Tumgik
#ciocche di capelli
ragazzoarcano · 3 months
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“Penso a tutte le cose
che, ogni giorno, si intrecciano.
Le ciocche dei capelli,
i vestiti stesi al sole e sotto il vento.
Le dita che trovano spazio
tra altre dita, le edere
che si abbracciano sui muri.
Le emozioni, i sorrisi, i pensieri.
Le vite con tante altre vite.”
— Anonimo
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ragazza-whintigale · 22 days
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𝓨𝓪𝓷𝓭𝓮𝓻𝓮 𝓟𝓪𝓾𝓵 𝓐𝓽𝓻𝓮𝓲𝓭𝓮𝓼 𝔁 𝓻𝓮𝓪𝓭𝓮𝓻
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𝔒𝔭𝔢𝔯𝔞 ➵ Dune
𝔄𝔳𝔳𝔢𝔯𝔱𝔢𝔫𝔷𝔢 ➵ Comportamento yandere, Fem reader, relazione tossica, matrimonio forzato (menzionato), tentato omicidio, avvelenamento, aborto, relazioni extra coniugarli, tradimento, utilizzo della voce, manipolazione psicologica, instabilità emotiva, ricatto, tocco non consensuale.
𝔓𝔞𝔯𝔬𝔩𝔢 ➵ 3170
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I corridoi a quest’ora della notte erano quasi del tutto vuoti, fatta eccezione per i soldati di guardia e della figura leggiadra della bella donna chiamata (nome) Alithea e in futuro Atreides -se mai il matrimonio fosse andato a buon fine naturalmente-. La bellezza della figura meritava per certo il soprannome che gli era stato affidato quando era ancora una bambina. La principessa degli Alithea. Come unica figlia femmina fino ai suoi 12 anni era stata amata e adorata quasi al pari della contessa che una volta era stata sua madre.
La sua bellezza e purezza non era ancora caduta in disgrazia secondo il pubblico.
La sua bellezza, la sua educazione e il suo carattere mansueto avevano permesso tale nomignolo. Poco si potrebbe immaginare che dietro quella bella facciata si potrebbe nascondere una donna non più diversa.
Una donna fredda e crudele, cresciuta fino a riconoscere la sua unica utilità come scambio tra famiglie. Il nome e l’importanza degli Atreides per una donna fertile ed educata che avrebbe mantenuto alta la discendenza.
Si era quasi stancata di sentire tali voci venire dall’esterno, oramai quasi tutti i servi al servizio del Duca e della sua famiglia avevano familiarità con il caratteraccio della donna.
❝ Mia signora cosa ci fate sveglia a quest’ora? ❞ La donna si fermò barcollante nei suoi passi. ❝ Dovreste essere nelle vostre stanze a riposare. ❞ (nome) ha un aspetto malaticcio nei suoi lineamenti morbidi. Il colore della pelle è sbiadito quel tanto che bastava per farla sembrare tra la vita e la morte. I capelli (colore) scompigliati, sono sciolti dal solito complicato intreccio, permettendo così delle morbide onde ad accompagnare il suo viso. Il piacevole movimento delle ciocche seguiva il suo viso una volta che decise di poter onorare questa persona con le sue attenzioni.
Duncan Idaho era in mezzo al corridoio con aria solenne. La postura eretta e impeccabile è proprio qualcosa che ci si poteva aspettare da casa Atreides e da uno dei suoi fidati.
Lo sguardo dell’uomo affronta con sospetto il corpo gracile ea mala pena sostenuto della sua signora. Non c’è traccia di ostilità verso qualcuno, solo il suo solito io viziato. O almeno è quello degli ultimi 7 anni. Quando d’improvviso la dolcezza della bambina venne sostituita con il gelo caratteristico di casa Alithea.
Duncan non ha mai diffidato di lei. Non che potesse in qualche modo, è una donna talmente fragile e minuta che si poteva dubitare potesse ferire qualsiasi componente della famiglia Atreides. Solo non poteva che notare il cambiamento di carattere durante la sua crescita al fianco all’erede Atreides. Davanti agli occhi ha visto come qualcuno potesse sprofondare nell’oscurità poco a poco.
Lo sguardo affilato della donna cadde sul soldato, fidato agli Atreides e vicino a quello che sarebbe diventato suo marito. ❝ Niente di importante Sir, cerco solo di raggiungere il mio futuro marito nelle sue stanze. Mi ha chiesto di parlare in privato. ❞
Duncan dubitava che Paul potesse essere così dannatamente maleducato da scomodare la sua fidanzata che fino a qualche giorno fa era in letto di morte. Poi nessun -nemmeno Paul- gli aveva parlato di questo incontro e per quanto potesse essere un incontro tra innamorati, di cui dubitava molto, il ragazzo avrebbe comunque avvertito qualcuno della cosa.
In genere lady (nome) non era nemmeno una persona da incontri romantici al chiaro di luna, ne di una avventura in camera da letto. Quindi era ben presumibile stesse architettando qualcosa che avesse a che fare con Paul. Duncan sperava vivamente che questo non li avrebbe messi nei guai.
❝ In tal caso lasciate che vi accompagni.❞ Il suo onore gli impediva di lasciare la sua signora andare in giro per le sale di Castel Caladan alla ricerca del futuro marito, quando nemmeno riusciva a camminare correttamente.
Stava anche tremando a tratti sotto la stola in lama.
Lo sguardo della donna si assottigliò lasciando brillare le pagliuzze argentate annegate nel (colore) delle sue iridi. (Nome) era abbastanza furba da non tentare una discussione per una tale sciocchezza. Per quanto irrispettosa potesse essere, il tutto sarebbe diventato solo più sospettoso. ❝ Se è ciò che desiderate.❞ Duncan camminò fino a sorpassare (nome) e guidarla verso la sua destinazione.
La stanza di Paul non era molto lontana, di conseguenza il viaggio fu breve. La principessa bussò con eleganza alla porta e Paul rispose aprendo la porta. La sorpresa era palese dai suoi occhi verdi, ma si riprese l’attimo dopo aver notato anche Duncan. Salutó l’uomo con un cenno e poi si rivolge alla donna di Alithea ❝ A cosa devo la visita della mia signora? ❞ (Nome) ridusse la sua espressione a puro disgusto e entrò nella stanza lasciandosi alle spalle Duncan e la sua espressione disperata dai capricci e dalle bugie della donna. Paul non fece altro che un’espressione di scuse al compagno fidato chiudendo la porta intimandolo di continuare con i suoi doveri.
❝ Spero ci sia un motivo valido per disturbare il tuo riposo e Duncan. ❞ ❝ Non gli ho chiesto io di disturbarsi. ❞ Lady (nome) ha tralasciato le sue condizioni precarie mentre si fermava nel mezzo della stanza incrociando le braccia al petto. La stola e la vestaglia morbida annientava ogni curva che la donna potesse possedere. Un sospirò lasció le labbra di Paul mentre si avvicinava a lei per avvolgere le braccia intorno alla figura della donna, ❝ La vostra crudeltà non appassisce mai mia signora, nemmeno quando siete malata. E dire che quando eravate piccola possedevate una tale gentilezza. ❞ Il calore della loro pelle che si tocca era qualcosa che (nome) ha detestato, e sapeva che in futuro non gli sarebbe bastato questo da lei.
Si crogiolò segretamente nel tepore del loro abbraccio, forse avrebbe dovuto prendere una stola più pesante ma non è riuscita a trovarla da sola. ❝ Io inizierei a ritermi il colpevole di tale comportamento se fossi in te, Paul.❞ Il suo nome aveva una cadenza sprezzante ma L’Atreides, in qualche modo contorto, sembrò apprezzare. Paul stampa un bacio sul suo collo, incurante dello strato di capelli che si sovrapponeva alla pelle di (nome). Rabbrividì disgustata.
❝ In ogni caso non hai risposto alla mia domanda.❞ Si staccò da lei andando a sedere dall’altra parte della stanza. Si versò qualcosa da bere e lo stesso fece per lei. (Nome) sapeva fare di meglio che cedere a tali galanterie. Era considerata una bellezza a tal punto che in molti hanno cercato le sue attenzioni con trucchi meschini.
In realtà Paul sapeva perché era lì e da cosa era dovuto il suo turbamento. C’era una incrinatura nella sua solita corazza, lasciando intravedere spiragli di rabbia e nervosismo. Aveva letto attentamento i suoi movimenti e le sue parole. Come si soffermava su qualcosa troppo allungo, come teneva coperto il ventre con la stola e come si graffiava i polsi.❝ Devi lasciarlo andare. Lui non ha colpa.❞ ❝ mmh? ❞ Prese un sorso di bevanda tenendo gli occhi su di lei. Sapeva di cosa stava parlando, non c’è stato bisogno di avere conferme, eppure lui ha continuato a fingere di non comprendere. Se lady (nome) non lo conoscesse, avrebbe potuto dire che si stava divertendo a vederla così.
Paul la conosceva a sua volta abbastanza da sapere che: niente avrebbe potuto agitare la donna se non la consapevolezza di aver condannato qualcuno per un suo errore. Non era così crudele come tutti l’avevano dipinta, e Paul lo sapeva meglio di chiunque altro. Sapeva che probabilmente le occhiaie nere sotto i suoi occhi erano solo la causa delle notte insonne per il senso di colpa.
Senso di colpa.
Forse nessuno a parte lui sapeva che Lady Alithea era capace di provare simili emozioni. Era davvero brava a mascherare le proprie intenzioni dietro la sua freddezza, non sempre ma quasi, questo Paul glielo avrebbe concesso. Forse se non fosse per le sue abilità di Bene Gesserit nemmeno lui l’avrebbe notato. ❝ Non vedo perché dovrei, (nome), dopo quello che ti ha fatto.❞ ❝ È TUTTA COLPA MIA! LUI NON C’ENTRA-❞ L’urlo lasciò trasparire tutto il risentimento che aveva nei suoi confronti. Era uscito così spontaneo dalle sue labbra che è riuscita a fermarlo solo dopo aver sfogato in parte. Certamente si era fermata ad un certo punto e una parte di colpa andava allo sguardo che l’erede degli Atreides le ha rivolto. La turbava ancora, anche a distanza di anni e nonostante la loro differenza di età. ❝ … e tu hai utilizzato l'occasione a tuo vantaggio.❞
-Nemmeno i rivelatori di veleno erano riusciti a rilevarlo. Era stata attenta. Talmente attenta che quando il sangue iniziò a colare giù dal naso e dalla bocca una confusione generale riempì la stanza. Alcuni soldati si sono precipitati lì, altri hanno chiamato il dottore Yueh e di seguito arrivò anche Hawat. Era una delle poche volte che anche il Duca era presente, forse tutta quella confusione era dovuto anche a questo.
Nessuno era riuscito a scoprire chi fosse stato e meglio come avesse fatto. Ma Paul aveva un idea. Un’idea che si era rivelata più che giusta. Lo aveva visto chiaramente. -
Le braccia della donna scivolarono dritte lungo il corpo mentre stringeva il tessuto della vestaglia tra i suoi pugni. Non era ben chiaro se si fosse pentita di averlo urlato o se avesse solo temuto per lo sguardo di Paul. Ma il resto della frase è comunque stato ridotto ad un sommesso sussurro.
Forse si sentiva colpevole. Lui non l’aveva mai toccata prima senza il suo permesso. Non le aveva mai fatto del male. Eppure lei aveva agito contro di lui. Prima ha cercato di uccidere Paul mentre dormiva con coltello di fortuna, ma fu troppo codarda per portare a termine l’impresa e crollò tra le braccia di Paul. Non aveva detto una parole ne aveva mostrato paura. Poi aveva cercato di avvelenarlo… ma cambiò obiettivo. Forse ha sperato qualcuno contestasse la sua unione con Paul, forse non ritenendola all’altezza di diventare Duchessa e un’Atreides. Ma non accade. A Paul bastó immagazzinare le informazioni , analizzarle e valutare come risolvere al meglio la situazione. Il suo attentato al giovane Duca non fu mai scoperto, e il suo auto avvelenato fu solo deviato alla soluzione più semplice. Il ragazzo così vicino a Lady (nome) da averla avvelenata per gelosia.
Questo le fece pentire in primo luogo di averlo scelto e portato con sé su Caladan, di essersi compromessa con lui e di essere stata costretta ad abortire per conservare l’onore di entrambi. ❝ Forse avresti dovuto pensarci prima a coinvolgere qualcuno di esterno.❞ È stato stupido ma lo sapeva già. Non lo amava nemmeno come meritava.
Ed è abbastanza palese che Paul stesse giocando con questi sensi di colpa.
Non le avrebbe offerto uno scambio, lui non ne aveva bisogno per farle fare tutto quello che voleva. Non c’era modo che avessero parlato di scambiare la vita del ragazzo con qualcosa che andasse a vantaggio di Paul e Lady (nome) lo sapeva abbastanza bene.
❝In ogni caso ora non dovrai più temere di coprire quella gravidanza indesiderata e io non dovrò tenere un bastardo.❞ Un erede bastardo. Era qualcosa di ironico adesso, agli occhi del giovane Paul. Non gli ricordo minimamente sua madre, che diede al Duca Leto l’erede che tanto desiderava.
La donna era colma di rancore, colpe e imbarazzo, per questo non proferì altra parola. Non cercó di salvarsi o giustificare i fatti evidenti, lui era l’unico oltre a lei a saperlo e poteva dedurre fosse solo grazie alle sue predizioni. Nemmeno il povero Elias era a conoscenza dell’avere messo incinta la futura sposa di Paul. Forse era meglio così.
❝ Dovresti essere grata. ❞ La voce di Paul perse l’affetto e il rimprovero. Divenne solo fredda come se avesse perso la possibilità di provare sentimenti. Si avvicinò alla forma della sua signora prendendo a coppa il suo viso dai tratti morbidi tra le mani. La principessa si sentiva disgustata. ❝ Per cosa? ❞ ❝ Per non averti condannata con lui. ❞
In un lampo di rabbia (nome) spinse le mani sul petto del ragazzo, allontanandosi quel che bastava.
In primo luogo pensava glielo avrebbe concesso, nel suo stato attuale, lui era più forte di lei. Perciò la distanza era quella che lui gli aveva concesso a prescindere. ❝ Avrei preferito morire a causa del mio stesso veleno che rimanere qui con te. ❞ La principessa strinse i denti ad ogni crudele dichiarazione mentre si dirige verso la porta con l’unico intento di andarsene.
❝ Non uscire dalla stanza. ❞ (nome) si fermò nei suoi passi, con la mano sulla maniglia e un piede pronto a dare il primo passo per uscire. Sapeva che Paul era in grado di usare la voce, aveva sentito parlare della cosa molte volte da sua madre mentre si esercitavano. A riguardo c’era un tacito accordo. Lui non avrebbe dovuto usarlo su di lei.
Per quanto non fossero mai stati messi termini e condizioni lui lo aveva fatto solo una volta, esclusa questa. Forse è stata quella volta a convincerlo ad non utilizzarlo. Lei aveva dato letteralmente di matto, urlando e cercando di attaccarlo direttamente.
Nessuno ha saputo dare una risposta a tale comportamento e la situazione tacque in pochi giorni, lasciando un’alone di mistero sulla vicenda.
Lo sguardo della donna era intriso di rabbia e sanguinaria voglia di fargli del male. Paul la guardava a sua volta con una sorta di sfida nei suoi occhi. Sarebbe stata sopraffatta dalla voce o sarebbe stata rinchiusa per aver attentato alla vita di Paul?
Era quasi sicura che nella seconda avrebbe sofferto più lui che lei, per questo quando mosse i suoi primi passi verso il fidanzato lui socchiuse le labbra. Pronto a richiamare qualsiasi ordine l’avrebbe riportata al suo posto. Ma lei si fermò ancora prima di poter fare unaltro passo.
Lo sguardo di Paul era ancora su di lei. I suoi capelli ondulati ricadenti sulle sue spalle cadenti. La sua vestaglia argentata e la stola che era caduta dalle spalle e ora si reggeva solo alle braccia della ragazza. Una visione dannata e patetica proprio come era la sua signora quando nessuno poteva vederla a parte lui. L’orgoglio e la vanità erano scomparsi a favore della dolce disperazione e dai sensi di colpa. Ma in fondo l’Atreides non avrebbe potuto desiderare altro che essere l’unico spettatore di tale vista.
Nessuno avrebbe potuto ammirare la luce fioca e semplice di una donna, che aveva imparato a mantenere le apparenze di freddezza e nobiltà, sfaldarsi davanti a qualcosa che la stava mandando in frantumi poco a poco.
Paul era quella cosa ed entrambi lo sapevano.
I primi passi di lui furono intercettati dalla donna che indietreggiò per mantenere la distanza iniziale. Un sospiro tra l'esasperato e il divertito ha lasciato Paul mentre parlava nuovamente. ❝ Devi smetterla con queste scenate. Non ti serviranno a molto soprattutto se sono l’unico ad assistere.❞ I loro occhi erano fissi l’uno sull’altro. Niente sarebbe cambiato nel comportamento della donna, lo sapeva. Eppure i suoi occhi erano ancora attenti a qualsiasi cosa lui volesse fare di lei. Avrebbe mantenuto le parole eppure lei non era ancora disposta ad avvicinarsi. ❝ Spiegami come posso farmi ascoltare, senza per forza darti un ordine. ❞ Quel potere non era un semplice ordine! Se fosse stato solo un ordine lei avrebbe ignorato il tutto e poi sarebbe andata avanti per quello che credeva meglio. Ma in quei momenti il suo corpo smetteva di essere una sua proprietà e faceva ciò che quel coro di voci le diceva di fare. Cacciata e privata della sua stessa volontà. È così che si poteva descrivere.
❝ Non puoi. semplice, no? Basta solo che mi lasci stare, e che lo scagioni da quelle accuse, e per un po’ continuerò questa recita, per un po’.❞ Per un po’… Non significava per sempre. Non si sarebbe calmata e questo sarebbe solo qualcosa di temporaneo. Era come una pietra che colpiva il vuoto. Non faceva alcun rumore. Nessuno dei due aveva un discorso collegato con quello dell’altro eppure continuavano a parlare sulla medesima linea. Lei era lì per un motivo e poi avrebbe voluto andarsene il più lontano possibile. Anche il fondo del mare di Caladan le sembrava più accogliente e invitante di quella stanza soffusa di luce. Mentre lui desiderava cercare di convincerla a rimanere, nella sua stanza e nella sua vita. Non che lei avesse quella gran scelta in questione ma lui desiderava ancora che lei lo volesse almeno un po’.
Fece un altro passo e poi un’altro e un'altro ancora, verso di lei, in silenzio. Ma lei si allontanava ancora, ancora e ancora. I passi erano traballanti e non si poteva escludere l’eventualità che potesse cadere. ❝ Sai davvero essere crudele mia signora… soprattutto con me. ❞ A Paul sembrava piacere evidenziare come le sue parole taglienti perdessero L’affilatezza in sua presenza, intrecciando le proprie parole con terribile sarcasmo. Lei inciampò su qualcosa e cadde seduta sul letto del ragazzo. Non poteva sapere cosa, ma ha immaginato fosse colpa di Paul. Era sempre colpa sua anche quando non lo era, ai suoi occhi.
Non sapeva esattamente come fosse finita lì, ad un'estremo della stanza, opposto a dove era. Quanti passi senza guardarsi attorno aveva fatto? Quando si era persa troppo in profondità negli occhi di Paul e dell'odio che provava per lui.
❝ Ti odio. ❞ Lui rise alla conferma delle sue parole. Questo era odio. Un odio patetico che gli si addice magnificamente. ❝ Lo so. ❞ Si avvicinò al suo volto, lasciando poco spazio tra loro, tanto che ogni respiro sfiorava le pelle del loro volto. Gli (colore) della donna erano spalancati in cerca di una soluzione, di un indizio o di qualche bagliore, negli occhi del futuro marito. Una qualsiasi scintilla ma niente. Lui era impassibile e illeggibile come lo era sempre stato, e questo l’ha terrorizzata. Come nei loro primi incontri, come nel loro primo incontro. ❝ Cosa vuoi in cambio? ❞ Dopo un lungo silenzio lady (nome) si decise a parlare. Di solito durante i loro scambi di parole non si parlava mai di scambi o mediazioni. Nessuno dei due avrebbe ceduto qualcosa per averne un altra. Specialmente (nome).
❝ Rimani. ❞ Era decisamente generica come risposta e la ragazza si trovava spazientita da tanta indulgenza. Se fosse stata solo una notte potrebbe anche essere un buon affare. Se fosse trasferire le sue stanze in quelle di Paul per il suo ultimo periodo qui a Caladan prima di tornare a casa per organizzare i preparativi per il matrimonio, era eccessivo ma ancora glielo poteva concedere. Aveva chiesto un prezzo molto alto in fondo, per quanto lei stessa non volesse ammetterlo. Ma se intende per tutta la sua vita era troppo. Lei per quando crudele e fredda potesse essere aveva sempre mantenuto la parola data e per questo raramente faceva promesse soprattutto quando non voleva o non poteva mantenerle.
❝ Tutto ma non questo. ❞
❝ Prendere o lasciare, (nome). ❞
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ilguardianodelfaro · 6 months
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Avevi i vecchi jeans, la felpa blu
e ciocche di capelli sopra agli occhi
mentre rollavi un’altra sigaretta
e parlottavi piano, sorridendo,
con un ginocchio ossuto contro il mio:
Posso baciarti prima di fumare?
E io che distoglievo con lo sguardo
anche il pensiero, per tenerti testa,
bevevo un altro sorso del tuo vino
e respiravo l’aria della sera
come se fosse stata generata
dal tuo respiro.
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vaerjs · 8 months
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Appello allɜ medicɜ
Sono molto molto stanca di spendere metà della mia paghetta in esami che risultano inconcludenti. Sono molto stanca di dovermi portare un uomo alle visite per mediche perché quello che racconto venga preso sul serio. Forse.
Sono molto stanca di queste risposte:
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Sono molto molto stanca di sentirmi fare gaslight da persone competenti che dovrebbero aiutarmi e di cui dovrei fidarmi, quanto meno per la loro capacità nel loro mestiere. Sono stanca di sentirmi dire che forse mi sono solo convinta di avere qualcosa che non va anche se non c'è davvero. Molto stanca di sentirmi dire che se tutte le donne si lamentassero delle mestruazioni dolorose come faccio io non ci sarebbero donne in giro, di prendere acqua e limone per far passare i crampi e le cisti ovariche. Sono stanca di sentirmi dire non so cosa dirle, prenda la pillola e se vuole le do la Metformina ma non penso che le servi. Sono stanca di sentirmi dire che mi piace mangiare e devo buttare giù ciccia, che magari mi serve un personal, che devo fare cardio ogni giorno perché essere obesa alla mia età è sbagliato. Sono stanca di non essere ascoltata.
Sono stanca anche di essere guardata con impotenza dalle persone che mi amano, che mi vedono raccogliere i capelli a ciocche ogni giorno, che mi vedono sudare freddo dopo una camminata di 10 minuti o durante le mestruazioni, che mi vedono sbiancare e chiedono se possono fare qualcosa. Se ho fatto degli esami.
Sì, ho fatto degli esami e non ho mai trovato niente.
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Dimmi, come si fa a non voler aver il tuo profumo costantemente addosso, a non guardare la piega della tua bocca quando mi desideri, a non scostare quelle ciocche di capelli che ti ricadono sul seno, a non sentire i tuoi pensieri che mi urlano contro? Io cedo alle tue lusinghe, tu alla mia dannazione continua: volerti senza sfiorarti, prenderti senza violarti.
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monologhidiunamarea · 5 months
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Giornata impegnativa, ci sono attimi dove mi costringo a guardare in alto, mandare giù fino alla pancia quel magone. Un compleanno di un 80 enne con tutta una famiglia riunita ,le nipoti, i figli , la moglie accanto. Al momento della torta ho scattato una foto a quella famiglia... 3 ci ho rivisti tutti li , il sorriso di mia mamma con quegli occhi azzurri , tale è quali agli occhi di mia figlia. Il nonno con quell'aria dell'uomo tutto d'un pezzo ma che alla sera faceva la voce dell'orso cattivo per farmi ridere . Una piccola me , un maschiaccio con i capelli mossi che d'estate si tingevano di rosso ramato con le ciocche in fondo sempre più bionde. Quella polo a maniche corte rosse e i pantaloncini di cotone a scacchi rossi e bianchi e le superga rosse. La pelle bianca con le lentiggini di nonna. E poi tu papà...
Non vedrò gli 80 anni di nonno mai..nemmeno quelli di mamma o di papà ...la nonna non era mentalmente presente ai suoi. Rimane quella bambina con i sogni urlati al mare e quei pensieri lasciati a fare la stella a largo in mare....a sentire il rumore dell'acqua che ti riempie le orecchie. E il cielo....quel chiedersi che ora sono e guardare dov'era posizionato il sole
Una marea di ricordi.
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c3ss4 · 6 months
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ultimamente sto perdendo un sacco di capelli e ho notato diverse ciocche spezzate, tipo che mi finiscono a metà testa, oltre il fatto che ormai ho veramente 3 peli in testa, e sono completamente rovinati, non hanno più riccio nè forma………sto riconsiderando l’ idea di tagliarmeli tutti e farli ricrescere nuovamente aiuto cosa faccio
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burroesalvia · 13 days
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Ormai il mio incubo ricorrente è farmi tagliare i capelli da gente che non vedo e sento più da anni, ogni volta osservo le ciocche che cadono a terra mentre sono in lacrime. Percepisco questa cosa come una vera e propria violenza, specialmente quando mi guardo allo specchio senza riconoscermi. Evidentemente il mio inconscio ha deciso di non darmi tregua, così l'incubo si è trasformato in qualcos'altro: in attesa. Vedevo me stessa alla finestra, di notte, intenta ad aspettarlo. Le persone intorno a me mi chiedevano "perché lo aspetti?" ma io non rispondevo. Aspettavo e basta. Ho aspettato per ore invano perché lui non è mai arrivato. Mi sono svegliata lentamente e ho lasciato che il sogno scivolasse via.
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nineteeneighty4 · 5 months
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In genere mi piace recarmi in anticipo al lavoro, e non per adempiere meglio ai miei compiti, né per anticiparmi. Stavolta però, a differenza delle altre, sono stata scoperta dal proprietario del negozio che purtroppo ha le telecamere puntate ovunque, anche sul parcheggio che circonda l'area nella quale sorge la sua azienda. Lo osservo dirigersi verso di me dallo specchietto laterale, scommettendo su una o due frasi fatte/ banali che potrebbe rivolgermi.
«Mi dicevo: ma è lei o non è lei? Poi ti ho riconosciuta, ho visto che non scendevi dall'auto e mi sono avvicinato per capire cosa stessi facendo. Cioè tu ogni giorno arrivi con due ore di anticipo e passi il tempo a leggere? Non puoi farlo a casa tua? "
Vorrei dirgli che il bello dei volumi cartacei sta proprio in ciò :nel fatto che sono facilmente trasportabili, pensati apposta per essere sfogliati e/o letti dappertutto, anche nei luoghi più impensabili ma evito di dilungarmi.
«No, perché quando il passaggio a livello è chiuso, la circolazione riprende dopo venti minuti. Anche se mi anticipassi quel tempo lo perderei rimanendo bloccata nel traffico. Così invece so che posso leggere con calma perché tanto mi basta chiudere una portiera e basta. Senza stress.»
Mi fissa con aria perplessa, interrogativa come se avessi detto chissà cosa. Rimaniamo immobili, senza proferire parola. Muti, in un silenzio a cui lui non sembra essere abituato per il modo in cui si tocca la barba e, a volte, le ciocche dei capelli. Dopodiché - non sapendo cos'altro aggiungere e forse dopo aver atteso invano che mi decidessi a seguirlo-mi fa un cenno con la mano e se ne va.
Del resto lo ha detto lui : « Bisogna sorridere solo ai clienti».
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emz26 · 4 months
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9:15
Eravamo sdraiati su di un enorme prato verde, sotto un cielo che pareva infinito, le ossa parietali cozzavano delicatamente, eravamo con i capelli nei capelli e i pensieri nei pensieri, io disteso a braccia incrociate osservavo la tua mano che indicava le nuvole, il contrasto con il cielo la rendeva aurea, così come lo erano le ciocche dei tuoi capelli mossi dal vento, profumavano di camomilla, i nostri corpi segnavano le nove e un quarto, i nostri piedi puntavano in direzioni opposte.
Ora è buio e si vedono le stelle, accanto a me l’erba offesa disegna la tua sagoma, dalle case accese il vento trasporta un gelido profumo di camomilla, credo che rimarrò qui a ricordarti ancora un po’.
Eravamo sdraiati su di un enorme prato verde, sotto un cielo che pareva infinito, le ossa parietali cozzavano delicatamente, eravamo con i capelli nei capelli e i pensieri nei pensieri, io disteso a braccia incrociate osservavo la tua mano che indicava le nuvole, il contrasto con il cielo la rendeva aurea, così come lo erano le ciocche dei tuoi capelli mossi dal vento, profumavano di camomilla, i nostri corpi segnavano le nove e un quarto, i nostri piedi puntavano in direzioni opposte.
Ora è buio e si vedono le stelle, accanto a me l’erba offesa disegna la tua sagoma, dalle case accese il vento trasporta un gelido profumo di camomilla, credo che rimarrò qui a ricordarti ancora un po’.
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Murales
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kivrinlaroche · 1 year
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IL FUOCO CHE CI NUTRE
"Una volta che hai fatto qualcosa, non lo dimentichi mai. Anche se non riesci a ricordare."
LA SCINTILLA (capitolo quattro)
La sveglia sul comodino squillò e un braccio uscì dal lenzuolo per spegnere quel fracasso. Il sole faceva già capolino dalla finestra esposta a est. “Avevi detto che avresti cambiato la suoneria della sveglia Non ne posso più di quel gracchiare!”
Una massa di capelli color argento si mosse. “Uhm…Buongiorno anche a te…Domani lo farò, te lo prometto.”
L’uomo girò la testa. “Dobbiamo alzarci, prima che si faccia tardi. Io vado a preparare la colazione.” Scostò la coperta e si buttò giù dal letto. “Forza bambolina, alzati.”
“Ancora un minuto.” sospirò la ragazza stiracchiando le braccia per poi girarsi dall’altra parte.
“Ok, un minuto, non uno di più. E non riaddormentarti!” fece lui indossando un paio di pantaloni e una maglietta.
Andò in bagno per urinare poi si sciacquò il viso con l’acqua fredda per svegliarsi. Si guardò allo specchio, indeciso se farsi la barba o no.
Quasi quarantenne, aveva un viso molto gradevole, il mento forte gli dava un’aria da duro che le donne, e anche molti uomini, avrebbero definito sexy.
Dovrei dare una spuntatina anche ai capelli pensò afferrando le ciocche che ormai gli arrivavano alle spalle. Anzi, dovrei rasarli totalmente, darei meno nell’occhio. Oppure tingerli...
Il colore dei capelli, platino con sfumature dorate, e il fatto che li avesse così lunghi attirava l’attenzione della gente. Così come gli occhi grigi dai riflessi viola, molto particolari, non mancavano di catturare gli sguardi di tutti.
Si pettinò e legò i capelli in una coda poi andò in cucina a preparare la colazione.
La donna entrò, ancora assonnata, in un assurdo pigiama verde fluo, e gli sparò un bacio sulla guancia. Magrissima e slanciata aveva i capelli corti neri, in quel momento tutti scarmigliati, e gli occhi scuri che tradivano le sue origini asiatiche.
“Uova e bacon?” chiese mentre si avviava ciabattando verso l’ingresso.
“No, faccio i pancakes.” rispose lui mentre poggiava sul tavolo gli ingredienti.
Lei rientrò con un quotidiano tra le mani. Sedette al tavolo in cucina e iniziò a sfogliarne le pagine. Mentre leggeva commentava le notizie a voce alta.
“Sempre le stesse cose, guerre, crimini di tutti i tipi, addirittura un ministro del governo beccato con una prostituta. Mai una bella notizia…”
“Ti aspettavi forse qualcosa di diverso? Viviamo in un mondo violento e siamo crudeli quanto basta.”
Finì di cucinare, portò i pancakes in tavola e iniziarono a mangiare.
“Stasera probabilmente farò tardi.” le disse. “Quando esco dal lavoro devo passare da Jordan per aiutarlo a rimontare la moto.” Jordan Porter era uno dei suoi più cari amici.
“Ma... Per stasera avevo programmato un po' di shopping. Con te! Perché non me l’hai detto prima?!” chiese la donna iniziando ad irritarsi.
“Te lo sto dicendo adesso… Ti avevo accennato al fatto che aveva dovuto controllarla per riparare un guasto… Prima o poi doveva pure rimontarla, no? Io e Jo abbiamo dovuto incastrare il poco tempo libero che abbiamo..." Con un sospiro aggiunse: "Tu non mi hai detto che volevi uscire con me!… L’idea dello shopping ti è venuta in mente quando, esattamente? Cinque minuti fa?" "Potresti anche rimandare, se ci tieni tanto...”. Mentalmente si augurò che non cambiasse idea perché fare compere con lei significava trascinarsi per i negozi di mezza città fino all’ora di cena.
“Io e te abbiamo grossi problemi di comunicazione, mio caro…In ogni caso te ne avrei parlato più tardi." Fosse solo la comunicazione... pensò lui. "Comunque… Al solito i tuoi impegni vengono sempre prima di tutto…Va bene, fai come vuoi. Io esco da sola!”
Evitò di ribattere per non impelagarsi in infinite discussioni. Fecero colazione in silenzio.
Finirono di prepararsi e lei, col muso lungo, a malapena lo salutò.
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“Mammina, dove stiamo andando?” chiese il bambino seduto nel seggiolino posteriore dell'auto.
“Doveva essere una sorpresa, tesoro, ma…” disse la donna mentre allacciava la cintura di sicurezza del piccolo “…te lo dico in un orecchio…”
Si avvicinò alla testa del bambino e sussurrò: “Al parco…”
Il bambino iniziò a strillare e abbracciò la mamma, tutto contento. Lei gli baciò la testa poi sedette al posto di guida. Mise la cintura e avviò il motore.
Era il pomeriggio di una bella giornata di inizio primavera. Aveva in programma di dare una sistemata al garage e fare una cernita di cose da buttare. Quel sole luminoso le aveva fatto cambiato idea: poteva rimandare tutto e stare all’aperto con Lucas. Così ne aveva approfittato, con l’intenzione di portare suo figlio al parco a giocare con gli altri bambini e lei a godersi la lettura di un libro nell’aria tiepida.
Accese la radio per ascoltare un po’ di musica, inforcò gli occhiali da sole e partì.
Lucas canticchiava a modo suo una canzone trasmessa dalla radio e lei, divertita, ogni tanto gli lanciava uno sguardo dallo specchietto retrovisore. Aveva percorso circa mezzo chilometro quando una grossa macchina nera sbucò da una strada laterale alla sua destra e prese in pieno il lato del passeggero. Due finestrini andarono in frantumi e gli occhiali da sole volarono da qualche parte. L’urto violento fece scoppiare gli airbag e trascinò il veicolo nella corsia opposta dove si fermò. Il bambino urlò dallo spavento. L’autista dell’auto, con le mani sulla testa, scese di corsa, si diresse allo sportello della donna e lo spalancò. Chi aveva assistito all’incidente si avvicinò velocemente alle macchine danneggiate e qualcuno chiamò la polizia.
“Oddio! Mi dispiace signora... Mi sono distratto un attimo… Tutto bene? Come si sente?”
“Il bambino! Il mio bambino. Lukeee!” gridò la donna, sotto shock.
Il tizio diede un’occhiata al retro dell’abitacolo e aprì lo sportello posteriore. “Chiamate un’ambulanza, presto!” urlò.
Il bambino nel seggiolino stava piangendo e chiamava la mamma. La donna, accasciata sul volante, sull’airbag sgonfio, si lamentava, ancora confusa.
Subito dopo arrivò una pattuglia della polizia insieme ai soccorsi. I poliziotti fecero allontanare i curiosi mentre gli infermieri valutavano le condizioni del bambino che, a parte il grosso spavento, non aveva necessità di cure immediate. Ad un primo esame la mamma sembrava quella messa peggio.
Caricarono madre e figlio e l’ambulanza partì mentre i sanitari prestavano le prime cure alla donna. Aveva sicuramente riportato una frattura della gamba destra e il forte dolore al torace fece sospettare la frattura delle costole. Il dolore alla gamba e al torace le fece perdere i sensi un paio di volte e quando si svegliava, la nausea le faceva ingarbugliare lo stomaco. Lucas era seduto accanto all’infermiera che lo aveva fatto scendere dall’auto. Cercava di rassicurarlo e di distrarlo ma lui lanciava continue occhiate alla madre, sdraiata lì accanto, poi ricominciava a piangere.
Li portarono all’ospedale più vicino. Alla donna fecero le radiografie e il medico diagnosticò, oltre alla frattura composta del perone, l’incrinatura di tre costole nella parte destra del torace, dovute allo scoppio degli airbag mentre al bambino programmarono una risonanza magnetica per l’indomani.
Dopo qualche ora, la donna era sdraiata sulla barella con la gamba già immobilizzata. Con voce rassicurante coccolava il bambino e gli accarezzava la testa. “Ascolta Luke, adesso devi fare il bravo.” Avevano gli occhi arrossati dal pianto. Era arrivato il momento tanto temuto. “Mamma dovrà andare in una stanza e tu in un’altra tutta colorata dove ci sono altri bambini. Devi far finta che siamo a casa e che stiamo dormendo nelle nostre camer...”
“Ma mamma, non voglio lasciarti da sola!” fece Luke affranto, di nuovo prossimo alle lacrime.
“Non sono sola, amore mio. Forse più tardi verrà Chlo insieme a Matty. E poi, tu sei nella tua cameretta... Siamo nella stessa casa, giusto? Stanotte ti addormenti e domani vieni a trovarmi, va bene? La signora qui ti accompagnerà da me.” Indicò l’infermiera pediatrica con la divisa a pupazzi e lei annuì.
“Sei il mio splendido bambino coraggioso!”. Lui annuì, non troppo convinto e la madre gli baciò il viso.
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La sveglia suonò alle prime luci dell’alba. La ragazza con i capelli neri si mosse, automaticamente tirò fuori il braccio da sotto la coperta e la spense.
“Oggi tocca a te, Bea.” disse l’uomo coricato accanto a lei.
“Ancora un minuto poi mi alzo.” rispose lei sbadigliando.
Il minuto passò poi ne passarono due. “Uff! Ho capito…” borbottò lui alzandosi dal letto.
Affrontò la solita routine quotidiana. Si fece velocemente la barba e andò in cucina a preparare la colazione.
Dopo un po’ la donna entrò stiracchiando le braccia e gli diede un bacio sulla guancia. Uscì in pigiama all’esterno per prendere il giornale.
“Non ci crederai, Daemon.” disse la donna rientrando in casa con lo sguardo su una pagina del quotidiano che aveva in mano. “Un altro incidente d’auto, a due passi da qui.” “Uhm… qualcuno che conosciamo?” chiese lui.
“Non hanno scritto il nome, solo le iniziali: ‘Ieri pomeriggio, intorno alle 15,30, la berlina della trentenne R.T. è stata investita da un suv che non ha rispettato il segnale di stop. La donna, che in quel momento si trovava in auto col figlio di sei anni, ha riportato lesioni al torace e a una gamba. Il bambino è rimasto illeso ed entrambi sono ricoverati al Westcross, il bambino per accertamenti…’” Lesse la donna.
“Proprio dove lavoro io. Accidenti! Per fortuna il bambino non si è fatto niente…” commentò.
“Ok, è tutto pronto, ora mangiamo, Bea. Per favore prendi il succo di frutta.” disse portando a tavola il piatto con uova e bacon.
Dopo aver fatto colazione, finirono di prepararsi e uscirono per andare nei rispettivi posti di lavoro.
Daemon entrò in ospedale, si infilò un camice pulito e sedette in una sala con i colleghi e gli infermieri per il briefing mattutino. Dopo mezz’ora, con una decina di cartelle cliniche sottobraccio, iniziò il lavoro di routine. Verso le tredici un collega, Samuel Fielding, entrò trafelato nella stanza dove Daemon stava compilando una lista di esami.
“Ti devo chiedere un favore, collega!”
“Uhm… Il tosaerba è rimasto fulminato dalla tua bellezza? Un meteorite ha colpito uno degli orrendi nani da giardino che fanno la guardia a casa tua?”
“Dai, non scherzare, amico!” ribatté Sam ridacchiando. “Mia madre è caduta e sembra si sia fratturata una caviglia, devo proprio scappare da lei e portarla qui. Ti chiedo solo se puoi dare un’occhiata alla donna dell’incidente d’auto di ieri, non sono riuscito neanche a vederla in faccia… Ti giuro! E' l’ultimo favore che ti chiedo…”
Daemon si scusò: “Oh! Mi dispiace per tua madre, Sam. …" "Va bene, dimmi in che stanza è… Conoscendoti non sarà l’ultimo favore che mi chiedi… E la prossima volta che ci incontriamo non dimenticare il paio di birre che mi devi dall’ultimo favore che ti ho fatto.”
“E’ nella dodici. Grazie fratello, sei un vero amico! E il miglior internista che conosca, quei due sono in buone mani! Questa è la sua cartella clinica e questa è quella del bambino.” disse, indicandole. “Ah! E mettine in conto altre sei. Ciao, io vado!" fece Sam mentre usciva dalla sala.
Sei un gran leccaculo, fratello! pensò Daemon scuotendo la testa e facendo un cenno di saluto con la mano.
Ultimò la lista e la consegnò alla postazione degli infermieri. Diede altre disposizioni e si diresse nella stanza dodici con le due cartelle cliniche in mano.
Aprì la porta della camera ed entrò, gli occhi ancora posati su un foglio della cartella del bambino. Si girò e la richiuse.
“Buongiorno, sono il dottor Daemon Targaryen, medico internista. Oggi sostituisco il dottor Fielding che l’ha presa in cura.”
La donna non rispose e non restituì il saluto.
Lui sollevò lo sguardo e si avvicinò al letto.
Era semi seduta, col viso rivolto verso la finestra dove le tende chiare schermavano la luce del giorno. Indossava la camiciola d’ordinanza dell’ospedale.
I cavi del monitor e il deflussore di una flebo uscivano dal suo corpo. La gamba destra, ingessata fin sotto il ginocchio, poggiava su un cuscino. I suoi capelli risplendevano anche in quella luce smorzata. Girò la testa e puntò su di lui un paio di incredibili occhi azzurri con sfumature viola.
“Rhaenyra Targaryen. Buongiorno dottore.” rispose lei dopo qualche secondo.
Rhaenyra guardò stupita quell'uomo. Poi si scosse, cercando di dissimulare la sorpresa: “Come sta oggi mio figlio, dottore? Nessuno mi ha ancora dato notizie.”
“Suo figlio sta benissimo, signora, non c'è da preoccuparsi.” fece lui dopo un attimo di esitazione.
“Stamattina ha fatto la risonanza magnetica ma va tutto bene e non ha niente di rotto. A breve verrà dimesso.” continuò automaticamente Daemon avvicinandosi ancora di più e fissando Rhaenyra.
“Mi perdoni se… Per caso… ci conosciamo? Mi sembra di averla già vista da qualche parte. O magari è un’artista famosa? Abbiamo lo stesso cognome e mi chiedevo se…”
Aveva una bellezza eterea e allo stesso tempo sensuale. La pelle del viso non aveva alcuna imperfezione e gli occhi, dal taglio nord-europeo, erano orlati da ciglia chiare. I capelli lunghi e un po’ mossi, color platino con sfumature dorate, identici ai suoi, incorniciavano un ovale perfetto, così come era perfetta la linea delle sopracciglia di una tonalità più scura delle ciglia. Aveva una piccola gobba sul naso delicato che lo rendeva particolare e molto gradevole.
Anche lei non riusciva a staccare gli occhi dal suo viso. Le somigliava tantissimo, era come vedere un parente lontano. Un Targaryen come me. Aveva gli occhi grigi con le stesse sfumature viola dei suoi e una bellezza particolare. Qualche ruga gli segnava la fronte e i lati della bocca ma a parte questo non doveva avere più di quarant’anni.
Avevano in comune gli stessi inusuali colori e persino la pelle color latte. Ma soprattutto c’era qualcosa di familiare nel modo in cui lui si muoveva, nel tono della voce bassa e calda, nel corpo asciutto e muscoloso sotto il camice da dottore ed emanava qualcosa che istintivamente la faceva sentire a proprio agio.
“No, dottore, non ci conosciamo e non sono famosa.” lo interruppe Rhaenyra sorridendo e cercando di darsi un contegno. “Effettivamente abbiamo un cognome insolito e a quanto pare anche i nostri nomi non sono molto comuni.”
Daemon le chiese come si sentisse e se avesse dolori. Poi si concentrò sulla flebo e spostò la mano per accertarsi che la cannula fosse ben posizionata. Le sfiorò inavvertitamente il polso. Una scintilla percorse i loro corpi e i loro cuori accelerarono il battito. Il monitor di Rhaenyra registrò l’aumento della frequenza cardiaca. Ritrassero la mano di scatto e Daemon la guardò di nuovo. “Mi scusi… Dev’essere l’elettricità...”
All’improvviso la porta si spalancò ed entrò un bambino in pigiama, i capelli scuri e riccioluti, seguito da un’infermiera con la divisa tutta colorata del reparto pediatrico e si precipitò vicino al letto gridando “Mamma! Mamma!”
“Oh! Luke! Tesoro mio!” fece Rhaenyra allungando le braccia per abbracciare il bambino. Con una smorfia di dolore cercò di tirarsi su ma le costole incrinate glielo impedirono.
“Vieni qui, luce dei miei occhi, fatti abbracciare! Come stai? Come hai dormito?”
“Mammina mi sei mancata tanto!” disse il bambino strofinandosi gli occhi pieni di lacrime.
“Dottor Targaryen, lui è Luke, Lucas. Mio figlio.”
“Piacere di conoscerti Lucas detto Luke. Vuoi salire sul letto?”
Il bambino annuì e Daemon lo sollevò per farlo sedere accanto alla madre. Luke le posò la testa su una spalla e lei gli baciò il nasino.
“Mammina, lo sai che il dottore mi ha fatto entrare in una macchina dove c’era un tubo lungo lungo? E mi ha messo le cuffie dove c’era la musica e io dovevo stare fermissimo. Poi mi ha detto che ero stato coraggioso e poi mi ha dato una caramella alla frutta!”
“Oh, tesoro! Ma io lo so che sei un bambino bravo e coraggioso, sei il mio ometto.” rispose lei sorridendo e accarezzandogli la testa.
“Signora, ora verrà il dottor Carter, il medico radiologo, per informarla di tutto" Intervenne l’infermiera. "Lucas è stato veramente bravo, non ha fatto i capricci, ha mangiato e giocato con un altro bambino della camera. Stamattina chiedeva continuamente di lei quindi l’ho portato qui... Bene, io vado Luke. Ora starai un po’ con la tua mamma. Ci vediamo dopo, va bene?” Rhaenyra la ringraziò e il bambino le sorrise. Gli mancavano due incisivi inferiori e uno superiore. Era adorabile.
Mentre aspettavano il medico, Daemon fece scendere Lucas dal letto e visitò Rhaenyra, le auscultò il torace e le chiese alcuni dati per completare l’anamnesi e aggiornare la sua cartella clinica.
Dopo un po' arrivò il dottor Phil Carter e spiegò a Rhaenyra che la risonanza magnetica di Luke era negativa. Nonostante l’urto violento, il bambino non aveva riportato traumi di alcun genere e che la dimissione era prevista per l’indomani.
“Lei signora potrà essere dimessa tra un paio di giorni. Purtroppo per le costole incrinate non si può far niente, guariranno col tempo. Invece per la frattura al perone che fortunatamente è composta dovrà tenere il gesso per almeno sei settimane. Al termine tornerà qui e le faremo una radiografia di controllo; se va tutto bene lo toglieremo. In ogni caso le prescriverò anche degli antidolorifici. Se vuole avvisare suo marito…”
“Non c’è nessuno!” fece lei d’impulso stringendo il bambino al petto. “Mi scusi, dottore…” fece Rhaenyra contrita. “Mio marito è in Iraq da due anni ma non ho sue notizi… Ci siamo trasferiti da poco, siamo soli, io e Luke, e in questa città non ho familiari che lo possano accudire… Ho un’amica che forse… Dopo quello che è successo vorrei averlo con me…” “Sarebbe un problema rinviare la sua dimissione? Potrebbe dormire qui con me. La prego dottor Carter…”
“Ma certo, signora, non potremmo mai separare un bambino dalla madre... Se il dottor Targaryen è d’accordo chiederò di approntare un lettino in questa camera. Mi dispiace per quello che è successo e vista la situazione faremo di tutto per…”
“Si, sono d’accordo! Ci penserò io, signora!” rispose Daemon guardando Rhaenyra.
“Naturalmente se per lei non è un problema che me ne occupi io.” aggiunse in fretta.
Lei gli restituì lo sguardo. “Non vorrei disturbare nessun…”
“Non mi disturba affatto!” rispose lui. “Lo faccio volentieri. D’altronde sono circostanze… particolari… E poi, dobbiamo pensare a sistemare questo ometto, vero Luke?” continuò, scarmigliando i capelli del bambino che lo guardò e sorrise.
Quel pomeriggio e nei due giorni successivi Daemon andò più volte a trovare Rhaenyra per assicurarsi che il lettino per Lucas fosse stato portato in camera, che avesse dormito bene, che non avesse dolori, che i cuscini fossero sistemati a dovere. Ogni scusa era buona per starle intorno. Quando le procurò un paio di grucce e l’aiutò ad alzarsi dal letto per esercitarsi a fare qualche passo, valutò di sfuggita che doveva essere alta circa un metro e settanta. Lui la superava almeno di una decina di centimetri.
All’inizio quella ragazza lo incuriosiva, il perché fossero così simili fisicamente era il primo pensiero. Il secondo fu che nonostante i Targaryen sparsi nel mondo fossero pochissimi, loro due probabilmente provenivano da rami diversi della stessa famiglia. Che strane coincidenze... pensava. Due Targaryen che si sono conosciuti per un caso assurdo.
Pian piano il limite sottile della mera curiosità sconfinò in qualcosa di molto vicino all’attrazione. Non riusciva a capire il perché ma in lei c’era qualcosa di indefinito che lo stuzzicava e al contempo lo affascinava. Che fosse simpatica e sempre pronta a sdrammatizzare era una casualità. Rhaenyra era una donna forte, fiera e indipendente. I radicali cambiamenti che aveva dovuto affrontare nella sua vita ne erano la prova, così come l’aver cresciuto il bambino senza alcun tipo di supporto familiare. Era perfettamente conscio di queste qualità, eppure, contro ogni logica, quando la guardava c’era in lei un'aura di impercettibile vulnerabilità che attivava, senza che se ne rendesse conto, il suo istinto di protezione. Ribadendo fino alla nausea come lo strano e assurdo interesse verso quella donna fosse del tutto innocente, Daemon ingannava sé stesso.
Ma, inganno o no, alla fine non potè più evitare di pensare continuamente a lei. La notte, nel suo letto, tardava a prendere sonno rivivendo come in un film tutte le scene di quelle giornate. Gli tornava in mente Rhaenyra in quella ridicola camicia d’ospedale che a malapena nascondeva le sue forme. Chiudeva gli occhi e il bellissimo viso, il sorriso, i suoi occhi erano nella sua mente. Persino il nome gli faceva battere forte il cuore.
Che cazzo mi sta succedendo!? Sto per caso impazzendo?. Il tenore dei suoi pensieri era sempre lo stesso. Non ho più quindici anni! Ho una donna a cui voglio bene e io penso ad una sconosciuta? Dovrei farmi gli affari miei e lasciare Rhaenyra in pace!
Il giorno dopo si svegliava con Rhaenyra in mente e di nuovo non vedeva l’ora di andare da lei. I propositi della notte precedente regolarmente spazzati via.
La mattina in cui lei e il bambino sarebbero stati dimessi, Daemon si presentò in camera con una sedia a rotelle.
“Buongiorno a tutti! Siete pronti?” fece con entusiasmo.
“Ho portato questo drago per la tua mamma, piccolino. Ora si siede sulla sella e lo cavalca fino alla macchina.”
“Siii, ti stavo aspettando, zio!” rispose elettrizzato il bambino. “Mamma, guarda, lo zio Daemon ti ha portato un drago tutto rosso! Ma lo sai cavalcare, mammina?”
Aveva iniziato a chiamarlo ‘zio’ il giorno precedente. Daemon e Rhaenyra non capivano il perché ma sorridevano divertiti per quello strano appellativo.
Rhaenyra stava in piedi, sostenuta dalle grucce. Era già vestita con una gonna a disegni geometrici e un maglioncino in tinta e stava ridacchiando. “Vi prego, non fatemi ridere. Le costole…” disse lei poggiando una mano sul lato dolorante. Daemon la guardò in apnea. Aveva i lunghi capelli raccolti in una treccia che le scendeva sul petto. Alcune ciocche erano sfuggite al pettine e ne incorniciavano il viso. La luce che entrava dalla finestra alle sue spalle faceva risplendere il corpo e quei capelli, come un alone luminoso. Sembrava un angelo moderno uscito da un dipinto rinascimentale.
Rhaenyra se ne accorse e si schiarì la voce: “Vogliamo andare, dottore?”
“Si, si, certo!” rispose annuendo e distogliendo lo sguardo. “Ora, mammina, se permetti, ti aiuto a sederti sul dorso del drago rosso.” scherzò Daemon avvicinando la sedia a rotelle.
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jovialcupcakenerd · 10 months
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𝐑𝐞𝐠𝐢𝐧𝐚 𝐝𝐢 𝐂𝐮𝐨𝐫𝐢 (serie: Alice in Underland); DD-Anne
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Mossa da una grande passione per la scultura e il fashion design, Xu Yu Ting, nota come 𝐃𝐨𝐥𝐥𝐲 𝐃𝐨𝐥𝐥𝐲 𝐀𝐧𝐧𝐞 (DD-Anne), dà vita a meravigliosi modelli di bambole snodate.
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Da artista autodidatta, la dedizione di 𝐃𝐃-𝐀𝐧𝐧𝐞 ondeggia dolcemente attraverso le onnipresenti folte ciocche di capelli delle sue bambole, dallo sguardo sognante.
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𝐃𝐃-𝐀𝐧𝐧𝐞 è nata a Shanghai; dopo aver studiato bioinformatica all'università, ha compreso che tale scelta professionale non faceva per lei: così, a partire dal, 2006 è diventata un'artista di bambole, del tutto autodidatta.
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𝐃𝐃-𝐀𝐧𝐧𝐞 fa tutto il lavoro da sola, dalla scultura al fashion design; non ha una lunga biografia artistica, ma ha recentemente vinto il Pandora Platinum Art Doll Prize in Russia ed è stata la prima persona a ricevere tutti i voti dei giudici nella storia del Premio.
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La serie 𝐴𝑙𝑖𝑐𝑒 𝐼𝑛 𝑈𝑛𝑑𝑒𝑟𝑙𝑎𝑛𝑑 è stata ispirata da reali eventi sociali; la serie 𝐴 𝑆𝑜𝑛𝑔 𝑇𝑜 𝑀𝑦𝑠𝑒𝑙𝑓, prende vita da esperienze intime di 𝐃𝐃-𝐀𝐧𝐧𝐞, a partire da quando è divenuta un'artista di bambole.
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idettaglihere · 1 year
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pensavo di essermi risparmiata la perdita di capelli post intervento e invece sono 3 settimane che li perdo a ciocche e si vede un sacco che sono di meno; letteralmente la mia unica parte un minimo decente si è aggiunta a tutto il resto che fa schifo
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mermaidemilystuff · 1 year
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Basta raga, sentenza: sono scema in culo.
Io boh ho lavorato la creta per anni, disegno e dipingo da anni e anni la mia tecnica preferita è l'acquerello dipinti minuscoli con minuscoli dettogli poi ripassati a china 0.05 sono precisa, minuziosa, attenta, qualsiasi cosa per cui serva della manualità è mia
MA
Vabbeh le dutch braids ci ho rinunciato, ma QUELLE FACILITATE NONNSO FARE QUELLE FALICITATE DOVE DEVI LETTERALMENTE UNIRE SOLO DUE CIOCCHE DI CAPELLI DIO BONOOO MA COSA HO UN TUMORE AL CERVELLO QUALCUNO MI PUÒ SPIEGARE CHE CAZZO DI PROBLEMI C'HO SONO IO IL PROBLEMA O IL PROBLEMA DOVE STA DOVE STA D O V E S T A A A A A A A A A A A
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be-appy-71 · 1 year
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Cosa pensano gli uomini quando stanno per amare la propria donna? Io ho immaginato questo....
Finalmente era uscita dal bagno, bella come il sole, forse anche di più. Sembrava una bimba con quel faccino acqua e sapone. Ma no, lei non era una bambina. Mi  bastò guardarla solo un attimo per ritrovare la donna che infiammava i miei sensi. Indossava una camicia da notte semplice. Niente pizzi o trasparenze ammiccanti,solo una profonda scollatura che lasciava poco all'immaginazione. Il bianco raso della sottoveste aderiva alle sue curve ancora umide per la doccia appena fatta, mostrando,in trasparenza, le sue forme pronte per il mio delirio. Stringendo due forcine tra le labbra,con le mani teneva su disordinatamente i capelli, lasciando che alcune ciocche ribelli le cadessero sull'incavo del collo,quasi fosse un muto invito ad accarezzarla.. Piano, guardandomi dritto negli occhi, con aria di sfida, si avvicinò a me protraendo le  labbra piene .
Non aspettavo altro.
Inebriandomi del suo profumo, le tolsi le forcine dalla bocca, appoggiandole sul comodino vicino al letto. Come una cascata,senza  abbassare mai lo sguardo, lascio'
finalmente  la sua chioma  libera
di cadere sul suo petto. Distrattamente, tenendo gli occhi chiusi,  spostò con le mani quella nuvola profumata, ridonandomi la vista della sua perfezione.
Dio se era bella...una tentazione per qualunque uomo sano di mente .
Con una lentezza quasi esasperante si avvicinò, sfilandosi  quell' unico velo che mi separava dal paradiso. Senza fiatare,
mi spinse sul letto coprendomi con il suo corpo. La sentivo muoversi su di me.Sentivo il suo odore di donna,il suo respiro caldo, la sua pelle liscia.
Sentivo le sue mani ovunque. Le labbra che prima tenevano strette le due forcine, ora avevano catturato le mie. Ero senza fiato...la  desideravo da morire.Tanta era la voglia di lei,che
non sapevo da dove iniziare.Non volevo tralasciare neppure un millimetro del suo corpo.
Ci amammo violentemente,con la forza di un uragano. Come se  qualcuno mi avesse detto che quella sarebbe l'ultima volta . Tutte le emozioni e le sensazioni del mondo erano concentrate lì, dove i nostri corpi affamati si univano.
Tra sospiri, brividi e
gemiti  sfuggiti dalla bocca di entrambi, lei si avvicinò al mio orecchio e,con il respiro corto, mi sussurrò la parola più calda ed eccitante del mondo: "ancora..."
Fu la fine del mio autocontrollo. La feci mia, prendendo e dando tutto .
Poi ,furono solo miele e orgasmi di anime e corpi.
Corinna AghelopulosI
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