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#ogni tanto sono poetica
amamiofacciouncasinoo · 7 months
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Sotto il cielo d'ottobre
noi due
lungo l'orlo del mare.
Le onde
come voci antiche
mormoravano segreti nell'aria.
Il vento che sfiorava i nostri volti
come le carezze d'un tempo perduto.
Il sole,
stanato dietro un tramonto
tingeva d'oro il crepuscolo.
I nostri sguardi,
intensi
mutevoli
come l'acqua riflessa,
si incrociavano
nel silenzio profondo
creando un'armonia senza tempo
tra noi e il mondo che ci circondava.
Era un momento sospeso,
come una poesia di Pascoli,
dove la natura e l'amore
si fondevano
in un'unica melodia.
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sonego · 1 year
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oggi a lavoro ho ammesso di farmi pare mentali à gogo. sono tornato a casa e mi sto facendo ALTRE pare. si parla ora in ufficio de "le famose pare di nico" e mi fa ridere (davvero, non ironicamente) ma in tutta serietà ed onestà devo calmarmi un pochettino con ste pare perché ultimamente mi sto rovinando la serenità da solo un po' troppo spesso
#in realtà al momento me le sto facendo perché sono triste#che SO che sembra non avere senso ma hey il mio cervello ha poco senso#(ne ha un po' di più per me perché vivo con il border da abbastanza da aver capito molti dei sui meccanismi#ma sono malsani e non funzionali quindi so che la maggior parte delle persone rimarrebbe ??? se li provassi a spiegare)#ma in pratica sono triste perché mi manca una persona (che ho visto un'ora fa. ma ok) > penso a quanto fa schifo la vita quando non posso#vederla o parlarle come ero abituato a fare > mi metto a pensare ossessivamente a lei/a quanto è inutile la vita senza di lei (MOOOLTO#dramatic. la vedo tutte le settimane anche se ultimamente di meno) > overanalizzo ogni nostra interazione. comincio a pensare che di sicuro#lei è contenta di non avermi tra le palle così tanto e non vedeva l'ora di liberarsi un po' di me#poi piango e mi torturo per un'ora senza interruzioni e mi viene voglia di cavarmi gli occhi#TUTTO QUESTO sentendomi tutto il tempo in colpa perché questa persona non sta troppo bene fisicamente e io LO SO e sono anche sinceramente#preoccupato e mi dispiace e voglio davvero che si riposi. però non riesco a fermare questi pensieri di merda che#sono veramente egoisti perché il suo mondo non ruota intorno a me e so razionalmente benissimo che non mi direbbe mai che sta male solo per#trovare una scusa per non vedermi o cose del genere e non è neanche che penso questo è solo che mi sento in colpa a pensare che lei è#contenta di non vedermi quando col cazzo che una che sta a casa perché sta male è contenta????? cioè mi sembra proprio di#boh farle proprio un disservice a pensare ste cose anche se tutto viene da un odio per me stesso non dal mio pensare che lei sia una brutta#persona o che#sto rantando come non mai lmao è che sto sinceramente male. cioè mi sento proprio quella stupida sensazione del cuore che mi si stringe#tipo stritolato dalle mani della mia ansia#che immagine poetica lmao ma è proprio così che mi sento cioè una stretta al petto che mi fa sentire così... male#non sono bravo a spiegare come mi sento a parole... è un periodo di merda sinceramente. molto di merda#fisicamente e mentalmente è tutto difficile e mi viene da piangere in continuazione anche se poi non ci riesco quasi mai#e dio santo può il mio cervello lasciarmi stare 2 secondi cioè okay non posso vederla e sono triste ma perché devo turn it all into una#roba catastrofica e come se l'universo mi odiasse e lei mi odiasse e TUTTI mi odiassero. FRA CALMATI#forse è anche perché ho un po' bisogno di stare fuori casa e con amicə ma in realtà non ho molti amici lmao cioè tbh lei è l'unica con cui#esco perché sono triste e solo e mentally ill#e boh sono triste. mi sento solo mi sento stanco mi sento distrutto mi sento ansioso. e ora chiudo e mi sa che cancello sto post presto lol
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seoul-italybts · 3 months
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[✎ ITA] Harper's Bazaar Japan : marzo 2024, Intervista - JIMIN, Acuto e Sensibile, un Uomo Pieno d'Amore | 19.01.2024
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🗞 Harper's Bazaar Japan Marzo 2024 | Twitter
JIMIN, acuto e sensibile, un uomo pieno d'amore
__ AOKO MATSUDA __
Fortunatamente abbiamo avuto l'opportunità di immortalare Jimin dei BTS, prima del suo servizio militare. Questo servizio fotografico e l'intervista annessa sono contenuti inediti, disponibili esclusivamente su Harper's Bazaar. Star K-Pop di fama globale, nonché ambassador per Tiffany & Co., vi presentiamo ora gli scatti fatti da Bazaar a Jimin dei BTS, un'icona del suo tempo.
Durante l'intervista, condotta da Aoko Matsuda, Jimin indossava gioielli firmati Tiffany, con l'eleganza e la naturalezza di spirito che lo contraddistinguono.
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❝ Spero che tuttə quantə possano sempre trovare e sperimentare
anche solo un pizzico di gioia, nelle proprie esistenze ❞
In quanto membro dei BTS, hai contribuito molto a portare cambiamenti positivi nel mondo, ma quali sono le tue speranze per il futuro – non solo per la società e cultura a te più immediate, ma per il mondo in generale? Questa è la domanda cui è collegata la suddetta risposta. “Spero che tuttə quantə possano sempre trovare e sperimentare anche solo un pizzico di gioia, nelle proprie esistenze.” Questo potrà sembrare un auspicio piuttosto semplice, ma non lo è, specialmente in una società come la nostra, con tutte le problematiche d'attualità cui stiamo assistendo.
Tuttavia, le/i sue/oi fan e coloro che lo seguono da tempo sapranno sicuramente che Jimin ha sempre fatto tutto il possibile affinché le persone a lui care potessero sperimentare anche solo un pizzico di gioia
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Questo tipo di approccio traspare chiaramente anche dal suo album solista, “FACE”. Quando gli ho chiesto se avesse scoperto qualche nuova abilità o punto di forza, grazie alle sue attività individuali, la sua risposta – molto umile – è stata. “Era la prima volta che mi cimentavo in un progetto simile, ma grazie a questa prima esperienza, in futuro, vorrei mettermi ulteriormente alla prova e continuare a crescere.”
Personalmente, sono diversi anni che seguo Jimin e sono sua fan, ma ciò che non manca di sorprendermi ogni volta è che la sua non è solo modestia, è davvero convinto di ciò che dice.
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Un giorno stavo guardando un'esibizione di ‘DNA’, e ho pensato sarebbe stato interessante scoprire di più sul suo conto. L'ho visto balzare in primo piano sul verso “fin dalla creazione dell'Universo~” e sono diventata sua fan. Proprio così. E mentre cercavo informazioni su Internet e guardavo quanti più video possibili, come sotto incantesimo, ho trovato una clip in cui Jimin, dopo un'esibizione, era seduto mogio mogio e turbato per un errore commesso sul palco, come ha confidato allo staff in sua compagnia. Questa scena risale ai MMA 2019, subito dopo una performance mozzafiato, estremamente poetica. Vedere che non solo è un essere umano ed un artista perfetto, ma anche una persona capace di mostrare le sue fragilità me l'ha fatto amare ancor di più. Jimin è sempre così umile, così umano e questa sua sincerità d'animo arricchisce anche le bellissime performance che ci presenta sul palco.
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Durante le sue attività soliste, Jimin ha tenuto interviste individuali principalmente in inglese, ma è fluente anche in giapponese. Tra le/i fan, si è già fatto tanto parlare della premura con cui, quando posta sui social media, Jimin cerca sempre di scrivere in modo che il suo messaggio arrivi e sia facilmente comprensibile e trasponibile in quante più lingue possibile, quand'anche le/i fan usassero un traduttore automatico. Ero dunque curiosa di sapere come e quando avesse sviluppato questo tipo di approccio così attento ed intelligente rispetto alle parole e all'uso delle lingue, e la sua risposta è stata, “Sono davvero grato e felice le/i fan la pensino così. Ho ancora tante cose da migliorare, quindi credo siano fin troppo generosə e pazienti con me (ride).”
Essendo pienamente consapevole dell'amore che i BTS e lui stesso ricevono a livello globale, Jimin fa sempre del suo meglio per le/i fan – anche nelle piccole cose – e questo spirito traspare non solo dalle sue parole ma anche nei suoi gesti. Sicuramente le interazioni e risposte che riceve dalle/i fan sono tutte incommensurabili, ma ce n'è forse qualcuna che gli è rimasta particolarmente impressa?
“Sono grato per qualsiasi forma di feedback da parte loro, ma a volte le/i fan mi rispondono con una canzone. Quel tipo di risposta vale più di qualunque altro regalo.”
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Nel suo album solista, “FACE”, ha trasposto in musica ciò che ha provato durante la pandemia e, a questo proposito, ha menzionato che lo stare a ‘poltrire’ senza ‘fare niente’ è sicuramente un modo per disfarsi dello stress.
“Credo il momento in cui mi trovo più a mio agio in assoluto sia quando sto sdraiato sul sofà, a casa, senza dover fare nulla. L'ideale sarebbe poter riposare per un po' – non troppo, ma neanche troppo poco, magari per tre giorni, tipo. Sì, credo tre giorni sarebbero perfetti (ride).”
Jimin, che non ha paura di mostrare la sua fragilità, sa anche esprimere magistralmente luci ed ombre dell'animo umano, nelle sue performance. Ma cosa pensa di questi due aspetti, quando sono parte di lui, e come vi si approccia?
“Sono convinto che ognunə di noi abbia un lato più radioso e felice ed uno più cupo e triste. Penso sia importante accogliere e sperimentare appieno la gioia, quando stiamo bene, ma accettare anche le difficoltà e ciò che comportano. Credo il mio consiglio ed approccio riguardo lo stress sia semplicemente accettare ed affrontare di petto ogni momento per quello che è.”
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Per questo servizio fotografico, Jimin indossa gioielli firmati Tiffany. “Come sempre, sono molto soddisfatto di questi accessori, perché sono molto d'impatto pur nella loro semplicità.” Descrive i bijou come un 'cambiamento, qualcosa di diverso' per se stesso
“Quando indosso articoli di gioielleria, mi sento diverso. E questo vale specialmente quando ho riprese o servizi fotografici per riviste di moda. Quando porto gioielli diversi dal solito, provo anche sensazioni nuove, particolari.”
Osservare Jimin, il suo modo di porsi, il suo make-up ed il suo approccio alla vita – lui che accoglie e vive ogni momento per quello che è -, mi dà grandissima gioia e percepisco quel suo spirito libero. Quando gli ho chiesto se avesse un qualche segreto per fare suo quello stile, l'artista ha risposto:
“Non ho esattamente 'un segreto'. Semplicemente, sono grato per il senso di libertà che posso provare sul palco, quando mi esibisco, o durante un servizio fotografico – come quello di oggi, grazie a questi nuovi stili e concept.”
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L'anno scorso, i BTS hanno festeggiato il loro 10° anniversario; “Non significa che cambieremo, solo perché ora abbiamo raggiunto questa tappa nella nostra carriera. Da parte mia, farò del mio meglio per mostrarvi sempre lati nuovi e migliori di me, pur continuando a concentrarmi su ciò che ho sempre fatto.”
In conclusione, ricollegandomi al suo brano solista ‘Promise’, gli ho chiesto quale promessa avrebbe voluto fare a se stesso.
“ <Cerca di non cambiare troppo, in futuro>, è questo ciò che vorrei dire a me stesso.”
E allora aspettiamo con trepidazione il giorno in cui potremo rincontrare questo infaticabile e propositivo Jimin, che è sempre pronto a dare il meglio di sé.
⠸ Eng : © 061313purple | Ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
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benzedrina · 1 year
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Mi sono detto che in questa vita le risposte arrivano, un po' perché le sai già, un po' perché nel tempo le produci, e mi sono detto che l'importante è non smettere di farsi domande, che è quello l'importante, è quella la cosa che serve. E ne sono convinto, piu di altre piccole convinzioni che poi si perdono per strada o cambiano focus. I quadri, le fotografie, i libri, mi producono domande. In sto periodo sto in fissa per i dettagli dei corpi, per Rilke (che ha una poetica molto romantica) e per un quadro nero di Rothko. In tutto questo marasma sto andando a Roma, non so bene perché, è tipo una meta annuale che ogni tanto faccio, tanto qualcuno a Roma si trova sempre.
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chaosdancer · 9 months
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Luna e cielo stellato 🌌🌙
Alba 🌅
O tramonto? 🌇
Scrivo questa introduzione all'inizio come post scriptum. So di aver "evitato" di dare una risposta netta, secca e diretta a questo ask ma spero di aver risposto in modo esaustivo in ogni caso. Ti ringrazio davvero di cuore per avermi chiesto qualcosa che mi abbia stimolato a scrivere ed esprimermi così tanto🤍
Oddio anon così mi metti in difficoltà, è come scegliere un solo gusto tra la tua top 3 dei gusti dei gelati ahaha
A mio parere, per come sento io la bellezza di questi elementi naturali, direi che tutti e tre sono momenti magici allo stesso modo. Non credo di poter scegliere cosa io preferisca tra i tre dato che hanno tutti le loro peculiarità e le loro unicità. Esattamente come credo che sia quando si parla di persone (o di un brano pianistico/musicale che scegli di studiare e portare in concerto)
Luna e cielo stellato è un paesaggio magico (anche perché qui ho un favoritismo per quanto riguarda la magia, la pace e l'introspezione che riesce a donare la notte). Non a caso la notte era un'ispirazione e una parte centrale in varie opere che sono state concepite durante il Romanticismo in ogni sua espressione artistica e letteraria. Beh, io non aggiungerò niente di nuovo alla loro poetica vecchia di circa 200 anni ormai ahah La notte è sempre stata un'ispirazione anche per me. In estate, quando ho meno impegni e più libertà nella quotidianità mi piace ritagliarmi delle nottate in cui contemplo la Luna e le stelle. C'è sempre molto silenzio (soprattutto dalle mie parti) e quindi la vista mi è sempre stata accompagnata da quei suoni che durante il caos del giorno non si sentono. Oltre a questo, la Luna e il cielo stellato mi fanno sempre volare con l'immaginazione per quanto riguarda tutto quello che c'è in quello spazio sconfinato che sto ammirando. Questa contemplazione mi fa sentire sempre piccolo, insignificante, un granello di polvere microscopico. Però è lì che mi sento ritornare anche un po' con i piedi per terra, è il mio reminder di quanto tutti noi dovremmo rimanere umili e che siamo esseri piccolissimi destinati a ritornare alla Natura nel nostro breve ciclo esistenziale. Al tempo stesso riesco anche a capire cosa si prova nel contemplare e provare un certo tipo di amore platonico per un qualcosa che, per me, sarà irraggiungibile per tutta la vita. Il tutto accompagnato spesso e volentieri dai meravigliosi Notturni di Chopin (quando ho finito di tenere la mia attenzione uditiva sui piccoli suoni notturni).
Ed è qui che poi arriva lentamente l'alba, dopo l'aurora. Magari in quel delirio mentale dovuto alla stanchezza, quando ormai i pensieri vanno alla deriva e ci si sente un po' ubriachi e poco lucidi. Ed è qui che si viene poi colpiti dai primi raggi di Sole ed è come se la Natura si mettesse a dipingere il cielo con colori magici che stregano il nostro spettro visivo. Oltre a quanto scritto sopra posso dire anche che è una sensazione diversa quando ci si sveglia presto e si riesce ad ammirare l'alba. Un momento dove il tempo sembra quasi fermarsi, il cielo diventa una tela e senti che il mondo intorno a te si sta lentamente svegliando un passo alla volta. A differenza della notte (dove ci si sente un viandante o un "pastore errante" e solitario nel mistero e nel misticismo quasi primordiale delle ore notturne), all'alba ci si sente meno soli e più partecipi del meccanismo sociale del mondo. E, nel frattempo, ci si sente anche un po' curiosi su cosa il futuro della giornata avrà da offrirci. Diciamo che è da mesi che sono diventato molto più ottimista e mi piace anche svegliarmi presto all'alba per avere quella sensazione di avere davanti a me un giorno nuovo, colmo di possibilità (soprattutto di miglioramento per fare più di ieri). Tutto questo oltre alla magnifica sensazione di sentire di avere a disposizione tantissimo tempo per fare tutto quello che si vuole.
Per quanto riguarda il tramonto e il conseguente crepuscolo si può parlare quasi all'opposto di quanto detto prima. La luce del Sole che ha accompagnato la nostra giornata ci sta dando la buonanotte e un "arrivederci e a domani" e, qui, la Natura gioca di nuovo a fare la pittrice usando altre tecniche e tavolozze di colori rispetto a quanto fatto precedentemente. Io amo particolarmente quando ci sono quelle sfumature di colori che vagano indefinitamente intorno al rosa chiaro e all'arancione tenue. In questo momento si iniziano a tirare le somme della giornata e a pensare a quali propositi si sono riusciti a portare a termine e a che cosa si possa ancora migliorare in futuro. Il momento di transizione tra il crepuscolo e la sera mi porta alla mente proprio questa rendicontazione da farsi. Si entra nella sera, in un momento che, almeno per me, è spesso di riposo mentale per stare da solo o in compagnia delle persone a me care. E pian piano si sente il mondo intorno a sé sprofondare nel sonno, spegnersi, farsi sempre più silenzioso fino a chiudere il ciclo e sfociare di nuovo nel "silenzio" e nella solitudine della notte.
Scusami per la prolissità e ti ringrazio (ringraziando anche tutti coloro che avranno voglia di leggere fino a questo punto). Non mi aspetto che nessuno legga fino a qui dato che la lettura di una serie di pensieri scritti non dovrebbe mai essere obbligatoria ma spontanea, che sia mossa da interesse o curiosità (secondo me).
Grazie🤍
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sofia8sworld · 1 year
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mi perdo nell’infinità del mare, mentre ultimo mi accarezza le orecchie con la sua musica soave e poetica, così tanto profonda da arrivarmi all’anima, riesce a toccarla con un dito, la sfiora ed il suo tocco mi fa bene al cuore, penso a tutte le cose che fanno parte della mia felicità, piccoli dettagli, momenti, attimi, perché alla fine la felicità è un attimo fuggente, non resta per sempre, è un secondo, uno schiocco di dita, un battito di ciglia, veloce ed immediato, c’è, alcune volte ce ne accorgiamo altre no, lo capiremo poi..dicevano, ed effettivamente è così, le cose, gli attimi, la felicità stessa, la capisci solo quando l’hai vissuta e in quel momento ti manca, ed è solo li che realizzi quanta felicità avevi in quei momenti ed ora ormai è perduta, ma non per sempre, puoi trovare una persona o semplicemente piccole cose che ti possono svoltare la giornata, perché la vita non è che un insieme di piccole cose, gesti, parole che si disperdono nell’immenso cielo blu che ci ricopre tutto l’anno, ed è sempre lo stesso, ma non mi stancherei mai di osservarlo, con le nuvole che lo riempiono, perché alla fine le nuvole non sono altro che “persone” in senso figurato, riempiono il cielo vuoto, come le persone riempiono la nostra vita. Non riesco ad immaginare la vita senza determinate persone, ma anche senza le persone in generale, che vita monotona sarebbe se stessimo solo noi sulla faccia della terra? brutto eh? si lo sarebbe decisamente. io sono una persona che ama la compagnia, le persone genuine, l’essere umano, amo scoprire ed imparare cose nuove da tutti, penso che ogni giorno la vita abbia da insegnarci qualcosa, che dobbiamo accogliere, apprendere, non trovate che sia fantastico? io si.
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dellavita11 · 16 days
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Frasi di Buon Compleanno 50 Auguri Speciali per Celebrare un Giorno Speciale
Se c'è una cosa che può illuminare il viso di chiunque in qualsiasi giorno dell'anno, è l'arrivo del proprio compleanno. È quel momento magico in cui il tempo sembra fermarsi per un istante, mentre ci si sofferma a riflettere sull'anno trascorso e sull'avventura che ci attende. E cosa potrebbe rendere questo giorno ancora più memorabile se non delle parole gentili e sincere da parte delle persone a noi care?
Ecco perché abbiamo raccolto per te 50 frasi di buon compleanno che sicuramente faranno sorridere chiunque le riceva. Che tu stia cercando un messaggio dolce per il tuo migliore amico, un augurio divertente per un parente o una citazione poetica per un amante, troverai sicuramente qualcosa qui che farà al caso tuo.
"Buon compleanno! Che questa giornata sia il primo capitolo di un nuovo libro straordinario della tua vita."
"Invecchiare è obbligatorio, ma crescere è una scelta. Auguri per un altro anno di crescita e saggezza!"
"Non contano gli anni che hai vissuto, ma la vita che hai vissuto negli anni. Auguri!"
"Che tu possa continuare a brillare come il sole, a brillare come una stella e a illuminare la vita di tutti quelli che ti circondano. Buon compleanno!"
"La vita è un viaggio straordinario e oggi è un nuovo traguardo. Buon compleanno e buon viaggio!"
"Che la tua vita sia piena di momenti indimenticabili, sorrisi infiniti e amore senza fine. Buon compleanno!"
"Sei un anno più vecchio, ma anche un anno più saggio e un anno più bello. Auguri!"
"Non c'è regalo più grande della vita stessa. Che tu possa goderti ogni singolo istante di essa. Buon compleanno!"
"Un altro anno pieno di avventure, sorprese e opportunità ti attende. Preparati a coglierle al volo! Auguri!"
"Oggi è il giorno in cui sei arrivato su questo mondo e lo hai reso un posto migliore con la tua presenza. Buon compleanno!"
Che tu stia inviando un messaggio via WhatsApp, scrivendo una cartolina o preparando un biglietto fatto a mano, assicurati di aggiungere un tocco personale alle tue felicitazioni di compleanno. Ricorda, sono le parole sincere e il pensiero dietro di esse che rendono davvero speciale questo giorno per chi le riceve.
E se sei alla ricerca di ulteriori ispirazioni per esprimere i tuoi auguri, non dimenticare di visitare FrasiDellaVita.com per una vasta raccolta di frasi e citazioni adatte a ogni occasione. Che tu stia festeggiando il tuo compleanno o quello di qualcun altro, ricorda di farlo con gioia, gratitudine e tanto amore. Buon compleanno!
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bergamorisvegliata · 28 days
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MUSICA PER VERI COMBATTENTI
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Tornano le chiacchierate amichevoli di "Bergamo Risvegliata" dopo quelle con Ilaria Pugni, Frenkie del "PdF" e Pierly de "L'Alchimista".
Ora è la volta di una cantante che da circa 20anni interpreta canzoni e musica ricche di poesia, e che con la situazione pandemica si è riscoperta interprete invece di brani ricchi a loro volta di bellezza autentica e genuina, nonchè portati al successo tempi addietro da cantautori come Battisti, Gaber, Clapton e Marley, (e tanti altri...) unitamente alla "Combat Band" che si è formata per allietare i pomeriggi delle piazze cosiddette "dissidenti" nel periodo oscuro del "green pass".
Lei è Nagaila e quella che segue è l'intervista (o chiacchierata, fate voi).
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Nagaila, c'è ancora qualcosa di reale oggigiorno?
-Domanda complessa. Visto che il mondo reale non mi piace per niente, io cerco un'altro spazio per sopravvivere, e la musica mi dà quest'altra dimensione, il nuovo disco "NIENTE DI REALE" parla di molte realtà alternative rispetto a quella di tutti i giorni.
Se ci pensi, noi siamo fatti di ‘cose’ non reali, per esempio l'amore l’hai mai visto di persona?
Dalla mia esperienza, le cose non reali possono essere molto potenti e travolgenti, possono cambiare la nostra vita molto più di quello che accade nella quotidianità e nella vita normale.
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Ci siamo visti nelle piazze “dissidenti” (contro il green pass, ecc...), ma la musica la si può ritenere “sovversiva”?
- La musica è un’arte e quindi è un modo per esprimersi.
Non ho mai fatto musica “politica” nella mia vita di musicista, non mi è mai interessato farlo, ho sempre preferito fare musica -diciamo- poetica.
Anche se etimologicamente parlando la parola ‘poesia’ significa “creare, produrre” e quindi anche se noi pensiamo che la poesia sia qualcosa di astratto e intangibile, in realtà è molto più concreta di quello che sembra.
Quello che è successo negli scorsi anni, soprattutto con il “green pass”, mi ha letteralmente sconvolto e ho sentito che non aveva più senso cantare le mie canzoni, si sono zittite da sole, dovevo trovare un’altra strada in cui far uscire la mia rabbia e il mio dolore, per questo motivo è nata la “Combat Band” , uno spazio artistico in cui io insieme a Fidel Fogaroli (chitarra), Eleonora Iaciofano (voce) e Simone Acerbis (cajon),
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ci siamo dedicati a una musica che parlasse chiaro e in faccia il nostro disgusto a chi stava disonorando la parola ‘umanità’, facendo qualcosa di disumano. Come ha detto Tricarico in una sua canzone molte recente, la malvagità del bene può essere devastante…
In questi due anni ho sentito veramente la necessità di fare della musica che fosse politica.
In realtà, mi sono anche resa conto che ogni nostra azione è un’azione politica, anche raccogliere le sigarette per strada o buttarle fuori dal finestrino della macchina…sono azioni politiche…(ma è una storia troppo lunga da raccontare qui).
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Come dice Red Ronnie, fare musica è diventato di per sé un gesto o comunque un fatto “sovversivo”, non tanto dai testi...quanto dal fatto che la musica e la cultura in generale vengono spesso fatte passare in secondo piano e ciò che fa riflettere viene addirittura bandìto, a favore dello svago vissuto in maniera superficiale (NdA: alcune mie riflessioni come Edoardo le ho aggiunte in un secondo momento, senza snaturare il pensiero più volte espresso da Red Ronnie...
Ma dal tuo nuovo disco e dal tuo percorso musicale cosa ti aspetti?
- Assolutamente niente. Cioè Niente di Reale :-)
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Solo cose che non sono di questo mondo e che vivrò nel mio profondo 😊
Sono felice di quello che sono adesso, non ho aspettative, ho proprio cambiato il mio modo di vedere le cose, sarà l’età. Quando ero giovane mi dicevo “adesso sta succedendo...ora succederà...” ma ora non m'interessa più quello che succederà domani.
Stasera (NB: venerdì 29 marzo) siamo qua “Al Bafo”,
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ci stiamo divertendo ed è la cosa più bella del mondo e sono felice.
...o forse perchè sei quasi in pensione?
-Ahah 😂 😂 😂
Infine ecco i saluti in...video!!! Grazie Nagaila!!!
*NB: infine colgo l'occasione per informare i fans di Nagaila che è possibile vedere il nuovo video "Venere" al link:
youtube
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extra000 · 5 months
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Strada di città (1)
Graffiti sui muri, lo fanno un luogo per ragazzi, la luce della luna accarezza la vecchia vernice. Teschi, scrittacce, corna, uno è seduto a cavalcioni a fumarsi una sigaretta. Fa freddo, oltre al fumo dalla bocca esce anche il vapore.
Maledizioni da tutte le parti, spiriti imprendibili escono dalle oscenità dell'ambiente, aiutano lo sporco lavoro.
La strada è abbandonata a se stessa da tanto tempo, spazzatura agli angoli della strada, sporcizia ovunque. Ma dalle crepe escono graziosi fiori oltre che erbacce.
Pantaloni larghi, tatuaggi, sigaretta in bocca arriva un ragazzo, porta con sé una bottiglia di birra si salutano e parlano. Gesticolano, si toccano il giubbotto di pelle nero. Ne accendono un'altra. Vengono tutti e due dalla periferia, preferiscono il tabacco alla marijuana. Sono vestiti di nero con disegnini grotteschi sulle t-shirt, uno di loro ha i dreadlocks colorati alle punte.
È un ambiente morto a se stesso, un luogo di cenere e per questo si trova una luce, una luce fievole di rinascita.
Letame, spazzatura e fiori tanti fiori in ogni angolo nascono proprio dal degrado, dalle parolacce, dagli sputi, dall'ingenuità della droga.
Un riff di chitarra elettrica accompagna la scena, due note lente dondolano i muri bruciati dal degrado. Anarchiche e pacifiste se non fosse per le borchie che portano come tiara.
Manifesti di ribellione, anarchici, violenti e rabbiosi. Un'aura minacciosa contro il governo si alza e circonda il quartiere, indurisce i visi, allarga le mascelle strappa i vestiti e quando è stanca bestemmia. Un posto infuriato dalla miseria, dall'abbandono. Dio è morto.
Vecchie industrie, ferrovie d'acciaio arrugginito, luoghi abbandonati, crescono in questa scena i bambini, piccoli fiori che già sono abbronzati di grigio, giocano con le macerie, con i rifiuti: gli allargano i vestiti gli rasano i lati del cranio.
Il cielo è sempre nuvoloso, una luce grigia illumina l'ambiente, carica di elettricità e magia. Le scrittacce illuminano i cuori infranti dalla miseria, gli danno conforto, quelle strade si può chiamarle casa.
L'odio si sviluppa e si evolve, capelli neri come la notte, corrompe e aiuta a sopravvivere, la pelle è bianca, dà speranza e rincuora, dice: aggrappati a me ti do la possibilità di maledire, di metterti sullo stesso piano, di non sottometterti.
Bestie maledette sono i ragazzi, si divertono a trasgredire, i bassi gli martellano i timpani, fumano e se ne fregano, sporchi come carbone, aprono un rifugio nei loro occhi a cavalcioni l'uno di fronte all'altro seduti sulle panchine sfasciate.
Gli zaini portati a una spalla sola, le scarpe da ginnastica rotte e sporche. Vestono di nero. Alcuni si suicidano, altri si tagliano fino all'osso, tutti sono ubriachi la sera, ma hanno una vena poetica, portano una luce incredibilmente bella nei loro occhi, i loro vestiti splendono nell'oscurità della comune ordinarietà.
Rabbiosi, sono demoni e pirati rifiutati dalla società, nelle loro strade sporche sono divinità, i fiori sbocciati di quei tunnel bui e senza anima. Una manifestazione di odio, rabbia e colori sgargianti su un nero oscuro difficile a descriversi.
Senza famiglia, o meglio abbandonata, trovano conforto in se stessi, gli piace stare assieme, condividere la sigaretta.
Dita gialle di sigaretta, pelle grigia, capelli spinati, arruffati, rasati. Li vedi camminare tra i rifiuti, occhi duri, anime ribelli. Induriti dalla povertà.
In cosa credono? In nulla, nessun Dio, nessun maestro, punk disperati si nascondono il volto con i capelli. Fanno della tristezza la loro forza, il loro nichilismo li fa strafottenti.
Una birra su una panchina questo li fa felici, anarchici credono nell'inferno in terra.
Erbacce ai lati di un graffito, mozziconi, cocci di bottiglia, dal degrado nasce una forza chiara. Una luce di speranza dalla morte del vecchio arriva il nuovo.
"No future" gridano i muri come un uomo che abbia accelerato troppo contro un muro, la fine è giunta e con sé tutto il suo squallore. Non ci si riesce a fermare ma nel botto c'è anche la novità.
Si deve arrivare al fondo di questa rabbia per portare questa strada di città alla sua morte totale.
E da lì rinascere come una fenice dalle sue ceneri. Odore di cenere, odore di cenere. Odore di cenere ovunque, tutto deve avviluppare questa rabbia. Deve ridurre tutto in cenere.
I due si alzano, sputano, buttano le cicche e le bottiglie a terra e se ne vanno. Non fanno che aumentare la magia di questo luogo, il fermento spirituale inebriante.
Una scrittaccia dice "rispettiamo solo il degrado", non c'è luce, non c'è luce, non c'è luce e proprio per questo ce n'è tanta.
Solo in questi luoghi è possibile respirare la morte del vecchio, la vita non è che un gioco per bambini, un giocattolo vecchio e arretrato fatto di linee moderne che niente hanno a che fare con la vera luce, la vera vita.
Dalle crepe della strada nascono i fiori in tutto il loro splendore, proprio dalla morte nascono, e anche se li schiacci o li tagli, ricrescono, aprendosi un varco nel cemento e nell'asfalto.
Dal letame nascono i fiori, dalle crepe e dall'incuria nasce il verde della speranza, una nuova vita che distrugge il vecchio morente.
Nascono i giovani che cercano la droga, una dimensione senza vincoli di spazio e tempo, ancora acerba, ancora per ingenui ma sempre la ricerca verso qualcosa che non è nell'ordine delle cose, straordinaria, fatta di libertà per la mente e lo spirito.
Non si può schiacciare il fiore che cresce, borgo corrotto non riuscirai a seppellire il sacro degrado. La morte di Dio va vissuta a fondo per trovare la vera luce.
Cantate il degrado punk, emo, goth, cantate il vostro dolore e deridete il passato, il cosidetto classico che ormai morente, vive solo nei cuori più arretrati.
Bevete in un sorso la vostra vita, rabbiosi e ribelli rifiuti di una società corrotta e falsa, fatevi sporcizia e fate crescere il fiore dentro di voi, esso non vi abbandonerà mai, sarà buono e vi guiderà per la vostra strada.
Cospargetevi di cenere e tutto diventerà più chiaro dalla mente allo spirito.
Il degrado porta un mazzo di fiori alla tua porta, accettali e falli crescere tra i rifiuti. Perché il fiore affonda nel letame.
Intanto arriva un altro ragazzo, capelli nerissimi, bianco di carnagione, borchie sulle braccia, scrive qualcosa sul muro: "sali sul cesso e inizia a pensare".
Si mette a cavalcioni su un cesso gettato tra la spazzatura e ingoia una pasticca, d'un tratto dopo alcuni minuti inizia il trip.
I muri cadono come se fossero stati bombardati e si apre davanti a lui una distesa infinita, guarda su nel cielo e vede una struttura spaziale dalla forma circolare ma irregolare.
È una nave spaziale pronta a esplorare nuovi pianeti e galassie, è enorme, è grande quasi quanto una città ed è densamente popolata, dentro ci sono milioni di persone.
Il ragazzo è come ipnotizzato da questa struttura. Finalmente dopo a lungo attendere l'umanità è pronta per lasciare in massa il pianeta terra ed esplorare nuovi orizzonti, alla ricerca delle risposte più importanti dell'uomo.
Il ragazzo è come estasiato da questa visione e cerca di raggiungere la struttura, "anch'io voglio andare dall'altra parte!" Così la nave lo accoglie e lo prende con sé.
La partenza fu in un attimo, la nave scomparve dalla sua immagine e aprì immediatamente le porte, e davanti all'umanità apparve l'impossibile.
Ogni forma è totalmente sovvertita, ogni linea è spezzata e al tempo stesso unita insieme, le forme geometriche sono cambiate e non è possibile descriverle o disegnarle.
Ogni fiore è diverso dall'altro, sono fiori ma al tempo stesso sono alberi, sono entrambi sia minuscole pianticelle sia quercie giganti.
Ad ogni passo che si fa ogni regola fisica cambia, d'un tratto anche gli uomini mutano d'aspetto e diventano quello che desideravano ardentemente essere, e anche di più, una sorpresa continua, sempre più belli e giovani, ad alcuni per esempio escono mille gambe e con queste gambe salgono su nel viola del cielo e vedono i mille oceani e in ogni oceano posano le loro gambe.
Le mille braccia le usano per modificare e personalizzare ogni cosa che esiste, e gli occhi vedono addirittura le cose che non esistono.
Sono tutti uniti insieme in una coscienza sola e passeggiano restando fermi.
Passeggiano perché lo vogliono e restano fermi perché non c'è il bisogno di vivere. Non c'è il bisogno di vivere si dice tra sé e sé il ragazzo, non c'è il bisogno di vivere.
Si risveglia vomitando e ripetendo non c'è bisogno di vivere, non c'è bisogno di vivere.
Beve un po' di birra, si accende una sigaretta e riflette su quanto vissuto, poi si alza e scrive sul muro:
"in ogni oceano poso le mie gambe,
in ogni terra poso le mie braccia
la testa non è poggiata da nessuna parte
perché non c'è il bisogno di vivere"
Si beve una birra, sputa a terra e si accende un'altra sigaretta mentre se ne va a casa con un forte mal di testa.
"Volevo tutto e l'ho avuto anche solo per un istante!" Pensa il ragazzo.
"Avevo tutto: le mie gambe erano negli abissi dell'oceano e anche più giù per toccare terra, con le braccia potevo fare qualsiasi cosa e con la mente non vivevo ed ero libero da qualsiasi vincolo della vita".
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silviascorcella · 5 months
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Lucio Vanotti a/i 2018-19: teorema della geometria libera indossata
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La si potrebbe quasi definire una rivoluzione gentile: la strada che Lucio Vanotti percorre con le sue creazioni punta, infatti, imperterrita verso la direzione del cambiamento generoso, dello scardinamento di regole imposte che a volte serrano assai il ritmo della composizione creativa del sistema moda, ma anche il ritmo della composizione del gusto nel sistema del proprio guardaroba, e dell’allestimento estetico della nostra stessa immagine, noi che la moda la indossiamo con piacere grande misto a consapevolezza interiore.
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Una rivoluzione gentile perché percorre la sua strada quasi con fare silente: non c’è confusione nella maniera di Lucio Vanotti di proporre la sua visione concretizzata in collezioni sempre applaudite, bensì c’è l’invito garbato ad essere accompagnati ad esplorare un mondo squisitamente personale, costruito su pilastri solidi che hanno a che fare con la passione per filoni culturali, artistici e architettonici che hanno segnato le epoche. Passione che si unisce al talento sartoriale vero. 
I nomi aiutano di certo a comprendere meglio: quei pilastri, o punti cardinali immancabili, sono la rievocazione dell’aspirazione all’armonia perfetta del classicismo, del suggerimento dell’Architettura radicale a godere del piacere estetico che la composizione architettonica regala a tutto il mondo che ci circonda, della nettezza rigorosa del brutalismo che guida la mano a disegnare silhouette asciutte eppur eloquenti, della volontà purificatrice di un ascetismo ammantato di Oriente, ma intriso di una capacità poetica che ha le radici nel genio tipicamente italiano. 
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Quelle radici che gli consentono di mescere tali riferimenti in un punto di vista riassumibile in un motto parafrasato, e per questo perfettamente personalizzato: “Less is … freedom!”, ovvero il meno non è tanto questione di meglio, ma questione di libertà. Semplicità vuol dunque dire niente orpelli che distraggono, solo forme essenziali e funzioni efficaci da comporre, da sperimentare, con le quali giocare, da far fluire oltre i confini dei generi sessuali e delle scansioni stagionali. 
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Quello di Lucio Vanotti è dunque un elogio della sottrazione che si rinnova anche nella collezione a/i 2018-19: qui l’amore per il rigore delle forme che si esplicano nella funzione è allacciato alla dimensione dell’uniforme, nel suo essere un codice di appartenenza scritto nei dettagli solitamente composti secondo un razionalismo profondo, che per Vanotti è la materia prima da scardinare per spingere l’orizzonte della sua esplorazione ancora più in là. Verso dove? Beh, stavolta la rotta è segnata da un approccio ludico e matematico assieme: giocare con le caratteristiche tipiche dei filoni che han fatto della divisa il proprio manifesto, ovvero workwear e new wave, sportswear e postmodernismo, hip hop e razionalismo, e ibridarli con attenzione meticolosa. 
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Il risultato è una semplicità d’apparenza assai complessa nella sostanza: sfila dunque la geometria, con le linee quadrate delle giacche over, con la forma rettangolare delle camicie, con l’appiombo dritto dei pantaloni; ma sfila una geometria che da rigorosa muta ed evolve nei volumi aiutati dagli espedienti sartoriali, così che le linee rette diventano in profili tondi dei volumi gonfi dei k-way trasformisti in cappotto e mantello, dei bomber e delle felpe che cambiano la scala delle proporzioni e diventano capispalla. 
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Il metodo da seguire è il principio dell’accumulo: strati composti con saggezza, bilanciando ogni dimensione per lasciare spazio espressivo anche alla forza della palette cromatica: che dalla gentilezza delle tonalità neutre sale d tono e di brillantezza, fino ad elettrificare i classici basici con shot di fuxia, arancio denso, giallo intenso e blu vibrante.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
{ Photo Backstage via © wwd e © pibemagazine }
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giancarlonicoli · 9 months
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3 ago 2023 18:41
CENTRO SPERIMENTALE 'CHIAGNI E FOTTI' - INVECE DI GRIDARE ALLA "VIOLENZA" PER AVER MANDATO A CASA IL PRESIDENTE MARTA DONZELLI (MA CORSI E DOCENTI NESSUNO LI TOCCA), PERCHE' I VARI CAPOTONDI, MORETTI, LUCCHETTI E COMPAGNI NON REPLICANO AI DISASTRI DELLA GESTIONE DONZELLI, TRA L'ALTRO PRODUTTRICE DI FILM IN PROPRIO? - OGGI IL POLVERONE VIENE ALIMENTATO SUI GIORNALONI DA QUEL MONDO DI CINEASTI CHE VEDE POLVERIZZARSI L'INSOSTENIBILE CUCCAGNA DI FINANZIAMENTI STATALI DI CUI HANNO GODUTO FINORA I LORO FILMETTI (UNA MONTAGNA DI DENARO PUBBLICO CHE OSCURA IL REDDITO DI CITTADINANZA) -
DAGOREPORT
Le roventi polemiche sul Centro Sperimentale di Cinematografia, alimentate sui giornaloni da quel mondo di cineasti che vede polverizzarsi la cuccagna di finanziamenti statali di cui hanno goduto finora i loro filmetti, merita di rispolverare la poetica frase del filosofo romano Stefano Ricucci: ‘’So’ tutti bravi a fare i froci con il culo degli altri”.
Massì, finiamola di prenderci per le chiappe: la nomina del presidente della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia è sempre stato il lavoro preferito dal Ministro della Cultura, e su quella politica (di centrosinistra) è stata improntata l’organizzazione di progetti e l’individuazione di responsabili e collaboratori. 
Del resto, quando nel 2016, governo Renzi, il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, nominò alla scadenza del mandato Felice Laudadio, non certo uno di destra, alla presidenza del CSC, il noto sceneggiatore Stefano Rulli mica la prese tanto bene la mancata riconferma: scrisse una lettera agli studenti in cui si dichiarava particolarmente incazzato.
L'emendamento al Decreto Legge Giubileo, firmato dai deputati della Lega non è ‘’un atto che stravolgerebbe le caratteristiche fondanti dell'istituzione’’: se qualcosa stravolge è solo il sistema del potere del cinemismo chiagne e fotti. Tanto c’è lo Stato che finanzia filmetti allegri zeppi di Crisi dei Valori, Perdita del Centro, Disagio della Civiltà, Eclissi del Sacro, Crepuscolo della Sinistra, Fine dell'Umanesimo, Agonia dell'Individuo, Deriva della Cultura, Scacco della Ragione, Fallimento della Storia, Reificazione della Vita. 
Ma in realtà tutte queste cifre concettuali sono soltanto alibi pretestuosi per mascherare incassi ridicolmente miseri e mantenere in piedi la baracca dell’amichettismo de’ noantri. E per lanciare l’accusa di lottizzazione occorre davvero non avere uno specchio in casa che rifletta la propria faccia. “Il CSC è indipendente come la Rai”, scrive giustamente oggi Il Foglio (vedi pezzo a seguire).
Se poi apre la boccuccia pure Nicola Zingaretti (“Un'altra vergogna di una maggioranza ossessionata dalle poltrone, che disprezza l'autonomia delle istituzioni pubbliche’’), cioè colui che ha riempito di milioni (della Regione Lazio) il suo amico del cuore Valerio Carocci, zar del Cinema America, allora, per dirla alla Nanni Moretti, "La messa è finita".
A proposito dell’uscente Marta Donzelli, già in partenza molti dubbi si fecero sulla nomina, sempre firmata dal duplex Franceschini-Nastasi (marzo 2021, governo Draghi). Come ha dichiarato Pupi Avati in un’intervista al Foglio: “Un tempo al CSC c’erano Roberto Rossellini, Giuseppe Rotunno, Virgilio Tosi. Io la direttrice che c’è adesso ho dovuto cercarla su Google per sapere chi fosse”.
Uno dei dubbi maggiori era il fatto che Donzelli abbia a suo tempo posto la condizione di continuare a svolgere il suo lavoro di produttrice cinematografica alla Vivo Film. Condizione che Franceschini ha accettato. Ciò, al di là di possibili evidenti conflitti di interesse, non può darle il tempo necessario da dedicare al CSC, dove si reca non più di due volte a settimana. 
Inoltre la sua decisione di accentrare tutto, facendo passare ogni minima decisione al vaglio del consiglio di amministrazione (che si riunisce in media una volta al mese e non sempre ha il tempo di affrontare tutti gli argomenti all’ordine del giorno) ha creato lentezze e incertezze che hanno ingolfato non solo la nascita di nuovi progetti ma anche l’ordinaria amministrazione.
L’aggiunta in organico di una figura inedita, quella di vice direttore generale, teoricamente necessaria per meglio congiungere le due realtà del CSC, la Scuola (la sede di Roma indice le selezioni per n. 84 posti) e la Cineteca, ha creato in effetti una poltrona e uno stipendio in più e parecchie sovrapposizioni e fibrillazioni. 
Il reclutamento è stato fatto con un bando ad hoc, modellato su una persona già individuata. In questi due anni e mezzo ci sono state inoltre notevoli turbolenze sindacali, alcune richieste di accesso agli atti e annunci di cause per demansionamento.
I due grandi progetti annunciati, l’acquisto della sala cinematografica Fiamma (per un costo, compreso il restauro, di 6,5 milioni), e la realizzazione di una piattaforma di e-learning (costo 7,5 milioni, non paghi del fallimento della franceschiniana Netflix de’ noantri, Its Art), non sono mai partiti; nel primo e nel secondo caso si attende ancora l’avvio dei lavori, nel terzo si sono alternate svariate ipotesi, rivelatesi tutte inconsistenti o non praticabili.
La rassegna di film “XX secolo”, organizzata al cinema Quattro Fontane di Roma, è uno dei fiori all’occhiello della presidenza, avendo ottenuto un numero di biglietti staccati superiori alle medie dei normali cinema di prima visione, ma il prezzo da pagare è letteralmente altissimo: la rassegna viene infatti realizzata prendendo in affitto la sala, noleggiando film quasi sempre stranieri (utilizzando quindi pochissimo i film italiani conservati dalla Cineteca) e pagando a caro prezzo dei consulenti esterni per scelte che il personale specializzato interno avrebbe potuto fare gratis e con competenza non certo inferiore.
È interessante sapere che ogni anno vengono selezionati da tutta l'Italia solo 14 allievi nel corso di recitazione, 8 in quello di sceneggiatura, 6 in quello di regia (notevole la presenza di "figli d'arte"). E sapete quanto versa il ministero della Cultura al Centro per la formazione e le varie attività ogni anno? 14 milioni e 500 mila euro. Inoltre la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo ha approvato con decreto anche l'assegnazione di 37.200.000 di fondi straordinari PNRR. Quindi una bella somma da gestire e assegnare in questi anni.
Di qui, la decisione di accompagnare all’uscita Donzelli e i suoi cari, con un anticipo di due anni dalla data prevista, nel marzo 2025.
FASCISTI E BARACCONI
Lettera aperta da Il Foglio - Estratto
Cari ragazzi che avete occupato il Centro Sperimentale di Cinematografia, vi scriviamo una lettera aperta anche noi, come quella di Marco Tullio Giordana su Repubblica. ……..
Suvvia. Sin dalla sua benemerita fondazione fascista, le nomine del Centro Sperimentale sono sempre state espressione della politica. Quest'improvviso richiamo all'“indipendenza” lascia un po' perplessi.
Il CSC è indipendente come la Rai.
La Fondazione che lo presiede è indipendente come il Cda di Viale Mazzini. Se, per esempio, cari ragazzi andate sul sito del Centro Sperimentale dove voi studiate, sotto ogni nome del CdA vedrete che c'è scritto, giustamente, “incarico di stampo politico”. Vale anche per il comitato scientifico. Più chiaro di così. 
Veniamo alla norma incriminata e ora stracciata: “Il testo sopprime di fatto la figura del direttore generale della fondazione, aumentando i membri del Comitato scientifico da tre a sei e facendoli diventare di nomina diretta di tre ministri”. Sarebbe questo il passaggio da un CSC libero e indipendente (ma dove?) a uno “occupato della destre”? 
Avete paura che Sangiuliano vi metta a fare film tratti dai suoi libri, o una serie di spin-off tolkeniani (a saperli fare)? Indipendente nel senso che intendete voi, il Centro Sperimentale non lo è mai stato e mai lo sarà. Non si capisce insomma la differenza rispetto ad ora, se non, in caso, lo spavento per membri nominati magari da un governo di destra, come successo in Rai, appunto. Il caro Marco Tullio Giordana rimpiange addirittura Mussolini (dice che Sangiuliano sta facendo peggio). Un po' c'è da capirlo.
………….
 Vieni oggi. Guardate però che differenza con Hollywood: lì si protesta contro le insidie dell'Intelligenza Artificiale, qui contro nomine, contronomine, destra, sinistra. Siamo vecchi.
Sarebbe stato bello se da questa norma cavillosa così discussa, se da questa occupazione sicuramente sentita e partecipata, fosse nato invece un bel dibattito sul senso di certe istituzioni. 
A cosa serve oggi il Centro Sperimentale? Siamo sicuri che con questo nome dannunziano sia davvero “sul pezzo”, come dicono i giovani? (Veltroni aveva provato a cambiarlo nella Scuola Nazionale di Cinema, poi si è tornato alle radici mussoliniane). Il cinema, la tv, i media cambiano a una velocità sconcertante e travolgono tutto ciò che è vecchio. Solo le istituzioni dinamiche riescono a stare al passo. 
E' dinamica un'istituzione statale sballottata sempre dalla politica di qua o di là? Non servirebbe forse un Centro Sperimentale che prima che nominato da destra o da sinistra avesse un po' meno burocrazia, un po' meno Stato dentro?
Sarebbe anche il caso di ricordare che il Centro Sperimentale non è solo una scuola, ma il luogo dove si conserva la memoria del cinema italiano (film, archivi, documenti, tutto). Sono cose ben diverse. Un conto è formare cineasti che registrati vedersela con ChatGpt. Altro è conservare, preservare, diffondere nel modo più capillare possibile il nostro patrimonio cinematografico nel mondo. 
Invece tutto qui è ammassato nello stesso baraccone statalizzato e politicizzato, dove tutto pare dipendere dalla forma dei vertici, più che dalle idee messe in gioco. Non fatevi fregare dalla battaglia per le nomine. Non si hanno notizie di capolavori di storia del cinema diventati tali grazie alla nomina di un Cda o dal gioco delle correnti di partito.
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simonvictormoody · 10 months
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Avvertenze: scritto da ubriaco, mai riletto. Pieno di errori.
3 Il francese ribelle
Alla fine ho optato per una variante del negroni di oltr’alpe: il boulevardier. Ci sta, più dolce e rifiuto quell’amarezza che tanto ricerco di solito alla sera. Oggi ho voglia di essere un po’ più dolce, forse perché il mio corpo si sta abituando al benessere dell’alcol e della scrittura; essa da turbinio e vento che sferza e sbatte contro le rocce (come Paolo e Francesca) si tramuta in una dolce brezza malinconica che accompagna queste serate. Forse la dolcezza della scelta del cocktail è data da due ragazze sedute vicino a me, ma distanti di intelletto. Parlano di robe futili, soliti pettegolezzi che riguardano il fare comune. La noia assurda. Forse meglio non parlare del pendolo tra noia e dolore prima che quest’ultimo prenda il sopravvento e rovini la dolcezza della serata. È strana la donna come creatura, seppur da me alcune volte odiata per la perfidia simil medusa… quando entra nei locali con il profumo che l’accompagna va a stimolare il primo nervo e i ricordi di vecchie passioni e scopate. Oh il piccolo Bukowski che esce e del quale mi scuso di evocarlo a cazzo come fanno molti, solo perché fa tendenza l’elemento volgare, la parolaccia, violenza e ubriachezza. La ragazza qua dietro parla di alcol, che dolci parole che pensieri soavi donna mia… qual tempo l’alcol ti toglieva dall’opere studentesche che sedevi assai contenta del passare l’esame. Un giovane di Recanati moderno potrebbe dire questo? Licenza poetica da arresto a mio avviso. Corrompere tali versi per l’alcol? Quale bestemmia della bellezza, ma alla fine questo dissi nel pensiero di prima. Il brutto ci attrae.
Sono abbastanza stanco del tutto ma continuo solo per il piacere di bere. La sedia davanti a me continua ad essere vuota. La dolcezza di cui scrivevo prima è oramai sparita. C’è solo disperazione che deve affogare il prima possibile, prima che impazzisca nella realtà.
È incredibile come possono variare i miei pensieri e stati d’animo così velocemente che è difficile stare dietro a tutto. Ma forse è una benedizione e maledizione il provare e sperimentare tutto lo spetto del piacere e del dolore quasi allo stesso tempo. Ora ho vomito. Vomito della solitudine sapendo che tre ragazze stanno parlando sedute dietro di me, provando ad origliare non trovo nulla di interesse nel quale intromettermi. Ma sempre meglio di questa solitudine. Dietro di me una coppia dell’Est europa credo stia litigando o no, non capisco… ma è una coppia in contrasto con la mia condizione. Osservo il tovagliolo vuoto in attesa del cocktail. Osservo quanto è solo come me. Mi lamento? È vero, sono un continuo lamento perché questo dolore è difficile zittirlo e le parole sono come grida silenziose. Ossimoro azzeccato. Puoi farle gridare nella tua testa quando le scrivi e quando le leggi, tuttavia per loro stato di inchiostro o pixel digitali sono mute. E allora grido il mio dolore ogni secondo. È la mia vita, la mia condizione, magari verrò riconosciuto postumo per quello che scrivo. Magari verrò dimenticato ma tutti noi lo saremo. Ora mi dispero mentre inizierò a bere sperando che qualcuna mi noti, perché forse io noto troppo e non ho più voglia di fare la prima mossa. L’ho sempre fatta è sempre sono stato bastonato. Non voglio più accettare di fallire anche se la vita, per esteso l’evoluzione è un fallimento unico che diventa un adattamento e quindi sopravvivenza. Ma io sono a parte.
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mykingdommusic · 1 year
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Into the meanders of GOAD
Passo dopo passo ci avviciniamo alla presentazione degli aspetti peculiari di "Titania" il nuovo album dei Progsters toscani GOAD che si preannuncia essere senza ombra di dubbio uno dei lavori più rappresentativi, coinvolgenti e più affascinanti della band. Con Maurilio Rossi, da sempre testa e cuore della band ci addentriamo nei meandri di "Titania" e dei GOAD.
1.   Sono passati due anni appena dall'uscita di "La Belle Dame" ed i Goad sono pronti a ritornare sul mercato con un nuovo album "Titania" che dai primi sentori sembra essere una delle vostre opere più intense, emotivamente coinvolgenti e soprattutto impegnative dal punto di vista compositivo e non solo. Ce ne vuoi parlare soprattutto dal punto di vista emozionale e cosa hai avvertito nella stesura della nuova creatura?
"Titania" è la logica prosecuzione del cammino intrapreso nel mondo di John Keats, un mondo fatto di passione, della magia del retaggio classico dei grandi lirici di ogni tempo a cui, il per sempre giovane poeta, morto a Roma a 25 anni,  fa riferimento in tante composizioni. Shakespeare vi entra sotto voce, nel riferimento alla figura della regina delle fate e del capolavoro "Sogno di una notte di mezza estate". In un primo momento avrei voluto musicare una bella parte dell'opera ma sarebbe rimasto incompiuto il cammino nella poetica di Keats, in buona misura  oggetto dell’album "La Belle Dame" per cui mi sono volutamente fermato. Dal punto di vista emozionale, come dice lo stesso Keats, Shakespeare mette le passioni in primo piano, "una banda spaventosa che fa vibrare, ognuna, la sua corda". Sogno senza sonno è la poesia per Keats e mi ci riconosco appieno per la musica che componiamo in "goad” e, come Oberon che "selvagge canzoni traeva dal liuto piangente", troviamo emozioni sempre nuove nell’affrontare la grande poesia.
2.   "Titania" ancora una volta si immerge in un mondo magico e fatato, così come hai fatto per il passato e per gran parte dei tuoi album. Oggi la tua fonte principale è sempre John Keats anche se il titolo è fortemente legato a William Shakespeare. Cosa ti affascina tanto della letteratura inglese costante tua fonte d'ispirazione?
Hai ragione, il riferimento a Shakespeare, come ho detto sopra, è soltanto per il personaggio di Titania, regina delle fate e protagonista del "Sogno di una notte di mezza estate", citata più volte da Keats le cui muse sono i grandi poeti del passato. Il fascino della grande letteratura inglese nasce da lontano, dagli studi classici e dalla grande musica anglosassone che ha scritto la cultura moderna di questa arte. Le sonorità della lingua e il grande valore dei tanti  lirici già affrontati negli album dei GOAD, da E.A. Poe a Lee Masters, da H.P. Lovecraft a W. Savage fino a John Keats dà sempre nuovi stimoli nel comporre (goad alla fine significa proprio stimolo…). Come dice in un suo componimento  lo stesso Keats : giovinezza eterna avrà la musica... (riferito al personaggio di Shakespeare "Oberon").
3.   Il nuovo album uscirà il prossimo ottobre in due edizioni speciali: un doppio vinile con due fantastiche bonus tracks ed un doppio CD con un bonus live album registrato a Genova nel 2007 se non erro con in più delle canzoni registrate in studio in presa diretta, come se fosse un live, recentemente durante la pandemia. Ce ne vuoi parlare soprattutto del perché ritieni necessario far conoscere queste registrazioni?
GOAD nasce come gruppo di musica dal vivo e per decenni quella è stata la sua dimensione. Per un lunghissimo periodo ogni sera davanti a un pubblico eterogeneo e per la maggior parte straniero, in primis anglosassone ed americano, per cui anche la scelta della lingua era quasi obbligata, pur con nostro grande piacere!  La possibilità di pubblicare un live mediamente recente mi pareva una degna consacrazione di tanto sudore e fatica on stage, ma anche un meritato riconoscimento ai musicisti fantastici che hanno accompagnato lungamente il cammino della band. Essendo attivi dal 1974 ovviamente tanti compagni di strada si sono persi ma il fulcro ha tenuto duro, in primis Paolo Carniani alla batteria, con noi da sempre, e mio fratello cofondatore Gianni Rossi. Eccezionali compagni successivi sono stati assiduamente con GOAD : Francesco Diddi e Alessandro Bruno, polistrumentisti incredibili (chitarre, sax, flauto, violino, oboe etc. entrambi!) che pur svolgendo attività impegnative nella musica sono sempre presenti in caso di dischi o live. Poi Martino Rossi  figlio d'arte (creativo polistrumentista anche lui...) e il violinista chitarrista Roby Masini che ha lasciato la musica moderna da poco tempo, dedicandosi alla classica di cui è un maestro conclamato.
4.   Non è un segreto il fatto che tu non sia più un giovincello, almeno non sulla carta d'identità. Cosa ti spinge dopo tanti anni a continuare a dare vita a nuovi album così ricchi di fascino e sonorità sempre ammantate da una velo di magia?
È senz'altro vero che l’età anagrafica non corrisponde quasi mai all’età biologica e, nel caso di qualsiasi artista, vi è un vantaggio evidente nel cercare sempre vie nuove di espressione... Nel mio modesto caso trovo enorme forza dall'avere  interessi infiniti in campo genericamente culturale e specificatamente  letterario ma non spiegherebbe il tutto. In realtà ho continuamente idee compositive che mi frullano in testa e sto davvero male se non  le esprimo concretamente. Finché avrò questa spinta interiore proseguirò a scrivere musica. Il punto topico è il non  avere nessun genere prestabilito in testa, solo modi diversi di espressione musicale e strumentistica anche nell'ambito dello stesso brano od opera. Amo scrivere canzoni semplici come complesse partiture estese nelle quali non cerco  di far emergere virtuosismi tecnici ma di evocare e suscitare emozioni, brividi, anche interrogativi sul perché di queste musiche da parte del fruitore-ascoltatore. Se lascio qualcuno o tanti perplessi ne sono già contento perché significa che ho smosso qualcosa.
5.   A differenza di gran parte delle bands Progressive la tecnica nelle tue composizioni non è mai la protagonista principale, ma sempre una componente al servizio del pathos che dalla canzone emerge forte. È corretta la mia impressione?
Hai visto giusto e questo già lo sapevo! Al servizio del brano che affronto ogni partitura è scritta e sviluppata, che sia io o che siano i grandi musicisti che suonano con Goad. Nessuna nota è eseguita senza una profonda consapevolezza di ciò che deve suscitare dal vivo. Vi è certo più libertà e pochi freni se non quelli che sono stabiliti dal proseguire della partitura, ma in studio si segue il pathos del brano, evocato dal testo affrontato in primo luogo, mai si è scritta una nota seguendo stilemi di genere, Prog o Rock o altro. Io stesso non mi riconosco nella categoria "Prog", nata in anni relativamente recenti. Io cerco di far emergere la passione, i sentimenti, dai cambiamenti di umore, tempi, atmosfere dei vari componimenti. La lezione della musica classica è basilare e fondante. Senza il retaggio e lo studio del passato non si raggiunge nulla in nessun campo. Per lo meno risulta difficile trovare un senso in quel che si fa.
6.   La storia dei Goad affonta le proprie radici nel più classico Progressive italiano degli anni 70 ma sempre con un occhio di riguardo verso tematiche per così dire goticheggianti e soprattutto riferimenti musicali inglesi come Van Der Graaf Generator, King Crimson, Genesis, Procol Harum. Come avete unito questi due mondi e soprattutto credi ci sia nei Goad un tocco particolare che gli permette di essere così attivi ed amati anche dopo decenni dalla vostra nascita?
L'amore per la grande musica prodotta negli anni '60 e '70 , al di là dei generi, ha influenzato di sicuro il sound dei GOAD,  nella misura in cui ogni proposta di valore, di cui hai elencato qualcosa, ha avuto incidenza psicologica e pratica, ha insegnato come scrivere o eseguire etc. Potrei elencare decine e decine di meravigliosi artisti , dai Beatles ai Talk Talk, Keith Emerson, Genesis di Peter Gabriel, da Jimi Hendrix ai Cream di Clapton e Bruce, il mio maestro della chitarra, basso e anche del canto. Credo che se GOAD ha degli affezionati estimatori sia merito del nostro avere una fisionomia personale, un marchio particolare (riferimenti tanti ma con un proprio percorso). Credo che la maggior soddisfazione per un artista qualsiasi sia questo, una identità che ti fa riconoscere fra mille proposte differenti. Niente avviene per caso e  credo che chi ci segue ancora sappia riconoscere quanto lavoro durissimo ci sia dietro i nostri dischi e anche quanto coraggio nel resistere a sirene di altro tipo. E fammi aggiungere anche parlando del coraggio di chi ci produce! Senza produttori "artisti" avremmo soltanto musica perennemente uguale nel cliché e nelle forme.
7.   Nell'attesa dell'uscita dell'album ci vuoi lasciare un messaggio? 
Voglio dire che, per chi già ci  ama, in "Titania" e nel live accluso, troverà molto che riconoscerà con piacere ma anche molto altro di nuovo e forse sorprendente. Se farà confronti con gli altri album ne scoprirà l’unicità. Con Keats voglio dire che "beauty is truth and truth is beauty"!
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Di Loretta Marcon
<< [...]
Il meglio si è di rappresentare il Leopardi stesso al giudizio dell’universale (A. Ranieri, Note in Opere di Giacomo Leopardi, 1849)
Introduzione e cenni storici
Nel corso degli anni che ci separano dalle prime pubblicazioni delle opere di Giacomo Leopardi, si sono succedute innumerevoli interpretazioni critiche dei suoi Canti che talvolta tendono a contrapporsi. Come si sa, il 1947 rappresenta una data fondamentale per gli studi dell'opera leopardiana, spartiacque tra una critica che, salvo qualche eccezione, considerava il Leopardi più nella sua peculiarità di poeta che come filosofo e, nella valutazione quasi esclusivamente estetica dell'opera d'arte scindeva la poesia dalla non poesia e una nuova critica che rivolgeva invece lo sguardo attento al pensiero e alla cultura del poeta-pensatore di Recanati.
Al Luporini, teorico di un Leopardi progressivo e al Binni, autore del saggio La nuova poetica leopardiana, spetta il merito di aver portato, nel 1947 appunto, l’attenzione sugli aspetti filosofici e teorici della produzione leopardiana e non più solo su quelli letterari e formali. Nello stesso tempo però, questi autori, coerenti con il proprio pensiero politico, hanno orientato la nuova critica verso la considerazione di un Leopardi ateo e materialista.
Giovanni Casoli, nella premessa ad un suo saggio, si chiedeva: C’è un modo non ideologico di leggere Leopardi? Di non ridurlo alla propria misura facendone, magari inconsciamente, il messaggero d’eccezione di una non sua visione del mondo? Tanto più dopo che alla condanna spiritualistica (anch’essa una cattura) si è contrapposta una multiforme rivendicazione materialistica, altrettanto ingiustamente trionfale? […] Io credo che si possa tentare, con indefinita imperfezione (fortunatamente), e perché anche la sua opera non consente una parola rigida e definitiva, una lettura non ideologica di Leopardi, nell’unico modo corretto: esplorando in ricognizione tutto Leopardi […] non la poesia unicamente, o contrapposta al pensiero soprattutto dello Zibaldone, come è stato fatto per molto tempo; non il pensiero letto come completamento e verifica della poesia, con il diritto di prevaricarla se gli esiti appaiono discordanti, come è oggi per tanta critica preoccupata di spostare l’epicentro di Leopardi dalla profondità spirituale dei versi più alti all’amarezza senza abisso di altre pagine più pensate e a volte meno ispirate[1].
La nostra ricerca si rivolge all’arco di tempo che va dalla fine dell’Ottocento - momento in cui apparvero le prime edizioni corredate di note e osservazioni - agli anni ’40 del Novecento, prima della citata “svolta” in campo critico, di cui si è appena detto. L’interesse sempre crescente per l’opera di Leopardi[2] (ravvivato recentemente anche da un film), non solo da parte della critica leopardiana, ha prodotto una pletora di scritti che talvolta si limitano a riprendere interpretazioni precedenti senza riuscire a dire davvero qualcosa di nuovo e innovativo o si presentano come studi che tendono a far prevalere la visione attuale, l’intelligenza del qui-ora, su quella più vicina al momento della composizione. Ci sembra che talvolta questo metodo rifugga inconsciamente la ri-lettura del testo “nudo e appena nato”. Ogni precedente diventa un velo, tanti precedenti formano un velame sempre più spesso, che finisce per offuscare, troppe volte, ciò che spira dai versi leopardiani. Inevitabile? Forse, anzi, senz’altro. E ripensiamo a quanto proprio il Luporini ebbe a dire in una intervista rilasciata quarant’anni dopo la pubblicazione del suo celebre saggio: «Leopardi mi sta restituendo il senso dell'avventura. Mi dà ancora l'ansia di dire qualcosa di nuovo […] sento che studiando Leopardi, a fondo e in questa luce nuova, io sto cambiando. Ne esco modificato e anche affascinato dalla sua figura di poeta-filosofo»[3].
Questo richiede Leopardi: uno studio e uno scavo continui poiché essi risultano sempre parziali e mai esauriti, simili a tante brevi luci che si accendono lungo un percorso che non può, non deve fermarsi. Anche per questo siamo convinti che nessuna acquisizione in fatto di interpretazione possa dirsi intoccabile. Pensiamo, dunque, all’utilità di una riflessione ulteriore, scaturita stavolta da una riscoperta di coloro che per primi esercitarono la loro intelligenza e il loro ésprit de finesse sulle pagine di Leopardi. Il cuore, che fa cogliere l’oltre, è presente in molti degli autori più vicini, nel tempo, al momento primigenio dell’Infinito leopardiano[4]. Un “ritorno” volto a stimolare ripensamenti fruttuosi dopo un’opportuna epoché derivante da tale operazione. Un fermarsi momentaneo, una breve sosta con lo sguardo all’indietro verso un sentiero ricco di presenze e di spunti forse ancora da sviluppare. Come non ricordare qui ciò che Carlo Bo disse nella sua prolusione, pronunciata a Recanati il 29 giugno 1998 in occasione del bicentenario leopardiano: Quanti sono i Leopardi che conosciamo? Non è difficile fare un elenco di quanti nel mondo si sono occupati della sua figura e della sua opera, mentre è difficile se non impossibile stabilire quale sia il vero o quale sia il Leopardi meno violentato e abusivo. […] Leopardi va visto prima di tutto nella più alta accezione della solitudine e in quel suo essere e vivere al di fuori della meravigliosa biblioteca che Monaldo gli aveva preparato, affascinato dall’impresa pascaliana in cui l’uomo si misurava direttamente con Dio. C’è un Leopardi che a un certo punto butta via tutti i libri su cui aveva esercitato la sua precoce fame di conoscenza e si trova sul colle dell’Infinito a sfidare un Dio che era ben diverso dal Dio che i genitori avevano cercato di portarlo ad adorare e a temere. Non si è preso atto […] della assoluta vocazione del Leopardi che aveva saputo fondere insieme così bene poesia e filosofia, silenziosa ricerca di Dio e costante presenza della realtà. […] Leopardi […] è stato invece un gran distruttore delle nostre così modeste illusioni e infatuazioni. Ha accettato di restare nudo così come quanto era stato cacciato dal paradiso, al contrario di quello che facciamo noi abitualmente e di quello che sanno fare bene o male gli scrittori che si pavoneggiano e nascondono dietro i loro panni, che devono essere sempre più ricchi e ornati di facili promesse, la loro miseria. Ecco perché spesso è inutile esercitare la propria acribia sui suoi testi e sui documenti d’archivio, a noi deve bastare la purezza cristallina della sua poesia, il suo denudamento e la sua disperata e mai detta fede in Dio[5].
Poiché risulterebbe impossibile esaminare tutti i commenti al libro dei Canti abbiamo scelto, come prova ed esempio, alcune particolari edizioni critiche de L’Infinito. Accanto ai primi autori che hanno scritto sul pensiero e la personalità di Leopardi (pensiamo soprattutto al De Sanctis) e a nomi noti nel campo della critica leopardiana (Moroncini, Straccali, Levi, Flora) ne rivivono altri, oggi sconosciuti e neppure citati e/o almeno ricordati. In realtà, e sia pure in misura diversa, i loro apporti hanno contribuito a porre le basi di una solida critica leopardiana ma soprattutto hanno stimolato non solo alla conoscenza della poesia, ma anche della personalità di Giacomo Leopardi, poiché hanno certamente invitato a procedere non solo nella interpretazione della lirica ma anche nella ricerca e nello scavo intimo nella psiche del Poeta, nel tentativo di “essere con lui” in “quel” particolare momento della sua esistenza. Quel punto nel tempo in cui sbocciarono quei quindici versi perfetti che universalmente furono e saranno letti con devozione e meraviglia, una aristotelica meraviglia. Un attimo forse simile allo sgomento religioso che seguì la notte in cui Giacobbe «colse l’Infinito, quell’infinito che è tanto più genuinamente sentito, quanto meno nominato» [6].
Dopo una breve ricerca sull’origine della denominazione Monte Tabor, abbiamo dunque ripreso alcuni testi antichi al fine di rivedere le diverse chiavi interpretative ma soprattutto per ritrovarne il sentimento. Accanto ai commenti, talora integrati da brevi note biografiche e dalle osservazioni personali dei rispettivi autori, abbiamo poi riproposto integralmente alcune pagine filosofiche che ci sono parse particolarmente importanti e pregnanti perché anticipatrici di studi successivi (Tilgher) o integrative per la storia dell’idillio e le rispettive note apposte alla lirica (Lazzarini) nel corso del tempo e nelle varie edizioni. Ai fini di un corretto completamento e per avere un termine di “confronto” abbiamo creduto opportuno offrire poi alla lettura alcune interpretazioni recenti. Come ben si sa, ogni commento è inizialmente oggettivo nella sua osservazione, ma quanto più ricco esso si mostra, tanto più il soggettivo, l’io dello studioso vi traspare. Lo stesso Leopardi si rivela in una particolare pagina dove l’erudizione viene ad accompagnarsi al suo sentire. Quest’ultimo traspare chiaramente dalla prefazione alla sua Interpretazione delle Rime del Petrarca, offrendo una specifica indicazione di metodo: […] dovunque io non ho inteso, ho confessato espressamente di non intendere, acciocché il lettore, non intendendo, non si credesse né più ignorante né meno acuto dell’interprete, come tutti gli altri comentatori vogliono che egli si tenga in tali occasioni. Quelli che mi riprendono di troppa abbondanza, non nell’esposizione di ciascun luogo o di ciascun vocabolo, ma nella quantità dei vocaboli e luoghi che io spiego, hanno ragione, se considerano questo Comento come fatto per loro: ma se lo considerano come fatto per tutti, anche per le donne, e, occorrendo, per li bambini, e finalmente per gli stranieri, non mi debbono biasimare di aver procurata a questi ogni comodità senza alcun incomodo degli altri, i quali non sono mai sforzati di voltare gli occhi al Comento dei luoghi che intendono[7]. Un metodo che indica quella chiarezza che troppe volte viene a mancare e che invece alcuni dei primi commentatori, citati in questa breve raccolta, ritenevano necessaria. Essi si proponevano, infatti, di liberare la lirica da interpretazioni troppo “dotte”. Rileggendo le loro note e i loro commenti, si ha l’impressione che senza sacrificare le doverose nozioni, sia in essi presente proprio la ricerca di una semplice chiarezza.
Confidiamo nell’interesse e nella “curiosità” del lettore appassionato che cerca nei versi leopardiani quel diletto che solo la grande poesia può offrire. Insieme alle parole e alle sensazioni di coloro che prima di noi hanno riflettuto, amato, sofferto insieme a Giacomo Leopardi, si renderà possibile un Incontro sulla sommità di quel Colle, divenuto per molti quasi il simbolo di una salita dell’anima verso, appunto, l’Infinito. Alcuni autori ci hanno profondamente commosso per il sentimento che nelle loro parole vibrava, effetto di pascaliana memoria e diletto poetico (leopardianamente: ragione calda e ragione fredda). Quel sentire di Leopardi, troppe volte dimenticato[8]. Abbiamo scritto in altri luoghi che dall’opera leopardiana tutta sembra sgorgare una specie di “essenza d’anima” che coinvolge il lettore a tal punto da illudere di potervi far parte, di poterla quasi toccare. Il nostro Poeta solitario scriveva:«La semplice stima non ha sede nel cuore, e non tocca in alcun modo al cuore» (Zib. 3600).
Ecco, qui non c’è solo la stima, l’apprezzamento letterario erudito ma anche il cuore e la passione per l’autore delle liriche chesempre evoca accanto a sé le «gentili anime»[9], quelle che sanno ascoltare il suo soliloquio[10], quasi come confidenti e testimoni del suo affanno. Queste creature sono anime a lui affini perché anch’esse certe che «alla sola immaginazione ed al cuore spetta il sentire e quindi conoscere ciò ch’è poetico, però ad essi soli è possibile ed appartiene l’entrare e il penetrare addentro ne’ grandi misteri della vita». (Zib. 3241-43, 1823). Leopardi non solo offriva un esempio di “metodo”, ma manifestava anche la sua preferenza per alcuni lettori della sua poesia. Bellissime queste poche righe della lettera in cui, un anno prima della morte, rispondendo ad un giovane ammiratore francese Charles Lebreton, scriveva: se cercassi un qualche consenso, il suo, signore, non mi sarebbe affatto indifferente; è proprio per anime come la sua, per cuori teneri e sensibili come quello che ha dettato la sua gentile lettera che i poeti scrivono e che anch'io, se solo fossi stato poeta, avrei scritto. Con il medesimo stato d’animo egli si era posto rivolgendosi al suo lettore nelle Annotazioni alle dieci Canzoni stampate a Bologna nel 1824 (che non vengono quasi mai ricordate): Non credere, lettor mio, che in queste Annotazioni si contenga cosa di rilievo. Anzi se tu sei di quelli ch’io desidero per lettori, fa conto che il libro sia finito, e lasciami qui solo co’ pedagoghi a sfoderar testi e citazioni, e menare a tondo la clava di Ercole, cioè l’autorità, per dare a vedere che anch’io così di passata ho letto qualche buono scrittore italiano, ho studiato tanto o quanto la lingua nella quale scrivo, e mi sono informato all’ingrosso delle sue condizioni. Vedi, caro lettore, che oggi in Italia per quello che spetta alla lingua, pochissimi sanno scrivere, e moltissimi non lasciano che si scriva.
Taluni primi commentatori ci sono apparsi particolarmente vicini a questo sentire, una circostanza che ha contribuito a spingerci alla riproposizione delle loro parole, per farle ri-scoprire.
[1] Giovanni Casoli, Dio in Leopardi. Ateismo o nostalgia?, Roma, Città Nuova, 1988, pp. 8-9.
[2] È curioso leggere quanto la poetessa Maria Alinda Bonacci Brunamonti scriveva - probabilmente riferendosi principalmente ai primi studi biografici - negli ultimi decenni dell’Ottocento: «Di Giacomo Leopardi sarebbe dignità e dovere ormai di non parlar più. Una folla di formiconi si sono lanciati sopra lui e sopra le cose sue. Questo intollerabile abuso di ricerche indiscrete e pubblicazioni pettegole, a carico di morti illustri, farebbe pensare che l’ultima delle sventure umane sia la gloria». Rimproverava altresì il concedere la consultazione dell’archivio privato ai «raspatori d’aneddoti, di date, di notizie vere o false» (Maria Alinda Brunamonti nata Bonacci, Ricordi di viaggio dal suo diario inedito, Firenze, Barbera editore, 1907, p. 239).
[3] Cesare Luporini, Leopardi moderno, intervista di Ferdinando Adornato, «L'Espresso», 1/3/1987, p. 116.
[4] «i più profondi filosofi, i più penetranti indagatori del vero, e quelli di più vasto colpo d’occhio, furono espressamente notabili e singolari anche per la facoltà dell’immaginazione e del cuore» (Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, a cura di Giuseppe Pacella, Milano, Garzanti, 1991, 3245 del 22.8.1823).
[5] Carlo Bo, Leopardi, 29 giugno 1998, Recanati, Bieffe, 1998.
[6] Rodolfo Otto, Il Sacro. L’irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale, traduzione di Ernesto Buonaiuti, Bologna, Zanichelli, 1926, pp. 260-261. Il riferimento è a Genesi, 28, 10-18.
[7] Giacomo Leopardi, Prefazione dell’interprete in: Rime di Francesco Petrarca con l’interpretazione di Giacomo Leopardi e con note inedite di Francesco Ambrosoli, Firenze, Barbera Editore, 1879, pp. 1-2.
[8] «Non si tratta, attenzione, di spegnere la luce viva della razionalità ma di mischiarla pascalianamente con il sentimento, con il “sentire” che sappiamo essere il centro della poetica e della gnoseologia leopardiane. Leopardi scrive che “l’uomo non desidera di conoscere ma di sentire infinitamente” (Zib. 383-384, 7.12.1820) La via di accesso alla realtà avviene dunque grazie al sentire e non attraverso l’estrema razionalità» (AA. VV., Giacomo Leopardi con l’occhio del cuore, a cura di Loretta Marcon, Ellera (PG), Bertonieditore, 2019, p. 90).
[9] Il primo amore, v. 97.
[10] Da leggere sull’argomento il saggio del 1957 di Umberto Bosco (1900-1987): Titanismo e pietà in Giacomo Leopardi e altri studi leopardiani, Roma, Bonacci Editore.>>
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lamilanomagazine · 1 year
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Milano, Daniele Mencarelli presenta il suo romanzo “Fame d’aria” a Teatro Oscar
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Milano, Daniele Mencarelli presenta il suo romanzo “Fame d’aria” a Teatro Oscar.   Daniele Mencarelli presenta a Milano il suo romanzo Fame d’aria, mercoledì 18 gennaio alle ore 18:30, presso Teatro Oscar, Via Lattanzio, 58/A. Il libro Tra colline di pietra bianca, tornanti, e paesi arroccati, Pietro Borzacchi sta viaggiando con il figlio Jacopo. D’un tratto la frizione della sua vecchia Golf lo abbandona, nel momento peggiore: di venerdì pomeriggio, in mezzo al nulla. Per fortuna padre e figlio incontrano Oliviero, un meccanico alla guida del suo carro attrezzi che accetta di scortarli fino al paese più vicino, Sant’Anna del Sannio. Quando Jacopo scende dall’auto è evidente che qualcosa in lui non va: lo sguardo vuoto, il passo dondolante, la mano sinistra che continua a sfregare la gamba dei pantaloni, avanti e indietro. In attesa che Oliviero ripari l’auto, padre e figlio trovano ospitalità da Agata, proprietaria di un bar che una volta era anche pensione, è proprio in una delle vecchie stanze che si sistemano. Sant’Anna del Sannio, poche centinaia di anime, è un paese bellissimo in cui il tempo sembra essersi fermato, senza futuro apparente, come tanti piccoli centri della provincia italiana. Ad aiutare Agata nel bar c’è Gaia, il cui sorriso è perfetta sintesi del suo nome. Sarà proprio lei, Gaia, a infrangere con la sua spontaneità ogni apparenza. Perché Pietro è un uomo che vive all’inferno. “I genitori dei figli sani non sanno niente, non sanno che la normalità è una lotteria, e la malattia di un figlio, tanto più se hai un solo reddito, diventa una maledizione.” Ma la povertà non è la cosa peggiore. Pietro lotta ogni giorno contro un nemico che si porta all’altezza del cuore. Il disamore. Per tutto. Un disamore che sfocia spesso in una rabbia nera, cieca. Il dolore di Pietro, però, si troverà di fronte qualcosa di nuovo e inaspettato. Agata, Gaia e Oliviero sono l’umanità che ancora resiste, fatta il più delle volte di un eroismo semplice quanto inconsapevole. Con Fame d’aria, Daniele Mencarelli fa i conti con uno dei sentimenti più intensi: l’amore genitoriale, e lo fa portandoci per mano dentro quel sottilissimo solco in cui convivono, da sempre, tragedia e rinascita.   Daniele Mencarelli, poeta e narratore, nasce a Roma nel 1974. Vive ad Ariccia. La sua ultima raccolta poetica è Tempo circolare (poesie 2019-1997), peQuod, 2019. Del 2018 è il suo romanzo d’esordio, La casa degli sguardi, Mondadori (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima). Nel 2020 esce Tutto chiede salvezza, Mondadori (finalista al premio Strega, vincitore del premio Strega Giovani, vincitore del premio Segafredo Zanetti-un libro un film, vincitore del premio Anima per il sociale). Da questo romanzo è tratta per Netflix la serie omonima, con regia di Francesco Bruni. Con Sempre tornare (Mondadori, 2021, premio Flaiano per la narrativa) lo scrittore chiude la sua ideale trilogia autobiografica. Nell’aprile del 2022 è andata in scena al Centro Teatrale Bresciano, con la regia di Piero Maccarinelli, la sua prima opera teatrale: Agnello di Dio, che ora si appresta a girare i teatri d’Italia. Collabora scrivendo di cultura e società con quotidiani e riviste.      ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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thebigapplex · 1 year
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Luce
Dolce amore mio, ho aspettato tanto per scriverti questa lettera, le parole giuste, le più indelebili e d’effetto, eppure la mia pessima licenza poetica è stata rimpiazzata dalla vita di tutti i giorni che stiamo passando insieme.
Ho riletto centinaia di volte i miei vecchi pensieri e sono certo di non aver disatteso nessuna mia promessa sull’amore e sulla sua bellezza.
Ora, i pensieri non sono più imprigionati nella mia testa, si sono trasformati in gesti ed attenzioni che ogni giorno costruiscono la nostra vita insieme.
Ho pensato a come descriverci mille volte, a cosa siamo diventati, alla straordinaria forza con la quale hai totalmente riscritto le mie aspettative sul futuro e sull’amore.
Potrei parlarti per ore di quanto sia perdutamente innamorato dei tuoi occhi, delle piccole cose e del tuo sorriso.
Se dovessi usare una parola che racchiude tutto, questa parola sarebbe luce, luce in un oceano di buio.
Voglio condividere parte di questa luce con te, in modo che sia indelebile anche quando io non sarò al tuo fianco, nella nostalgia del nostro sguardo e del silenzio, sempre.
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