Tumgik
#nuvole arancioni
sigitheunicorn · 2 years
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valentina-lauricella · 4 months
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La mensa e la vigna celesti
Il mio inconscio e mia madre, in stretta collaborazione, mi fanno vivere dei sogni inaspettatamente belli.
Dovete sapere che soffro di fobia sociale. Ho paura della gente, tutta. Posso andare in panico al solo pensiero di dover incontrare persone o rispondere a una telefonata. Ho fatto psicoterapia e prendo pillole da quando avevo 18 anni.
Stanotte ho sognato una tavolata lunghissima, che distinguevo nitidamente fino a una distanza che la miopia, pur attraverso gli occhiali, non potrebbe mai farmi mettere a fuoco. A questa tavolata, imbandita di frutti gialli e arancioni e coppe con bevande che sembravano succo di melograno e di altri frutti, era seduta mia madre, insieme a decine, centinaia di altre persone, fra cui, a notevole distanza, riconoscevo una coppia di miei zii con un'altra persona tra loro.
Vedevo che il tavolo era ricoperto di una tovaglia di tela bianca, ma contemporaneamente percepivo la solidità e le venature del legno di noce sottostante. Vedevo lontano e attraverso tutto, con inesplicabile naturalezza. Assiepate dietro i commensali, in piedi, ma senza intenzione di sedersi, vi erano altrettante centinaia di persone, vicinissime fra loro, e potrei dire che ve ne fossero a perdita d'occhio, se non che in realtà il mio occhio ne aveva una completa visione d'insieme, per quanto essa fosse ampia. Queste persone stavano vicine fra loro, e vicine a me, fino a sovrapporsi e compenetrarsi, ma senza che avvenisse alcun urto o mescolamento di identità. Erano, senza dubbio, persone, ma era come se fossero anche aria e spazio: io infatti le respiravo e mi muovevo attraverso loro senza disagio; avevo una sensazione di sazietà e sicurezza; pur senza toccare le bevande e i frutti sulla tavola, di cui non sentivo desiderio, sapevo che mi stavo nutrendo, attraverso il respiro, attraverso il mio semplice esserci, di quelle persone, di tutte loro insieme.
Alzando gli occhi al cielo, al di sopra della tavolata, vedevo a grande distanza ampie foglie di vite pendenti da un pergolato, attraverso le quali si distinguevano l'azzurro e le nuvole bianche di una giornata estiva o primaverile.
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valdorciaskies · 26 days
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(via I cieli del 5 aprile 2024)
Sfumature arancioni e nuvole rasoterra. Orange hues and clouds on the ground. www.valdorciaskies.com I cieli del 5 aprile 2024 https://valdorciaskies.com/2024/04/05/i-cieli-del-5-aprile-2024/ #valdorcia #valdorciaskies #pienza #torrenieri #montalcino #sanquiricodorcia #castigliondorcia #radicofanivaldorcia #toscana #tuscany #brunello #brunellodimontalcino #orangehues #nuvolebasse
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gaetaniu · 1 year
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40 anni di studi trovano i misteriosi modelli di temperatura su Giove
40 anni di studi trovano i misteriosi modelli di temperatura su Giove
Queste immagini a infrarossi di Giove con aggiunta di colori sono state ottenute dal Very Large Telescope dell’European Southern Observatory nel 2016 e hanno contribuito al nuovo studio. I colori rappresentano le temperature e la nuvolosità: Le aree più blu sono fredde e nuvolose, mentre quelle arancioni sono più calde e prive di nuvole. Basato in parte sui dati di generazioni di missioni NASA,…
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mynameis-gloria · 4 years
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Foto di ieri perché oggi il sole non c'è :(
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kon-igi · 4 years
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PSICHE VS SOMA 0-1
Prima che le nostre figlie si disinteressassero completamente ai loro poveri genitori che si sono consumati per rendere felici le loro vite di giovani donne  irrispettose e irriconoscenti dei sacrifici immani con cui ci siamo immolati sull’altare della genitorialità in cambio dell’assoluto nulla se non uno stitico ‘ok’ sulla chat di watsapp dopo aver visualizzato il giorno dopo, dicevo, prima di questo periodo eravamo soliti portarle sulla bellissima spiaggia del bellissimo mare di Viareggio, mia solatia natia patria.
Dopo aver raccolto miliardi di conchiglie e aver costruito milioni di metri cubici di castelli di sabbia, mi potevo finalmente sdraiare sull’asciugamano steso al sole e riposarmi, in assoluto la mia cosa meno preferita. Non riposarmi... mi piace un sacco riposarmi ma questo deve avvenire in un silenzioso buio assoluto, preferibilmente freddo e secco, tipo una cava sotterranea di asbesto, mica a 50 gradi del sole di Agosto coi melanomi che ti friggono sulla pelle e gli altri bagnanti coi tatuaggi di mussolini che ciarlano fastidiosamente di calcio e figa. Ma sto divagando.
Io sono una persona che ha la capacità straordinaria di addormentarsi a comando ma in quelle condizioni descritte non mi era possibile entrare nell’ipnagoghé ed è allora che ho scoperto, quasi per caso, una tecnica fenomenale di rilassamento di cui ho subito depositato il brevetto e per cui ho fatto richiesta di validazione presso Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi...
IL COSTRUTTO CROMOSINESTESICO
Mi sono reso conto che - pur essendo a occhi chiusi - potevo attribuire un colore e una forma a tutti gli altri stimoli sensoriali che puntualmente martellavano la mia pace di stanco genitore: iniziavo l’esercizio ponendomi sotto un'immaginaria cupola di pleocroica Rubellite del Madagascar (il rosso del microcircolo delle mie palpebre attraversate dai raggi solari) e poi lasciavo che ogni suono e ogni profumo si trasformasse autonomamente in una composizione che prendeva la forma, l’estensione e il colore dettati dall’ambiente.
Lo sciagottìo della risacca sul bagnasciuga diventava una verde treccia a nodi celtici che si posava sul fondo della cupola, mentre il profumo di cocco della crema solare delle piccole nuvole arancioni che si sfilacciavano e si ricomponevano intrappolate dall’apice rosso-trasparente. Là il riso di un bambino fiorisce come gocce di rugiada posate su un salice piangente scosso dal vento del mattino, mentre l’urlo di richiamo di una mamma diventa una lancia di luce rosea che trafigge il nero cactus spinoso della suoneria di un cellulare. 
E così via, fino a raggiungere la soglia di un sonno che malauguratamente era subito interrotto dalla richiesta filiare di conchiglie più esotiche o castelli più alti.
Per anni ho usato questa Tecnica Estraniante tutte le volte che ero costretto a stare in una qualche sala d’aspetto o in una qualche fila, traendone grande giovamento emotivo e ricavandone un decente spazio vitale perché chi cazzo si metterebbe vicino a un matto che tiene gli occhi chiusi in stazione o alle casse del supermercato?
Poi, nell’ultimo periodo ho avuto un’intuizione: perché non provare a utilizzare il Costrutto Cromosinestesico come metodo di controllo del dolore?
E allora, dopo essermi sdraiato sul letto, ho cominciato a visualizzare tutti i miei problemi fisici: laggiù il dolore crampiforme delle mia ernia del disco L5-S1 come un tentacolato anemone fucsia, là il dolore trafittivo della mia borsite sottopatellare sinistra come un ago blu di ghiaccio, il reflusso gastro-esofageo è diventato un mazzo di ortica tagliato da poco, le mie emorroidi un tizzone ardente di scuro carbone rosso-fuoco, la cefalea una nera corona di spine di Aralia e poi...
...e poi di scatto ho cominciato a frantumare col pensiero l’ago nel ginocchio, a schiacciare l’anemone, ad accartocciare la corona, a soffocare il tizzone e a sminuzzare le ortiche.
Ed ecco che mi sono improvvisamente accorto di una cosa sconvolgente.
Non era cambiato un cazzo di nulla.
Avevo ancora mal di testa e mal di schiena con un gran bruciore di stomaco, per non parlare poi del mal di culo e di ginocchio. 
Tutto questo per dirvi che il Costrutto Cromosinestesico è davvero molto carino, rilassante e divertente (usatelo pure, tanto mica credevate davvero che l’avessi brevettato) ma fabula docet che quando uno sta male è meglio si curi con le medicine e non con le prime baggianate trovate su internet, soprattutto se scritte da un tipo con troppa barba e troppo poco cioccolato bianco in dispensa.
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fiafico · 3 years
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Dreamland
<Sei di nuovo qui, Stark?> <Sempre, dottore>, disse, e si portò due dita alla tempia sorridendo. <Chi ti terrebbe compagnia altrimenti?> <I miei pensieri>, rispose l'altro, e la familiarità di quel tono gli scaldò il petto. <Pensieri che il tuo arrivo disturba sempre> <Oh andiamo, non è che io possa smettere di dormire. Devo essere in forma per il lavoro. Sono un uomo impegnato, sai?> Un rapido movimento delle labbra e una lieve contrazione delle sopracciglia fu tutto ciò che l'uomo offrì in risposta. <Mmh... Fammi indovinare, doc. Neanche oggi sai come liberarci della nostra reciproca presenza? Non puoi, non so, tirare fuori una bacchetta, agitare un po' le mani e restituirmi il mio sonno?> L'altro sbuffò. <Lo farei se fosse così semplice, Stark, ma purtroppo non è così. E poi smettila di alludere a bacchette inesistenti, te l'ho già detto che non mi serve nulla del genere> <Come posso saperlo se fin'ora non mi hai mai mostrato nessun incantesimo? Sono curioso, doc. Oggi farai una magia per me? Va bene anche una piccola, come far sbocciare un fiore dalle...uhm, nuvole? Non ho davvero idea di cosa ci sia sotto i nostri piedi, ma non è importante. Oh oh! Ho trovato!> L'uomo lo guardò inarcando un sopracciglio, le braccia conserte e le gambe accavallate. <Fatti crescere i capelli e falli biondi!> La risposta fu immediata e molto più divertente di quanto Tony aveva sperato. <Assolutamente no!>, esclamò il dottore, alzandosi di scatto dal mucchio di nebbiolina su cui si era inspiegabilmente poggiato. <Vuoi vedere un incantesimo? Bene!> Alzò le mani davanti a sé, mosse la destra per formare un'ellisse verso l'alto e mentre scintille di un caldo arancione andavano a formare figure complesse davanti a sé, fece lo stesso con l'altra mano. Poi batté le mani tra di loro con aria abbastanza seccata e fissò Tony, in attesa. L'ospite indesiderato stava quasi per ridere a quel piccolo gioco di prestigio, ma il pelo che sentì sotto le dita quando si toccò il lato della testa lo fece fermare, impietrito. Quasi gridò quando, toccandosi le orecchie, le trovò sostituite da quelle lunghe e morbide degli asini. <Stop, stop, stop! Annulla tutto!>, gridò, ma l'altro lo guardò semplicemente sorridendo e lo indicò con un dito. <Sicuro? Ti donano particolarmente> <Non scherzare, Strange. Non dirmi che sono permanenti, perché nel caso la prossima volta troverò il modo di portare qui con me un lanciafiamme!> <Ehi, ehi, tranquillo. Non sono permanenti, scompariranno quando ti sveglierai. E per tua informazione è impossibile per noi mortali portare oggetti qui dentro. La dimensione dei sogni è-> <Totalmente indipendente da tutte le altre, sì. Lo ripeti sempre> Strange fece una smorfia e tornò a sedersi nel solito punto, ma toccò lo spazio accanto a sé, invitando Tony a sedere lì. Un grande cambiamento, si ritrovò a pensare quello mentre si avvicinava, rispetto alle prime volte. Rimasero in silenzio per un po', poi Strange sembrò ricordare qualcosa di buffo perché rise leggermente e parlò guardando da tutt'altra parte. <Quindi, sei soddisfatto adesso? Hai visto la mia magia> Anche Tony rise, ma le orecchie si piegarono di lato, esprimendo un certo fastidio. <Oh sì, ricordami di non chiedertelo mai più> <Non mi sembri molto sorpreso all'idea> <Be', sai com'è, quando ti ritrovi a condividere una sorta di sogno lucido con la stessa persona per quasi una settimana e quella è anche uno sconosciuto, tendi a non sorprenderti molto per delle lucine arancioni e un paio di orecchie da asino> Strange tacque per alcuni istanti e poi annuì, accarezzandosi il mento con due dita. <Mi sembra giusto> <E poi credo sinceramente che un sogno non possa sorprendermi più di un'invasione aliena da parte di un dio del male mutaforma> L'altro alzò la testa e spostò lo sguardo dalle sue mani tremanti in grembo alla volta stellata che brillava tenue e dolce sopra di loro. <Ah Stark, non hai idea di quanto ancora ci sia in questo e in altri mondi di più sorprendente> Parlò così e per la prima volta Tony pensò di aver sentito della vera malinconia filtrare tra le crepe di quella maschera fredda e indifferente, che portava forse senza neanche accorgersene. Quando lo guardò, tuttavia, l'espressione era quella di sempre: calma e imperturbabile. Tornò a giocherellare con le mani sulle ginocchia e si chiese come fosse la sua di maschera. Che colori avesse, se fosse rigida o morbida, di stoffa o di cartone; aveva delle piume? Un disegno? Si chiese se lo coprisse abbastanza, se riuscisse a celare bene quanto faceva quella del dottore accanto a lui. Lo domandò a se stesso e non ottenne risposta, quindi rispose al suo compagno. <Sempre così malinconico, doc? Ti verranno le rughe se non impari a rilassarti un po'> Strage sorrise e i suoi occhi si addolcirono mentre lo sguardo si posava sul suo polso. <Me lo dicono spesso> Per un po' i due rimasero in silenzio, Strange semplicemente fissando le stelle e guardandosi ogni tanto intorno, Tony ora studiando le soffici nuvole su cui erano seduti e, stranamente, il gradevole profilo del dottore, ora toccandosi le orecchie. In fondo probabilmente non ci sarebbe mai stata un'occasione migliore per studiare le orecchie di un asino, non che gli sarebbe mai servito a qualcosa, ma tant'è. Poi sbadigliò e seppe che la loro compagnia era giunta al termine. Anche Strange si girò verso di lui. <Be', dottore. Sembra che per stanotte io abbia finito qui. Come al solito ti lascio indietro... Sicuro che non sentirai la mia mancanza? Già ti immagino, qui, solo soletto, a disperarti per-> <Stark>, tuonò l'altro, <Vai e spera di non tornare domani> Tony sorrise e si alzò in piedi, si stiracchiò e sbadigliò di nuovo. Quando riaprì gli occhi la fredda luce dell'alba stava facendo capolino dal monotono orizzonte di una New York già sveglia da tempo.
•~•~•~•
<Ehilà doc>, salutò. <Quali buone nuove oggi?> Strange interruppe i suoi rapidi movimenti e si voltò verso Tony, agitando una mano in segno di saluto. <Sei arrivato prima stasera, Stark> <Sì be', diciamo che ultimamente il sonno sembra non bastare. Sarà perché mi ritrovo ogni notte in un'altra dimensione a parlare con uno sconosciuto? Chissà> Si aspettava che lo stregone alzasse gli occhi al cielo o facesse un commento tanto tagliente quando per Tony assolutamente irrinunciabile, ma invece il dottore inarcò solo un sopracciglio e unì le mani sotto al mento, un gesto che le prime volte aveva indotto Tony a pensare che fosse in preghiera, ma che poi aveva appreso essere la posizione più apprezzata per meditare su questioni di una certa importanza. <Non ti senti riposato quando ti svegli?>, chiese, osservandolo con quei suoi begli occhi chiari come il ghiaccio scintillante sotto il sole estivo. Ne seguì una subitanea sensazione di smarrimento, di cui Tony si liberò rapidamente sbattendo più volte le palpebre. <Così ho detto> <Capisco... È peggio di quanto pensassi>, mormorò l'altro tra sé e sé, considerando di portare con sé il Mantello la volta successiva. Un alleato in più poteva far comodo. Poi la sua attenzione fu attratta dai movimenti dell'altro e decise di destinare alla veglia quei ragionamenti. Si avvicinò come Stark gli aveva indicato di fare ed entrambi sedettero come al solito su un soffice ammasso di vapore, stavolta più simile a un letto che a una poltrona. Per cui non passò molto tempo per entrambi prima di decidere di stendersi. Parlarono a lungo di banalità e aspetti delle loro vite poco importanti, come era consuetudine. Nessuno dei due aveva trovato poco difficile da superare il muro che impediva loro di accettare l'altro nella propria sfera privata, e così, un po' in attesa di capire come fare, un po' forse sperando di non essere quello che avrebbe dovuto farlo per primo, le loro conversazioni rimasero confinate al livello di chiacchiere poco costruttive. Almeno fino a quando non arrivarono a parlare di affetti e in particolare della famiglia, l'argomento più privato di cui avessero mai discusso. <C'è...questo ragazzo che-> <Ti piacciono i ragazzini, Stark? Non ti facevo tipo da minorenni> Se Tony avesse avuto una bevanda, l'avrebbe sicuramente sputata, premurandosi anche di mirare esattamente al viso dell'altro. Invece scattò seduto, guardando il dottore con occhi sgranati e tossicchiando perché la saliva gli era andata di traverso. <Cosa? No! Certo che no! Peter è come un fiii- è solo il mio apprendista, e io sono il suo mentore. Punto> Strange sorrise e si stese più comodamente. <Va bene, ti credo...papà> Tony pensò di potersi soffocare con l'aria. Saltò un po' e arrossì, sperando che le poche stelle attorno a loro non bastassero perché Strange lo notasse. Quindi rispose con un certo imbarazzo. <Smettila di prendermi in giro. Potrei anche chiederti perché la tua prima domanda sia stata se mi piacessero i ragazzini e non gli uomini in generale. Insomma, non credo che sia tanto evidente> Seguì il silenzio e Tony guardò lo stregone con preoccupazione. <È evidente?> Strange sorrise di nuovo, cosa rara e molto gradita, se il miliardario avesse avuto il coraggio di ammetterlo. <Se ti può consolare, sono un buon osservatore. O almeno questo è quello che mi ha sempre detto Christine> <Ooh, finalmente un po' di backstory del misterioso dottor Stephen Strange>, fece Tony stendendosi si nuovo. <Chi è Christine? La tua ragazza?> Lo sguardo dello stregone si perse un po' nella volta scura, ma rispose ugualmente. La nostalgia pesava su ogni sua parola. <Avrebbe potuto esserlo, ma diciamo semplicemente che abbiamo preso strade diverse senza più ritrovarci. Immagino tu sappia di cosa parlo, signor Stark> Ah, pensò Tony, davvero un buon osservatore. <Tony, puoi chiamarmi Tony. Se non ci riesci va bene anche solo Stark, ma togli il "signore", fa sembrare tutto questo professionale> <Quindi immagino di doverti concedere la stessa possibilità, Stark. Anche se nel mio caso il "dottore" è sempre ben accetto> <Ma certo>, esclamò il miliardario. <Non mi sarei aspettato nulla di meno dal celeberrimo dottore, prodigio della chirurgia. C'è da essere orgogliosi dei tuoi meriti> A quelle parole gli occhi di Stephen si adombrarono e Tony desiderò poterle ritirare immediatamente. <Vedo che ti sei informato> <Solo per capire se tu fossi un fantasma o meno, giuro> Stephen rise un po'. <Immagino possa avere senso. Comunque credo di essere molto cambiato da quei tempi. Ciò che posso fare, i modi in cui posso aiutare sono drasticamente diminuiti. Non riesco nemmeno a reggere bene un bisturi, figurarsi operare> Tony rimase in silenzio, deciso a non perdersi una sola parola di quell'inaspettata confessione. Perciò il suo disappunto fu grande quando la voce profonda dello stregone smise di deliziare il suo udito e le sue speranze di individuare in lui una possibile apertura scomparvero come neve al sole. Vide il modo in cui le mani del dottore si strofinavano contro la stoffa, a scatti, e decise rapidamente di cambiare argomento. <Aaw, doc, allora hai anche un lato umano. Non mi eri sembrato così la prima volta che ci siamo incontrati. Eri tutto "non dovresti essere qui" e "sparisci!". Hai anche cercato di tirarmi un pugno> <Perché ti eri messo a gridare, idiota> L'orgoglio di Tony ne risultò lievemente ferito, ma per un bene superiore decise di ignorarlo. <Ed eri tutto in vena di filosofeggiare, coi discorsi sulle dimensioni e la realtà. Per l'amor del cielo, sicuramente non era quello ciò che avrei voluto sentirmi dire> Questo fu ciò che disse, ma in realtà serbava il ricordo di quelle poche prime ore con tenera cura. Lui, che dal sonno era passato ad un sogno lucido così reale da fare paura, scosso e del tutto disorientato, e Stephen, sorpreso, sì, e all'inizio anche molto fastidioso, ma incontestabilmente sicuro. Stargli vicino era stata una delle prime tattiche che il suo istinto di sopravvivenza gli aveva suggerito. Dopo che era riuscito ad evitare il pugno e smettere di gridare come l'uomo nel panico che era, ovviamente. Da qual momento in poi la conversazione era stata abbastanza civile, anche se terribilmente breve. Poche, semplici parole erano bastate perché Tony giungesse alla conclusione di aver sentito abbastanza per un sogno solo e si rinchiudesse in un silenzio meditativo il più lontano possibile dall'altro. Ma non troppo lontano, non sia mai. Tutto era iniziato con una domanda, seguita da un'affermazione che lì per lì lo turbò profondamente. <Tutto questo esiste realmente?> <
No, certo che no. O almeno non esiste nella sua realtà, signor Stark. Nella mia questa situazione è piuttosto normale> Solo in un secondo momento era riuscito ad analizzare la situazione con la mente di qualcuno che aveva visto e combattuto contro alieni e divinità e sì, a quel punto non era sembrata così strana. Spaventosa e fonte di disagio, certamente, ma non interamente negativa. Dopotutto aveva conosciuto uno splendido uomo dalla personalità intrigante, una fortuna del genere non capita spesso nella vita! Un uomo orgoglioso e pignolo, arrogante e serio al punto che Tony all'inizio aveva pensato pensato non sapesse sorridere. Ma anche intelligente, arguto, educato, curioso e altruista. Se quella non era la persona giusta per lui, allora non ne avrebbe mai trovata una, perché era sicuro che non ne esistesse per lui una migliore. E, ma questo era solo un piccolo sospetto per cui urgeva una verifica, probabilmente condivideva i suoi stessi gusti in fatto di amanti. Solo che forse non lo sapeva ancora. In fondo anche lui aveva immaginato di trascorrere il resto della sua vita con Pepper prima di intravedere un'altra strada. C'era la possibilità e Tony aveva intenzione di afferrarla con entrambe le mani. Ora, come verificare un'ipotesi del genere? Approccio diretto? No, la chiusura dell'altro sarebbe stata immediata e Dio solo sa quando sarebbe riuscito a rimettere in mezzo l'argomento! Doppi sensi? Insinuazioni innocenti? No, capirebbe subito. Lui è perspicace. Una prova più...pratica? Forse? Mentre analizzava le sue opzioni come se da questo dipendesse l'intero suo futuro - e un po' sperava fosse così - non si accorse che lo stregone aveva lasciato il suo fianco, alzandosi in piedi e allontanandosi un po', come se stesse cercando qualcosa nell'oscurità. Se ne rese conto solo quando sentì la sua voce richiamare la sua attenzione. <Stark, penso che dovresti andare per stanotte. Non dovrebbe essere troppo tardi, tornando ora potresti dormire bene per qualche ora> Tony si mise a sedere, guardando l'altro in preda alla confusione. Lo stava cacciando? Aveva fatto qualcosa di male? Aveva già bruciato tutte le sue chance senza neanche sapere come? <Ehi, frena lì>, disse il dottore mentre agitava una mano davanti a sé. <Uh?> <Non so a cosa tu stia pensando, ma non fare quella faccia. Non ti sto cacciando, se il problema è questo> Normalmente Tony avrebbe risposto con una battuta, un sorriso accattivante e via, ma questa volta decise di essere onesto nel suo turbamento. <Ho fatto qualcosa di sbagliato?> Stephen si sorprese per quella domanda, in tutta onestà non si aspettava che l'altro fosse tormentato da un pensiero del genere. Era inaspettato e...tenero. Il suo sguardo si addolcì e l'espressione tesa si ammorbidì, la tensione nelle spalle cedette lievemente. <No, non hai fatto nulla> Non gli sfuggì il modo in cui Tony si rilassò nel sentire quelle parole. <Sono vicino a trovare un modo per liberarci da questi sogni, ma per verificarlo ho bisogno che tu lasci questa dimensione prima stanotte. Ho trovato un metodo per farti svegliare> <Grande, doc! Sapevo che ci saresti riuscito prima o poi> Tony sorrise e si alzò in piedi, fermandosi davanti all'altro. <Bene, quindi, cosa devo fare? Agitare le mani e creare un cerchio arancione come fai tu? Recitare uno strano canto antico mentre danzo intorno a un mucchietto di nuvole convincendomi che sia un fuoco?> L'angolo della bocca di Stephen si sollevò e una luce preoccupante gli animò gli occhi. Uh oh. <Niente di così complicato, Stark, anzi, qualcosa di così semplice che è strano che non ci abbia pensato prima, questo devo ammetterlo> Tony deglutì. Non si fidava, affatto. <E cosa sarebbe?> <Questo> Allungò una mano rapidamente e strinse tra le dita un punto del braccio del miliardario, stringendo così forte da fargli vedere le stelle, poco importa che fossero già tutto intorno a loro. Tony si lasciò sfuggire un gridolino in preda al dolore improvviso e proprio in quel momento poté sentire la sua coscienza assopirsi velocemente. <Un...pizzicotto?>, mormorò. L'ultima cosa che vide prima dell'oscurità fu il sorriso compiaciuto dello stregone e la sua mano che ondeggiava mentre lo salutava. <Bastardo...>
Poi si svegliò ed era nel cuore della notte. Per qualche motivo il braccio gli faceva male.
•~•~•~•
Tony seppe di aver aperto gli occhi solo ed esclusivamente per la leggerissima brezza fresca che glieli seccò quasi immediatamente. Li richiuse e poi li riaprì. Niente, solo buio. Per un minuto buono si chiese se fosse effettivamente nello stesso posto in cui andava a finire tutte le notti oppure no. Il respiro si bloccò al pensiero di essere finito da qualche parte tra le dimensioni. Se così fosse stato, Stephen lo avrebbe trovato? Dov'era Stephen? Si guardò intorno, o meglio, girò il capo, strizzando gli occhi per vedere qualcosa in quell'oscurità disarmante, solo per giungere alla conclusione di non riuscire a vedere niente di niente. Alzò lo sguardo verso quel cielo che fino a poche notti notti prima era pieno zeppo di stelle brillanti. Il sangue gli si gelò nelle vene quando i suoi occhi si posarono sul lieve bagliore di un'unica, minuscola stellina. Ora che ci pensava, all'inizio tutto l'ambiente era illuminato da raggi di sole dorati e rosati, come fossero immersi nella rinfrescante luce dell'alba. Poi col passare del tempo l'alba era diventata tramonto, poi sera e infine notte, ma la luna e le stelle avevano sempre riempito di una luce delicata le loro notti passate insieme. Ma quell'oscurità... Le stelle erano diminuite drasticamente negli ultimi giorni, ora poteva vederlo chiaramente nella sua memoria. Come aveva fatto a non accorgersene? Stephen lo aveva notato? Per quello era distratto e vagabondava? Perché non era lì? Un orribile pensiero gli invase la mente con inaudita prepotenza e ci mise radici. Gli è successo qualcosa? Un brivido gelido gli percorse la schiena mentre la preoccupazione e la paura divampavano e lambivano la sua anima, riempiendo la sua mente di fumo. Non riusciva a pensare chiaramente. Stephen era in pericolo? No, era lo Stregone Supremo per diamine! E se avesse avuto bisogno di aiuto? E se effettivamente fosse in pericolo? La sua armatura. Dov'era la sua armatura?! Non c'era. In sogno non si possono portare oggetti materiali. Era, per la prima volta dopo troppo tempo, davvero impotente. Non aveva la sua armatura, nessuna geniale invenzione a disposizione e né il materiale per crearne una. Aveva solo se stesso, la sua mente e i suoi pugni. E anche nessuna idea di dove iniziare per cercare Stephen. Per sua fortuna lo Stregone Supremo era tale perché meritevole del titolo e ci sarebbe voluto ben altro per metterlo fuori gioco. Così, animato dalle più nobili intenzioni, Stephen emerse dall'oscurità e poggiò una mano sulla spalla dell'altro. Tony fu pochi battiti lontano dall'avere un infarto quando una mano fredda e tremante gli afferrò la spalla da dietro. Sentì letteralmente la vita abbandonarlo in un soffio e si chiese se non fosse quella una delle tanto famose esperienze pre mortem. Quasi svenne. Invece si girò appena, con gli occhi così spalancati da fare male. Si sentì inondare dal sollievo vedendo i familiari occhi azzurri. Una sottile verga arancione brillava nell'altra mano dello stregone, illuminando dal basso entrambi i loro visi. <Sei in ritardo, Stark>, disse lo stregone con calma, come se non avesse appena rischiato di uccidere Tony nel sonno. Il miliardario deglutì e costrinse la sua voce a risultare rilassata, anche se probabilmente tutto il suo corpo gridava il contrario. <Sì be', ho un lavoro a tempo pieno, lo sai> Si guardò brevemente intorno e poi tornò a rivolgersi all'altro. <Quindi, uhm... Cosa è successo qui? Un guasto al quadro elettrico o...> <Sarebbe molto più facile se fosse così semplice, ma purtroppo non è così> <Cosa intendi?> <Quale vuoi sentire prima, la buona o la cattiva notizia?> <La buona> <Stiamo per liberarci da questi sogni e riacquistare il nostro sonno. O be', il tuo sonno più che altro. Non è che io dorma così tanto solitamente> <Bene, e la cattiva?> <Dobbiamo prima scovare e scacciare l'entità responsabile di tutto questo> Tony esitò, non essendo sicuro di volerlo davvero sapere. Ma la sua curiosità ebbe la meglio e domandò comunque. <...sarebbe?> Stephen lo guardò con preoccupazione. <Il Tapiro dei sogni, una creatura della mitologia orientale. Normalmente si nutre degli incubi delle persone, ma molto raramente può capitare che inizi a divorare i sogni, svuotando una persona da tutte le sue fantasie e aspirazioni. È un essere molto antico e per questo difficile da individuare, ma ho letto che dovrebbe mostrarsi alla fine, quando ha intenzione di passare ad un altro ospite> <Vuoi dire che...> <Esattamente. Le stelle sono quasi tutte scomparse, dopo quest'ultima il Tapiro avrà completato il suo pasto. Dovremo affrontarlo allora, anche se sarà al massimo della sua potenza. Non è una creatura di indole aggressiva, ma con così tanti sogni per sé potrebbe diventarlo> Tony ascoltò in silenzio e poi, quasi sussurrando, esprimette a parole la domanda che lo stava tormentando. <Cosa... Cosa succederebbe se riuscisse a scappare?> Stephen lo fissò per alcuni istanti, poi strinse la mano, ancora sulla sua spalla, in maniera rassicurante. <Non succederà. Lo prometto> Sorrise e Tony ci credette davvero. Oh quanto ci credette.
Fu solo in quel momento che notò un particolare interessante: Stephen stava volando. O meglio, fluttuando a poco meno di un piede da terra, proprio di fronte a lui. Si allontanò leggermente per avere una visione d'insieme dell'altro e non fu poi così sorpreso per quello che vide, stranamente. Lo stregone notò il suo sguardo e lasciò che i suoi piedi toccassero terra, slacciando il fermaglio che teneva chiuso alla base del collo. Subito la reliquia scattò verso Tony e l'uomo indietreggiò, preso alla sprovvista. <Stark, ti presento il Mantello della Levitazione. Saluta Levi> <Uh... Levi?> <Nome scontato, non è vero? Ho detto a Wong che non era adatto per una reliquia, ma lui non ne ha voluto sapere di cambiarlo> <Non è- Il mantello sta fluttuando!> Stephen lo guardò con incredulità. <Ed è la cosa che ti colpisce di più in questa situazione?> Tony non rispose, rimanendo in silenzio. Poi si passò una mano sul viso, ridacchiò e allungò un braccio verso il Mantello, che gli si avvolse felicemente attorno. <Hai un punto, doc. Ma in mia difesa posso dire che tutti gli oggetti animati che io abbia mai visto contenevano fili e processori, non magia> Uno strattone improvviso lo fece inciampare in avanti e Tony si aggrappò di riflesso alla prima cosa che gli passò sotto mano: le spalle di Stephen. I due rimasero immobili, fissandosi negli occhi per un tempo che sembrò infinito. Non erano mai stati tanti vicini. Il respiro dello stregone si fece sottile e gli occhi dell'altro si allargarono leggermente, mentre entrambi giungevano ad una realizzazione inevitabile. Solo un po', solo un pochino più in alto e Tony avrebbe potuto finalmente baciare quelle labbra. La presa delle sue dita sulle spalle dello stregone si strinse. Ci pensò il Mantello ad infrangere quel momento di tensione e desiderio, gettando i due uomini nell'imbarazzo totale e portandoli a scattare verso direzioni diverse, arrossiti in volto. O meglio, tentarono di scattare, ma della fine stoffa rossa era arrotolata attorno ai loro polsi ora giunti. Stephen, realizzando, rivolse un cipiglio alla reliquia, aprendo la bocca per rimproverarla, ma il Mantello li aveva separati per un motivo. Era un peccato, la reliquia aveva sperato che lo strattone avrebbe fatto di più, ma al momento c'era un problema più serio di cui occuparsi. Si agitò, lasciando i polsi e svolazzando dietro le spalle dello stregone. Quello si girò, guardando nel buio di quella notte senza stelle, e poi lo vide, il Tapiro. Incombeva su di loro con la sua ragguardevole stazza, conseguenza di ognuna delle stelle scomparse. La luce fioca dell'unica superstite ne rendeva visibili i contorni sfumati e Stephen si rese rapidamente conto di quanto fosse effettivamente vicino. Non si vedeva nulla, solo il profilo lucente di una folta pelliccia simile a nuvola e un paio di luminosi e sottili occhi color porpora. I due uomini capirono che si era mosso quando sentirono il sottile suono di una campanella in quel silenzio di tomba, per il resto la creatura non emetteva un solo rumore. Sembrava fatta d'ombra e fondersi con le tenebre, un vero incubo vivente. Non c'era luce che potesse rischiarare quella notte infinita. Il mantello tornò al suo posto sulle spalle dello stregone con un click del fermaglio, poi Stephen afferrò la mano dell'altro e si spostò di lato, mettendo tra loro e la creatura una giusta distanza. Tony non trovava le parole e rincorreva senza speranza i propri pensieri, mentre il peso quasi tangibile di quella presenza così antica e potente gli schiacciava la mente e l'anima. Era sinceramente terrorizzato, pietrificato dalla paura e dall'impotenza. Una vocina nella sua mente continuava a ricordargli che la sua armatura non sarebbe arrivata. Tentò di parlare, ma ne venne fuori un suono strozzato, mentre tutto quello che poteva fare era fissare quell'enorme sagoma dagli occhi di fiamme e tremare per l'aria gelida che li avvolse come una coperta. Costrinse le sue ginocchia a sostenerlo. In nessun modo si sarebbe abbandonato alla paura, men che meno in una situazione in cui non era il mondo a essere in pericolo. Per non parlare di Stephen; mai davanti a lui. Per fortuna, mentre lui tremava lo stregone sembrava essere ancora in possesso di tutte le sue facoltà. Si girò verso di lui e con espressione seria gli disse: <Tienila stretta e non lasciarla mai andare> Tony avrebbe chiesto cosa intendeva con quello, ma non ne ebbe il tempo, non quando il Mantello si strinse improvvisamente attorno alle sue spalle, sollevandolo in aria. Gridò per cercare di tornare giù, di stare accanto a Stephen e sostenerlo, ma senza successo. Vide che il dottore lo stava guardando, c'era tensione nel suo sguardo, ma anche speranza e soddisfazione. Sembrava contento. Ormai erano lì, la luce si faceva sempre più vicina ed intensa. Tony non aveva bisogno di alzare lo sguardo per vedere l'ultima stella sopra di lui. Preferiva guardare giù, verso quella distesa di nulla in cui gli occhi glaciali dello stregone brillavano di determinazione. Che sfortuna... Avrebbe voluto almeno stringergli le mani. Erano lì, c'erano, avrebbe potuto alzare una mano e l'avrebbe toccata, la luce. Proprio in quel momento vide Stephen muoversi e improvvisamente decine di cerchi luminosi comparvero tutto intorno a loro, vicini e vibranti di potenza. Tony capì perché il dottore aveva vagato così tanto in giro negli ultimi giorni, finalmente tutti i tasselli si unirono in posizione. L'immagine che ne ricavò fece contrarre il suo cuore per la tenerezza. Era lui, era sempre stato lui il primo pensiero del dottor Strange. Lui e come liberarlo dai suoi stessi sogni. Si era sempre preoccupato per Tony, uno sconosciuto. Sentì l'urgente bisogno di gridare qualcosa, qualsiasi cosa, ma l'altro lo batté sul tempo. <È stato un piacere, Stark, ma vedi di non tornare più qui, intesi?> I cerchi divennero più luminosi, la creatura emise un profondo e gutturale lamento. Tony non poté non sorridere, anche se il suo cuore piangeva e il petto era stretto in una morsa. <È Tony, non Stark>, gridò, cercando di sovrastare il rumore crescente. Stephen rise, per la prima volta rise davvero. Tony lo registrò immediatamente nella propria mente, pregando tutti gli dei esistenti di ricordarlo una volta sveglio. <Bene, Stark>, sorrise e il miliardario alzò gli occhi al cielo. <Spero che la prossima volta ci incontreremo in circostanze migliori> Si udì un tonfo e la creatura caricò, la furia ardeva nei suoi occhi. <Quando accadrà, accetteresti di uscire a cena con me?>, ora Tony stava gridando a pieni polmoni, in qualche modo si era alzato il vento e il suo ululato riempiva le orecchie. Giurò di aver visto Stephen sorridere. <Non te la caverai con così poco, sappilo> Sorrise anche lui. <Amo le sfide> Una barriera arancione quasi invisibile si materializzò tra lo stregone e il Tapiro quando questo vi andò a sbattere duramente contro. Cadde di lato barcollando e una nuvola di farfalle sostituì la barriera frantumata. <Stephen!>, Tony gridò, incurante del fatto che avesse effettivamente appena usato il nome dell'altro. Quello lo guardò sorpreso per un breve istante, poi fece un cenno col capo e il Mantello schizzò verso l'alto. La luce più bianca che avesse mai visto inghiottì Tony immediatamente e l'ultima cosa che vide fu un'intensa esplosione dorata, accompagnata da un grido ben distinto. <Alla prossima, Tony!>
L'uomo si svegliò di soprassalto quella notte. Non chiuse occhio. Non sognò più il dottore per molto, molto tempo, ma la stanchezza svanì e il sonno tornò ad essere pacifico, quindi si convinse che fosse andato tutto bene. Ci volle un po' perché iniziasse a crederci davvero. Cercò quell'uomo nella vita reale, ma di lui non c'erano più tracce, o almeno del suo vecchio lui. Scomparso nel nulla. Il nuovo non esisteva neanche. Per molto tempo sperò di addormentarsi e trovarsi di nuovo tra le nuvole, una voce profonda e un mantello rosso lì con lui. Non accadde mai.
Poi il mondo fu di nuovo minacciato e un uomo aprì un portale proprio accanto a lui, comparendo dal nulla. Purtroppo la cena avrebbe dovuto aspettare: le circostanze, sfortunatamente, non erano migliorate.
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Nuvole bianche, rosa ed arancioni.
Se non di queste, di che cosa ti innamori?
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ravens-writings · 4 years
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Gelido inferno (IV)
Finito di raccogliere i campioni, ritornammo alla jeep e Thomas si mise alla guida.
Il sole stava calando e i ghiacci erano illuminati di luci rosse e arancioni, brillavano come fiamme vive. Il paesaggio mi colpì di nuovo per la sua bellezza e non riuscii a staccare gli occhi dal finestrino per tutta la durata del viaggio.
Quando il sole fu inghiottito dall'orizzonte arrivammo alla base, dove trovammo le ragazze intente a portare nella struttura le scatole contenenti i campioni. Scaricammo tutte le scatole e poi Thomas andò a parcheggiare le due jeep nel garage protetto, per evitare che i veicoli fossero danneggiati dal vento.
Le analisi furono abbastanza veloci, ci occuparono meno tempo di quanto avessimo pensato e perciò decidemmo di organizzare la giornata seguente per poi passare del tempo tutti insieme.
“Domani invertiremo le direzioni: Thomas e Jamie andrete a Sud, io e Sandy andremo a Ovest. Alex starà di nuovo alla base. Va bene?” domandò Elizabeth. Noi annuimmo e Alex aggiunse “io farò dei rilevamenti anche nei dintorni della base, ma starò fuori poco. Dopo riprenderò a sorvegliarvi.” “Hai bisogno di campioni dalle nostre zone? Puoi indicarci cosa e dove prelevare con le trasmittenti.” “Potrebbe essermi utile, facciamo così.”
Il cielo era nuvoloso, la mattina seguente. Terra innevata e nuvole plumbee si fondevano insieme in un'unica distesa grigio-bianca.
“Potrebbe nevicare, vi avviso,” comunicò Alex mentre stavamo avviando le jeep. “Evviva,” commentai sarcastico salendo davanti al volante. Non avevo la minima voglia di guidare con la neve, non al Polo Sud. “Se dovesse nevicare molto, tornate al più presto alla base. Ricevuto?” “Ricevuto,” rispondemmo io ed Elizabeth in coro.
Procedevamo in silenzio, come il giorno precedente. Ma quella mattina era più inquietante e disturbante, con le nuvole che incombevano su di noi come una spada di Damocle.
A meno di cinquecento metri dal luogo di arrivo, vidi davanti a noi un’enorme voragine nera come l’inchiostro. Inchiodai imprecando e le ruote della jeep slittarono pericolosamente.
“James! Che succede?” gridò Thomas aggrappandosi alla maniglia dello sportello. “Guarda!" Indicai il buco davanti a noi e lui spalancò gli occhi, sgomento. “Cosa diavolo è quello?” “Vorrei saperlo. Non è segnato sulla mappa anche se è fottutamente immenso.” “Cosa non è segnato? Che avete trovato?” La voce di Elizabeth irruppe nella radio della jeep. “Vi mandiamo un'immagine.” Scattai una foto e la inviai sul canale di comunicazione tra i veicoli e la base. “Che cosa cavolo è quella roba?” esclamò Alex. “Per non essere segnato sulle mappe potrebbe essere un cratere di un meteorite, ma è troppo strano. I crateri non sono così,” constatò Sandy. “Quanto misura a occhio?” chiese il geologo.
Osservai la zona e cercai di indovinare le dimensioni di quel buco nero. “Potrebbero essere trecento metri, ma non sono sicuro. Forse sono di più o di meno.” “Trecento metri? E non è segnato sulle mappe?” “No, in nessuna.” “Riuscite ad avvicinarvi a piedi e a prendere dei campioni? Non importa più arrivare alla vostra zona di raccolta, prelevate qui. In questo momento è più importante. Per quanto riguarda i campioni normali ci peseremo io e Sandy,” ordinò Elizabeth con voce ferma. “Ricevuto." “Domani andremo tutti lì per vedere cosa possa essere,” aggiunse. “Va bene.”
Elizabeth chiuse la comunicazione, lasciando un silenzio statico inquietante.
Scendemmo dalla jeep e ci avviammo a piedi verso il bordo dell'enorme cratere scuro. Thomas aveva con sé la macchina fotografica per documentare la nostra esplorazione.
A occhio sembrava davvero molto profonda, quindi non poteva essere un cratere da impatto. I bordi della cavità erano frastagliati e rialzati di una trentina di centimetri, forse di più, rispetto al livello del terreno, e dall'interno soffiava un vento possente che ci impediva di avvicinarci troppo. Sembrava quasi caldo, ma non riuscivo a capirlo per via della tuta. Ad un certo punto il terreno tremò, come se ci fosse stato un terremoto, impossibile per quella zona. Io e Thomas barcollammo e ci allontanammo a passo spedito dalla voragine, per evitare di caderci dentro.
“Alex! Ci sei?” esclamò Thomas alla trasmittente. “Ci sono! Che succede?” “C'è stata una scossa di terremoto, l’hai registrata?” “Terremoto lì? Che strano.” Sospirò, poi riprese “non ho rilevato nulla, sicuri che non ve la siate immaginati?” “Siamo sicuri al cento per cento, Alex! La terra ha tremato!” sbraitai esasperato. “Va bene, vi credo! Ma non so cosa dirvi se gli strumenti non hanno rilevato nulla! Cosa avete scoperto a parte il terremoto?” “Non siamo riusciti ad avvicinarci molto alla buca perché tira un forte vento che proviene da dentro.” “Quindi è impossibile che sia un cratere meteoritico. Siete riusciti a vedere quanto è profondo?” “No, ma se riuscissimo a sorvolarlo in un qualche modo, magari con un drone o qualcosa del genere, potremmo stabilire la sua profondità.” “Descrivetemelo.” “I bordi sono rialzati rispetto al terreno, il terreno attorno e all’interno è nero come se fosse bruciato. Non è gelato, il permafrost è inesistente all’interno. Il vento è forte, sembra caldo ma non lo so dire con certezza. Potrei analizzare la composizione chimica dell’aria, ma non penso che ci siano gli strumenti per farlo, alla base.” “No, non ci sono.” “Va bene. Ora procediamo con i campioni.”
Tre ore dopo eravamo tornati alla base e Alex stava analizzando i campioni di rocce che avevamo prelevato. Elizabeth e Sandy tornarono poco dopo e raccontammo loro cosa avevamo visto.
“Ho analizzato i campioni. Le rocce sono normalissime rocce antartiche, non hanno niente di particolare se non uno strato di cenere e materiale parzialmente fuso,” ci informò Alex. “Fuso? Quindi cosa può essere?” chiese Sandy, perplessa. “È come se una palla incandescente abbia fuso tutto quello che c’era lì e sia sprofondata per centinaia di metri. Non è compatibile con un meteorite. E anche se lo fosse, sarebbe stato rilevato da più o meno tutti i satelliti in orbita e dalla strumentazione di tutte le basi antartiche e no.” “Non è possibile che abbia impattato senza che nessun satellite lo rilevasse?” “Impossibile. Un oggetto così grande non passerebbe mai inosservato.” “E allora cos’è se non un cratere? Una bocca di un vulcano?” intervenni. “Vulcani qua? Non credo proprio. Questa zona non è su una faglia o in un punto in cui possano venirsi a formare spontaneamente dei vulcani, nemmeno quelli hotspot. E in ogni caso la zona è monitorata geologicamente ogni giorno, un vulcano non può comparire nel giro di un'ora senza lasciare traccia negli strumenti!” Alex si grattava la guancia, sentivo che era confuso tanto quanto noi soprattutto perché la geologia era il suo campo. “Sentite, non pensiamoci. Almeno per ora. Domani andremo tutti insieme ad analizzare la zona.” Elizabeth riuscì a calmarci con un’unica frase. “Ci terrei a venire anche io,” aggiunse Alex. “Va bene, manterremo la base in stand-by come prima che arrivassimo. Ci tengo ad avervi tutti con me in questa esplorazione, ovviamente se voi siete d’accordo.”
Ci guardammo a vicenda, ma nessun dubbio attraversò i nostri occhi. Eravamo desiderosi di fare luce su quel mistero che tanto ci tormentava e nessuno voleva tirarsi indietro.
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sigitheunicorn · 2 years
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🌄🧡
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paolosalvati · 4 years
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La pittura di PAOLO SALVATI
Un caso particolare della storia artistica di Roma è quello di Paolo Salvati (1939-2014), superficialmente connotato pittore di strada, senza avere l’accortezza, prima di adeguarsi a giudizi del volgo, di approfondirne la pittura.
In effetti affiancò alla ricerca pittorica, principalmente paesaggistica, l’attività di ritrattista a piazza Navona per qualche decennio finché lo storico dell’arte e collezionista, il principe Agostino Chigi Albani della Rovere rinverdendo il mecenatismo degli antenati lo sottrasse alla strada. Pittore autodidatta abbandonò all’inizio degli anni settanta la professione di geometra per dedicarsi interamente alla pittura tanto impellente sentiva il richiamo dell’arte. Nel 1973, appartato come un monaco medievale, Salvati con grande coraggio, sebbene assillato da difficoltà economiche, inizia un personale percorso artistico a partire  dal quadro Albero blu.
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Albero blu, 1973
L’aspro paesaggio dell’interno sardo, rimasto nella memoria - la figlia Francesca ricorda che il padre era stato suggestionato  da un sughereto vicino Tempio Pausania -, riaffiora a distanza di anni: un albero secco e isolato si erge in una desolata radura dove non compare figura umana, caratteristica questa per lo più ricorrente nei paesaggi. Il colore dell’albero non è naturalistico, come anche i colori del pianoro: sono astratti, sono colori dell’animo. L’albero tende i rami secchi e  spigolosi verso il cielo prefigurando un uomo che implora e lotta con indicibili forze. Alla drammaticità dell’allusa lotta si contrappongono i colori caldi, gai e vivaci della spianata denotanti la luce della speranza, in lui fervente cattolico sempre viva. Lo anticipa una piccola tela del 1970, intitolata semplicemente Albero, che dimostra, non solo nel tocco, la comprensione della pittura di fine Ottocento.
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Albero, 1970
Il tema è ripreso, di lì a pochi mesi, in un dipinto, di maggior formato, dal medesimo titolo (Albero blu 1973) : un albero ora più imponente e articolato, anch’esso senza foglie, e con radici emergenti si staglia nel lato sinistro della tela mentre dall’altro si vede una roccia azzurra con una cavità, forse riferimento alla caverna di un san Girolamo quattrocentesco; i blu anche qui, come in tutte le successive versioni di questo soggetto, hanno per contrappunto nella distesa di terreno squillanti colori caldi e solari, mediterranei, fino alle azzurrognole montagne che la delimitano. In questo dipinto ad una attenta lettura si intuisce la caparbia ricerca di un accordo cromatico o un tono che, ne sono testimone, impegnava l’artista per lungo tempo. Una tonalità azzurra tendente al viola il giorno dopo, o a distanza di tempo, era modificata; a volte, addirittura, i ripensamenti erano stati talmente numerosi da costringerlo a ripianare per mezzo di spatole e bisturi la superficie del dipinto. Fino a che non era soddisfatto non desisteva, anche a distanza di anni, dal ritornare su un’opera: atteggiamento questo di antica moralità intellettuale in un periodo di superficialità e sciattezza. Per il lungo lavorio questa opera diviene sommamente cara a Salvati, come lo è alla madre il figlio che ansia e sofferenza maggiore le procurò nel parto, tanto da identificarsi in essa e a riformularne l’immagine in altre versioni e tecniche artistiche. L’albero e il blu vengono, così, a caratterizzare lo stile dell’artista, ne sono l’icona; essi sono la “costituzione d’oggetto”, come le boccette di Giorgio Morandi sempre riformulate, e come il celeberrimo bolognese sempre in novellate immagini.
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Albero blu, 1973
Il colore blu scrive Andrea De Liberis: << è il colore della calma, della tranquillità e dell’equilibrio ovvero proprio  il carattere del Maestro>>. Di questi sofferti e duri anni di vita, ma artisticamente fecondi, è Pietra blu (1973 – 74) : una massiccia pietra  è collocata nel centro del quadro sotto un cielo leggermente infiammato verso l’alto. Il soggetto è una pietra – montagna che si stacca, venendo in avanti, da una catena montuosa azzurra; si tratta di una pietra, caduta forse dal cielo, non completamente greggia che si presenta  con un piano inclinato, fra due strapiombi, alludente a una possibilità di ascesa o riuscita. Di nuovo la parte inferiore del dipinto contrasta con la superiore e con la pietra blu per i gialli, i rossi e gli arancioni risplendenti del terreno pianeggiante, colori, come sempre caldi, di tanto in tanto intervallati da piccoli inserti azzurri. Vedendo i colori della spianata il pensiero va alla pittura dei Fauves, ma a meditare un poco e approfondendo l’analisi non individuandovi una linea contornante alla Gauguin, ci si rende conto che l’artista ha visto con profitto la stesura impressionista.
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Pietra blu, 1973-74
Tralasciando per il momento analisi iconologiche ed esistenziali, entrambe sostenibili, risulta immediatamente evidente che si tratta di paesaggi di fantasia in cui, seppure si palesi lo studio approfondito dei valori pittorici di grandi artisti, Cézanne, Monet, Turner, Van Gogh, il periodo blu di Picasso e i Macchiaioli,  l’elemento  qualificante lo stile dell’artista risiede nella visione incantata che in questi dipinti aleggia. Salvati, attento osservatore della pittura francese di fine Ottocento e lettore di poesia, non ne replica sterilmente la lezione, la comprende, la interiorizza giungendo a una personale espressione artistica di cui l’assoluto protagonista è il colore. L’artista fa sua la lezione cromatica degli impressionisti, i bruni e i grigi sono banditi dalla tavolozza, ma la gamma cromatica non è al servizio del positivismo dei francesi va nella direzione espressiva indicata da Van Gogh, di cui non accetta però il tratto nervoso, preferendo il tocco morbido e soffuso. I colori dell’arcobaleno cantano, così, una visione interiore che si formalizza in immagine. Differentemente dagli impressionisti i colori esprimono sentimenti, stati d’animo soggettivi, da ciò il suo definirsi pittore espressionista. Mentre per gli impressionisti il colore è un elemento, un mezzo che, in concorrenza con la scienza, vuole cogliere, fermare sulla tela un momento di luce, il fenomeno di un repentino passaggio di nuvole occludente il sole, e quindi esterno all’artista; per Salvati il colore è espressione della luce interiore dell’artista.
Il quadro impressionista rappresenta un fenomeno luminoso, il quadro del Nostro emana luce spirituale: è esso fenomeno che si dà in “astanza”, realtà pura. Un colore spirituale come quello di Kandinskij che non veste forme astratte essendo ancora sussistente la riconoscibilità degli elementi rappresentati. Né ci si appelli per sminuire questa pittura che le composizioni sono semplici, direi banali; è una scelta necessaria per dare maggiore rilevanza al colore e alla profonda poesia delle piccole cose, del sentimento: nelle manifestazioni della natura, muta, che si trasforma si nascondono grandi verità, questo il senso di questa profonda arte. Senso dell’esistere, trovato dall’artista nelle piccole cose e nel rito della pittura, lentezza e sapienza artigianale sono al fondo di questa arte in controtendenza e ultima testimonianza di umanità in una società che non la considera. Artista colto Salvati, il cui stile, oltre alla comprensione della pittura dei maestri dell’Ottocento, soprattutto francesi, è il risultato di una fusione in crogiolo di tante assimilazioni culturali: ascolto di musica classica sinfonica e lirica, buone letture di poesia e conoscenza delle sacre scritture.
Non è da dimenticare il suo amore per la Natura che concepisce, non so se avesse letto Goethe, come una totalità dinamica, vivente e divina; nella sua prassi artistica, a mio avviso, si rispecchia l’azione organica della natura: il suo dipingere è un fare che in continuazione inventa il modo di fare.
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Sogno di primavera d’alta montagna, 1974
Salvati, che spesso citava Benedetto Croce, è fautore di un’arte pura e umana imperniata sulla natura, ma non completamente mimetica e realistica, e sul sentimento, elemento questo centrale nella sua pittura che insieme all’intuizione permette l’espressione lirica di uno stato d’animo. Splendido esempio di questo modo di concepire la pittura è il quadro del 1974 Sogno di primavera d’alta montagna, il paesaggio si presenta semplicemente con una spianata, alcuni cespugli e montagne che si con-fondono con il cielo; gli elementi figurativi rappresentati sono evanescenti a segnalare lo stato del sogno e la visione che in esso nasce. Talmente soffusi, ovattati, sono i passaggi da un elemento all’altro del paesaggio che a malapena li si possono individuare tanto da lasciar pensare che lo sviluppo più prossimo da questa opera si potrebbe dirigere verso l’astrazione totale.
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Sogno d’estate, 1975
Dell’anno successivo è il simile Sogno d’estate: una nostalgica visione di un giardino d’infanzia perduta, un rifugio dalle asprezze  della vita, dai rimproveri che la società disumana rivolge a chi non si allinea. Come intendere altrimenti le parole dell’artista:<<  i colori non mi rimproverano mai>> se non come consolazione e salvezza in essi! Tornando all’analisi del dipinto, l’immagine interiore è espressa con colori tenui. L’estate è suggerita tramite il cenno di un barlume di luce che dal centro della tela si irradia e si riflette su alcune pozze azzurrognole; così con estrema semplicità nel dipinto l’artista presenta l’atmosfera estiva colta nella sua essenza come sa fare solo la pura poesia. Con questi dipinti Salvati è pervenuto a uno stile inconfondibile rimanendo fedele a valori tradizionali e senza farsi ammaliare dalle sirene dell’originalità a tutti i costi; le immagini, che ci dona, pur portando le stimmate del soggetto si oggettivano  e testimoniano un’arte mossa da una grande speranzosa fiducia cattolica e da un profondo sentimento che allontana ogni intellettualismo. L’immagine è il portato di una trama sentimentale, legata a ricordi, a condizioni emotive, momentanei stati d’animo sempre relazionati al mondo naturale a cui l’artista si sente intimamente legato. L’artista è in sintonia con la natura e agendo come essa formalizza paesaggi intuiti attraverso il suo terzo occhio sicché si tratta di un’arte visionaria che in parte debitrice della lezione impressionista ne rifiuta però la percezione ottica.
Cesare Sarzini
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app-teatrodipisa · 4 years
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IL LIBRO LIBeRO — Irene Bendinelli
Salpammo all'alba.
Eravamo uno sparuto gruppo di curiosi spiriti all'avventura, fermamente intenti a emulare le leggendarie imprese del multiforme eroe Ulisse. Il cielo sopra di noi conservava ancora il respiro lento delle ultime luci stellate della notte, mentre stralci dorati di un nuovo giorno si preparavano a indicarci la rotta.
Eravamo privilegiati spettatori di uno scenario mai visto prima: maestoso, bellissimo, come tante rose tee da poco sbocciate in una meraviglia di colori! Il nostro giardino fiorito era lievitato, sollevato da schiumose onde del Mare-Oceano-Mari.
Cavalcammo, come intrepidi indiani nelle vaste praterie americane, verso spazi aperti, immensi, nell'infinità delle acque salate. Nessuno ci avrebbe potuti fermare! Eravamo più forti di mille eroi della mitologia greca, più coraggiosi di tutti i soldati del mondo riuniti in battaglia e più liberi di centomila palloncini sospesi nell'aere.
Il vento a favore ci guidava come un caro padre che prende il figlio per mano e lo conduce verso i sentieri della sua vita futura. Sostenuti dalla forza di Eolo, ci sentivamo padroni dell'universo, dei mari, delle terre, dell'aria e della miriade di stelle lassù.
Continuava a navigare fiera e sicura la nostra imbarcazione in legno, con tre gonfie vele bianche issate: erano tre morbide nuvole di ovatta, calate sulla linea dell'orizzonte. Intanto gli spruzzi d'acqua e sale ci rinfrescavano, permettevano di farci sentire sui volti tutta la carica esplosiva dell'estate e sancivano l'unione tra noi marinai e le creature marine. Ci sentivamo anche noi come dei pesciolini.
– Esploratori seguaci di Nemo, sgargiante bandiera a strisce bianche e arancioni, all'arrembaggio! Il tesoro dell'isola è già nostro!
Niccolò era completamente assorto in quell'avvincente lettura, che non si era distratto neanche da suoni e suonetti provenienti dal telefono mobile. A capofitto tra quelle pagine sfogliate con vivo interesse, aveva la possibilità di diventare un ottimo marinaio a bordo del vascello Poseidone.
– Agli ordini, capitano! - rispose la ciurma al completo, mentre il Mare-Oceano-Mari riempiva l'anima.
La direzione era quella giusta, puntando ancora per diverse miglia a Nord. La freschezza di quell'acqua salata, sempre più chiara e limpida, ci rinfrescava anche i pensieri, che viaggiavano leggeri leggeri, sorretti da quelle tre gonfie vele bianche.
Da marinaio semplice avevo ancora tanto da imparare, ma la passione e la curiosità non mi mancavano certamente, così controllare la nave, svolgere la regolare manutenzione e talvolta provvedere alla distribuzione del cibo nella cambusa erano attività che non mi spaventavano minimamente. In tutto questo, non perdevo mai di vista il nostro saggio ed esperto capitano Hogart, pronto a guidarci nell'impresa e a risolvere qualsiasi genere di situazione: gli imprevisti, per lui, erano semplicemente nodi di velluto da sciogliere grazie a piccole mani dalle dita elastiche.
Niccolò interruppe la lettura e si osservò le mani. Anche le sue, come quelle descritte nel romanzo, erano mani piccole, con dita peraltro elastiche, proprio perché lui era ancora un bambino. Sarebbe voluto entrare in quella storia, Niccolò, far parte di quella ciurma, aiutare il capitano Hogart a sciogliere i nodi degli imprevisti e dimostrare agli altri marinai, a se stesso, ma soprattutto ad alcuni suoi compagni di classe che aveva coraggio da vendere, anche se a scuola appariva spesso introverso. Le sue, erano ancora mani misurate per impugnare le penne e le matite, morbide per proteggere un cucciolo di gatto e delicate per assemblare in mille diverse costruzioni i mattoncini Lego. Sarebbero diventate capaci, però, non troppo tardi, di ammainare le vele, manovrare il timone, sfidare la forza dei venti e utilizzare tutti gli attrezzi del mestiere marinaresco.
Il sole, intanto, si preparava a troneggiare nel centro della volta celeste. Splendido splendente si sarebbe fatto alto, una palla infuocata, luccicando ininterrottamente sulle creste lievi di quella meraviglia che era il Mare-Oceano-Mari. E l'acqua si sarebbe ancor di più riscaldata e la vita a bordo del vascello Poseidone si sarebbe illusa di stare pigramente in vacanza.
Uno stormo di gabbiani, saziato dall'abbondanza di pesci, decollò veloce dalla superficie azzurra screziata di bianco ai chiari riflessi sconfinati del cielo, diretto verso una mèta ben precisa, per vivere una nuova stagione in un'altra terra.
Un'isola accogliente stava aspettando anche i nostri marinai.
Si delineò di lato alla loro vista un curvilineo profilo di un timido scoglio, col capo di poco alzato e ricoperto da una rigogliosa vegetazione. Mentre la distanza dal veliero all'isola si riduceva, mentre si annullava la presenza di uomini e animali nei paraggi, ardeva il desiderio di approdarvi, la frenesia di corrervi a piedi nudi e di scoprirne il fatidico tesoro. Pirati e galeotti si erano sfidati, su altri mari e in altre epoche, per appropriarsi di gemme e monete in quantità; temerari cercatori d'oro si erano spinti per secoli oltre quelle acque, per nobilitare ogni volta di più le loro imprese; sognatori di altri tempi – e forse anche di questi – erano cresciuti con il sale della fantasia e la speranzosa convinzione di far rotta all'isola di Utopia.
Poche erano le carte nautiche che segnalavano la presenza di quell'isola, a differenza di molte che la ignoravano completamente, indicando al suo posto una qualsiasi corrente acquatica. Ma poiché il mistero si infittisce se un'antica pergamena polverosa viene scovata per caso in una rimessa, trovano invece il loro senso la curiosa esplorazione, l'audace avventura e l'entusiasmo della partenza.
Il capitano Hogart, da vero capitano, fu il primo a scendere dall'imbarcazione, per assicurarsi che su quella terra, emersa dai fondali marini, non si nascondessero insidie. Soltanto pappagalli dai grandi becchi gialli e dalle ampie piume variopinte, appesi sulle legnose fronde di contorte mangrovie, intonarono un acuto saluto di benvenuto.
“Ci siamo!” pensò Niccolò. “Vediamo ora cosa succede.”
I marinai, con la gioia che sarebbe esplosa nei loro petti se non fosse stata contenuta dalle divise a righe bianche e blu, seguirono fedelmente il loro capitano. Parevano una fila ordinata di formiche in processione, caute e silenziose, ma ancor più attente e curiose, alla ricerca di cibo, di briciole di pane. L'ultimo della ciurma, col viso florido e raggiante per la fierezza del compito assegnatogli, issò sulla sponda orientale della riva l'alta bandiera del Poseidone: un tridente grigio rivolto in su, sostenuto dalla possente mano destra del dio Nettuno, protettore di tutti i mari e della loro piccola compagnia.
– Ricordate il richiamo dell'eroe Ulisse ai suoi compagni di viaggio! Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza! – rimbombò così potentemente la voce di Hogart, da far volare via in un istante tutti i pappagalli che li avevano accolti.
“La conoscenza, la conoscenza!” pensai.
Da tre mesi della mia vita mi trovavo a bordo di una nave, che già consideravo come una seconda casa, io che da piccolo non volevo più uscire dalla vasca durante il bagnetto e che giocavo a ore sulle pozzanghere come fossero laghi da attraversare. Avevo imparato tanto finora: ogni uscita in mare aperto era una sfida con me stesso e con la natura, ogni gesto da compiere un esempio di solidarietà verso gli altri, ogni nubifragio una prova da superare per crescere, ogni porto raggiunto una sicurezza da custodire con affetto.
Mentre tali pensieri mi rimbalzavano nella mente, i miei piedi marciavano allineati a quelli degli altri marinai alla scoperta di quell'isola. L'aria era talmente intrisa di un silenzio paradisiaco, che si riuscivano a percepire i respiri affannati e i battiti accelerati dei nostri cuori.
Li avvertiva anche Niccolò quei respiri e quei battiti, che filtravano da quei luoghi fantastici alla cameretta reale del bambino, grazie alle pagine ingiallite di quel romanzo, appartenuto da generazioni alla sua famiglia.
L'isola, con una superficie grande quanto mille uomini in cerchio, odorava di essenze rare, di dolci profumi fruttati e di fresche fragranze floreali. Il lungo viaggio assolato sul Mare-Oceano-Mari trovava il suo meritato riposo all'ombra di nodose mangrovie, di maestose palme verdeggianti e di piante dai fiori tropicali mai visti prima, che infondevano pace e serenità.
Quell'isola era tutta per loro, per quei prodi marinai!
La costa orientale era contornata da un'innumerevole varietà di conchiglie, alghe, ricci e legnetti, adagiati su basse dune sabbiose, mentre la zona a Ovest era battuta da forti venti impetuosi, che si infrangevano su dure e ripide falesie, come se due stagioni naturali si contendessero il controllo di quella dispersa roccaforte.
Nel mezzo stavano loro, i coraggiosi marinai, in equilibrio tra estate e inverno, tra caldo e freddo, nel protetto spazio centrale dove terra, roccia, fiori e frutti convivevano in armonia. Non c'erano tracce di tesori, di bauli, di gemme e di ori, ai quali la ciurma non pensava già più, felice com'era di starsene lì tranquilla e beata. Nel cuore di quell'isola svanivano i rancori e le paure, le ansie e i  problemi, sostituiti dalla calma quiete delle anime, dalle perfette solitudini ritrovate e dall' intramontabile desiderio di libertà mai sopito. Altre isole avrebbero raggiunto, altre avventure avrebbero vissuto, altre storie avrebbero raccontato, ma quella era l'isola alla quale non avrebbero più rinunciato, l'isola del Poseidone, dove ognuno si sentiva libero. Come vento libero.
Niccolò sentì entrare, dalla finestra aperta della camera, un soffio d'aria fresca. Era l'imbrunire di una sera alla fine di aprile, era la briosa brezza di quell'isola, sostenuta e tramandata dall'eco esplosivo della letteratura che aveva trasformato le pagine del libro in onde di libertà, amata libertà.
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byebyebombay · 5 years
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Se non fosse per novembre, ottobre sarebbe il mio mese preferito con i suoi tramonti arancioni e le nuvole rosa, il suono delle campane e l'aria frizzantina della sera che non si può ancora dire fredda ma che a volte fa venire i brividini, le prime foglie che cadono dagli alberi spogliandoli e i profumi della vendemmia e delle prime caldarroste
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iodanessunaparte · 5 years
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mani fredde, dita rosse, goti arrossate e occhi pieni di storie.
alberi spogli, lacrime dal cielo, nuvole nere, tempeste lampeggianti, libri consumati, persone strappate.
Pelle secca, passi stanchi, pessime note e brutte notti.
Scale, tetti, lametta, pesi, illusioni e delusioni.
mari, autunni e inverni, paradiso e inferni, caffè caldo e ginocchia sbucciate.
le albe viola e i tramonti arancioni, il rosso del sangue e il blu del mare.
il fruscio delle foglie e le parole delle persone.
i sorrisi delle tue labbra, la poesia del tuo sguardo, le prose del tuo tocco.
non so per cosa sto ancora lottando.
-☕️
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le sere dei lampioni accesi
delle nuvole arancioni
quel profumo d'inverno
i vicoli stretti
io che cammino e dalle labbra tiro fuori
sbuffi di fumo
ripensando ai tuoi occhi
scusa volevi dirti che
ho in tasca l'universo
da quando ci sei
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sciatu · 6 years
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SICILIA -  AUTUNNO
Devi vivere l’autunno come si vive una fiaba nel mezzo di magiche ed inquiete nuvole nere e la voce del vento che come quello di un menestrello porta con sé foglie multicolori quasi versi d’amore donati ai sorrisi dell’amata. Ed ancora in questa fiaba, coperte di fuoco colorate con rossi felici, allegri arancioni e sorridenti gialli che coprono premurose i boschi umidi e fecondi di funghi. L’erba che perde il suo splendore e il sole che riscalda appena i frutti ed i fiori invernali mentre i campi si mostrano nei loro silenzi, perdendo l’accecante luminosità estiva. Gli alberi, come grandi giganti pronti per una festa, muti mostrano livree luminose, si spogliano dell’assoluto unico verde che li univa mostrando ognuno una sfumatura diversa dello stesso caldo arancio, reclamando, in tal modo, una colorata unicità. Il cielo riflette i teneri rosa e gli splendenti gialli delle foglie nei boschi prima di svanire lentamente nel buio prematuro, come un vecchio ricordo, o un desiderio inutile. Le valli si riempiono di nebbie e la terra scurisce sotto le prime piogge leggere. Ma tutto questo dissanguarsi di marroni ed ocra, di gialli ed aranci è solo un sogno, l’inverno parlerà di addii, del bianco gelo e della brina assassina, ma la primavera ritornerà, come in ogni fiaba a raccontare un lieto fine che tra questi cieli grigi e foglie morte, come ogni bambino, fingi di non sapere.
You have to experience autumn as you live a fairy tale in the midst of magical and restless black clouds and the voice of the wind that like a minstrel brings with it multicolored leaves almost love verses donated to the lover's smiles. And again in this fairy tale, covered with fire colored with happy reds, cheerful orange and smiling yellow that cover the humid and fruitful forests of mushrooms. The grass that loses its splendor and the sun that just warms the winter fruits and flowers while the fields show themselves in their silences, losing the blinding summer brightness. The trees, like big giants ready for a party, dumbly show bright liveries, they undress the unique green that united them showing each one a different shade of the same orange heat, claiming, in this way, a colorful uniqueness. The sky reflects the tender pink and the shining yellow of the leaves in the woods before slowly fading into the premature darkness, like an old memory, or a useless desire. The valleys fill with mists and the earth darkens under the first light rains. But all this bleeding of browns and ocher, of yellows and oranges is only a dream, winter will speak of goodbyes, of white frost and of the murderous hoarfrost, but spring will return, as in every fairy tale to tell a happy ending that among these gray skies and dead leaves, like any child, pretend not to know.
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