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#Natale a casa mia
apropositodime · 5 months
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Last Christmas 🎄
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La mia bellissima tovaglia nuova
La tavola apparecchiata in oro e rosso
Le luci del nostro albero 🎄
Le mie persone
Le chiacchere
Le risate
Il cibo
Il vino
Il cioccolato
Lo scambio di regali
La confusione.
Mia nipote Gaja, che mi porta in un altra stanza dicendo che mi deve dire una cosa, e mi dice che aspetta un bimbo ma che non lo sanno ancora tutti. 🥰
Insomma è stato praticamente perfetto.
Poi la sera la febbre 🤒🤧🥵😅
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rasoiodockham · 1 year
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Calendari per l’avvento
@sovietpostcards
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belladecasa · 6 months
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Quando ho saputo dell’ultimo femminicidio ho pensato a tutte le mie Vigilie di Natale, trascorse su due tavoli: uno, grande, alto, di legno, a cui sedevano gli uomini, l’altro, di plastica, smontabile, che veniva tirato fuori nelle occasioni in cui eravamo di più, in cui stavano le donne. Rigorosamente posizionato in modo da rendere più agevole l’accesso alla cucina. Mi ricordo che da quel tavolo veniva un dialetto urlato, grossolano, cose che non capivo che diventavano liti, tra mio nonno e mio zio. Quelle cose ce le siamo trascinate per anni, sullo stesso tavolo, finché un giorno mio zio se ne è andato durante il pranzo e non è tornato più da noi a Natale. Le donne, mia madre, le mie zie, non c’entravano nulla con quelle liti: educate a sopportare le urla, i tavoli squallidi di plastica, l’odore di fritto, la sopraffazione, la violenza, le lacrime. Era normale puzzare di cucina come di sottomissione. Mia nonna me la ricordo sempre infelice, rannicchiata su una sdraio, piangeva spesso, di lacrime mute. Mi diceva che mio nonno era cattivo e io allora non capivo perché, poi è arrivato a darmi della troia e ho capito. Mamma perdeva sempre la voce perché a differenza di mia nonna, all’apparenza, si ribellava, ma le sue grida erano mute come le lacrime della madre. Si è dovuta sposare a 23 anni per uscire di casa, essere concessa da un uomo a un altro uomo, uno che la lasciava con la suocera a togliergli il suo piatto mentre lui se ne andava. L’unica cosa che è cambiata è che oggi la suocera è morta.
Quando ho saputo ho pensato a quella volta che Arianna mi raccontò di quando, fuori dalla sua residenza universitaria, fermarono un ragazzo che stava prendendo a calci la sua fidanzata. A quella volta che Giacomo mi disse di quel ragazzo che aveva diffuso su un gruppo Telegram le foto, foto normali, in costume, della sua migliore amica, per simulare uno stupro di gruppo.
Quando ho saputo ho pensato a Moira, a Valeria, ad Adriana, ad Antonella, ad Arianna, a Luisa, a Chiara, a me. In tutte le relazioni delle mie amiche ho visto: sputi e insulti, divieti di uscire, minacce, richieste di video per controllare che fossero davvero dove dicevano di essere, pretese di tornare a casa e trovare il piatto pronto, commenti sessualizzanti verso altre donne, pressioni per fare sesso anche con la cistite, per fare sesso senza preservativo.
Quando ho saputo ho pensato a mio nonno, al fatto che ancora mi logoro perché non riesco a legargli altri ricordi che non siano, ad esempio, quella sera in cui mi disse che io non esco mai di casa ma quando lo faccio vado vestita come una troia. Che avrebbe voluto una nipote diversa, che ero brutta, che ero troppo magra. Poi sì mi diceva che lui moriva per me e mi voleva bene più di chiunque. Mentre mia zia faceva le radio per il tumore al seno arrivò a insinuare che non andasse dal medico ma “a fare la mignotta”, insieme a mia madre.
Quando ho saputo ho pensato ai quattro anni con Giorgio, a tutte le volte, innumerevoli, in cui mi diceva che ero stupida, inutile, e non sapevo fare un cazzo. E a quella volta che ubriaco mi disse, ovviamente, che ero una troia.
Quando ho saputo ho pensato che sarebbe potuto succedere a me, che potrebbe succedere a me, ora e sempre, e ad Arianna, ad Adriana, Valeria, Antonella, Moira. Ad ognuna delle mie amiche, a mia zia, a mia madre a mia nonna. Pensate che mi sorprenderei, se ci fossero, o ci fossero state, al posto degli insulti, degli sputi, dei racconti, dei tavolini di plastica, le coltellate?
#s
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yomersapiens · 3 months
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La pizzeria è gremita e i tavoli sono occupati da precoci coppiette giunte ben prima dell'ora più consona alla cena, forse per finire velocemente e correre in casa ad accoppiarsi. O forse perché vivo a Vienna e qua cenano quando i comuni mortali normalmente fanno merenda. Inutile che sfotto, se sono entrato in pizzeria a quest'ora è perché pure io sto morendo di fame. Conosco la capo sala, ha letto il mio libro e dato che mi saluta ancora devo dedurre che non le ha fatto schifo. Le chiedo se posso mettermi al bancone, sono da solo, fuori fa freddo e ho fame, che mi basta una margherita e me ne vado. Annuisce e i suoi occhi si fanno compassionevoli. Non faccio in tempo a sedermi che il ragazzo al bancone, notando la mia condizone solitaria, mi porge una birra che non avevo ordinato. Mi sorprendo e dico che ci deve essere stato un errore, che ancora non ho chiesto nulla. Mi risponde che fa lui, posso stare tranquillo. Io desideravo una coca-cola e ora mi tocca bere una birra offerta accidenti. C'è una seggiola di fianco a me con una giacca poggiata, la proprietaria mi chiede se desidero che la sposti, le dico che non serve, tanto non arriva nessuno. Mi sorride e torna a limonare con un barbuto uomo di quasi due metri. Più passa il tempo più gli alti mi stanno sul cazzo e vorrei segargli le gambe mentre dormono. Poi mi ricordo di essere sopra la media in Italia (e anche in Sud America) e torno a concentrarmi sulla sala. Ci sono davvero solo coppie, uscite per festeggiare la ricorrenza amorosa. Noto con piacere un cospicuo numero di tavoli occupati da persone dello stesso sesso che si tengono per mano. Sorrido per loro. Che belli che siete, godetevi questo momento, vi lascerete anche voi, non temete. Il volume della musica è troppo alto, decido di mettere le cuffiette e ascoltare qualcosa di diverso, un concerto per orchestra a tema videogiochi giapponesi, tanto sono da solo, non devo interloquire con nessuno. Mentre divoro la mia margherita penso a San Valentino. Al fatto che come festa non serva a molto, a meno che tu non abbia 16 anni e bisogno di un pretesto per scopare. Ma è utile per chi come me la vede come un post-it, messo per ricordardati di essere grato a chi ti vuole bene. Anche se non te lo meriti perché fai schifo come essere umano. Anche se dovresti ricordartelo ogni giorno ma tra una cosa e l'altra ti passa per la testa e allora eccoti una data. Una volta all'anno, fai sto sforzo e scrivi a chi ti vuole bene, scrivi quanto ti ritieni fortunato ad avere qualcuno che ti sopporta. Servono a questo le feste. Natale per ricordarti di ringraziare la famiglia. Il compleanno per ricordarti dell'esistenza di qualcuno. L'onomastico per ricordarti pure come si chiama. Ferragosto per ricordarti che l'estate sta finendo. Pasqua boh, non lo so, per ricordarti che è possibile uccidere una divinità forse. Finisco la pizza e mi arriva un'altra birra che ancora non ho ordinato. Mi giro in sala per capire a chi ho fatto pena stavolta. Nessuno mi guarda. La finisco contro la mia volontà e mi dirigo a pagare il conto. Mi viene detto dalla capo sala che oramai faccio parte della famiglia, che posso considerarmi un cugino acquisito e che quindi mi basta darle la metà della metà di quello che avrei dovuto dare. Quanto adoro fare pena. È il mio superpotere. Birra gratis, pizza scontata e posso andare a letto con la pancia piena. Una coppia mi avrà notato e ora sarà nata una discussione, prima di fare l'amore. "Tesoro, voglio adottare un triste italiano solitario, hai visto quanto era carino mentre mangiava la sua pizza, starebbe così bene con il nostro arredamento". Qualcun altro avrà girato un video che diventerà virale su tiktok e dove magari vengo insultato. Poco mi interessa. Torno a casa dal mio gatto, gli dico che lo amo e che sono grato ci sia lui a volermi bene. Lui, per tutta risposta, vomita sul tappeto. L'amore è un linguaggio variopinto e maleodorante talvolta.
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kon-igi · 6 months
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SENTITE DI DOVERMI QUALCOSA E VOLETE SDEBITARVI?
Esiste un posto tra Milano e Brescia
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un posto mal distinguibile se non si fa uno zoom decente con Google Maps
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no... forse un po' di più
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ecco così va meglio.
Si tratta di un piccolo paese che dal 2004 si fregia del titolo di città ed è SONCINO, un comune italiano di 7.486 abitanti della provincia di Cremona, in Lombardia.
Soncino, oltre che conosciuta per aver condiviso la sua rocca con quella del Castello di Torrechiara per alcune scene del film fantasy Ladyhawke, è famigerata per un prodotto che è il motivo di questo post e che andrò subito a illustrarvi
LE RADICI DI SONCINO
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che sono una roba assolutamente disgustosa e immangiabile per la loro amarezza, peraltro simile a molte altre radici consumate masochisticamente in parecchie regioni italiane
SENONCHÉ
un giorno a casa di @surfer-osa abbiamo mangiato una conserva in agrodolce di tali radici sfilettate à la julienne e aromatizzate all'anice, acquistata in qualche sagra e ora la missione di vita della nostra famiglia è averle per il pranzo di Natale.
Consequenzialmente, la mia missione di vita è diventata la vostra e quindi dovete assolutamente procurarmi uno o più vasetti di tale conserva affinché io sia felice e spargere nel mondo tale felicità.
Hint: era una produzione locale di cui non ricordiamo nulla e quindi introvabile sull'internet... tranne che per persone esperte e motivate come voi.
Grazie dell'eventuale gentile reblog e dei numerosi invii multipli a DOTT. KON-IGI MURASAKI c/o TABACCHERIA ROSATI DI ROSATI MARIA Via Di Case Trombi, 5 CAP 43037, Lesignano de' Bagni, Parma.
<3
P.S. Se non trovate le Radici di Soncino e mi volete spedire altri prodotti tipici delle vostre terre mica ci sputo sopra, ecco.
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nusta · 4 months
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In questi giorni sto cucinando un sacco. Cioè, cucino abbastanza spesso anche di solito, ma sto provando delle cose nuove o dei nuovi modi di fare la stessa cosa.
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Un po' è la voglia di sperimentare delle ricette, anche perché per Natale e compleanno mi hanno regalato dei bellisimi ricettari illustrati dopo avermi chiesto "cosa vuoi?" e quindi c'è l'euforia mista al senso del dovere di giustificare gli acquisti (altrui, ok, ma sempre spese sono u_u).
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Un po' sicuramente è anche l'intenzione di procrastinare altre cose da fare, che stanno lì nell'angolino della mia mente da diverso tempo e con diversa urgenza. Vabbè dai, prima o poi ci arriviamo, abbiate pazienza, mi dico. Dirlo con la pancia piena di cose fatte da me è più convincente, ecco. E tra una teglia di verdure al forno e l'altra, fare delle cose più strane o nuove mi fa sentire meno in colpa.
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Il problema più grosso è che quando comincio o ricomincio una cosa che mi piace, mi viene voglia di comprare l'impossibile e passo ore a pensare a quello che potrebbe servirmi. Eppure ormai dovrei sapere che è una trappola micidiale e che non devo cedere, perché rischio di riempire casa di roba che userei una volta all'anno (tipo la macchina per stendere la pasta ce l'ho da 10 anni, inaugurata l'altra sera >_<).
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Ora sto cercando di capire quali siano le misure massime che i miei mobili consentono per un tagliere di legno più grande per stendere meglio la pasta col mattarello, perché comunque è più pratico per certe cose, e stasera sono stata molto brava a fare solo giri esplorativi senza comprare nulla (complice il fatto che uscita dall'ufficio i negozi mi stavano chiudendo in faccia - anzi in uno una commessa mi ha proprio bloccato l'ingresso XD). Devo però stare molto attenta agli acquisti online u_u
Tra i miei buoni propositi classici ci sono sempre "cucinare di più" e "comprare meno roba inutile", e sono classici proprio perché per come sono fatta ogni anno vale il proposito per il successivo XD
La verità è che ho già un sacco di roba da usare e da provare. E sempre mi ritrovo comunque impreparata. E allora bisognerà improvvisare e trovare soddisfazione nell'imperfezione, giusto?
Stasera ho sperimentato dei muffin alla banana con gli stampini di ceramica, però solo mezza dose perché avevo un uovo solo.
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Dal profumo sembrano buoni, vedremo dopo cena ^_^
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fioreatestaingiu · 2 months
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Sono cattiva.
Sono cattiva, ma quando rischiavi la tua vita su un’auto da buttare ti ho aiutato a trovarne un’altra.
Sono cattiva, ma quando ti serviva una casa, ti ho dato la mia.
Sono cattiva, ma quando eri in lacrime a Natale ti ho stretto fino a diventare una parte di te.
Sono cattiva, ma ho sempre incoraggiato i tuoi sogni.
Sono cattiva, ma ti stavo insegnando a sopravvivere da solo.
Sono cattiva, ma eri il mio primo pensiero.
Sono cattiva, ma ti ascoltavo.
Sono cattiva, ma quando avevi bisogno ero lì.
Sono cattiva, ma quando ti isolavi ero la prima a farti uscire.
Sono cattiva, ma con te volevo un futuro.
Sono cattiva, ma di bugie non ne ho mai dette.
Sono cattiva, ma ho sempre cercato di comunicare con te.
Sono cattiva, ma mi sono sempre scusata quando sbagliavo.
Sono cattiva, ma non ti avrei mai voltato le spalle.
Sono cattiva, ma ti ho augurato il meglio.
Sono cattiva e sto con un’altra persona, ma quante volte ho cercato di chiarire con te?
Sono cattiva, ma lo sono davvero?
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sunshyni · 10 months
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Docinho azedo
Sinopse: qualquer um podia ver que Mark e Mia nasceram um para o outro. Eles estudaram na mesma universidade, exerciam a mesma profissão e até trabalhavam juntos, no mesmíssimo andar, e o melhor de tudo – que rufem os tambores! – estavam noivos há pouco mais de um mês! A situação muda quando os pombinhos são forçados a competirem entre si num duelo para além de desafiador. O que os faz ponderar: “Em quanto tempo aproximadamente aquele docinho guardado no fundo da geladeira pode azedar?” P.S. Não estamos falando de geladeiras. Gênero: fluffy shortfic. Contagem de palavras: 1.078. Notas: e não é que debutei por aqui? KKKKKK Tô com vergonha de postar isso aqui diante de tanto escritor talentoso no Tumblr 👉👈 Mas bora lá! Originalmente, essa fic era para ser postada somente no spirit (se quiser dar uma olhadinha nela por lá é só acessar o link😉), no entanto resolvi tentar a sorte nesse querido aplicativo, boa leitura e espero que vocês gostem! OBS: me inspirei nos posts de alguns perfis maravilhosos que acompanho, como a @mealcandy e a @ncdreaming🍓 Bônus: playlist da fic 🍪
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Prólogo – Macio feito pêssego 🍑
Mia Berry e Mark Lee eram um casal atípico, enquanto pombinhos desapaixonados ao redor do mundo todo consentiam em apenas uma coisa: papeis de divórcio, o double M, como os amigos mais próximos estavam habituados a se referirem ao casal, dificilmente discordava. Isso não quer dizer, em hipótese alguma, que eles tinham se acostumado, eles, sem a menor sombra de dúvida, se amavam e sentiam prazer em comprovar o sentimento sempre que possível, igual Mark fazia naquele instante.
O Lee desferia beijos na face quente de Berry, “desferia” pois os selares eram violentamente carinhosos, fazendo com que Mia vergasse o tronco para trás, mas não a ponto de cair, já que um braço de Mark a amparou no primeiro sinal dessa possibilidade ser efetuada. Mia puxou o tecido da camiseta branca que o noivo vestia, separando a peça do abdome, ambos molhados devido ao mergulho que eles fizeram no riacho próximo da casa da avó de Mia.
— Pervertida — Ele provocou, os rostos perto o bastante para completar um beijo arrastado, daqueles de telenovela, no entanto Mark tombou a cabeça para trás inesperadamente, contemplando o céu ausente de nuvens, azul feito a cor dos pequenos carros que adornavam uma das camisas sociais preferidas do maior — Me prometa que vamos morar no interior quando envelhecermos.
“Ah então ele vai jogar assim” Mia pensou, sorrindo contra o pescoço do noivo que ofereceu o mindinho da mão direita para selarem a promessa, eles entrelaçaram os dedos mínimos, unindo os polegares em seguida como num carimbo, Mark plantou um beijinho nas mãos ligadas uma na outra, insatisfeito com a validação dupla.
— Já conseguimos convencer minha vó de que dormimos juntos — O rosto dele se iluminou com um sorriso capaz de ofuscar o Sol — O primeiro item da lista já foi riscado, então... Acho que é algo plausível.
— E o restante dos itens da lista? — O Lee inquiriu como quem não quer nada ao mesmo tempo em que retirava de uma sacola, um pêssego rosinha e fresco, um presente do representante da associação dos jovens garotos. Vantagens de ter crescido numa província? Não havia nenhum residente da cidadezinha que Mia não conhecesse, portanto sempre que regressava para sua terra natal, ela era recebida com uma série de presentes como os pêssegos ou até mesmo licores que a faziam choramingar.
— Acho que eu já consigo fazer grandes coisas dormindo com você.
Mark cobriu o peitoral com as mãos, a boca ligeiramente aberta, olhos direcionados para a futura esposa que não fazia a mínima ideia do motivo daquela observação intensa, por esse motivo, durante um bom intervalo de tempo eles permaneceram imóveis, havendo somente o som das águas do rio e o canto incessante dos pássaros entre eles.
— Larga de ser atirada — Com a mão em concha, Mark alcançou a água doce e cristalina que batia nos seus tornozelos (por estarem sentados sobre uma pedra), jogando água em uma Mia espantada com a cabecinha perversa que seu cônjuge poderia ter, ela nem se importou com os pingos de água que acertaram seu pêssego acidentalmente.
— Eu não estava falando com malícia! — Protestou em meio a uma risada contagiante que fez os olhos castanhos de Mark se enrugarem nos cantos. As frutas mordidas voltaram para a sacola, o Lee segurou as mãos um tanto trêmulas de sua noiva, talvez fosse pelas pupilas dilatadas perceptíveis pelos raios solares ou pelo conjunto Mark Lee, paisagem e Sol, existia algo de muito encantador nas bochechas aquecidas e rosadas que recebiam as palmas de Mia com ternura.
— Aham, tô sabendo — Incitou, conduzindo-a para dentro das águas vagarosamente, cada passo para trás acompanhado por sorrisos bobos do moreno.
— Gelado — Ela sussurrou, envolvendo os braços ao redor do pescoço do noivo ao passo que Mark capturava seus lábios naquele beijo suspenso minutos antes, os lábios macios se movendo sobre os dela com volúpia e delonga, hesitante em encerrar o toque suave.
— Docinho — O Lee tinha razão. Não existia melhor palavra que retratasse o amor deles. Mark e Mia viviam um amor docinho de fruta.
[...]
— Deveríamos estar dormindo — Murmurou Mark, se ajeitando sobre as roupas de cama do antigo quarto de Mia — Vamos acordar a sua vó.
— Relaxa — Replicou Mia no mesmo volume de voz, compenetrada — É só não fazer muito barulho.
Havia uma superstição na qual Mia ouvia desde criança que dizia que se você pintasse as unhas do seu amado com bálsamo e a cor persistisse até a primeira nevasca, o casal estava fadado a viver o resto dos seus dias juntos, portanto Mark estava sentado de pernas cruzadas à frente do seu primeiro amor, que espalhava a pastinha rubra no dedo mínimo do garoto com um cotonete.
— Não vai durar até a primeira nevasca — A respiração dele tocou a pele dela quando Berry elevou o olhar.
— Eu sei — Sorriu, finalizando seu trabalho ao cobrir o mindinho de Mark com papel filme transparente a fim da coloração agir mais depressa — Mas e daí? Eu não preciso de muita comprovação pra saber que eu vou me casar com você, eu já tenho isso.
Sacudiu os dedos da mão esquerda, como costumava fazer ao exibir o anel de noivado para colegas, em que uma pedrinha rosa em formato de coração tremeluzia no seu centro. Mark esboçou um sorriso, curvando o corpo de Mia perigosamente até que suas costas encontrassem o colchão, o olhar brincalhão jamais se esvaindo da sua expressão.
— O que foi mesmo que você disse? — Ele questionou, envolto numa falsa deliberação — Ah, é só não fazer barulho, né?
Mia soltou um risinho baixo enquanto Mark em cima de si plantava um beijo na ponta do nariz alheio. Os dois só conseguiram sair daquela névoa de paixão quando o celular de Mia trepidou, sobressaltando-os, ela tateou cegamente em busca do aparelho e quando finalmente o encontrou, seu namorado não ousou mover um músculo, dizendo sem a necessidade de palavras que estava afim de fuxicar o e-mail recente.
— Engraçadinha — Foi a reação do Lee com a imagem de plano de fundo, dele dormindo serenamente ainda vestindo uma de suas gravatas peculiares.
Ambos estranharam o fato da mensagem ter sido encaminhada para apenas o casal.
“Caro senhor Lee e Cara senhorita Berry,
Por favor, preciso que compareçam até o meu escritório amanhã, sem falta.
Cordialmente, Johnny Suh.”
Por que raios o filho do presidente estava enviando um e-mail num domingo à noite? Eles não tinham ideia. Tinham certeza de uma coisa entretanto, a de que eles estavam encrencados aparentemente.
— Merda — Deixaram escapar em uníssono.
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(Créditos para a @ch9xhleye por essa artezinha de pêssego tão fofinha❤️)
Não sei quando vou atualizar, mas é isso! KKKKKK
Beijinhos açucarados! 🍬🍬🍬
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mucillo · 2 months
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Vittorio Arrigoni detto Vik è stato un attivista, giornalista e scrittore italiano. Sostenitore della soluzione binazionale come strumento di risoluzione del conflitto israeliano-palestinese, nonché pacifista, si era trasferito nella Striscia di Gaza per agire contro quella che definiva pulizia etnica dello Stato di Israele nei confronti della popolazione araba palestinese.
Sembra oggi ma parliamo di 25 anni fà
Una lettera di Vittorio del 02 marzo 2009 due anni dopo fu assassinato.
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Vittorio tornato a Gaza
«E alla fine sono tornato.
Non sazio del silenzio d’assenzio di una felicità incolta
accollata come un cerotto mal riposto su di una bocca che urla.
Non potevo fare altrimenti.
Essere ferito, venir rapito, derubato della propria missione, incatenato e imprigionato in un lurido carcere israeliano,
quindi deportato a forza su di un aereo verso Milano
senza neanche la pietà di mettere ai miei piedi nudi e martoriati dalle catene un paio di scarpe,
non è certo la conclusione auspicabile per il compito solenne e di riscatto umano che ha impegnato gli ultimi mesi della mia barocca vita.
Il leone accumula stagioni e cicatrici,
non ha certo il passo slanciato di una volta,
ma non abbassa di un pelo la criniera.
Poggiando il primo piede sulla terra di Gaza, per la seconda volta, sbarcando, come un Armstrong esiliato,
ho ruggito, eccome,
devono esser tremati i vetri delle finestre pure a Tel Aviv.
Fiero del mio passato, non curante del mio presente.
Perché è questo il tempo di spendersi, piuttosto che accaparrarsi un futuro agiato e comodamente distorto,
a quelle vittime innocenti a cui non abbiamo concesso neanche l’ascolto, per un attimo,
delle loro grida di dolore.
Spendersi affinché ogni diritto umano sia rispettato.
Tutto il resto non ha più importanza, semmai ne abbia mai avuta una.
Bisogna saper riconoscere la matrice della propria anima,
anche se ciò è spaventevole e significa solitudine, ostracismo, utopia, Don Chisciotte,
ingratitudine anche da chi verso cui si è dato tanto, si è speso tutto.
Ad aspettare nel fuoco si rischia di bruciarsi.
Ecco allora il perché della scelta dei miserabili, dei reietti, dei condannati,
essi sono ancora capaci di lealtà, di gesta aggraziate e di generosità audace, alle soglie della fine del mondo.
Reietto e miserabile la vita mi ci ha costretto,
sono tornato a casa.
Natale a Gaza pare un funerale.
E non esclusivamente perchè oggi ad un funerale effettivamente ci sono stato,
il vicino di casa di Fida, nostra coordinatrice ISM,
è stato ridotto in brandelli, in tanti piccoli pezzettini di carne lacera da un colpo di carroarmato israeliano.
Piove lacrime amare il cielo di Gaza in questi giorni di lutto e terrorismo da oltreconfine.
Si ascoltano i rutti delle minacce di imminente strage da Lvni e si trema dal freddo
(senza + gas, senza + gasolio, senza + energia elettrica).
Si odono i cingoli di Netanyahu sulle ossa dei palestinesi ammazzati ieri e di quelli a venire.
Lvni e Netanyahu in marcia funebre verso le prossime elezioni israeliane,
il teorema è semplicistico, ma purtroppo realistico,
vincerà chi porterà in dote ai propri elettori più teste palestinesi mozzate.
One head one vote.
A Gaza è come se si fosse in autunno,
e io sono nato sotto il segno dell’autunno.
Per cui se fuori piove,
perdonatemi,
a volte piove anche dentro.
Restiamo umani.
Vostro Vik dalle tenebre dell’assedio.»
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carriessotos · 3 months
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hazel — Give me a character and I'll give you 10+ headcannons
give me a character and i'll give you 10+ headcannons: hazel morrow.
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a pessoa que mais admirou em sua vida foi sua tia-avó materna, anne mulligan, que praticamente criou sua mãe após o falecimento de seus pais, quando tinha doze anos, e de quem hazel era próxima desde a infância; sempre tiveram muito em comum em questão de gostos e opiniões sobre o mundo, e se espelhava muito nela. continuavam se falando sempre ainda que hazel estivesse em outro estado para a faculdade, e o seu falecimento aos oitenta e três anos deixou hazel arrasada. o retorno para sua cidade natal de forma definitiva veio ao descobrir que a tia-avó deixou a casa em que vivia para ela, decidindo então por concluir o último ano de sua residência no hospital da cidade.
embora soubesse que gostaria de estudar algo na área da saúde ou de ciências, estava muito perdida sobre o curso que iria seguir no ensino superior; passou de psicologia a engenharia química e biomedicina, antes de enfim descobrir que a sua vocação estava na medicina. uma grande influência para a sua decisão veio de sua tia avó e de sua melhor amiga, que trabalhava na área, e acabou se decidindo. porém, demorou bastante durante a universidade para descobrir a área em que gostaria de se especializar, quase tendo ido para pediatria ou cirurgia geral. antes de optar pela ginecologia e obstetrícia.
é uma pessoa bastante insegura, embora esteja tentando trabalhar com isso nos últimos anos e se abrir mais para experiências novas, se compara muito com sua irmã mais velha desde que era criança. jenny sempre foi muito expansiva e cheia de amigos, se destacava nas atividades esportivas da escola - estava no time de futebol feminino, e até conseguiu uma bolsa para berkeley assim -, e era muito mais envolvida com os conhecidos em bend. mesmo que por muitas vezes sem maldade, os comentários que as comparavam não eram poucos, e hazel cansava de ser sempre conhecida como a irmã de alguém, não a sua própria pessoa.
no segundo ano do ensino médio, resolveu que não queria sempre depender de seus pais para conseguir ter algum dinheiro - ainda que a sua família tivesse boas condições - e começou a trabalhar como babá para alguns conhecidos do bairro. nas férias de verão entre o terceiro e o quarto ano do ensino médio, também trabalhou na sorveteria elly's.
só teve três relacionamentos sérios na vida: dois quando estava na universidade de chicago e um com um colega do hospital de seattle. o mais longo foi com kevin monroe, formado em engenharia robótica também da uchicago, com quem ela ficou por três anos e sete meses, até terminarem porque queriam coisas muito diferentes, e não entravam em sintonia desde bons meses antes do término. ficou muito magoada na época, e demorou para começar a sair com outras pessoas. só se interessou por alguém de forma séria de novo quando já estava em seattle para a residência, tendo namorado chris benowitz, um residente de cirurgia ortopédica, por cerca de nove meses.
tem uma pequena tradição com o pai: todo início de mês, trocam um livro - ou, no caso de quando morava fora para a faculdade, trocavam recomendações. um dá o livro para o outro, e tem o resto do mês para ler e devolver. embora não esteja com tempo para ler sempre, é uma leitora ávida, e o combinado entre os dois sempre a fez se sentir próxima do pai apesar de tudo. então, faz um esforço para terminar o livro e, nessa brincadeira, já descobriu vários livros dos quais gostou muito, como deuses americanos e flores para algernon. por sua vez, os seus livros favoritos no geral são: a amiga genial, circe e pessoas normais.
gosta muito de musicais, e já assistiu várias vezes ao vivo em teatros em chicago, seattle e uma ou outra ida para a broadway. seu favorito é waitress, mas também ama wicked, rent e hadestown, e sempre escuta as suas músicas. entre os filmes, alguns de seus favoritos são: moulin rouge, mamma mia, chicago, dreamgirls, the rocky horror picture show e nasce uma estrela. mas, o seu filme favorito da vida é thelma e louise.
quando não está com o cabelo solto, hazel geralmente usa algum tipo de trança. não é sempre que tem tempo ou vontade de investir em algo mais elaborado do que uma trança comum, mas gosta muito de usar as holandesas quando tem a força de vontade para arrumar o cabelo assim.
desde a adolescência, tem o costume de marcar os livros que lê com marcadores coloridos de página - dependendo da leitura, ainda categoriza em cores quais são os temas que vai encontrar em cada parte - e de sublinhar as suas frases favoritas com lápis ou caneta. de vez em quando, também faz anotações curtas nas obras - então, pegar um livro emprestado com ela é sempre uma experiência.
nunca foi uma pessoa muito de esportes. a sua família inteira torce para os são francisco 49ers, por exemplo, e até assistiu vários jogos quando se reuniam em um final de semana ou outro, só nunca se empenhou tanto como torcedora. no entanto, sempre assiste as olimpíadas de inverno e é apaixonada por assistir às apresentações de patinação no gelo, além de adorar assistir todas as provas da modalidade de ginástica na olimpíada normal. várias de usas memórias favoritas de bend ocorreram enquanto patinava com as amigas no rinque de patinação da cidade, e volta e meia ainda vai lá.
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gelatinatremolante · 5 months
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Non essere stato costretto a uscire di casa e fare cose contro la mia volontà come ad esempio lav*rare durante questo buco nero formato dai giorni fra Natale e capodanno una grande vittoria, venire addirittura pagato sembra qualcosa di assurdo.
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Veneziani: In treno verso il nulla, stranieri a casa propria.
di Marcello Veneziani – 13 Agosto 2023
L’altra sera ho preso un treno locale tra Foggia e Bari. Ero nella mia terra, dovevo raggiungere il mio paese natale, ho preso l’ultimo regionale della sera. Non ero in prima classe, non leggevo Proust, non ero tra lanzichenecchi, come era capitato ad Alain Elkann ed ero curioso di chi mi stava intorno. Ero l’unico anziano in un treno zeppo di ragazzi, pendolari della movida, che si spostavano per andare a fare nottata in paesi vicini. Ero su una tratta che un tempo mi era famigliare, ma mi sono sentito straniero a casa mia. No, non c’erano stranieri sul treno, come spesso capita nei locali. Ricordo una volta su un locale, ero l’unico italiano tra extracomunitari, in prevalenza neri, con forte disagio perché ero pure l’unico ad avere il biglietto. Stavolta invece ero tra ragazzi dei paesi della mia infanzia e prima giovinezza, eppure mi sentivo più straniero che in altre occasioni.
Li osservavo quei ragazzi e soprattutto quelle ragazze, erano sciami urlanti che agitavano il loro oggetto sacro, la loro lampada d’Aladino e il loro totem, lo smartphone. Si chiamavano in continuazione, la parola chiave per comunicare era “Amò”, ed era un continuo chiedersi dove siete, dove ci vediamo. Era come parlare tra navigatori che si dicevano la posizione.
Le ragazze erano vestite, anzi svestite, scosciatissime, come se fossero cubiste o giù di lì, con corpi inadeguati. Era il loro dì di festa, il loro sabato del villaggio, ma in epoca assai diversa da quella in cui Leopardi raccontava l’animazione paesana che precede la domenica. Dei loro antenati forse avevano solo la stessa pacchianeria prefestiva, ma nel tempo in cui ciascuno si sente un po’ ferragnez e un po’ rockstar. Parlavano tra loro un linguaggio basic, frasi fatte e modi di dire sincopati. Mai una frase compiuta, solo un petulante chiamarsi, interrotto da qualche selfie, si mandavano la posizione e si apprestavano a incontrarsi e poi a stordirsi di musica, frastuono, qualche beverone, fumo, e non so che altro. Li ho visti in faccia quei ragazzi, erano seriali, intercambiabili, dicevano tutti le stesse cose, ciascuno in contatto col branco di riferimento. Cercavo di trovare in ciascuno di loro una differenza, un’origine, un qualcosa di diverso dal branco; ma forse erano i miei occhi estranei, la mia età ormai remota dalla loro, però non ravvisavo nulla che li distinguesse, che li rendesse veri, non dico genuini. Eppure parlavano solo di sé, si specchiavano nei loro video, si selfavano, un continuo viversi addosso senza minimamente preoccuparsi di chi era a fianco, insieme o di fronte. Sconnessi.
Magari è una fase della loro vita, poi cambieranno; magari in mucchio danno il peggio di sé, da soli sono migliori. Però non c’era nulla che facesse vagamente pensare al loro futuro e al loro piccolo passato, alle loro famiglie, ai loro paesi, al mondo circostante; tantomeno alla storia, figuriamoci ai pensieri, alla vita interiore, alle convinzioni. Traspariva la loro ignoranza abissale, cosmica; di tutto, salvo che dell’uso dello smartphone. Anche i loro antenati, mi sono detto, erano ignoranti; ma quella era ignoranza contadina, arcaica e proletaria, carica di umiltà e di fatica, di miseria e di stupore; la loro no, è un’ignoranza supponente e accessoriata, non dovuta a necessità, con una smodata voglia di piacere e vivere al massimo il piacere, totalmente immersi nel momento. Salvo poi cadere negli abissi della depressione, perché sono fragilissimi.
Mi sono detto che i vecchi si lamentano sempre e da sempre dei più giovani, li vedono sempre peggiori di loro e dei loro nonni. Però, credetemi, la sensazione più forte rispetto a loro, era un’estraneità assoluta, marziana: nulla in comune se non il generico essere mortali, bipedi, parlanti. In comune non avevamo più nulla, eccetto i telefonini. Per confortarmi mi sono ricordato di quei rari ragazzi che mi è capitato di conoscere e che smentiscono il cliché: sono riflessivi, pensanti, leggono, studiano con serietà, sanno distinguere il tempo del divertimento dal tempo della conoscenza, hanno curiosità di vita, capiscono l’esistenza di altri mondi e altre generazioni, capaci di intavolare perfino una discussione con chi non appartiene alla loro anagrafe. Però ho il forte timore che siano davvero eccezioni. E mille prove personali e altrui confermano questa impressione. Raccontava un amico che fa incontri nelle scuole che davanti a una platea di trecento ragazzi, chiese loro se leggessero giornali, o addirittura libri, se vedessero qualche telegiornale, se sapessero di alcuni personaggi, non dico storici o i grandi del passato, ma almeno importanti nella nostra epoca. Uno su cento, e poi il silenzio. Hanno perso la loro ultima piazza, il video, ognuno si vede il suo film e la sua serie su netflix o piattaforme equivalenti, segue il suo idolo, ha vita solo social.
Qualunque cosa in chiave politica e sociale, storica o culturale, non li sfiora, non li tocca, non desta il loro minimo interesse. Certo, sono sempre le minoranze a seguire attivamente la realtà o a coltivare una visione del mondo e condividerla con un popolo, un movimento, una comunità. In ogni caso non è “colpa loro”, se sono così. E’ anche colpa nostra; anzi non è questione di colpe. E l’impossibilità di comunicare con loro dipende pure da noi. Però, mi chiedo: cosa sarà tra pochi decenni di tutto il mondo che si è pazientemente e faticosamente costruito lungo i secoli, attraverso scontri, guerre, sacrifici, fede, conoscenza, lavoro, lavoro, lavoro? Nulla, il Nulla. Sono questi i cittadini, gli italiani, di domani? Sono forse diversi, e più nostrani, rispetto agli stranieri extracomunitari che sbarcano da noi a fiumi?
Tabula rasa, zero assoluto, il postumano si realizza anche senza manipolazioni genetiche, robot sostitutivi, intelligenze artificiali e mostri prodotti in laboratorio. Quel treno della notte non portava da un paese a un altro, portava solo nella notte.
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yomersapiens · 5 months
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Ratti auguri di buon Rattale!
A Vienna si calcola esistano una cosa come tre milioni di ratti che vivono nel sottosuolo della città. C'è un tour che ti fa esplorare le complesse linee fognarie dove ti raccontano di tutti questi ratti che girano. Tre milioni di ratti sono quasi due ratti a testa per ogni abitante della città. Quindi, in un mondo perfetto, questo Natale in casa saremmo in quattro: io, Ernesto e due ratti. I due ratti durerebbero poco. Uno Ernesto se lo mangerebbe in un secondo. L'altro lo difenderei a spada tratta e diventerebbe il mio alleato eterno e lo chiamerei Ratteo, così, per avere un essere vivente a cui tramandare quello che ho imparato durante la mia esistenza.
Ho deciso di passare il Natale lontano dall'Italia perché negli ultimi mesi sono stato troppo in giro e mi stavo dimenticando di uno dei valori principali su cui è fondata la mia stabilità: la solitudine. Ho fatto in modo di andare a cena da mio fratello molto molto presto, per essere in grado di finire prestissimo e tornare a casa quando il resto delle famiglie si stanno sedendo a tavola. È stupenda Vienna quando in giro non c'è anima viva. O per meglio dire, quando in giro ci siamo solo noi immigrati, senza famiglia, senza nessuno. No ok io ho un gatto e un ratto a cui sto insegnando tutto di me e che spero un giorno prenda il mio posto nella società. Lo vestirei con i miei stessi abiti. Forse gli farei pure gli stessi tatuaggi.
Vienna di per sé non è mai troppo affollata, c'è da dire. Ma vederla ancora più deserta del solito è rinvigorente. La solitudine che tanto mi manca è ovunque. Il bus si muoveva sinuoso tra le strade senza l'ombra di una macchina in movimento. I semafori lampeggiavano sincronizzati con le luci degli alberi negli appartamenti di chi non vedeva l'ora di festeggiare. Tante lingue diverse. Del tedesco neanche una lontana eco. Prima di rientrare sono passato dal supermercato turco, loro sono sempre aperti. Ecco un altro pilastro della mia stabilità. Due ragazzini prima di me stavano comprando quella che penso fosse la loro cena natalizia. Una confezione di pane da toast, del formaggio già tagliato a fette, del prosciutto, qualche sacco di patatine e una marea di coca zero. Quanto li ho invidiati. Non dovevano essere di qua, intendo abitanti della zona. Avevano l'aspetto dei turisti. Erano giovani, vestiti male, capelli orrendi, con pochissimi soldi ma stavano avendo la serata che vorrei tanto aver avuto io con te. In una città di cui non sappiamo niente, in un momento in cui tutti si ricongiungono con i familiari, noi, andare via da tutto e avere tutto quello che ci serve tra i filamenti del formaggio sciolto del toast. Unica differenza, lo si farebbe senza prosciutto, che lo diamo a Ernesto e Ratteo.
Quando ottieni quello che hai sempre voluto è il momento in cui ti rendi conto di quanto era bello semplicemente desiderare, senza le responsabilità che derivano dall'ottenere. La felicità è un atto di responsabilità e va difesa. Devi lavorare ancora più di prima per mantenerla. Consuma un sacco. Ha sempre fame. Ci mette un attimo ad ammalarsi e deperire e mutare e non appena diventa anche solo di un gradiente meno luminosa ecco che pensi di averla persa. Sono successe tante cose in questo anno terribile che mi hanno reso felice e solo dire la parola "felice" mi fa sentire sporco perché quella voce che costantemente urla in testa "tu non meriti di essere felice!!!" non è che ha smesso di urlare eh, continua a farlo, ma vedendo che un pochino io sono sereno ha fatto il broncio, incrociato le braccia, sbattuto forte i piedi per terra e si è andata a mettere in un angolo del cranio a escogitare un piano per farmela pagare.
Ho lavorato tanto in questi anni e neanche me ne sono reso conto. Tutte le volte che venivo qua a scrivere mi stavo preparando per fare qualcosa che non avrei mai pensato potesse accadere. Non ho la forza ahimè, per raccontare la mia storia a tutti, ancora, cosa che dovrei fare dato che devo andare in giro e promuovere la mia carriera di autore e spiegare pure tutte le altre attività che svolgo e cercare di sembrare interessante e intelligente e sagace e invece sono solo a pezzi e la socialità mi esaurisce.
Questo Natale lo sto passando come John McClane. Decisamente lurido e unto, senza scarpe, con un gran mal di testa, chiuso nel condotto di areazione mentre scappo da tutti. Mi farei portare di tanto in tanto qualche biscottino da Ratteo ma poi come cacchio riesco a strisciare fuori da qua dentro. La mia pancia ha raggiunto livelli che mai avrei pensato potesse raggiungere e il bello è che non mi interessa minimamente. Solo quando mi allaccio le scarpe dai, lì un po' intralcia. Non mi interessa perché sono entrato nei quaranta e finalmente "ho dato". Posso dirlo con fierezza. Ho dato. Ora tocca a qualcun altro darsi da fare ed essere bello e atletico e magro e muscoloso e pieno di talento io, ho dato. C'ho provato. Ha funzionato per un frangente e poi ha smesso e ho passato anni a cercare di rimanere come nei miei ricordi finché non mi sono reso conto che ero rimasto fermo. Bloccato. E non nel sistema di areazione come questa notte.
Ernesto non è più abituato a guardarmi scrivere, in effetti sono passati parecchi mesi. Non riuscivo più ad avvicinarmi a una tastiera se non per piccoli frangenti di tempo. Per rispondere a delle mail o per digitare nel motore di ricerca la categoria con la quale mi piacerebbe masturbarmi. Ernesto mi ha attaccato un piede, segnale che non accetta io sia distratto e che non lo stia degnando delle attenzioni che ritiene di meritare e meno male che non mi stavo adoperando per masturbarmi altrimenti sai che dolore se mi avesse addentato altro. Tipo il piccolo Ratteo che ho tra le gambe e che, nonostante la pancia sia cresciuta, resta sempre delle stesse dimensioni contenute.
Lo psicologo l'altro giorno mi ha chiesto cosa vorrei fare se scoprissi che in sei mesi tutto sarebbe finito. Gli ho chiesto cosa intendesse con tutto. Ha risposto tutto. Tu, il mondo. L'umanità: tutto. Anche la mia famiglia? Sì, anche la tua famiglia. No aspetta ma quindi anche mio nipote? Sì, anche tuo nipote. Cercherei di salvare la mia famiglia. Ha detto che non potrei farci nulla. Allora ho detto che andrei per strada e urlerei a tutti che il mondo sta per finire e che mancano solamente sei mesi anche se poi sembrerei uno di quei pazzi che urlano che siamo fottuti con un cartello scritto male e un cappello di stagnola e che quando li becchi mica gli dai retta, pensi che siano pazzi e torni a casa e te ne dimentichi mentre cerchi qualcosa di nuovo con qui masturbarti. Mi ha detto che non posso dirlo a nessuno, che sono l'unico ad essere informato e devo tenermelo per me. Allora ho pensato davvero a cosa avrei voluto fare, ma c'era un'altra domanda da porgli. Dovrei continuare a prendere farmaci oppure sarei senza la mia malattia? Ci ha riflettuto un attimo e poi mi ha fatto un grande dono. Saresti senza. Allora ho elencato tutti i posti che vorrei vedere e le cose che vorrei fare e il Giappone e nuotare con le balene e i cibi che vorrei mangiare e le droghe che vorrei provare per poi finire dicendo che un mese lo vorrei passare abbracciato a mio nipote, che non capirebbe e anzi, probabilmente mi caccerebbe via dicendo "zio Pattejo coza fuoiii" però a me andrebbe bene lo stesso. Voi cosa fareste, se rimanessero solo sei mesi?
Mi mancava la solitudine e sentirmi solo e parlare da solo e scrivere in questa condizione di silenzio totale. Nel palazzo di fronte non c'è nessuna luce accesa. Forse sono tutti usciti per cena o forse sono tutti rientrati nei loro paesi di appartenenza. Se ancora sono a Vienna è per questo motivo, da nessuna altra parte del pianeta riesci a sentirti così solo come qua. Per questo poi ti affidano due ratti.
Ernesto si è appallottolato sul divano. Ratteo si è addormentato sulla mia spalla. Spengo le luci, apro i regali che mi sono fatto e aspetto sia domani. È un Natale bellissimo ma sarà ancora più bello quando potremo farci dei toast insieme e raccontarci cosa ci ha insegnato il silenzio.
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thebutterfly0 · 5 months
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Oggi è la festa di Santa Lucia, nella città in cui sono nata è usanza che porta i regali. È sempre stata una notte magica anche da adulta, peccato che dove vivo adesso non esiste questa ricorrenza. Da bimba mi ricordo che i miei ci facevano trovare i regali la sera prima così al mattino non facevamo ritardo a scuola. Mia mamma li disponeva o sui nostri lettini oppure sul tavolo di legno in salotto. Erano tutti incartati con della carta super colorata, ma non natalizia perché a mia mamma non è mai piaciuta, e disposti tutti benissimo. I regali più ingombranti dietro e man mano sempre quelli più piccoli davanti. Mentre noi eravamo a scuola o dai nonni lei aveva tempo di fare anche questo tra la casa e il lavoro. Se ci ripenso adesso da grande capisco che faceva i salti mortali. Mio papà non ha mai fatto nulla in casa, ha sempre fatto e fa tutt’ora mia mamma. Mi è sempre rimasto impresso nella mente come li posizionava, veniva sempre una bellissima composizione di regali, non erano messi a caso ma con un criterio ben preciso. Il regalo di Santa Lucia solitamente arriva anche qua ed è sempre una cosa che mi regala un po’ di magia di quando ero piccola. Quest’anno non è ancora arrivato nulla e non so se arriverà. Ho scoperto la non esistenza di Santa Lucia quando per caso ho visto dove nascondeva i regali, però me lo sono tenuto per me perché mia sorella era ancora piccola e non volevo rovinarle una notte così magica come questa. Non sono amante del Natale, ma la notte di Santa Lucia è un po’ come se respirassi quella magia che molti respirano in quella notte mentre io la trovo molto triste.
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libero-de-mente · 5 months
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𝗗𝗶𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼
𝟯 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟯
Caro diario
questa mattina, mentre ancora assonnato cercavo di calcolare le ore che mi rimanevano per tornare a letto questa sera, ho ricevuto una telefonata.
La voce dall'altro lato era concitata "Rino sono caduta, sono sul terrazzo. Ho freddo aiuto. Aiutami ti prego".
Mia madre. Oramai convivo con questa consapevolezza che in qualsiasi momento le possa capitare qualcosa. Del resto intimarle di stare ferma e non fare nulla risulterebbe, per lei, come una condanna a morte.
L'arrendersi all'evidenza che non può pulire, stendere, riassettare la casa in generale o preparare dei manicaretti al sottoscritto come ha sempre fatto sarebbe un colpo letale per lei.
Mentre correvo da mia madre pensavo al "cadere".
Chissà cosa si prova quando a cadere è il tuo corpo, ma non la tua mente e la tua anima. Dev'essere un contrasto forte, il non accettare che il corpo che ti ospita da quando sei nato sia compromesso. mentre la testa ancora vorrebbe fare mille cose.
Il mio corpo è già ceduto molte volte ma era dovuto a qualche patologia, quindi avevo una giustificazione che il mio cervello accettava come discolpa.
Una volta no, cedette anche il mio cervello. Ero disperato, troppe ingiustizie di chi credevo essere mio fratello. Fratello, diminutivo di frate, contrazione del latino frates. A sua volta, il lemma latino trova un riscontro diretto nel sanscrito bhratar, al cui interno troviamo la radice bhar-, legata all'idea di sostentamento e nutrizione.
Stesse radici. Stesso nutrimento. Stesso sangue.
Lei, mia madre, ha vissuto questo tradimento da mamma. Penso che sia ancora più terribile. Lo credo fermamente in quanto genitore anche io, non sopporterei di essere tradito da uno dei miei figli. Preferirei morire piuttosto che vivere tale condizione.
L'ho aiutata, nulla di grave per fortuna caro diario, e dopo averla scaldata e finito le faccende per la quale era caduta, ho fatto una cosa semplice. L'ho fatta ridere. Così da scaldarle il cuore e l'anima.
Natale è in questi gesti, non negli alberi addobbati e nei regali, almeno per me è così. Certo le decorazioni aiutano a vivere in allegria, ma è aiutando che secondo me si crea l'atmosfera che assaporavamo da piccoli.
Credo che oggi sia stato importante che lei si sia rialzata, questo dà forza e coraggio. Non importa come e quando cadi, importa sapersi rialzare, anche con un aiuto, perché così ci si rafforza nell'animo.
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oramicurcu · 5 months
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Forse è il primo Natale dopo tanti anni che sono felice, tranquilla.
Cena a casa con la mia famiglia stretta.
Messa con mamma e auguri sinceri con un paio di amiche.
Ora a letto, sotto le mie coperte pesanti.
Mentre tutti i giovini del paesello stanno al bar, e per la prima volta non mi sento a disagio per non aver le compagnie come le loro. Per la prima volta mi sento bene dove sto.
Mi manca qualcuno, forse. Ma ci sono cose che devono essere reciproche, altrimenti non ha senso. E infatti non ha più senso. Ciao e stop così
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