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#ma non mi lamento
campanauz · 1 year
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Sono stata chiusa in casa una settimana senza fare niente, se non una breve gita a Milano da mia nonna, vedere qualche amico, andare al parco con mia figlia. Migliori vacanze di sempre!
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mchiti · 7 months
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è veramente brutto vedere musulmani italiani fare battute omofobe, ed è anche brutto per me vedere gli italiani rispondere loro con un sottotono che è chiaramente razzista ma tu stai lì nel mezzo perché non sei come loro, ma leggi cose che comunque offendono anche te, e non c'è niente da difendere e c'è tanto lavoro culturale da fare però hey...tante persone educated e sane come me esistono quindi please non chiamate tutti in causa perché io non c'entro niente.........cioè è proprio brutto brutto che ti senti in dovere di dissociarti........mi infastidisce così tanto
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stefandreus · 10 months
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ma com'è possibile che posti AI cover del pittore austriaco che canta "today is a good day" e qualche canale NSFW comincia a seguirti?
diocristo
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shineoftherainbow · 1 year
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per un momento ho pensato i ballerini fossero unti perbene ma no 😔
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themhac · 1 year
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è la fiera delle banalità lo so ma che festa horror è capodanno
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omarfor-orchestra · 1 year
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Io: un photoshoot delle blorbe per favore?
AndreaDL dopo settimane di sparizione:
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sexysecy69 · 2 years
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Il desiderio di abbandonare questa forma mortale incapsulata in una sacca di carni, viscere e liquidi discutibili, per vivere allo stato gassoso si intensifica ogni ora che passa
Ps. Ho il raffreddore
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fentybucky · 2 years
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luca e dacci un cazzo di selfie altro che piedini e gambe muscolose
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s-a-f-e-w-o-r-d--2 · 7 months
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E fu così che dopo ogni sessione cominciai a tenere un diario... Ci scrivevo tutte le emozioni che avevo provato, descrivevo con minuziosi particolari come eri vestito, che profumo portavi... Ogni minima espressione del tuo volto, ogni piccola ruga nuova che compariva sulla tua pelle... di come si aggrottava la tua fronte ad ogni mio lamento di dolore... Di tutte quelle parole che mi sussurravi all'orecchio... E di tutte le cose che sentivi, ma di cui non mi parlavi... Di tutti gli spigoli che pian piano ti smussavo... Di come i tuoi gesti diventavano man mano più lenti e docili... Di come la foga che avevi i primi tempi lasciava il posto alla più totale calma... Di come godevi dei momenti con me... Di quando era tutto finito ed io appoggiavo la mia testa sul tuo petto o sulle tue gambe... E di come tu mi scostavi i capelli per darmi un bacio in fronte... Questo diario sarà il mio regalo per te... E te lo donerò avvolto in una corda di canapa, di quelle che ami tanto... Di quelle con cui da mesi mi avvolgi e mi leghi cosi stretta... Forse perché ti sei accorto di quanto mi batte forte il cuore quando ti guardo... Per lo stesso motivo che mi bendi gli occhi... Non vuoi che ti scavino dentro... Non sopporti il mio sguardo che ti brama... Bhe... te lo darò sotto la pioggia, così non ti vergognerai se ti scapperà una lacrima... Te lo donerò quando finalmente capirai che io e te, il Padrone e la schiava, non sono più in due ma sono diventati un magnifico Noi... Sempre e per sempre Noi... Un cuore che batte al unisono per l'eternità. 🖤
~ Virginia ~
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~ Virginia ~
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ross-nekochan · 2 months
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Ho già accennato a questo pensiero per cui io credo fortemente che nella società odierna ci lamentiamo troppo, di tutto, senza fine e senza soluzione.
La mia migliore amica dice che lamentarsi è un diritto e che è giusto farlo, che spesso è solo dimostrazione di un disagio interiore che si prova, per cui è giusto esternarlo.
Inutile dire che non sono d'accordo.
Pure io mi lamento, sempre e troppo e specialmente qui ho esternato un sacco di disagio sul lavoro che faccio, sulla vita che devo passare sul treno, sulle ore che non dormo ecc.
Ebbene, non so nemmeno io come sia riuscita a farlo, ma la scorsa settimana ho completamente switchato mentalità e non mi sono lamentata più nella mia testa. Ho cercato di vivere le cose come erano, non per forza saltando di gioia, ma vedendo i piccoli dettagli belli: la giornata di sole, la colazione con calma, le risate con i colleghi, l'esercizio con le lingue ecc.
È stata sicuramente una settimana pesante, però l'ho vissuta con tutt'altro spirito... e voglio che continui così.
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alicesfeelings · 1 month
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Mi lamento di non avere tempo per fare le cose ma riesco sempre a trovare il tempo per farmi venire l'ansia.
F*** my life.
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yomersapiens · 2 days
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Sempre ansieme
Quando l'ansia prende il sopravvento l'unica cosa che riesco a fare è sparire, diventare una goccia di umano in un fiume di umani. Perdere ogni riferimento della persona che sono quando c'è luce, non esisto, la folla è la carne, sono uno di quei pesciolini che si fa forza insieme a mille altri pesciolini in un banco di miei simili indifferenti. Non voglio essere notato, il che è strano dato che ho dedicato la mia intera esistenza all'essere notato ma quando l'ansia sale e si mette al timone a comandare vince la corrente e andiamo dove capita. Sono finito ad una mostra di arte transmediale contemporanea e stavo messo così male che ho pure capito le opere. Cioè ho parlato con l'artista e gli ho posto delle domande e lui ha detto "Hai proprio compreso il mio lavoro non serve che io ti risponda" e io ho pensato che cazzo di paraculo dai, siamo tutti bravi a fare così. Però davvero i suoi video strani di esseri tridimensionali generati al computer mi hanno fatto sentire meglio. Ne avevo bisogno. I bar attorno alla galleria d'arte erano pieni di altri pesciolini e nessuno mi ha degnato di una parola se non l'artista che probabilmente sperava di vendermi una sua opera. L'ansia mi ha fatto fare un altro paio di migliaia di passi inaspettati e i piedi iniziano a fare male. Qualche settimana fa ero dentro al tubo della risonanza magnetica e io odio fare la risonanza magnetica perché penso sempre che troveranno qualcosa di nuovo nel mio cervello e che non saranno i resti di altrettante lampadine frantumate al suolo in un cimitero di idee geniali mancate, ma qualcosa di grave. O di nuovo. Odio le novità, basta una novità e vado in ansia. Mentre ero nel tubo e con gli occhi fissavo le mie dita e le facevo giocare ho pensato che se esiste una vita dopo la morte ecco, io spero non sia così. Spero che morire non voglia dire rendersi conto di essere in uno spazio piccolissimo e incapace di muoversi. Immagino di venire seppellito e di sentire ancora quello che accade attorno a me, qualcuno piange, qualcun altro mi rinfaccia i soldi che gli devo, poi prendono i chiodi, fissano la bara, mi calano nella fossa e poco alla volta, infarinatura di terra dopo infarinatura, resto lì, mente e anima attive, nel buio del nulla, finché i vermi non decidono di ricondizionarmi e immettermi nel mercato del concime. Nel bus ascoltavo i discorsi degli altri e immaginavo chi sarebbe andato a casa con chi, ho formato coppie casuali solo per non costringerli alla solitudine nelle mura domestiche. Ho pensato al male che ti ho fatto. In stanza mi aspetta la larva umanoide informe come sempre, questa volta però ha parlato, ha emesso un suono simile a un lamento, "Allora?" ha detto e una colata di bava gli è scesa dalla bocca priva di labbra. Ha aperto un locale a luci rosse sotto casa, qua a Vienna la prostituzione è legale, ha un nome impronunciabile e mi sono chiesto se posso fare come quando vado a mangiare il gelato ma non posso chiedere più di una pallina (due palline qua sfiorano i cinque euro) "Che mi puoi fare assaggiare cannella e granella di zolfo?" stessa cosa con le lavoratrici del locale a luci rosse "Posso assaggiare quella che sembra avere meno autostima?". Io non ho esperienza di locali a luci rosse, solo una volta ho assistito a uno spogliarello e mi sono addormentato davanti alla povera addetta ai lavori di smantellamento lingerie. Ero molto ubriaco, non era colpa sua. Sarei curioso di entrare e chiedere come funziona, è tipo prendere o lasciare o uno può scegliere? Ecco io sceglierei di finire annullato anche lì, perché l'ansia vince sempre e voglio diventare carta da parati, una di quelle figure appena abbozzate negli sfondi dei quadri impressionisti che non capisci se è un albero o un palo della luce o un uomo pieno di ansia.
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sciatu · 3 months
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SAN GIUSEPPE - FESTA DEL PAPA' - SI MANGIANO LE ZEPPOLE
Caro papà, grazie i tuttu chiddu chi mi dasti, pi primu u to amuri, poi a to fozza u to scrificiu u to suggiti cu scuru e girari a casa cu scuru picchi nui nun eravamu i chiddi chi avianu a bacca o sciutto e ogni cosa ni custava suduri e travagghiu. Grazie papà pa to risata, picchi mi facisti studiari quannu nun n'avia valia, picchì lassasti a to casa pi danni nu dumani, ni zignasti a cridiri in nui pi truvari a nostra strada, picchì l'unica raccumannazioni chi pi nui truvasti eranu i to brazza. Grazie picchì nun ti presentasti mai cu cappeddu nte mani pi elemosinari, non baciasti manu pi ntrigarti nta mala strada, ma ni zignasti chi cu sapi travagghiari, cu voli travagghiari, cu nun si scanta i travagghiari, nun è sebbu i nuddu, avi diri grazie sulu a so buluntà, sulu o so sangu. Grazie papà di to carizzi, di to cunsigghi, du to amuri chi mai rispammiasti. Grazie i sta lingua chi ni nzignasti, chi mai nigasti , chi sempri ciccasti, picchì è a lingua da nostra anima, è a fozza di nostri silenzi. Grazie pi l'amuri pa terra nostra, pi l'amuri pa biddizza da natura, pill' amuri di l'atti chi è u sensu da razza nostra. Grazie di tuttu chiddu chi ni dasti, di tuttu chiddu chi pi nui facisti, pa strada ritta chi ni zignasti, pi duluri chi pi nui vincisti, picchi ni mittisti davanti a tutta to vita , senza mai na lastima, senza mai na raggia senza mai finiri, l'amuri chi ni davi. Grazie. Papà.
Caro papà, grazie di tutto quello che mi hai dato, per primo il tuo amore, poi la tua forza, i tuo sacrificio , il tuo alzarti con il buio per tornare a casa con il buio, perchè noi non eravamo quelli che avevano la barca all'asciutto, e ogni cosa ci costava sudore e lavoro. Grazie papà per la tua risata, perchè mi hai fatto studiare quando non ne avevo voglia, perchè hai lasciato la tua casa per darci un domani, ci hai insegnato a credere in noi, per trovare la nostra strada, perchè l'unica raccomandazione che per noi hai trovato erano le tue braccia.Grazie perchè non ti sei mai presentato con il cappello in mano per elemosinare, non hai baciato nessuna mano per intrigarti con la strada sbagliata, maci hai insegnato che chi sa lavorare, chi vuole lavolare chi non ha paura a lavorare, non è servo di nessuno, deve dire grazie solo alla sua volontà, solo al suo sangue. Grazie papà delle tue carezze, dei tuoi consigli, del tuo amore che mai ci hai risparmiato. Grazie per questa lingua che ci hai insegnato, che hai sempre cercato, che non hai mai negato, perchè è la lingua della nostra anima, è la forza dei nostri silenzi. Grazie per l'amore della nostra terra, per l'amore verso la bellezza della natura, per l'amore per l'arte che è il senso della nostra razza. Grazie di tutto quello che ci hai dato, di tutto quello che per noi hai fatto, per la strada dritta che ci hai insegnato, per i dolori che per noi hai vinto perchè ci hai messo davanti a tutta la tua vita, senza mai un lamento senza mai una rabbia, senza mai finire l'amore che ci davi Grazie.
Dear Dad, thank you for everything you gave me, first your love, then your strength, your sacrifice, your getting up in the dark to go home in the dark, because we were not the ones who had the boat dry , and everything cost us sweat and work. Thank you dad for your laugh, because you made me study when I didn't want to, because you left your home to give us a tomorrow, you taught us to believe in ourselves, to find our way, because the only recommendation that for you found us were your arms. Thank you because you never showed up with your hat in your hand to beg, you didn't kiss any hand to intrigue you with the wrong path, but you taught us that those who know how to work, those who want to work, those who are not afraid to work, he is no one's servant, he must say thanks only to his will, only to his blood. Thank you dad for your caresses, your advice, your love that you never spared us. Thank you for this language that you taught us, that you have always sought, that you have never denied, because it is the language of our soul, it is the strength of our silences. Thank you for the love of our land, for the love of the beauty of nature, for the love of art which is the meaning of our race. Thank you for everything you gave us, for everything you did for us, for the straight path you taught us, for the pains you overcame for us because you put us in front of your whole life, without ever a complaint without ever feeling angry, without ever ending the love you gave us Thank you.
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unwinthehart · 14 days
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https://twitter.com/fabiochiusi/status/1792070386890277151?t=nJ8u3HFbDffNMn1SRkCAAg&s=19
non per fare ultimo slander qui sopra ma onestamente la cosa non mi stupisce minimamente lol
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Lui non è sicuramente il primo, non sarà l'ultimo (sì lo so, sono hilarious) ma io sono così stufa. Questi sono semplicemente cop out. Se non sai la differenza ti informi, studi. Non usi la tua ignoranza come scudo e dai la colpa agli altri perchè non "parlano a te". Sono tutti una merda? Sì. E' una scusa per fregarsene, assolutamente no. Se non puoi votare con i tuoi ideali (che sono per definizione astratti) voti per chi almeno non ti leva i diritti e i quattro spicci che ti trovi in tasca, porcoddio. Poi non voto e mi lamento se le cose vanno male, e no, non te lo meriti.
'na bella differenza tra chi invece cercava di sensibilizzare al voto su IG alle ultime elezioni. Senza fare nomi, eh.
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i-am-a-polpetta · 2 months
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minchia io voglio bene a mia madre ma quando le dico che al lavoro da me si comportano di merda nei miei confronti, mai una volta che mi supporti e mi dia ragione.
cioè per lei sono sempre io che mi lamento. cioè questi mi prendono per il culo e secondo mia madre devo "portare pazienza che è così dappertutto e che la mia voglia di partecipare a progetti nuovi non deve essere dettata dai soldi ma da quello che mi piace fare"
ah non sapevo che dovessi pure fare beneficenza ad un cazzo di milionario.
ma per favore
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viendiletto · 4 months
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Nel ricordo di Marinella… Una scelta di volontariato
“Mi aggiravo tra la folla, attratta da quella moltitudine vociante, dalle bandiere e dai labari delle nostre città istriane, fiumane e dalmate. Era il 1997, si ricordavano nella piazza principale di Trieste i 50 anni dall’esodo, anche i miei cinquant’anni essendo nata nel 1947. Ma il mio pensiero era fisso su mio padre. Vedi – gli dicevo col cuore gonfio – finalmente parlano di noi. Ma lui era mancato qualche tempo prima senza smettere di sentirsi fuori dal coro, un alieno…” 
Fu così che, durante quell’esperienza pubblica, Fioretta Filippaz, nata a Cuberton, esule a Trieste dal 1956, si rese conto di sapere ben poco della propria storia e del destino di tanta gente che come lei era stata costretta all’esodo dall’Istria.
Decise così di fare la volontaria?
“Quel ’97 fu per me uno spartiacque importante, i miei genitori non c’erano più ma le domande che avrei voluto rivolgere a loro, erano veramente tante. Allora presi informazioni e mi ritrovai all’IRCI che allora aveva sede in P.zza Ponterosso, nell’ufficio di Arturo Vigini, con lui c’era anche la figlia Chiara. Mi presentai e dissi che avrei voluto rendermi utile, partecipare dopo tanto silenzio. Non cercavo un lavoro di concetto, mi bastava anche semplicemente imbustare e affrancare gli inviti per le numerose iniziative dell’ente o per spedire la rivista Tempi&Cultura. Così ho cominciato”.
Una “volontaria”, oggi una del gruppo che segue l’attività dell’IRCI in via Torino, accoglie i visitatori delle mostre che si succedono numerose durante l’anno a cura di Piero Delbello e con il supporto del presidente Franco Degrassi, raccontando un esodo per immagini, attraverso i suoi personaggi, a volte famosi, a volte sconosciuti…
“Viene sempre tanta gente, chiede informazioni, racconta la propria storia, queste sale diventano un contenitore di tante vicende mai emerse, di tante storie familiari mai portate alla luce. Molti arrivano con fotografie, locandine, documenti per il museo. Per noi volontari è una responsabilità, ma anche un profondo desiderio di condivisione. Vede, questo documento alle mie spalle nell’ambito della mostra ‘Come ravamo’ è quello della mia famiglia, è lo storico dell’anagrafe dal quale hanno cancellato Marinella…”.
Chi è Marinella? È una delle storie emblematiche dell’esodo, quella di una bambina che non ce l’ha fatta, in quell’inverno polare del ’56. Aveva appena un anno e una polmonite se la portò via, “morta di freddo” sentenziarono i medici dell’ospedale che non furono in grado di salvarla.
“Ero già grandicella e Marinella me la portavo in braccio, le davo il biberon, la cambiavo, me ne occupavo per alleviare il lavoro di mia madre che doveva pensare a tutta la famiglia, al marito e ai cinque figli. I suoi occhi erano per me, con i sorrisi e i primi borbottii, una gioia infinita: non sono mai riuscita a dimenticarla, a farmene una ragione”.
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Per quanti anni siete vissuti in quella baracca?
“I miei genitori dodici anni, finché io e mio fratello non siamo riusciti a terminare le scuole nel collegio dove eravamo stati trasferiti per poter avere un’istruzione e migliori condizioni di vita”.
Vita?
“Quando la famiglia vive separata tutto è molto duro. Mio padre a Cuberton era un bravo contadino, da esule poté fare il manovale, la qualifica di profugo non era servita a nulla. Aveva sperato di entrare in fabbrica, ma nessuno ci aiutò. Ricordo che spesso diceva con convinzione, non sembrava neanche un lamento ma una semplice constatazione: ‘noi ne vol, proprio noi ne vol’ e così continuò per anni sentendosi fuori luogo, forse sconfitto. Quando ebbi diciannove anni, ci diedero una casa comunale, una sessantina di metri per la nostra famiglia numerosa, ma era comunque un miglioramento. Andai a lavorare alla Modiano”.
In che veste?
“Alle macchine per la stampa, ci ho lavorato fino alla pensione. All’inizio vista con sospetto, la nostra presenza di esuli a Trieste veniva ancora considerata un peso, ma noi istriani siamo lavoratori, disciplinati, vivaci, con il tempo mi sono conquistata le simpatie delle persone che hanno saputo apprezzare il mio impegno”.
E la famiglia?
“Mi sono sposata a 25 anni, per qualcuno era quasi tardi, per me anche troppo presto, vista la tragedia che avevamo vissuto in famiglia, non mi sentivo pronta”.
Non era solo per Marinella?
“Soprattutto per lei il cui sguardo non ho mai smesso di cercare, ma anche per tutto ciò che avevo visto al campo di Padriciano: la gente si lasciava morire, di disperazione, per mancanza di qualsiasi prospettiva, in quelle baracche dove non si poteva accendere un fuoco per scaldarsi. La mia casa era rimasta a Cuberton. Ci sono tornata per andare al cimitero. L’ho vista da lontano, diroccata, non ho avuto il coraggio di avvicinarmi”.
Nessuna assistenza psicologica in tutti questi anni?
“Nessuna. E ce ne sarebbe stato bisogno”.
Che cosa ha rappresentato il Giorno del ricordo?
“La possibilità di parlare, andando nelle scuole, fornendo testimonianza sui giornali, le televisioni. Gli italiani hanno iniziato a conoscere squarci della nostra vicenda. Ogni anno mi invitano a Cremona, in Umbria, nel Veneto, con le docenti è scattata un’amicizia importante. Dopo che Simone Cristicchi ha raccontato di Marinella nel suo spettacolo Magazzino 18, l’interesse è diventato maggiore, mi chiedono di raccontare. Lo faccio per i miei genitori, per restituire dignità a tanta gente, per rivivere il ricordo di Marinella, doloroso, ma necessario. I ragazzi delle scuole mi hanno omaggiato dei loro lavori di gruppo che custodisco gelosamente. È incredibile con quanta pietas abbiano saputo raccontare le nostre vicende, anche quelle più difficili. Mi fanno tante domande”.
E Padriciano?
“Ho accolto le scolaresche per tanti anni insieme a Romano Manzutto, finché l’associazionismo ha deciso di formare dei giovani perché raccontassero la nostra storia”.
In maniera più asettica?
“Certo hanno avuto modo di studiare, approfondire, possono rispondere a tante domande, non certo a quelle sull’esperienza diretta che rimane di chi l’ha vissuta veramente, ormai non siamo tantissimi, il tempo decide per noi”.
Dal campo di Padriciano molti partirono per gli altri continenti…
“Avevamo considerato anche questa ipotesi, ma cinque figli piccoli a carico erano una condizione che non favoriva il giudizio dell’emigrazione. Mio padre era una persona di grande cuore, certo avrebbe fatto fortuna, ma era convinto che nessuno avesse compreso che non eravamo venuti via se non perché fosse impossibile rimanere. Questa sensazione non lo abbandonava mai e forse gli toglieva la forza di tentare altre strade. Non ne abbiamo mai parlato successivamente. Ma mi accorsi del suo dolore quando giunti al cimitero di Cuberton, al momento di decidere di andare a mangiare qualcosa insieme, mi pregò di riportarlo velocemente oltre confine. La paura non li aveva ancora abbandonati e non l’avrebbe mai fatto fino alla fine”.
Di cosa avevano paura?
“Di restare e di tornare. In Istria tutto era cambiato e quindi non ritrovavano più la loro dimensione, c’era stata la dittatura che aveva spaventato tutti. In Italia avevano dovuto imparare a vivere il quotidiano, in Istria pagavano le tasse e basta, non erano abituati ad andare per uffici, fare domande, ottenere il riconoscimento dei propri diritti. Quando Marinella morì nessuno venne a manifestare la propria solidarietà, non fecero che cancellare il suo nome dal nostro stato di famiglia”.
Quale spiegazione riesce a darsi oggi?
“Lo dico spesso e l’ho anche scritto: fummo accolti con fastidio e indifferenza, eravamo un corpo estraneo che tentava di inserirsi in un tessuto sociale che non voleva intrusioni”. Dire che la storia si ripete è anche troppo ovvio.
Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin a Fioretta Filippaz per La Voce del Popolo, 5 gennaio 2020
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