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#29 ottobre 1929
santeptrader · 6 months
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29 ottobre 1929, crolla Wall Street è il "martedì nero"
Il Crollo di Wall Street del 1929: L’Inizio della Grande Depressione Il 29 ottobre 1929, noto come il “Martedì Nero,” segna un momento cruciale nella storia economica e politica degli Stati Uniti e del mondo intero. Questa data storica rappresenta l’inizio della Grande Depressione, una delle crisi economiche più devastanti e influenti del XX secolo. Questo crollo non fu semplicemente un evento…
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Crisi del 29: storia del primo grande crollo economico
La crisi del 29 è un avvenimento storico, spesso, poco raccontato ma che in realtà è una tappa fondamentale della nostra storia. Il primo grande crollo di una borsa economica ci permette di capire quello che è il nostro presente ed il nostro futuro. Che cosa si intende per grande depressione? Conosciuta come anche "Crisi del 29" oppure "Crollo di Wall Street", la Grande Depressione è alla crisi economica che dal 1929 andò a colpire l’economia mondiale. La crisi economica andò a ridurre su scala globale produzione, occupazione, redditi, salari, consumi e risparmi. L'inizio di quella che è tra le più note crisi economiche della storia ebbe inizio con il crollo della Borsa di Wall Street. Il 24 Ottobre del 1929 divenne tristemente noto come il giovedì nero di Wall Street con la famosa piazza d'affari che perse 13 milioni di azioni perché vendute al ribasso causando un crollo dell’indice superiore ai 50 punti percentuali, uno dei più importanti record negativi nella storia della finanza. A cosa è dovuta la crisi del 29? Le motivazioni dietro lo scoppio di questa storica crisi economica sono molteplici ma tutti dovuti ad una fallimentare politica economica: - continua espansione del credito attraverso tassi artificialmente bassi - eccesso di prestiti a carattere speculativo - mancata crescita del potere d’acquisto nonostante l’incremento di produttività e investimenti Che effetto ha la Grande Depressione? Il crollo di Wall Street ebbe un effetto a dir poco devastante per i tutti i settori economici degli USA. Prima di tutto furono le industrie dei beni di consumo a subire le prime devastanti conseguenze. Queste industrie furono costrette a: - tagliare le loro commesse verso aziende appartenenti alla stessa filiera - abbassare i salari - ridurre il personale I danni furono così grande da contrarre ed alzare i prezzi dei beni di consumo andando a danneggiare anche l'industria agricola (ancora "ferita" dalla crisi economica conclusasi nel 1895). La produzione industriale, quindi, arrivò a scendere di circa il 50%. i fallimenti ed i licenziamenti resero reale la crisi dei consumi che portò l’economia statunitense ad una vera e propria fase di arresto. Cos'è il New Deal? 4 marzo 1933, questa la data nella quale Frank D. Roosevelt venne nominato presidente degli Stati Uniti d'America. A lui venne dato il compito di far "risorgere" l'economia americana che era letteralmente messa a terra dal crollo di Wall Street. Tra il 1933 e il 1937, il nuovo presidente americano avviò una campagna di riforme economiche e sociali che entrarno nella storia col nome di New Deal e che verteva su: - l’abbandono della parità aurea ma soprattutto la svalutazione del dollaro al 40% con il duplice obiettivo di ridurre i debiti ed incoraggiare le esportazioni; - un vasto piano di lavori pubblici per combattere ed abbattere la disoccupazione; - un nuovo sistema di assicurazioni sociali - un aumento dei salari - meno ore lavorative nelle fabbriche; - l’obbligo agli imprenditori di trattare finalmente con i sindacati (andando, di fatto, a riconoscerli) - il controllo del sistema bancario a stelle e strisce Il New Deal diede nuova vita all'economia americana che riuscì dopo un lungo percorso a ritornare al suo antico splendore. Gli Stati Uniti erano riusciti, tra mille difficoltà, a quanto meno arginare gli enormi danni che la grande Depressione portò nel suo paese ma anche a tutto il mondo. Foto di PublicDomainPictures da Pixabay Read the full article
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osterialagramola · 2 years
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Tavarnelle da scoprire PALAZZO DEL FASCIO Il Palazzo è stato realizzato negli anni Venti del Novecento su terreni donati dalla famiglia Torrigiani, proprietaria di vasti possedimenti sul territorio. Il 29 ottobre 1929 fu inaugurato come sede della Casa del Fascio. Durante la Seconda Guerra Mondiale la sede del Comune (nato nel 1893) fu incendiata e tutta la documentazione riguardante l’abitato andò perduta. Per questo l’edificio fu restaurato dall’Amministrazione Comunale e già dal 7 marzo 1945 vi installò i propri uffici. Dal 1946 l’immobile è pervenuto al Demanio dello Stato diventando sede di scuole, uffici comunali, associazioni. Attualmente ospita la Sala del Consiglio Comunale. Dal punto di vista architettonico rappresenta un interessante esempio di stile neomedievale, benché restaurato. Di semplice pianta rettangolare, è caratterizzato dalla una torretta angolare, in passato circondata da un terrazzino, e da un ulteriore corpo laterale al primo piano dove era presente una loggetta, oggi finestrata. Divenuta proprietà del Comune dal 2021. Resta certamente uno spazio importante per te una loggetta, oggi finestrata. Divenuta proprietà del Comune dal 2021. Resta certamente uno spazio importante per un uso pubblico e di attrattiva del territorio. Adesso, mentre stanno facendo i nuovi lavori, cosa ne sarà? Un vero rilancio del paese oppure un altra spesa inutile? Diamo tempo al tempo 😁😁 @osterialagramola Osteria La Gramola LOC Tavarnelle (Firenze) www.gramola.it 055 8050321 #osterialagramola #barberinotavarnelle #bistecca #fiorentina #chianti #tradizionitoscane #peposo #pappardelle #nana https://www.instagram.com/p/CiuaFztLihw/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Nuovo post su https://is.gd/ACnH2O
I coniugi Peruzzi, benefattori dello Spedale degli Innocenti a Firenze e fondatori del convento dei Minimi in Lecce
Lecce, chiesa di S. Maria degli Angeli
  di Giovanna Falco
Si aprono nuove prospettive di ricerca sulla storia della chiesa di Santa Maria degli Angeli e del convento di San Michele Arcangelo dei Minimi di San Francesco di Paola, ubicato in piazza dei Peruzzi a Lecce: i fondatori Giovannella e Bindaccio di Bernardo di Bindaccio Peruzzi[1] furono anche benefattori dello Spedale degli Innocenti di Firenze, dove i loro ritratti sono conservati insieme con quelli di altre personalità dell’Istituto fiorentino.
Tutte le fonti che trattano della fondazione del complesso conventuale dei Minimi in Lecce[2], seppur contraddittorie sulle date, concordano nell’attribuirla a Giovannella Maremonte, vedova di Bindaccio Peruzzi, morto il 14 luglio 1502[3].
La vedova Peruzzi su disposizione testamentaria del marito, volle far realizzare in un giardino fuori porta San Giusto un oratorio e chiesa. Il 14 maggio 1524 il notaio Sebastiano de Carolis di Firenze rogò l’atto di fondazione del convento dei Minimi di San Francesco di Paola, alla presenza del provinciale genovese dell’Ordine e di Giovannella[4].
Con testamento del 13 marzo del 1527, rogato a Firenze dal notaio Paolo Antonio de Rovariis[5], la Peruzzi donò altri beni per l’erigendo convento.
Purtroppo i documenti originari sono stati dispersi, così come i riassunti degli atti del 1524 e del 1527, eseguiti nel 1766 dal notaio Lorenzo Carlino[6].
Lecce, chiesa di S. Maria degli Angeli, portale di ingresso
  Il giardino dov’è sorto il complesso conventuale dei Minimi, era conosciuto dai leccesi come Panduccio, distorsione dialettale del nome del proprietario, la cui presenza a Lecce è attestata negli anni Settanta del Quattrocento[7]. Ritornato a Firenze, Bindaccio Peruzzi ricoprì ruoli rappresentativi per l’Arte dei Mercanti[8], di cui nell’aprile del 1502 era ancora membro del consiglio, seppur assente[9]. Tre mesi dopo donò parte dei suoi beni allo Spedale degli Innocenti di Firenze, così com’è riportato nella targa del ritratto che lo commemora (www.catalogo.beniculturali.it › sigecSSU_FE › schedaCompleta.action): «Bindaccio Peruzzi priore del comune nel MCCCCXCV largi’ con testamento de’ X luglio MDII parte de’ suoi averi a questo brefotrofio e l’esempio del misericordioso consorte fu seguitato dalla moglie»[10] .
Stemma dei Peruzzi
  Grazie alla consultazione delle carte d’archivio dell’Ospedale degli Innocenti, Luigi Passerini e Alessandra Mazzanti e Vincenzo Rizzo, individuano la vedova di Bindaccio in Giovannella Peruzzi, il cui ritratto nel Settecento era esposto nel guardaroba dell’Istituto[11]. La vedova Peruzzi figlia «di Niccolò De Noe»[12], proveniente dalla «Basilicata nel Regno di Napoli»[13], morta nel 1527[14].
Le date coincidono, ma Giovannella Peruzzi, nei documenti dell’archivio dell’Istituto fiorentino risulta essere un’esponente di casa de Noha, e non di casa Maremonte.
Stemma dei Maramonte
  La diversa interpretazione del cognome della fondatrice nei documenti conservati presso il convento leccese è indirettamente chiarita da Michele Paone, quando scrive che nel 1524: «in Firenze la vedova di Bindaccio Bernardo Peruzzi, Giovannella, orfana di Nicola Gionata e Margherita Maremonte, donò ai minimi di S. Francesco di Paola la chiesa di S. Maria degli Angeli»[15]. La provenienza dalla Basilicata del padre di Giovannella, Nicola de Noha, è attestata (salvo che non si tratti di un caso di omonimia) da Giustiniani: nel 1457 re Alfonso diede Latronico «per ducati 600 a Cola de Ionata de Noha»[16]. Conferma la distorta lettura dell’atto del 1524, il nome del notaio fiorentino tramandato in maniera errata: si è individuato, infatti, Sebastiano de Carolis, in Bastiano di Carlo da Fiorenzuola, i cui atti, anche quelli del 1524, sono conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze, dove non è reperibile l’annata 1527 di Paolo Antonio Rovai, il notaio che ha redatto il testamento della vedova Peruzzi[17].
Lecce, chiesa di S. Maria degli Angeli, particolare dell’ingresso
  Alla luce di questa identificazione, sono tanti gli elementi da riprendere in considerazione, per aggiungere nuovi capitoli alle vicende del complesso monastico. Riguardo al campo prettamente artistico, non è da escludere la provenienza diretta dei disegni per realizzare la chiesa commissionata dalla Peruzzi, dalla Firenze dei grandi artisti rinascimentali, poiché i lasciti per entrambe le istituzioni denotano l’appartenenza della coppia all’elite fiorentina. Seppur di fattura locale e successiva, è evidente, ad esempio, il richiamo iconografico della lunetta della chiesa leccese alle opere di Andrea Della Robbia.
Andrea della Robbia, Madonna con Bambino e Angeli (1504-1505), cattedrale di San Zeno, Pistoia (dal sito Tuscany sweet Life)
  Andrea della Robbia Madonna con Bambino e angeli (1508 ca. – 1509 ca.), Museo Civico di Viterbo, prima chiesa di San Giovanni dei Fiorentini Viterbo (dal sito della Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna)
  Un’attenta analisi delle fonti minime, contestualizzata con le vicende storiche di Puglia e Firenze, inoltre, potrebbe determinare il perché la scelta dei fondatori ricadde su quest’Ordine. Lo studio delle vicissitudini delle famiglie dei fondatori e delle fasi costruttive del complesso monastico, potrebbero individuare l’epoca e il perché la famiglia Maremonte passò alla storia come fondatrice della chiesa di Santa Maria degli Angeli, il cui stemma è presente in facciata assieme a quello di Bindaccio Peruzzi.
  Note
[1] Cfr. F. Bruni, Storia dell’ I. e R. Ospedale di S. Maria degl’Innocenti di Firenze e di molti altri pii stabilimenti, Volume I, Firenze 1819 p. LXXXII.
[2] Cfr. L. Montoya, Coronica general de la Orden de los Minimos de S. Francisco de Paula su fundador, lib. I, Madrid 1619, p. 87; G. C. Infantino, Lecce sacra, Lecce 1634 (ed. anast. A cura e con introduzione di P. De Leo, Bologna 1979), pp. 93-94; F. Lavnovius, Chronicon generale ordinis Minorum, 1635, p. 193; R. Quaranta, Storia della provincia pugliese dei Minimi nel manoscritto Historialia monumenta chronotopographica provinciae Apuliae del p. Antonio Serio: (metà sec. XVIII), Roma 2005, pp. 35-40; F.A. Piccinni, Principiano le notizie di Lecce, in A. Laporta (a cura di) Cronache di Lecce, Lecce 1991, pp. 15, 224-226; A. Foscarini, Guida storico-artistica di Lecce, Lecce 1929, pp. 126-130; G. Paladini, Note storico-artistiche, in L’Ordine: corriere salentino, 6 luglio 1934 , a 29, fasc. 27 (www.internetculturale.it); G. Paladini, Guida storica ed artistica della città di Lecce. Curiosità e documenti di toponomastica locale, Lecce 1952, pp. 212-224; L. G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti. La città, Lecce 1874, nuova edizione postillata a cura di N. Vacca, Lecce 1964, p. 114-118; O. Colangeli. S. Maria degli Angeli. S. Francesco di Paola, L’ex convento dei Minimi francescani, Galatina 1977; M. Paone, Chiese di Lecce, vol. I, Galatina 1981, pp. 317-319.
[3] Cfr. A. Foscarini, Op. cit., p. 126; O. Colangeli. Op. cit., p. 5.
[4] Il Provinciale genovese, sostituiva padre il generale dell’Ordine, Marziale de Vicinis, assente. Padre Antonio Serio lo individua in Michele de Comte, Francesco Antonio Piccini, invece, in Antonello de Vicinis. Il Chronicon conferma quanto asserito da Serio (cfr. F. Lavnovius, op. cit., pp. 190-191). Da Piccinni in poi la data riportata è il 10 maggio 1524 (cfr. G. Paladini, Guida storica ed artistica della città di Lecce, cit; L. G. De Simone, op. cit; O. Colangeli. Op. cit).
[5] Cfr. R. Quaranta, Storia della provincia pugliese dei Minimi, cit, p. 36. De Simone e Paone datano l’atto al 1524, attribuendolo al notaio Antonio de Boccariis.
[6] Cfr. F.A. Piccinni, op. cit.
[7] Cfr. C. Massaro, Territorio, società e potere, in B. Vetere (a cura di), Storia di Lecce. Dai Bizantini agli Aragonesi, Bari 1993, pp. 315-316; Ministero dell’Interno. Pubblicazioni degli Archivi di Stato, XVIII, Archivio di Stato di Firenze. Archivio Mediceo avanti il Principato. Inventario, volume secondo, pp. 35, 212, 361; F. Carabellese, Bilancio di un’accomandita di casa Medici in Puglia del 1477 e relazioni commerciali fra la Puglia e Firenze, in Archivio storico pugliese 1896 a. 3, fasci 1-2, vol. 2, pp. 77-104.
[8] Nel 1496 è mastro di zecca per l’oro (Cfr. P. Argelatus, De Monetis Italiae vario rum illustrium virorum Dissertationes. Parte Quarta, Milano 1752; I. Orsini, Storia delle monete della Repubblica Fiorentina, Firenze 1760, pp. 191 e 272).
[9] Cfr. G. Milanesi, Delle statue fatte da Andrea Sansovino e da Gio. Francesco Rustici sopra le porte di S. Giovanni di Firenze (1) 1502-1524, in G. Milanesi, Sulla storia dell’arte toscana scritti varj di Gaetano Milanesi, Siena 1873, pp. 247-261, p. 247, pp. 250-52. La targa è stata trascritta anche in G.B. Niccolini, Iscrizioni per i ritratti de’ benefattori del R. Spedale degli Innocenti di Firenze, in C. Gargiolli (a cura di), Opere edite e inedite di G.B. Niccolini, Tomo VII, Milano 1870, p. 728.
[10] Fu priore del quartiere San Giovanni nel bimestre Settembre – Ottobre 1495 (Cfr. I. di San Luigi, Istorie di Giovanni Cambi cttadino fiorentino pubblicate, e di annotazioni, e di antichi munimenti accresciute, ed illustrate da Fr. Ildefonso di San Luigi carmelitano scalzo della provincia di Toscana Accademico Fiorentino, volume secondo, Firenze 1785; F. Bruni, Storia dell’ I. e R. Ospedale di S. Maria degl’Innocenti di Firenze e di molti altri pii stabilimenti, Volume I, Firenze 1819, p. LXXXII). Nel 1759 il ritratto di Bindaccio era esposto nell’Istituto: «Dalla Chiesa per la Porta a manritta si passa nel primo Cortile, intorno intorno ornato di Colonne Corintie di pietra serena, co i Ritratti de i più insigni Benefattori alle Lunette» (G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine. Divise nei suoi quattro Quartieri, Tomo ottavo, Firenze 1759, p. 129). Nel 1845 i ritratti di Bindaccio e Giovannella, dispersi o deteriorati, furono ridipinti gratuitamente rispettivamente da Giuseppe Marini e Carlo Falcini, per volontà del commissario dell’epoca cavalier Michelagnoli (Cfr. O. Andreucci, Il fiorentino istruito della chiesa della Nunziata di Firenze, Firenze 1857, pp. 175 e 275). Attualmente sono conservati presso il deposito dell’Istituto.
  [11] Cfr. G. Richa, op. cit., p. 396. La scheda del ritratto è consultabile a questo link: https://www.beni-culturali.eu › opere_d_arte › scheda ›
[12] L. Passerini, Storia degli stabilimenti di beneficenza e d’istruzione elementare gratuita della città di Firenze, Firenze 1858, p. 946.
[13] A. Mazzanti, V. Rizzo, Memorie dell’organo di Santo Stefano a Campi: un priore, tre famiglie di artisti e di artigiani, Opus libri, 1992, p. 31.
[14] Cfr. U. Cherici, Guida storico artistica del R. Spedale di S. Maria degli Innocenti di Firenze, Firenze 1926, p. 52.
[15] M. Paone, Chiese di Lecce, vol. I, Galatina 1981, p. 317.
[16] L. Giustiniani, Dizionario Geografico – Ragionato del Regno di Napoli, Tomo V, Napoli 1802, p. 223.
[17] Cfr. Archivio di Stato di Firenze. Notarile antecosimiano. Inventario sommario. Trascrizione su database informatico degli inventari N/272-275 a cura di Eva Masini (2015).
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pangeanews · 6 years
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Tour nella città fantasma di Pyramiden, vent’anni dopo l’abbandono. Alle Svalbard, dove Lenin si erge tra gli orsi e tutto è a prova di Armageddon
La porta di legno era chiusa a chiave dall’interno. Quando finalmente ritrovarono la Swedish House, la casa svedese, nell’Isfjorden, alle Svalbard, la casa di legno, la casa più antica delle Spitsbergen, era immersa in un silenzio sinistro. All’esterno, i corpi di cinque cacciatori di foca avvolti in coperte di tela catramata. Era l’estate del 1873 e una nave era partita da Tromso, dalla Norvegia settentrionale, per cercarli. I diciassette cacciatori svedesi avevano fatto sparire le proprie tracce il 14 ottobre 1872, diretti alla “Svenskhuset”. Avevano trovato alloggio e rifugio, nella casa svedese appunto, quei diciassette cacciatori svedesi, scelti tra quelli privi di famiglia, non tutti potevano essere assistiti dall’esploratore Adolf Erik Nordenskiöld, in spedizione nel territorio artico. Ma in quella casa c’era tutto il necessario, cibo, carbone e abiti in abbondanza, per affrontare la lunga notte artica. La porta, su cui è disegnato un divieto d’accesso, viene spalancata e, dentro, si trovano i cadaveri, stecchiti dal gelo, degli svedesi dispersi. In tutto quindici (due saranno trovati anni dopo). Dentro casa, i corpi dei cacciatori sono seduti sulle sedie, sdraiati a letto e sul pavimento, conservano la postura esatta del momento in cui la morte li ha colti e il gelo custoditi. I cadaveri vengono presto bruciati e uno dei misteri delle Svalbard e Jan Mayen passa alla storia come una delle numerose tragedie dello scorbuto, tra i ghiacci polari. Eppure erano già note all’epoca le malattie che potevano colpire gli esploratori e i cacciatori di foche e di orsi. Nel 2008, alcuni medici riescono a riaprire il caso, c’era qualcosa di sospetto in quelle morti, qualcosa di maledetto in quella Swedish House. “Si tratta di avvelenamento da piombo”, ci spiega la giovane guida, un allegro ragazzo siberiano a bordo del piccolo catamarano Aurora Explorer, mentre attraversiamo le fredde acque dell’Isfjorden, diretti a Pyramiden. Mi racconta che la storia della casa svedese è parecchio nota. Mi mostra anche un libro in cui avrei potuto trovare maggiori informazioni, Isfjorden di Kristin Prestvold. La casa svedese è una di quelle storie leggendarie che si possono facilmente scoprire tra queste terre artiche e inospitali. Con la strana sensazione di sapere che non si tratta affatto di leggende. L’avvelenamento da piombo – mi spiega la guida – è stato causato dal cibo intossicato che, lentamente ma inevitabilmente, ha condotto questi robusti e avventurosi svedesi alla morte certa. Non erano morti per la mancanza di vitamina C, ma a causa del piombo utilizzato per sigillare le lattine dei cibi. Una morte forse più inquietante di quella di Roald Amundsen, l’Aquila Bianca della Norvegia, scomparso per sempre e inghiottito dall’Artico mentre andava alla ricerca del suo rivale, amico nemico, Umberto Nobile, il cui dirigibile Italia era naufragato sul pack, a nord est delle Svalbard.
La città fantasma di Pyramiden, nata intorno alle miniere di carbone, è russa dal 1929 ed è stata abbandonata nel 1998 (le fotografie del servizio sono di Linda Terziroli)
Sulle spedizioni polari, la giovane guida russa mi consiglia di visitare il North Pole Expedition Museum di Longyearbyen, dove lui vive felicemente da quattro anni e dove ritrovo cimeli straordinari, testimonianze dei pionieri dell’Artico, da Nansen a Cook e Peary, fino ai disegni e filmati originali dei dirigibili che hanno raggiunto il Polo, prima il Norge e poi l’Italia e persino dei residui di telai, radio, cordami, libri e documenti di inestimabile valore. Fotografie e lettere, storie di chi ha fatto ritorno e di chi non è mai tornato vivo dal Polo. Come il giovane giornalista Ugo Lago, scomparso a bordo dell’Italia nei cieli dell’Artico. La sua lettera scritta alla vigilia della partenza, dalla grafia dannunziana, non si può leggere senza provare una dolorosa fitta al cuore. “Carissimi papà, mammà e Dora, io tornerò certamente da questo viaggio polare. Se mai non tornassi, e se avete, come avete, fede in Dio e nell’immortalità dell’anima, pensate che il più grande dolore che possiate dare al mio spirito, in cielo, è quello di vedervi disperati. Il vostro dolore tranquillo deve rassegnarsi, se volete sapere la mia anima felice. Questa è la mia più viva preghiera. Vi bacio tutti con affetto eterno Ugo”. La lettera è datata 11 aprile 1928. Il dirigibile su cui viaggiava Ugo Lago, giornalista de Il Popolo d’Italia, scomparve il 25 maggio. Non c’è tenerezza tra questi ghiacci, benché i fiori di cotone inizino a spuntare ad agosto e il papavero artico faccia la sua comparsa breve. La desolazione è sublime, il cielo plumbeo incombe, insieme a scuri gabbiani che attraversano il cielo. C’è persino una scuola e l’asilo qui a Longyearbyen, i bambini sono imbacuccati e con piccoli giubbotti catarifrangenti. Mentre il loro “prato” brullo è circondato dall’alta maglia della rete di recinzione. Non è possibile non fare i conti con gli orsi da queste parti. Chiunque deve sapere che un orso polare potrebbe spingersi fino in paese da un momento all’altro. Quindi tutti girano armati di fucile. All’ufficio postale e in banca non è possibile entrare armati e un cartello con il singolare divieto è incollato alle porte scorrevoli di vetro. Si vede che l’orso non ama la vita civile. Qualche mese fa è successo – racconta sempre la guida – ad una ragazza che stava passeggiando a breve distanza dalla città di Longyearbyen. È stata azzannata. Qui l’orso non ispira una simpatia da circo, ma incute il timore delle belve feroci. In questo fiordo non si vedono altre imbarcazioni, ma tutto intorno sipari di montagne dalla forma triangolare, piramidale, mentre i ghiacci finiscono in mare. Piccoli pezzi di ghiaccio galleggiano in superficie e iniziano a sciogliersi. Si vedono due orsi, a occhio nudo, sulle rocce vicino al ghiacciaio Nordenskiöld, di fronte alla città mineraria abbandonata di Pyramiden. Quando arriviamo al vecchio molo di legno scricchiolante di Pyramiden, saliamo su un vecchio pullman, l’autista russo tiene la sua vecchia pistola sovietica, in un vassoio, vicino alle monete della mancia. Lui è uno dei pochissimi russi che abitano a Pyramiden, uno dei due che vivono qui tutto l’anno. Dodici persone in tutto, russe e ucraine nel periodo del sole di mezzanotte. L’autista vive da decenni in questa città fantasma, sin da prima che venisse abbandonata, ma non possiede le chiavi del vecchio ospedale, dove alcuni dicono che siano racchiusi molti misteri. Ma Pyramiden, Pyramida in russo, è una città mineraria fantasma, quasi al 79° parallelo (N 78°40’), abbandonata nel 1998, dopo il crollo dell’Urss, ma ancora oggi baluardo russo in territorio norvegese. Un’altra causa dell’abbandono fu il disastro aereo del 29 agosto 1996, quando persero la vita un centinaio di abitanti di Pyramiden, dopo lo schianto del volo Vnukovo Airlines nei pressi di Longyerabyen. Una semplice e umile croce di legno ricorda quelle morti. Passeggiando tra le vie deserte di Pyramiden, sembra di vivere dentro il romanzo Dissipatio H.G., di Guido Morselli: la città deserta, scomparsi tutti gli uomini. Ogni cosa è rimasta immobile, si vedono solo aggirarsi animali, volpi artiche come gatti che camminano tra le case, mentre i gabbiani hanno fatto grandi nidi alle finestre, che non si aprono più.
Non tutti gli edifici si possono visitare. Quasi tutti sono chiusi a chiave, sigillati, al riparo dai furti e danneggiamenti. La nostra guida russa, una bella ragazza di nome Anna, ha una rivoltella alla cintura e lo sguardo circospetto. Teme che qualcuno dei visitatori possa rimanere intrappolato nei vecchi edifici sovietici, come è successo a una coppia qualche mese fa. Anna vive qui con il suo fidanzato ed entrambi lavorano per la compagnia russa Grumant, arctic travel company, che organizza spedizioni alle miniere, anche a quelle tuttora in opera e tra i ghiacci di Barentsburg. Sia Pyramiden che Barentsburg erano insediamenti olandesi che furono venduti all’Unione Sovietica nel 1929. Gli anni d’oro delle miniere carbonifere alle Spitsbergen furono tra gli anni ’70 e ’80 quando lavorare alle Svalbard era una piccola fortuna per i sovietici. Un cartello russo, sul muro di mattoni rossi, recita solenne ancora oggi: “In onore del trentesimo anniversario della miniera carbonifera sovietica. Piramida Agosto 1976”. Gli uomini e le donne che lavoravano qui vivevano in edifici separati tra loro, Paris e London, e si sussurra che ci fosse un tunnel sotterraneo che permetteva incontri clandestini. La città fantasma aveva un edificio (ormai non più visitabile) con due piscine per adulti e bambini, con acqua di mare riscaldata, un ospedale ben equipaggiato, l’ufficio postale, un luogo dove mangiare, la Crazy house per far giocare i bambini, una scuola che accoglieva i circa centocinquanta piccoli russi che vivevano qui. C’era una palestra con un campo da basket e da calcio, ben conservata e con le fotografie ancora appese alle pareti che ricordano celebrazioni e intrappolano avvenimenti rilevanti che nessuno dei turisti può riconoscere. Un teatro e addirittura un grande pollaio e una stalla, l’orto dove si coltivava la terra che dava, incredibilmente, grandi frutti (stando alle parole della guida). Un piccolo paradiso agli estremi confini delle terre abitate. Alle finestre degli alloggi femminili, alcuni piccoli sportelli di metallo fungevano da refrigeratori naturali per piccoli utilizzi. Dai soffitti dei palazzi pendono ancora preziosi e importanti lampadari dell’epoca sovietica, nella stanza della musica un pianoforte verticale aperto aspetta il pianista che si è allontanato, “da qualche istante”, lasciando lo spartito aperto sull’ultima nota. Ci sono anche i piatti, una vecchia batteria e diverse pianole sul davanzale della finestra che guardano questa desolazione artica, punteggiata di neve. Ci sono le scale bloccate da una panchina di legno che ormai nessuno sale più, le ringhiere e i corridoi che conducono a stanze e ampi saloni che sono diventati improvvisamente deserti e silenziosi. In un corridoio, una cartina politica del mondo, in cirillico, rende ancora più vasta la grandezza dell’Urss, mentre gli angoli si arricciano in giù. Intorno alle stanze, vicino alle grandi finestre, vasi con vecchie piante ormai rinsecchite e prive d’acqua. Ovunque vestigia russe di una gloria perduta, sepolta tra i ghiacci.
La strada principale era chiamata per un vezzo oggi ridicolo “Champs-Élysées”, mentre il busto di Lenin (quello più a nord del mondo) volge severo lo sguardo dall’alto di una colonna di cemento posta sopra tre gradini. Alle spalle di Lenin, la casa della cultura e dello sport con un campo da pallavolo e una biblioteca e, seguendo il suo sguardo, si vedono i palazzi abbandonati, la lingua cerulea del mar glaciale artico e, a sinistra, il ghiacciaio. Nessuno più si cura di cambiare le lampadine ai lampioni, mentre le aule della scuola, dalle mura rosso acceso e decorate – uno degli edifici più belli e meglio conservati – sembrano abbandonate da poco. Nelle cucine lasciate per sempre, i forni sono spalancati e dentro le loro bocche, come carie nei denti, si è insinuata abbondante la ruggine. Piccoli pezzi d’intonaco si stanno lentamente staccando dal soffitto, mentre un odore appiccicaticcio, tra l’acidulo e il rancido, solletica le narici. Quanti anni saranno passati dall’ultimo pasto cucinato qui? Per quale occasione è stato preparato? C’è anche un albergo nella città abbandonata – dove vivono quasi tutti i pochi abitanti, compresa la nostra guida, un paio vivono in un “garage”, vicino al molo – si chiama Tulpan Hotel e costa un centinaio di euro per notte (all’incirca 1000 corone norvegesi). Chi vuole può passare qualche notte nella città fantasma. La nostra guida ci racconta che molti sono i progetti in campo a Pyramiden, un filmfestival – il più a nord del globo – e alcuni registi americani intendono girare un film e un horror. Il set è già pronto. Anna ci rivela che le piacerebbe vedere, nel cast, George Clooney. Ma qui non c’è nemmeno la TV e neppure la connessione Wi-fi, ci tiene a sottolineare, il loro “internet point” (l’unico posto in cui c’è campo) è vicino al molo e quando ce lo mostra è una postazione, con una vecchia cornetta telefonica. L’impressione più vivida che si ha è quella di camminare tra i fantasmi, di una città fantasma, mentre le parole russe che un tempo qui si udivano sono state sostituite dalla voce alta e querula dei gabbiani che qui nidificano a migliaia. Le persone che vivevano qui e lavoravano alla miniera di carbone ormai potrebbero essere già morte. Il vento increspa le onde, mentre ci allontaniamo dalla visione di Pyramiden, la città fantasma presto viene nascosta da altre montagne piramidali, ma deserte. Quando il fiordo ghiaccia, si può arrivare qui in motoslitta.
Attracchiamo a Longyearbyen, la città più popolosa delle Svalbard, con i suoi 2200 abitanti; la visione di una città che vive ancora dà un certo sollievo. Del resto qui tutto si conserva, tutti i semi di tutte le piante, allo Svalbard Global Seed Vault, il deposito globale di sementi, aperto dieci anni fa, vicino a Longyerbyen, con porte d’acciaio e la struttura in calcestruzzo, a prova di Armageddon e di affamati orsi polari. Nelle terre artiche, non si perde nulla e tutto si conserva, a volte, con l’inevitabile scioglimento dei ghiacci, compare qualche capitolo di una leggenda perduta. Anche al buio delle notti polari, che tra qualche mese faranno piombare Pyramiden in una città fantasma ancora più sinistra, l’aurora boreale renderà più misteriosi e affascinanti questi luoghi estremi. La terra delle Svalbard, scoperte dall’olandese Willem Barents nel 1596 ma battezzate così nel 1194 in lingua islandese, il “litorale freddo”, dove si cacciavano le balene, il cui grasso veniva bollito e messo nei barili. E dove, ancora oggi, si cacciano le foche. Dove, qui più che altrove, la natura mette a dura prova la resistenza fisica e psichica degli uomini. Ma l’unica terra al mondo dove non si può nascere né morire. Quelle porte qui non si aprono più.
Linda Terziroli
L'articolo Tour nella città fantasma di Pyramiden, vent’anni dopo l’abbandono. Alle Svalbard, dove Lenin si erge tra gli orsi e tutto è a prova di Armageddon proviene da Pangea.
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carmenvicinanza · 3 years
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Ré Soupault
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Ré Soupault è stata una delle più importanti fotografe del XX secolo.
Formatasi alla Bauhaus di Weimar, ha fatto parte dell’avanguardia europea dell’inizio del ventesimo secolo, tra Berlino e Parigi.
È stata anche un’innovativa stilista, viaggiatrice, giornalista, traduttrice letteraria e saggista per la radio. Ha lasciato una corposa eredità costituita da fotografie, scritti, disegni e schizzi di moda.
Nacque col nome di Meta Erna Niemeyer a Bublitz, in Pomerania, il 29 ottobre 1901, in una famiglia conservatrice. Contro il parere dei genitori, nel 1921, entrò a fare parte della Bauhaus di Weimar, considerata la sua famiglia spirituale.
Si fece chiamare “Ré” dal 1924, il nome le fu attribuito da Kurt Schwitters, artista tedesco dadaista.
Nel 1923 ha anche lavorato con il regista d’avanguardia Viking Eggeling al suo film Diagonal Symphony, da lui ha appreso le tecniche cinematografiche poi utilizzate nei suoi successivi lavori.
Dal 1926, sotto lo pseudonimo di Renate Green ha lavorato a Berlino come giornalista di moda e illustratrice per la rivista Sport im Bild. Per questa, si recò a Parigi nel 1929 come corrispondente di moda e iniziò a frequentare gli ambienti dell’avanguardia artistica.
Accantonato per un po’ il giornalismo, nel 1931 fondò il suo atelier di moda Ré Sport, arredato con i mobili del già famoso architetto Mies van der Rohe. Man Ray ne fotografava le collezioni. L’atelier ebbe un notevole successo, vestiva le donne più importanti della capitale francese, disegnava la moda della donna nuova, ideale che ella stessa incarnava, abiti chic e allo stesso tempo pratici e comodi. Ha inventato, tra le altre cose, un vestito che poteva trasformarsi da abito da giorno a sera lungo fino al pavimento. Per rendere accessibile i suoi modelli di alta qualità utilizzava i tessuti dei couturier dell’anno precedente. Questa peculiarità, abbinata alla sua gestione giocosa della teoria del colore e della forma del Bauhaus, ne rivelava il grande talento e creatività. Con le sue creazioni prêt-à-porter, ha rivoluzionato e innovato la scena della moda parigina del tempo.
Dopo un breve matrimonio con il pittore e regista dadaista Hans Richter, nel 1933, frequentando i maggiori esponenti del movimento surrealista, ne conobbe uno dei fondatori, Philippe Soupault, che sposò nel 1936. L’uomo, uno dei più importanti giornalisti francesi dalla fine degli anni ’20, la convinse a seguirlo nei suoi viaggi e fotografare per i suoi articoli. Insieme lavorarono in giro per il mondo. Fu così che Ré Soupault, ha sviluppato il suo occhio per il secondo magico che caratterizza il suo lavoro. Ne è un esempio la foto di una ragazza del 1936 a Madrid prima dell’inizio della guerra civile, che con il pugno alzato imitava la solidarietà operaia degli adulti.
Nel 1938 la coppia si trasferì in Tunisia perché Philippe Soupault era stato incaricato di dirigere la radio antifascista Radio Tunisi.
Nel paese arabo, Ré Soupault fece foto pubblicate su numerose riviste. Ha fotografato emigranti, pellegrini, nomadi e il palazzo del monarca tunisino. Si è occupata del ruolo delle donne nel mondo islamico, è riuscita anche a entrare nel Quartier reservé, zona chiusa in cui venivano deportate le donne respinte dalle loro famiglie e dalla società che vivevano di prostituzione. Vi ha ritratto donne in stanze quasi vuote catturando i loro sguardi in foto di straordinaria intensità. Durante la seconda guerra mondiale, la Tunisia destituì Philippe Soupault, che nel marzo 1942 venne imprigionato senza processo per sei mesi per presunto alto tradimento. Quando le forze tedesche occuparono Tunisi, la coppia fuggì in Algeria, lasciandosi tutto alle spalle, compresi i negativi fotografici di Rés. La loro casa venne saccheggiata. I due rimasero in Algeria per quasi un anno, fino a quando, Philippe venne incaricato da de Gaulle di creare una nuova agenzia di stampa francese nel Nord, Centro e Sud America. I coniugi si recarono negli Stati Uniti e viaggiarono per tutto il paese fino al 1945, quando si separarono.
Ré Soupault rimase a New York nello studio che le aveva ceduto Max Ernst. Ha scritto e fotografato reportage di viaggio per International Digest e Travel Magazine.
Il suo ultimo servizio fotografico è stato realizzato nel 1950 nella Germania occidentale sui rifugiati e gli sfollati delle regioni orientali nei centri d’accoglienza.
Tornata a Parigi, nel 1946, la donna iniziò a lavorare come traduttrice letteraria dal francese al tedesco. Tra il 1955 e il 1980 ha scritto numerosi servizi e saggi radiofonici per emittenti tedesche e svizzere.
Insieme a Philippe Soupault, ha realizzato un film su Wassily Kandinsky per la televisione francese nel 1967.
Dal 1973, i coniugi hanno vissuto di nuovo insieme a Parigi nella stessa casa, ma in due appartamenti separati.
L’opera fotografica di Ré Soupault, composta da circa 1.500 negativi e circa 150 stampe d’epoca, inizialmente ritenuta perduta, è stata ritrovata negli anni ’80.
Alcuni dei negativi lasciati a Tunisi durante la fuga, furono trovati da un amico in un mercato, molto, però, è andato perduto. Il fotogiornalismo, i ritratti e le scene di vita quotidiana hanno dominato il suo lavoro fotografico, che colpisce per l’uso di linee rette, la chiarezza, la varietà e le atmosfere atemporali.
Nel 1988 è stato pubblicato il suo libro fotografico Una donna è di tutti. Foto dal ‘Quartier réservé’ di Tunisi. Nel 1994, Paris 1934–1938.
Dopo la morte del marito, nel 1990, Ré Soupault ha vissuto isolata in un piccolo appartamento e lavorato alla pubblicazione del suo diario, scritto ininterrottamente dagli anni Quaranta.
È morta a Versailles il 12 marzo 1996. È stata sepolta nel cimitero di Montmartre.
Il Gropius-Bau di Berlino le ha dedicato una retrospettiva nel 2007. Nel 2011, la Kunsthalle Mannheim ha presentato tutto il suo complesso lavoro nella mostra Ré Soupault. Artista al centro dell’avanguardia, in cui sono state esposte anche le foto di Man Ray in cui la ritraeva durante le sue creazioni di moda.
Il suo diario di una vita è stato pubblicato nel 2018.
È stata una donna che ha vissuto tante vite, si è reinventata mille volte, ha sperimentato ogni forma d’arte.
Un’artista dalla vita straordinaria che è ancora troppo poco conosciuta.
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giankamoverona · 4 years
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#diceilsaggio Facciamo un applauso, a chi si sente furbo pensando che gli altri siano stupidi... Una buona giornata dal gianka, con la nostra storia, semo nel 1875 viene ritrovato il Teatro Romano #almanacco di giovedì 29 ottobre, 303/63 giorno dell'anno, segno zodiacale dello scorpione 🦂 #santodelgiorno B. Michele Rua, auguri di buon onomastico a Michele e Michela #ilsole sorge alle 6.52 tramonta alle 17.07 #proverbiodeldì Bisogna averghe oci anca par de drio... #fasilunari Luna gibbosa crescente, illuminazione 96% #accaddeoggi 1929 - Inizia la Grande depressione con il "martedì nero", crolla la Borsa di New York #lanotameteo🌦️ Foschie in pianura, in seguito cielo poco nuvoloso. Possibili 4 gosse in mattinata, probabilità scarsa... #temperature in leggero aumento, 8/17° #pressione 1018 mbar #umidità 86% #venti deboli https://www.instagram.com/p/CG6vlKEHRh2/?igshid=1lpdwxvb4a1bl
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grayzonephoto · 4 years
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Sta arrivando una grande depressione economica?
Sta arrivando una grande depressione economica?
Una nuova grande depressione economica è in arrivo, i primi sintomi ci sono tutti, siamo ancora in tempo per fermarla? Tutti gli economisti e i ministri delle finanze dicono di stare tranquilli.
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29 OTTOBRE 1929 LA GRANDE DEPRESSIONE
A mio modesto avviso una nuova grande depressione potrebbe presto coinvolgere l’intera economia mondiale. Non mi sento però di escludere la possibilità di una…
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mysenzacuore · 4 years
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Benito Mussolini, ne ha fatte di cose...ne ha fatte: Opere sociali e sanitarie 1. Assicurazione invalidità e vecchiaia, R.D. 30 dicembre 1923, n. 3184 2. Assicurazione contro la disoccupazione, R.D. 30 dicembre 1926 n. 3158 3. Assistenza ospedaliera ai poveri R.D. 30 dicembre 1923 n. 2841 4. Tutela del lavoratore di donne e fanciulli R.D 26 aprile 1923 n. 653 5. Opera nazionale maternità ed infanzia (O.N.M.I.) R.D. 10 dicembre 1925 n. 2277 6. Assistenza illegittimi e abbandonati o esposti, R.D. 8 maggio 1925, n. 798 7. Assistenza obbligatoria contro la TBC, R.D. 27 ottobre 1927 n. 2055 8. Esenzione tributaria per le famiglie numerose R.D. 14 maggio 1928 n. 1312 9. Assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, R.D. 13 maggio 1928 n. 928 10. Opera nazionale orfani di guerra, R.D.26 luglio 1929 n.1397 11. Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), R.D. 4 ottobre 1935 n. 1827 12. Settimana lavorativa di 40 ore, R.D. 29 maggio 1937 n.1768 13. Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (I.N.A.I.L.), R.D. 23 marzo 1933, n. 264 14. Istituzione del sindacalismo integrale con l’unione delle rappresentanze sindacali dei datori di lavoro (Confindustria e Confagricoltura); 1923 15. Ente Comunale di Assistenza (E.C.A.), R.D. 3 giugno 1937, n. 817 16. Assegni familiari, R.D. 17 giugno 1937, n. 1048 17. I.N.A.M. (Istituto per l’Assistenza di malattia ai lavoratori), R.D.11 gennaio 1943, n.138 18. Istituto Autonomo Case Popolari 19. Istituto Nazionale Case Impiegati Statali 20. Riforma della scuole “Gentile” del maggio 1923 (l’ultima era del 1859) Vogliamo continuare ? Continuiamo: 21. Opera Nazionale Dopolavoro (nel 1935 disponeva di 771 cinema, 1227 teatri, 2066 filodrammatiche, 2130 orchestre, 3787 bande, 1032 associazioni professionali e culturali, 6427 biblioteche, 994 scuole corali, 11159 sezioni sportive, 4427 di sport agonistico.). I comunisti la chiamarono casa del popolo.
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iafisco1960 · 4 years
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Wall Street 1929: quando la Borsa di New York fece tremare il mondo
Il 29 ottobre 1929 è un martedì, non proprio come tanti altri. Passerà alla storia come il «martedì nero» source https://www.corriere.it/podcast/solferino-28/notizie/wall-street-1929-quando-borsa-new-york-fece-tremare-mondo-l-anteprima-podcast-af9e7a34-f73e-11e9-9ad7-81cfe71b7fb2.shtml
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ultimavoce · 5 years
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La crisi del '29: a novant'anni dal giovedì nero
#90annifa scoppiò la #crisi del '29 portò al crollo della borsa di #WallStreet
Il “giovedì nero” di Wall Street fu il simbolo di una catastrofe senza precedenti. La fine dei roaring 20s e le speculazioni attorno ad un economia di consumo oramai divenuta cancerogena segnarono il primo passo verso una crisi che in Europa sarebbe sfociata nel secondo conflitto mondiale. A 90 anni da quel 24 ottobre del 1929 ripercorriamo la storia della Grande Depressione.
Nella seconda metà…
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Crisi del 29: storia del primo grande crollo economico
La crisi del 29 è un avvenimento storico, spesso, poco raccontato ma che in realtà è una tappa fondamentale della nostra storia. Il primo grande crollo di una borsa economica ci permette di capire quello che è il nostro presente ed il nostro futuro. Che cosa si intende per grande depressione? Conosciuta come anche "Crisi del 29" oppure "Crollo di Wall Street", la Grande Depressione è alla crisi economica che dal 1929 andò a colpire l’economia mondiale. La crisi economica andò a ridurre su scala globale produzione, occupazione, redditi, salari, consumi e risparmi. L'inizio di quella che è tra le più note crisi economiche della storia ebbe inizio con il crollo della Borsa di Wall Street. Il 24 Ottobre del 1929 divenne tristemente noto come il giovedì nero di Wall Street con la famosa piazza d'affari che perse 13 milioni di azioni perché vendute al ribasso causando un crollo dell’indice superiore ai 50 punti percentuali, uno dei più importanti record negativi nella storia della finanza. A cosa è dovuta la crisi del 29? Le motivazioni dietro lo scoppio di questa storica crisi economica sono molteplici ma tutti dovuti ad una fallimentare politica economica: - continua espansione del credito attraverso tassi artificialmente bassi - eccesso di prestiti a carattere speculativo - mancata crescita del potere d’acquisto nonostante l’incremento di produttività e investimenti Che effetto ha la Grande Depressione? Il crollo di Wall Street ebbe un effetto a dir poco devastante per i tutti i settori economici degli USA. Prima di tutto furono le industrie dei beni di consumo a subire le prime devastanti conseguenze. Queste industrie furono costrette a: - tagliare le loro commesse verso aziende appartenenti alla stessa filiera - abbassare i salari - ridurre il personale I danni furono così grande da contrarre ed alzare i prezzi dei beni di consumo andando a danneggiare anche l'industria agricola (ancora "ferita" dalla crisi economica conclusasi nel 1895). La produzione industriale, quindi, arrivò a scendere di circa il 50%. i fallimenti ed i licenziamenti resero reale la crisi dei consumi che portò l’economia statunitense ad una vera e propria fase di arresto. Cos'è il New Deal? 4 marzo 1933, questa la data nella quale Frank D. Roosevelt venne nominato presidente degli Stati Uniti d'America. A lui venne dato il compito di far "risorgere" l'economia americana che era letteralmente messa a terra dal crollo di Wall Street. Tra il 1933 e il 1937, il nuovo presidente americano avviò una campagna di riforme economiche e sociali che entrarno nella storia col nome di New Deal e che verteva su: - l’abbandono della parità aurea ma soprattutto la svalutazione del dollaro al 40% con il duplice obiettivo di ridurre i debiti ed incoraggiare le esportazioni; - un vasto piano di lavori pubblici per combattere ed abbattere la disoccupazione; - un nuovo sistema di assicurazioni sociali - un aumento dei salari - meno ore lavorative nelle fabbriche; - l’obbligo agli imprenditori di trattare finalmente con i sindacati (andando, di fatto, a riconoscerli) - il controllo del sistema bancario a stelle e strisce Il New Deal diede nuova vita all'economia americana che riuscì dopo un lungo percorso a ritornare al suo antico splendore. Gli Stati Uniti erano riusciti, tra mille difficoltà, a quanto meno arginare gli enormi danni che la grande Depressione portò nel suo paese ma anche a tutto il mondo. Foto di PublicDomainPictures da Pixabay Read the full article
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mariomanfre-blog · 5 years
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Martedì Nero
Il crollo della borsa di Wall Street getta l’America nel panico, portando milioni di persone sul lastrico. Vedendo bruciati i rasparmi di una vita un giovane broker, Frank, schiacciato dalla disperazione guarda fuori dalla finestra del suo ufficio, indeciso tra tornare dalla sua famiglia dopo aver perso tutto o finire la propria esistenza con un ultimo volo su Broad Street.
La storia parte la mattina di Martedì 29 Ottobre 1929. Frank entra in ufficio e il panico è totale, le persone urlano e piangono, in molti questa mattina hanno perso tutto, compreso il nostro Frank.
Sulla propria scrivania c’è un giornale che titoleggia “Black Tuesday”. Cosa farà il nostro protagonista? Si farà trascinare dall’emotività del momento o cercherà di restare più razionale? Nel primo caso si farà prendere dal panico, rendendosi conto che per lui, senza più un centesimo sul conto corrente, con una famiglia da mantenere sulle spalle, non c’è via d’uscita. L’ultima speranza sarà quella di chiudersi in sè stesso o del chiedere informazioni a un collega. La solitudine porterà allo sconforto conducendolo alla finestra del suo ufficio e a una caduta in cui la sopravvivenza non è contemplata. Nel caso in cui invece Frank leggerà l’articolo di giornale per saperne di più otterrà più informazioni sulla vicenda, scoprendo che le possibilità che i suoi risparmi ritornino sul suo conto corrente sono poche ma ci sono, non in tempi brevi però e non senza passare anni difficili. Avremo quindi la stessa scelta di prima, la solitudine o l’affidarsi a qualcuno, un collega, un amico, magari anche il nostro stesso capo. Entrambe le scelte ci condurranno a un’unica conclusione, chiamare casa. Nel momento in cui Frank chiamerà casa avremo tre scelte, parlare con i figli, con la moglie o con la madre.
Il telefono di casa squilla, e una voce di bambina risponde –Pronto? Pronto? C’è nessuno?- la cornetta si abbassa e il rumore di fine chiamata rimbomba nella testa di Frank, con che coraggio può tornare a casa, dai suoi figli, guardali negli occhi e dire che la loro infanzia sarà piena di insidie, che non potranno andare in vacanza con gli amici, non potranno andare a scuola, che per andare avanti saranno costretti anche loro a lavorare, saranno costretti a crescere troppo in fretta. Frank non regge la pressione di questa responsabilità e coi piedi sul cornicione della finestra si lascia cadere.
Se invece la moglie risponde al telefono entrerà in gioco la prima variabile che si attiverà solo nel caso in cui avremo chiesto aiuto  ai nostri colleghi. Il tono della conversazione potrà prendere due pieghe, una più rassicurante in cui la donna ci dirà che la nostra famiglia è forte e riuscirà a sopravvivere anche a questo, che la vita non è fatta solo dei soldi e che le piccole cose aiuteranno ad andare avanti. Il secondo tono è invece più rassegnato, accetterà la situazione che ha davanti, penserà alle fatiche che la famiglia dovrà compiere, agli anni bui futuri, ecc… Se avremo fatto la seconda scelta allora nel momento in cui si abbasserà la cornetta e la chiamata finirà Frank finirà steso sul marciapiede ai piedi del palazzo del suo ufficio.
Nel caso in cui Frank parlasse con la madre invece entrare in gioco la seconda variabile, avremo due scelte, solo nel caso in cui avremo letto il giornale all’inizio della nostra storia, la prima in cui la madre farà pesare sulle spalle del figlio tutto ciò che di male li aspetta in futuro, la seconda, conseguente alla variabile iniziale, in cui la madre logorerà sulla via della ragione facendogli tornare in mente l’articolo letto a inizio giornata in cui si leggeva che una possibilità per andare avanti esiste e che magari quando i suoi figli saranno grandi lui comunque riuscirà a riavere quello che ha perso. Sia la scelta rassicurante della madre che quella della moglie porteranno alla fine della chiamata.
Frank riinizia a vedere un futuro davanti a sé, per lui e per quelli vicino a lui, ma il suo desiderio di conoscere lo porta a controllare il suo portfolio di azioni per vedere veramente quanto è andato in rosso. Si era totalmente dimenticato di tutte le persone per cui aveva fatto brokeraggio, i soldi di persone innocenti, che con quel mondo non c’entravano nulla, amici, parenti, che in quel momento sono ancora ignari delle sfortune che si stanno per abbattere su di loro. Avremo quindi due vie, la prima in cui Frank, preso dal panico si suicida, la seconda in cui coraggio alla mano decide di iniziare il giro di chiamate, un po’ come il dottore che deve dire ai parenti che il paziente non è sopravvissuto all’operazione. Le famiglie sono furiose, hanno sbagliato a fidarsi di lui, si sentono tradite, per un suo errore ora sono sull’orlo del baratro. In molti non hanno più niente, saranno costretti a pignorare la casa, la macchina, tutti i loro beni, finiranno per strada. Frank piange, non riesce a respirare. Due passi ed è oltre la finestra.
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marcomozzati-blog · 5 years
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“Black Tuesday”
Il crollo della borsa di Wall Street getta l’America nel panico, portando milioni di persone sul lastrico. Vedendo bruciati i rasparmi di una vita un giovane broker, Frank, schiacciato dalla disperazione guarda fuori dalla finestra del suo ufficio, indeciso tra tornare dalla sua famiglia dopo aver perso tutto o finire la propria esistenza con un ultimo volo su Broad Street.
La storia parte la mattina di Martedì 29 Ottobre 1929. Frank entra in ufficio e il panico è totale, le persone urlano e piangono, in molti questa mattina hanno perso tutto, compreso il nostro Frank.
Sulla propria scrivania c’è un giornale che titoleggia “Black Tuesday”. Cosa farà il nostro protagonista? Si farà trascinare dall’emotività del momento o cercherà di restare più razionale? Nel primo caso si farà prendere dal panico, rendendosi conto che per lui, senza più un centesimo sul conto corrente, con una famiglia da mantenere sulle spalle, non c’è via d’uscita. L’ultima speranza sarà quella di chiudersi in sè stesso o del chiedere informazioni a un collega. La solitudine porterà allo sconforto conducendolo alla finestra del suo ufficio e a una caduta in cui la sopravvivenza non è contemplata. Nel caso in cui invece Frank leggerà l’articolo di giornale per saperne di più otterrà più informazioni sulla vicenda, scoprendo che le possibilità che i suoi risparmi ritornino sul suo conto corrente sono poche ma ci sono, non in tempi brevi però e non senza passare anni difficili. Avremo quindi la stessa scelta di prima, la solitudine o l’affidarsi a qualcuno, un collega, un amico, magari anche il nostro stesso capo. Entrambe le scelte ci condurranno a un’unica conclusione, chiamare casa. Nel momento in cui Frank chiamerà casa avremo tre scelte, parlare con i figli, con la moglie o con la madre.
Il telefono di casa squilla, e una voce di bambina risponde –Pronto? Pronto? C’è nessuno?- la cornetta si abbassa e il rumore di fine chiamata rimbomba nella testa di Frank, con che coraggio può tornare a casa, dai suoi figli, guardali negli occhi e dire che la loro infanzia sarà piena di insidie, che non potranno andare in vacanza con gli amici, non potranno andare a scuola, che per andare avanti saranno costretti anche loro a lavorare, saranno costretti a crescere troppo in fretta. Frank non regge la pressione di questa responsabilità e coi piedi sul cornicione della finestra si lascia cadere.
Se invece la moglie risponde al telefono entrerà in gioco la prima variabile che si attiverà solo nel caso in cui avremo chiesto aiuto  ai nostri colleghi. Il tono della conversazione potrà prendere due pieghe, una più rassicurante in cui la donna ci dirà che la nostra famiglia è forte e riuscirà a sopravvivere anche a questo, che la vita non è fatta solo dei soldi e che le piccole cose aiuteranno ad andare avanti. Il secondo tono è invece più rassegnato, accetterà la situazione che ha davanti, penserà alle fatiche che la famiglia dovrà compiere, agli anni bui futuri, ecc… Se avremo fatto la seconda scelta allora nel momento in cui si abbasserà la cornetta e la chiamata finirà Frank finirà steso sul marciapiede ai piedi del palazzo del suo ufficio.
Nel caso in cui Frank parlasse con la madre invece entrare in gioco la seconda variabile, avremo due scelte, solo nel caso in cui avremo letto il giornale all’inizio della nostra storia, la prima in cui la madre farà pesare sulle spalle del figlio tutto ciò che di male li aspetta in futuro, la seconda, conseguente alla variabile iniziale, in cui la madre logorerà sulla via della ragione facendogli tornare in mente l’articolo letto a inizio giornata in cui si leggeva che una possibilità per andare avanti esiste e che magari quando i suoi figli saranno grandi lui comunque riuscirà a riavere quello che ha perso. Sia la scelta rassicurante della madre che quella della moglie porteranno alla fine della chiamata.
Frank riinizia a vedere un futuro davanti a sé, per lui e per quelli vicino a lui, ma il suo desiderio di conoscere lo porta a controllare il suo portfolio di azioni per vedere veramente quanto è andato in rosso. Si era totalmente dimenticato di tutte le persone per cui aveva fatto brokeraggio, i soldi di persone innocenti, che con quel mondo non c’entravano nulla, amici, parenti, che in quel momento sono ancora ignari delle sfortune che si stanno per abbattere su di loro. Avremo quindi due vie, la prima in cui Frank, preso dal panico si suicida, la seconda in cui coraggio alla mano decide di iniziare il giro di chiamate, un po’ come il dottore che deve dire ai parenti che il paziente non è sopravvissuto all’operazione. Le famiglie sono furiose, hanno sbagliato a fidarsi di lui, si sentono tradite, per un suo errore ora sono sull’orlo del baratro. In molti non hanno più niente, saranno costretti a pignorare la casa, la macchina, tutti i loro beni, finiranno per strada. Frank piange, non riesce a respirare. Due passi ed è oltre la finestra.
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pangeanews · 5 years
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Sul romanzo più crudele di William Faulkner (ovvero: di quella ninfa violentata con una pannocchia)
Il 1929 fu un anno fondamentale, pattugliato da due libri. A gennaio Harcourt manda in libreria Sartoris. Soprattutto, il 7 ottobre di quell’anno, Jonathan Cape si convince a pubblicare L’urlo e il furore. Il libro, qualche mese prima, era stato rifiutato da Harcourt. Nel 1929 Faulkner ambienta – come sempre nel set di Yoknapatawpha – il romanzo che finalmente gli dona il successo. Il romanzo che ripudia.
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Dieci anni prima William Faulkner scriveva poesie – quelle che faranno la raccolta The Marble Faun – e guardava con desiderio Estelle Oldham, appena tornata da Honolulu. Facevano coppia, da ragazzi. Poi lei preferì l’avvocato Franklin, galeotto fu l’anello adornato di diamanti che le aveva regalato. Il 29 aprile del 1929, però, Estelle divorzia dal ricco avvocato e il 20 giugno di quell’anno sposa lo scrittore squattrinato. “Estelle è delusa dalla trasandatezza del marito… Estelle tenta il suicidio cercando di annegarsi… I problemi economici sono diventati una ossessione quotidiana” (così Fernanda Pivano nella Cronologia che completa le Opere scelte di Faulkner incapsulate nei ‘Meridiani’ Mondadori).
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Dice di averlo scritto per far soldi. Lo scrive chiaramente, in una introduzione celeberrima, nel 1932. “Questo libro fu scritto tre anni fa. Secondo me non è un gran che, come idea, perché fu concepito unicamente allo scopo di far soldi”. Questo è l’incipit. Non bisogna credere a Faulkner, mentitore seriale. La verità è che quel libro, Sanctuary, faceva tremare i polsi, faceva esplodere le caviglie. Faulkner lo termina il 25 maggio del 1929. Il suo editore gli risponde: “Non posso pubblicarlo. Finiremmo tutti e due in prigione”. ‘Will’ lo fa leggere a Estelle. Lei è inorridita e già rimpiange il suo avvocato, bolso ma ricco: “è orribile”. Faulkner si schernisce, “così venderà”, si fa scudo con la più banale delle bugie. Con la scusa del “così venderà”, finalmente, senza schermi, può dire quello che pensa dell’uomo e del mondo. Può dire lo schifo.
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“In Sanctuary Faullkner ha bruciato, se vogliamo, tutta la sua esasperazione per quella che egli chiama la follia umana; ha guardato alla società intera senza pietà alcuna, né per i malvagi né per gli innocenti, né per gli ipocriti né per gli idealisti, né per i vincitori né per i vinti. Nel dire di questa visione cupa dell’umanità lo scrittore si è qui affidato a una gamma di registri che vanno dal violento all’ironico al grottesco”. Così scrive Mario Materassi in Una nota su quella pannocchia, saggio raccolto in un libro fondamentale per chi voglia capire ‘Will’, Faulkner, ancora (Palomar, 2004). Materassi ha tradotto e curato l’edizione di Santuario appena pubblicata in economica da Adelphi.
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In sostanza, Santuario gira intorno a Temple Drake, minorenne, ninfetta, prototipo delle Lolite che verranno (“Gambe lunghe, braccia sottili, meline alte – una figurina infantile non più proprio bambina, non ancora donna, si muoveva rapida, stirandosi le calze, infilandosi sinuosa nell’abitino stretto. Adesso posso sopportare qualsiasi cosa, pensò calma, con una sorta di sordo, spento stupore; posso proprio sopportare qualsiasi cosa”). E a un brutale Popeye, che la violenta, in un fienile, con una pannocchia. Brutalità e impotenza, la donna non si stupra con la carne ma con la cosa (“Il procuratore distrettuale si rivolse alla giuria. «Presento come prova questo oggetto rinvenuto sulla scena del delitto». In mano aveva una pannocchia di mais”).
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“Sarò conosciuto per sempre come l’uomo della pannocchia”, ghignava, Faulkner, nel 1938. Il 9 febbraio del 1931 è sempre Jonathan Cape a pubblicare Santuario. Faulkner ha visto giusto. Il successo è lampante. Certo, amici, parenti, concittadini lo ritengono un pervertito, è norma per lo scrittore (ancora la Pivano: “A Oxford e in genere nel Sud si registrano reazioni indignate; molti concittadini tolgono il saluto all’autore, e il suo vecchio amico Mac Reed, padrone del drugstore dove da ragazzo leggeva di nascosto i libri che non poteva comperare, vende il libro incartato affinché non se ne possa vedere la copertina”). Dal libro vengono tratti due film: The Story of Temple Drake, nel 1933, con Miriam Hopkins, e Sanctuary, nel 1961, con Lee Remick e Yves Montand. Galvanizzato, lo scrittore si mette a scrivere Light in August.
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La fama del libro varca i confini americani: nel 1933 Gallimard pubblica Sanctuaire, con la celebre introduzione di André Malraux e quella sintesi, azzeccata, “è l’intrusione della tragedia greca nel romanzo poliziesco”. Anche il resto è pregio, comunque, fregio di un talento bulimico: “Nella pittura, è chiaro che un dipinto di Picasso è sempre meno ‘una tela’, ma piuttosto una scoperta, la pietra miliare lasciata dal passaggio di un genio. In letteratura, il dominio del romanzo è significativo perché di tutte le arti (e non dimentico la musica), il romanzo è il meno governabile, quello in cui il campo della volontà è più limitato. Quanto i ‘Karamazov’ e Illusioni perdute dominino Dostoevskij e Balzac, lo capiamo leggendo questi libri dopo i romanzi cristallizzati di Flaubert… Alcuni grandi romanzi furono tali perché hanno sopraffatto e sommerso il loro creatore. Lawrence si avviluppa nella sessualità, in Faulkner irrompe l’irrimediabile”.
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Nell’introduzione del 1932, Faulkner spiega il suo ‘metodo’. Il suo romanzo più grande e più estremo, Mentre morivo – pubblicato nel 1930 – è stato scritto nel 1929 – il solito anno fatale e fetale – mentre lavorava “come addetto al rifornimento del carbone, turno di notte, dalle 6 del pomeriggio alle 6 di mattina”. Ogni notte, “fra le 12 e le 4, in sei settimane”, rovesciando la carriola e facendone la propria scrivania, “scrissi Mentre morivo senza cambiare una sola parola”. Santuario, dice, invece, fu riscritto da cima a fondo, “strappai le bozze e riscrissi il libro”. Non sempre un grande soffrire produce un grande libro – in Faulkner ambizione e desolazione hanno prodotto un’opera assoluta. Da quel gorgo di anni scaturiscono i libri immensi, le ossessioni secolari. Che Santuario non sia un libro casuale, parziale, buttato là, lo dimostra il sequel – diciamo così – Requiem per una monaca, uno dei romanzi più alti di Faulkner, pubblicato nel 1951, poco dopo il Nobel.
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Sentite qui che bellezza, che sbalorditiva musica, demoniaco Faulkner. “Sotto il padiglione, una banda vestita del blu orizzonte dell’esercito suonava Massenet e Skrjabin, e Berlioz come una leggera spalmatura di torturato Ñajkovskij su una fetta di pane stantio, mentre il crepuscolo si dissolveva in umidi barlumi dai rami, sul padiglione e sui funghi severi degli ombrelli. Ricchi e sonori gli ottoni si abbattevano e morivano nello spesso crepuscolo verde, rotolando su di loro in tristi onde opulente. Temple sbadigliò al riparo della mano, poi tirò fuori uno specchietto e lo aprì su un visino in miniatura imbronciato, scontento e triste. Suo padre le sedeva accanto, le mani incrociate sul pomo del bastone, la rigida barra dei baffi perlata di umidità come argento ghiacciato. Temple richiuse lo specchietto, e da sotto l’elegante cappellino nuovo parve inseguire con gli occhi le onde della musica dissolversi negli ottoni morenti, al di là della vasca e dell’antistante semicerchio di alberi dove, a severi intervalli, meditavano le morte, tranquille regine di marmo maculato, e via verso il cielo che giaceva prono e vinto nell’abbraccio della stagione della pioggia e della morte”. (d.b.)
*In copertina: William Faulkner con Howard Hawks e Harry Kurnitz, photo Robert Capa
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levysoft · 5 years
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Non sarà il paradiso (delle Signore) ma un po’ di felicità il Black Friday ce la regala sempre. Anche se in Italia ci siamo arrivati con i nostri tempi, considerando la tradizione degli sconti folli di inizio stagione natalizia, nel mercato al dettaglio USA risale invece a oltre un secolo fa.
Cosa vuoi che siano 150 anni se per un giorno – quest’anno il 23 novembre – oggi finalmente possiamo comprare quando ci pare e cosa ci pare, comodamente rilassati sui nostri divani o postazioni internet, al riparo dai colpi bassi degli altri concorrenti-acquirenti, e in un orizzonte di acquisto da vertigine che nessuno avrebbe mai potuto immaginare, men che meno Adam Smith e tutti i suoi predecessori che indagavano l’utilità marginale.
Andiamo con ordine. Anche se tradizionalmente il Black Friday è fissato il giorno dopo il Giorno del Ringraziamento, tutto è iniziato piuttosto male, a dire il vero. Fonti giornalistiche statunitensi sul Web, probabilmente basate su altre fonti giornalistiche sempre statunitensi ma su carta, fanno risalire la nascita di tale definizione a un evento datato 24 settembre 1864 (che peraltro era un sabato). Fu il giorno in cui il prezzo dell’oro crollò a causa di una bolla speculativa appositamente creata da due figuri che la fecero anche franca, scappando mentre il mercato crollava intorno a loro.
Ma se di venerdì neri, nella storia dell’umanità, ciascuno di noi può raccontarne a iosa, questa cosa dei prezzi che crollano ha pur beneficiato qualcuno: gli acquirenti. E quale momento migliore del Natale per far felice un acquirente?
Deve essere stato il pensiero del CEO di Eaton’s, superstore simbolo della città di Toronto, quando dette il via alla “Eaton’s Santa Claus parade”, usando una delle forme più antiche e moderne di espressione popolare, specchio delle dinamiche sociali, pubbliche, familiari e commerciali, per dare vita ad uno scintillante “spettacolo commerciale” al quale dal 1905 parteciperà tutta la città per quasi un secolo. Quello che si chiama un successo!
E se Babbo Natale era il protagonista indiscusso di questo taglio del nastro all’acquisto del regalo più bello, ben presto il simpatico vecchietto che si veste come una lattina di Coca-Cola dovette presenziare una seconda parata, quella del Macy’s a New York. Così, dal 1924, due grandi celebrazioni pubbliche (e mediatiche, con articoli affiancati alle inserzioni pubblicitarie), celebravano il venerdì nero che dava il via alla stagione rossa e oro più amata da grandi e piccoli.
Un episodio particolare si registra nel 1939: era ancora vivo il doloroso ricordo del martedì nero del 29 ottobre 1929 a Wall Street, che diede il via alla Grande Depressione. Ebbene, nel ’39 il Giorno del Ringraziamento cadeva l’ultima settimana di novembre, e le vacanze natalizie erano davvero troppo corte (per tutti). Così gli operatori del commercio al dettaglio chiesero direttamente al presidente Franklin Delano Roosevelt di anticipare il Giorno del Ringraziamento alla settimana precedente, per allungare la stagione degli acquisti e scongiurare la bancarotta. Il presidente accolse la richiesta anche se non tutti gli Stati aderirono e quell’anno tra un oceano e l’altro ci furono due diversi Giorni del Ringraziamento. Il caso sollevato però fece in modo che nel 1941 il Congresso decidesse che il Thanksgiving Day sarebbe stato il quarto giovedì di novembre. E così fu, ed è oggi.
Altre ipotesi sulla nascita di questo nome, sempre in linea con le manifestazioni di deliquio da acquisto, parlano di traffic jam per le strade di Philadelphia negli anni ’60 e di policemen molto in overload di lavoro; e se l’origine esatta rimane ancora incerta, c’è chi ha pensato al semplice fatto che in quel giorno i conti in rosso (soprattutto di certi negozi), si trasformano finalmente in nero (cioè in saldo positivo), portando a casa l’anno (di lavoro).
Se dal punto di vista economico alcune stime parlano di una percentuale di vendite in un solo giorno che oscilla fra il 30 e il 40 per cento delle vendite annuali, con milioni di persone che escono di casa per comprare, quanto peso sociale ha il venerdì nero negli Stati Uniti? In Italia si fa ancora festa al lavoro per il Santo Patrono (in provincia come in città). In USA, negli anni ’50 hanno iniziato a darsi malati per partecipare alla festa dei ribassi tanto che ci sono aziende che hanno deciso di inserire quel giorno nelle ferie. Non supermercati e negozi, chiaramente. Non di chi ci lavora, nei grandi magazzini. (Ve la ricordate anche voi la storia di quel commesso a Long Island che ci ha, letteralmente, rimesso la pelle, schiacciato dalla folla che “entrava” nel negozio?)
Se accade che centinaia di persone possano accalcarsi di fronte alle porte dei grandi magazzini anche diverse ore prima dall’apertura, per l’ultima novità del mercato o l’oggetto desiderato, può capitare che ci siano incidenti anche gravi. Ecco perché, memori di quel supereroe dei fumetti che perse i genitori durante i saldi, molto meglio digitare su smartphone e tablet, anche per comprare durante il Cyber Monday del lunedì (26 novembre 2018).
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