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#monique wittig
antinousmondragone · 5 months
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The Lesbian Body by Monique Wittig (tr. David Le Vay, 1975)
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yourdailyqueer · 4 months
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Monique Wittig (deceased)
Gender: Female
Sexuality: Lesbian
DOB: 13 July 1935 
RIP: 3 January 2003
Ethnicity: White - French
Occupation: Writer, philosopher, feminist
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aronarchy · 1 month
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Does anyone have an unpaywalled version of this?
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finalgirlfall · 1 year
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What is woman? Panic, general alarm for an active defense. Frankly, it is a problem that the lesbians do not have because of a change of perspective, and it would be incorrect to say that lesbians associate, make love, live with women, for "woman" has meaning only in heterosexual systems of thought and heterosexual economic systems. Lesbians are not women.
— "The Straight Mind," Monique Wittig, emphasis added
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todosmalucas · 2 years
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THE LESBIAN BODY THE JUICE THE SPITTLE THE SALIVA THE SNOT THE SWEAT THE TEARS THE WAX THE URINE THE FAECES THE EXCREMENTS THE BLOOD THE LYMPH THE JELLY THE WATER THE CHYLE THE CHYME THE HUMOURS THE SECRETIONS THE PUS THE DISCHARGES THE SUPPURATIONS THE BILE THE JUICES THE ACIDS THE FLUIDS THE FLUXES THE FOAM THE SULPHUR THE UREA THE MILK THE ALBUMEN THE OXYGEN THE FLATULENCE THE POUCHES THE PARIETES THE MEMBRANES THE PERITONEUM, THE OMENTUM, THE PLEURA THE VAGINA THE VEINS THE ARTERIES THE VESSELS THE NERVES
Monique Wittig, The Lesbian Body
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ponderosapineneedles · 8 months
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"Thus it is our historical task, and only ours, to “define what we call oppression in materialist terms, to make it evident that women are a class, which is to say that the category “woman” as well as the category “man” are political and economic categories not eternal ones. Our fight aims to suppress men as a class, not through a genocidal, but a political struggle. Once the class “men” disappears, “women” as a class will disappear as well, for there are no slaves without masters. Our first task, it seems, is to always thoroughly dissociate “women” (the class within which we fight) and “woman,” the myth. For “woman” does not exist for us: it is only an imaginary formation, while “women” is the product of a social relationship. We felt this strongly when everywhere we refused to be called a “woman’s liberation movement."
Monique Wittig - One Is Not Born A Woman (1980)
This is really interesting commentary on how we can understand feminist struggles to fight for women's rights like abortion or equal pay while still resisting "woman, the myth" of a sort of intrinsic, inherent womanhood that exists outside of social relations
Which is kind of how I relate to my gender personally? I am a woman in the sense that I belong to the political class, and things like the right to have my own bank account (without a man's name on it) are very important to me
But at the same time "womanhood" as a concept feels empty to me - it is little more than either like a political coalition, or a set of stringent social expectations I've been ignoring for years. There's nothing inside of me that feels like a genuine part of myself that I can point to and go "that makes me a woman."
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withbriefthanksgiving · 6 months
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L’échec du premier féminisme vient du fait qu’il n’attaquait chez Darwin que l’idée de l’infériorité des femmes tout en acceptant les fondements de cette affirmation – en particulier l’idée de la femme en tant qu’« unique ». Ce furent finalement des universitaires femmes et non pas des féministes qui détruisirent cette théorie.
Les premières féministes n’ont pas réussi à considérer l’histoire comme un processus dynamique qui se développe à partir de conflits d’intérêts. Plus même, elles continuaient de penser comme les hommes que la cause (l’origine) de leur oppression se trouvait en elles (parmi les Noirs, seuls les oncles Tom s’accrochaient à cette idée). Et les féministes de ce premier front après quelques victoires éclatantes se sont trouvées dans une impasse et ont manqué de raisons pour continuer à se battre. Elles soutenaient le principe illogique de « l’égalité dans la différence », une idée qui est en train de renaître en ce moment même. Elles sont retombées dans le piège qui nous menace une fois de plus : le mythe de la femme.
Monique Wittig, On Ne Naît Pas Femme
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hippodamoi · 10 months
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"The first star is visible over where dazzling the sun has disappeared. I entreat Sappho she who gleams more than the moon among the constellations of our heavens. I implore Sappho in a very loud voice. I ask Sappho the all-powerful to mark on your forehead as on m/ine the signs of your star. I solicit allsmiling Sappho to exhale over you as over m/e the breezes which make us pale when we contemplate the sky and night comes. Then I stand beside you facing the sea. I await the arrival of the comets with their smoky flashes, they are here thanks be to Sappho, the stones of your star are fallen, those which marked you above your cheek at the level of the temple with a violet seal exactly like m/y own, glory to Sappho for as long as we shall live in this dark continent."
Monique Wittig, The Lesbian Body
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scumbookclub · 7 months
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"Quando le lesbiche non erano donne" di Teresa de Lauretis.
Articolo scritto per l'incontro "Autour de L'oeuvre Politique, Theorique, et littéraire de Monique Wittig". Parigi, 16-17 giugno 2001.
C'è stato un tempo, nello spazio discontinuo, uno spazio disperso nei continenti, in cui le lesbiche non erano donne. Non voglio dire che ora le lesbiche sono donne, anche se alcune si definirebbero tali, mentre altre si dicono butch o femme; molte preferiscono definirsi queer o transgender; e altre si identificano con la mascolinità femminile - ci sono un sacco di opzioni per le lesbiche oggi. Ma allora, era chiaro che le lesbiche erano una cosa: non donne. E tutto sembrava così semplice.
Sarebbe forse opportuno, in questa felice occasione, ora che siamo riuniti per celebrare l'opera di Monique Wittig, raccontarvi una storia, una fiction nello stile di Les guérillères, o un'allegoria come Paris-la-Politique, o una riscrittura di un poema epico come Virgil, non. Wittig stessa è ormai una specie di leggenda. Ma non vi racconterò una storia, o non proprio una storia. Voglio riflettere, guardando al passato, su ciò che il suo lavoro ha significato per me nel 1980, quando lavoravo negli studi femministi e lesbici, e come si interseca con le domande critiche di cui mi occupo ancora.
Negli anni '80, è stata la lettura di Wittig, e le poche ma meravigliosamente intense conversazioni che ho avuto con lei nel nord della California, che mi ha spinto a iniziare il progetto di scrivere la teoria lesbica come distinta da quella femminista. La distinzione si è chiarita nella mia mente solo dopo aver letto tre testi cruciali: "Il pensiero straight," "One is not born a woman," e Il corpo lesbico.
In retrospettiva, mi sembra che una nuova figura - una figura concettuale - sia emersa da quelle opere e che sia stata incapsulata nella dichiarazione "le lesbiche non sono donne." [1] Pur essendo stata generalmente fraintesa e criticata da più parti, quella dichiarazione ha arroventato l'immaginazione di molti e anzi, possiamo dirlo oggi, si è rivelata profetica: come ho detto un momento fa, le lesbiche di oggi sono molte cose - e solo raramente donne. Ma, a quel tempo, l'affermazione "le lesbiche non sono donne" aveva il potere di aprire la mente e di rendere visibile e pensabile uno spazio concettuale che fino ad allora era stato reso impensabile da, appunto, l'egemonia della mente etero - come lo spazio definito "punto cieco" è reso invisibile nello specchietto retrovisore di una macchina dalla carrozzeria o lo chassis della macchina stessa. La scrittura di Wittig ha aperto uno spazio concettuale, virtuale, che era proibito a tutte le conversazioni e ideologie di sinistra e di destra, incluso il femminismo.
In quello spazio concettuale e virtuale, mi apparve un tipo diverso di donna, se posso dirlo dopo il titolo del libro che leggemmo al tempo. [2] L'ho chiamata il soggetto eccentrico. [3] Perché, se le lesbiche non sono donne, sono comunque, come me, di carne e ossa, esseri pensanti e scrittori che vivono nel mondo e con cui interagisco ogni giorno, e allora le lesbiche sono soggetti sociali e, con ogni probabilità, anche soggetti psichici. Ho chiamato quel soggetto eccentrico non solo nel senso di "deviato dal percorso convenzionale, normativo", ma anche ek-centrico in quanto non si pone nell'istituzione che supporta e produce la mente straight, cioè l'istituzione dell'eterosessualità. Infatti, quell'istituzione non previde tale soggetto e non avrebbe potuto comprenderlo, concepirlo.
Ciò che caratterizza il soggetto eccentrico è un doppio spostamento: in primo luogo, lo spostamento psichico dell'energia erotica su una figura che supera le categorie di sesso e genere, la figura che Wittig chiama "la lesbica"; in secondo luogo, l'auto-spostamento o la disidentificazione del soggetto dalle ipotesi culturali e pratiche sociali che accompagnano le categorie di genere e sesso. Ecco come Wittig ha definito quella figura:
Lesbica è l'unico concetto che conosco che è al di là delle categorie di sesso (donna e uomo), perché il soggetto designato (lesbica) non è una donna, sia economicamente, o politicamente, o ideologicamente. Perché ciò che rende una donna è una specifica relazione sociale con un uomo, una relazione che abbiamo precedentemente chiamato servitù, una relazione che implica un obbligo personale e fisico e un obbligo economico ("residenza forzata", corvée domestica, doveri coniugali, produzione illimitata di bambini, ecc.), una relazione da cui le lesbiche fuggono rifiutandosi di diventare o rimanere eterosessuali.
Rifiutare il contratto eterosessuale, non solo nella propria pratica di vita, ma anche nella propria pratica di conoscere - quella che Wittig chiamava "pratica soggettiva e cognitiva"- costituisce un cambiamento epistemologico in quanto cambia le condizioni di possibilità di sapere e di conoscenza, e questo costituisce un cambiamento nella coscienza storica. [4]
La coscienza dell'oppressione [scrisse Wittig] non è solo una reazione (per lottare) contro l'oppressione. È anche l'intera rivalutazione concettuale del mondo sociale, la sua intera riorganizzazione con nuovi concetti, dal punto di vista dell'oppressione... chiamiamola una pratica soggettiva e cognitiva. Il movimento avanti e indietro tra i livelli della realtà (la realtà concettuale e la realtà materiale dell'oppressione, che sono entrambe le realtà sociali) si realizza attraverso il linguaggio.
Il lavoro del linguaggio in quel movimento avanti e indietro è iscritto nel titolo del saggio di Wittig del 1981, "On ne naît pas femme." Se la filosofa de Beauvoir aveva detto: "Donna non si nasce, si diventa" (e così, a suo modo, aveva detto Freud), la scrittrice Wittig disse: "Non si nasce donna" (enfasi aggiunta). Quasi le stesse parole, eppure una tale differenza di significato - per non dire una tale differenza sessuale. Spostando l'enfasi dalla parola "nata" alla parola "donna", la citazione di Wittig della frase di de Beauvoir invocava o mimava la definizione eterosessule della donna come "il secondo sesso", contemporaneamente destabilizzando il suo significato e dislocando i suoi fulcri.
Un tale cambiamento comporta una dislocazione e un autospostamento: lasciare o rinunciare a un luogo conosciuto, cioè "casa" - fisicamente, emotivamente, linguisticamente, epistemologicamente - per un altro luogo sconosciuto, non solo emotivamente ma concettualmente sconosciuto; un punto di partenza da cui parole e pensieri posson essere solo tentativi, incerti, non autorizzati. Ma andarsene non è una scelta, perché rimanere dove si viveva era proprio impensabile. Quindi tutti gli aspetti dello spostamento, da quello geopolitico a quello epistemologico e affettivo, sono dolorosi e rischiosi, perché comprendono un costante attraversare indietro e avanti, una rimappatura dei confini tra corpi e discorsi, identità e comunità. Allo stesso tempo, però, permettono una riconcettualizzazione del soggetto, delle relazioni della soggettività alla realtà sociale, e una posizione di resistenza e agency che non è fuori ma, per meglio dire, eccentrica rispetto all'apparato socioculturale dell'istituzione eterosessuale.
Ricordo di aver pensato, allora, che la possibilità di immaginare un soggetto eccentrico costituito attraverso la disidentificazione e lo spostamento era in qualche modo legata alla propria dis-localizzazione geografica, linguistica e culturale, quella di Wittig, dalla Francia agli Stati Uniti; la mia, dall'Italia agli Stati Uniti. Solo più tardi ho scoperto che una simile concezione del soggetto stava emergendo nella teoria postcoloniale e sarebbe successivamente articolata nella nozione di Homi Bhabha di ibridità culturale e i recenti studi sul soggetto transnazionale. [5] Tuttavia, già allora, negli anni '80, ho notato la parentela della "lesbica" di Wittig con altre figure di soggetti eccentrici che emersero dagli scritti di donne o lesbiche di colore, come Trinh T. Minh-ha, Gloria Anzaldúa, Barbara Smith e Chandra Mohanty. Direi, quindi, che gli scritti critici di Wittig anticipavano alcuni dei punti enfatizzati dal femminismo postcoloniale di oggi.
Con de Beauvoir e con altre femministe della nostra generazione in Francia, Italia, Gran Bretagna e Americhe, Wittig ha condiviso la premessa che le donne non sono un "gruppo naturale" la cui oppressione sarebbe una conseguenza della loro natura fisica, ma piuttosto una categoria sociale e politica, un costrutto ideologico e il prodotto di un rapporto economico. La maggior parte di noi, a quel tempo, condivideva una comprensione marxista della classe e un'analisi materialista dello sfruttamento, sebbene in Europa questa comprensione precedesse il femminismo, mentre in America anglofona spesso seguiva e derivava dall'analisi femminista del genere. Non c'è bisogno che vi parli della teoria del femminismo materialista, poiché alcuni di coloro che l'hanno articolata più chiaramente sono qui presenti. [6] Dirò solo che la definizione di oppressione di genere come categoria politica e soggettiva, che si arriva dal punto di vista specifico degli oppressi, nella lotta e come forma di coscienza, era distinta dalla categoria economica, oggettiva dello sfruttamento. E questa ridefinizione fu condivisa anche da altri in Nord America, come il gruppo femminista nero The Combahee River Collective, per cui l'oppressione di genere era indissociabile dalla dominazione razzista. [7]
Ma Wittig andò oltre: se le donne sono una classe sociale la cui condizione specifica di esistenza è l'oppressione di genere, e la cui coscienza politica offre loro un punto di vista, una posizione di lotta e una prospettiva epistemologica basata sull'esperienza vissuta, allora quello che Wittig vedeva come l'obiettivo del femminismo era la scomparsa delle donne (come classe). Un curioso paradosso si è verificato nella storia del femminismo negli ultimi 30 anni in relazione a questa idea. Tornerò su questo punto tra un attimo, ma prima permettetemi di continuare il mio resoconto della questione.
Per immaginare come sarebbero le donne in una società senza classi (cioè senza sessi), Wittig non ha offerto un mito o una finzione, ma ha fatto riferimento all'effettiva esistenza di una "società lesbica" che, per quanto marginalmente, ha funzionato in un certo modo autonomamente da istituzioni eterosessuali. In questo senso, ha affermato, le lesbiche non sono donne: "il rifiuto di diventare (o rimanere) eterosessuali intendeva sempre rifiutarsi di diventare un uomo o una donna, consapevolmente o meno. Per una lesbica questo va oltre il rifiuto del ruolo "donna". È il rifiuto del potere economico, ideologico e politico di un uomo". [8] Beh, la frase "società lesbica" ha fatto infuriare tutti. L'hanno interpretato come una descrizione di un'organizzazione sociale, o un progetto per una società futuristica, utopica o distopica come le amazzoni di Les Guérillères o come le comunità femminili immaginate nel romanzo di fantascienza di Joanna Russ, The Female Man. Dissero che Wittig era un'utopista, un'essenzialista, una separatista dogmatica, persino un'"idealista classica." Non si può essere marxisti, dicevano, e parlare di società lesbica. Si può parlare di società lebica solo nella prospettiva politica liberale della libera scelta, in cui ognuno è libero di vivere come vuole, e questo ovviamente è un mito capitalista.
In effetti, Wittig mobilitò sia il discorso del materialismo storico che quello del femminismo liberale in una strategia interessante, una contro l'altra e l'altra contro se stessa, dimostrando che entrambi erano inadeguati a concepire il soggetto in termini materialistici femministi. [9] A tal fine, ha sostenuto, il concetto marxista di coscienza di classe e il concetto femminista di soggettività individuale devono essere articolati insieme; ha chiamato la loro unione una "pratica soggettiva, cognitiva," che implica la riconversione del soggetto e le relazioni di soggettività alla socialità da una posizione che è eccentrica all'istituzione dell'eterosessualità e quindi supera il suo orizzonte discorsivo-concettuale: la posizione del soggetto lesbico. Ora, dunque, capiamo perché Wittig propose la scomparsa della donna come obiettivo del femminismo.
Le critiche arrivarono da tutti i gruppi del femminismo, comprese molte fazioni lesbiche; per esempio, le lesbiche che volevano rivendicare la femminilità per le donne e riabilitare i suoi tratti di premura, compassione, tenerezza e cura come pari ai cosiddetti tratti maschili; furono le stesse che avevano accusato il libro già famoso di Wittig Il corpo lesbico di essere "violento". Le critiche vennero da chi voleva promuovere una cultura femminile, concepita non come classe ma come comunità di donne "identificate-donne", e da chi favoriva l'idea di un "continuum lesbico" a cui ogni donna che, per qualsiasi ragione, aveva rifiutato o resistito l'istituzione del matrimonio potrebbe giustamente appartenere - ed essere considerata lesbica indipendentemente dalla scelta, comportamento o desiderio sessuale. E le critiche arrivarono anche da coloro che, d'altra parte, consideravano la sessualità e il desiderio centrali nella soggettività lesbica, ma sostenevano che l'eterosessualità necessariamente definisce l'omosessualità e detta le forme di sessualità lesbica e gay, per quanto sovversive o parodiche possano essere.
Queste critiche non colsero innanzitutto che la "lesbica" di Wittig non era solo un individuo con una personale "preferenza sessuale" o un soggetto sociale con una semplice priorità "politica", ma il termine o figura concettuale per il soggetto di una pratica cognitiva e una forma di coscienza che non sono primordiale, universale, o coestensivo con il pensiero umano, come de Beauvoir avrebbe voluto, ma storicamente determinato e ancora soggettivamente assunto; un soggetto eccentrico costituito in un processo di lotta e interpretazione; di traduzione, detraduzione e ritraduzione (come la mise Jean Laplanche); una riscrittura del sé in relazione a una nuova comprensione della società, della storia, della cultura.
Allo stesso modo, i suoi critici non capivano che la "società lesbica" di Wittig non si riferiva a una certa collettività di donne gay, ma era il termine per uno spazio concettuale ed esperienziale scavato nel campo sociale, uno spazio di contraddizioni, nel qui e ora, che devono essere affermati e non risolti. Quando ha concluso, "Siamo noi che storicamente dobbiamo intraprendere il compito di definire il soggetto individuale in termini materialisti", che quel noi non si riferiva alle donne privilegiate di de Beauvoir, "qualificate per chiarire la ssituazione della donna". [10] Il noi di Wittig era il punto di articolazione da cui ripensare sia il marxismo che il femminismo; era, o così mi sembrava, la parola per una particolare forma di coscienza femminista che, in quel momento storico, poteva esistere solo come coscienza di qualcos'altro; era la figura di un soggetto che supera le sue condizioni di soggezione, un soggetto che eccede la sua costruzione discorsiva, un soggetto di cui sapevamo solo quello che non era: non donna. Rileggiamo la seconda frase di Il corpo lesbico: "Ce qui a cours ici, pas une ne l'ignore, n'a pas de nom pour l'heure." [11]
C'è, come ho detto, un curioso paradosso nella storia del femminismo negli ultimi 30 anni per quanto riguarda la richiesta di Wittig per la scomparsa delle donne. Perché, in un certo senso, le donne sono scomparse dall'attuale lessico degli studi femministi, almeno nel mondo anglofono. È iniziato alla fine degli anni '80, sulla scia della politica di identità e con la crescente partecipazione di donne di colore, lesbiche e eterosessuali, negli studi accademici, quando la parola donne ha iniziato a essere sottoposta alla stessa critica che aveva smontato la nozione di Donna (D maiuscola, la donna) nei primi anni '80. [12] Negli anni '90, quindi, parlare di donne senza modificatori razziali, etnici o di altro tipo geopolitico era dare per scontato un'oppressione comune e uguale basata sul genere o sul sesso, che ignorava le forme concomitanti di oppressione basate su differenze razziali, etniche, di classe e di altro tipo. [13]
La nozione di differenza sessuale fu particolarmente presa di mira e accantonata, non senza buone ragioni, come inadeguata, insufficiente, eurocentrica e centrata sulla classe. Inoltre, nella versione del femminismo poststrutturalista che è diventato popolare nella teoria accademica femminista e queer (dove il termine "poststrutturalista" fa riferimento quasi esclusivamente all'influenza dei primi Foucault e Derrida) le donne sono considerate simulacri dell'immaginario sociale, senza sostanza fisica o psichica intrinseca: le donne, come il genere, la sessualità, il soggetto e il corpo stesso, secondo questa visione, sono tutti costrutti discorsivi, luoghi di convergenza degli effetti performativi del potere. In questa prospettiva, concetti come la "pratica soggettiva e cognitiva" di Wittig o la nozione di esperienza vissuta, che era centrale nella teoria femminista negli anni '70 e '80, sono stati respinti come essenzialisti, naturalizzanti, ideologici [14] o peggio, come umanista - che, nel contesto della moda "postumanista" o postmoderna degli anni '90, era sicuramente una parola dispregiativa. Quindi, in un certo senso, si potrebbe dire che le donne sono scomparse. [15]
Il paradosso è questo: Wittig, che per prima aveva proposto la scomparsa delle donne, è stata lei stessa etichettata come essenzialista, passé o umanista. Nelle parole di un filosofo femminista poststrutturalista, "Wittig chiede una posizione al di là del sesso che restituisce la sua teoria ad un umanesimo problematico basato su una metafisica problematica della presenza." [16] La frase "metafisica della presenza", un segno dell'influenza del primo lavoro di Jacques Derrida, ricorre più volte in Gender Trouble di Judith Butler (1990), il libro che ha portato Wittig all'attenzione dei lettori non lesbiche e non femministe, e per questo motivo gli sarà dedicato un breve riferimento qui.
Commercializzato come un intervento femminista nel campo della filosofia francese, il libro è stato ampiamente citato e tradotto, ed è diventato un testo autorevole di studi di genere e teoria queer. La sua ampia discussione del lavoro di Wittig nel contesto disciplinare della filosofia ha efficacemente integrato Monique Wittig come teorica femminista francese (accanto ai due altri i cui nomi hanno circolato ampiamente nelle università nordamericane, Luce Irigaray e Julia Kristeva). Tuttavia, Butler sollevò obiezioni alla posizione radicale di Wittig, che male interpretò come "prescrittivismo separatista" per usare le sue parole - come se Wittig avesse detto che tutte le donne dovevano diventare lesbiche o che solo le lesbiche potevano essere femministe.
Come gli altri critici, Butler non riuscì a comprendere il carattere figurale e teorico della "lesbica" di Wittig e la sua valenza epistemologica. Il soggetto di una pratica cognitiva basata sull'esperienza vissuta del proprio corpo, il desiderio, la dis-identificazione concettuale e psichica dalla mente diritta, la "lesbica" di Wittig era ben consapevole del potere del discorso di plasmare il proprio sociale e soggettivo (e vorrei aggiungere, psichica) realtà: "Se il discorso dei moderni sistemi teorici e delle scienze sociali esercita un potere su di noi, è perchè adopera concetti che ci toccano da vicino," scrisse Wittig in Il pensiero straight.
Butler, tuttavia, si riferì al soggetto lesbico di Wittig come al "soggetto cognitivo", dotandolo di forti connotazioni cartesiane, e gettò la sua teoria nella discarica delle filosofie superate e scartate: al lettore di Gender Trouble, Wittig sembra essere un'esistenzialista che crede nella libertà umana, un'umanista che presume l'unità ontologica dell'Essere prima del linguaggio, un'idealista mascherata da materialista, e più paradossalmente di tutti, un collaboratore involontario e inconsapevole del regime della normatività eterosessuale. [17] Questo, a mio parere, può spiegare la relativa noncuranza o condiscendenza con cui il lavoro di Wittig è stato trattato negli studi di genere e queer fino ad ora. Finché, intendo, la rinnovata attenzione al lavoro di Wittig da parte di una nuova generazione, che ci ha portato qui oggi, potrà forse riaprire un altro spazio virtuale di pensiero e scrittura lesbica.
Dato che vorrei sottolineare che l'originalità concettuale e l'importazione radicale della teoria di Wittig sono iscritti nella sua narrativa prima di Il pensiero straight: in Les guérillères, la figura della lesbica come soggetto di una pratica cognitiva che permette la riconcettualizzazione del sociale e della conoscenza stessa da una posizione eccentrica all'istituzione eterosessuale è figurata nella pratica della scrittura come coscienza di contraddizione ("la lingua che parli è fatta di parole che ti uccidono"); una coscienza di scrivere, vivere, sentire e desiderare la noncoincidenza di esperienze e linguaggio, negli interstizi di rappresentazione, negli intervalli che i tuoi padroni non sono stati capaci di riempire con le loro parole di appropriatori." [18] E lo troviamo già nella prima pagina di Il corpo lesbico.
Una delle prime a capirlo fu Elaine Marks che, nel suo saggio del 1979 "Lesbian Intertextuality", scrisse: "In Il corpo lesbico Monique Wittig ha creato, attraverso l'uso incessante di iperboli e il rifiuto di utilizzare i codici corporei tradizionali, immagini tanto sfacciate da resistere al riassorbimento nella cultura letteraria maschile." [19] Infatti, il topos tematico del viaggio nella narrativa di Wittig corrisponde al suo viaggio formale come scrittrice. Entrambi sono viaggi senza destinazione fissa, senza fine, più come un auto-spostamento che a sua volta sposta le figurazioni testuali della mitologia classica e cristiana, gli eroi omerici e Cristo, nei generi letterari occidentali e li reinscrive in altri modi: La divina commedia (Virgil, non) e Don Chisciotte (Vojage sans fin), l'epica (Les Guerilleres), la lirica (Il corpo lesbico), il romanzo di formazione (L'opoponax), il dizionario enciclopedico (Brouillon pour un dictionnaire des Amantes), e più tardi la satira (Paris-la-politique), il manifesto politico e il saggio critico (Il pensiero straight).
In Il corpo lesbico, l'odissea del soggetto lesbico j/e è un viaggio nel linguaggio, nel corpo della cultura occidentale, una stagione all'inferno. [20] "Ce qui a cours ici, pas une ne l'ignore, n'a pas de nom pour l'heure." Ici si riferisce immediatamente agli eventi descritti nella diegesi e al processo della loro iscrizione, il processo di scrittura: lo smembramento del corpo femminile arto per arto, organo per organo, muco per muco, è contemporaneamente la decostruzione parola per parola dell'anatomia del corpo femminile per come è rappresentata o mappata dal discorso patriarcale. Il viaggio e la scrittura ignorano quella mappa, superano le parole dei maestri per esporre le crepe, i vuoti di rappresentazione, e sconfinano negli interstizi del discorso per re-immaginare, ri-imparare, ri-scrivere il corpo in un'altra economia libidinale. Eppure, il viaggio e la scrittura non producono una mappa alternativa, un corpo femminile intero, coerente, sano o una narrazione teleologica dell'amore tra donne con un lieto fine, finché morte non ci separi. Al contrario, la morte è assunta nel corpo lesbico, iscritto in esso fin dall'inizio. "Fais tes Adieux m/a très belle": "Ce qui a cours ici" è la morte, la lenta decomposizione del corpo, il fetore, i vermi, il cranio aperto. . . . La morte è qui e ora, perché è il compagno inseparabile e la condizione stessa del desiderio.
Ancora e ancora, negli anni, ho riletto questo straordinario testo che non si lascerà mai leggere in una sola volta o "consumato" una volta per tutte. Che il libro riguardi il desiderio (desiderio non fallico, chiaramente) mi era chiaro dall'inizio. Se Orlando di Virginia Woolf è stato definito la più lunga lettera d'amore della storia (a Virginia Sackville-West), Il corpo lesbico, ho pensato, potrebbe essere chiamato la poesia d'amore più lunga della letteratura moderna. Ma quello che ho capito solo di recente è che Il corpo lesbico non parla di amore; parla di un'estesa immagine poetica della sessualità, un canto o un vasto affresco, brutale ed emozionante, seducente e maestoso.
Fatemi mettere in chiaro questo: non intendo la sessualità come Foucault, nel senso di una tecnologia che produce il "sesso" come la verità dei soggetti borghesi per bene. La intendo nella concezione freudiana della sessualità come impulso psichico che sconvolge la coerenza dell'io; un principio di piacere che si oppone, frantuma, resiste o compromette la logica del principio di realtà, cioè la logica simbolica del nome del padre, la famiglia, la nazione, e tutte le altre istituzioni della società che si basano sulla macroistituzione, e presunzione, dell'eterosessualità. Freud vide queste due forze, il principio del piacere e il principio della realtà, come allo stesso tempo attive nella psiche e in guerra tra loro. Quando in seguito le riconfigurò su una scala al di là dell'individuo, chiamò una Eros e l'altra "pulsione di morte". Ma è quest'ultima, la pulsione di morte, e non l'eros platonico, l'agente della disgregazione, svincolamento, negatività e resistenza che aveva prima identificato nel desiderio sessuale: è la pulsione di morte, e non Eros, che è associata più strettamente e strutturalmente alla sessualità nella metapsicologia di Freud, la sua teoria della psiche. [21]
Questa guerra di due forze psichiche è ciò che vedo ora nel testo di Wittig: la sua iscrizione dell'enigma della sessualità e del desiderio non sacro, non edipico. E questo è forse ciò che ha sempre provocato il mio fascino per Il corpo lesbico e la voglia di ritornarci più e più volte: l'enigma che pone e l'enigma che è.
---- Note ----
[1]    “The Straight Mind” (1980) in The Straight Mind and Other Essays (Boston:  Beacon Press, 1992), p. 32.
[2]    René Vivien, A Woman Appeared to Me [Une Femme m’apparuit, 1904].  (Renée Vivien, née Pauline Tarn, was an Anglo-American poet and friend of Colette, living in France.)
[3]    See Teresa de Lauretis, “Eccentric Subjects,” Feminist Studies, vol. 16, no. 1 (Spring 1990), pp. 115-150; “Soggetti eccentrici” in T. de Lauretis, Soggetti eccentrici (Milano:  Feltrinelli, 1999), pp. 11-57; and “Sujetos excéntricos” in T. de Lauretis, Diferencias:  Etapas de un camino a través del feminismo (Madrid:  Editorial horas y HORAS, 2000) pp. 111-152.
[4]   A similar point is made by Namascar Shaktini:  “Wittig’s reorganization of metaphor around the lesbian body represents an epistemological shift from what seemed until recently the absolute, central metaphor—the phallus” ( “Displacing the Phallic Subject:  Wittig’s Lesbian Writing,” Signs 8:1 [1982]: 29).
[5]    See Homi K. Bhabha, The Location of Culture (London:  Routledge, 1994).
[6]   Il testo che circolava nel mondo anglosassone era di Christine Delphy, Close to Home:  A Materialist Analysis of Women’s Oppression, trans. and ed. by Diana Leonard (Amherst:  Univ. of Massachusetts Press, 1984).
[7]   See “The Combahee River Collective Statement” in Barbara Smith, ed., Home Girls:  A Black Feminist Anthology (New York:  Kitchen Table:  Women of Color Press, 1983), pp. 272-282.
[8]    “One Is Not Born a Woman,” in The Straight Mind, p. 13.
[9] First she deployed the marxist concepts of ideology, class and social relations against liberal feminism: she argued that to accept the terms of gender or sexual difference, which construct woman as  an “imaginary formation” on the basis of women’s biological-erotic value to men, makes it impossible to understand that the very terms “woman” and “man” “are political categories and not natural givens,” and thus prevents one from questioning the real socioeconomic relations of gender.  Second, however, Wittig claimed the feminist notion of self as a subject who, although socially produced, is apprehended and lived in its concrete, personal singularity; and this notion of self she held against marxism, which denied an individual subjectivity to the members of the oppressed classes.  Although “materialism and subjectivity have always been mutually exclusive,” she insisted on both class consciousness and individual subjectivity at once:  without the latter “there can be no real fight or transformation.  But the opposite is also true; without class and class consciousness there are no real subjects, only alienated individuals” (p. 19).
[10]   Simone de Beauvoir, The Second Sex, trans. H. M. Parshley (New York:  Vintage, 1974 [1949]), p. xxxii.
[11]   Monique Wittig, Le corps lesbien (Paris:  Minuit, 1972), p. 7.
[12]   See de Lauretis, Alice Doesn’t:  Feminism, Semiotics, Cinema (Bloomington:  Indiana University Press, 1984).
[13]    See Robyn Wiegman, “Object Lessons:  Men, Masculinity, and the Sign Women,” Signs:  Journal of Women in Culture and Society 26. 2 (2001):  355-388.
[14]   See Joan Wallach Scott, “The Evidence of Experience,” Critical Inquiry 17 (Summer 1991): 773-797.  Interestingly enough, the notion of expérience vécue has now become central to postcolonial and critical race theory stemming from the rereading of Frantz Fanon, while the concept of experience is now being revaluated in the very writings of Foucault, which were formerly read as the staunch basis of the social-constructionist position against the essentialist position allegedly represented by “the evidence of experience.”
[15]    A recent move to replace academic programs in Women’s Studies with Gender Studies has met with very few objections.  See Leora Auslander, “Do Women’s + Feminist + Men’s + Lesbian + Gay + Queer Studies = Gender Studies?,” differences 9. 3 (1997):  1-25.  The author’s answer to her title question is an enthusiastic yes.
[16]    Judith Butler, Gender Trouble:  Feminism and the Subversion of Identity (New York:  Routledge, 1990), p. 124.
[17] Here are some typical passages from Gender Trouble:
Wittig’s radical feminist theory occupies an ambiguous position within the continuum of theories on the question of the subject.  On the one hand, Wittig appears to dispute the metaphysics of substance, but on the other hand, she retains the human subject, the individual, as the metaphysical locus of agency. (p. 25)
In her defense of the “cognitive subject,” Wittig appears to have no metaphysical quarrel with hegemonic modes of signification or representation; indeed, the subject, with its attribute of self-determination, appears to be the rehabilitation of the agent of existential choice under the name of the lesbian.  (p. 19)
As a subject who can realize concrete universality through freedom, Wittig’s lesbian confirms rather than contest the normative promise of humanist ideals premised on the metaphysics of substance.  (p. 20)
Clearly her belief in a “cognitive subject” that exists prior to language facilitates her understanding of language as an instrument, rather than as a field of significations that preexist and structure subject-formation itself. (p. 154, note 27)
Wittig’s radical disjunction between straight and gay replicates the kind of disjunctive binarism that she herself characterizes as the divisive philosophical gesture of the straight mind. (p. 121)
Lesbianism that defines itself in radical exclusion from heterosexuality deprives itself of the capacity to resignify the very heterosexual constructs by which it is partially and inevitably constituted.  As a result, that lesbian strategy would consolidate compulsory heterosexuality in its oppressive [as opposed to “volitional or optional”, p. 121] forms.  (p. 128)
Wittig’s materialism... understands the institution of heterosexuality as the founding basis of the male-dominated social orders.  “Nature” and the domain of materiality are ideas, ideological constructs, produced by these social institutions to support the political interests of the heterosexual contract.  In this sense, Wittig is a classic idealist for whom nature is understood as a mental representation.  (p. 125)
[18]   Les Guérillères, trans. David LeVay (Boston:  Beacon Press, 1985), p. 114.
[19]   Elaine Marks, “Lesbian Intertextuality,” in Homosexualities and French Literature, ed. George Stambolian and Elaine Marks (Ithaca:  Cornell University Press, 1979), p. 375.
[20]   As I pointed out elsewhere, the linguistically impossible subject pronoun j/e may be read in several theoretically possible ways that go from the more conservative (the slash in j/e represents the division of the Lacanian subject) to the less conservative (j/e can be expressed by writing but not by speech, recalling Derridean différance), to the radical feminist (“j/e is the symbol of the lived, rending experience which is m/y writing, of this cutting in two which throughout literature is the exercise of a language which does not constitute m/e as subject” (Wittig, quoted in Margaret Crosland’s introduction to The Lesbian Body in the paperback edition I own (Boston:  Beacon Press, 1986); and the play of j/e-tu may suggest the butch-femme double subject of lesbian camp performance envisaged by Sue-Ellen Case.  See Teresa de Lauretis, “Sexual Indifference and Lesbian Representation,” Theatre Journal  40. 2 (May 1988):  155-177; translated as Differenza e indifferenza sessuale:  Per l’elaborazione di un pensiero lesbico (Firenze:  Estro, 1989), Film in Vidno (Ljubljana:  SKUC, 1998), and “Diferencia e indiferencia sexual” in T. de Lauretis, Diferencias:  Etapas de un camino a través del feminismo (Madrid:  horas y HORAS, 2000).
[21]   Jean Laplanche, Life and Death in Psycho-Analysis, trans. by Jeffrey Mehlman (Baltimore:  The Johns Hopkins University Press, 1976), ch. 6.  See also Laplanche, “La pulsion de mort dans la théorie de la pulsion sexuelle,” in La pulsion de mort (Paris:  PUF, 1986).
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Wittig, M. (1981). One is not born a woman. Feminist issues, 1(2), 47-54.
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wuuthering · 2 years
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[I can only underline] the oppressive character that the straight mind is clothed in in its tendency to immediately universalize its production of concepts into general laws which claim to hold true for all societies, all epochs, all individuals.
Monique Wittig, The Straight Mind (La Pensée Straight) 1992
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gridbug · 9 months
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Alice Blackhurst on Monique Wittig in the TLS, writing on a new French edition of the lesbian body, as well as Wittig’s contributions as activist, writer and theorist to lesbian feminism and LGBT history in France and around the world.
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archivodemargenes · 1 year
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M-Monique Wittig
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josebalarratxe · 10 months
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Argia aldizkariaren Larrun gehigarrirako azaleko marrazkia, Monique Wittig idazleari buruz.
Cover illustration for Larrun magazine about Monique Wittig.
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finalgirlfall · 1 year
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These discourses of heterosexuality oppress us in the sense that they prevent us from speaking unless we speak in their terms.
— "The Straight Mind," Monique Wittig
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ponderosapineneedles · 8 months
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"Lesbian is the only concept I know of which is beyond the categories of sex (woman and man), because the designated subject (lesbian) is not a woman, either economically, or politically, or ideologically. For what makes a woman is a specific social relation to a man, a relation that we have previously called servitude, 16 a relation which implies personal and physical obligation as well as economic obligation (“forced residence,”17 domestic corvée, conjugal duties, unlimited production of children, etc.), a relation which lesbians escape by refusing to become or to stay heterosexual."
Monique Wittig - One Is Not Born A Woman (1980)
Honestly idk if this is true writ large, but it is how I feel about my gender personally. Lesbianism is tied up with my rejection of gender roles, and at least being raised in a conservative place there's absolutely the sense that fulfillment of those roles (heterosexual marriage, childraising) is critical to becoming an adult woman recognized by the community as such. I'm not a man, but I'm also not a "real" woman either.
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