, però sa bene che non si avvererà. Come fanno costoro a non sapere che in mancanza di questo non si può vivere e che bisogna darsi da fare, e si lavorerà senz'altro, perché non ci siano più uomini poveri e infelici? Ma che, forse non lo dicono? Dire lo dicono, ma provano solo pietà, mentre pensano che tutto resterà com'è ora: sì, qualcosa migliorerà, ma per il resto. No, essi non dicono le cose che io penso. Se le dicessero, saprei che le persone buone e intelligenti ragionano come me. E invece sinora ho creduto di essere l'unica a pensarla così, perché sono una stupida. Nessuno pensa come me, nessuno si aspetta che le cose cambino realmente. E ora lui assicura che la sua fidanzata ha detto a tutti coloro che l'amano che le cose andranno proprio secondo le mie idee. E ha parlato così chiaramente, dice lui, che tutti già lavorano perché tutto avvenga al più presto. Che donna intelligente! Ma chi è? Lo saprò di certo. E come sarà bello, quando non ci saranno più poveri, quando nessuno sarà costretto a ricorrere agli altri per bisogno, quando tutti saranno allegri, buoni, felici...». Assorta in queste riflessioni, Veročka si addormentò, e dormì profondamente, senza sognare.  “
Nikolaj Gavrilovič Černyševskij, Che fare?, traduzione e cura di Ignazio Ambrogio, Edizioni Studio Tesi (collana Collezione Biblioteca, n° 85), Pordenone, 1990; p. 78.
 NOTA: Il testo originale (Что делать?), che Černyševskij scrisse in prigionia nella fortezza di Pietro e Paolo a San Pietroburgo, cominciò ad essere pubblicato a puntate nel 1863 sul mensile letterario russo Sovremennik sino a quando le autorità sequestrarono l’intera opera, ritenuta sovversiva. Il libro circolò quindi clandestinamente fino alla pubblicazione integrale nel 1905, all’inizio della breve stagione riformista dello zar Nicola II.
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abr · 24 days
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Polizia segreta istituita dal governo zarista nel 1881, fu la Ochrana a commissionare i “Protocolli dei Savi di Sion”, un presunto piano per la conquista del pianeta che sarebbe stato elaborato al primo Congresso sionista di Basilea del 1897, in realtà fabbricato rielaborando vari materiali (da Sergej Aleksandrovič Nilus, autore di vari testi di devozione ortodossa) .
(...) Pubblicati per la prima volta nel 1903, furono dichiarati fasulli da un tribunale svizzero trent’anni dopo. Ma tuttora sono molto diffusi e presi sul serio a livello ufficiale in vari paesi islamici (...). E girano anche in vari ambienti (anti) occidentali (...). Da noi sono stati conosciuti soprattutto a partire da una edizione del 1937, con una singolare introduzione di Julius Evola, secondo cui sarebbero stati falsi nella forma ma veri nella sostanza (...).
119 anni dopo, (d)all’Ochrana (...) (alla) Cheka, Gpu, Nkvd, Kgb, Fsb. (C)ome ad esempio è stato  il tedesco ad aver dato al mondo la parola blitz, lo spagnolo golpe, l’inglese intelligence, il portoghese per mediazione boera commando o l’italiano fascismo, dal russo abbiamo preso la parola disinformatija (...).
La storia che l’Aids lo avevano fabbricato gli americani fu passata dal Kgb al giornale indiano filo-sovietico Patriot, che lo pubblicò la prima volta nel 1983. Ma venne sostanzialmente ignorata fino a quando, nell’ottobre del 1985, non fu rilanciata dalla Literaturnaya Gazeta, e poi potenziata da una relazione di Jacob Segal, un biofisico informatore della Stasi tedesco orientale. Non c’erano ancora internet e i social, ma bastarono giornali popolari inglesi (...) per diffonderla ai quattro venti. Nel 1987 (...) l’Urss ammise formalmente che era una balla, ma ormai nel Terzo Mondo aveva fatto ulteriore strada (...).        
L’Urss nel 1992 cessò di esistere, e (...) nel 1996 venne istituita la Fsb. L’anno dopo esce “Osnovy geopolitiki: geopoliticheskoe budushchee Rossii”: “Fondamenti di geopolitica -  Il futuro della Russia”. Adottato come libro di testo dall’Accademia militare  russa, lo firma  Aleksandr Dugin, un intellettuale misticheggiante e studioso del citato Julius Evola (...).
In qualche modo, la “quarta teoria politica” da Dugin teorizzata per “andare oltre le teorie politiche classiche della modernità” (...). “La quarta  teoria politica è antiliberale, anticomunista e antifascista allo stesso tempo” (in realtà è solo ferocemente antiliberale e nazional-socialista, cioè sintesi statalista nazimao, ndr), e allo spirito dei Protocolli si richiama chiaramente (diluendo) l’antisemitismo in un più ampio antioccidentalismo. (...)
Oltre all’ideologia, però, in questo libro in particolare Dugin propone una strategia, che aggiorna il repertorio zarista e sovietico all’epoca della rete. (L'uso di) strumenti asimmetrici: disinformazione, sovversione, guerra politica. Un concetto tipicamente da Ventesimo secolo come quello di competizione asimmetrica, (...) è messo assieme alle idee del generale Valery Gerasimov su come condurre la guerra nel XXI secolo. Risultato: “Una pratica non lineare di competere con l’Occidente solo nelle aree in cui la Russia si trova in vantaggio”. E la prima di esse era quella dell’informazione, per via del sistema autoritario che mette la Russia relativamente al riparo dalle contromosse dell’altra parte.
Però da qui (il rischio di ) una  escalation fuori controllo, su cui poi il Cremlino avrebbe avuto gravissimi problemi a tornare indietro (causando la dipendenza dalla Cina, ndr). E qua stiamo.
via https://www.ilfoglio.it/esteri/2022/03/19/news/l-antica-tradizione-russa-di-manipolare-le-informazioni-e-diffonderle-3823233/
Maurizio Stefanini datato e pur abbondantemente depurato dal tifo da stadio demogradigo (le curvesud so' opposte ma tutte uguali), cmq. utile per evidenziare gli evidenti, rozzi FLAWS concettuali del fronte che in occidente si dichiari anti occidentale, gettando il bambino assieme all'acqua sporca ("bei pirla", cit. Feltri).
[Per inciso, rassicuriamo Stefanini: la Russa ANELA a trovare una way out dal dispendioso e totalizzante casino alla Saddam Hussein in cui s'è cacciata, ma come tutto il resto, non dipende più dalla Russia, potenza oramai solo (macro-)regionale. Dipende dagli Usa: sarà sufficiente attendere la cacciata di Biden a fine anno e ci siamo.]
Testimonianza concreta di come un SANO COMPLOTTISMO, quello anti autoritario anti derive culturali anti degrado, debba porre dubbi e metter sotto al microscopio TUTTI i tentativi di manipolazione collettiva collettivista. La stella polare: sospettare quando si sente puzza di autoritarismo statalista, di ogni specie: sia Deep State Dem. che satrapia orientale.
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raffaeleitlodeo · 2 years
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Abbandona le illusioni preparati alla lotta.
“Scusa ma di che lotta stai parlando?”
Qualche giorno fa la rivista operaviva ha pubblicato un mio testo
https://operavivamagazine.org/abbandona-le-illusioni/?fbclid=IwAR2p7k9665_v2dNnR1RTN8UfEv7qmO831r1p8gMzsXrxHgFFoHOUoyGda9A
La frase del titolo non è mia, ma di Mao Zedong, e confesso che la mia intenzione era leggermente ironica. Ma ho dimenticato che il presidente Mao non è più tanto conosciuto come era ai tempi in cui ero studente. A quel tempo, pur non essendo maoista citavo spesso Mao per fare un po’ lo spiritoso. Credo che Martina abbia capito, e infatti mi ha risposto per prendermi un po’ in giro amaramente e cortesemente: ”Ok, da dove cominciamo?”
Molti invece (e li ringrazio) mi hanno preso sul serio e mi hanno chiesto in vari modi: potresti spiegare meglio cosa vuol dire prepararsi alla lotta?
Eccomi.
Credo che tutti abbiano capito o almeno intuito che stanno per arrivare tempi ancor più oscuri di quelli che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni.
Il fascismo ritorna, dicono i nobili amici della sinistra, che chiamano a reagire, e avvertono che i vincitori probabili si preparano (addirittura) a stravolgere la costituzione.
Ma di che costituzione stanno parlando? Quella che all’articolo 11 dice che l’Italia ripudia la guerra? O quella che all’articolo 41 dice che l’impresa privata è legittima fin quando non entra in contrasto con l’interesse pubblico? Quella costituzione non esiste più se non sulla carta, perché a nulla serve la legge se non c’è la forza per imporne i contenuti. Quella forza è stata distrutta (anzitutto dalla sinistra) ormai da qualche decennio.
Non intendo affatto minimizzare il disastro del fascismo che ritorna anche in Italia dove è stato inventato. Lo vediamo ruggire dovunque, il fascismo di ritorno: dall’India del razzismo induista, alla Russia stalino-zarista all’Ucraina di Zelenskyy, dall’America di Trump al Brasile dove un folle incendia la foresta amazzonica.
Facciamocene una ragione: il fascismo dilaga dappertutto, ma forse è qualcosa di diverso dal fascismo di un tempo, che era euforia aggressiva di popoli giovani che volevano espansione economica e conquiste coloniali, e si armavano per questo prima di precipitare nell’abisso degli anni quaranta.
Ora è diverso: si tratta della demenza di un’umanità senile, spaventata della “contro-invasione” di migranti giovani che minacciano la superiorità razziale bianca. Si tratta dell’esercizio isterico di un’aggressività senza energia. Geronto-fascismo chiamiamolo così, anche se molti suoi leader e suoi elettori sono in giovane età.
Purtroppo il geronto-fascismo dispone di armi micidiali che possono distruggere tutto, e lo stanno distruggendo.
Occorre preoccuparsi? Non so, io direi che occorre prepararsi a vivere come alieni in un pianeta che non è più riconoscibile, e come saggi in un pianeta popolato da dementi.
Quello che si è scatenato è un cataclisma di magnitudo molte volte superiore a tutti i cataclismi che abbiamo conosciuto.
Al convegno di Comunione e liberazione hanno applaudito con lo stesso entusiasmo la sovranista Meloni e il pilota automatico Draghi.
Perché? I due hanno detto cose diverse, apparentemente opposte, ma questo non cambia niente. Il rabbioso nazional-sovranismo promette sconquassi ma si piega disciplinato alla regola automatica della banca. Chi non l’ha capito continua ad accalorarsi inutilmente.
La mia preoccupazione non è Giorgia Meloni, ma il crollo di interi comparti del sistema industriale europeo provocato da una guerra criminale in cui l’Europa ha tutto da perdere e lo sta perdendo. E’ l’inflazione che schizza in alto mentre i salari sono bloccati, la disintegrazione delle strutture pubbliche che hanno fin qui sorretto la vita civile.
Il cataclisma in arrivo: temperature infernali, fiumi in secca, scarsità di risorse alimentari e di gas, mancanza di energia elettrica, e soprattutto di energia nervosa, depressione di massa e demenza aggressiva. E’ il risultato inevitabile di quaranta anni di privatizzazione generalizzata e di precarizzazione del lavoro e della vita.
Il Geronto-fascismo Meloniano vuole che le donne riprendano a fare figli per la patria, innocenti da gettare nella fornace di temperature impossibili, in un pianeta da cui sta scomparendo l’acqua.
E’ questo lo scenario che ci aspetta, non il fascismo.
I fratelli d’Italia vogliono fare la guerra contro il caos senza sapere, poveretti, che chi fa la guerra al caos non può che perderla, dato che il caos si alimenta della guerra.
Perderanno, perderanno presto. Ma intanto avranno distrutto quel poco che rimane della civiltà.
E allora di che lotta stiamo parlando? Ci saranno rivolte di massa, scioperi a oltranza di settori come i ferrovieri o i portuali inglesi ma difficilmente riusciranno a fare fronte comune, ci saranno folle impazzite dalla rabbia e dalla fame, ci saranno conflitti armati tra le risorte nazioni europee.
Ma nessuna rivoluzione potrà fermare la barbarie, perché la volontà umana ha perduto il comando sull’evoluzione.
Quella che si prepara è un’oscillazione gigante del pendolo della storia, un’oscillazione che porterà l’umanità fuori dalla storia del capitale. Ma non sarà la rivoluzione che renderà governabile il cataclisma-oscillazione.
Sarà la diserzione.
Disertare è la lotta che ci aspetta.
Disertare la guerra, prima di tutto. Disertare la guerra che divampa e divamperà sempre più largamente, perché quando il nazionalismo contagia la mente collettiva la guerra si prepara in ogni nicchia.
Disertare il lavoro salariato che tanto non serve più per sopravvivere, ma serve ad alimentare una crescita che devasta il pianeta e arricchisce solo una piccola minoranza.
Disertare il consumo di tutte quelle sostanze che come la plastica devastano l’ambiente e la mente. Alimentare comunità indipendenti che abbandonano il pianeta in fiamme (per andare dove? a questo ci penseremo).
Disertare la politica, arte inutile incapace di comprendere, e di governare.
Disertare la procreazione per non rovinare la vita di chi per sua fortuna non è ancora nato.
Ecco la lotta che ci aspetta.
Scappiamo, nascondiamoci, non investiamo energia in una gara che abbiamo già perso tutti, mettiamoci al sicuro in comunità solidali e frugali.
E ricordiamo che quando si fugge non ci limita a fuggire. Si cercano nuove armi, nuove forme di autodifesa e di attacco, si cercano radici da mangiare e semi da piantare, e forse un altro pianeta perché questo ci ha stufato.
- Franco Berardi - Bifo, Facebook
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lamilanomagazine · 11 months
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“La ragazza e l’ufficiale”: il drama turco più ambizioso e costoso arriva in prima serata su Canale 5
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“La ragazza e l’ufficiale”: il drama turco più ambizioso e costoso arriva in prima serata su Canale 5. Dal 9 giugno, in prima serata, su Canale 5, debutta l’inedita dizi turca «La ragazza e l’ufficiale». Ispirata ad una storia vera, girata tra Istanbul, San Pietroburgo e Ucraina, la serie narra un appassionato triangolo d’amore: quello tra Kurt, il primogenito di una famiglia turca di Crimea e tra i migliori ufficiali dello Zar, la sua sposa Şura, la figlia più giovane di una nobile famiglia russa, e Petro, valoroso commilitone e vecchio amico di Kurt. Con Kivanc Tatlitug (Brave and Beautiful) e Farah Zeynep Abdullah, nei ruoli principali, «La ragazza e l’ufficiale» è tratto dai bestseller della scrittrice Nermin Bezmen. Distribuita da EcchoRights, leader della distribuzione di drama-series internazionali, Kurt Seyit ve Şura è la dizi più ambiziosa e costosa mai prodotto nel Paese della Mezzaluna. In onda su Star TV, emittente privata turca, il titolo è stato programmato anche da MBC, in Medio Oriente, sancendo un nuovo primato: è la prima volta che un prodotto televisivo viene trasmesso contemporaneamente, nelle due aree geografiche del globo: una platea di 500 milioni di spettatori. Nel cast fisso della serie è presente anche Demet Özdemir, l’amata Sanem Aydin di Daydreamer. «LA RAGAZZA E L’UFFICIALE» Durante la Guerra di Crimea, Kurt Seyit viene ferito e torna a San Pietroburgo, dove nel frattempo è scoppiata la rivoluzione. Quale soldato dell'esercito zarista, né lui né Sura, la giovane moglie, sono al sicuro nella Russia bolscevica, per cui - contro il volere delle rispettive famiglie - i due fuggono intraprendendo un pericoloso viaggio attraverso lande desolate e ghiacciate. L’intenzione della coppia è cercare rifugio a Istanbul, dove si consumano gli ultimi giorni dell'Impero Ottomano... così come il loro amore, in balia di ingerenze familiari, aspettative della società ed eventi della storia.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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chez-mimich · 1 year
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ANNA POLITKOVSKAJA: “LA RUSSIA DI PUTIN”
Basta leggere le parole conclusive di “La Russia di Putin” di Anna Politkovskaja (Adelphi), per comprendere indirettamente quanto, alla stragrande maggior parte della popolazione russa, possa interessare la guerra all’Ucraina: niente. Era già noto che quel popolo fosse ormai addomesticato da feroci dittature, da quella zarista a quella bolscevica ed anche da quella post-sovietica del feroce Vladimir Putin. Ho incominciato a leggere il terrificante libro della Politkovsaja per un malcelato senso di colpa, dato dal fatto di non aver avuto tempo di leggerlo quando nel 2006 la coraggiosa giornalista russa è stata, (ora dopo la lettura prevedibilmente), assassinata. Alla luce di quello che si legge nelle quasi quattrocento pagine, dire che non si comprenda come qualche leader politico italiano abbia potuto fregiarsi dell’amicizia di un simile personaggio e che qualche altro abbia avuto il coraggio di andare in pellegrinaggio sulla Piazza Rossa, è cosa difficile da spiegare. La Politkovskaja, nella sua avvincente e straziante cronaca, mette mano alle carte ricostruendo nei dettagli indagini su militari barbari, procuratori corrotti, poliziotti compiacenti e, quello che più colpisce, nell’indifferenza più totale dei cittadini. Nella prima parte del volume la giornalista di “Novaja gazeta” prende in esame, in particolare, il caso dell’ex colonnello dell’esercito russo Jurij Budanov colpevole, (durante una perquisizione nella abitazione di presunti terroristi) di aver violentato prima e ucciso dopo una donna cecena, secondo quello che si evince passando al setaccio, carta dopo carta, tutti gli atti processuali e raccogliendo decine di testimonianze. La lampante colpevolezza di Budanov non viene ritenuta tale da un apparato poliziesco-giudiziario completamente asservito al Cremlino. La Politkovskaja spiega, con dovizia di particolari, i meccanismi che regolano le indagini e i processi, dove spesso chi indaga deve attenersi alle incalzanti indicazioni di chi poi dovrà giudicare. Nella seconda parte del volume sono raccolte invece le testimonianze delle vittime del Teatro Dubrovka di Mosca nel quale, nell’ottobre del nel 2020, 40 militari ceceni presero in ostaggio 850 spettatori. Ricordiamo che era in corso la seconda guerra cecena e l’azione para-militare era volta ad ottenere il ritiro delle truppe russe dalla Cecenia (il vizietto di invadere e far propri paesi indipendenti o che lottano per l’indipendenza, la Russia sembra proprio non averlo mai perso). Ebbene per la “ragion di Stato”, dopo due giorni di assedio, le forze speciali russe fecero irruzione nel teatro e con il sussidio di gas chimici sterminarono assedianti ed assediati, in una delle più catastrofiche azioni anti terrorismo che la storia ricordi. Fino a qui la cronaca, ma quello che il libro riserva al lettore è ben più che la mera registrazione di avvenimenti, ma il panorama umano di desolazione totale, di asservimento al regime di Putin, di indifferenza pressoché totale alla sorte delle vittime predestinate del potere russo. Una decomposizione del concetto stesso di “opinione pubblica”, quella che il filosofo Jurgen Habermas riteneva vitale per la vita stessa della democrazia. Un libro per certi versi atroce che spiega quel poco che ancora ci fosse da spiegare del sistema politica russo, erede diretto del sistema sovietico, modellato a sua volta su quello zarista. Se poi qualcuno nutriva ancora dubbi sulla vera natura di Vladimir Putin, la lettura di questo libro e l’invasione dell’Ucraina li dovrebbero avere completamente dissipati.
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marcel-lo-zingaro · 2 years
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Dalla finta rivoluzione inglese ( 1620/1640) i banchieri guidati da Rothschild capirono che la maniera migliore per controllare il popolo sia illuderli che stia cambiando qualcosa in meglio, talvolta con repentini cambiamenti che portino effettivamente ad un miglioramento temporaneo.
Se la rivoluzione inglese serviva oltre a fare ingrassare la banca Rothschild affittando e finanziando gli eserciti, conquistando la proprietà della city di Londra che tuttora persiste e nessuno osa mettere in discussione e, porre fine all'annosa questione Stuart-Tudor, la finta rivoluzione francese oltre a depredare le ricchezze transalpine e guadagnare enormemente sempre sugli eserciti, sancì di fatto la fine della sovranità francese, la Francia da allora è sempre stata governata da personaggi fedeli alla corona di Inghilterra, o per meglio dire a chi ne tira le redini.
E così un poco per volta questa egemonia di controllo occulto delle Nazioni venne esteso a quasi tutto il mondo, certo, ogni tanto qualcosa sfugge di mano e quindi si organizzano finte rivoluzioni, primavere arabe, guerre di liberazione, esportazione di democrazia e quant'altro.
Tralasciando gli intrighi che precedettero la WWI e finalizzati a decapitare le più grandi sovranità europee, ovvero, Serbia, Austria Ungheria, impero zarista, impero ottomano e impero di Prussia, voglio far notare che i più grandi protagonisti del 900 sono tutti passati attraverso un famoso caffè di Parigi, evidentemente sarà di buon auspicio, tuttavia chiunque sia passato di li, nel corso degli anni ha sempre e comunque in un certo qual modo favorito gli inglesi.
Lenin e Trotsky passarono di là, ma anche Hitler e Mussolini, come pure Gorbaciov e Eltsin e recentemente anche Putin.
Il lavoro di Putin è esattamente lo stesso fatto a suo tempo da Mussolini e Hitler, ovvero, politiche interne scaltre che favorissero l'economia e il benessere nazionale, ma politiche estere tali che a lungo termine favorissero la distruzione del paese.
Ma andiamo sui dettagli, Mussolini salì alla ribalta grazie ad una ridicola marcia su Roma fatta in treno e nella quale non venne sparato un colpo di moschetto, il Re nano illegittimo figlio di una delle numerose amanti di re Umberto, ucciso da un complotto nel quale la massoneria addestrò e finanziò un gruppo di anarchici, e del quale parlai nel dettaglio a suo tempo ( se trovo l'articolo ve lo posto) avrebbe potuto schierare l'esercito, invece aprì le porte del palazzo e diede il là ad un ventennio prospero per gli italiani, i quali in breve divennero tutti fascisti. Lo stesso buon senso non dimostrò evidentemente durante la WWII, il Re e Badoglio da una parte sancirono ufficialmente lo stato di colonia per il nostro bistrattato paese, con la complicità appunto di Mussolini agente inglese, il quale volutamente non attaccò e distrusse l'esercito Inglese in più occasioni nelle quali avrebbe potuto farlo, ma anzi dispiegò inutilmente le truppe spargendole in Slovenia, Croazia, Istria e Dalmazia, Albania e Grecia, contribuendo allo smantellamento di un apparato militare già di suo abbastanza debole seppur valoroso e disgregando quindi i principi del fascismo, ovvero l'unità nazionale. Stessa cosa fece Hitler in Germania, una politica economica che in breve portò al benessere la popolazione, ma scriteriata in materia di politica estera: in Africa avrebbe potuto sterminare l'esercito Inglese, invece lo lascio fuggire per poi schierare truppe in Francia, Belgio, Olanda e Est Europa, Ucraina, paesi baltici, paesi nordici, e infine Russia.
Lo scopo di Hitler era distruggere la Germania e fare il maggior numero di morti possibile tra tedeschi e Russi.
In mezzo a loro Stalin, al potere dopo aver fatto uccidere tutti i traditori, non ebbe altra scelta che stare al gioco e radere al suolo mezza Europa facendo milioni di vittime.
Dopo la WWII creò un blocco di controllo da contrapporre agli anglo americani, Blocco che ovviamente dava fastidio, per cui, i dubbi sulla naturalità della sua morte non cesseranno mai d'essere; il suo successore Berjia venne detronizzato in fretta e furia e sostituto da Nikita Chruščëv, un altro simpaticone passato dal caffè di Parigi e chiaramente filo americano, non ostante la fuffa mostrata col finto braccio di ferro con l'Occidente, destalinizzo' il paese come prima cosa.
Vengo al dunque, io non sono mai stato filosovietico, ma riconosco che la Russia assieme alla Serbia, sono gli ultimi baluardi rimasti per la tutela del mondo tradizionale contro il globalismo; se la Serbia è già stata fatta a spezzatino da quasi 30 anni e adesso al comando c'è un filoamericano che provvede a tenere tutto sotto controllo, lo stesso non può dirsi per la Russia e per la Bielorussia, in quest'ultimo stato è prevista a breve una sorta di colpo di stato in stile Ucraino, in Russia la situazione è tale e quale a quelle italiane e tedesche degli anni 30/40.
Putin in questi anni ha fatto una politica economica che ha migliorato notevolmente il tenore di vita dei russi, lo stesso non si può dire sotto altri aspetti.
Provo a spiegarmi meglio, la guerra in Ucraina chiaramente è stata causata dalle persecuzioni ucraine alla popolazione russofona degli ultimi 8 anni, quindi apparentemente la reazione Russa è stata lecita e dovuta, tuttavia, nel momento in cui ti trovi ad affrontare l'esercito più numeroso, armato e addestrato d'Europa, e tu:
✅ schieri il 5% delle tue forze
✅ non utilizzi armi tattiche
✅ non distruggi le infrastrutture strategiche del nemico
✅ non proteggi le tue infrastrutture strategiche
✅ lasci che ti affondino la tua nave ammiraglia
✅ schieri le truppe in maniera tale che tu subisca più perdite del nemico
✅ sprechi inutilmente tantissimi armamenti in tattiche di sfondamento oscene, giustificando che non vuoi creare vittime tra i civili, ma le crei al tuo esercito
Ecco, se tu persona indubbiamente intelligente, fai tutte queste cose, non stai commettendo errori di valutazione: stai commettendo un atto di tradimento, oscuro, ma neanche tanto, è semplicemente la storia che si ripete, la sola differenza spero la facciano i Russi, il loro orgoglio e il loro amor patrio, l'ultimo baluardo di normalità nel mondo cristiano.
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crazy-so-na-sega · 2 years
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davvero la Crimea è sempre stata russa?
La Crimea è sempre stata una penisola (o una quasi-isola) strategica. Geograficamente essa fa parte del bacino del mar Nero ed è associata senza soluzioni di continuità alle steppe ucraine meridionali. Il legame storico, geografico e commerciale della Crimea con l'Ucraina è sempre stato fortissimo. Anzi, sembra che Kyiv sia stata fondata proprio come piazza di transito del traffico commerciale verso il mar Nero e di quello carovaniero verso l'Asia centrale.
 Le due rotte, percorse da un gran numero di carovane, erano denominate, rispettivamente, la Via Greca, che dai porti del Mar Nero proseguiva via nave (col cabotaggio) per Bisanzio, e la Via Zaloznyj ( "la via dietro i salici"), che correva lungo il Dnipro, attraverso il Mar d'Azov, verso il Medio Oriente. La parte terrestre della via Greca, come spiega Hruševs'kyj (il più grande storico ucraino) «legava la Crimea e il Dnipro, attraverso Perekop. Nella prima metà del XVI secolo ci si riferisce a essa come "la strada utilizzata da sempre, da tempo immemorabile" e come "la strada antica". Correva da Perekop al Dnipro, passando per Tavan, non lontano da Oleššja, e da lì verso Čerkasy, Kaniv e Kyiv» (Storia dell'Ucraina-Rus', vol. VI, 1906).
Perekop si trova proprio nell'unica striscia di terra che lega la Crimea al continente, la quale è anche un istmo che divide il Mar d'Azov dal Mar Nero; Oleššja era un porto fluviale posto alla foce del Dnipro, nei pressi dell'attuale Cherson (Ucraina meridionale): quindi la strada non puntava a nord-est verso il disabitato Donbas, ma piegava verso nord-ovest e poi seguiva il corso inclinato del Dnipro.
Anche politicamente i legami tra la Crimea e l'antico Stato della Rus' di Kyiv erano molto forti; anzi, le cronache riferiscono che il battesimo della Rus', cioè la conversione del principe (kniaz') Volodymyr al cristianesimo greco sia avvenuta anche in virtù della cessione territoriale da parte dei bizantini di Sebastopoli, Chersonesus in latino, cioè della più russificata delle località della Crimea odierna, in virtù della bisecolare presenza dei marinai e degli ufficiali della flotta russa del Mar Nero.
Mosca e la Russia sono comunque lontanissime, storicamente e geograficamente, dalla Crimea; la Moscovia ha costituito per secoli il lontano nord del mondo slavo orientale, isolato e orbitante fino al XV secolo attorno all'Impero mongolo. Ancora oggi, per gli ucraini, i russi sono dei settentrionali che abitano in luoghi freddissimi, e, al converso, per i russi, gli ucraini sono dei meridionali che abitano regioni belle e solari. Una serie di circostanze storiche ha favorito in epoca moderna una continua espansione della Moscovia verso sud-est, fino alla conquista - dopo aver preso buona parte dell'Ucraina - della Crimea nel 1783, che era da secoli uno Stato tataro. Con il crollo dell'impero zarista ci fu la proclamazione nel 1918 di un'indipendente Repubblica ucraina, che ottenne di federarsi per breve tempo con l'autonoma Repubblica della Crimea e con quella del Kuban', prima che l'aggressione bolscevica ponesse fine a questa breve esperienza.
Si tenga anche conto che la parte di Russia attuale che si affaccia da est sul mar d'Azov è assai poco russa: sia la regione costiera orientale, con la città natale di Čecov, Taganrog, sia la grande penisola meridionale del Kuban', fino agli anni Trenta del Novecento erano abitate quasi unicamente da ucraini. Il genocidio per fame (Holodomor) che falcidiò il Kuban' quanto e più di altre regioni ucraine, flussi migratori di russi favoriti dagli zar e dai sovietici, cessioni territoriali forzose della Repubblica socialista ucraina in favore di quella russa, fecero di queste zone delle terre "russe".
Rimane il fatto che non c'è, neanche oggi, un legame geografico tra esse e la Crimea; e questo è uno dei motivi che spinge Putin a muovere guerra verso Mariupol, il porto del Donbas posto sul mar d'Azov; egli spera poi di prendersi le decine di chilometri di fascia costiera che, attraverso l'altro porto e centro industriale di Berdjans'k, connetterebbero finalmente, per la prima volta nella storia, la Russia alla Crimea.
Da quanto detto, risultano prive di senso le pretese russe a una "eterna appartenenza" della Crimea alla Russia, come base ideologica dell'atto annessionista del 2014 (condannato da una schiacciante maggioranza all'Assemblea generale dell'Onu). Sarebbe come dire che l'Algeria (conquistata nel 1830) è francese. Si può anzi affermare che questa annessione è un tipico sussulto da sindrome post-coloniale, paragonabile a quella subita dalla Francia con la crisi algerina della fine degli anni Cinquanta.
Anche la demografia crimeana attuale non è per nulla naturale: prima dell'annessione del 2014 i russi risultavano essere il 54% degli abitanti della Crimea, con il resto della popolazione diviso tra ucraini e tatari. Ma i Tatari sono uno dei popoli martirizzati dal regime sovietico e da Stalin, che approfittò della vittoria nel Secondo conflitto mondiale per deportarli in massa in Uzbekistan: un crimine contro l'umanità poco noto e che cambiò radicalmente la struttura demografica della Crimea. Dopo la fine del comunismo molti tatari poterono tornare in Crimea, di solito confinati nelle province interne della penisola.
In ogni caso, anche la Crimea, sebbene a maggioranza russa e russofona, votò nel 1991 per l'indipendenza dell'Ucraina, di cui divenne una Repubblica autonoma, l'unica presente nello Stato ucraino (una sorta di Alto Adige). La presunta "donazione" della Crimea all'Ucraina da parte di Kruščev nel 1954 è un mito abilmente diffuso dalla propaganda russofila. La Crimea era già una parte effettiva dell'Ucraina sovietica, dal punto di vista infrastrutturale, geografico ed economico. Non a caso, l'approvvigionamento idrico ed elettrico della Crimea continua, ancora oggi, a farsi tramite l'Ucraina. Con il loro "dono", i membri del Politburo (e non il solo Kruščev, che all'epoca non aveva ancora i pieni poteri) colsero diversi obiettivi: ingraziarsi gli ucraini, in occasione tra l'altro del trecentesimo anniversario dell'accordo di Perejaslav tra i Cosacchi e i Moscoviti, che pose le basi della conquista russa dell'Ucraina; aumentare la quota di abitanti russi dell'Ucraina; scaricare sul bilancio e sulle risorse della repubblica ucraina gli ingenti investimenti necessari alla modernizzazione della penisola che era ancora, all'epoca, ad uno stadio di sviluppo infrastrutturale primitivo. Con ciò aggravando ancor di più lo storno di risorse e capitali d'investimento ucraini che si è verificato per l'intera storia sovietica e che ha visto l'Ucraina svolgere il ruolo di contributore netto dell'economia sovietica.
Questa simbiosi storica ed economico-sociale tra l'Ucraina e la Crimea è stata accresciuta dalla proclamazione dell'indipendenza dell'Ucraina: secondo un sondaggio condotto nel 2011 dal Centro Razumkov (un centro ucraino di ricerca indipendente, premiato nel 2004 come miglior organizzazione non governativa dell'Europa orientale), il 71,3 per cento degli abitanti della Crimea intervistati dichiarava di considerare l'Ucraina la propria patria, con un aumento spettacolare rispetto al 39.3 per cento registrato in un medesimo sondaggio del 2008. La percentuale di russi che condividevano questo sentimento era di un significativo 66%. Solo il 18,6% dei crimeani rigettava la propria identità ucraina.
-Giuseppe Perri - ( Strade verso luoghi non comuni)
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Della poesia delle donne e del mondo
ITA: L'articolo ci restituisce integralmente un discorso di Grace Paley, pioniera, letterata e pacifista dello scorso secolo.
ENG: The article reports in its entirety a speech by Grace Paley, a pioneer, scholar and pacifist of the last century.
🖊️: Gabriella De Angelis
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#toponomasticafemminile
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carmenvicinanza · 6 months
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Marie Skłodowska Curie
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Non possiamo sperare di costruire un mondo migliore senza migliorare le persone.
Maria Solomea Skłodowska, passata alla storia come Marie Curie, è sicuramente la scienziata più conosciuta di tutti i tempi.
Prima donna insignita del premio Nobel, nel 1903, per la Fisica, che aveva condiviso col marito Pierre Curie e Antoine Henri Becquerel, per i loro studi sulle radiazioni.
Nel 1911 ha ricevuto un altro Nobel, per la chimica, per aver scoperto il radio e il polonio, elemento il cui nome era stato scelto in onore della sua terra natale, la Polonia.
È stata anche la prima persona al mondo ad aver vinto il prestigioso premio in due diversi campi scientifici.
Nata a Varsavia, il 7 novembre 1867, in una Polonia allora dominata dalla Russia, era l’ultima di cinque figli e figlie di una famiglia appartenente alla piccola nobiltà terriera degli szlachta.
Seria, solitaria e desiderosa di apprendere, aveva iniziato a studiare da autodidatta col padre. Era una brillante studentessa, dotata di particolare memoria, grande capacità di concentrazione e sete di sapere. Poiché ai tempi, alle donne non era concesso di andare all’università, si trasferì a Parigi per studiare matematica e fisica.
Per tutta la sua esistenza, ha avuto una relazione speciale con sua sorella Bronisława, che l’ha sempre protetta e incoraggiata. Questo grande legame di sorellanza, ha determinato il suo atteggiamento positivo e di complicità con le altre donne.
A 17 anni aveva già rifiutato ogni religiosità coltivando la fede nel progresso che, nel positivismo trovò la sua armatura e via d’azione. Aderendo, giovanissima, a un gruppo studentesco nazionalista, sotto il naso della polizia zarista, conduceva campagne di sensibilizzazione e raccolta di libri per persone indigenti della classe operaia.
Per aiutare la sorella a pagarsi gli studi di medicina a Parigi, aveva lavorato, per diverso tempo, come governante.
Nel 1891, ha potuto finalmente coronare il suo sogno di studiare alla Sorbonne dove si è laureata in matematica e fisica.
Quindici anni più tardi, il 5 novembre 1906, è stata la prima donna a insegnare in quella stessa università.
Ha conosciuto il fisico e matematico francese Pierre Curie nel 1894, l’anno successivo si sposarono, iniziando un fortunato sodalizio scientifico fatto di stima e collaborazione.
Gli studi sulle sostanze radioattive, che hanno determinato tutta la sua ricerca, sono iniziati nel dicembre 1897.
Marie Curie ha dedicato la sua vita all’isolamento e alla concentrazione del radio e del polonio, presenti in piccolissime quantità nella pechblenda, minerale radioattivo e una delle principali fonti naturali di uranio. Ignorando gli effetti nocivi che queste radiazioni hanno sull’organismo umano, ha esaminato tonnellate di minerale, fino a quando, nel luglio del 1898, è riuscita a isolare una piccola quantità di un nuovo elemento dalle caratteristiche simili al tellurio e 330 volte più radioattivo dell’uranio che venne chiamato polonio. Il resoconto di tale lavoro, unitamente a quello immediatamente successivo che portò alla scoperta del radio, divenne la sua tesi di dottorato.
In un capannone che usava come laboratorio, senza aerazione, ha lavorato instancabilmente inalando gas tossici, per riuscire a separare il radio dal bario con il metodo della cristallizzazione frazionata che aveva ideato e messo a punto.
Il 28 marzo 1902 ha annotato sul suo quaderno: RA = 225,93, il peso di un atomo di radio. È stata la fine di un’avventura senza altri precedenti noti nella storia della scienza.
Intenzionalmente non depositò il brevetto internazionale per il processo di isolamento del radio, preferendo lasciarlo libero, così che la comunità scientifica potesse effettuare ricerche senza ostacoli.
I coniugi Curie, per le loro ricerche ricevettero la Medaglia Davy nel 1903 e la Medaglia Matteucci nel 1904.
Marie Curie, nel novembre 1906 ha ottenuto la  cattedra di fisica generale alla Sorbonne detenuta, in precedenza, dal marito morto in un incidente il 19 aprile dello stesso anno.
Nel 1909 ha fondato a Parigi l’Institut du radium, oggi noto come Istituto Curie e, nel 1932, uno analogo a Varsavia, anch’esso rinominato Istituto Curie.
Nel 1911 è stata al centro di uno scandalo per la sua relazione amorosa con Paul Langevin, ricercatore di fisica che era sposato, padre di quattro figli e più giovane di lei di cinque anni. La scienziata ne ammirava le ricerche che fornirono importanti contributi nel campo degli ultrasuoni, dello studio dei raggi X e della piezoelettricità. La vicenda rischiò persino di compromettere l’assegnazione del suo secondo premio Nobel alla cui cerimonia venne sconsigliato di partecipare. Ma lei ci andò lo stesso. 
Per questa unione ha subito pesanti attacchi negli ambienti accademici e una vera e propria persecuzione sui giornali.
Al punto che Albert Einsteinscrisse un’appassionata lettera pubblica contro la stampa scandalistica per sostenerla.
Durante la prima guerra mondiale, Marie Curie ha operato, insieme alla figlia Irène, in qualità di radiologa per il trattamento dei soldati feriti: dotando un’automobile di un’apparecchiatura radiografica rese possibili le indagini radiologiche effettuate in prossimità del fronte e partecipò alla formazione di tecnici e infermieri.
Dopo la guerra è stata attiva nella Commissione Internazionale per la Cooperazione Intellettuale della Lega delle Nazioni per migliorare le condizioni di lavoro di scienziati e scienziate.
Negli ultimi anni della sua vita fu colpita da una grave forma di anemia aplastica, quasi certamente contratta a causa delle lunghe esposizioni alle radiazioni di cui, all’epoca, si ignorava l’alta pericolosità.
È morta il 4 luglio 1934 nel sanatorio di Passy, in Alta Savoia. Venne sepolta nel piccolo cimitero di Sceaux.
Alla sua morte, Albert Einstein affermò: «È, fra tutte le persone celebri, la sola che la gloria non abbia corrotto.»
La sua tomba, insieme a quella del marito Pierre Curie, è stata spostata al Pantheon di Parigi dal 1995. Anche questo è un suo primato, è stata la prima donna a ricevere questo onore,  per meriti propri.
Dopo cinquant’anni la sua bara era ancora radioattiva, tanto che è stata avvolta in una camicia di piombo.
I suoi appunti di lavoro, gli abiti e persino i suoi quaderni di ricette sono tuttora racchiusi in contenitori piombati perché ancora contaminati: possono essere esaminati solo indossando speciali protezioni.
La loro figlia Irène, che aveva vinto anch’ella un premio Nobel per la chimica insieme al coniuge Frédéric Joliot, nel 1935, è morta di leucemia a 59 anni per le troppe esposizioni alle radiazioni, così come suo marito.
La secondogenita, Ève Denise Curie, scrittrice, consigliera speciale del Segretariato delle Nazioni Unite e ambasciatrice dell’UNICEF in Grecia, ha vissuto, invece, fino a 103 anni.
La nipote Hélène Langevin Joliot è professoressa di fisica nucleare all’Università di Parigi. Un altro nipote, Pierre Joliot è un noto biochimico che si occupa dello studio della fotosintesi.
Negli anni novanta, in suo onore, è stata emessa una moneta da 100 franchi francesi e una banconota da 20 000 złoty polacchi che la raffigura.
Ai coniugi Curie è stato dedicato un asteroide, il 7000 Curie, e un minerale di uranio: la curite. A Maria Skłodowska è stato dedicato un altro minerale di uranio, la sklodowskite, oltre all’unità di misura della radioattività, il curie.
Maria Skłodowska Curie è stata una donna indipendente e determinata, pioniera nel campo delle scienze di cui ha determinato il corso, con una mente libera e solidale. Credeva nel progresso e nella condivisione del sapere. Non si è lasciata condizionare dalla mentalità dei tempi in cui è vissuta, è andata avanti, caparbia, a rincorrere la sua fede nella ricerca e nella scienza, incurante del pericolo, fino all’ultimo istante della sua vita.
Una donna che ha cambiato le sorti dell’umanità.
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paoloferrario · 6 months
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Antony Beevor, Russia 1917-1921. Rivoluzione e guerra civile, Rizzoli, 2022
scheda dell’editore: https://www.libreriarizzoli.it/…/eai978881716463/ Nel 1917, dopo il crollo dell’impero zarista di Nicola II e la presa del potere da parte dei bolscevichi guidati da Lenin e Trockij, la Russia piomba nel caos. Il governo provvisorio si rivela incapace di tenere le redini del Paese, il quale, per i successivi quattro anni, è insanguinato da una devastante guerra civile che…
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scienza-magia · 9 months
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Genocidio e sterminio, i metodi di russificazione dello Zar
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Lo sterminio per fame in Ucraina, il metodo Holodormor: il discorso del 1953 di Raphael Lemkin. In un discorso del 1953 il giurista Raphael Lemkin ricostruisce la strategia sovietica di annientamento dell’Ucraina e la carestia indotta negli anni Trenta. L’“iter” del genocidio è lo stesso usato da Putin oggi. Pubblichiamo il discorso che Raphael Lemkin, il giurista che ha coniato il termine “genocidio”, tenne il 20 settembre 1953 dal titolo “Il genocidio sovietico in Ucraina”. “‘Ama l’Ucraina’ Non puoi amare altri popoli se non ami l’Ucraina”. Volodymyr Sosyura Lo sterminio dei popoli e delle nazioni che ha caratterizzato l’avanzata dell’Unione sovietica in Europa non costituisce un tratto nuovo della sua politica espansionista, non è un’innovazione concepita unicamente per uniformare le diversità di polacchi, ungheresi, baltici, rumeni − che ora scompaiono tra le frange dell’impero. Anzi, è stato a lungo una caratteristica presente anche nella politica interna del Cremlino − gli attuali padroni hanno a disposizione abbondanti precedenti nelle operazioni della Russia zarista. Lo sterminio è una tappa indispensabile nel processo d’���unione” che ingenuamente i leader sovietici sperano produrrà l’“uomo sovietico”, la “nazione sovietica” e, per raggiungere l’obiettivo diunificare la nazione, i leader del Cremlino saranno disposti a distruggere le nazioni e le culture che hanno abitato per lungo tempo l’Europa orientale.
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Ciò di cui voglio parlare è forse l’esempio classico di genocidio sovietico, il suo più ampio e duraturo esperimento di russificazione: la distruzione della nazione ucraina. Essa rappresenta, come ho detto, l’erede di  crimini zaristi analoghi come l’annegamento di diecimila tatari della Crimea per ordine di Caterina la Grande, lo sterminio di massa da parte delle “SS” di Ivan il Terribile,  l’Oprichnina; lo sterminio dei leader polacchi e dei cattolici ucraini da parte di Nicola I; e le serie di pogrom di ebrei che hanno periodicamente macchiato la storia russa. Ci sono state operazioni simili all’interno dell’Unione sovietica, con l’annientamento della nazione ingrica, dei cosacchi del Don e del Kuban, delle Repubbliche tatare della Crimea, delle nazioni baltiche di Lituania, Estonia e Lettonia. Ciascuno di essi costituisce un esempio della  politica prolungata di liquidazione delle popolazioni non-russe mediante l’eliminazione di  parti selezionate. L’Ucraina forma una porzione dell’Urss sud-orientale equivalente al territorio di Francia e Italia ed è abitata da circa 30 milioni di persone. Granaio della Russia, la sua geografia l’ha resa una chiave strategica per il petrolio del Caucaso e dell’Iran e per l’intero mondo arabo. A nord, confina proprio con la Russia. Finché l’Ucraina conserva la sua unità nazionale, finché i suoi abitanti continuano a concepirsi come ucraini e a perseguire l’indipendenza, fino ad allora l’Ucraina rappresenta una grave minaccia nel cuore stesso del regime sovietico. Non sorprende che i leader comunisti abbiano attribuito un’importanza fondamentale alla russificazione di questo membro dallo spirito indipendente della loro Unione di Repubbliche, e che abbiano decisodi rifarlo daccapo affinché si conformi al loro modello di un’unica nazione russa. Perché l’ucraino non è e non è mai stato russo. La sua cultura, il suo temperamento, la sua lingua, la sua religione − sono tutti diversi. Ha rifiutato di essere collettivizzato, accettando la deportazione e persino la morte. E dunque per questo è particolarmente importante che l’ucraino sia adattato al modello procustiano dell’ideale dell’uomo sovietico. L’Ucraina è particolarmente predisposta all’omicidio razziale di gruppi selezionati, per cui la tattica comunista non ha seguito lo schema adottato nelle offensive tedesche contro gli ebrei. E’ una nazione troppo popolosa per essere sterminata completamente con una qualche efficienza. La sua leadership religiosa, intellettuale, politica, le sue élite sono però molto ristrette e dunque sono state facilmente eliminate ed è in particolare su questi gruppi che si è abbattuta tutta la potenza della scure sovietica, con i suoi soliti strumenti fatti di omicidi di massa, deportazioni e lavoro forzato, esilio e fame. L’aggressione è stata sistematica, con l’intero iter ripetuto di continuo per contrastare ogni nuova esplosione dello spirito nazionale. Il primo colpo fu inferto all’intellighenzia, il cervello della nazione, in modo tale da paralizzare il resto del corpo. Nel 1920, nel 1926 e ancora nel 1930–1933 insegnanti, scrittori, artisti, pensatori, leader politici furono liquidati, imprigionati o deportati. Secondo l’Ukrainian Quarterly dell’autunno del 1948,  soltanto nel 1931 furono spediti in Siberia 51.713 intellettuali. Almeno 114 dei maggiori poeti, scrittori e artisti, i più illustri rappresentanti della cultura della nazione, hanno conosciuto la stessa sorte. Secondo stime prudenti, almeno il 75 per cento degli intellettuali e dei professionisti ucraini nell’Ucraina occidentale, nell’Ucraina carpatica e nella Bucovina sono stati sterminati brutalmente dai russi. Assieme a questo attacco all’intellighenzia ci fu un’offensiva contro le chiese, i sacerdoti e la gerarchia ecclesiastica, l’“anima” dell’Ucraina. Tra il 1926 e il 1932, la Chiesa ortodossa autocefala ucraina, il suo Metropolita (Lypkivsky) e diecimila membri del clero furono liquidati. Nel 1945, quando i sovietici s’installarono nell’Ucraina occidentale, una sorte analoga toccò alla Chiesa cattolica ucraina. Che si trattasse unicamente di una politica di russificazione è chiaramente dimostrato dal fatto che, prima della sua liquidazione, alla Chiesa fu offerta l’opportunità di fondersi con il Patriarca russo di Mosca, strumento politico del Cremlino. L’11 aprile del 1945, solo due settimane prima della conferenza di San Francisco, un distaccamento dell’Nkvd circondò la cattedrale di S. Giorgio a Leopoli e arrestò il Metropolita Slipyj, due vescovi, due prelati e diversi sacerdoti. Tutti gli studenti del seminario della città furono trascinati fuori dalla scuola, mentre ai loro professori veniva comunicato che la Chiesa greco-cattolica ucraina aveva cessato di esistere, che il Metropolita era in stato d’arresto e che il suo posto sarebbe stato preso da un vescovo designato dal soviet. Azioni di questo tipo furono ripetute in tutta l’Ucraina occidentale e in Polonia, al di là della Linea Curzon. Almeno sette vescovi furono arrestati o non se ne ebbero più notizie. Nell’area non c’è più alcun vescovo della Chiesa cattolica ucraina in libertà. Cinquecento membri del clero, che si erano riuniti per protestare contro l’operato dei sovietici, furono o ammazzati o arrestati. In tutta la regione esponenti del clero e del laicato furono uccisi a centinaia, mentre quelli mandati ai lavori forzati erano  diverse migliaia. Interi villaggi furono svuotati. Durante la deportazione, le famiglie furono deliberatamente separate, i padri inviati in Siberia, le madri nelle case di mattoni del Turkestan e i figli presso le case comuniste per essere “educati”. La Chiesa stessa, per il crimine di essere ucraina, fu dichiarata un’associazione nociva per il benessere dello stato sovietico, i suoi membri furono schedati dalla polizia sovietica come potenziali “nemici del popolo”. Fatta eccezione per 150 mila membri in Slovacchia, la Chiesa cattolica ucraina è stata ufficialmente liquidata, la sua gerarchia imprigionata, il suo clero disperso e deportato. Queste aggressioni all’anima del paese hanno avuto e continueranno ad avere gravi effetti sulla mente dell’Ucraina, poiché sono le famiglie del clero che hanno tradizionalmente fornito gran parte degli intellettuali, mentre gli stessi prelati sono stati i leader dei villaggi, le loro mogli hanno presieduto le organizzazioni caritatevoli. Gli ordini religiosi dirigevano scuole, si prendevano cura della maggior parte delle opere di carità. Il terzo pilastro del piano sovietico riguardava gli agricoltori, la grande massa di contadini indipendenti che sono i depositari della tradizione, del folklore e della musica, della lingua e della letteratura nazionale, dello spirito nazionale dell’Ucraina. L’arma utilizzata contro questo gruppo è forse la più terribile di tutte: la fame. Tra il 1932 e il 1933 cinque milioni di ucraini morirono di fame, una crudeltà disumana che il 73esimo Congresso condannò il 28 maggio del 1934. Si è cercato di liquidare questo apice della crudeltà sovietica come una politica economica connessa alla collettivizzazione delle terre coltivate a grano e all’eliminazione dei kulaki, i contadini indipendenti, che era necessaria. Il fatto, però, è che in Ucraina i grandi coltivatori erano pochi e rarissimi. Come dichiarò lo scrittore sovietico Kossies sull’Izvestiia del 2 dicembre 1933, “il nazionalismo ucraino è la nostra principale minaccia”, e fu per eliminare quel nazionalismo, per instaurare la spaventosa uniformità dello stato sovietico che i contadini ucraini furono sacrificati. Il metodo utilizzato in questa parte del piano non fu limitata a qualche gruppo particolare. Patirono tutti − uomini, donne, bambini. Il raccolto quell’anno fu più che sufficiente a nutrire la popolazione e il bestiame dell’Ucraina, anche se era stato inferiore rispetto all’anno precedente, una diminuzione in larga parte dovuta probabilmente agli sforzi per la collettivizzazione. Ai sovietici, però, serviva una carestia e così dovettero predisporne una, intenzionalmente, attraverso un prelievo di grano da parte dello stato insolitamente elevato sotto forma di tasse. In aggiunta a ciò, migliaia di acri di campi di grano non furono mai mietuti, furono lasciati marcire. Il resto fu inviato ai granai governativi per essere immagazzinato fino a che le autorità non ne avessero deciso la destinazione. Gran parte di questo raccolto, così vitale per la sopravvivenza dei cittadini ucraini, finì esportato per ottenere crediti all’estero. Di fronte alla carestia nelle aziende agricole, migliaia di persone abbandonarono le aree rurali e si diressero verso le città in cerca di cibo. Presi e rimandati nelle campagne, abbandonarono i loro figli nella speranza che almeno loro riuscissero a sopravvivere. In questo modo a Kharkiv furono lasciati soli diciottomila bambini. In villaggi con una popolazione di mille abitanti ne sopravvissero cento; in altri, ne morì la metà – c’erano venti o trenta morti ogni giorno. Il cannibalismo divenne la normalità. Come scriveva nel 1933 W. Henry Chamberlain, il corrispondente da Mosca per il Christian Science Monitor: i comunisti videro, in questa apatia e in questo sconforto, un sabotaggio e una controrivoluzione e, con la crudeltà tipica degli idealisti sicuri di stare nel giusto, decisero di lasciare che la fame facesse il suo corso con l’idea che questo avrebbe dato una lezione ai contadini. I soccorsi furono distribuiti con parsimonia alle aziende agricole collettive, ma in quantità inadeguata e così in ritardo che ormai si erano perse molte vite. Si lasciò che i contadini si arrangiassero da soli; e il più alto tasso di mortalità tra questa categoria fornì un argomento molto convincente per confluire nelle aziende collettive. La quarta fase del processo consisteva nella frammentazione del popolo ucraino attraverso l’introduzione in Ucraina di popolazione straniera e, allo stesso tempo, la dispersione degli ucraini in tutta l’Europa orientale. In questo modo, l’unità etnica sarebbe stata distrutta e le nazionalità mescolate. Tra il 1920 e il 1939 la percentuale della popolazione di etnia ucraina in Ucraina passò dall’80 al 63 per cento. Di fronte alla carestia e alla deportazione, la popolazione ucraina era diminuita in termini assoluti passando da 23,2 a 19,6 milioni, mentre la popolazione non-ucraina era aumentata di 5,6 milioni. Se si considera che l’Ucraina un tempo aveva il più alto tasso d’incremento demografico d’Europa, circa 800 mila unità l’anno, è facile vedere che la politica russa era stata portata a termine. Sono state queste le tappe principali della distruzione sistematica della nazione ucraina, nel suo progressivo assorbimento nella nuova nazione sovietica. Non c’è stato alcun tentativo d’annientamento totale, che fu il metodo adottato nell’aggressione tedesca agli ebrei. Eppure, se il programma sovietico ha pieno successo, se si riescono a eliminare l’intellighenzia, i sacerdoti e i contadini, l’Ucraina morirà come se fosse stato ucciso ogni singolo ucraino, perché avrà perso quella sua parte che ha conservato e sviluppato la sua cultura, le sue idee, le sue opinioni, che l’avevano condotta e le avevano dato un’anima, che, in breve, l’avevano resa una nazione e non una moltitudine di persone. Non sono però certo mancate le stragi indiscriminate − semplicemente non erano parti integranti del piano, ma varianti accidentali. In migliaia sono stati giustiziati, in diverse migliaia sono stati risucchiati dalla morte certa dei campi di lavoro siberiani. La città di Vinnitsa potrebbe essere tranquillamente definita come la Dachau ucraina. In 91 fosse giacciono i corpi di 9.432 vittime della tirannia sovietica, persone fucilate dall’Nkvd durante il 1937 o il 1938. Tra le lapidi dei cimiteri, nei boschi, con spaventosa ironia, sotto una pista da ballo, i corpi sono rimasti dal 1937 fino alla loro scoperta da parte dei tedeschi nel 1943. Molte delle vittime erano state dichiarate esiliate in Siberia dai sovietici. L’Ucraina ha anche la sua Lidice, la città di Zavadka, distrutta dai satelliti polacchi del Cremlino nel 1946. Per tre volte la Seconda divisione polacca attaccò la città, uccidendo uomini, donne e bambini, bruciando le case e sequestrando il bestiame. Durante il secondo raid, il comandante comunista disse a quel che era rimasto della popolazione della città: “La stessa sorte toccherà a chiunque rifiuti di andare in Ucraina. Ordino pertanto che entro tre giorni il villaggio sia evacuato; altrimenti passerò per le armi ciascuno di voi”. Quando la città fu infine evacuata con la forza, rimanevano solo quattro uomini tra i 78 sopravvissuti. Durante il marzo dello stesso anno, altre nove città ucraine furono assaltate dalla stessa unità comunista e, più o meno, ricevettero lo stesso trattamento. Quanto si è detto sin qui non riguarda soltanto l’Ucraina. Il piano messo in atto dai sovietici in quel paese è stato e continua a essere ripetuto: è una componente fondamentale del programma sovietico di espansione poiché offre il modo più rapido per far emergere l’unità dalla diversità delle culture e delle nazioni di cui si compone l’impero sovietico. Il fatto che questo metodo porti con sé indescrivibili sofferenze per milioni di persone non li ha fatti desistere dalla strada imboccata. Anche solo per questa sofferenza umana, si dovrebbe condannare come crimine questo metodo di unificazione. Ma c’è di più della sola sofferenza. Non si tratta semplicemente di un’uccisione di massa. Si tratta di un caso di genocidio, della distruzione non solo dei singoli ma di una cultura e di una nazione. Anche se fosse stato possibile realizzarla senza sofferenze, dovremmo essere portati a condannarla, perché la comunità di spiriti, l’unità d’intenti, di lingua e di costumi che formano ciò che chiamano nazione costituiscono uno dei più importanti mezzi di civilizzazione e progresso a nostra disposizione. E’ vero che le nazioni si mescolano e formano nuove nazioni, ma tale mescolanza consiste nel mettere in comune i vantaggi delle qualità migliori possedute da ciascuna cultura. E è in questo modo che il mondo progredisce. Infine, a prescindere dalle importantissime questioni relative alla sofferenza umane e ai diritti umani, quel che è riprovevole nei piani sovietici è la criminale distruzione della civiltà e della cultura. Perché l’unità nazionale sovietica non si sta creando attraverso l’unificazione di opinioni e culture, bensì mediante la distruzione completa di tutte le culture e di tutte le opinioni eccetto una − quella sovietica. Read the full article
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reginadeinisseni · 1 year
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La Belle Otero au Casino de Monaco - Visites privées
PAOLO DEL DEBBIO E' CON I PARENTI CON LA SPAGNA CON QUELLI CHE VORREBBERO IL MATRIMONIO COMBINATO PER FARMI TACERE LA PEDOFILIA DI EMILIA
IO HO AVUTO IN DONO DALLA MORTE LA MENOPAUSA A 47 ANNI PERCHE' C ERA RISCHIO DI UNJ MATRIMONIO COMBINATO A CAUSA DELLE MOLESTIE SUBITE A 9 ANNI (LA BELLA OTERO A 10) ACQUARIUM . IL TEATRO, LO SCANDALO, L' ALLONTANAMENTO DEL RUSSO
La Bella Otero (La Belle Otero), anche nota come Carolina Otero, pseudonimo di Agustina Carolina del Carmen Otero Iglesias (Valga, 4 novembre 1868 – Nizza, 10 aprile 1965), è stata una ballerina, attrice e cortigiana spagnola. Subì - a quanto rivelò in seguito - uno stupro all'età di 10 anni che la rese sterile, e a quattordici anni se ne andò di casa assieme al suo ragazzo e compagno di danza, Paco, per lavorare come cantante e ballerina a Lisbona.
Nell'agosto 1898, a San Pietroburgo, l'operatore cinematografico francese Félix Mesguich (che lavorava per la compagnia dei Fratelli Lumière) filmò uno spezzone di un minuto che mostrava un numero di danza della Otero (sulle note del "Valse Brillante"), facendo di lei probabilmente «la prima stella della storia del cinema». Nel filmato compariva anche un ufficiale dell'esercito zarista, e quando venne proiettato al music-hall Aquarium, lo scandalo fu tale che Mesguich venne espulso dalla Russia.[2]
ПАОЛО ДЕЛЬ ДЕББИО С РОДСТВЕННИКАМИ С ИСПАНИЕЙ С ТЕМИ, КТО ХОТЕЛ БЫ, ЧТОБЫ БРАК ПО ДОГОВОРЕННОСТИ ЗАСТАВИЛ МЕНЯ МОЛЧАНИЕ ПЕДОФИЛИИ ЭМИЛИИ
Я ПОЛУЧИЛ МЕНОПАУЗУ ПОСЛЕ СМЕРТИ В 47 ЛЕТ ПОТОМУ ЧТО C БЫЛ РИСК UNJ БРАК ПО ДОГОВОРЕННОСТИ ИЗ-ЗА ДОМОГАТЕЛЬСТВ, КОТОРЫМ ОНА ПОДВЕРГЛАСЬ В 9 ЛЕТ (БЕЛЛА ОТЕРО В 10) Аквариум . ТЕАТР, СКАНДАЛ, ОТЧУЖДЕНИЕ РУССКОГО
La Belle Otero; 4 ноября 1868, Валга – 10 апреля 1965, Ницца) - испанская танцовщица, актриса и куртизанка. Она пережила - как позже выяснилось-изнасилование в возрасте 10 лет, которое сделало ее бесплодной, и в четырнадцать лет она ушла из дома вместе со своим парнем и партнером по танцам Пако, чтобы работать певицей и танцовщицей в Лиссабоне.
В августе 1898 года в Санкт-Петербурге французский кинооператор Феликс Месгич (работавший в труппе братьев Люмьер) снял одноминутный отрывок, в котором был показан танцевальный номер Отеро (на мелодию "Valse Brillante"), что сделало ее вероятно, «первой звездой в истории кино». В кадре также фигурировал офицер царской армии, и когда он был показан в аквариуме мюзик-холла, скандал был таким, что Месгуича изгнали из России.[2]
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ODIO I GIORNALISTI SONO SENZA COSCIENZA INCOMPETENTI COME GLI PSICHIATRI
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angelomeini · 1 year
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Putin (un anno di guerra)
Putin
Il regime di terrore nazionale storico
Con qualche giorno d'anticipo pubblico questa riflessione riguardo l'imminente ricorrenza del 24 febbraio 2023 (un anno di guerra russo-ucraina).
Nonostante la complessità storica di ogni nazione, il succedersi di eventi storici più o meno determinanti, ha prodotto il profilo attuale di qualsiasi nazione (stato sovrano); con il 24 febbraio 2023 ricorrerà il triste anniversario di un anno di guerra in Ucraina. Non è facile parlare in modo obbiettivo dell'argomento, ed è estremamente difficile capire il popolo russo, non ritengo opportuno esternare una critica, ma preferisco esprimere un'opinione personale. Il modello zarista russo si origina nel 1480 circa sotto il governo di Ivan il Grande. Con l'incoronazione di Michele Romanov nel 1613 (primo della dinastia), probabilmente fu consolidato il modello politico giunto alla rivoluzione del 1917. Una tipologia politica notoriamente avvilente e penalizzante per la popolazione, siamo sicuri che non è mai stato un sistema di Monarchia Costituzionale! La monarchia assoluta (autocratica) non differisce molto da una dittatura politica, o come assistiamo con disprezzo e orrore attualmente, ha forti somiglianze con quei regimi teocratici estremisti e repressivi di tutto il medio oriente. Dopo tre secoli di soprusi del regime zarista, nel 1921, si instaura il nuovo regime totalitarista bolscevico teorizzato da Lenin di matrice comunista. Intanto in Italia e Germania si cominciavano a consolidare sistemi dittatoriali di estrema destra fascista. Così, il popolo russo si sottomette ad un sistema tirannico forse peggiore allo zarista, in parole povere: “salta dalla padella nella brace”! Tal regime vede avvicendarsi dittatori sempre peggiori, con periodiche recrudescenze politico-repressive. Nonostante l'apparente allentamento avvenuto con la presidenza di Boris Nikolaevič El'cin e Michail Gorbačēv, l'ascesa al potere di Vladimir Putin ha riportato la Russia nel baratro della più tetra dittatura. Inizialmente Putin era apparso moderato e parzialmente riformatore... nel 2014 aveva comunque manifestato le proprie intenzioni in Crimea. Il campanello d'allarme non è stato recepito correttamente dal mondo intero! Per poco più di un decennio, la Russia ha esportato inimmaginabili quantità di materie prime, favorendo lo sviluppo delle nazioni ricche e sviluppate, sostenendo e sostentando le realtà nazionali povere e meno sviluppate. In breve il mondo intero è diventato dipendente delle interminabili e incessanti forniture di grano, farina, olio, fertilizzanti, terre rare, minerali, metalli e pietre preziose, metalli rari, petrolio, gas ecc, che la Russia offriva e riversava sul mercato globale in quantità progressivamente crescenti. Il 24 febbraio 2022, Putin cosciente del potere acquisito, ha invaso il territorio ucraino con nostalgiche ragioni politiche mascherate dalla pazzesca giustificazione di “operazione speciale” necessaria alla “denazificazione” dell'Ucraina... Con questa Folgorata e dissennata iniziativa bellica, Putin il Deviato (come Ivan il Terribile oppure Trump lo Scoppiato, Biden il Gatto Morto ecc), ha trascinato il mondo intero in un precipizio finanziario spaventoso. Se fino a poco prima non era bastata la pandemia globale da Corona Virus, che aveva inflitto un duro colpo all'economia mondiale, la stupidità orgogliosa di un vecchio dittatore ha assestato al sistema il colpo di grazia... o quasi! Così, giunti all'anno di Grazia 2023, il popolo russo ha accettato e trascorso altri 100 anni alla mercé, ai capricci e alle scelleratezze di un sistema dispotico guidato da politici sempre più demodé, nonostante cattiveria e inaudita ferocia li abbia contraddistinti nel loro avvicendarsi. Cosa aspetta il popolo russo dopo 400 anni di sofferenze, costrizioni e restrizioni? Forse è in trepidante attesa che uno di questi fossili estremisti di matrice bolscevica trascini (oltre la Russia) tutto il mondo in fondo alla rovina? Putin minaccia il mondo? Va anche detto che il mondo lo lascia fare, è come se assecondasse lo svalvolato in attesa di poterlo afferrare per mettergli la camicia di forza! Non è facile affrontare una situazione così allucinante. Putin sembra uno di quei bevitori nei bar, quando ormai la lite tra ubriaconi degenera, minacciandosi a vicenda arrivano a dire anche le peggiori idiozie... si spera che Putin non vada a prendere il fucilino a casa per tornare al bar!
Angelo Meini
19-02-2023
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lamilanomagazine · 3 months
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Milano, presentate oggi le mostre 2024 e gli highlights del 2025 nelle sedi espositive
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Milano, presentate oggi le mostre 2024 e gli highlights del 2025 nelle sedi espositive È l'arte moderna e contemporanea la protagonista assoluta del programma espositivo 2024-2025 del Comune di Milano. Molti gli artisti, italiani e internazionali, e diversi i linguaggi, dalla pittura alla fotografia, dalla performance alla scultura, che vanno a comporre una proposta complessiva di sicuro interesse per l'ampiezza dell'orizzonte artistico considerato. In primo piano il rapporto tra l'Italia e la Francia, tra Milano e Parigi, e si inizia con il grande ritorno di Pablo Picasso, spagnolo di nazionalità ma di fatto francese dall'età di 19 anni, presente con ben due esposizioni: una a Palazzo Reale, in collaborazione con il Musée national Picasso-Paris, che seguirà proprio il filo rosso del suo status di "eterno straniero" in Francia; e l'altra al MUDEC – Museo delle Culture di Milano, in collaborazione con i principali musei spagnoli e gli eredi di Picasso, che metterà in dialogo le sue opere con le fonti artistiche 'primigenie' che lo influenzarono sin dagli inizi della sua carriera. La Francia è protagonista anche della mostra che inaugura la stagione espositiva 2024 di Palazzo Reale, con la prima e più completa monografica di Giuseppe De Nittis, che vede esposti novanta dipinti provenienti da collezioni nazionali e internazionali. De Nittis è stato, insieme a Boldini, il più grande degli italiani a Parigi, dove resse il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti. Anche le immagini esposte da febbraio a Palazzo Reale nella mostra dedicata al fotografo Brassaï, ungherese di nascita ma parigino d'adozione, sono immagini iconiche che identificano immediatamente il volto di Parigi. Brassaï lavorò infatti in stretta relazione con artisti come Picasso, Dalì e Matisse, fu vicino al movimento surrealista e partecipò al grande fermento culturale che investì Parigi in quegli anni. Un confronto epico tra due figure chiave dell'Impressionismo, Cézanne e Renoir, abiterà le stanze di Palazzo Reale in primavera: cinquanta capolavori che ripercorrono la vita di due maestri che hanno contribuito alla nascita di uno dei movimenti più importanti della storia dell'arte moderna, che vide a Parigi la sua nascita e la sua affermazione. In maggio, sempre a Palazzo Reale, l'artista Ercole Pignatelli reinterpreterà in chiave performativa Guernica, il capolavoro di Picasso, dipingendo nell'arco di sei giorni una tela della stessa dimensione. In occasione dei settant'anni dalla straordinaria esposizione di Guernica in Sala delle Cariatidi, l'intervento vuole restituire emozioni e riflessioni che il capolavoro aveva suscitato nell'artista ancora diciottenne, filtrati attraverso l'esperienza dei suoi ottantotto anni. L'onda lunga della Parigi di inizio Novecento arriverà fino nel 2025 con la grande retrospettiva a Palazzo Reale di Chaïm Soutine, straordinario artista che a 20 anni si trasferì nella capitale francese dalla Russia zarista per diventare uno dei più intensi ed emozionanti pittori del Novecento. Ma non solo: in occasione del centenario dell'Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes, che si è svolta a Parigi appunto nella primavera del 1925, una mostra racconterà i quasi dieci anni di affermazione italiana ed europea dell'Art Déco; e ancora, sempre in primavera, la mostra "Napoleone a Milano. Appiani e i percorsi del Mito" seguirà la parabola storica di Bonaparte attraverso le opere di diversi artisti, in un percorso realizzato in collaborazione con il Museo di Malmaison e la Réunion des Musées Nationaux. La mostra sarà allestita a Parigi per poi arrivare nella primavera del 2025 nelle sale di Palazzo Reale, dove sarà declinata con particolare attenzione alle opere realizzate per il Palazzo stesso. La GAM Galleria d'Arte Moderna di Milano, che mantiene ormai da anni una serie di rapporti stretti con la Francia, e in particolare con il Museo d'Orsay, ha appena concluso il progetto scientifico di una grande monografica dedicata allo scultore di origini russe ma italianizzato Paolo Troubetzkoy. La mostra, che sarà curata congiuntamente da GAM, Museo d'Orsay e Getty Museum di Los Angeles, sarà realizzata in doppia sede, a Parigi e a Milano, dove arriverà all'inizio del 2026. Tornando al 2024 e cambiando media espressivo, da febbraio il MUDEC proporrà un nuovo appuntamento, in collaborazione con Magnum Photo, con la fotografia di reportage e documentaria di Martin Parr. In mostra oltre duecento scatti del grande fotografo inglese, che ha scandagliato la società contemporanea e le sue pieghe più contraddittorie, senza filtri e fuori da ogni retorica. La grande fotografia contemporanea sarà protagonista anche a Palazzo Reale dove in autunno sarà allestito il grande progetto espositivo dedicato a Ugo Mulas. La mostra seguirà tutte le tappe della carriera del fotografo: dagli esordi nella Milano del Bar Jamaica alla Biennale d'Arte di Venezia, alle esperienze con il design, la moda, il teatro. L'arte contemporanea troverà come sempre il suo luogo d'elezione al PAC Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, che in primavera proseguirà l'indagine sui grandi nomi della scena internazionale con la prima retrospettiva europea dell'artista afro-americana Adrian Piper. Con prestiti dai più importanti musei internazionali tra i quali il MoMA e il Guggenheim di New York e la Tate Modern di Londra, la mostra ripercorrerà oltre sessant'anni di carriera dell'artista e racconterà la sua lotta permanente contro il razzismo, la misoginia, la xenofobia, l'odio e l'ingiustizia sociale. Quest'estate, invece, un progetto espositivo, coprodotto con il Kunstmuseum Liechtenstein e in collaborazione con Magazzino Italian Art di New York, vedrà protagonista Liliana Moro; mentre, da novembre, un progetto pensato appositamente per il PAC e dedicato a Milano ripercorrerà l'intera produzione di Marcello Maloberti. Nel 2025, sempre al PAC, è in programma la mostra di Shirin Neshat, prima ampia personale in Italia dell'artista iraniana che attraverso le sue opere filmiche e fotografiche esplora le rappresentazioni identitarie del femminile e del maschile nella sua cultura, attraverso la lente delle sue esperienze di appartenenza e di esilio. Dall'autunno 2024 a Palazzo Reale si tornerà ai grandi protagonisti italiani e internazionali dell'arte moderna, con la grande mostra dedicata a Enrico Baj, pensata in occasione dei cento anni dalla nascita, e l'ampia retrospettiva di Edvard Munch, realizzata in occasione degli ottant'anni dalla sua scomparsa e dopo quarant'anni dalla sua ultima mostra a Milano. L'arte di Munch sarà esplorata dal 1880 fino alla sua morte, avvenuta nel 1944, attraverso cento opere tra dipinti, disegni e stampe, tutti provenienti dal Munch Museet di Oslo. La programmazione di Palazzo Reale proseguirà nel 2025 con la prima antologica di Felice Casorati dopo l'esposizione del 1990, che rievocherà la parabola creativa dell'artista attraverso capolavori provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche italiane e da collezioni private, con alcuni selezionati prestiti da musei europei; la mostra monografica dedicata a Leonor Fini, artista surrealista e poliedrica che ha affrontato temi fondamentali come l'identità di genere e l'analisi e la critica dei modelli familiari consolidati nella società a lei contemporanea; e, in autunno, la prima personale dedicata al lavoro di Leonora Carrington in Italia, che prenderà in considerazione la sua figura a tutto tondo di donna artista, migrante, esule, madre, femminista d'avanguardia, ecologista ed artista. Le forti connessioni tra arte e moda sono il fulcro di due importanti progetti espositivi a Palazzo Reale: "Dal Cuore alle Mani: Dolce&Gabbana", che durante la prossima primavera presenterà le creazioni uniche della casa di moda, per la prima volta in mostra, ripercorrendo il processo creativo di Domenico Dolce e Stefano Gabbana; e, nell'autunno del 2025, la mostra "Dalì e la moda", che cercherà di esplorare gli aspetti più intimi e intensi del processo creativo dell'artista, dove moda e arte alimentano una forma di espressione in continua evoluzione. In occasione dei 70 anni della RAI, Palazzo Reale racconterà la sua storia di media per eccellenza, dal secondo Dopoguerra in poi, ripercorrendo la vicenda personale e professionale di uno dei suoi principali protagonisti, Mike Bongiorno, di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita. Il MUDEC prosegue il suo percorso di approfondimento sull'espressione artistica delle culture del mondo, dall'antico al contemporaneo, con un taglio antropologico. In primavera, "Tatuaggio. Storie dal Mediterraneo" racconterà la storia del tatuaggio fin dalle sue più remote origini, percorrendo oltre settemila anni di storia umana; mentre nelle sale Focus la mostra "Exposure" rifletterà sulla centralità della vetrina nei progetti espositivi, con interventi contemporanei di Theo Eshetu, Mark Dion, Sam Durant e Monia Ben Hamouda. In autunno, il MUDEC proporrà due diversi progetti originali: il primo, una retrospettiva sulla scultrice franco-americana Niki de Saint Phalle, nota anche in Italia per il suo capolavoro realizzato sulle colline senesi, Il Giardino dei Tarocchi; il secondo, invece, illustrerà genesi e sviluppo del genere conosciuto come Art Brut a partire dal suo ideatore, Jean Dubuffet, che per primo coniò questo termine per indicare le creazioni spontanee realizzate da bambini o adulti completamente estranei agli ambienti culturali e privi di qualsiasi educazione artistica, spesso in condizioni di alienazione e sofferenza mentale. Il PAC completa la programmazione 2025 con due importanti progetti: in estate la prima mostra antologica del duo di artisti italo-americani Alessandro Codagnone e John Lovett nato a Milano nel 1995; in autunno, un progetto collettivo di ampio respiro che rappresenterà uno spaccato sull'arte e sulla vita nell'India di oggi, partendo dal basso, dalle strade, allegoriche e non: percorsi solcati da flussi migratori e autostrade informatiche, collegamento (e frattura) tra realtà rurale e innovazione tecnologica. Nessuna atmosfera new age, né esotiche divinità o seducenti star di Bollywood, dunque, per questo nuovo progetto con cui il PAC prosegue l'esplorazione delle culture del mondo attraverso lo sguardo degli artisti contemporanei. Negli spazi di Fabbrica del Vapore durante il 2024 sarà allestita, tra le altre, la mostra "Labirynth" di Tim Burton, un emozionante viaggio nell'universo creativo del regista di Beetlejuice, Batman, Edward mani di forbice, Nightmare Before Christmas, La sposa cadavere, la Fabbrica del Cioccolato, e altri film ancora. Da dicembre 2024, nelle diverse stanze del labirinto si potranno esplorare i diversi temi del regista, produttore, scrittore e artista, grazie a tecnologia, luci, suoni, opere d'arte originali e scenografie dei suoi film. I MUSEI CIVICI contribuiscono alla proposta espositiva temporanea con mostre e focus che partono concettualmente dalle loro collezioni, con affondi, aperture e connessioni che rinnovano lo sguardo sul loro patrimonio. Il Castello Sforzesco, sede del Civico Archivio Fotografico, valorizzerà la donazione dell'Archivio dello Studio Fotografico "Ballo & Ballo", acquisito nel 2022, con una mostra (da giugno) che racconterà lo straordinario percorso professionale dello Studio di Aldo Ballo e Marirosa Toscani Ballo, che divenne punto di riferimento internazionale per la fotografia del design italiano. A maggio, un focus nelle Sale delle Grafiche, realizzato in collaborazione con l'Istituto Universitario Olandese di Storia dell'Arte di Firenze, vedrà in esposizione i disegni in "Matita rossa" più importanti per qualità e storia collezionistica. In autunno, sempre nelle Sale delle Grafiche, nell'ambito delle celebrazioni di Alberto Martini, organizzate nel 2024 per commemorare il settantesimo anniversario dalla sua morte, il Castello esporrà l'importante nucleo di lavori martiniani presenti nelle collezioni civiche, indagando il tema dell'allegoria della morte e della danza macabra. A Palazzo Moriggia, sede del Museo del Risorgimento e laboratorio di storia moderna e contemporanea, in occasione dei 100 anni dell'anniversario dell'omicidio di Giacomo Matteotti, la Fondazione Anna Kuliscioff realizzerà in autunno, in collaborazione con le Civiche Raccolte Storiche, una mostra storico-documentaria per indagare a fondo la figura di Matteotti e la sua relazione con la città di Milano. A partire da marzo, sarà aperta al Museo Archeologico una piccola ma preziosa esposizione dal titolo "Immagini eterne. L'arte nell'antico Egitto", che offrirà una presentazione dell'arte egizia e delle sue specificità attraverso una selezione di reperti provenienti dalla collezione del Museo stesso. Il Museo del Novecento, in occasione di Milano Art Week 2024, proporrà nei suoi spazi tre diversi progetti: "Ritratto di Città", grande installazione audio-video multicanale, progetto di Masbedo, che parla della rinascita culturale di Milano; un focus dedicato all'artista olandese Magali Reus, vincitrice della VII edizione del Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura; "Futurist Drama", progetto site-specific dell'artista cipriota Haris Epaminonda, promosso dalla Fondazione Henraux. Dal 24 gennaio il Museo di Storia Naturale racconterà nella mostra "Mimesis" il mondo animale e il rapporto uomo-ambiente attraverso l'espressione pittorica di Marco Grasso, giovane artista naturalistico, mettendo in relazione i ritratti degli animali rappresentati, molti dei quali in via d'estinzione, e il materiale museale. Quest'estate l'Acquario proporrà, tra le altre, una mostra di Louise Manzon che, attraverso le sue opere, farà riflettere sia sulla fragilità che sulla grande potenza del nostro ecosistema, sottolineando come il mare nostrum sia anche onus nostrum, e cioè una nostra precisa responsabilità. Palazzo Morando - Costume Moda Immagine proporrà a partire dal prossimo febbraio una mostra di Daniele Tamagni, uno dei pochi italiani a vincere (nel 2011) il World Press Photo Award, uno dei premi di fotografia più importanti al mondo. Scomparso nel 2017, ha saputo catturare nelle strade dei continenti emergenti la ridefinizione creativa dei canoni estetici della cultura Occidentale: dai sapeurs congolesi alle donne di Dakar, dai dandy sudafricani alle lottatrici cholita boliviane, una globalizzazione rielaborata in nuove identità. Già in programma nel 2025 alla GAM – Galleria d'Arte Moderna di Milano la mostra dedicata Giuseppe Pellizza da Volpedo, che dialogherà con il Quarto Stato, capolavoro protagonista della collezione permanente del Museo. Il programma completo e sempre aggiornato si trova al seguente link  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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dominousworld · 1 year
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Il significato politico e strategico del “Global Combat Air Program”
Il significato politico e strategico del “Global Combat Air Program”
di Leonardo Palma Quali riflessi e quali conseguenze avrà la sigla dell’accordo GCAP tra Italia, Giappone e Regno Unito? La flotta nipponica che nel maggio 1905 sconfisse la Russia zarista nella battaglia navale di Tsushima era stata costruita in Italia e nel Regno Unito. La Kasuga e la Nisshin, per esempio, due incrociatori corazzati classe Garibaldi, erano stati costruiti dalla Ansaldo di…
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itscayenna591 · 2 years
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Allá corte degli ZAR RUSSIA ZARISTA (presso Las Palmas de Gran Canaria) https://www.instagram.com/p/Cf2jjWssxW9/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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