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#epigrafia
storiearcheostorie · 2 months
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Venezia, alla scoperta dei graffiti storici di Palazzo Ducale: al via la campagna di ricerca e documentazione di Ca’ Foscari
Venezia, alla scoperta dei graffiti storici di Palazzo Ducale: al via la campagna di ricerca e documentazione di Ca’ Foscari
Redazione Venezia è disseminata di graffiti storici incisi su colonne, portali, pareti di ogni tipo. Si tratta di disegni, simboli, scritte. Rappresentano dediche, citazioni, avvertimenti, insulti, messaggi d’amore, croci, cuori, figure intere, armature, navi e molto altro. Sono iscrizioni che raccontano la storia della città da tanti punti di vista, attraverso decine di migliaia di…
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academiadotraco · 2 years
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Inscrição Qatabânica, século I d.C. De Tamna, capital do reino de Qataban, atual Iêmen (península arábica). As escritas me fascinam! Infelizmente não compreendo nenhum sistema de escrita complexo além do alfabeto latino, nossa herança ocidental do Império Romano. Mas admiro muito sua estética, seu ritmo, sua coerência visual, um equilíbrio visível e belíssimo, esta herança cultural nos brinda com uma linguagem visual muito além do seu significado linguístico 🤩🤩🤩 Você gostou? Deixe seu comentário se quiser ver mais destas preciosidades históricas que atravessaram o tempo e o espaço e chegaram até nós! Mesmo não compreendendo todo o significado, pois teríamos que conhecer o contexto social, econômico e cultural da época, podemos sentir o valor destas preciosidades, seu significado histórico, simbólico, cultural e estético. P.S. Esta estela está em exposição no Museu do Louvre, em Paris. Foto minha. #escritas #epigrafia #caligrafia #artedaescrita (em Curitiba, Paraná) https://www.instagram.com/p/Chktg7Olv_L/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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ateneanike · 7 months
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En el patio del Museo cívico arqueológico de Bologna, hay una increible colección de material epigráfico. Puedes pasarte horas...literalmente.
#museocivicobologna #bologna #bolonia #cultura #viajes #epigrafia #estelas #historia #history #cultura
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theladyorlando · 5 months
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The Moon Also Rises
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La voce di Johnny Flynn non è più quella di prima: non è la voce spessa dei suoi esordi, quella che ad ascoltarla mi veniva in mente un olio denso, scuro, ben pigmentato, che un pennello stende con caparbietà avanti e indietro. Quella lì era una voce consistente, un timbro caldo e distribuito in maniera uniforme sulla tela. Adesso invece al posto del pennello si sente chiaramente che c'è una mano nuda a dipingere, e che a volte lo fa con le stesse unghie: la voce densa si è spezzata in un urlo, si è graffiata sopra alla tela, ed è bellissima, è sensuale ed è, se possibile, ancora più precisa di prima.
L'autunno me l'ha portata dentro al frutto della sua fatica, la fatica di Johnny Flynn. Lui però mi ha avvisata per tempo, e io così ho avuto modo di vivermi l'attesa, di assaporarla. Insieme al suo amico e scrittore Robert MacFarlane e a un'allegra compagnia di nomadi inglesi -quelli che se ne vanno in giro per boschi e campagne senza scarpe e sotto la pioggia, per capirci- Johnny Flynn ha piantato dei semi che in questi mesi hanno germogliato, e io li ho guardati venire su come ho fatto con tutti gli alberi dietro cui mi sono andata perdendo nell'anno. Un calendario.
Il primo seme è stato "The Wild Hunt": lo ha piantato in terra a dicembre dello scorso anno, e a me è sembrato come di vederlo, Johnny Flynn, mentre infilava le dita nella terra fredda e mi diceva, guardandomi bene dentro agli occhi, che quella era una caccia folle: è una caccia folle la caccia al nome del male, la caccia alla tana, la tana del Primitivo. E così improvvisamente diventa una caccia folle anche quella alle cose scontate, le cose banali che tutto a un tratto ti accorgi di non avere più tra le mani: la competenza dei medici, il giusto ricovero, il pronto soccorso, la cura che ti spetta: il Natale il compleanno la pizza del sabato sera. Quella caccia, vedrai, farà tremare i tuoi amori più certi, farà precipitare l'impalcatura del tuo cielo. Io l'ho ascoltato cantarmela lo scorso anno a dicembre come se dicembre non dovesse mai finire, quando la camelia era l'unica spaventosamente fiorita in giardino come una cosa fuori dalla natura, e il suo, allora, mi è sembrato piuttosto l'urlo di un animale, il grido di una creatura selvatica che non sa dove trovare riparo dalla caccia, non sa più dov'è la sua tana. Oh the wild hunt, the wild hunt: qualcosa di incomprensibile o qualcosa che devo aver frainteso, mi sono detta. E invece il calendario, ormai chiaramente liturgico, è andato avanti con il seme di Pasqua: "Coins for the Eyes". Adesso l'urlo, il graffio sulla tela, si era trasformato in una piccola ballata in tre quarti, dolce, quasi acustica, e la caccia, che in fin dei conti era la mia -inutile continuare a negarlo, non avevo frainteso- aveva trovato la sua proporzione più conveniente, la sua direzione più chiara: guardata da dentro a questa canzone la caccia è una ricerca, e il suo movimento cadenzato insegna la pazienza con cui bisogna condurla. Ora che conosciamo bene il nome urlare non serve a niente, basta praticare l'esercizio, un esercizio di pazienza, di concentrazione, un esercizio di ricerca. Come quando mio padre si stampava le mappe dell'impero romano o della Grecia antica per capire meglio come tradurre una versione contorta, come quando studiava epigrafia e nessuno glielo aveva mai chiesto. Come gli alberi che escono dall'inverno, con pazienza, e mettono i fiori, alcuni addirittura senza foglie. E così in tre quarti abbiamo visto sbocciare i fiori, tutti i fiori, e in tre quarti ci siamo addentrati in quanto ci avanzava dell'anno: a un certo punto inevitabilmente abbiamo riconosciuto i primi sentori dell' impietosa, della temibile estate, finché proprio non la abbiamo vista bene in faccia e le siamo così andati incontro senza opporle resistenza, senza nuove canzoni, senza nuovi semi, con pazienza e in tre quarti. Questa è stata la nostra vera quaresima, il nostro deserto: l'estate. Abbiamo guardato l'estate seccarli, i semi, inaridire la terra, fare scempio dei fiori, spaccare i marciapiedi. Alla fine, giunti nel cuore di quella, la abbiamo vista portarsi via mio padre, e così, in tre quarti, piegati nel nostro esercizio di pazienza, lo abbiamo salutato, con dignità credo.
Ma il calendario non era finito: e a settembre infatti è ricominciato quello scolastico. Allora siamo tornati tutti a scuola, come se niente fosse, e lì dentro abbiamo continuato a fare esercizio, a testa bassa. Ad interromperlo è arrivato improvviso l'annuncio: in questi mesi, diceva, anche se da molto lontano e senza scarpe ai piedi, noi abbiamo lavorato, abbiamo fatto un lungo esercizio qui su, un esercizio intorno all'oscurità e alla luce, all' inverno e alla primavera, alla sepoltura e alla rivelazione, a storie tempo stagioni fantasmi e sentieri, amore e fiumi, e tra poco ne consegneremo i frutti a chiunque avrà voglia di ascoltare. Insomma, neanche il calendario di Johnny Flynn si era esaurito, e il primo frutto raccolto ad ottobre, il primo singolo, è stato "Uncanny Valley": quest'estate ci siamo persi tutti in una vallata inquietante, dice, nessuno ha una mappa per uscirne, e c'è un'enorme confusione qui dentro. Forse mi sbaglio, ma mi sembra che Johnny Flynn ora stia ridendo; che urli ancora invece lo sento benissimo: ride e urla che il lutto non è solo una croce, è anche una delizia, è il nostro privilegio e noi dobbiamo penetrarlo, dobbiamo attraversarlo come fosse una vallata dopo aver scalato la più alta delle montagne.
Quello che viene dopo è semplicemente il raccolto: e io che l'ho aspettato come si aspetta una vita che viene al mondo, con un po' di apprensione e insieme con il timido desiderio di riconoscere nei tratti del viso la somiglianza, alla fine l'ho rincosciuta: quando ho ascoltato l'album per la prima volta di notte, nel mio letto, sotto a coperte pesanti, era di nuovo inverno e ho capito subito che in tutti quei mesi Johnny Flynn non aveva mai smesso di guardarmi negli occhi. Lui ha continuato a tirarmi per la manica, a strattonarmi, mi ha richiamata, mi ha scritto, mi ha raccontato: alla fine lui mi ha raccontata, nel suo calendario. Ha raccontato di tutti gli alberi dietro ai quali io ho guidato la mia macchina quest'anno (the beech is lifting me, ash is reaching me), del saluto che mio padre continua a darmi giorno dopo giorno (be not afraid, sing and pray, cry and sway as I enter the shade); di quel dicembre che pareva non volesse mai finire ("A Year-Long Winter"); e poi mi ha raccontato, ancora una volta, "Coins for the Eyes". Vedo però che la semplice ballata in tre quarti è maturata in questi mesi, e da fiore che era in primavera adesso è diventata un bellissimo frutto rotondo, forse un melograno? È diventata un inno, cantato a piena voce, a più voci. Io l'ho ascoltata, nella sua prima e piu dimessa versione, sulla strada che portava al cimitero, il giorno in cui ci hanno consegnato le ceneri e noi le abbiamo riposte nella tomba ancora senza nome. E poi un altro giorno mi è arrivata questa foto, la foto della lapide che era pronta, finalmente. E io a quel punto mi sono chiesta come ci si comporta davanti alla foto della lapide di tuo padre che ti arriva su WhatsApp: è bella, carina, mi piace, grazie mille? In quel momento mi sono costretta all'esercizio del pianto perché quello mi sembrava opportuno, ma non mi è salita nessuna lacrima sinceramente, se non quelle solite, le lacrime della stanchezza. Niente di ciò che ha a che vedere con la morte appartiene a mio padre, mi sono detta come mi ero già detta guardando la bara ad agosto. Questo però gli inglesi lo chiamano denial, e anche se io davvero continuo ostinatamente a credere che lui sia più vivo di me sopra quelle mappe dell'impero romano che vedo con la coda dell'occhio spuntare dalla sua libreria, so bene che negare non è una cosa sana.
E così la scorsa settimana, tornando al cimitero per vederla, questa famosa lapide montata, ho ascoltato la nuova versione di "Coins for the Eyes", l'inno: il melograno. Pare che almeno una canzone di quest' album la abbiano registrata dentro a una tomba antica, che il coro che sento in questi ritornelli pieni di vita, pieni di voce, di tante voci veramente, venga proprio da una sepoltura. Quando l'ho raccontato a mia madre lei mi ha detto, prendendomi in giro, che ci vuole pure un po' di leggerezza nella vita, dai, e questi non ce l'hanno per niente. Ma lei non sa che se veramente è questa la canzone, e voglio pensare che sia proprio questa, io sulle sue note sono arrivata alla tomba e l'ho trovata piena, piena di gente scalza, gente che si sgola, che canta a squarciagola, canta la vita stupenda di mio padre tra i tanti padri che se ne sono andati. Quest'inno è così lontano dalla pesantezza che mi sembra proprio il suo esatto contrario: al punto che questa canzone mi ha riconciliata con quel paese dove mio padre ora è tornato e dove io da piccola ho passato le più noiose e pesanti domeniche di bambina. Un paese dove tutti sembrano avere due sole cose a cui pensare: sposarsi o morire. Un paese che è come costruito intorno al suo cimitero, pare proprio invitare al cimitero, così mi è sempre sembrato. Che lo abbia sempre invitato al cimitero, a mio padre. Beh oggi sento di andarci quasi leggera, al cimitero da lui, mi sento invitata, e quelle canzoni che vengono da così lontano, da un altro luogo, un altro anno, da un'altra fatica, risuonano perfettamente per le strade del paese dove mio padre riposa in questo momento. Io amo tutto di lui e non voglio vivere nella negazione: non mi nego niente, le mappe e la bara, la vita e la morte: è un mio diritto, la mia delizia, il mio privilegio. E me lo ha raccontato Johnny Flynn, urlandolo a volte, a volte ridendo e cantandolo con leggerezza, a volte facendone un inno gioiso e a più voci: il calendario di un anno che abbiamo trascorso insieme, e io non lo sapevo.
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gerardboyer · 4 months
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BLOC Núm. 1 · Epigrafia: del passat al present
Tríptic, que ancorat en l’origen de Tarraco i la seva història, ens porta a la representació lliure sobre una taula de fusta dins la Universitat Laboral, i acaba als fonaments d’una Vila a Cal·lípolis.
És un pedestal honorífic que recorda una història d'amor, la de Gai Bebi Myrisme, antic esclau que va acabar sent lliure i va prosperar econòmicament en #Tárraco, amb la seva esposa, Faustina Saturnina.
en Llatí:
FABIAE
SATURNINAE
UXORI OPTIMAE
C(aius) BAEBIUS
MYRISMUS
SEVIR AUGUST(alis)
Traducció:
“A Fabia Saturnina,
la más buena de las esposas.
Gai Bebi Myrisme
Sevir Augustal”
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canalalentejo · 1 year
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As próximas Arqueoversas realizam-se no dia 23 de março, às 14:30, no Átrio da Memória da Escola Secundária de Moura. José d’Encarnação, Professor catedrático da Faculdade de Letras da Universidade de Coimbra, é o convidado desta sessão, para falar sobre “As pedras com letras que os Romanos deixaram em Moura”. José d’Encarnação é Professor catedrático (em Pré-História e Arqueologia) da Faculdade de Letras da Universidade de Coimbra, desde 1991, encontrando-se aposentado desde 2007. Prestou colaboração, como professor catedrático, de 2009 a 2013, na Faculdade de Ciências Sociais, Educação e Administração (Departamento de Turismo), da Universidade Lusófona de Humanidades e Tecnologias (Lisboa). É Académico correspondente da Reial Acadèmia de Bones Lletres (1997), da Real Academia de la Historia (1999) e Académico de Mérito da Academia Portuguesa de História (2010). É ainda Doutor honoris causa pela Universidade de Poitiers. Pertence ao Conselho Científico de numerosas revistas. São suas áreas de investigação privilegiadas: a epigrafia romana, a Lusitânia (sociedade e cultura), o património cultural. Como membro do Centro de Estudos em Arqueologia, Artes e Ciências do Património da Universidade de Coimbra, desenvolve aí a sua atividade com projetos de âmbito internacional sobre religião antiga, por exemplo. As Arqueoversas são abertas à população e têm entrada livre.
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umbriasud · 1 year
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Museo Archeologico: si conclude il seminario di epigrafia greca
Museo Archeologico: si conclude il seminario di epigrafia greca
Sabato 14 gennaio, con inizio alle ore 9, al Museo archeologico nazionale dell’Umbria (p.zza Giordano Bruno, 10, Perugia) si svolgerà l’ultima giornata di studi dell’ottava edizione del Seminario avanzato di epigrafia greca (SAEG). Sono previsti, fino a tutto il pomeriggio, interventi e contributi di esperti. I saluti istituzionali saranno portati da Maria Angela Turchetti, direttrice del museo.…
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rhenancarvalho · 2 years
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GANESH ANGKOR | Império Khmer | Camboja | Século XI a.C Linha de crédito: Museu Nacional do Camboja, Phnom Penh O século XI começou em 1 de janeiro de 1001 e terminou em 31 de dezembro de 1100 Nas inscrições dos territórios de língua Khmer do século VII, Ganesha é constantemente chamado por um de seus nomes antigos mais populares, Ganapati, ou “senhor dos ganas”, os travessos ajudantes anões de Shiva. Sua forma barriguda quase certamente trai suas origens yaksha como uma divindade da fertilidade ligada à agricultura, talvez Kubera, dada a associação do deus com a riqueza. É evidente a partir deste exemplo Khmer que, no século VII, os artistas Zhenla haviam desenvolvido um estilo específico para essa mais enigmática das divindades que transcendia os modelos Gupta nos quais se baseava. Invocações a Ganapati começaram a aparecer na epigrafia Khmer durante o mesmo período.
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ourbeautywilldie · 6 years
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Aras e estelas romanas.
Museu D. Diogo de Sousa, Braga.
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ultimaluna · 2 years
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comunque a proposito di quello che state dicendo sulla corte costituzionale vorrei citare il film sogni d'oro: parlo mai di astrofisica, io? parlo mai di biologia, io? parlo mai di neuropsichiatria? parlo mai di botanica? parlo mai di algebra? io non parlo di cose che non conosco! parlo mai di epigrafia greca? parlo mai di elettronica? parlo mai delle dighe, dei ponti, delle autostrade? io non parlo di cardiologia! io non parlo di radiologia! non parlo delle cose che non conosco! NON PARLO DI COSE CHE NON CONOSCO
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storiearcheostorie · 2 months
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Il patrimonio epigrafico della Dalmazia in due volumi presentati all'Università di Macerata
Il patrimonio epigrafico della Dalmazia in due volumi presentati all'Università di Macerata
Redazione Due volumi dedicati alla ricerca storica, epigrafica e archeologica in Dalmazia sono stati presentati nei giorni scorsi all’Università di Macerata in un incontro promosso da Unimc e dall’associazione MaceratArcheo in collaborazione, oltre che con l’Università Cattolica di Zagabria, con il Centro internazionale di studi sulla storia e l’archeologia dell’Adriatico e il Centro…
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ateneanike · 3 years
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Me encanta la epigrafía romana, nos da una información muy valiosa que en ocasiones pasa desapercibida. Ésta fue hallada en Tarragona y puede contemplarse actualmente. "Marco Voconio, Marco filio Galeria Tribu Vacculae, aedili, flamini Divi Augusti, quaestori, Paganus Libertus"
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Tutti si sentono in diritto, in dovere di parlare di cinema. Tutti parlate di cinema, tutti parlate di cinema, tutti! Parlo mai di astrofisica, io? Parlo mai di biologia, io? Parlo mai di neuropsichiatria? Parlo mai di botanica? Parlo mai di algebra? Io non parlo di cose che non conosco! Parlo mai di epigrafia greca? Parlo mai di elettronica? Parlo mai delle dighe, dei ponti, delle autostrade? Io non parlo di cardiologia! Io non parlo di radiologia! Non parlo delle cose che non conosco!
Sogni d’oro, Nanni Moretti
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mizan1975 · 6 years
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#vandalismo del passato a #Venezia #venedig #Venice #venise #palazzoducale #epigrafia (presso Palazzo Ducale)
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enriqueruizprieto · 7 years
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Compartimos el número número de la Revista Ligustinus, la cual maquetamos y mantenemos el servicio técnico de la página web. 
J. RODRÍGUEZ MELLADO, J. VÁZQUEZ PAZ y P. GARRIDO GONZÁLEZ: Evidencias de urbanismo y arquitectura monumental de época romana en Marchena (Sevilla). Las excavaciones arqueológicas de 2015 en el yacimiento periurbano de El Lavadero…08-60.
Los antiguos y recientes hallazgos arqueológicos en el yacimiento romano de El Lavadero (Marchena, Sevilla) y su entorno inmediato, ponen de manifiesto la relevancia que el lugar encierra para profundizar en los orígenes de la ciudad actual. Con este trabajo se pretende exponer de manera sintética los resultados obtenidos en las excavaciones realizadas en 2015, así como la revisión de algunas de las evidencias de época romana ya conocidas. A partir de la información recopilada se desarrollan nuevas lecturas en las que la clasificación del yacimiento como villa es debatida.
Palabras clave: Estanque circular, acueductos, calzada, escultura de Hércules, epigrafía funeraria.
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Globalization, Hellenism and Population Movement – Georgian Case
Tedo Dundua
Emil Avdaliani
Globalization, or interconnectedness between the countries, big economic differences and dangerous growth of population have contributed to migratory influx from Asia to Europe, from East Europe to the West, Georgians being involved in latter pattern.
Graeco-Roman World also received much of population to Mediterranean either taken away by force, or later, Romans themselves being forced to receive the barbarians (receptio-system, like migration weapon). Again, Georgians are within this Graeco-Roman pattern, pouring into the lower classes.
Gradually, some of the Iberians (Georgians) reached high positions.
The story below is about it.
 Civil war of 69 reveals freedman Moschus as admiral of the Roman fleet subordinated to Emperor M. Salvius Otho (Tacit. Hist. I. 87, Историки Античности. т. II. Древний Рим. Москва. 1989, p. 243; Tacitus. In Five Volumes. II. The Histories. Books I-III. With an English Translation by C. H. Moore. Loeb Classical Library. Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press. London. MCMLXXX, p. 150).  In the 1st-2nd cc. the Roman citizenship was a prerequisite for enrolment in the legion but not for service in other units, such as the two Italian fleets (T. Dundua. Publicius Agrippa, Flavius Dades and a Dual Citizenship – a Pattern for Europe in Future? Caucasica. The Journal of Caucasian Studies. vol. 5. Tbilisi. 2000, p. 60). That is why Moschus found himself in his position. Romans used to give specific names to the slaves and freedmen, often connected with their original nationality, e.g. Emperor Aulus Vitellius, rival of Otho, had Asiaticus, as a favourite, gradually allotting him with the Roman citizenship and nomen (Tacit. Hist. II. 57, Историки Античности. т. II, p. 281). Having on mind Meskheti (Graeco-Roman Moschicē), a province of Iberia (Eastern and Southern Georgia), one can suggest Iberia, as a mother-land for Moschus or his parent. If so, he could also be called Iberian (Iber), like Gaios the Iberian (see below), mentioned on the bronze plate from Platea in Greece (T. Dundua. Gaius the Iberian – First Ever Recorded Georgian To Be Baptized. Proceedings of Institute of Georgian History. Ivane Javakishvili Tbilisi State University. II. Tbilisi. 2011, p. 425).
In the Roman World a slave or a freedman, Moschus by name, could be only Georgian. Greek case is different, for Moschos is original Greek name with the Greek etymology, employed rather extensively (Древнегреческо-русский словарь. Составил  И. Х. Дворецкий. Москва. 1958. т. II, p. 1110; Greek-English Lexicon, Compiled by H. G. Liddell and R. Scott. New edition completed 1940. Reprinted 1961. Oxford, p. 1148). There are no chances if proving the Georgian origin for Moschos of Elis, philosopher, Moschos of Lampsacos, tragic poet, and Moschos of Syracuse, famous bucolic poet (Der Neue Pauly. Enzyklopädie der Antike. Band 8. Stuttgart. Weimar. Article “Moschos”, pp. 414-415).
Son could have father’s name in the Greek society, but these cases are not frequent if not within the Hellenistic dynasties. And, if we have Moschos, son of Moschos, then he must be Iberian, whose father, or grandfather had been taken away from the Iberian province of Meskheti. This duplicity in the name could mean nothing but stressing the ethnicity properly.
Final step for those barbarian slaves and freedmen was a citizenship.
Moschos, son of Moschos occurs, at least, for three times – twice, on the coins, once – in inscription. Magistrate of Smyrna, perhaps, in the 2nd c. B.C., he put his name on the bronze coins of the city, the so-called Homereias (Apollo/Rev. Homer. Greek inscription: Moschos, son of Moschos) (J. G. Milne. The Autonomous Coinage of Smyrna. II. The Numismatic Chronicle. Fifth Series – vol. VII. London. 1927, p. 95 #321). Maybe, that was him again to issue Kybele/Rev.Aphrodite Stratonikis type bronze coins with the legend Moschos, son of Moschos (A Catalogue of the Greek Coins in the British Museum. XVI. Catalogue of the Greek Coins of Ionia. Barclay V. Head. London. 1892, p. 240 #33), and to be mentioned in the Greek inscription of the theatre in Halikarnassos (the 3rd-2nd cc. B.C.) – Moschos, son of Moschos, son of Moschos
(T. Dundua. History of Georgia. Tbilisi. 2017, pp. 86-90 https://www.academia.edu/35768659/History_of_Georgia).
We are moving to declare one of the leading families of Smyrna (todays Izmir) in the 2nd c. B.C. to be of the Georgian origin.
 For the lower classes in the 1st-3rd cc. there was Christianity as a certain consolation.
Bronze plate from Platea, Central Greece, offers 40 male names, mostly Greek, few Graeco-Roman. The positions are only for some of them and all they are Christian, like presbyter etc. (M. Guarducci. Epigrafia Greca. IV. Epigrafi Sacre Pagane e Christiane. Roma. 1978, pp. 335-336).
The plate, now in the National Museum at Athens, is thought to present early-Christian Community of Platea. The date corresponds to the verge of the 2nd-3rd cc.
For two persons we have special ethnic indicators. They are Gaius the Iberian and Athenodoros the Armenian.
So, Gaius the Iberian – was he Iberian born, only then removed from the country, and thus bilingual? Perhaps, not,
he bears Latin praenomen, nobody had it in Georgia. Then how had he found his way to Greece; and who was he socially? There are too many questions indeed.
Gaius’ case is more Graeco-Roman, than Georgian. But he is still “Iberian”, not completely assimilated thus claiming for himself to be first ever recorded Georgian as Christian
(T. Dundua. History of Georgia. Tbilisi. 2017, pp. 135-137 https://www.academia.edu/35768659/History_of_Georgia).
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