Tumgik
#righ orm
jem-jam · 5 months
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will no longer be reblogging stuff for 'two vamps walk into a' here as i have a blog for it now - if you like the vtm/vampiric aesthetic stuff then i'd head to @twovampswalkintoa.
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machecolorescefuori · 4 years
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𝐏𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐨.
Schiamazzi alti. Parole che si mischiano ad altre, divenendo un tutt'uno incomprensibile. Viavai di gente, genitori sull'orlo della nostalgia e della felicità che esordiscono in classiche frasi quali "quella ragazza è proprio mia figlia" oppure "sono così fiero di te, figliolo"; e quasi si può giurare di scorgere una lacrimuccia abbandonare quei loro sguardi orgogliosi. Ragazzi temerari che si trascinano dietro come vecchi sacchi valigie, borsoni e gabbie con qualsiasi animale immaginabile al suo interno — oh, è un gufo quello? Facendo una similitudine, il tutto potrebbe esser associato ad un vero e proprio mercato settimanale; un mercato che si svolge lungo la banchina di un binario segreto, azzarderei a dire magico. Il binario nove-e-tre-quarti supera i limiti della realtà; è invisibile ad occhi e mente umana, ha un passaggio tutto suo e di certo non si confonde con le scale che caratterizzano tutti gli altri binari presenti in quella stazione tanto grande quanto affollata. In quel preciso luogo ed istante, tutti sono uguali; non vi sono nati-babbani, mezzosangue o purosangue, non vi è in atto nessuna faida a mo' della "mia scopa è più veloce della tua". In quell'accumulo di testoline di ogni colore e forma, alcuni sono accomunati dall'ebrezza dovuta alla nuova avventura e, altri ancora, al proseguo della stessa. Un'altra parte — e la scienza lo conferma — sta già sperando nelle vacanze natalizie. In un piccolo angolo, poggiata ad una colonnina vi è una figura minuta che si identifica essere quella di una ragazza; capelli corti raccolti in una crocchia quasi scomposta e di un marrone lucido che richiama la bacchetta che custodisce gelosamente da due anni. Occhi vispi e dal taglio allungato stanno lì, ad osservare la solita scena che le si para dinanzi ad ogni inizio anno scolastico; ormai riconosce ogni singola parola di ogni singolo discorso che riesce a captare. Sa riconoscere le varie espressioni che si alternano su ogni viso su cui atterra lo sguardo amichevole e anche le preoccupazioni che affollano la mente di quei primini spaventati e, al contempo, affascinati; c'è chi spera di seguire le orme del padre, ambendo alla casata più potente. C'è chi vorrebbe passare alla storia come la miglior strega in fatto di intelligenza o chi non sa cosa aspettarsi lungo quel percorso. Qualcuno, invece, prima di allora, non aveva mai sentito nominare la parola "magia", se non dall'illusionista che si incontrava in una qualunque fiera di paese; qualcuno che, adesso, capisce davvero il peso di un potere magico potente, capace di distruggere anche l'anima. Park Jihyo — studentessa di quel che sarà il suo terzo anno, Grifondoro e so-tutto-io — queste cose le comprende abbastanza; vissute in prima persona durante quella che era la sua "iniziazione", avvenuta in completa solitudine. Niente mamma e niente papà, troppo spaventati da quel mondo così diverso dal loro ma non per questo ostili.
❝... e potrò trovare la mia anima gemella.❞ ❝ Che cos'è un'anima cosa? Lucy? Mamma?❞
E chi l'avrebbe mai detto che, in un momento decisivo come quello ed importante per la collezione nel bagaglio dei ricordi, la ragazza accanto a lei fosse propensa ad intraprendere un simile discorso? Per di più con la mamma e probabilmente la sorella che non vedrà prima delle vacanze natalizie. Una smorfia compare sul viso paffuto della giovane donna che proprio non riesce a farsi andare giù discorsi del genere; restano incastrati lungo la gola, lasciando un gusto amaro che fa a duello con i gusti dolci che la caratterizzano. Quelle sciocchezze inerenti al colpo di fulmine, all'anima gemella sono creazioni atte all'illusione degli altri; com'è possibile che nessuno capti l'inganno? E’ quasi surreale che due persone siano interconnesse fra loro con un unico destino: quello di incontrarsi in ogni vita e ambire al conseguimento di quest'ultima, insieme. Non si ha un destino in comune con qualcun altro, ognuno fa da sé e meno male, pensa Miss Intelligenza. Nessuno sa leggere fra le righe, è questa l'unica giustificazione che riesce a mettere in piedi in quel momento. Quel soliloquio, fortunatamente, viene messo a tacere. Un fumo denso comincia a sollevarsi dalla loro limousine extra lusso, l’Hogwarts Express che condurrà tutti loro sino alla scuola di magia e stregoneria più famosa nell'intero mondo magico. Si affretta a raggiungere uno dei vagoni lì presenti e si sa, la gatta frettolosa fece i figli ciechi; un pasticcio, no? Un po’ come Jihyo che finisce per urtare un povero malcapitato. Ragione o torto? I loro sguardi — seppur pieni di fastidio — vanno a collidere; pozze scure in altre del medesimo colore. Una vampata di calore va ad abbracciare quello che è il corpo della più bassa e sono proprio quegli occhi a farla vacillare per un momento —  cinque secondi esatti. Dimentica il chiacchiericcio assordante, quell'accumulo di folla e l'antitesi contro un destino unito; sembrano essere racchiusi in una bolla di sapone. E’ in quel momento che Jihyo prende coscienza che le manca qualcosa, e che quel qualcosa è un tassello importante. Un qualcosa che risiede nel proprio cuore ma, esattamente, cos'è? Non potrà mai saperlo perché tutto giunge al termine, alla stessa velocità con cui è iniziato. Quella bolla di sapone tanto cara finisce con lo scoppiare a causa di un fischio, il richiamo alla realtà e alle buone e umili maniere.
❝Guarda dove vai, nana.❞ ❝Guarda dove vai tu, zoticone.❞
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levysoft · 5 years
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Cominciamo dai fatti: i Pinguini Tattici Nucleari suoneranno al Forum di Assago il prossimo 29 febbraio. Prima di loro, altri cavalieri dell'itpop hanno alzato l’asta del microfono nel palazzetto più grande di Milano: Calcutta, i pace-all’anima-loro TheGiornalisti, Gazzelle. Il loro sbarco su quel palco, però, ha per me ancora dell’incredibile: niente di personale contro la band di Riccardo Zanotti, Elio Biffi e compagni, ma il loro grande successo resta per me un mistero.
I Pinguini non sono proprio il tipo di band che ti aspetti di vedere davanti a 12.500 persone. Forse a causa della loro immagine da eterni bonaccioni bergamaschi, anni luce lontana da quella più da figo scanzonato “à la Carl Brave”. Aggiungiamoci che non sono mai stati esaltati come “fenomeno del momento” o non hanno mai goduto dell’hype che spesso travolge molti musicisti del genere, Eppure, alla fine, i bravi ragazzi dell’Indie italiano sono arrivati fin lì. Ma come è successo?
Non è solo una fortunata serie di album e singoli, il loro carisma o la loro simpatia, tantomeno l’aver suonato in ogni angolo d’Italia dal 2012 ad oggi, fino ad arrivare al palco del Jova Beach Party. Dopo un’attenta analisi, secondo me, il segreto del successo dei Pinguini Tattici Nucleari è la loro mediocrità, ma detto senza cattiveria. Vi spiego meglio: nonostante abbiano le competenze e gli attributi per spaccare, i Pinguini si sono trovati a percorrere la strada meno battuta dell’industria musicale, ovvero quella dell’ostentata umiltà. E si sa che le cose che escono dagli schemi ma non del tutto sono quelle che, potenzialmente, fanno più rumore.
Spogli di ogni divismo rock, ma anche delle vesti da bono maledetto dell'indie, i nostri Pinguini hanno deciso di essere normali per piacere al più grande pubblico esistente—quello medio appunto.
Non è un caso, infatti, se il loro ultimo album si chiama proprio Fuori dall’Hype, come a voler dire a tutti noi che hei non ce ne frega niente della fama e del successo guardateci siamo fieri di essere noi stessi eccetera eccetera. Una dichiarazione contro il brutto-e-cattivo mondo dell'itpop e i suoi beceri meccanismi, come l’ossessione per i followers su Instagram, le playlist di Spotify e il fantomatico hype costruito a tavolino. Loro sono diversi e in quelle tre semplici parole del titolo hanno, molto molto in breve, espresso tutto questo.
Infatti sul loro Instagram, riferendosi alla canzone che dà il titolo all’album, hanno detto che "L’hype è un gioco pericoloso. Per noi la musica è altro. Non essere il più grande, il più forte, il più atteso, ma saper condividere le proprie debolezze. La canzone parla di questo, ed è dedicata alla musica”. Come a dire che nella gara a chi ce l’ha più lungo, loro non lo tirano fuori perché non sono interessati a questa puerile competizione—ma tra le righe lasciano intendere che vincerebbero contro tutti. E questo lo dimostrano in modo sottile, senza palesarlo, ma usando sempre l’inconfondibile ironia e sfiga provinciale che li contraddistingue. Perché mai prendersi sul serio o scadere in pose da divo del palcoscenico, perché loro sono semplici proprio come tutti noi.
Tuttavia, non è una coincidenza se proprio il loro album anti-hype per eccellenza è anche quello più “pop” e leggero, come ha dichiarato Elio Biffi a Lettera43, e quindi per assurdo anche quello più “commerciale”. Insomma, ok fottere il sistema, ma anche loro devono guadagnarsi il pane e vendere qualche album. E, come si vede, lo sanno fare molto bene. Tutto merito di un’immagine da perfetti “normali” in cui ogni ragazzo italiano di età media tra i 16 e i 30 anni si può rispecchiare. Spogli di ogni divismo rock, ma anche delle vesti da bono maledetto dell'indie, i nostri Pinguini hanno deciso di essere normali per piacere al più grande pubblico esistente—quello medio appunto.
La strategia messa in atto, per quanto probabilmente involontaria, è più complessa di quanto sembra. Non basta parlare di vita quotidiana, tematiche sociali e amore, come faceva lo Stato Sociale: bisogna anche mettere in scena tutto quell’immaginario pop che tutti amano e conoscono. In “Antartide” vengono citati Harry Potter, i personaggi di Scrubs e Gigi d’Agostino—“Ad undici anni quando eri piccola aspettavi una lettera da Hogwarts / Per dimostrare a tutti i tuoi compagni che eri tu quella diversa da loro." In “Nonono” compaiono i Piccoli Brividi e il Festivalbar, l’apoteosi del nazionàl-popolare.
Ma qua e là compaiono anche citazioni per pochi, giusto per non deludere le aspettative di quella fascia di pubblico che, per età o per passione, non disdegna Vasco Rossi (“E ti porterei anche in America / Che ho venduto la macchina apposta” da “Monopoli”), Massimo Troisi (“Sembrava amore invece era una stronza amen” in “Sashimi”) e pure Miyazaki con la Principessa Mononoke (“Verdura”). E così, anche il pubblico dei trentenni acculturati ce lo siamo portato a casa.
Non solo tematiche popolari, ma anche il punto di vista popolare è fondamentale per la messa in scena dei Pinguini Tattici Nucleari. “Scatole”, ad esempio, parla del complicato rapporto padre-figlio che ogni generazione si è trovata ad affrontare. Il padre che vorrebbe che il figlio seguisse le sue orme, il figlio che si sente incompreso da un padre che tuttavia non vuole deludere. Ma, nonostante il talento scrittorio di Riccardo, il testo è scritto con una semplicità disarmante e una penna che non lascia nulla all’immaginazione: “Lui avrebbe voluto che facessi gli studi d'architetto / Oppure da ingegnere / Ma io volevo fare il musicista”. Tutto perfetto affinché chiunque possa immedesimarsi nel testo e fare sua la canzone.
I Pinguini sono i bravi ragazzi alla Richie Cunningham, quelli che non si fanno tutta Roma a piedi per una pischella, né tantomeno le spaccheranno la faccia se non gli darà il cuore.
Anche l’amore in chiave Pinguini Tattici Nucleari ha lo stesso trattamento. Prendete una canzone come “La Banalità del Mare”: già il titolo ammicca a “La Banalità del Male” della scrittrice Hannah Arendt:, a chi coglie la citazione, i Pinguini stanno dicendo che non sono così coglioni come sembrano. Ci sarebbe anche tutto un parallelismo semantico tra la semplicità dell’amore contemporaneo e l’idea espressa dalla Arendt, ma tutto viene eclissato da espressioni quali “Ti prego non usciamo questa sera / Restiamo qui ad accarezzare il gatto” oppure “Con te i lunedì sanno di sabato / Non ricordo neanche dove abito”. Insomma, anche in amore i Pinguini, come dicono in “Verdura”, sono i bravi ragazzi alla Richie Cunningham, quelli che non si fanno tutta Roma a piedi per una pischella, né tantomeno le spaccheranno la faccia se non gli darà il cuore.
Ed è per questo motivo che piacciono tanto a tutti. Alle ragazze, perché pure noi ci sciogliamo per quelli un po’ imbranati e romantici, che non ti portano in America, ma almeno al cinema sì. Ai ragazzi, perché non sono una minaccia, non innescano in loro la competizione o l’invidia—anzi, sono più simili a degli amici con cui farsi una partita a biliardino al bar del quartiere. I Pinguini piacciono perché non sbandierano nessun machismo cinematografico o prodezze passionali, al contrario si vantano di essere persone normali che fanno cose normali. Quindi non generano nessun complesso di inferiorità nei loro fan, perché si immedesimano perfettamente nei loro testi.
Per non farci mancare nulla possiamo aggiungere anche i loro videoclip, sempre politicamente corretti e con l’immancabile vena (anzi, aorta) ironica che li rende simpatici anche alle nonne—chi non vorrebbe scorrazzare per il proprio supermercato di quartiere sui carrelli della spesa dopo aver guardato "Verdura"? Il video per “Fuori dall’Hype”, invece, gioca la carta emozionale, e mentre lo guardi ti domandi se per caso è partito uno spot della Apple o dell’Ikea.
A parte la comunicazione online e l’immagine da bonaccioni, un elemento fondamentale del successo dei Pinguini Tattici Nucleari è l’orgoglio provinciale. Ma potevano alzarsi al di sopra della media? Ovviamente no. E infatti non parliamo della provincia infame cantata da Massimo Pericolo o Speranza ma di quella di Bergamo, nord Italia. Ancora una volta, un paesaggio in cui regna la normalità: nessuna sparatoria, disagi sociali o difficoltà del ghetto. Solo l’innocuo nulla dell'anonimato provinciale.
Tuttavia non è una provincia di cui ci si vergogna o da cui vogliamo scappare con la mente, come faceva Vasco Brondi quando fantasticava di scappare da Ferrara e Ravenna sulle astronavi. Anzi, i Pinguini si fanno paladini dell’orgoglio di provincia, incarnando la genuinità del mondo bergamasco e sbandierando il Pota Power. Il video per il brano “Le Gentil” è forse l’esempio più rappresentativo: nell’intro, infatti, uno scienziato si rivolge al pubblico in bergamasco e alla fine del suo monologo svela il soggetto del suo discorso—la pota appunto. Sotto questo video sono molti i commenti dei fan della prima ora che ringraziano la band per l’omaggio al dialetto, che effettivamente non è molto in voga nella scena indie.
Insomma, l’idea che danno i Pinguini Tattici Nucleari è che sono arrivati al successo, senza volerlo, e forse senza nemmeno accorgersene. Se la loro immagine di bravi ragazzi anonimi della provincia bergamasca sia costruita al tavolino o no, resterà per noi un mistero. Ma quel che è certo è che con la loro banalità, i loro sorrisi sinceri e vestiti come se fosse ancora la mamma a comprargli le camicie, hanno conquistato il grande pubblico, dai ragazzini ai trentenni, dalle mamme agli ascoltatori più esigenti. Aveva ragione Lucio Dalla a dire che l’impresa eccezionale è essere normale, perché, in effetti, alla fine ti porta fino al Forum di Assago.
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darthdodo · 2 years
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In ambito strategico una guerra semi-aggressiva è una via praticabile, fattibile e attuabile solo grazie ad una recente postproduzione di larghe vedute, aperture e politiche di ampio respiro per consolidare o dismettere asset nell’esigenza dei nostri tempi e degli sviluppi immediatamente futuri.. Nella realtà storica durante i “bombardamenti nucleari mirati” (per tutto il WW2) in Belgio e dintorni, quella tattica e quella mentalità furono incomprese e relegate all’ottica di seppellire il nemico sotto una devastazione inenarrabile, apocalittica anche per l’epoca: ogni reazione nel nemico veniva seguita ad una risposta non convenzionale che prevedeva l’annientamento del concetto di fanteria e di presidio nella strategia di battaglia e operativa in avanzata quando una fazione mostrava i muscoli colle sue divisioni corazzate; poi coll’avvento dei missili e dell’era termonucleare il plutonio fu accantonato da Uranio, Trizio e forme compatte di fissione più o meno instabili.. furono abbandonati i vecchi piani e la concezione stessa di guerra asimmetrica per scemare e far ritornare in auge quel modello ripreso dai bombardamenti mirati, nelle nuove tecnologie balistiche di tiro assistito, ricalcolo del targeting satellitare, e nelle bombe intelligenti che coi missili strategici si proponevano di vanificare l’impiego di deterrenti dispiegati in campo nel corso della guerra fredda con nuove e interessanti forme avveniristiche denominate appunto testate nucleari multiple, che consentivano un’emissione minore di radiazioni, e sorpassavano l’era atomica nel suo più spettrale incubo, ma sempre costringendo una potenza rivale a ripiegare o aggirare un territorio devastato in un’area a ventaglio di distruzione rendendo impercorribile l’avanzata o la minaccia verso dei popoli inermi.
Dopo la guerra fredda e la Bosnia coll’avvento e gli effetti, che la civiltà reale conosce, e nelle logiche di certi “falchi e colombe” per evitare quelle recrudescenze che in passato venivano lette ai posteri fra le righe di un escalation o di misure e sanzioni da Embargo ricalcate in quelle famose risoluzioni delle Nazioni Unite, quella cosiddetta maturazione ci ha consegnato dei figli di troia capaci di infischiarsene e approntare gas nervini di ogni genere, bombe sismiche multiruolo, e  un asset niente di meno che ridimensionato a pura teoria e privo di supervisione.
Per oltre nelle orme dei gloriosi tempi che fecero i nazisti grandi quando designavano cannoni, missili e modelli d’aerei colle specifiche dell’anno di produzione: che si rivede nella tradizione di soprannominare i vettori di queste benedette o maledette testate multiple W87 dato l’anno di pianificazione.
In ragione di ciò spiegarsi come funzionano le cose non è affatto banale, in un mondo tanto caotico, poiché questi grandissimi sciagurati hanno consegnato di fatto uno scacchiere di domini e di arsenali che vanno aldilà del semplice e gentile potenziale NATO.. sovrastando, compromettendo, scavalcando veti e legittima difesa territoriale con il continuo rimpiattino energetico dei gasdotti ai confini geografici sovrani dell’Europa o del Caucaso e nel Medio Oriente.. La guerra totale non avvenne, non fu dichiarata, nel nome dell’umanità, del sacrificio e della supremazia che non esiste più, e neppure nelle idee di certi colti bastardi senza valori morali o umanitari.. ma nel meno in quelle ragioni che la scatenarono, aldilà dell’autoconservazione di ogni patrimonio Unesco, che accelerò eventi irreversibili proprio per il perdurare di questa rappresaglia per tutto il periodo del WW2; da qui l’antitesi micidiale di un compromesso tra macellai, dinastie carolingie votate all’assalto di quegli asset, o di quelle nomine dove infilano uomini chiave in funzione di una supervisione che parte e arriva dove queste 4 penisole s’infiltrano come il cancro e infilano le loro mani e mafie istituzionali come amministratori unici sul Mar Mediterraneo per spartirsi i traffici e i benefit colle richieste di transito nei loro rispettivi protettorati di Malta con le Autorità Italiane e Greche, di Cipro con quelle Turche e Siriane, e dal Marocco alla Tunisia nella grazia di quelle Spagnole e Francesi, infin dei conti nuovi conquistatori sovranisti, colonialisti, nazionalisti, alle prese coll’ambizione di ricostruire un impero decaduto, che hanno la loro morale e opinione o considerazione a portata di villeggiatura a Smirne.
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violetkatgrove · 6 years
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have you heard of the mandela effect? a story/arg that expands on that would be cool
thats the thing that people keep talking abt in terms of the spelling of that bears story righ t
that sounds really fucking neat tbh o w orm
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suburbandogsclub · 6 years
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Saturarsi
Sul tavolo ci sono un plettro e una foglia di alloro mangucchiata. Pensandoci, se uno provasse a scrutare questi due oggetti infinitesimali dallo spazio si coprirebbe solo di ridicolo. Che genere di cannochiale bisognerebbe usare per scovarli dall’alto? Vada per le montagne, le case, le persone, le macchine, ma una foglia, una ben precisa? Allora il mistero è presto svelato. Questi due oggetti, così piccoli nelle dimensioni esteriori da assomigliare così bene al nulla, al pensiero, al concetto, io li potrei vedere anche da un’altra galassia.
Le cose non hanno una dimensione solo spaziale, ma anche temporale, a patto di cambiare le coordinate e mettersi su un altro piano. La foglia di alloro e il plettro a me sembrano gigantesche astronavi che viaggiano così veloci da scardinare i limiti del presente. Sono una macchina del tempo, ma poi capire perché abbia fatto una sosta su questa scrivania il 28 dicembre 2017 non è proprio immediato. Infatti il premio Nobel non lo daranno a chi inventerà la macchina del tempo, cosa che è stata appena fatta due righe più su, ma a chi capirà come funziona, perché da quel momento a questo momento e non altri intervalli.
Stare seduti sul pavimento freddo il 28 dicembre 2017 non è bello, ma è un moto che dipende in gran parte dalla cappa opprimente che è tornata ai piani alti, tra le persone in piedi e quelle sedute. Fa freddo.
A proposito di scienza, un'altra strada per il Nobel passa dai sogni. Qualcuno sarebbe in grado, per caso, di inventare un congegno in grado di dare un trailer del sogno di questa notte? Che grande libertà dire “No, grazie, stasera vado in bianco, il sogno di stanotte non mi piace” o anche “Ancora tu, proprio in tutte le salse devo vederti? Aspetto il prossimo palinsesto, grazie”.
Il 28 dicembre 2017 va a fare il nodo ad un anno di treni sfrecciati, di orme ricalcate, frasi cancellate e riscritte, errori sottolineati con la matita rossa, verde, gialla, blu. Chiude un sacco riempito di usa e getta, cose che non esistono e forse non sono mai state. Si porta dietro bolle di proclami ambiziosi, che poi sveglia, ma in che mondo vivi? E’ tanto difficile dare seguito alle parole che ci ripetiamo con convinzione, per ingannare quest’amico con cui condividiamo il tragitto lungo un corridoio infinito.
Tutti bravi, tutti belli, tutti forti. Allora i miei migliori auguri per un sereno salto nell’anno nuovo.  
Io non sono più.
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claudiocisco · 4 years
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A TE MARIETTA (1855-1872)
A te Marietta!
che se sei stata la gioia, l’amore di qualcuno.
A te Marietta!
che non ti ho vista mai.
A te che t’immagino come un fiore
che sboccia, fiorisce e muore senza dolore:
chi potrà mai piangere o lodare
la tua cruda e gelida pietra
che forte ed imperterrita
sembra sfidare la collera del tempo?
A te Marietta!
che ti penso sempre
come una dolce ragazza vestita di bianco
che con il bruno dei tuoi capelli
formi un vistoso e sublime color di primavera
a te che guardando la tua tomba
mi s’incenerisce il cuore.
A te Marietta!
che nessuno un volto ti sa dare
e che con insistenza la tua immagine m’immerge
nel lontano passato della tua vita.
Non so chi tu sia stata
né saprò mai il motivo della morte che presto ti colpì
ma so con certezza che questa è la tua pietra
e che in essa il tuo corpo giace.
A te Marietta!
scrivo queste righe
per aggrapparmi all’illusione di un lontano ricordo
che mai ci fu.
Dedicata a colei che brevemente fu
e che mai in vita conobbi
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   L’IMMAGINE
Un bagliore improvviso
squarcia la mia mente assente
e dall’ignoto all’ignoto
ora fugge ora torna, ora torna ora fugge.
Pallida e soave
di dolcezza inebriata
m’appar dinanzi
ancor e sempre.
Nitida sagoma,
a tratti t’avvicini
di colpo, opaca t’allontani.
Le sciolte tue trecce
dal terreno mondo sembran distaccarmi
trascinandomi in sconosciute dimensioni
dove neanch’io so chi ero, chi sarò.
Fulgidi gli occhi tuoi
m’abbaglian forte
ed io ti sento in me
o sconosciuta immagine
di profondo mistero velata.
Non un volto, non una realtà
solo negletti ed esili fiori
ed un’antica tomba assopita accanto
per trattenere forte
l’enigma della tua sorte.
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 DESCRIZIONE D’UN RITRATTO FUNEBRE
 Da lassù, in uno strano sogno, Marietta mi narrò del giorno in cui morì.
Quel suo lontano ricordo del 28 settembre 1872.
 “Ancor limpido era il sole della mia giovinezza
anche se lì fuori con pioggia e vento
battea la morte alla mia porta
e con voce certa ma affannata forte mi gridava:
«Vieni Marietta, presto vieni».
Ricordo lontanamente che in un primo momento
un brivido di paura m’assalia fino a farmi tremar
ma poi aprendo nuovamente gli occhi
il composto sguardo di mio padre il mio coraggio mi ridiede
e mentre un prete mi donava l’estrema unzione,
io sentivo di dover andare fra le secrete cose.
Scendean dalle scale le mie cugine
tristi apparentemente ma contente e fredde nell’animo,
mi facean pena vederle illudersi ancor
di quella lor vana ricerca della terrena bellezza
che come un fiore dal petalo si strappa
e appassendo muore.
Suonava l’organo un bimbo mai in vita conosciuto
ma che allora sembraa d’averlo visto da sempre
e in quella dolce musica
stancamente mi si chiudean gli occhi
mai rinnegando quella serena bellezza
che sempre in vita m’avea contraddistinta.
L’ultimo mio sguardo nel pallore della morte
era rivolto verso mia madre
che addolorata ma mai rassegnata
l’ultimo bacio mi donava.
Ed ora dopo che il tempo tante orme ha cancellato
i miei pensieri son tanti ieri che nell’ignoto fuggon lontano
ed il mio oggi così come domani è armoniosa luce”.
 E fu così
che dal sogno mi destai
completamente assente.
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Nuovo post su https://is.gd/DGwjww
La settecentesca accademia di S. Vito dei Normanni (2/2)
di Armando Polito
La settima riunione si tenne, come mostra la c. 213r di seguito riprodotta, il 1° gennaio 1738, cioè, almeno stando a quel che risulta registrato, a sette anni dalla precedente. Lacuna volontaria o no nella registrazione oppure sintomo di una progressiva stanchezza (fenomeno frequente per le accademie dopo l’entusiasmo e la prolificità dei primi anni)? Troppo il lasso di tempo per non credere nella prima ipotesi e la conferma viene dal fatto che più avanti (c. 221r) è riportato un sonetto di Ortensio De Leo e in calce una nota che recita: Il sopradetto Sonetto fu rappresentato nell’Assermblea Accademica per il compleanno del Signor Principe, tenuta nel palazzo di detto Signore a 7 Gennaio, Sabbato giorno di Santo Antonio Abbatead ore 21 1733. 
  Problema Accademico. qual fosse il motivo principale della Santità di Santo Francesco Xaverio: l’umiltà di sé stesso, ovvero la carità esercitò verso del Prossimo. Tenuta la presente Accademia nella Chiesa Vecchia a primo del 1738 giorno di Giovedì, e Capo del’anno ad ore 20, l’apertura della quale si fe’ dal Reverendo Andrea De Leonardis
Questa volta il problema accademico non è discusso in prosa ma trattato direttamente nelle cc. 214r-231v nei componimenti di Ortensio De Leo (6; l’ultimo, a c. 221r, in realtà è del 7 gennaio 1733, come riportato in una nota aggiunta in calce e del quale ho detto poco fa), Teodomiro De Leo (4), Ortensio De Leo (3).
L’ottava riunione ebbe luogo il 12 febbraio 1738, come si evince dall’incipit di c. 228r.
S’invitano li Pastori della nostra Arcadia a festegiare le felicissime nozze del nostro invittissimo Regnante D. Carlo Borbone, Rè delle due Sicilie, etc. colla Serenissima Real Principessa di Polonia Donna Maria Amalia Primogenita del Rè Augusto 3 di Polonia. e Duca della Serenissima Casa di Sassonia nella presente Assemblea Accademica, che si celebra quest’oggi li 2 di Febraio 1738 giorno di Domenica.  
Seguono a partire dalla stessa carta fino a c. 231v tre componimenti di Ortensio De Leo.
Si direbbe che le riunioni dell’accademia, almeno quelle registrate, terminino qui, perché la c. 232r non fa nessun riferimento specifico ad una tenuta nella data che pure è indicata (giugno 1738).
Seguono (cc- 233r-244r) i componimenti di Giovanni Battista Notaregiovanni, Ortensio De Leo, Giovanni Scazzioto (3) di Brindisi, Vito Ruggiero, Lorenzo Cavaliere, Lorenzo Ruggiero (2), Carmine Ruggiero (2), Francesco Ruggiero (2), Pietro Matera di Francavilla (3), Padre Piertommaso Barretta di S. Vito Baccelliere dei carmelitani, un autore il cui nome è illegibile (c. 242r), dottor fisico signor Carlo Evaranta (?) di Francavilla, un autore il cui nome risulta abraso.
Dopo aver angustiato il lettore con questa descrizione che pure era necessaria per avere contezza del documento e conoscere nomi di poeti poco noti se non ignoti sui quali varrà la pena in seguito approfondire [(solo alcuni di loro, per giunta parzialmente, risultano pubblicati in Pasquale Sorrenti, La Puglia e i suoi poeti dialettali : antologia vernacola pugliese dalle origini ad oggi, De Tullio, Bari, 1962; ristampa Forni, Sala Bolognese, 1981 (1 copia nelle biblioteca “Achille Vergari” di Nardò)], concludo, nella speranza che non si sia già dileguato, con un assaggio per così dire, divertente e anticonformista. Divertente perché riguarderà due componimenti che potremmo inquadrare nell’enigmistica; anticonformista, come è la stessa raccolta, perché, cosa inusuale in quelle di altre accademie, essa contiene pure sei componimenti in vernacolo, e ne leggeremo uno.
c. 134r
In lode dell’Eccellentissimo Signor D. Giuseppe Marchese
Eloggioa latino
                                                       I
                                                 oseph
                                                 illustri
                                              Marchese
                                           edito familia
                                      vestigiis maiorum
                                    consequuto suorum,
                                 miris patris santi gestis
                                   virtute, iustitia, clementia,
                         charitate, magnanimitate atque robore
                            insigni praecellenti celebris tantae
            probitatis specimemb, onusto gloriae immortalium
               donanti cunctis per Orbem concelebrantibus
              ad piramidis insta relogium hocce Leo per me  
        ��               struitur            erigitur     dicatur
                                                        dello stesso Signor Carmine de Leo    
  _________
a Forma che s’incontra anche nei libri a stampa dei secoli passati. b Errore per specimen.
Traduzione: A Giuseppe Marchese nato da illustre famiglia. che ha seguito le orme dei suoi antenati, le mirabili gesta del padre santo, che per valore, giustizia, clemenza, carità, magnanimità e forza, insigne, eccellentissimo, conosciuto, che, carico della gloria degli immortali,  dona a tutti coloro che nel mondo lo festeggiano un esempio di tanta onestà, ecco, questo elogio a forma di piramide da me Leo viene costruito, eretto, dedicato.
Il componimento dal punto di vista iconografico appare ispirato dal carme ropalico [dal latino Rhopalicu(m), a sua volta dal greco ῥοπαλικός (leggi ropalicòs), derivato  di ῥόπαλον (leggi ròpalon)=clava], gioco metrico-grafico praticato già in Grecia a partire dal IV secolo a. C. poi in ambito latino presso i poeti neoterici del II secolo d. C., consistente nel costruire un verso con parole in cui ognuna ha un numero di sillabe pari a quello della precedente più uno, in modo che, sistemando le parole una sotto l’altra, esce fuori una forma che ricorda quella della clava. Qui, come si nota, rispetto al modello originale l’aumento progressivo delle sillabe è rispettato solo nelle tre righe superiori e la forma finale (che non è quella della clava ma della piramide) è ottenuta anche con un’opportuno ingrandimento o rimpicciolimento dei caratteri (ragion per cui nella mia trascrizione, avendone adottato una dimensione fissa, la piramide è andata a farsi benedire. Oltretutto nelle composizioni latine similari la prima parola, anche e costituita da una sola lettera, doveva avere un senso compiuto. Qui, invece l’iniziale I (che in latino, imperativo presente del verbo ire, avrebbe significato va’) è parte integrante del successivo oseph: insomma, un giochetto di origine dotta ma furbescamente semplificato.
c. 138v
  il medemo soggettoa
Programma
Donno Fabio Belpratob Marchese
Anagramma purissimo letterale
Febbo nomar se po’ perch’è natal dì 
________
a Festeggiamento del compleanno di Fabio Marchese..
b Vedi la nota n. 2  
Anche qui il purissimo con cui l’autore (Ferdinando De Leo) definisce il suo anagramma è velleitario, come appare a contare solo il numero di lettere che compongono la frase di partenza (26) e quella anagrammata (27), la quale, inoltre, presenta una p in più, una p  invece di b e una e invece di o.
c. 73r
Dellu patre Rusariu Mazzottia Letture domenicanu pe’ la muta addegrizzab di tutti l’emminic, e le fimmene de santu itud pe’ la enutae de lu segnore Princepe donnuf Fabbiug Marchese 
Sunettu 
Oh quantu ndé presciamuh, ch’è benutu
Fabiu lu Sirei nesciuj, e lu Segnore!
Staamuk propriu propriu senza core
penzando ndé le fosse ntravenutu.
Nui Santu itu nd’è preammul mutu
cù lu ziccam pe’ ricchian, e caccia foreo
de Napul’, e lu nducap quae a do ore
pur’a fazza la mosciaq, ci ae pè utur.
Se ndé varda cu’ l’ecchi, nò ndé sazia!
E vol’à se la mbarcias n’autrat otau?
Potta de craev, í  com’olew à nde strazia!  
Deh Santu itu fermande ddax rota
de la fortuna, e fandey st’autraz raziaza:
middzb‘anni a mienzuzc á nui cù se reotazd.
_________ 
a Di Brindisi.
b Da notare in questa parola, nella penultima del terzultimo verso e nella prima dell’ultimo la grafia di dd, in cui ciascuna lettera appare tagliata a metà da una barretta orizzontale. È come se il copista con quel segno diacritico avesse voluto precisare che il gruppo dd (esito di ll) nel dialetto brindisino presenta una pronuncia ben diversa dalla cacuminale retroflessa del leccese (perquest’ultima vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/08/01/il-solito-dubbio-di-trascrizione-per-un-fonema-salentino/).
c Plurale di ommu, che a prima vista potrebbe sembrare un francesismo (da homme). Tra l’altro gli etimologi considerano l’italiano uomo derivato dal latino homo, che è nominativo, contravvenendo alla regola che vuole i nomi formatisi dall’accusativo (hominem), mentre il plurale uomini mostra chiaramente la sua derivazione dall’accusativo plurale homines. Credo che proprio in –mm– stia la spiegazione dell’apparente stranezza, ipotizzando la seguente trafila: homine(m)>homne(m) (sincope)>homme (assimilazione)>ommu (regolarizzazione della desinenza; simile il napoletano ommo attestato ne Le Muse napoletane di Giambattista Basile (XVI-XVII secolo); lo stesso fenomeno, mediato dalla lingua parlata, avrebbe coinvolto uomo.
d Per apocope da Vito; da notare in itu l’iniziale minuscola, quasi la parola si ricordasse dell’aferesi e sottintendesse V.
e Per aferesi, come nel precedente itu,  da venuta.
f Parallelo al donno dell’italiano antico, dal latino dominu(m) attraverso il sincopato domnu(m) e l’assimilato donnu(m).
g Incoerenza grafica (non errore ortografico a quel tempo, perché in testi a stampa dei secoli passati si legge, per esempio, Fabbio Massimo)  rispetto al Fabiu del primo verso. 
h Alla lettera ci pregiamo che, cioè siamo onorati che. Nel salentino il verbo è usato anche assolutamente (sta mmi prèsciu=mi sto rallegrando) e il sostantivo prèsciu come sinonimo di gioia.
i Nel dialetto salentino sinonimo di padre. La voce è dal francese antico sire, a sua volta dal latino senior, comparativo di senex=vecchio. Qui probabilmente si carica ulteriormente del significato che la parola, di uso letteraria e oggi obsoleta, aveva in italiano, anche se il successivo Segnore sembrerebbe, se non escluderlo, almeno limitarlo.
j Passaggio str>sci abituale nel salentino (maestra>mèscia, finestra>finescia, etc. etc.).
k Per sincope da stavamo.
l Da priare, dal latino precari, con aspirazione, evanescenzae scomparsa della c, a differenza di quanto successo per l’italiano pregare.
m Da (z)ziccare, corrispondente all’italiano azzeccare, che è dal medio alto tedesco zecken=menare un colpo. La voce salentina ha il significato di prendere, afferrare.
n Per aferesi da orecchia.
o Nel salentino è usato anche col significato di in campagna e, col valore di sostantivo (enallage), in espressioni del tipo fore mia=la mia proprietà rurale.
p Da ‘nducire, dal latino indùcere
q Vedi la nota j.
r Aferesi per voto.
s Da mbarciare (a sua volta per dissimilazione da mmarciare, che è per aferesi da ammarciare (a sua volta per assimilazione da ad+marciare). il riferimento è al camminare impettito, ostentando serietà e, per traslato, togliersi d’impaccio facendo finta di nulla e continuando imperterrito.
t Da notare l’esito al>au, come nel francese hautre; in altre zone del Salento, invece, è in uso aḍḍa, che fa pensare ad una derivazione dal greco ἄλλη (leggi alle).
u Per aferesi da volta e consueta caduta di l come in càutu=caldo, motu=molto, etc. etc.
v Potta d’osci (vulva di oggipotta è voce fiorentina d’incerto etimo; osci è dal latino hodie)  e potta de crae (crae è dal latino cras) sono entrambe interiezioni. Non sorprenda che un uomo di chiesa abbia inserito un’espressione volgare: evidentemente già all’epoca lessa era tanto inflazionata dall’uso che aveva perso gran parte, se non tutta, della sua valenza oscena. Piuttosto è da notare come solo ai nostri giorni il suo corrispondente maschile (cazzo!) sia stato sdoganato nella lingua parlata e in quella scritta.
w Da vole, terza persona singolare dell’indicativo presente di ulìri, con abituale aferesi di v-.
x Per aferesi da chedda (=quella); per la grafia di dd vedi la nota b.
y Per dissimilazione da fanne (fà a noi).
z Vedi la nota t.
za Per progressiva lenizione da grazia attraverso crazia (sottoposto poi ad aspirazione di c-) in uso in altre zone del Salento.
zb Vedi la nota b.
zc Per dissimilazione -zz->nz.
zd Da riutare, composto dalla particella ripetitiva re– e da utare, che, come l’italiano voltare, è per sincope dal latino volutare (=concamerare, cioè fabbricare a volta; può significare anche ), a sua volta da    A Nardò il verbo è usato con riferimento al vento che cambia direzione (sta rriota=sta rivoltando).
  (Del Padre Rosario Mazzotti lettore domenicano per la muta allegria di tutti gli uomini e le donne di San Vito per la venuta del signore principe Don Fabio Marchese
Sonetto
O quanto ci rallegriamo perché è venuto/Fabio  il padre e il signore nostro!/Stavamo proprio proprio senza cuore/pensando che non sarebbe intervenuto./Noi ne pregammo molto san Vito/perché lo prendesse per l’orecchio e lo spingesse fuori/da Napoli e lo conducesse qui in due ore/solo per mostrare che ci va per voto./Se ci guarda con gli occhi, non ci sazia!/e vuole svignarsela un’altra volta?/Puttana di domani, come lui vuole straziarci!/Oh san Vito ferma per noi quella ruota/della fortuna e facci quest’altra grazia:/che possa vivere mille anni in mezzo a noi)   
Prima, a c. 53r lo stesso tema era stato trattato in latino da Scipione Ruggiero in un componimento latino in sette distici elegiaci (numero che ricorda quello dei versi che compongono un sonetto).
Reverendi Domini Scipionis Ruggiero ad Eccellentissimum dominum nostrum Principem in eius reditum a Neapoli ad Patriam 
Principis adventum cives celebremus ovantes.
Laeta dies, nobis plaudite laeta quiete.
Viximus in tenebris, venit lux aurea ab Astris,
novimus ac cuncti, quam decet atque iuvat.
Omnes laetamur merito, sed maxime servus
qui vitam praebet pro sanitate tua.
Partenopesa, redeas, orat, nam bella moventur,
dextera tuta tua, te duce, seque tenet.
Vota, precesque deo dabimus ut proelia sistant.
Sic aderit nobis pax, et amica quies.
Quam tua nos hilares, Princeps, praesentia reddat,
en spectare potes, quo obsequio colimus.
Permaneas Patriae, cunctos solare rogantes
o domine, aspectu civica corda beas 
(Del reverendo don Scipione Ruggierob all’ eccellentissimo nostro signor principe per il suo ritorno in patria da Napoli
  Cittadini, celebriamo esultando la venuta del principe. È un giorno lieto, applaudite per la calma a noi lieta. Vivemmo nelle tenebre, una luce aurea è venuta dagli astri e tutti sappiamo quanto conviene e giova.  Tutti ci rallegriamo a buon diritto, ma soprattutto il servo che offre la vita per la tua buona salute. Partenope prega che tu ritorni perché vengono mosse guerre e, sicura della tua destra, si difende. Rivolgeremo voti e preghiere a Dio perché cessino i combattimenti. Così verrà per noi la pacee l’amica quiete. Ecco, o principe, puoi vedere quanto la tua presenza ci renda allegri, con quanto rispetto ti onoriamo. Resta in patria, tu, o signore, rendi felici con lo sguardo tutti quelli che chiedono consolazione, i cuori dei cittadini)
_________
a Per Parthenopes.
b Era parroco della chiesa di S.Maria della Vittoria, in cui si tenne, come sopra s’è riportato, l’accademia del 14 marzo 1731. La cronotassi degli arcipreti, per la stessa chiesa, registra anche i nomi di Carmelo Ruggiero (1757-1759) e di Francesco Ruggiero (1760-1775), quasi una dinastia …; Per quanto riguarda Francesco, poi, egli non è cronologicamante incompatibile con il Francesco Ruggiero registrato come principe dell’Accademia del 5 marzo 1730.
  Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/04/25/la-settecentesca-accademia-di-s-vito-dei-normanni-1-2/
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sally-and-jack · 6 years
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“Capiterà di staccarmi di nuovo da me stessa, dalla mia razionalità e di donare corpo e anima. Forse lo sto già facendo, mi sto gettando di nuovo a capofitto dentro qualcosa o qualcuno di spettacolare, che non legge sopra le righe, ma tra le righe. Che nota ogni mio passo falso, ogni mio gesto, che capisce i miei sguardi e non ha paura di sfidarmi. Non ha paura di esplorare la mia mente, di rimanerci incastrato, con i miei pensieri più strani. C’è davvero chi si distingue, che non segue le orme 🐾 come passi sulla neve, ma bensì ne lascia altre verso la strada opposta. Ammetto di aver avuto una costante paura, paura d’innamorarmi ancora, e sgretolarmi un altra volta. Invece mi ha ricomposta, ha preso ogni mia piccola maceria e con molta pazienza mi sta ricomponendo, forse davvero sta rimarginando le mie ferite, che per tutti questi anni non sono mai guarite. Le nostre paure si abbracciano, i nostri demoni si stringono la mano, mi ha afferrato la mano e la sua presa è salda, sento l’amore fin dentro le ossa, non sento le farfalle nello stomaco, ma delle scariche elettriche. Sento di star facendo finalmente qualcosa di buono per me stessa, sto imparando ad amarmi, ad apprezzarmi, pian piano. È colui che manderei a fanculo per poi correre a riprenderlo, e abbracciarlo fino a fonderci.”
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trollcafe · 5 years
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Boe, how would you describe your time in the caverns/cavern buddies?
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+he caverns were a rough +ime. I wasn’+ exac+ly +he mos+ brave of souls and +ended +o le+ +he o+her jades pick on me. I ended up only befriending Sinopa when she +oo pi+y on me and shooed off +he o+her jades. Storme was +he only o+her jade who +ook an in+eres+ in me, even if +ha+ was pi+ch. +he o+her jades didn’+ like me in any way. Veroix wasn+ bad, bu+ +hey couldn’+ s+ick around me wi+hou+ ge++ing picked on as well. 
Mee+ing Grey ou+side +he caverns was +he bes+ +hing I could have done. Bu+ when +he plan +o leave +urned sou+h, and Grey had o+her ideas.....I do no+ believe i+ was +he righ+ choice now.
I am no+ sure wha+ happened +o +he o+hers af+er we ran. I do regre+ +ha+ I didn’+ +ake S+orme and Veroix wi+h me, bu+ i feel as if +hey are be++er off now. 
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0ctaslash-moved · 7 years
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 What t,,he fuck Did you just fucikng saya bou;t me, y.ou little bitch? I’l,,l have you knoW I gr,,aduiated top of my c,lasss inn the Navy Se  als, and I’ve been invlove in numerouss,,e cret raidds o Anl-quaaeda, ;;a;nd I havE; over 300 co,,nfim..re;;ed kills,. I am traine;;d in go  rill;;a warfarea nd I’m the ,,tpo ,snniper   in the ent,ire US armed forces'. You are nothing g..to m..et but jus.t anoth,e.r  target. I will wipe you th.e f;fuck ouut wit,h preciisionn thhe likes o.f which haa s .n,,eer been seen b,,eforeeo n this ,,Earth,m a,rk my fukin o,wrds. You think you  ccan get  awway w  itth ;sayi;n..g th..at shit  to mE over the IIte;rn  et;? Thin k again  n, fud;cker. As we speAAk I am,, contatcing my secrett etwork of spies ac.ross ht;;e USA an dyou rIP is being t.raced righ no,w s o you beTter prepare fo the sto,,rmm, magg,ot. The st,orm thatw ipes; out ht  ep..athetic litt,le tHin;;g y..ou, ca,ll your life. Y;ou’re fucking  dead, kid. I can be  anywhe.re, anyyTi,,m juste, and I can kill you in over ,seven hundred ways, ,,an  d that’s j,,ust.. with my ba,re h and,,s. ;;Nt;; onlyb am ;I e;xtens ively ttr ained in una.rmed combat, but I, have ac.ces to the entire arsenal of the Un,,ited; St ates Marri,ne C,orps andn I will use it to its full extent , to wipe y  ou mie srja,,ble ass off t,he face;; o,f the continent, you little shit. If nly you could.. haVe k;nown wh.hat unholy re,tributiion,, your litt,,le “cllever” comment waas a bout to ,,b.ring down puon you, maybe you w..ould ha,,Ve held yourl,, ufckin,g tongue. But you couldn’t, you d;;idn’t.t, ..a;;n d,, now you’re paying   the price,, yo..u ..gooddamn i,,d[iot. I will shit furyy. alzal ovier oyyu and youu willn dronw iinn it. You’re   fu  ckin,g dead, ,,kiddo.
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bonnibparker · 7 years
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Siamo d’accordo un po’ tutti che questi sono tempi duri, e stupidi, ma abbiamo davvero bisogno di opere letterarie che non facciano altro che drammatizzare quanto sia tutto buio e stupido? Nei tempi bui, quello che definisce una buona opera d’arte mi sembra che sia la capacità di individuare e fare la respirazione bocca a bocca a quegli elementi di umanità e di magia che ancora sopravvivono ed emettono luce nonostante l’oscurità dei tempi. La buona letteratura può avere una visione del mondo cupa quanto vogliamo, ma troverà sempre un modo sia per raffigurare il mondo sia per mettere in luce le possibilità di abitarlo in maniera viva e umana. Non parlo di soluzioni nel campo della politica convenzionale o l’attivismo sociale. Il campo della letteratura non si occupa di questo. La letteratura si occupa di cosa voglia dire essere un cazzo di essere umano. Se uno parte, come partiamo quasi tutti, dalla premessa che negli Stati Uniti di oggi ci siano cose che ci rendono decisamente difficile essere veri esseri umani, allora forse metà del compito della letteratura è spiegare da dove nasce questa difficoltà. Ma l’altra metà è drammatizzare il fatto che nonostante tutto siamo ancora esseri umani. O possiamo esserlo. Questo non significa che il compito della letteratura sia edificare o insegnare, fare di noi tanti piccoli bravi cristiani o repubblicani. Non sto cercando di seguire le orme di Tolstoj o di John Gardner. Penso solo che la letteratura che non esplori quello che significa essere umani oggi, non è arte. Abbiamo tanta narrativa di qualità che ripete semplicemente all’infinito il fatto che stiamo perdendo sempre più la nostra umanità, che presenta personaggi senz’anima e senza amore, personaggi la cui descrizione si può esaurire nell’elenco delle marche di abbigliamento che indossano, e noi leggiamo questi libri e diciamo «Wow, che ritratto tagliente ed efficace del materialismo contemporaneo!». Ma che la cultura americana sia materialistica lo sappiamo già. È una diagnosi che si può fare in due righe. Non è stimolante. Quello che è stimolante e ha una vera consistenza artistica è, dando per assodata l’idea che il presente sia grottescamente materialistico, vedere come mai noi esseri umani abbiamo ancora la capacità di provare gioia, carità, sentimenti di autentico legame, per cose che non hanno un prezzo. E se queste capacità si possono far crescere. Se sì, come, e se no, perché. David Foster Wallace, A Conversation with David Foster Wallace, From “The Review of Contemporary Fiction
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giuvmas · 4 years
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INSIGNIFICATAMENTE
Non piangere…
.. Non piangere Mi dicono e M’implorano .. Non conta il Cosa o il Perché .. Cerca in Fondo il Segno .. Leggi le Righe dei Ricordi e dell’ Illusioni Accatastate a Macerare .. Percorri senza Timore Le orme già Impresse Sopra il Rimasto .. Ritorna al Momento Rimosso .. Risalta la Pace Precaria nel tuo Cuore .. Rimbalza tra i Dirupi della Memoria come una Gomma Usata sul Banco dello Scri…
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pangeanews · 4 years
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Massimo Gramellini? Un jukebox di aforismi buoni per tutti, sufficientemente superficiali. Sull’opera (chiamiamola così) dell’epigono di Paolo Coelho
«Si sa che a Roma il sole fa il suo mestiere tutto l’anno, senza ridursi a un biscotto giallo immerso in un cielo di caffelatte» (Massimo Gramellini).
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Massimo Gramellini resta uno dei casi più emblematici – qualcuno direbbe “da manuale” – di attività giornalistica iniziata nello sport, proseguita nella cronaca politica e nella corrispondenza di guerra per il quotidiano La Stampa, poi nella rubrica di posta Cuori allo Specchio del suo supplemento settimanale di cui era direttore, per approdare a quello che sarebbe divenuto l’appuntamento principe del quotidiano torinese, il celebre Buongiorno, corsivo in prima pagina di circa ventotto righe a commento moralistico di un fatto della giornata precedente.
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Sorvoliamo sugli incarichi direttivi assunti nell’ambito del quotidiano torinese, se non per ricordare che fecero da trampolino per la sua regolare partecipazione al noto programma della Rai Che tempo che fa condotto da Fabio Fazio, dove in mezzo ai vari pretesti di segno culturale si influenzava in modo palese e interessato la politica commerciale delle librerie di catena, indicando quali prodotti editoriali andavano sovra-approvvigionati e sovra-esposti per indurre i lettori all’acquisto, e – di conseguenza – quali titoli andavano resi ai magazzini per farli uscire dal mercato.
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Benché nel 2017 sia passato alla concorrenza milanese con una rubrica chiamata Il Caffè, una derivazione sbiadita in cui l’autore non fa che peggiorare le sue performance, il Massimo Gramellini memorabile resta quello dei Buongiorno su La Stampa, un’epopea elzeviristica durata diciotto anni e rimasta impressa in quell’ampia platea di lettori che è abituata a giudicare i fatti con gli strumenti semplici del metro, della squadra e del compasso. I Buongiorno di Massimo Gramellini, infatti, sono svolti in una forma canonica rigorosa: un riquadro rettangolare in taglio basso contenente un testo diviso in due colonne, composto di due paragrafi che si proporzionano in lunghezze diverse, ma possono anche essere uguali. Più spesso, il primo paragrafo supera il secondo nella proporzione di tre quarti/un quarto. Talvolta, il secondo paragrafo si riduce a due o tre righe, e in qualche raro caso sparisce in favore di un testo indiviso. Naturalmente, il rigore formale dei Buongiorno si estende anche alla resa concettuale dei contenuti, che s’impronta a una generalizzazione semplificante delle situazioni raccontate, le quali vengono prima riconfigurate, poi “rimontate” e rappresentate in una chiave moralistica ben orientata, con parole e punteggiatura studiate e calibrate, al fine di spacciarne un’interpretazione autentica. Un’operazione in cui conoscere i reali dettagli di sostanza – che sarebbe il compito etico del giornalista – diventa del tutto superfluo, perché il suo unico scopo è ottenere un effetto seducente sul lettore.
*
«Non è più il tempo degli esecutori, questo, ma dei creatori. Alla vita pubblica, forse anche a tante vite private, servirebbe un gesto di rottura, un cambio di abitudini, una mossa del cavallo in grado di restituire significato alla parola futuro».
*
Come si vede, uno dei punti di forza del moralismo gramelliniano è l’uso di parole d’ordine. Se lo confrontiamo con quello del famoso omologo Michele Serra, che da tempo immemorabile dispensa giudizi nella rubrica L’amaca sul quotidiano La Repubblica, vediamo una differenza sostanziale fra i due tipi di esercizi. Quello di Michele Serra riproduce l’attitudine passiva di chi osserva – appunto – da un’amaca, che è strumento atto a riposarsi e a dormire, e giudica la situazione osservata senza impegnarsi, senza offrire esempi di rettitudine morale o formule salvifiche, ma limitandosi a valutazioni deprecative su ciò che non funziona o è contrario ai princìpi dell’essere equi, sobri, etici e politicamente corretti. Un atteggiamento tipico della “medietà di sinistra”, che usa spesso il distacco e l’ironia dolente di chi si ritiene in posizione più elevata rispetto al lettore.
*
L’esercizio moralistico di Massimo Gramellini, invece, mostra una furba attitudine attiva, con un insieme di strumenti che vogliono suscitare identificazione e consenso nel comune sentire di chi legge: «Ma a me che, come tanti, comincio ogni giornata con pensieri di rabbia, rassegnazione e inadeguatezza, la sua storia continuerà a insegnare che con l’amore si può fare tutto e che tutto, nella vita, va fatto con amore». Ecco servito il moralismo su misura, che attrae il lettore grazie a un esercizio mimetico semplice ma sofisticato, svolto in due fasi: a) deprecare, o elogiare, le situazioni e le persone soggette a giudizio, attraverso un’ironia non sprezzante o distante, ma che al contrario suscita empatia; b) esprimere fiducia nella capacità dell’uomo di realizzare il bene, attraverso formule salvifiche rassicuranti, codificate e collaudate in anni di pratica.
*
«Ma quanto coraggio ci vuole per fare il bene? Tantissimo, e non essere soli a farlo aiuta. Tantissimo». Ecco le parole d’ordine che vincono, con lo scandire della punteggiatura. Ciò che ne risulta è un abile moralismo di tipo onnicomprensivo, seducente, che parla in modo ecumenico alla diffusa medietà del sentire. Una medietà che viene rigorosamente calibrata e riprodotta senza sbavature. Un susseguirsi di formule semplici ma suggestive, comprensibili a tutti, che possono essere accolte dai lettori di diversa cultura e orientamento. Che vengano espressi sulla stampa o nel salotto televisivo, gli esercizi gramelliniani hanno la tipicità della buona predica edificante che sostiene cause e argomentazioni nobili e scontate, come un sacerdote pronuncia l’omelia.
*
«Un insopportabile eccesso di moralismo sabaudo mi induce a deprecare che una rappresentante delle istituzioni abbia appena sfilato in costume da bagno sulle passerelle milanesi dell’alta moda».
*
Posto che la famiglia dell’autore è romagnola (da cui il tipico cognome) e col sabaudismo ha poco da spartire, sappiamo che nel Buongiorno l’aderenza all’oggettività dei fatti non ha alcuna importanza, perché quel che conta è l’efficacia delle tecniche argomentative improntate alla “doppia azione”: deprecare severamente, da un lato, ma esprimere fiducia nell’inclinazione al bene e all’onestà, dall’altro; usare citazioni colte, ma annacquarle in un registro che sappia essere accattivante e popolare; postulare che il mondo è bello, ma a dispetto delle inevitabili brutture che possono martoriarlo. Naturalmente, accanto alla doppia azione restano fermi alcuni orientamenti univoci che permeano lo spettro argomentativo: ad esempio, il decantare l’amore come unico antidoto all’emergere del male, come unica medicina contro le avversità della vita, e l’idea che la sfera femminile sia solo portatrice di bellezza. Temi esemplari che possono definirsi portanti, come veicolo di un’amplissima base di gradimento da parte dei lettori.
*
«Eros non visita l’amato, ma l’amante. È l’amante a essere posseduto dall’energia che trasforma le larve in uomini e gli uomini in dei. È l’amante che desidera, soffre, sublima. In una parola: ama. Ah, se avessi letto il Simposio con più attenzione al ginnasio. Ma forse non lo avrei capito. Ora invece so. So che la felicità non consiste nell’essere amati. Consiste nell’amare. Senza condizioni, nemmeno quella di essere ricambiati. Buon san Valentino».
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Qui lo schema operativo diventa paradigma. Al punto che, rivelatosi vincente nel giornalismo-opinionismo, viene riproposto da Gramellini in chiave narrativa nel suo primo romanzo, L’ultima riga delle favole (Longanesi 2010). Il protagonista è un uomo che crede poco in se stesso e subisce la vita, più che viverla. Un giorno, dopo un’aggressione sul molo, rischia di annegare e si risveglia in un’altra realtà, alle “Terme dell’anima”, dove inizia un percorso iniziatico-simbolico che lo condurrà a vincere le sue paure, a guardarsi dentro, a scoprire il proprio talento e a trovare l’amore, prima dentro sé e poi verso quella che si rivelerà la sua anima gemella. Una storia talmente canonica da risultare un’imitazione del famoso romanzo L’alchimista di Paulo Coelho (pubblicato in Italia nel 1995 da Bompiani), di cui Gramellini ha voluto ricalcare le orme, con l’intenzione di ripercorrere in chiave adulta il ruolo delle fiabe e offrire al lettore il modo di riflettere sull’essenza del vivere, di capirsi, di scindersi, analizzarsi e riunirsi.
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«Aveva imparato da qualche parte che quando un sogno ti resta incollato addosso per molto tempo significa che non è più un’illusione, ma un segnale che ti sta indicando la tua missione».
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Una prova narrativa che miscela idee e situazioni che possono adattarsi a tutti, analogamente alla tecnica dei famosi Buongiorno, quindi in grado di catturare molti tipi di lettore. Un romanzo che vorrebbe situarsi tra la filosofia e la spiritualità, pieno di aforismi incastonati ad arte nel tessuto narrativo, ma che fallisce nettamente nel tentativo di farsi “romanzo di formazione”, per scadere in una costruzione imitativa di luoghi comuni e buoni sentimenti, raccolti dalle fonti più disparate.
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«Le disse che l’amore muore per strangolamento, ogni volta che Io soffoca Noi. Le disse che l’amore muore di stenti, ogni volta che Io dirotta tutto il nutrimento su di sé e si dimentica di Noi. Le disse che l’amore muore di noia, ogni volta che Io si concentra soltanto sulle emozioni e non coltiva progetti per Noi».
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Ecco il moralismo ispirato e buonista, semplice e diretto, ricopiato da vecchie suggestioni di stampo new age, espresso da personaggi senza personalità che sembrano proferire oracoli. «La persona giusta è un premio, non un regalo. Quando le forze dell’universo sembrano cospirare contro di noi, non lo fanno per dissuaderci dall’obiettivo, ma per renderci consapevoli della sua importanza». Un Paulo Coelho in fotocopia, pieno di passaggi prevedibili e largamente sperimentati da oltre un ventennio.
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Naturalmente il ferro andava battuto, così la casuale conversazione di Gramellini in un ufficio editoriale ha dato lo sprone al romanzo successivo pubblicato da Longanesi, Fai bei sogni (2012), che andava prodotto senza esitazioni. Dunque, ecco il piccolo Massimo – ovvio alter ego dell’autore – alle prese con un’infanzia infelice perché privata della mamma, morta prematuramente. Per quarant’anni vengono taciute al protagonista le reali circostanze di quella morte, e l’autore le rivela a pagina 186, riportando un articolo giornalistico dell’epoca. Qui c’è poco da dire, se non che l’area di stampa delle pagine è stretta lasciando margini ampi, e la lettura è ovviamente rapida; che la narrazione, facilitata da uno stile fra il giornalistico e il colloquiale, è costellata da una quantità di aforismi sul senso della vita, sull’amore, sulla felicità, sulle illusioni, sulle sconfitte, sulla morte, sulla sofferenza, sulle infatuazioni, sulle canzoni dell’estate, sull’energia vitale, sulla disperazione, sulla fuga, sull’egoismo, sulle rinunce, sui sogni, sulla solitudine, sulle domande, sul viaggio, sulla finzione, sul desiderio, sull’anima.
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«In fondo la mia vita è la storia dei tentativi che ho fatto di tenere i piedi per terra senza smettere di alzare gli occhi al cielo».
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Il tema di partenza è trattato in modo prevedibile e scontato, con l’utilizzo dell’ampia gamma di metafore e riflessioni aforistiche perfezionate nella produzione “buongiornistica” dell’autore. «Mi sono preso una cotta formidabile. Fra fuochi e chitarre, in riva al mare e dentro un sacco a pelo. Perché tutti, una volta nella vita, abbiamo diritto di credere che le canzoni dell’estate siano state scritte apposta per noi». I temi vengono sempre serviti per sedurre, mai per esprimere qualcosa di urgente; l’andamento del racconto si mantiene in superficie, i personaggi restano privi di profondità e il dramma di fondo della storia – quarant’anni di mancanza della madre sublimati nel non conoscere la verità sulla sua morte – viene sveltamente risolto alla fine, in poche pagine. L’immagine della madre defunta rimane sfocata, e il ricordo di lei non prende sostanza.
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«Assunto in un giornale dopo appena un anno di gavetta. E innamorato, finalmente! Mamma, se devo proprio raggiungerti, fa’ che sia ora. Non esisterà mai un momento migliore per morire».
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Superfluo aggiungere che tutto viene restituito alla pagina senza sensibilità e accuratezza, con l’unica urgenza di confezionare un prodotto di grande appeal mediatico e commerciale, grazie al granitico presenzialismo dell’autore sulla stampa e in televisione, dove oggi svolge anche l’attività di conduttore. Per farsene un’idea, e concludere, può essere utile un florilegio di citazioni:
«La felicità non è figlia del mondo, ma del nostro modo di rapportarci a esso. Non dipende dalla ricchezza, dalla salute e neanche dall’affetto di un’altra persona. Dipende solo da noi»
«Ogni ragazzo ha una fuga dentro il cuore e il sistema più sicuro che conosce per scappare da se stesso è invaghirsi di chi non fa per lui»
«Non so se in amore vince chi fugge, ma di sicuro chi perde rimane dov’è: immobile»
«I mostri del cuore si alimentano con l’inazione. Non sono le sconfitte a ingrandirli, ma le rinunce»
«Ancora una volta mi ero illuso che la vita fosse una storia a lieto fine, mentre era soltanto un palloncino gonfiato dai miei sogni e destinato a esplodermi sempre fra le mani»
«Non siamo scimmie evolute ma divinità decadute»
«Non sfuggirà a nessuno che io avanzavo nella giungla dei massimi sistemi agitando dei blandi punti interrogativi, mentre lei impugnava gli esclamativi come daghe»
«Mi guardò in un certo modo. Come ti guarda una donna quando ha deciso di scommettere su di te»
«E la vita? Mi fa paura l’idea di sprecarla. Se la morte è un viaggio, immagino che la vita sia il prezzo del biglietto»
«Pur di non fare i conti con la realtà preferiamo convivere con la finzione, spacciando per autentiche le ricostruzioni taroccate o distorte su cui basiamo la nostra visione del mondo»
«Non difesi il mio sogno, per la semplice ragione che non lo ascoltavo più. I sogni sono radicati nell’anima e la mia era fuori servizio».
Paolo Ferrucci
  L'articolo Massimo Gramellini? Un jukebox di aforismi buoni per tutti, sufficientemente superficiali. Sull’opera (chiamiamola così) dell’epigono di Paolo Coelho proviene da Pangea.
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