Tumgik
#Rione Fossi
arteeofficial · 3 months
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Esplorando il Fascino di CasaAccadia e Rione Fossi: Un Connubio di Eleganza e Storia
Ho avuto il privilegio di vivere un’esperienza indimenticabile che ha coniugato l’eleganza di CasaAccadia con il mistero storico di Rione Fossi ad Acacdia. CasaAccadia, un gioiello di lusso, si trova in un’incantevole angolo della Puglia, mentre Rione Fossi, un borgo abbandonato tra i Monti Dauni, offre un viaggio avvincente nel cuore della storia. CasaAccadia: Un alloggio di Lusso e…
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accovacciarsibene · 10 months
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oggi ho visto il mio primo film in piazza maggiore. Ho sempre amato i cinema all’aperto e ho sempre avuto il desiderio di portartici, ricordi? Questi enormi schermi lasciati ad espandersi dentro luoghi comuni con lo sguardo che può rivolgersi ai paesaggi intorno e le orecchie che pescano suoni di vario tipo. Ti ho portata al parco del Poggio e poi al rione terra. Ne siamo uscite sempre felici e con tante cose da dirci. Penso all’ultima volta che ti ho vista, a come mi hai detto che con lui non puoi andare al cinema. Di cosa ti nutri in questa relazione? Ho pensato che la mia più grande paura con te era proprio quella di non avere altri stimoli. D’altra parte a volte avevo paura che ti annoiassi o che sbuffassi dinanzi a una mia scelta troppo pesante e ci ho messo del tempo per mandare via questa mia ansia, che in fondo era tutta da ricondursi alla paura che ti accorgessi che non fossi adatta a te (come poi hai fatto).
il film di stasera ti sarebbe piaciuto credo. Era la signora della porta accanto di Truffaut. Due amanti che hanno visto finire la loro relazione in modo travagliato si rincontrano dopo otto anni come vicini di casa. Basta questo per scatenare mille fantasie. “Nè con te né senza di te” è una delle frasi raccontate dalla voce narrante alla fine del film.
Al ritorno ho camminato molto triste assorbendo i colori di questa città che vorrei sempre più chiamare casa. Per quanto tu ne dica credo ti ci saresti trovata bene ma non lo sapremo mai e io forse ci metterò tanto tempo prima di sentirmi ferma davvero. Mi manchi in questi momenti e non ho paura a dirmelo perché so che resta tutto li.
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pizzettauniversale · 2 years
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Senza una ragione evidente, cominciai a guardare con attenzione le donne lungo lo stradone. All’improvviso mi sembrò di essere vissuta con una sorta di limitazione dello sguardo: come se fossi in grado di mettere a fuoco solo noi ragazze, Ada, Gigliola, Carmela, Marisa, Pinuccia, Lila, me stessa, le mie compagne di scuola, e non avessi mai fatto veramente caso al corpo di Melina, a quello di Giuseppina Peluso, a quello di Nunzia Cerullo, a quello di Maria Carracci. [...] In quell’occasione, invece, vidi nitidamente le madri di famiglia del rione vecchio.
Erano nervose, erano acquiescenti. Tacevano a labbra strette e spalle curve o urlavano insulti terribili ai figli che le tormentavano. Si trascinavano magrissime, con gli occhi e le guance infossate, o con sederi larghi, caviglie gonfie, petti pesanti, le borse della spesa, i bambini piccoli che le tenevano per le gonne e che volevano essere presi in braccio.[...] Erano state mangiate dal corpo dei mariti, dei padri, dei fratelli, a cui finivano sempre più per assomigliare, o per le fatiche o per l’arrivo della vecchiaia, della malattia. Quando cominciava quella trasformazione? Con il lavoro domestico? Con le gravidanze? Con le mazzate?
Storia del nuovo cognome, Elena Ferrante
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cristianasworld · 2 years
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Subiscono schock gli amici che pensavano fossi deficiente, gli amici che credevano fossi intelligente, quelli del mondo dell'arte quando scoprono che sono medico, i medici quando scoprono che sono ballerina, i ballerini quando vengono a sapere che insegno arti marziali e gli allievi quando vedono che ho scritto dei libri, subisce uno schock quello che pensava fossi fredda e quello che mi vede fredda quando era convinto fossi coccolona, quelli del rione hanno subito uno schock perché esco poco di casa, troppi post hanno scioccato i miei amici etc.... Così elencando il danno che si creano mettendo etichette alle persone.
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segretecose · 4 years
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“All’improvviso mi sembrò di essere vissuta con una sorta di limitazione dello sguardo: come se fossi in grado di mettere a fuoco solo noi ragazze, Ada, Gigliola, Carmela, Marisa, Pinuccia, Lila, me stessa, le mie compagne di scuola, e non avessi mai fatto veramente caso al corpo di Melina, a quello di Giuseppina Peluso, a quello di Nunzia Cerullo, a quello di Maria Carracci. L’unico organismo di donna che avevo studiato con crescente preoccupazione era quello claudicante di mia madre, e solo da quell’immagine mi ero sentita incalzata, minacciata, temevo tuttora che essa s’imponesse di colpo alla mia. In quell’occasione, invece, vidi nitidamente le madri di famiglia del rione vecchio. Erano nervose, erano acquiescenti. Tacevano a labbra strette e spalle curve o urlavano insulti terribili ai figli che le tormentavano. Si trascinavano magrissime, con gli occhi e le guance infossate, o con sederi larghi, caviglie gonfie, petti pesanti, le borse della spesa, i bambini piccoli che le tenevano per le gonne e che volevano essere presi in braccio. E, Dio santo, avevano dieci, al massimo vent’anni più di me. Tuttavia parevano aver perso i connotati femminili a cui noi ragazze tenevamo tanto e che evidenziavamo con gli abiti, col trucco. Erano state mangiate dal corpo dei mariti, dei padri, dei fratelli, a cui finivano sempre per assomigliare, o per le fatiche o per l’arrivo della vecchiaia, della malattia. Quando cominciava quella trasformazione? Con il lavoro domestico? Con le gravidanze? Con le mazzate? Lila si sarebbe deformata come Nunzia? Dal suo viso delicato sarebbe schizzato fuori Fernando, la sua andatura elegante si sarebbe mutata in quella a gambe larghe, braccia scostate dal busto, di Rino? E anche il mio corpo, un giorno, si sarebbe rovinato lasciando emergere non solo quello di mia madre ma quello di mio padre?”
(Elena Ferrante, L’amica geniale: Storia del nuovo cognome)
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Cara mamma, scrivo questa lettara nel giorno della festa della mamma, io oggi non ti ho dato gli auguri, non perché ti odio, ma perché tu non riesci mai a capire gli altri; pretendi di essere sempre capita perché forse in passato non lo sei stata ma io non voglio e non posso più capirti, sei solamente accecata di odio da tutto, pensi che chiunque ti voglia male e che solo i tuoi fratelli ti vogliono bene ma mi dispiace dirtelo ma sono le uniche persone a non volertene e vuoi sapere perché? Perché loro non ci sono mai stati, non ti hanno mai chiamata, non ti hanno mai considerata, neache quando potevi andare da loro, sei sempre stata tu ad "inbucarti" nelle loro case ma sinceramente a me questo non interessa perché tanto chi li vede più.
Torniamo a noi, sai che non ho mai visto una mamma dire quello che dici tu ai figli? Nemmeno la mamma di Davide che è stata davvero malata, nemmeno lei. Io non so perché tu faccia così, cosa ti sia mancato da bambina per far pagare a me tutto, perché io l'unica sbaglio che ho fatto è stato crescere con un mio cervello che fosse diverso dal tuo. Io ammiro un sacco mia sorella per la sua forza di farsi scivolare tutto addosso, mi sono fatta scivolare tante cose nella vita nonostante abbia vent'anni e tu non sai nulla di tutto ciò, una mamma si dovrebbe accorgere di tutto ma tu non l'hai mai fatto. Sai quante volte sono tornata a casa con le lacrime agli occhi da scuola? Sai quante? No non lo sai, eri sempre distratta e a te bastava che ti dicessi "si va tutto bene", non sono stata una di quelle ragazze che è stata bocciata o è andata male a scuola perché aveva i "problemi", io ingoiavo tutto, come ho sempre fatto, da sempre, mi facevo dei pianti sull'autobus che nemmeno immagini, quando nessuno voleva sedere a scuola vicino a me, quando ho praticamente perso l'unica amica "vera" che pensavo di avere, quando nessuno mi voleva in stanza in gita o quando nessuno voleva uscire con me, non pensare che io sia come dici tu "cattiva" o "presuntuosa" o "cagacazzo", sono semplicemente io, nessuno è uguale e ognuno ha un suo carattere. Alle medie mi hanno fatto i migliori dispetti ma all'epoca si è piccoli quandi non ci si bada neache più di tanto ma a me sono comunque pesate. Ricorda che ogni volta che tu dici che io non ho un'amica, sinceramente ne sono fiera, sono fiera di essere stata me stessa senza cambiare per piacere a qualcuno, per avere un amicizia falsa. Io sono fiera di tutto quello che ho fatto fino ad oggi, l'ho fatto con il mio sudore, con le mie lacrime, e con i miei mille dispiaceri.
Tu parli di me senza sapere nulla, senza conoscermi, senza esserti mai interessata davvero a come stavo, ti accontentarvi sempre del "sto bene" e io andavo avanti, andavo avanti tra le lacrime come stasera da sola in bagno a scrivere perché è l'unico modo che riesco ad utilizzare e che mi fa stare bene, non sai neache che io ho un blog dove scrivo i miei pensieri ed è anche molto seguito da persone che mi conoscono attraverso la scrittura che non mi hanno mai visto, gli piaccio per quel che scrivo, e non sai che da grande avrei voluto fare la scrittrice perché io amo scrivere, invece tu l'ultima volta che hai letto qualcosa, mi hai detto che non so scrivere e che era sbagliato, wow grazie come sempre di sminuirmi ogni volta.
Riguardo altre cose che non sai boh forse che io con Luca stavo bene ma non eravamo fatti per stare insieme; la confidenza che tu avevi dato ad Enrico, come ti avevo detto anch'io non era giusta, solo che tu volevi parlare con qualcuno, anche in buona fede ma lui non aveva la buona fede e all'epoca tu le amiche non le avevi. Poi passiamo a Lorenzo che gli ho voluto davvero bene e sono stata malissimo quando lui mi ha lasciato, mettendomi le corna, per poi lasciarmi così, ed è inutile che tu continui a dire che c'entra Alessandro ecc perché io con Alessandro non ci ho fatto assolutamente nulla, a parte qualche bacio, perché si mi piaceva ed è un bel ragazzo ma era un passatempo, non come fidanzato, non aveva la testa. Di Lorenzo all'epoca mi piaceva la trasgressione, si lo ammetto, era il periodo in cui disubbidire era figo, ma poi con il tempo le cose non funzionavano, non c'erano argomenti. Parliamo di Giuseppe, di lui non ho molto da dire a parte che non sono davvero andata a Roma per lui, anche se fossi andata ad Ancona ci sarei potuta arrivare con l'autobus o lui con il treno (a parte che l'università ad Ancona sta su un colle ed era scomodissima e menomale che non ci sono andata perché si sono trovati tutti male) ma non è questo l'importante, Giuseppe era il classico ragazzo, campo sui genitori e io non faccio nulla, non aveva dato gli esami, non aveva la patente, per andare in giro si doveva uscire in 4 ma come cazzo si fa, poi aveva pretese di comando su di me, e quindi no. Arriviamo a Davide che ogni volta dici che mi deve lasciare perché secondo te, mi deve capitare quello che è successo a te, invece di farti un esame di coscienza sugli errori, commessi da entrambi, no macché, inveiamo contro la figlia maggiore. Vabbè sti cazzi tanto quando leggerai questa lettera tu sarai andata via e io e te avremmo chiuso per sempre, com'è giusto che sia. La cosa che più mi mancheranno mamma, saranno gli abbracci, quelli di un tempo, quelli delle medie, dove io ero piccola e tu non mi odiavi, e non dire che non mi odii perché è palese, se ne sono accorti tutti, anche se continuano a di dire che tu mi vuoi bene ecc; papà stasera mi ha detto che ti dovevo venire a dare gli auguri perché lui in fondo ci spera ancora e continua a dire "la mamma è sempre la mamma", ma io non ci credo più, e papà non fa altro che ripeterlo da sempre ma tu hai sempre detto che lui ti diceva male... Non ti sei sempre comportata bene tu ma neache io, ci sono volte in cui ho esagerato con le parole perché magari ero allo stremo, altre volte in cui l'hai fatto tu ma comunque, io non sarei mai arrivata a far dire da un fratello che se vedeva tua figlia, la uccideva, ci sono cose che io non cancello, mai, ci sono cose troppo gravi. Tu non ci hai saputo insegnare cos'è la famiglia, com'è quell'ambiente sereno, che qualcuno chiama casa, ogni volta che tornavo a casa dalle superiori speravo di andarmene all'università per non tornare più; io per tre anni di università non volevo tornare a casa perché c'eri tu, io non so se ti rendi conto, quando tutti vogliono tornare, io avrei preferito andare più lontano possibile. Hai reso la mia vita un inferno, e l'unica colpa che ho è quella di essere nata, perché io mi ricordo tutto, e sinceramente la nonna non c'entra nulla, ha solo cercato di fare il bene della casa perché si usava così, poi che tu ogni volta che scendevi gli dicevi male e ti mettevi a litigare dove IO ti dovevo fermare, con le unghie e con i denti, sono sempre stata io a mettermi in mezzo a te e papà per evitare tragedie, eh si perché potevano accadere tragedie, perché tu porti una persona a un livello di esasperazione allucinante. Vuoi sapere cos'ho imparato da Davide, ad essere forte, a rialzarmi, a pensare positivo, a fare tutto perché un domani andremo via dalle nostre case, ed è una cosa orrenda da pensare ma è così.
Poi inoltre parli in continuazione di me, male con chiunque, chiunque, ma un po' di vergogna non la provi, per sangue sono tua figlia, io non direi mai male a mia figlia, manco se fosse una drogata, io boh senza parole comunque ma tanto a te non interessa, né dei figli, né di nessuno, solo della tua bellissima vita che dovrai fare a cinquant'anni, insieme ai tuoi fratelli che non ti hanno cagato mai. Ma io queste cose te le ho sempre dette in faccia, tu invece dietro, come con il tuo avvocato che è una persona spregevole e cerca soldi, e tu solo con una persona simile a te potevi diventare amica perché quando si lavora, si mantiene un certo distacco con le persone, funziona così, ma tu il mondo non l'hai mai voluto capire, ti è estranea proprio l'idea che non funziona come al rione delle case popolari, il mondo esige Intelligenza, cultura, ambizione ecc cose che tu non hai e che non hai manco voluto acquisire e non prenderla a male perché io queste cose te le ho dette anche in faccia.
Io vado all'università, come dici tu "scienze delle merendine", ma cara mia io guadagno già da ora e tu non potresti manco parlare dato che non sai manco come si accende un PC, figuriamoci creare qualcosa, ma a te piace quella ragazza che fa la ragazza che vive alla giornata, io non sono quella, io sto costruendo un futuro, mi laureò e inizierò a lavorare (la tua simpatia per Serena che non fa nulla nella vita, fuma e beve è sempre più per me un mistero, una persona stupida come una capra però vabbè); la cosa bella mamma di tutto ciò è che sinceramente sarà già un po' che non ci sentiamo e ricordati che i figli non hanno bisogno del genitore per essere tali ma il genitore ha bisogno dei figli e questo non dimenticarlo mai. Sicuramente non verrò da te a farmi tenere i figli, si li conoscerai ma sai come una nonna lontana che verrà magari a qualche ricorrenza, perché io ho deciso di crescere e di crearmi una famiglia lontano da te, dal tuo modo di essere, dal tuo odio e dalla tua maleducazione, chissà se quando avrai 60/65 verrai a reclamare i nipoti, avrai quelli di giada e forse ti accudirà anche lei ma io di certo no. Per quanto riguarda la nonna, io spero viva per sempre, la nonna mi ha insegnato tanto, mi ha insegnato ad essere donna, mi ha insegnato che nella vita bisogna lavorare ed avere ambizione per costruirsi qualcosa, mi ha insegnato che la famiglia è una cosa che comunque vada ti accoglie sempre e non ti lascia mai indietro, mi ha insegnato tante cose, anche ad essere forte perché sapeva che saremmo rimaste da sole, io la nonna l'ammiro molto sia come donna che come imprenditrice, come moglie nonostante il nonno sia stato un uomo difficile e di altri tempi, come mamma perché ha saputo insegnare alla zia come si costruiva una famiglia, per papà, il mio caro papà, un papà che tu in primis mi hai rovinato, un papà che spero sappia insegnare a giada tutto quello che ha insegnato a me, un papà di cui io ho un ricordo bellissimo, ma che tu hai sempre descritto come un mostro, non l'hai fatto rispettare e l'hai deriso, non l'hai fatto rispettare dai tuoi fratelli in passato perché eri tu la prima a non rispettarlo; sono due anni e passa che io sto con Davide e l'unica cosa che non è mai mancata tra di noi è il rispetto reciproco come ho rispettato sua mamma e suo padre quando sono andata da loro, come ho rispettato sua zia che praticamente è diventata anche la mia (mi scrive tutti i giorni e mi aspetta sempre).
Aspetta ma tu hai anche (forse) qualche non colpa, non è colpa tua se tua mamma non ha saputo fare la mamma, non è colpa tua se tuo padre è morto giovane, non è colpa tua se ai tuoi fratelli mancano molte rotelle in testa, uno peggio dell'altro (forse si salva Benito ma per il semplice fatto che è stato con Giusi e quindi stando con persone che stimolano la tua intelligenza, si diventa intelligenti wow), a te non è mai interessato rapportati con gente colta, intelligente, per bene, ti piaceva andare con i poveretti che non ti potevano dare nulla a livello intellettuale, perché si, si frequentano le amicizie, le persone perché ti arricchiscono mentalmente, non ti devono impoverire. Una cosa la so però che tu non sarai mai la donna che io voglio essere da grande, non sarò mai la mamma che sei stata con me, non sarai mai la persona a cui ambirò perché? Perché cara mamma tu non hai arricchito me, mi hai impoverito, mi hai resa nervosa, schiva, maleducata, poco cordiale, intollerante alle cazzete, non sopporto le bugie (ne ho sentite troppe da te), insicura, ecc e io so che non sono così perché Davide parla sempre di me e forse lui ha visto qualcosa che nemmeno io non ancora riesco a vedere, so solo che sono sola, mi sento sola, mi sento più che è abbandonata, forse questa sensazione cambierà ma adesso è così. Vorrei aver avuto una famiglia diversa; mi brillavano gli occhi ogni volta che andavo a casa di qualche amica e i genitori erano così genitori, apprensivi, cordiali, sorridenti, mentre tu agli occhi degli altri appari un angelo ma quando non c'è nessuno dai il meglio di te. Mi ricordo ancora quando mi menavi, perché si tu mi menavi ma non come si menano ai figli, tu mi hai preso a calci, fatto sbattere la testa contro il muro e contro la finestra, ne hai fatte tu eh, ora con giada ci parli? Perché non hai parlato anche con me? Perché io avevo sempre la peggio anche quando non c'entravo nulla? Perché? Spiegami il motivo, io ero piccola, non avevo una grande forza, e tu mi facevi tutto questo. Ho anche molti ricordi belli di te, ma la maggior parte vengono offuscati da questi, da questo odio e rancore che provo anch'io ora, per avermi privato della spensieratezza, per avermi privato di non avere problemi per la testa, invece dovevo sempre stare a pensare "speriamo che a casa nessuno ha litigato", uscivo con questo pensiero e rientravo con questo pensiero, tu le cose non le sai, non le hai volute capire e quindi te le sto scrivendo, ti sto scrivendo tutto quello che non sono riuscita a dirti perché con te non si riesce a parlare, con te si litiga solo anche se nessuno vuole litigare, tu litighi da sola. Mi piacerebbe che un giorno tu ti renda conto della figlia che hai e smetta di sminuirla ed offenderla sempre, mi auguro che prima o poi con la lontana questo avvenga, ci spero sempre, ci ho sempre sperato che tu ti accorgessi di me, di come sono fatta e di come rispetto alle altre ragazze sia stata una brava figlia, ci spero davvero.
Ciao mamma.
Martina
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Roma
Quando penso a chi mi manca di più penso a te, ci credi? Perché in effetti per me sei la persona più saggia e bella del mondo, perché sei Roma. 
Mi manchi come se fossi una persona, perché ci sei sempre per me e mi pare quasi di parlarti dato che sono cresciuta con te e dentro di te. 
Mi manca uscire e sapere di poterti vedere, mi mancano quei giorni di sole in cui decido di scendere a Colosseo senza motivo, solo per poter alzare lo sguardo sul tuo cuore e pensare che non ne ho mai visto uno battere così, e solo allora sento il mio battere all’unisono e sento di essere il tuo sangue. Penso di essere come un globulo rosso che scorre insieme a tutti gli altri abitanti, scorriamo nelle tue vie, nelle tue vene, portiamo ossigeno al tuo cuore rosso e respiriamo con te. Mi manca portarti ossigeno e riceverne altrettanto, scorrere per le tue vene con gli altri e guardare le tue vie, che non mi basta una vita per vederle tutte. 
Fermarmi davanti al Colosseo quando sono triste e farmi accogliere da lui come un amico e confidente, guardarlo dritto nei suoi finestroni come fossero orbite e trovare conforto in quegli occhi. Nessuna parola mi dice, ma mi conosce bene e lo sa cosa significa quando lo guardo con quell’espressione, non glielo devo dire. Lui ne ha viste tante di facce, un numero che nessun uomo ha mai pronunciato, un numero che è più infinito dell’universo. Ha visto la gente morire e susseguirsi nei secoli, e ora è li che guarda anche me, questo mi fa sentire parte della sua storia, mi piace crederlo. 
Poi mi manca camminare su quei terribili sampietrini che adoro, magari prendermi anche una storta e maledirli come sempre. Guardare i Fori e fermarmi perché sono sempre tua turista anche se sei casa, perché sei cosi grande che non ti scoprirò mai tutta. Mi fermo sempre a guardare bene anche le cose che conosco perfettamente, non sono mai scontate per me, perché ogni volta penso a quanto sei bella e non ci sarà giorno in cui guardaró il tuo profilo senza darti il giusto sguardo, lo sguardo che ti meriti, non te ne dedicherò mai uno distratto. Mi manca stare sul 30 e alzare gli occhi sull’Altare della Patria, lo faccio sempre quando ci passo davanti come fosse un gesto naturale dato che sto passando accanto a qualcosa che non posso perdermi, anche se la conosco bene. 
Mi manca camminare senza sapere nemmeno dove sto andando, camminare solo per viverti un pó, accompagnata da qualche suonatore bizzarro che è seduto sul marciapiede. Suonano per te, suonano con te; mi dispiace pensare che le vie ora siano silenziose, senza le tue canzoni, senza qualcuno che grida “Ao”, senza il rumore, senza i clacson, senza i turisti.
Mi mancano i tuoi rumori, ma anche i profumi, i colori; quel tuo bel cielo serale che alzo lo sguardo e ringrazio di poterlo vedere uno spettacolo cosi. Mi manca farmi Via del Corso fino a Piazza del Popolo, sedermi sotto l’obelisco e guardare le vite che scorrono, per poi decidere di guardare te dall’alto a terrazza del Pincio e dedicarti un sorriso a mezza luna. 
Mi manca camminare lungo il tuo fiume, attraversare i ponti e fermarmici, guardare quell’acqua, la tua linfa; mangiare qualcosa al volo seduta sulle scalinate a Piazza Venezia, con la testa leggera e lo sguardo lontano che riesce a vedere il cuppolone che si ingiallisce nella sera estiva fino a che il sole non muore su di te macchiandoti rossa del suo sangue, ma pronto a tornare il giorno dopo perché ti vuole illuminare ancora. 
Poi Trastevere, che nonostante sia bella anche senza di me, mi manca e solo a pensarci mi si stringe lo stomaco; le serate barcollanti e colorate con gli amici in quelle vie strette e vive, mi manca sedermi su quelle gradinate mentre mi sento bene e penso che non mi serva altro, mi sento la tua ciumachella. Fare tardi senza accorgersi che ti sei fatta scura, salire su un notturno solitario illuminato a neon e attraversare la notte mentre dai finestrini vedo la gente sui tuoi terrazzi che fuma.
Sai che mi manca? Scendere a Cavour e girare per i negozi vintage, provarmi degli occhiali gialli e vedere il mondo cosi per un po’ mentre mi faccio un giro per Rione Monti. Mi manca vedere Fontana di Trevi, maledire i turisti che non me la fanno guardare bene; ma lo sai che ci ho buttato un soldo solo una volta nella vita? Quando ci torno lo rifaccio, promesso. Prometto anche che rientro nel tuo Pantheon e guardo nel suo occhio ciclopico anche se l’ho fissato tante volte pensando alla pioggia che lo attraversa. Prometto che torneró a vedere Piazza San Pietro e che andró a cercare tutti i tuoi angoli più segreti.
Mi manca Campo de’ Fiori e guardare la statua di Giordano Bruno quasi con riverenza. Mi manca andare a Villa Pamphili ma sopratutto a Villa Borghese, stesa sul prato e di tanto in tanto allontanare chi cerca di vendermi una rosa. Mi manca guidare nelle tue strade che mi fanno sobbalzare sul sedile, con qualche melodia dalla radio mentre ai finestrini scorri tu come la pellicola di un film ma sei più bella di un set cinematografico.
Mi mancano gli spritz a due euro del Chiringuito il mercoledì sera, che forse sarà lo spritz più annacquato di sempre ma è il più buono, bermelo in compagnia su quelle panchine sgangherate mentre il brecciolino mi scoppia sotto le suole e c’è quel vociare tutto attorno. Passare una serata cosi, arrivare a parco Schuster d’estate e poi guardare la Basilica illuminata nella notte. Magari arrivare più avanti a Ostiense dove ci ho passato infiniti momenti e poi guardare il Gazometro che sembra la carcassa - ormai scheletro - di un animale gigante che veglia sulla città. Mi manca stare sulla metro e guardare fuori guando passo a Garbatella ma soprattutto a Piramide, che il sole entra nel vagone e guardo le pietre poggiate sull’erba di fuori e mi viene sempre voglia di scendere e magari farmi un giro al Cimitero Acattolico. Mi mancano gli autobus, vedere Roma da quei finestrini sporchi mentre traballo sui sedili.
E se Roma è la mia casa, l’Eur è la mia camera, e quella mi manca molto perché ci sono tutte le mie cose più care che ho imparato a conoscere negli anni da sempre. Sai più di tutti cosa? Il mio laghetto, che se contassi le ore che ci ho passato nella vita e i chilometri che ci ho percorso non basterebbero cento mani. Ci andavo anche solo per passeggiarci e respirarlo, per farmi tirare su perché lui mi conosce meglio di tutti. Andavo su quelle altalene con mio nonno e se le guardo mi ci vedo ancora, mi ci vedo ancora a fare i giochi. Ora lo percorro innumerevoli volte e mi manca stendermi su quel prato e guardare quel cielo, attraversare il ponticello, che ho visto rovinarsi sotto i miei piedi negli anni. Il laghetto ha visto il mio primo amore nascere e fiorire in lui, come i suoi ciliegi che quest’anno non verranno ammirati da nessuno e resteranno muti fino a quando non appassiranno. Mi manca riflettermi in quell’acqua che anche se è sporca mi sembra limpidissima perchè mi ci specchio e ci vedo tutta la mia storia riflessa.
Mi mancano viale Beethoven, Piazza Sturzo e le sue scalette e quel Mc in cui ho passato momenti infiniti e notti infinite. Mi manca passare davanti al liceo con i miei amici e guardarlo come si guarda un genitore, che non l’ho odiato nè amato, lo guardo con il rispetto dovuto perché in fondo gli voglio bene. Fare le scalinate fino a Spep, berci la birra lì e poi andare al Colosseo Quadrato, passare la serata anche solo a guardarlo, fino a che non lo si vede spegnersi e allora sai che ore sono, come se a scandire il tempo non servisse più un orologio ma bastasse Roma. Mi manca il nostro posto vicino agli archivi, seduti in una macchina con la musica che ti fa da colonna sonora. 
Mi manca prendere la metro a Laurentina ed entrare come fosse un varco per la scoperta, uscirne ore dopo stanca ma guardare il cielo ed essere serena, che anche mettermi ad aspettare l’autobus non mi pesa. Mi mancano anche questi tuoi difetti, mi manca lamentarmi di loro, sbraitare contro l’atac e sbuffare davanti alle scale mobili guaste. Che chi ama apprezza anche i difetti e io ti amo come sei, perche se fossi perfetta non mi piaceresti allo stesso modo, perchè mi piaci caciarona e rumorosa. Mi manca parlare con i vecchietti rompipalle alla fermata dell’autobus, andare a mangiare dal greco, andare dal bangla a comprare i filtri che ho finito o qualche limoncello di seconda marca a basso costo, mi mancano le tue luci di notte e i tuoi sottopassaggi.
E ti dico grazie perché mi fai provare tutto questo, come quando sono nel Giardino degli Aranci su quella panchina al sole e la musica suona, che sei tu che mi fai capire quanto sia bella la vita e che non voglio sprecare nemmeno un momento perchè voglio viverla questa Roma. Che ho visto decine di città e posti bellissimi ma ogni volta che rimetto piede sul tuo suolo e ti guardo so che non vorrei stare da nessun’altra parte, perchè nulla è più bello che tornare da te.
E forse sei l’unica costante della mia vita, l’unica certezza, l’unica che non passerà mai. Tu che sei eterna, io sono solo un tuo battito di ciglia ma mi basta.
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Avrei voluto guardare un film di Rohmer ma non ho trovato una versione con sottotitoli
La ragione per cui penso di non essere riuscito a sistemarmi con un film questa sera è che le energie superiori che mi guidano nella vita hanno soffiato sul filo che guida la piano sequenza delle mie azioni perché io finissi a liberarmi delle idee che mi affollano la testa. È una sensazione lievemente euforizzante. Nonostante il sonno poggi il culo, ancora con clemenza, sulle mie palpebre, il passo lento e sicuro con cui sento il discorso uscirmi dal cuore mi promette di farmi sentire meglio. È la prima volta effettivamente, se ci ragiono, che riesco a metter mano su un foglio bianco. È la prima volta che vengo colto da un’onda di pensieri che sento di voler mettere per iscritto. È la prima volta da quando mi sono lasciato con A****a e da quando ho messo da parte L***s e qualsiasi altro omiciattolo che riesco a mettere mano sulle curve tonde ed abbondanti del mio intelletto.
Ciò che mi porta qui questa sera — è ancora sera, sono le 22:06 — è un pensiero che ho appena ricordato essere quello scatenante: il terrore, silenzioso, di appassire. Pensandoci bene è un pensiero che ultimamente mi ha baciato le tempie con particolare costanza. L’idea che a ventitré anni rimanga poco tempo prima di prendere la forma più bella che il mio corpo vedrà mai. E con questo pensiero si accavallano numerose, incresciose, domande. Al momento della mia massima bellezza cosa dovrei fare? Come posso essere sicuro di vivere quelle tre settimane della mia bellezza massima con la consapevolezza di averne tratto quanto più possibile? Come si agisce per trarre il massimo beneficio dal proprio momento di massimo splendore? È un pensiero che in un modo o nell’altro mi fa spesso visita, quando guardo Gena Rowlands, facendo avanti e indietro nella sua filmografia, diventare più bella o più vecchia — mai più brutta.  È un pensiero che mi viene in mente quando penso che non mi sto dando in pasto alle mani degli amanti più belli, che non sto consumando la loro carne fresca. Penso di avere una fascinazione particolare già all’età di ventitré anni per gli adolescenti. Alla stregua della pedofilia, poiché tale suppongo verrebbe definito giuridicamente il mio intrigo per qualcuno di più giovane di me. Degli adolescenti ammiro la carne, la freschezza, l’intrepida voglia di fottere, lo scalpitio dei miei stessi piedi su una bicicletta persa nelle colline di Cassino alla ricerca di P***o per scoparlo in un capannone nel bosco. Sono nostalgico dei miei diciassette anni già a ventitré. Come se fossi cresciuto a dismisura. Ma non si tratta di essere cresciuto prematuramente. Si tratta di aver buttato al cesso per due volte dei periodi lunghi anni per via delle palle che non ho avuto. Se penso alle mie relazioni compulsive vedo di fronte gli occhi immagini di carne bruciata, escoriata, nera, solidificata in croste. Avrò tempo per eliminare ciò che non è necessario ai fini narrativi una volta battuto l’ultimo punto. Adesso dovrei soltanto scrivere per il gusto di scrivere, senza perdermi nei manierismi nei confronti di qualcuno che non esiste e che può comunque essere accontentato in un secondo momento grazie alla revisione dei conti. Spostare, abbellire, rimodellare. È quello che manca alla mia pazienza d’autore. La forza nelle vene dei miei polsi, quelle che portano segue nelle mani e nelle dita. Quelle che permettono di fare tutti i movimenti atti a scrivere. In quelle scorre la codardia. Il blocco lungo quindici minuti causato da una parola che non corrisponde precisamente all’immaginario semantico che avevo in mente e quindi va trattenuta e ragionata piuttosto che essere scritta di getto. In virtù della stessa vecchiaia prematura che non ho acquisito ma che sento comunque di possedere dentro di me, posso dichiarare di aver compreso a pieno l’inutilità delle mie pignolerie. Posso, a quest’età, essere artefice di un cambiamento di cui nessuno avrà mai notizia: mi farò redattore, editore, revisore dei miei stessi ragionamenti nonché unica testimonianza della possibilità della mia mediocrità. È questa la paura più grande. La mediocrità. In effetti ora che ci penso è proprio la paura della mediocrità che mi si siede affianco e mi bacia le tempie mentre guardo un documentario sull’assassinio di Sharon Tate e mi rendo conto di quanto fosse nel pieno della sua bellezza al momento della sua morte. È la paura della mediocrità che mi fa notare come fosse bello Roman Polanski sulle copertine dei tabloid mentre calpestava i marciapiedi della Londra glam degli anni sessanta. Non capisco perché questa paura si accanisca così appassionatamente sull’eventualità del diventare brutto. Avevo scritto iper-glam ma mi rendo conto di come alleggerire renda più piacevole la lettura.
La soluzione a questo male è attuata mediante il mio stesso scrivere questo pezzo questa notte. L’unica immagine di conforto che riesco a vedere nell’esistenza dello stesso Roman Polanski è che di lui non rimarrà tanto il piacere del ricordo del suo volto scapigliato nelle foto risalenti all’epoca della sua residenza allo Chateau Marmont. Di lui rimarrà piuttosto la sua filmografia. Rimarrà la mia gratitudine per aver scelto John Cassavetes come ruolo principale in Rosemary’s Baby così da dargli soldi abbastanza per produrre i suoi primi lavori e far poi eventualmente salire alla ribalta sua moglie, nonché una delle mie attrici preferite. Della stessa Gena non rimane che la testimonianza della sua eleganza e del suo portamento degli anni settanta. Della sua bellezza di quarant’anni fa non rimane che la prova che sia un tempo esistita. Ma del suo talento, della sua capacità di vivere quelle vite facendo credere a noi tutti che in realtà si trattasse della sua stessa esperienza di prima persona, non si è persa la traccia. È per questo che sono qui questa notte. Perché dentro di me so che l’unico modo in cui riesco ad immaginare di vivere questa vita è senza grandi smanie, senza grandissime richieste. Vi chiedo soltanto un certo agio, assolutamente non smisurato e non talmente abbondante da finire per farmi sentire un vecchio morto nella vacuità del proprio profumo. Voglio immaginarmi settantenne, ottantenne e portatore di storie. Solo nel mio appartamento voglio aver vissuto vite su vite, create e cucite da me. Non ho bisogno di nessun sogno di gloria. Non ho alcuna ambizione di fama. Voglio soltanto farlo in una maniera che mi dia soddisfazione quanto debba dare soddisfazione e malinconia alla Rowlands rivedersi interpretare la scena dell’ubriacatura in Opening Night. Vi giuro, lettori — che nel frattempo ho iniziato a contemplare — che a me basterebbe arrivare un giorno a sorridere di soddisfazione nell’appagamento della ricognizione del mio intelletto. Che mi si lasci a marcire in un appartamento che sia a New York come che a Roma — anche se a Roma non accetterò di abitare se non in Rione Monti o su una qualsiasi villa in Viale Regina Margherita o Viale Regina Elena — come che a Berlino, proprio dove sono adesso a scrivere questa pagina di diario. Un giorno voglio poter riguardare al mio momento di massimo splendore e ricordarmi di come le mie mani fossero già capaci della bellezza immortale dell’arte. La bellezza immortale della creazione di vite parallele in cui sia io che altre persone sapevo avremmo potuto nasconderci, rifugiarci, soggiornare, per mesi, inglobando dentro di noi personaggi che sono stati scritti nascondendoci dentro i segreti di terze persone, le elucubrazioni sulla società, i dettagli non sfuggiti ma che non aveva senso confidare a nessuno.  Morire col sorriso in faccia poiché in una sola vita sarò stato sì una sola voce narrante, ma Padre Eterno legiferante nell’ecosistema di mille storie diverse. Lo farò non per la fama, ma per mettere a tacere la mia paura di morire, consolandomi con la speranza di essere stato bravo.
Tutto questo per promettermi, non so quanto vanamente e sarà solo il tempo a dirmelo, di trascrivere ogni storia mi venga in mente di scrivere. Ultimamente ho pensato già alla storia di Gloria che riesce ad uccidere il presidente degli Stati Uniti d’America grazie al suo club del libro e grazie all’omicidio per somministrazione di polonio. Ho pensato alla storia delle Telma e Louise come omosessuali maschi che fanno soldi rispondendo positivamente a tutti i disperati di grindr che promettono di pagare anche solo perché gli si caghi nel bagno o gli si facciano leccare piedi. Ho pensato alla storia del salone di unghie di Osloer Straße e l’intrico di sguardi tra l’uomo che intravede sempre qualcosa in più al di là della vetrata e il ragazzino vietnamita che sta mettendo del gel a una smandrappona qualsiasi. Ho tanto a cuore la mia fantasia e voglio celebrare la liberazione dalla schiavitù dal romanticismo con il pieno dominio dei miei pensieri e con la stesura di romanzucci, storielle da niente, senza morale, scritte per il gusto di inventare la vita di terze persone e di sapere di riuscire a condurre gli eventi da un punto A ad un punto B. Senza pretese, col solo rischio di diventare un giorno bravo abbastanza da poter guardare indietro nostalgicamente solo alla mia faccia di merda. Voglio provare nostalgia solo di quella. E voglio sentire gratitudine nei confronti della stessa faccia di merda, per avermi spinto a coltivare quella che sospettavo essere una risorsa.
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koufax73 · 5 years
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Giò: "Questo amore non c'è" è il nuovo video #trakoftheday
Giò: “Questo amore non c’è” è il nuovo video #trakoftheday
Giovanni Favatà, in arte Giò, cantautore nato a Foggia trentun anni fa, pubblica il nuovo video Questo amore non c’è.
Il videoclip è stato girato presso Rione Fossi ad Accadia, Borgo antico e “fantasma” del comune dauno, a Candela presso la “Cittadella”, da Photoart&Music.
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yesiamdrowning · 6 years
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Bologna.
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Da più di vent’anni ho amici che vivono a Bologna. E da vent’anni sono sempre stato uno di quelli che “fortunato te che vivi a Bologna”. Sarà che quand’ero al liceo e poi all’università qualcuno ha detto pure a me che Bologna è la Londra italiana, ci sono rimasto sotto. Le prime volte non badavo neanche alle risposte che mi venivano date. Poi iniziai a notare dei sospirosi “eh già” e infine, quando ai party selvaggi si sono sostituite le cene a casa, ho incominciato a chiedere a bruciapelo: spiegami, perché Bologna continua a piacere così tanto! Qualcuno, sorpreso, mette assieme qualche motivazione, mentre continua a imboccare un marmocchio o trascina il cane giù dal divano: perché è pieno di belle ragazze, è la versione dei perenni latin-lover; perché c’è gente che sa vivere, è la versione dei nottambuli; perché ci sono i portici e si può uscire anche quando piove, è la versione degli urbanisti. Qualcuno, più impegnato, mi dice: perché è una città a misura d’uomo. Qualcuno, più onesto con se stesso, mi dice: perché vengo da Pescarolo. A pensarci, anche Padova è a misura d’uomo e anche a Modena si mangia un gran bene, anche i romagnoli sanno decisamente come vivere, e pure Treviso ha i suoi portici sotto cui passeggiare, e le ragazze di Macerata o di Livorno mi pare che non abbiano nulla da invidiare alle bolognesi - tra l’altro difficilissime da scovare tra migliaia di universitarie fuori-sede. Capitolo a parte meriterebbe poi tutto il sud dell’Italia in blocco. Nessuna di queste città, tuttavia, raccoglie il plebiscito di simpatia che tocca a Bologna. E questo mi sembra il primo dato su cui riflettere. Una spiagazione è forse, per così dire, di natura logistica: “importante snodo ferroviario”, come si impara a scuola, per Bologna passa più gente che per le altre città e quindi ci sono più ricordi e anche più leggende. Ci sono quelli che hanno fatto il servizio militare lì, nel terzo artiglieria, quelli che c’hanno incontrato l’esperissima Isotta, quelli che c’hanno iniziato il Dams e hanno finito per baraccare alle feste degli universitari fino a trent’anni, quelli che ci sono andati per un concerto al Covo ma hanno tamponato in via Stalingrado e sono finiti al Freakout (e vi assicuro che sono due esperienze totalmente diverse), quelli che hanno assistito al live dei Mr. Bungle all’Estragon nel 1996 “senza sapere che ci fosse Mike Patton”, quelli che hanno perso la coincidenza per Venezia Mestre, o che hanno fatto una sosta obbligata perché salire verso il nord è un’anabasi estenuante e una trattoria bolognese è un buon modo per sopravvivere e per rimanere ancorati alla genuinità prima di soccombere nei ritmi industriali. Poi ci sono le parole, o meglio parole-simbolo che alimentano miti godereccio-gastronomici: “tortellini” suona dieci volte di più allegro di risotto allo zafferano o fonduta o abbacchio e anche “lambrusco”, per quanto sia uno dei vini a più alto rischio-sbratto che ci siano in giro, è una parola più allegra e musicale di chianti o nero d’avola. Lo senti e immagini già una tavolata in taverna con Guccini, Dalla e Vecchioni che cantano Porta Romana. Allora perché non vivo a Bologna? La prima risposta che mi viene è questa: perché dove vivo in poco più di tre anni sono riuscito a crearmi un microcosmo di affetti e abitudini, mi sono creato un bozzolo e mi ci trovo bene dentro. Tante volte, anche per motivi lavorativi, mi sono chiesto se, potendo trasferire questo bozzolo, andrei a vivere a Bologna ma finisco sempre per dirmi che se fossi in grado di andare là, probabilmente potrei vivere indifferentemente a New York, a Sydndey o a Parigi. E se approfondisco la mia riflessione, concludo che tutto sommato questo bozzolo preferisco tenerlo dove sta. Perché? Un po’ perché mi sono affezionato ai portici della mia città, più affettuosi, più casalinghi dei larghi splendidi portici di Bologna e un po’ perché mi inquieta tantissimo una cosa: se tolgo quelle mie amicizie bolognesi da vent’anni, conosco ragazzi che in cinque anni di Bologna hanno stretto rapporti con tre persone in croce. Perché se è la Londra italiana (forse) per i pregi, lo è (senza dubbi) anche per i difetti; magari non per lo smog ma sicuramente per i rapporti mordi e fuggi. Ci sono ragazze/i che si sono fatti “½ città” da così tanti anni che a quest’ora Bologna dovrebbe avere 6OO mila abitanti. Ci sono occasioni in cui vai a una serata e incontri un tuo amico di Catania ma non incontri gli amici di Bologna. Sono anni che passo per la piazza sotto casa di un’amica: non ci siamo mai incontrati per puro caso, mentre una volta ho incrociato Michael Amott dei Carcass in via Rizzoli. C’è una tradizione che preme sulla città ed è una tradizione campagnola, quella saggia, che raccoglie raffinati e semplici, cattolici e comunisti, che nel corso degli anni, si è evoluta, si è educata e alla fine si è assuefatta alle civetterie, sotto gli occhi di tutti.  Se arrivi da fuori, dopo pochi passi percorribili a piedi o con i mezzi pubblici in costante movimento di giorno e notte, puoi rimanere meravigliato dalle vecchie stradette del centro storico dove è difficile trovare altrove un’operazione così meticolosa di restauro cittadino; puoi sorprenderti dell’umanità delle piazze nel rione della Bolognina, puoi lasciare il cuore sul menù dell’Orsa, o nella granita al pistacchio di via Mascarella e nel vicino Modo (definirla libreria è riduttivo); ma se ci nuoti un po’ puoi restare sorpreso di quanti bolognesi siano solo meri osservatori per poi postare foto e commenti su Facebook a mò di Tripadvisor o giornalino d’istituto mentre puliscono le loro Vans per il prossimo concerto dove “bisogna esserci”. Ecco, Bologna è la città-orgia degli eventi ai quali bisogna presenziare: la mostra dedicata a Bowie, il concerto dei Converge e almeno 1O concerti l’anno come quello dei Convege, un tempo il Decadence ora il College Party (stesso posto, livello culturale anche), il Bilbolbul, l’I-Days, il Biografilm, le serate al Cassero, eccetera. Un tempo si diceva “Bologna è la città-vetrina dei comunisti”. Certamente, una città-test dove i comunisti hanno sfoderato una certa efficienza accompagnata da una buona dose di fortuna dettata dal contesto: a Milano o a Torino penso che i comunisti non sarebbero riusciti a fare nessuna vetrina. Peccato che a furia di allestire questa ventrina abbiano finito per confondersi con i manichini. Tant’è che adesso mentre a Faenza puoi trovare locali che non servono Coca Cola come gesto politico e altrove che reinvestono parte dei guadagni invernali in eventi gratuiti estivi (concept usato in verità da 11 anni dallo Zoo di Bologna con l’Handmade, che però non si svolge a Bologna ma vicino Reggio) Bologna sembra sempre più “la settimana di qualcosa” in formato mignon, dove uno spritz che costa meno di 5€ è sempre più difficile da trovare - persino in posti storicamente “contro”, come il TPO. Una forma di sottile infighettimento a me profondamente sgradita. Allora mi accorgo di essere affezionato più all’idea (accumulata negli anni) che ho di questa città che a come realmente è.
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applesickness · 4 years
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La mia breve permanenza a Napoli è stata un sospiro di sollievo. Non prendevo un treno e una piccola vacanza da ottobre 2019 e viaggiare mi mancava più di quanto pensassi. Sono nata con la valigia e sono sempre più convinta di avere ascendenze zingare, da qualche parte nel mio albero genealogico, anche se dal colore della mia pelle non si direbbe. 😆 Le passeggiate coi miei amici mi hanno ricaricata di gioia ed energia, come non succedeve da tempo. E per questo li ringrazio. Napoli è una città bellissima, che ho sempre amato molto, dove il cuore dei suoi abitanti batte fortissimo in ogni angolo. Il cibo, poi, te ne comunica tutto il calore. Se non fossi così avviata sulla via della vecchiaia coi miei mille piccoli acciacchi, me la sarei goduta sicuramente di più. Ma anche così è stato molto bello! Sebbene fossimo costretti a tutte le piccole precauzioni che il covid ci impone (non dimentichiamocele). Grazie città di lava e di mare, spero presto di ritornare da te. [e perdonatemi la digressione che si discosta un po’ dai libri ❤️] “Tant’ l’aria s’adda cagnà!” . . . #viaggi #viaggiare ##viaggi #viaggiare #zingaraggi #trip #travel #travelinwoman #baglady #gipsy #zingarate #sempregirando #turistipercaso #quartiereforcella #streetart #love (presso Napoli Rione Forcella) https://www.instagram.com/p/CCk9c-qH9Q9/?igshid=vy7xlba5qyp3
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Taranto, rione Salinella Noi italiani chiusi in casa e loro a fare i padroni delle strade Se a loro posto fossi stato io con un amico avremmo ricevuto entrambi un bel verbale da 400 euro... https://www.instagram.com/p/B-pF9PxnFqN/?igshid=1smudt5y93tgw
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freedomtripitaly · 4 years
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C’è la Puglia più bella del film “Ricchi di fantasia”, con Sergio Castellitto e Sabrina Ferilli nei panni di una coppia di amanti in fuga da Roma. La pellicola deve il suo successo alla bravura e alla simpatia dei protagonisti, ma soprattutto alle bellissime location che hanno fatto da sfondo alle riprese. Queste sono cominciate nella bellissima Polignano a Mare, uno dei gioielli d’Italia. Una città romantica che nasconde più di 70 grotte marine che si sono formate grazie all’azione del mare e del vento. Un set naturale talmente bello da essere stato usato per altri film, come “La cena di Natale” con Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti. Con i suoi scorci mozzafiato, i suoi colori accesi e i suoi angolini viene voglia di andarci subito. Qualche scena è stata girata anche sulle spiagge sabbiose della vicina San Vito, che sono Porto Cavallo, Porto Contessa e la spiaggia di San Vito, ai piedi dell’omonima abbazia. Le riprese di “Ricchi di fantasia” hanno toccato anche Monopoli, Ostuni e il borgo di Pascarosa, nel cuore della Valle d’Itria, famoso per i suoi bellissimi trulli. Qui ci troviamo nella campagna pugliese, lontano dalla folla, dal caos e dai luoghi del turismo di massa. I vicoli di Carovigno @Shutterstock Alcune scene sono state ambientate a Carovigno, nel Salento settentrionale. Un centro storico di archi in pietra e case dai colori candidi, difeso da una possente cinta muraria, con tanto di antiche torri, chiese e castelli (il castello Dentice di Frasso del XII secolo), questo borgo è celebre anche per la produzione dell’olio di oliva e per le feste religiose che vi si celebrano. Questa zona è famosa per ospitare la riserva naturale statale Torre Guaceto con la sua bellissima area marina protetta. Un’altra location del film è stata Cisternino, uno dei Borghi più belli d’Italia. Si staglia in un territorio unico tra strette colline di uliveti e vigneti, dove gli antichi trulli creano una scenografia riconoscibile in tutto il mondo. Con le sue case bianche e i suoi vicoli stretti è uno dei luoghi più belli da visitare in Puglia. Dal bianco all’azzurro. È questo il colore dominante di un altro borgo impiegato come set del film: Casamassima, la versione italiana dei celebri villaggi di Chefchaouen, in Marocco, e di Jodhpur in India. Conosciuto come il “paese azzurro”, un appellativo coniato dal pittore Vittorio Viviani per via delle abitazioni azzurre che caratterizzavano il centro storico, è tutto uno snodarsi di viuzze e chiassi – vicoli stretti senza uscita – , di cortili ed edifici di pietra che un tempo erano colorati di un azzurro molto più intenso. Si dice che il Signore di Casamassima, Michele Vazz, nel XVII secolo fece un voto alla Madonna per scacciare la peste che aveva colpito il villaggio, facendo ricoprire con la calce tutti i caseggiati, un antico sistema che veniva usato per disinfettare, aggiungendo poi il colore azzurro in onore proprio alla Madonna. Il “paese azzurro” di Casamassima @iStock Nella pellicola si riconoscono anche alcuni scorci del borgo di Accadia, in provincia di Foggia. È celebre per le sue case scavate nella roccia. Case perfettamente conservate, che danno forma, oggi, a uno spettacolare quartiere fantasma: il Rione Fossi. Secondo la leggenda, sarebbe stato costruito sui resti di una città distrutta prima della nascita di Cristo. E il suo nome deriverebbe da Fossa degli Orfici (asociali), persone che amavano vivere nelle grotte lontano dalla civiltà. Accadia è uno dei Comuni più elevati della Puglia (650 metri d’altezza), ed è uno dei borghi più caratteristici della Daunia. Infine, alcune scene del film “Ricchi di fantasia” sono state ambientate sul lungomare di Torre Canne, vicino a Fasano, al confine tra il Salento e le Murge. Si tratta di una piccola località, che nel periodo invernale ha circa 400 abitanti, ma che d’estate arriva a oltre 10mila. Torre Canne è caratterizzata da delle suggestive colline ricche di vegetazione, situate a pochi metri dalla spiaggia che ha una sabbia bianca e finissima, con dune protette e un mare limpido. Un tour sui luoghi di questo film vale davvero il viaggio. Scorcio di Poligtnano a Mare @123rf https://ift.tt/2wK9eL1 “Ricchi di fantasia”, le location del film in Puglia C’è la Puglia più bella del film “Ricchi di fantasia”, con Sergio Castellitto e Sabrina Ferilli nei panni di una coppia di amanti in fuga da Roma. La pellicola deve il suo successo alla bravura e alla simpatia dei protagonisti, ma soprattutto alle bellissime location che hanno fatto da sfondo alle riprese. Queste sono cominciate nella bellissima Polignano a Mare, uno dei gioielli d’Italia. Una città romantica che nasconde più di 70 grotte marine che si sono formate grazie all’azione del mare e del vento. Un set naturale talmente bello da essere stato usato per altri film, come “La cena di Natale” con Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti. Con i suoi scorci mozzafiato, i suoi colori accesi e i suoi angolini viene voglia di andarci subito. Qualche scena è stata girata anche sulle spiagge sabbiose della vicina San Vito, che sono Porto Cavallo, Porto Contessa e la spiaggia di San Vito, ai piedi dell’omonima abbazia. Le riprese di “Ricchi di fantasia” hanno toccato anche Monopoli, Ostuni e il borgo di Pascarosa, nel cuore della Valle d’Itria, famoso per i suoi bellissimi trulli. Qui ci troviamo nella campagna pugliese, lontano dalla folla, dal caos e dai luoghi del turismo di massa. I vicoli di Carovigno @Shutterstock Alcune scene sono state ambientate a Carovigno, nel Salento settentrionale. Un centro storico di archi in pietra e case dai colori candidi, difeso da una possente cinta muraria, con tanto di antiche torri, chiese e castelli (il castello Dentice di Frasso del XII secolo), questo borgo è celebre anche per la produzione dell’olio di oliva e per le feste religiose che vi si celebrano. Questa zona è famosa per ospitare la riserva naturale statale Torre Guaceto con la sua bellissima area marina protetta. Un’altra location del film è stata Cisternino, uno dei Borghi più belli d’Italia. Si staglia in un territorio unico tra strette colline di uliveti e vigneti, dove gli antichi trulli creano una scenografia riconoscibile in tutto il mondo. Con le sue case bianche e i suoi vicoli stretti è uno dei luoghi più belli da visitare in Puglia. Dal bianco all’azzurro. È questo il colore dominante di un altro borgo impiegato come set del film: Casamassima, la versione italiana dei celebri villaggi di Chefchaouen, in Marocco, e di Jodhpur in India. Conosciuto come il “paese azzurro”, un appellativo coniato dal pittore Vittorio Viviani per via delle abitazioni azzurre che caratterizzavano il centro storico, è tutto uno snodarsi di viuzze e chiassi – vicoli stretti senza uscita – , di cortili ed edifici di pietra che un tempo erano colorati di un azzurro molto più intenso. Si dice che il Signore di Casamassima, Michele Vazz, nel XVII secolo fece un voto alla Madonna per scacciare la peste che aveva colpito il villaggio, facendo ricoprire con la calce tutti i caseggiati, un antico sistema che veniva usato per disinfettare, aggiungendo poi il colore azzurro in onore proprio alla Madonna. Il “paese azzurro” di Casamassima @iStock Nella pellicola si riconoscono anche alcuni scorci del borgo di Accadia, in provincia di Foggia. È celebre per le sue case scavate nella roccia. Case perfettamente conservate, che danno forma, oggi, a uno spettacolare quartiere fantasma: il Rione Fossi. Secondo la leggenda, sarebbe stato costruito sui resti di una città distrutta prima della nascita di Cristo. E il suo nome deriverebbe da Fossa degli Orfici (asociali), persone che amavano vivere nelle grotte lontano dalla civiltà. Accadia è uno dei Comuni più elevati della Puglia (650 metri d’altezza), ed è uno dei borghi più caratteristici della Daunia. Infine, alcune scene del film “Ricchi di fantasia” sono state ambientate sul lungomare di Torre Canne, vicino a Fasano, al confine tra il Salento e le Murge. Si tratta di una piccola località, che nel periodo invernale ha circa 400 abitanti, ma che d’estate arriva a oltre 10mila. Torre Canne è caratterizzata da delle suggestive colline ricche di vegetazione, situate a pochi metri dalla spiaggia che ha una sabbia bianca e finissima, con dune protette e un mare limpido. Un tour sui luoghi di questo film vale davvero il viaggio. Scorcio di Poligtnano a Mare @123rf C’è la Puglia più bella tra le location che hanno fatto da sfondo alle riprese del film con Sergio Castellitto e Sabrina Ferilli.
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eliophilia · 7 years
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Insomma, gli ultimi dieci giorni di luglio mi diedero un senso di benessere fino ad allora sconosciuto. Provai una sensazione che poi nella mia vita s'è ripetuta spesso: la gioia del nuovo. Mi piaceva tutto: alzarmi presto, preparare la colazione, sparecchiare, passeggiare per Barano, fare la strada per i Maronti in salita e in discesa, leggere distesa al sole, tuffarmi, tornare a leggere. Non avevo nostalgia di mio padre, dei miei fratelli, di mia madre, delle vie del rione, dei giardinetti. Mi mancava soltanto Lila, Lila che però non rispondeva alle mie lettere. Temevo che le accadessero cose, belle o brutte, senza che io fossi presente. Era un timore vecchio, un timore che non mi era mai passato: la paura che, perdendomi pezzi della sua vita, perdesse intensità e centralità della mia.
Elena Ferrante, L’amica geniale
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micro961 · 5 years
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Ance, “Anche se”
in radio il singolo del cantautore  “trasversale” A sei anni dall'ultimo EP del 2013, Ance propone il brano "Anche se". Una carica di ispirazione funk, rock e blues. Il testo non si scosta da una buona dose di ironia che tocca varie tematiche e le sue contraddizioni; il pretesto della congiunzione-ponte qual è il titolo stesso, porta a paradossi e confronti diretti fra le due facce della stessa medaglia, volendo perpetuandosi all'infinito. La produzione artistica è affidata a Gianfilippo Boni, e suonato dal suo team di tutto rispetto: Giuseppe Scarpato: chitarre
Lorenzo Forti: basso
Fabrizio Morganti: batteria
Gianfilippo Boni: tastiere
Claudio Giovagnoli: sassofoni
Nicola Cellai: tromba Ance (Andrea Lovito) si definisce un cantautore “trasversale”. La sua musica non risponde ad un solo canone, ma attraversa stili e generi molteplici ed è caratterizzata da testi surreali, ironici, impegnati se non propriamente arrabbiati, i quali invitano talvolta a sorridere, altre volte a riflettere. Nato ad Empoli viene chiamato “Ance” praticamente fin da piccolo, per scherzo. Fonda a soli 13 anni la sua prima band, gli Other Side, in cui si cimenta nel mondo del punk-rock, prima suonando cover di Ramones, Clash e Bad Religion, poi scrivendo i suoi primi brani in inglese. Dopo due demo, qualche concorso e tanti concerti, lascia il gruppo nel 1999. L’uscita dall’adolescenza lo porta infatti a sentire stretta l’etichetta “punk rock” ed a cercare una strada propria, indifferentemente dal genere. Fonda nello stesso anno una nuova band,“Ance & i BombaLiberaTutti”; scrive testi stavolta in italiano e musica con influenze folk-rock. Registra una Demo ed un disco autoprodotto: ”La festa del Rione”, che avrà critiche positive sia su riviste specializzate (Rocksound), che in rete (Bielle.org). Continua a partecipare ad importanti concorsi, e suona in giro per tutta la Toscana (con qualche tappa in Emilia Romagna). Partecipa al Rock Contest di Firenze nel 2003. Ha aperto concerti di Niccolò Fabi, Bandabardò, Vallanzaska, Bugo, Bobo Rondelli, Gatti Mezzi)… L’avventura con i “BombaLiberaTutti” termina nel 2004. Continua comunque a suonare sia da solo che con gruppi improvvisati, proponendo brani propri e cover d’autore (dagli storici R.Gaetano, F.De André, L.Tenco, agli odierni D.Silvestri e M.Gazzé, B.Rondelli...) Prova anche altre strade, prima tentando la particolare esperienza di interpretare la parte dello zingaro Clopin nel musical “Notre Dame de Paris” di R.Cocciante-P.Panella con la compagnia teatrale “Ananche”, poi con la compagnia cabarettistico-teatral-musicale “I Mestoloni”, in scena con “I Miracoli di Padre Pio” , tratto dall’omonimo libro di Federico Maria Sardelli, storico autore del Vernacoliere. 
Nel 2006 torna al cantautorato ed alla preparazione di un nuovo disco. Nel 2007 partecipa al concorso per la canzone d’autore “7Note Festival” dove si aggiudica il premio speciale della critica al miglior autore, col brano “Decorazioni”. L'album “Lavoretto a catena” esce nel giugno 2008 sotto l’etichetta Snowdonia. Il disco rimane un variegato di generi stavolta con influenze volte verso il jazz ed è arrangiato con 19 artisti diversi tra tecnici del suono e musicisti, fra i quali spicca la collaborazione autorevole di Nico Gori (Stefano Bollani quintet) al clarinetto e sax soprano. Il disco è stato recensito su molti siti internet (OndaRock, BlowUp, SentireAscoltare, Mucchio). I brani “Media Vita” e “Clone” sono andati in onda nella trasmissione “Demo” di RadioRaiUno. Nel 2009 viene selezionato tramite il concorso "T-Rumors" promosso dalla Regione Toscana per far parte all'omonima compilation prodotta da Materiali Sonori. I due brani "Mi piacerebbe dire (se fossi un giornalista)" e "Musicopoli", sono stati incisi con l'affiancamento di Arlo Bigazzi (Banda Improvvisa). Segue poi un corso di 4 mesi in composizione e arrangiamento con Francesco Magnelli (Litfiba, Consorsio Suonatori Indipendenti, Ginevra Di Marco).
Dal settembre 2010 partecipano al suo progetto i “Fatti Quotidiani”, band composta da: Daniele Bianconi (basso) – Dario Gozzini (piano) – Michele Trentacosti (batteria) – Massimiliano Lami (sax soprano) – Federica Amato (flauto traverso, cori). L'album “Professionisti nel campo” esce l'11/11/2011.
Segue l'EP “Tradizione Commerciale”, uscito il 9 luglio 2013, realizzato anche grazie ad una campagna di  crowdfunding  su “MusicRaiser”.
Vive dividendo la vita tra la musica e il lavoro come animatore di comunità per persone diversamente abili con disagio psichico. Ritorna alla discografia con il singolo “Anche se” uscito il nell’aprile 2019.
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Grappoli di reminiscenze, senza tempo né confini
Fra compaesani, su una panchina in piazza
Grappoli di reminiscenze, senza tempo né confini
di Rocco Boccadamo
In una recente e differente narrazione, traendo spunto dal casuale incontro con due turisti/ospiti provenienti da S. Francisco, USA, mi soffermavo diffusamente su Marittima e più esattamente sul Rione dell’Ariacorte dove sono nato e , fra l’altro, annotavo: ”Attualmente, con il mio paesello, e specialmente con i residenti, non intrattengo più i rapporti di intimità e consuetudine viscerale a trecentosessanta gradi, che hanno, invece, caratterizzato le stagioni della mia fanciullezza, adolescenza e prima giovinezza”.
Non v’è, invero, contraddizione fra l’anzidetta puntualizzazione e quanto sto per raccontare qui. Semmai, la cronaca freschissima che segue, può considerarsi un’eccezione rispetto al ricordato e consolidato stato di interazione, in termini complessivi, fra me e la località natia.
°   °   °
Qualche giorno fa, transitando per la piazza del paese in sella al mio scooter color sabbia, ho visto, seduto su una panchina pubblica provvidenzialmente ombreggiata ed esposta a un benefico venticello, un “vecchio” marittimese, Costantino C., il quale vanta e si porta appresso, con disinvoltura, ben novantatré primavere già valicate, per di più guidando ancora, quando occorre, o un’autovettura o un motofurgone “Ape”.
Conosco la citata persona, è proprio il caso di dirlo, da quando sono nato e, lui, ragazzino, abitava, insieme con la sorella Maria, presso la nonna Costantina – i loro genitori erano mancati prematuramente – nell’Ariacorte, a cinquanta metri di distanza da casa mia.
Insomma, a Costantino C., mi lega un’intensa familiarità, sono edotto di tutte le vicende della sua esistenza, da alcuni lustri, in particolare, ho modo di incontrarlo sovente, giacché possiede un giardino, con annesso fabbricato (da poco, lo ha donato ad alcuni nipoti che vi stanno eseguendo importanti opere di ristrutturazione), situato proprio dirimpetto alla mia villetta della “Pasturizza”.
Arrestata d’istinto la marcia del ciclomotore, mi sono avvicinato e seduto accanto, chiedendogli, come approccio, notizie circa lo stato dei lavori edili.
Pochi minuti dopo, si è accostato a noi un altro compaesano, Santo C., appena più giovane di Costantino, e i due, all’unisono, come del resto mi aspettavo, sono immediatamente passati a rievocare un episodio assai lontano, sia come datazione che come luogo di svolgimento, evidentemente, però, rimasto indicativo e impresso nella mente, fatto in cui, insieme con loro, io stesso mi ero, in certo qual modo, trovato coinvolto.
Sarà stato il 1963 o il 1964 e lavoravo in banca, a Taranto, da tre anni circa, espletando le mansioni di segretario, oggi si dice assistente, di un vicedirettore settorista, il quale, per chiarire, gestiva un determinato portafoglio di clienti.
Insieme con il citato funzionario, compivo spesso visite agli utenti, sia per mera cortesia, sia e soprattutto per ricognizioni dirette sulle loro aziende e le loro attività.
Un giorno ci eravamo portati a domicilio di un operatore agricolo (grosso proprietario di terreni e produttore di vino e olio) di Francavilla Fontana, da tempo cliente affidato, vuoi con linee di credito a carattere ordinario e continuative, vuoi sottoforma di anticipazioni su giacenze di vino e olio, nelle more della loro vendita.
Guarda caso, io non ne ero minimamente a conoscenza, nell’azienda dell’operatore in discorso, da moltissimi anni, prestavano attività, sia pure a carattere stagionale, Costantino e Santo, unitamente ad altri due marittimesi, Peppino e Vitale.
Tutti i già menzionati, quindi, persone di massima fiducia dell’imprenditore francavillese, di casa, alla stregua di famigliari.
Orbene, il mio superiore si era determinato a recarsi nell’azienda di tale cliente, diciamo così, per accertarsi che esistessero effettivamente le giacenze di prodotto su cui era stato da poco concesso un finanziamento e, quindi, si era premurato di dare anche una sommaria occhiata alle apposite cisterne.
Ma giusto lì, come ebbero a confidarmi successivamente i miei concittadini, aggiungendo qualche abbozzo d’ilarità, si nascondeva un trucchetto, alquanto rudimentale e, tuttavia, valido a far apparire qualcosa che, in realtà, non esisteva.
E, però, anche io, dall’altra parte, cioè dall’interno della banca, avevo avuto modo di accorgermi che gli amici marittimesi, o, meglio, le loro firme, erano talora “utilizzati” dal datore di lavoro, per agevolare alcune sue operazioni di finanziamento da parte della banca.
Certo, stagioni non solo antiche ma, specialmente, dai contenuti totalmente diversi, allora la fiducia e la parola erano una cosa seria, nel lecito e anche ai limiti della norma o borderline per stare al linguaggio presente: così abbiamo, l’altro giorno, commentato concordemente, sulla panchina della piazza di Marittima, Costantino, Santo e io.
°   °   °
Di lì a poco, è arrivato ad aggregarsi alla comitiva un ennesimo “ariacortese”, Costantino N. e, quasi contemporaneamente, Uccio N., geometra in pensione e, indubbiamente, compaesano d.o.c., non essendosi mai allontanato, durante i suoi settantasette anni, dalla natia Marittima. A questo punto, a beneficio di quanti non ne fossero a conoscenza, mi soffermo su un breve inciso: fra i nomi maggiormente diffusi nella località, ricorrono quelli di Vitale e Costantino o Costantina, a motivo che, collegando i comuni mortali ai santi, S. Vitale, cavaliere nell’esercito romano ai tempi di Nerone, nato a Milano e martirizzato a Ravenna, è il protettore di Marittima, mentre, a compatrona, è stata da vecchia data proclamata la Vergine Maria Santissima di Costantinopoli o Madonna Odegitria.
Costantino, come ho avuto modo di accennare anche in precedenza, faceva parte, penultimo nato, di una famiglia numerosa, ma soprattutto antesignana e allargata, per vicende naturali, in senso laterale o di discendenza.
Difatti, la padrona di casa, ovvero sua madre, Rosaria, proveniente da Andrano, reduce dal primo matrimonio nel corso del quale le erano nati due figli, Andrea e Giuseppa (Pippina), rimasta vedova ancora giovane, aveva sposato in seconde nozze il marittimese Ciseppe (Giuseppe), reduce, anche lui, da una pregressa unione, già padre di tre figli e, parimenti, rimasto vedovo anzitempo.
Rosaria e Giuseppe, novella coppia, procrearono ulteriori quattro figli, Pompilio, Vitale, Costantino e Concetta.
Sì che, a un certo momento, venne a formarsi un nucleo o focolare di undici persone, fra i due coniugi e i nove discendenti arrivati dall’accoppiata di letti.
Molti i ricordi e le annotazioni snocciolati, approfittando della presenza di Costantino, riguardo ai componenti della famiglia di Rosaria e Giuseppe ‘u fusu.
Alla fine degli anni Trenta o agli inizi del decennio successivo, la scomparsa di Giuseppe, a causa di una rovinosa caduta mentre era intento a fissare, a un gancio del soffitto, un chiuppu (una sorta di grosso casco, facendo riferimento alle banane) di tabacco già essiccato.
Nel 1945, il matrimonio di Pippina nel canonico abito bianco, di cui, chi scrive, serba perfettamente il ricordo.
Nel 1947, esattamente il 22 gennaio, le nozze di Andrea (con Valeria), in un giorno in cui, Marittima, registrò il particolarissimo fenomeno di un’abbondante nevicata.
Nel 1951, una improvvisa e brutta traversia, fortunatamente finita bene, in capo a Vitale, sotto forma di un’infezione da tetano a un piede (precisa, adesso, Costantino, che, all’epoca, lui era assente da Marittima per il servizio militare in Marina, imbarcato su un dragamine di stanza alla Spezia).
Successivamente, infine, seri problemi agli occhi per l’altro figlio, Pompilio, invero mai risolti.
A un dato momento, Costantino, seduto nel gruppo e rivolgendo lo sguardo a Uccio N. che gli stava accanto, ha ritenuto di richiamare i legami di parentela fra lo stesso Uccio e me (le rispettive mamme, Nina e Immacolata, erano cugine di primo grado, figlie di due sorelle, Cristina e Lucia.  Aggiungendo, inoltre, che lui medesimo, a seguito del matrimonio, si era apparentato con l’ex geometra, posto che il suocero Giuseppe P. (in vita, operatore ecologico, attacchino e necroforo del Comune di Diso), era, a sua volta, primo cugino del padre di Uccio, Pippi ‘u scanteddra o mesciu Pippi ‘u barbieri, la cui madre, Pasqualina M. detta Nina, era sorella della genitrice di Giuseppe P., Maria Donata M.
I conti degli accostamenti fra parentele o famigliarità quadrano perfettamente, a prova di dati anagrafici e/o di battesimo.
Uccio N., il quale, al momento di aggregarsi, aveva domandato, sorridendo, se, in quella circostanza, fossi io a tenere banco nel gruppo, non ha successivamente rinunciato a intervenire, dicendo la sua a proposito di una sfaccettatura straordinaria insita nel desco domestico del suo nonno paterno, Vitale N. ‘u fiore.
Intorno a quel tavolo da pranzo (parolone esagerate), prendevano posto, ha raccontato Uccio suo nonno e sua nonna, insieme con un paio di ascendenti e i loro se figli (cinque maschi e una femmina) e, già così, si arrivava a dieci persone. Inoltre, quasi tutti i giorni, specialmente la sera, si aggiungevano anche sette nipoti di Pasqualina M., detta Nina, figli di due sue sorelle passate prematuramente a miglior vita e, quindi, rimasti orfani.
Dunque, diciassette “avventori”, alla fine, a intingere il cucchiaio nell’unico piatto posto al centro del tavolo, che doveva servire per l’insieme di commensali, con conseguenti difficoltà, per ciascuno, a far arrivare il cucchiaio alla minestra.
Dire che, l’appetito era tanto e non esistevano altre cose da mangiare, tranne, al caso, un tozzo di frisella o una piccola manciata di fichi secchi.
Eppure, sembra assolutamente inverosimile, si sopravviveva e, mette conto di sottolineare, negli stati d’animo della gente, albergava ben più serenità di adesso.
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