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#los diarios de pavese
algunloco · 2 months
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Natalia Ginzburg, en la introducción a los diarios de Pavese.
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Comencé a leer el diario de Cesare Pavese. Profunda sorpresa. Y miedo. Porque casi todo lo que ha escrito me parece pensado por mí. Es más: yo lo he pensado —mejor decir: sentido— y hasta he tomado notas de ello en mi diario. Me desilusiona un poco tanta semejanza y, al mismo tiempo, me siento salvada. ¿Salvada de qué? No sé. Pero de algo oscuro y viscoso. Posiblemente me refiero a la locura.
Alejandra Pizarnik
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delaimaginacion · 3 months
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El amor tiene la virtud de desnudar no a los dos amantes uno frente al otro, sino a cada uno de los dos frente a sí.
Cesare Pavese, Diarios de vida y obra
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des-colorido · 8 months
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Comencé a leer el diario de Cesare Pavese. Profunda sorpresa. Y miedo. Porque casi todo lo que ha escrito me parece pensado por mí. Es más: yo lo he pensado —mejor decir: sentido— y hasta he tomado notas de ello en mi diario. Me desilusiona un poco tanta semejanza y, al mismo tiempo, me siento salvada. ¿Salvada de qué? No sé. Pero de algo oscuro y viscoso. Posiblemente me refiero a la locura. Alejandra Pizarnik
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theladyorlando · 4 months
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25 Dicembre, Ariel a Ferdinando
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Ti saresti svegliato presto e poi alzato con calma: il caffè, la radio, la doccia, la colazione, il vestito buono, il diario di oggi, le telefonate di chi vuole farti gli auguri: perché oggi non è soltanto Natale, ma è il tuo compleanno. Quindi ti saresti seduto al tavolo del salone, il tuo ufficio di sempre, e avresti riso al telefono con una tua cugina. Avresti fatto quadrare i conti della serva di ieri e poi, inevitabilmente, saresti uscito per strada, perché le scarpe te le saresti messe per prime, per farci colazione quasi. E io, dalla cucina di casa mia, ti avrei distrattamente visto passare sotto alla finestra, le tue gambe dietro alla siepe di bouganville, che vai a buttare la spazzatura o ti affacci al giornalaio perché magari è aperto. Io ti avrei guardato così: come una cosa mia che non devo faticare a tenere con le mani né con gli occhi, che posso lasciare in giro per il quartiere ché tanto poi ritorna, sempre, da me, a prendersi un caffè. Aprivi mai la porta di casa mia con le tue chiavi, oppure suonavi sempre il campanello? Già non lo ricordo più. È passato un anno dall'ultima volta che lo hai fatto, e io fatico a trattenere la memoria di te che entri a casa mia, una cosa scontata, prima di andare ovunque tu stessi per andare: le parole che dicevi, se eri sempre felice oppure quali gesti mi lasciavano intuire un tuo disappunto. Da quando te ne sei andato non faccio altro che ripetermi che non te ne sei andato: questa cosa è letteralmente impossibile. Guarda i poeti, mi dico, quelli che mi hai dato tu: se ne sono andati, per caso? Ci penso dal primo istante -un esercizio- che per quanto lo abbiano potuto piangere i suoi parenti, il mondo intero, Pascoli non è morto davvero, perché qui ha lasciato delle cose. Walt Whitman, Cesare Pavese, John Keats, Vittorio De Sica. Sono qui, e anche tu sei qui, perché qui hai lasciato troppe cose. Tra cui i poeti, per l'appunto, la tua eredità:
"Poiché è esattamente così che mi sento, io che ho ereditato non una ricchezza misurabile, ma quel fondo inestimabile di pensieri e di idee, da parte di scrittori e pensatori che da tempo ormai sono andati sotto terra ma che restano inseparabili da quelle saggezze che reclamano, la responsabilità di vivere secondo coscienza e intelligenza. Di godere, di interrogare - di non dare mai per scontato o pestare i piedi. Così i Grandi (i miei grandi, che potrebbero non essere i tuoi stessi grandi) mi hanno insegnato ad osservare con passione, a pensare con pazienza, a vivere sempre amorevolmente.
E così eccomi a camminare giù per il sentiero sabbioso, con il mio corpo selvaggio, con le devozioni ereditate, della curiosità e del rispetto... Sì, è un clamore di voci quello che sento, e non dicono tutte la stessa cosa. Ma le unisce lo spasmo della coscienza.
Chi sono loro? Per me loro sono Shelley e Fabre, e Wordsworth (il giovane Wordsworth) e Barbara Ward, e Blake, e Basho, Maeterlinck e Jastrow, e il dolcissimo Emerson, e Carson, e Aldo Leopold. Antenati, modelli, spiriti dalla cui influenza e dai cui insegnamenti ormai non posso separarmi, e per i quali sarò per sempre grata. Io non vado da nessuna parte, non arrivo in nessun luogo, senza di loro. Con loro io vivo la mia vita, con loro entro nell'evento, con loro do forma alla meditazione, trattengo, se posso, qualche essenza dell'ora, persino mentre quella scivola via. E non è da sola che riesco in questo vigile e amorevole confronto, ma attraverso uno sforzo terribile e continuo, insieme a questa innumerevole, fortificante Compagnia, luminosa come stelle nel Cielo della mia mente."
Vorrei che leggessi Mary Oliver, perché tu non lo sai ma mi hai lasciato anche lei. È incredibile come questa signora riesca a descrivere perfettamente la responsabilità di vivere secondo coscienza e intelligenza che i poeti ci lasciano e che, ai miei occhi, fa di te un poeta a tutti gli effetti. Io non vado da nessuna parte, non arrivo in nessun luogo, senza di te.
Eppure non ricordo come aprivi la porta di casa mia. E l'altro giorno non ricordavo com'è che chiamavi i pedoni che incautamente si lanciano sotto le macchine in corsa per le strade del quartiere, quelli che sbucano sadicamente da dietro ai cassonetti e corrono, ti corrono proprio incontro: le marmotte. Mille volte ne abbiamo avvistate, io e te, e di belle grosse. Loro allietavano le nostre guide insieme, quelle in cui tu cercavi di farmi far pace con il cambio manuale a trent'anni suonati e incinta com'ero di Agnese, senza mai perdere la pazienza, sempre pronto a portarmi dove dovevo andare e a mettermi in guardia dal prossimo pericolo: la fioreria di cemento sta sempre lì, eh. Insomma, avevo dimenticato le marmotte. E io dimentico senza volerlo, perché, incredibile a dirsi, la vita sta andando avanti senza di te. Per quanto me lo ripeta -tu non te ne sei andato- questa è un'evidenza disarmante, che tu non ci sia nella vita che va avanti: e quella ti sta passando sopra con i consigli di classe, i colloqui con i genitori, le visite mediche, i pranzi di natale, i regali ai parenti. Lo fa semplicemente perché tu non hai più la voce dei giorni, la voce che può imporsi dentro a questo rumore insensato. Io sono disperata della voce, perché sento che quella non basta neanche a me che sono viva, che vado ai pranzi e parlo ai colloqui: sento che non mi sentono, che questa è una lotta per dire, per farmi capire, per sovrastare, con quel poco che della voce mi resta, il rumore della vita che va avanti. E il rumore mi disturba, sai, arriva un momento della giornata in cui una sola parola detta a voce più alta mi fa letteralmente saltare sulla sedia: allora cerco il silenzio, e nel silenzio, la tua voce.
Cerco di ricordare la tua voce che mi saluta entrando in casa, le mie cose prima che non fossero più mie, le mie bellissime, piccole cose. E poi a volte, in mezzo al rumore, cerco il silenzio di altre cose più grandi, più dolorose, completamente mute: mentre esco di casa con le bambine per fare una passeggiata e incrocio le scale di casa tua mi impongo il ricordo di quelle stesse scale e del feretro che le scende. Tu che le salivi e le scendevi sempre come un bambino che ha fretta -ti sentivo dalla mia camera da letto mentre piegavo i panni- proprio tu hai sceso quelle scale così, in silenzio, è impossibile: ed è sommerso sotto alle passeggiate, ai centri commerciali, alle luci di natale, quel ricordo muto. Io invece non voglio perderlo, non sotto alle luci di natale, no. Mi fermo e me lo impongo, mi dico vedi, lui è passato per quella scala quel giorno, ed è per questo che a volte io non trovo la voce per parlare. Sono passata per il reparto di oncologia medica e ora devo tenerlo alto, più in alto del rumore, delle luci di Natale, delle urla dei bambini, dei numeri della tombola, come un vassoio in bilico sulla mia mano che spunta in cima a una folla di gente, sopra al rumore di tutti. Perché quando il giorno di Natale ti affacci alla finestra, l'ospedale sta ancora lì, e non si tiene dentro la gente, tanta ce n'è: quel reparto di terapia dove entravano solo malati metastatici per fare chemio di tre giorni è il braccio della morte, e nessuna delle persone che ci ho incrociato nei mesi del ricovero probabilmente sta festeggiando questo Natale. Puoi vivere facendo finta di non esserci mai passato per quel corridoio, oppure devi importi l'esercizio di tornarci con la memoria, di tenerlo sempre vivo dentro. Sempre in alto, più in alto di tutto.
E ancora, mentre guido la tua macchina, ferma in mezzo al traffico, sento partire una canzone alla radio: è la mia suoneria del telefono, quella che io non sento mai perché lo tengo sempre silenzioso, il mio telefono di plastica, come lo chiama mia madre. E invece ci sono stati giorni un cui l'ho tenuta bella alta, la suoneria, per poter correre da te appena mi avessero chiamata. Quella suoneria era l'allarme, la sirena, il segnale, e così è stato, all'alba di un giorno di agosto: dovevo salire perché si sentiva che il tuo respiro era cambiato, e infatti nel giro di pochi minuti te ne sei andato. Io ti ho sentito, ti ho visto, ti ho guardato in quel momento e voglio guardarti sempre così. Voglio ricordarmelo in mezzo al traffico, con le mie mani sul tuo volante come ti sei aggrappato tu alle sbarre di quel letto, per sentirti, proprio in fondo alla canzone, oltre il rumore delle macchine. Ti voglio guardare ancora come ti ho guardato nei mesi della tua malattia, come fossi un bambino: tu che in realtà sei sempre stato un ragazzino inquieto, sempre sul punto di uscire di casa, di prendere la moto, di combinarne una delle tue, tu che non volevi proprio saperne di capire cosa c'era scritto sul tuo referto perché avevi ancora troppe cose da fare, dal momento in ci siamo detti cos'era quella parola incomprensibile, da allora ti sei lentamente fatto ancora più piccolo, ti sei affidato a noi come se fossimo noi i genitori, ti sei fatto guidare e amare non più con l'agitazione dell'adolescenza incipiente ma con la fiducia della prima infanzia. Eri un bambino quando parlavi con i tuoi giovanissimi infermieri o con i portantini delle ambulanze e loro non potevano evitare di volerti bene, eri un bambino quando la mattina ti facevi lavare da Antonia, e lo eri anche quando facevi i capricci per fartela mandare a chiamare, ché senza di lei i dolori non ti passavano per bene. Eri un bambino quando mi chiedevi un cappuccino dal bar o una calamarata, e anche quando mi chiedevi di salire a leggere con te, un capitolo per uno. E poi eri un bambino quando ti portavamo alle visite e alle terapie e quando rassicuravamo le tue paure entrando in un ambulatorio nuovo; quando ti promettevamo un aperitivo, magari la prossima volta che fa meno caldo; quando ritiravamo un referto troppo crudele e ci facevamo medici per leggertelo con più clemenza. Eri un bambino quando la dottoressa mi ha fatta uscire dalla tua stanza per dirmi che quella sarebbe stata l'ultima terapia, e io, come fossi stato il mio bambino piccolo, le ho chiesto che per favore lei pensasse solo a darmi un altro appuntamento, ché a te invece ci pensavo io. E così è stato: a te ci abbiamo pensato noi, dal primo all'ultimo giorno, dal primo referto all'ultima suoneria del mio telefono, tu sei stato una cosa nostra e noi ti abbiamo curato come un bambino. Il sacerdote dell'hospice, il giorno in cui ha celebrato una messa in memoria di tutti i defunti della loro struttura, ha detto una cosa molto vera: ognuna delle loro stanze è una sala parto. E solo chi ha accompagnato una persona amata a quella soglia può comprendere quanto sia vera la metafora: a cinque tese, sul fondo marino, giace tuo padre, e già le sue ossa sono corallo, perle quelli che furono i suoi occhi. Niente di lui è destinato a svanire, ma a subire un mutamento di mare, in qualcosa di ricco e strano.
Forse la prima poesia che ti ho rubato: diceva che niente di te è destinato a svanire, ma a subire il mutamento in qualcosa di ricco e di strano. E così oggi che che è il tuo compleanno tu sei qui, senza la voce dei giorni, ma ci sei, ce lo leggiamo tutti in faccia quando ci guardiamo, ci diciamo buon natale, e in realtà ti stiamo dicendo tanti auguri.
Full fathom five thy father lies;
Of his bones are coral made;
Those are pearls that were his eyes:
Nothing of him that doth fade,
But doth suffer a sea-change
Into something rich and strange.
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viecome · 2 years
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El oráculo de Pavese, Ricardo Piglia
El oráculo de Pavese, Ricardo Piglia
«En mi oficio soy rey. En quince años lo hice todo», escribe Pavese en el final de su diario. «Si pienso en las vacilaciones de entonces… Estoy más desesperado y perdido que nunca. Sólo sé cuál es … Origen: El oráculo de Pavese, Ricardo Piglia – Calle del Orco
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relecturas · 2 years
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Ir haciéndome por primera vez un sitio mío, un lugar en el que poner el cuerpo sabiendo dónde estarán los rincones amables, es una fiesta que descubro en las mañanas cuando me levanto mientras amanece y escribo o leo en este escritorio junto a la ventana. En la mesa están Cortázar, Adolecer de Paco U., Pavese y las novelas cortas de Onetti.
Los diarios de Emilio Renzi, Ricardo Piglia.
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enlodemas · 3 years
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El diario
"'Solo quien lleva un diario puede leer el diario que escriben otros'. Tachó la última frase y escribió. 'Solo quien lleva un diario puede entender el diario que llevan otros'. Leyó la frase y la tachó otra vez y al lado escribió. 'Solo quien escribe un diario puede entender el diario que escriben otros'. Pavese había escrito uno de los mejores diarios que se había escrito nunca..." Piglia.
Cuando Piglia tacha y escribe sobre el diario de Pavese las diferencias entre leer, escribir y entender se desplazan hacia la diferencia entre lo mismo y lo otro. A la imposibilidad de que, en la rutina y la repetición, las cosas sucedan dos veces, suma la experimentación con la forma, con los acontecimientos y la experiencia. Yo añadiría que también con el uso casi inconsciente de la palabra.
En cada segundo un registro de cifras, murmullos, vislumbres, chasquidos, pasos, tumultos. Y, entre escribirlo, no escribirlo y borrarlo se da el equilibrio que hace del diario ese intermediario que vuelve a todo relectura: se escribe y luego se lee la experiencia sabiendo que será pasado, que volver a ella es conocer el futuro y que se debe, como la esfinge, seguir impasible.
Como el musgo y la calma, como el basalto súbito, como una transcripción y como el estilo, el diario es un remolino, un mapa, un espectáculo y una frontera. Es muro claro, escarcha que susurra ante su carga, la suma de todos los desvíos. Hace mucho más lenta la duración.
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patoanacoreta · 3 years
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Roberto Calasso, nuestro extemporáneo
Ernesto Hernández Busto
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I
Uno de los vicios más comunes de los obituarios suele ser el intento por elevar al muerto al pedestal de lo exclusivo. Lo recordamos como si dejase entre nosotros un espacio irremplazable, un molde roto, un vacío. Evocamos al "último de los" con el típico sentimentalismo de lo excepcional. La muerte, sin embargo, es justamente aquello que tiende a igualarnos con el resto, el severo desmentido de esa unicidad que buscamos proclamar, un supremo mecanismo de emparejamiento.La noche del miércoles 28 de julio, dos meses después de cumplir 80 años, falleció en Milán Roberto Calasso. Desde entonces se le ha llamado "titán", "pilar", "gigante", "autoridad indiscutible", "leyenda", "la luz intelectual de Europa", "hombre de letras renacentista", "el último intelectual" (un término que detestaba, por cierto), "institución literaria en una sola persona". Era, sin duda, un escritor extraordinario, aunque no "raro" ni "único": él mismo se ocupó de precisar su linaje entre los mitógrafos, y de editar y comentar a sus predecesores. Pero lo realmente notable de Calasso es su radical extemporaneidad. Lo raro, en este caso, es que siguiera aún entre nosotros; la insólita conjunción entre el perfil y el fondo. Tras labrar pacientemente una obra monumental, se ocupó de explicar su disgusto con la época que le había tocado vivir en un pamphlet saturado de reveladoras boutades: La actualidad innombrable.
Que Calasso fuera nuestro extemporáneo por excelencia es algo que merece ser pensado más allá de cualquier metáfora o circunstancia fúnebre. ¿Qué es lo que desaparece con él?, ¿cuál la virtud que sus lectores debemos dar por concluida? Y también, por supuesto, ¿qué nos deja tras una veintena de libros y casi seis décadas de oficio editorial?
La retórica post mortem gira sobre el tamaño de una doble ambición felizmente cumplida. Un bivio aparente, como el propio Calasso dejó claro al convertir el "arte de la edición" en una suerte de escritura alternativa, donde "un libro equivocado es como un capítulo equivocado de una novela". En este sentido, la distancia entre él y el resto de los editores contemporáneos es mayúscula. Sus numerosos imitadores, más o menos confesos, nunca consiguieron igualarlo porque su característica distintiva, como ya se ha dicho, fue ser, al mismo tiempo, un gran escritor y un gran editor. Kurt Wolf, Gallimard, Unseld, Barral, Schiffrin... fueron buenos editores y escribían bien. Pero no estaban a ese nivel. Por otra parte, pocos grandes escritores han ejercido como editores durante tanto tiempo. Y aún menos han conseguido dar forma a un catálogo concebido como biblioteca ideal.
Adelphi ocupa un lugar especial dentro del mundo de la edición contemporánea. Es, como quiso Calasso, una forma. Hay, por supuesto, "autores Adelphi" y otros que serían impensables allí. Alcanzar ese puesto no fue tarea fácil: tras la historia de la editorial se disimula toda una guerra cultural, la emergencia de ciertos valores y polémicas que agitaron la posguerra italiana, y cuyos ecos llegan, al menos, hasta finales del siglo XX.
Adelphi comenzó como un desprendimiento de Einaudi, luego de aquella época dorada en que la editorial turinesa dio trabajo a Pavese, Natalia Ginzburg, Giulio Bollati, Felice Balbo o Italo Calvino. En el origen de aquella escisión o desprendimiento está Nietzsche, o más bien, una polémica sobre la edición crítica de sus Obras completas: proyecto de Giorgio Colli, que Einaudi habría rechazado citando razones tanto económicas como ideológicas. Para algunos, fueron el propio Giulio y el ala izquierda de la editorial los responsables de la censura; para otros, fue el germanista Cesare Cases (que en 1973 polemizara con Calasso a propósito de Gottfried Benn) el encargado de aquel veto sobre el que planea la sombra de Georg Lukács y su influyente Asalto a la razón.1 Al final, Luciano Foà no pudo editar a Nietzsche, y se fue a Milán junto a su amigo Roberto "Bobi" Bazlen y con el dinero de Roberto Olivetti y varios jóvenes colaboradores para fundar otra casa editora.
En esta rápida genealogía puede intuirse de qué manera Adelphi rompió con la unanimidad marxista de la cultura italiana de postguerra y cómo, ya desde su nacimiento, liberó ciertos nombres propios y conceptos del estigma ideológico propiciado por la sinistra. La idea de Bazlen sobre "los libros únicos", bien explicada por el propio Calasso en La marca del editor, dominó un canon intelectual capaz de abarcar desde Kubin hasta Hofmannsthal, desde Canetti y Céline hasta Sebald y Brodsky, pasando por todos los nombres ineludibles de la cultura europea. "Solo publicaremos libros que nos gusten mucho", había dicho Bazlen, y fue Calasso quien se ocupó de hacer realidad ese credo.
A Bobi Bazlen está dedicado uno de los dos últimos libros de Calasso, que llegaron a las librerías el mismo día de su muerte. (El otro, Memè Scianca, son unas memorias de infancia). Pero hay revelaciones sobre el intelectual triestino en varios ensayos previos. En pocas palabras, Bazlen fue su chamán, el modelo para superar una serie de supuestas incompatibilidades establecidas por la Modernidad:
El literato habla con lugares comunes de las cosas últimas; el lector de las obras divulgativas del Oriente ama cualquier forma de Kitsch espiritual; el erudito no sabe vivir; el hombre que conoce la vida comete errores de sintaxis; el científico explica el mundo reduciéndolo a una pobre imagen; el entusiasta no sabe sacar cuentas; el neófito no ve la antigüedad del presente; el restaurador no ve la modernidad de lo antiguo. Todas estas incompatibilidades son una invención bastante reciente, una de las tantas consecuencias de aquel fecundo principio esquizoide que nos gobierna desde hace mucho tiempo. Quien no obedece a estas máximas es sospechoso, alguien poco serio, un ecléctico, alguien que siembra la confusión. Bazlen no obedecía a ninguna de estas –y otras– incompatibilidades. En tal sentido, nadie como él sabía sembrar esa confusión.2
Para Calasso, si Bazlen podía convocar ese poder centrífugo era por su esencial taoísmo: en el centro de aquella tormenta había un punto vacío, el acto elusivo de una potencia muda, la capacidad para no publicar en vida ni una sola línea y desgranar apenas indicios de sabiduría, señales, aforismos.
En estas últimas memorias, Calasso recuerda uno de sus diálogos oraculares con Bobi: "Un día, Bazlen dejó escapar casi a regañadientes la respuesta a una pregunta que yo no le había hecho, pero que podría haberle hecho, como cualquiera, siendo una pregunta-atajo: '¿Qué podía intentar un escritor en este momento?' 'O lo diminuto o lo inmenso... O Jules Renard (el Diario) o el todo'. Palabras dichas como en fuga".
Esa lección, no por gusto evocada durante estos días de duelo, es una de las claves para entender la obra (editorial y literaria) del propio Calasso. Si Bazlen, escritor del no (Vila-Matas dixit), se había refugiado en un silencio alquímico, a él le tocaría el camino del opus total sobre la base de las visiones y premoniciones de su maestro. Contra la nada ágrafa, el todo impreso.
Ese todo fue, primero, el pago de una deuda: Adelphi estaba llamada a convertirse en la verdadera obra de Bazlen, que antes de morir solo pudo ver editado el primero de sus títulos: la novela La otra parte del pintor Alfred Kubin, un "Kafka antes de Kafka". Fue la primera piedra de aquella editorial concebida como figura única y exclusiva, monstruo de colores pastel, serie de volúmenes que, colocados al mismo nivel que una biblioteca ideal, aspiran a ser leídos como un solo libro.
Similar magnitud tuvo su ambición literaria: Calasso nunca persiguió menos que el absoluto, y por eso cuesta delimitar el tema de sus obras, como bien notó Calvino al reseñar La ruina de Kasch. En un esfuerzo por sintetizar, podemos decir que la literatura de Calasso es una suerte de laberinto cuyo tema central parece ser la evolución y los misterios de la conciencia humana, evocada a partir del mito y su supervivencia. El mito transmite un saber, pero ese conocimiento circula muchas veces por vías subterráneas y requiere de cierto tiempo para captar nuestra atención: "tuve que esperar a hacerme mayor para darme cuenta de hasta qué extremo los mitos forman parte de lo que somos, de nuestra sustancia", confesó.
Por eso también el Calasso escritor está a una distancia sideral de sus imitadores. Para llegar donde él llegó no basta con suscribir un difuso orientalismo new age, glosar los mitos, defender la verdad del relato, rechazar la ciencia, practicar la pose elitista e intransigente del snob o apuntarse a una excursión de dos semanas por la India. Calasso fue, no hay que olvidarlo, un erudito y un polímata. Un hombre que vivió para leer, y cuya curiosidad lo llevó a territorios arduos, poco explorados. Su ambición, que combina filosofía, filología, antropología, mitología, historia del arte y de las religiones, resulta inusitada en la literatura moderna: lo inmenso, ha dicho un crítico italiano, es la dimensión que marca desde el comienzo su experiencia literaria. Para hacerle justicia como lector a esa experiencia hay que haber madurado, intelectual y vitalmente.
La cristalización de ese voluntarismo es su idea de la literatura absoluta, una expansión del concepto de Absolute Prose formulado por Gottfried Benn.3 Ese "saber que se declara y se quiere inaccesible por otra vía que no sea la composición literaria; absoluta, porque es un saber que se acomoda a la búsqueda de un absoluto y por tanto no puede referirse a nada que sea más pequeño que el todo", se reconoce, sin embargo por pequeñas señales o minúsculas turbaciones: "una cierta vibración y luminosidad de la frase, un nuevo estremecimiento o una sacudida estética".
Al igualar la literatura y la epifanía, Calasso rinde homenaje al Mallarmé del Libro absoluto, a la estética de la resonancia y la cintilación. Pero también engulle la poética de Benn, que a principios de diciembre de 1950, en una carta al crítico Dieter Wellershof, escribió: "el lenguaje no quiere (ni puede) otra cosa más que fluorescer, brillar, arrastrar, aturdir. Se celebra a sí mismo, lleva a lo humano a su delicado pero también poderoso organismo: se vuelve monológico, incluso monomaníaco”.
Es curioso que Calasso, supremo prosista, haya basado su estética de la literatura absoluta sobre una comprensión esencialmente poética de la literatura. Su "método de trabajo" estaba, como pedía Simone Weil, fundado en la analogía, y debió enfrentar muchos de los reparos que durante siglos han soportado los poetas.
También los prejuicios contra "lo irracional". Tanto Adelphi como Calasso llevaron a cabo, en paralelo, un sistemático trabajo de rescate de lo irracional que parece una prolongación de la filosofía de Nietzsche por otros medios. En Calasso, como en tantos poetas y filósofos, lo irracional no es el camino opuesto a la razón o la armonía, sino otro camino para llegar a ser y conocer. Uno que se interna en la realidad del mundo visible e invisible sin necesidad de someterse a las leyes de lo apolíneo, al severo reduccionismo de la técnica o al positivismo científico de la sociedad secular.
Podría incluso afirmarse de Calasso, como se ha dicho de Nietzsche, que a pesar de los variados disfraces el verdadero tema de su obra no es otro que el mundo mismo. En uno de esos raros momentos en que trató de ser didáctico, un diálogo con adolescentes italianos del liceo clásico (puede verse aquí), y ante una chica que le preguntó si el mito no sería una manera de desahogar tabúes, el escritor declaró: "¿Por qué asusta el mito? Porque es el mundo el que asusta. Intentamos tratar el mundo como una cosa doméstica, pero solo porque estamos aterrorizados. Y tenemos razón en estarlo. La naturaleza, por su propia constitución, es algo enigmático, cruel y difícilmente dominable. Estas historias son el tejido mismo de la naturaleza".
Después, propinándole a la povera studentessa una cita de Salustio en Sobre los dioses y el mundo donde el neoplatónico se refiere a la epifanía mítica y su carácter engañoso, Calasso proseguía: "el primer mito es el mundo mismo, el tejido del mundo está hecho de tal modo que resulta adyacente y afín a estas historias míticas... Aquello que aterroriza no es el incesto o el asesinato: es la existencia". A la misma conclusión llega aquella línea del Yoga Vasishtha que se convirtió en una de sus frases preferidas: "El mundo es como una impresión dejada por la narración de una historia".
II
La radical extemporaneidad de Calasso y su obra lo convirtió, también, en una suerte de personaje legendario. En estos días hay quienes pretenden conferirle características casi mitológicas. Como recuerda Marco Marino, por ejemplo, a Joseph Brodsky le gustaba jugar con la idea de que un dios, tal vez Apolo, había entrado en el cuerpo de Calasso para contar al mundo la historia secreta de los dioses. En una novela como Las bodas de Cadmo y Harmonia, dijo Brodsky, "se escucha un timbre extremadamente íntimo, y sin embargo, al mismo tiempo, altamente impersonal que no puede pertenecer a uno de nosotros".
Aunque ajena a las seducciones de lo contemporáneo, la figura íntima e impersonal de Calasso es parte de una larga tradición intelectual que se rebela contra el mundo visible y sus demonios ocultos para proponernos un "conocimiento verdadero". Que ese saber tome la forma de la literatura y no de la filosofía, por ejemplo, parece ser el primer síntoma de nuestra decadencia. Hilo revelador, del cual puede tirarse para llegar al centro del laberinto.
Ni dios, por supuesto, ni profeta: Calasso estaría más cerca de aquellos ṛṣis a los que alude en sus comentarios védicos: componedores, videntes, figuras energéticas y poderosas que a menudo se mueven como personas comunes entre la gente para transmitir ciertos conocimientos, y cuya principal característica es la incandescencia mental. Los ṛṣis descollaban porque ardían. El ardor es aquella voluntad de conocer previa al pensamiento.
Detrás de ese señor experto en negronis con modales de aristócrata florentino, y trajes impecables, cuya mirada desdeñosa y sonrisa irónica se hicieron proverbiales en la pasarela del mercado editorial, también podemos intuir la figura del mago. Es curioso cómo cambió físicamente con el paso del tiempo: el apuesto adonis veinteañero que conocemos por algunas fotos dejó paso a la estampa luciferina del dandy interesado en saberes iniciáticos y juegos psicológicos. El estilo, escribió su admirado René Daumal, es la huella de lo que se es sobre lo que se hace", y Calasso fue adquiriendo con el tiempo un estilo inconfundible.
A mí me recordaba un poco al Maurice Conchis de The Magus, la novela de John Fowles que transcurre en una isla griega, empeñado en practicar el "juego de los dioses", que no es otro que un ritual de conocimiento analógico, lleno de antiguas máscaras. O a aquel otro mago, Oliver Haddo, protagonista de la novela de Somerset Maugham que publicó en Adelphi. O a un metteur en scène de Klossowski. "El pérfido Calasso", lo llamaba, en broma, Jorge Herralde.
Con el "personaje Calasso" no había puntos medios: la gente lo adoraba o lo odiaba de inmediato. En Italia fue materia más polémica que en el extranjero. Algunos se burlaban de sus diatribas contra el Occidente moderno o lo acusaban de contar fábulas de las que ya sabía la moraleja, y limitarse a glosar verdades establecidas en los mitos originales, como si no fuéramos todos, escritores y críticos, escoliastas de ese puñado de historias primordiales. Calasso, de conocida familia antifascista, fue también el blanco colateral de los reproches contra Adelphi y la llamada "cultura de derechas", por su insistencia en el mito, lo irracional y la estética de lo sagrado. Desde la primera fila de mi soggiorno piamontés asistí a la tremenda polémica italiana de 1994 sobre los escritores de derechas, algunos de ellos antisemitas, que involucró a Adelphi y al propio Calasso tras la publicación del panfleto de Leon Bloy, Le Salut par les Juifs. Fueron años llenos de excesos retóricos. Recuerdo, por ejemplo, a un bilioso Berardinelli, quejándose en el periódico de que Adelphi había "colonizado culturalmente" a la izquierda italiana, que ahora se prodigaba en un entusiasmo ridículo por Heidegger, Jünger o Carl Schmitt. O a Cesare Segre respondiéndole a Calasso que sería más útil parándose en la puerta de alguna iglesia para explicar a las pías ancianitas qué era el Paráclito, en vez de publicar al "inmundo, fanático y delirante" Bloy.
Por supuesto, la poca gente que se atrevía a acercarse a Calasso lo hacía intimidada por su leyenda: aquello de que había leído la Recherche de Proust a los 13 años, y había sido celebrado nada menos que por Adorno, hombre parco en elogios. Pero Calasso también adoraba seducir y tenía un notable sentido del humor.
Creo que empecé a leerlo en el invierno de 1993. Por ese entonces, vivía yo en un pueblito entre Alessandria y el Monferrato llamado Cella Monte, y no me hubiese atrevido a hacer el peregrinaje hasta el número 14 de la Via San Giovanni sul Muro, en Milán. Compraba los libros de Adelphi en algunas librerías de Turín y luego trataba de llegar a fin de mes. La ruina de Kash y Las bodas... fueron, por supuesto, una revelación. Cuando leí Los cuarenta y nueve escalones, y se me ocurrió traducir, junto con mi novia italiana de entonces, "De la opinión", un extenso y medular ensayo de Calasso que salió en Vuelta, en agosto de 1994. Fue, si no me equivoco, su primer ensayo publicado en español.
Le escribí más tarde una larga y ceremoniosa carta para proponerle que incluyera una selección de ensayos de Lezama Lima en Adelphi, pero nunca me respondió. Muchos años después, en Frankfurt, me atreví a recordarle el asunto. Acompañaba yo a Jaume Vallcorba, editor de Acantilado, al selecto cóctel que celebraba Suhrkamp en la hermosa casa con jardín de Siegfried Unseld. Vallcorba, recuerdo, estaba exultante: daba saltitos de entusiasmo al saberse entre la crème de la edición mundial. En una esquina, Calasso conversaba con Andrew Wylie y Martin Amis. Me acerqué envalentonado por varias copas de Riesling y le recordé aquella propuesta de diez años atrás. Me dijo que lo tendría en cuenta, que creía que Lezama ya estaba editado en Italia, pero que no lo había leído. Luego, educadamente, volvió a su Olimpo.
Mi propuesta no era descabellada: hay muchas afinidades entre el proyecto intelectual de Calasso y la visión lezamiana de la historia inseparable del mito. El llamado sistema poético de Lezama y su noción de la imago como fuente de conocimiento hubieran encantado a Calasso, igual que su Introducción a los vasos órficos. Ambos comparten lecturas esenciales: Platon, Frazer, Spengler, Daumal, Weil, y aquella traducción de un pasaje de la Epístola a los Hebreos que aparece en el Paraíso de Dante: "Fe es la certeza de lo que se espera/ y la convicción de lo que no se ve".
Antimodernos esenciales, Lezama y Calasso comparten también la ambición de la summa y el sueño de un Curso délfico que tiene la forma de una biblioteca. Puede decirse que Calasso novela "eras imaginarias" o que la lucha entre causalidad/incondicionado es la verdadera materia de la oposición calassiana entre el pensamiento analógico y el digital en nuestras sociedades seculares. Con diferentes retóricas y modos intelectuales, ambos apuntaron al viaje perpetuamente renovado de lo visible a lo invisible.
Me quedan por leer sus últimos cuatro libros (las dos memoirs ya mencionadas que acaban de salir; Allucinazioni americane, el librito que dedica a Hitchcock, y su volumen sobre la Biblia: Il libro di tutti i libri). Pero en el penúltimo periodo del pensamiento de Calasso descollan El ardor y El Cazador Celeste, proyecto de una suerte de antropología filosófica, que vendría a sustituir a la agotada metafísica del siglo XX.
Repasé con cuidado esos libros, porque tienen numerosas intuiciones sobre el tema del sacrificio animal, que me interesaba particularmente. No son fáciles de leer, pero en ellos arde la misma inteligencia deslumbrante que fue el sello distintivo del "estilo Calasso". El ardor, que gira sobre los Vedas (uno de los textos más aburridos que han llegado hasta nosotros, todo hay que decirlo) tiene también pasajes que ayudan a entender su vocación de mitógrafo y a superar muchos de los callejones sin salida que encontramos en Durkheim, Mauss o Girard.
De ese libro se desprende, como una enorme nota al pie, las 500 páginas de El Cazador Celeste, un libro retóricamente menos logrado (conversando hace poco con Edgardo Dobry, traductor habitual de Calasso al español, ambos constatábamos que últimamente il Maestro parecía necesitar algún editor que le ayudara a evitar desvíos y, sobre todo, las numerosas repeticiones que exhibe su argumentación). Pero las tres o cuatro ideas básicas de ese tratado sobre el homo necans, que es también un compendio de los comienzos de la poiesis para explorar la manera en que el hombre se convirtió en "animal metafísico", son cautivadoras y merecerían ser más debatidas en el mundo contemporáneo.
En esos libros recientes, Calasso parece ensombrecido, dueño de una sabiduría terrible sobre un mundo asolado desde los comienzos por la violencia; un escenario donde existir es destruir, sacrificar y expiar una culpa. No hay –no puede haber– en ese vasto territorio de lo humano nada parecido a la neutralidad pues somos un fuego que devora y una sustancia que es devorada.
Son proyectos que solo Calasso podía llevar a feliz término. En ese sentido, fue también un cazador, un ser resistente y obstinado, capaz de moverse por diferentes lenguas, eras y territorios inhóspitos siguiendo el rastro de sus historias. Su amigo y traductor Tim Parks hacía notar hace poco ese paralelismo entre el escritor y el montero. "Un libro se escribe cuando hay algo específico que debe descubrirse", escribió Calasso. "El escritor no sabe qué es ni dónde está, pero sabe que hay que encontrarlo. Entonces comienza la caza. Empieza la escritura".
Calasso fue velado este lunes en Santa Maria presso San Satiro, una de las iglesias más antiguas de Milán. Al comienzo de este obituario demasiado largo hice notar una paradoja: aquel que creemos excepcional demuestra, al ser rememorado, su común condición de mortal. Incluso quien se ha asomado a lo invisible para traernos de "la otra parte" sus candentes prendas de sabiduría, habrá de apagarse, entrar en lo desconocido. En "El regreso a Eleusis", capítulo final de El Cazador Celeste, Calasso parece ripostar con una sonrisa a esa objeción: "No se puede vivir sin lo invisible, aunque lo invisible encierre en sí a la muerte".
_________________
1 Cases fue hasta su muerte en 2005 una de las "bestias negras" de Calasso. Cuando no polemizaba explícitamente con él, solía mandarle cajas de chocolates por cada alusión satírica u ofensiva que detectaba en sus escritos. El que quiera saber los detalles de ese ajuste de cuentas puede remitirse a "Conjuras del Tao", ensayo incluido en Los cuarenta y nueve escalones.
2 Roberto Calasso, "Da un punto vuoto", en I quarantanove gradini, Adelphi, 1991. Más información sobre Bazlen podrá encontrarse en una novela de Daniele del Giudice, Lo stadio di Wimbledon (hay traducción al español en Anagrama), y en las páginas que sobre él han escrito Christopher Domínguez Michael y Enrique Vila-Matas, que lo incluye entre sus bartlebys.
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benzedrina · 3 years
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Martedì. Stanco. Mi sono svegliato tardissimo perché tutte le sveglie si sono perse nel cellulare che, contentissimo di farlo, si è scaricato di notte. Ho dormito con la finestra chiusa. Mi sono svegliato con il naso tappato più del solito e il cervello in confusione. Ho fatto colazione al volo, non c'era bisogno. In questi giorni faccio colazioni veloci. Un caffè. Due biscotti. Ho perso l'abitudine di fare una lunga colazione. F mi chiama, dice che è per strada, che è riuscita a scappare da casa sua in cui le hanno imposto una quarantena inutile per un contatto con un probabile positivo. Peccato che lei usi questo contatto come scusa per poter venire da me. Lunga storia fatta di padri fascisti e mamme insoddisfatte che riversano l'odio su una figlia innocente e di figli innocenti che vorrebbero solo vivere la loro vita. Scappa da me. Doccia veloce. Sale. Scopiamo con Bjork in sottofondo (Telegram/Post ndr). Alle 2 va via. Mi faccio un'altra doccia.
Pranzo con carne e spinaci e mela caramellata (sto provando diversi modi per usare le mele in contesti salati). L mi manda un messaggio, L'ho fatto, Cosa?, L'ho lasciato. Sta male. Sta malissimo. Era 2 anni che doveva farlo. Scendo e vado in libreria. È una piccola e lunga libreria. Una Mondadori qualunque. Le commesse hanno confidenza con me. Una di loro sa cosa potrebbe piacermi e me lo propone. Solitamente sono fumetti. Ogni volta che vado mi prepara una piccola chicca che o compro per me o regalo a qualcuno. Oggi non ero in vena di fumetti. È da qualche settimana che non sono in vena di fumetti. È un periodo in cui non sto disegnando. In compenso sto fotografando un sacco. Cerco un piccolo libro della Taschen su Lindberg. Hanno solo quello gigante. Prendo Ritratti di McCurry e Il mestiere di vivere di Pavese. Il secondo è un regalo. Per L. Le ho pure preso dei dolcetti che le piacciono. Chiedo di ordinarmi un libro. Araki by Araki sempre della Taschen. Ora vai a vedere perché la mia testa si sia fissata in questo periodo per Araki. Una ragazza che passa di lì si ferma. Mi fissa. Conosci Araki?, Certo, Grazie, Perché?, Nessuno dei miei amici lo conosce e tu sei la prima persona che lo nomina. La commessa inizia a farmi il pacchettino. Non so bene quando io abbia detto che Pavese era un regalo. Ero preso da questa ragazza con i capelli ricci e gli occhi vispi che mi fissava con sguardo incredulo, come se avessi formulato chissà quale formula magica. Che ti prendi di Araki allora?, Araki by Araki, Ah, no perché io ho Tokyo Lucky Hole, se vuoi te lo presto. Non ricordo bene il continuo. Forse ci siamo scambiati il contatto di Instagram. Ero preso da questo magnetismo che m'ha fatto suo. Sono bastati due occhi vispi e molta spigliatezza. Esco dalla libreria che manco volevo il pacchettino regalo perché dovevo scrivere una dedica.
Vado a casa di L. Lei è in doccia. La sorella mi scrocca da fumare. Dice che ha pianto tutto il pomeriggio per la rottura di L. L'ho abbracciata. L esce dalla doccia e mi viene ad abbracciare in accappatoio. Non mi da molti abbracci. Apprezza il regalo e il dolce. L guarda che ti conviene leggerlo tra un po', questo libro è molto tosto, è il suo diario, Ah bene. Le scrivo la dedica mentre lei si asciuga e si cambia di fronte a me. Di preciso non so quando abbia iniziato ad avere questa confidenza e mancanza di pudore con lei. Ci spogliamo e ci vestiamo nell'indifferenza generale dell'altro. L mi chiede se può passare dopo a casa. Certo, casa è sempre aperta per te. Mentre vado via propongo alla sorella di fare qualche foto in giro e usare lei come soggetto. Ovviamente accetta. Vado dai miei. Scrocco una cena e gioco a CTR con mio fratello. Era in videochiamata con altri suoi amici. Per loro sono un Dio nerd da quando feci vedere il livello raggiunto a un gioco. Ci passiamo più di 10 anni di differenza. In strada incrocio la cugina di L. Ehi che le facciamo di regalo?, Ah cazzo, Non so gi che le hai fatto l'hanno scorso?, Il vibratore, Ah è vero, e quest'anno che idea avevi? Ah boh, vabbè vieni a casa in sti giorni e decidiamo e porta l'erba, Ok. Potevo rispondere con "un libro" o "un altro vibratore" o potevo dirle che l'aveva fatto poche ore prima il regalo.
Torno a casa e L mi aspetta nel portone. Ha freddo e ha fame. 2 sofficini vanno bene? perché io ho già cenato, Va bene tutto. Mangia veloce e si butta sul letto. È legata sentimentalmente a un mio pigiama. Se non c'è quello, si incazza. È capitato che lo avessi addosso. Forse è stato quello il primo momento in cui mi sono spogliato davanti a lei. Le sistemo le coperte e mi metto sul letto con lei. In tutto questo l'unico discorso tra me e lei è stato nel portone. Perdo tempo. Lei è con gli occhi sbarrati che fissa il muro. Mi giro e l'abbraccio. Scoppia a piangere. Un pianto violento. Un pianto come lo scoppio di una granata. Mi stringe le mani. Si asciuga sulle mie maniche. Mi da calci. Crolla in modo selvaggio. Era un aspetto che mi mancava di lei. Finisce di piangere e mi parla. Dei motivi. Delle cose che sente. Delle cose che sentiva. Delle amicizie. Di questo nuovo ragazzo che le ha fatto provare cose che non sentiva dentro da tanto. Erano cose che avevo già sentito. L non parla molto di sé. Quando viene in questa casa e mi si mette accanto nel letto finisce per raccontarmi ogni singolo dettaglio della sua vita. Erano cose che avevo già sentito ma non con quel tono. Lo sai che sei bellissima così?, Così come?, Libera di quel peso che ti portavi dentro. Poi mi chiede di leggerle qualcosa. Non perché abbia una bella voce. Ho una voce quasi nasale e in un discorso articolato mi mangio qualche parola. Me lo chiede perché la mia voce la rilassa. Che mi leggi?, Dai ti va bene Bolaño? sono racconti tratti dalla raccolta Puttane Assassine, Non lo conosco. Una volta le ho letto Pavese, la luna e i falò. Un'altra volta qualche pagina de I Guermantes di Proust che avevo sottolineato. Penso che a qualunque età la lettura di qualcosa a letto provochi ricordi d'infanzia molto cari. Per chi ha avuto la fortuna di avere due genitori appassionati. I miei si scazzavano. Dopo qualche rigo appoggia la testa sul petto e crolla. Per onore personale ho finito tutto il racconto leggendolo ad alta voce (18 pagine). Dopo 1 ora si è svegliata, si è rimessa i suoi vestiti ed è andata via.
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Il mestiere di vivere
Había, siempre había habido, días malos. Días en los que el propio Hugo decía en un poema de Zurbarán que era mejor «rociar de azufre tu portal», para que las bestias feroces de la angustia no se acercaran demasiado peligrosamente a tu puerta. Se repetían, si uno lo pensaba, con monótona regularidad a lo largo de la vida. ¡Mira tú que era curioso! Porque solían regresar por los mismos motivos, o por motivos muy parecidos. Cualquier persona que en su trabajo tuviera tantas jornadas perdidas o inutilizadas sería probablemente despedida. Era un a menudo triste oficio, el pavesiano mestiere di vivere. El propio Cesare Pavese se había despedido a sí mismo de la existencia, por incapacidad para gestionar sus trágicas decepciones y congojas. Y eran célebres sus últimas palabras, escritas en un trozo de papel en aquella habitación de hotel de Turín en 1950: «Todo esto da asco. Basta de palabras. No escribiré más. Un gesto». Hugo no estaba ahora seguro de si Pavese había escrito las infaustas frases en la pieza de hotel que le vio morir o si las había anotado el día anterior, o unos días antes, en su diario. En cualquier caso eran el tremebundo broche con que el poeta italiano había rematado, fulminante y terminal, El oficio de vivir. Luego, el abismo eterno de su silencio.
Pavese era un magnífico poeta. Renovador, hasta cierto punto, de la lírica italiana, con esas largas composiciones narrativas que parecían relatos chejovianos en versión mediterránea. En ellas no ocurría gran cosa, y era frecuente encontrarlas habitadas por hombres solitarios que bebían vino en silencio en las tabernas, o deambulaban sin rumbo por los espacios vacíos de las ciudades de provincias, o se quebraban la espalda al sol, trabajando entre las viñas bajo los rigores inclementes de la canícula. También había mujeres en los poemas de Pavese, igualmente aisladas y solitarias, pero quizá más alegres y ufanas, y en todo caso poseídas por la esperanza de la proyección fantasiosa, en un universo donde todo era búsqueda y anhelo, como en el caso de la protagonista de «Pensamientos de Dina», que aparecía en dos versiones diferentes en el corpus del poeta. Dina nadaba desnuda en un río, en pleno campo, oculta a las miradas de los ocasionales pescadores en un recoleto recodo del curso de agua, tomando el sol, entre zambullida y zambullida, en la hierba de la ribera. Y allí soñaba con el vestido que esa noche se pondría para atraer las miradas y la conversación de posibles pretendientes, en el baile. Había en los pensamientos de Dina inocencia y picardía, y un natural discernimiento instintivo de los móviles del varón, y de su comportamiento y su modus operandi.
En ocasiones los hombres y las mujeres se cruzaban y encontraban en los versos de Pavese, y entonces surgían memorables piezas como «Dos cigarrillos» o «Trabajar cansa»: personajes que por un momento compartían sus respectivas soledades, en el marco de instantáneas que eran como el registro de sendos monólogos interiores destinados a pasar de largo el uno junto al otro, volviendo sobre inconfesables intimidades condenadas al aislamiento.
Hugo había pergeñado versiones españolas de diversos poemas de Pavese, con la ayuda de traducciones hechas por otros al inglés y al castellano, y había hablado algunas de esas piezas, cuyo registro en audio figuraba en diferentes entradas de su sitio web. Ese sitio, que en realidad era un blog o cuaderno de bitácora «en línea», recogía la mayor parte de lo que Hugo iba escribiendo y hablando, y constituía el verdadero «gran libro en marcha» del autor, que en buena medida se había convertido en años recientes en «escritor digital», publicando sus cosas en lo que podríamos llamar, y él mismo llamaba con frecuencia, «tiempo real»: de la pantalla del numen a las cibernéticas páginas de su web sin apenas solución de continuidad. Era un buen ejercicio, que te mantenía en forma, alerta y puesto —como decían en inglés— de puntillas, en grafómana interacción, a ras de teclado, con tus rumias y con el pulso de tu «estar en el mundo». Todo ese material, por supuesto, o al menos un porcentaje significativo del mismo, estaba destinado a la ulterior publicación en edición impresa, en algún momento futuro (pues, como en famosa cita había dejado dicho Mallarmé, tout, au monde, existe pour aboutir à un livre: en el mundo todo existe para acabar entre las cubiertas de un libro).
Estaban, sin embargo, esos días malos que el poeta había llamado «bestias de la angustia», rondando inquietas el portal del «yo y mi circunstancia» de nuestros humanos avatares. En el transcurso de la semana que corría se habían ido repitiendo jornadas de súbita implosión anímica, en las que repetidos intentos de faena creativa habían sido abortados por la mano negra del titubeo obsesivo, alimentado por ciertos desencuentros personales y por las más que habituales tribulaciones profesionales. Esta mañana, sudando en su estudio en la linde entre la madrugada y el albor del penúltimo día de julio —que iba descendiendo sobre los graznidos estresados de las urracas con renovadas promesas de inclemente calor canicular— Hugo debía redimirse, de la única manera en que realmente sabía hacerlo, y de la única manera que finalmente valía: apelando una vez más, contra proverbiales vientos y mareas, a la palabra. La palabra escrita nos salvaba; cultivándola nos ganábamos el derecho a no ser despedidos por la vida, manteniendo en marcha las arduas y gozosas labores de nuestro pavesiano oficio de existir y hacer poesía.
ROGER WOLFE · 30 de julio de 2021
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algunloco · 2 months
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Y al fin, para completar los indispensables en la biblioteca, llegan los diarios de Pavese.
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las-microfisuras · 4 years
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Narrar es como nadar, decía Pavese
- Ricardo Piglia, "Los diarios de Emilio Renzi. Años de formación"
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delaimaginacion · 2 months
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La cultura debe comenzar por lo contemporáneo y documental, por lo real, para ascender —si es el caso— a los clásicos. Error humanista: comenzar por los clásicos. Eso habitúa a lo irreal, a la retórica, y en definitiva, al desprecio cínico por la cultura clásica: en tanto no nos ha costado nada y no le hemos visto el valor (la contemporaneidad con su tiempo).
Cesare Pavese, Diarios de vida y obra
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aitan · 4 years
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⛓️📚 La catena dei libri
La BBC afferma che la maggior parte delle persone ha letto solo 6 dei 100 libri presenti nella seguente lista.
Istruzioni: copia questo messaggio nelle tue note. Metti X per i libri che hai letto interamente e con due barre // quelli che hai iniziato ma non hai finito.
⬇️
1. Orgoglio e Pregiudizio – Jane Austen
2. Il Signore degli Anelli – JRR Tolkien //
3. Il Profeta - Kahlil Gibran X
4. Harry Potter – JK Rowling //
5. Se questo è un uomo - Primo Levi X
6. La Bibbia //
7. Cime Tempestose– Emily Bronte X
8. 1984 – George Orwell X
9. I Promessi Sposi – Alessandro Manzoni X
10. La Divina Commedia - Dante Alighieri X
11. Piccole Donne – Louisa M Alcott //
12. Lessico Familiare – Natalia Ginzburg
13. Comma 22 – Joseph Heller
14. L'opera completa di Shakespeare //
15. Il Giardino dei Finzi Contini - Giorgio Bassani
16. Lo Hobbit – JRR Tolkien
17. Il Nome della Rosa - Umberto Eco X
18. Il Gattopardo - Tomasi di Lampedusa X
19. Il Processo – Franz Kafka X
20. Le Affinità Elettive – Goethe
21. Via col Vento – Margaret Mitchell
22. Il Grande Gatsby – F Scott Fitzgerald
23. Casa Desolata – Charles Dickens
24. Guerra e Pace – Lev Tolstoj
25. Guida Galattica per Autostoppisti – Douglas Adam's
26. Brideshead Revisited – Evelyn Waughn X
27. Delitto e Castigo – Fyodor Dostoevskj
28. Odissea - Omero //
29. Alice nel Paese delle Meraviglie –Lewis Carrol X
30. L'insostenibile leggerezza dell'essere - Milan Kundera
31. Anna Karenina – Leo Tolstoj
32. David Copperfield – Charles Dickens
33. Le Cronache di Narnia – CS Lewis
34. Emma – Jane Austen
35. Cuore – Edmondo de Amicis X
36. La Coscienza di Zeno – Italo Svevo X
37. Il Cacciatore di Aquiloni – Khaled Hosseini
38. Il Mandolino del Capitano Corelli – Louis De Berniere
39. Memorie di una Geisha – Arthur Golden
40. Winnie the Pooh – AA Milne
41. La Fattoria degli Animali – George Orwell X
42. Il Codice da Vinci – Dan Brown
43. Cento Anni di Solitudine – Gabriel Garcia Marquez XX
44. Il Barone Rampante – Italo Calvino X
45. Gli Indifferenti – Alberto Moravia
46. Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar
47. I Malavoglia - Giovanni Verga
48. Il Fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello
49. Il Signore delle Mosche – William Golding
50. Cristo si è fermato ad Eboli - Carlo Levi X
51. Vita di Pi – Yann Martel
52. Il Vecchio e il Mare - Ernest Hemingway X
53. Don Chisciotte della Mancia – Cervantes XXX
54. I Dolori del Giovane Werther – J. W. Goethe
55. Le Avventure di Pinocchio – Collodi X
56. L'ombra del vento – Carlos Ruiz Zafon
57. Siddharta - Hermann Hesse X
58. Brave New World – Aldous Huxley X
59. Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte – Mark Haddon
60. L'Amore ai Tempi del Colera – Gabriel Garcia Marquez
61. Uomini e topi – John Steinbeck
62. Lolita – Vladimir Nabokov X
63. Il Commissario Maigret – George Simenon
64. Amabili resti – Alice Sebold
65. Il Conte di Monte Cristo – Alexandre Dumas
66. Sulla Strada – Jack Kerouac
67. La luna e i Falò - Cesare Pavese
68. Il Diario di Bridget Jones – Helen Fielding
69. Midnight’s Children – Salman Rushdie
70. Moby Dick – Herman Melville
71. Oliver Twist – Charles Dickens X
72. Dracula – Bram Stoker X
73. Tre Uomini in Barca - Jerome K. Jerome
74. Notes From A Small Island – Bill Bryson
75. Ulisse – James Joyce //
76. I Buddenbroock – Thomas Mann //
77. Il buio oltre la siepe - Harper Lee
78. Gérminal – Emile Zola
79. La fiera delle vanità – William Makepeace Thackeray X
80. Possession – AS Byatt
81. Canto di Natale – Charles Dickens X
82. Il Ritratto di Dorian Gray - Oscar Wilde //
83. Il Colore Viola – Alice Walker
84. The Remains of the Day – Kazuo Ishiguro
85. Madame Bovary – Gustave Flaubert X
86. A Fine Balance – Rohinton Mistry
87. Charlotte’s Web – EB White
88. Il Rosso e il Nero – Stendhal
89. Le Avventure di Sherlock Holmes – Sir Arthur Conan Doyle
90. The Faraway Tree Collection – Enid Blyton
91. Cuore di tenebra – Joseph Conrad
92. Il Piccolo Principe – Antoine De Saint-Exupery X
93. The Wasp Factory – Iain Banks
94. Niente di nuovo sul fronte occidentale - Remarque
95. Un Uomo - Oriana Fallaci
96. Il Giovane Holden – Salinger X
97. I Tre Moschettieri – Alexandre Dumas X
98. Amleto – William Shakespeare X
99. Charlie e la fabbrica di cioccolato – Roald Dahl
100. I Miserabili – Victor Hugo
🙄 [Però mi pare strano che la BBC abbia messo ben 17 libri italiani su 100 (e neanche dei più noti a livello internazionale); e che per Dickens abbia scelto Casa desolata; e che ci siano così pochi capolavori francesi; e che manchino opere come Le mille e una notte, i Frammenti di Eraclito, l'Antigone di Sofocle, L'Isola del Tesoro o Dottor Jekyll di Stevenson, L'Idiota di Dostoevskij, Casa di Bambola di Ibsen, Finzioni di Borges, tutto Proust (che io non ho letto), le poesie di Leopardi, il Libro delle Inquietudini di Pessoa, i racconti di Chekov, i romanzi di Verne e Salgari, il Diario di Anna Frank, le opere di Céline e Celan, Middlemarch di George Eliot e Cecità di Saramago; e che si parli di Harry Potter come di un solo libro; e che si citi una volta l'opera omnia di Shakespeare e poi il solo Amleto...
Insomma, il gioco è simpatico, ma NO, NON È LA BBC.]
🤓 [E comunque sarebbe bello che docenti e alunni approfittassero di questa pausa didattica forzata per leggerselo uno di questi 100 o di quegli altri 100mila capolavori della letteratura universale.]
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marcopolorules · 5 years
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Todos los hombres tienen un cáncer que los roe, un excremento diario, un mal a plazo fijo: su insatisfacción; el punto de choque entre su ser real, esquelético, y la infinita complejidad de la vida. Y todos, tarde o temprano, lo advierten.⠀ ⠀ En cada uno habrá que indagar, imaginar, el lento advertirlo o el fulmíneo intuir.⠀ ⠀ Casi todos -parece- rastrean en la infancia los signos del horror adulto. Indagar en este vivero de descubrimientos retrospectivos, de pavores, en este angustioso hallarse prefigurados en gestos y palabras irreparables de la infancia. Las Florecillas del Diablo.⠀ ⠀ Contemplar sin tregua este horror: lo que ha sido, será.⠀ ⠀ ⠀ Cesare Pavese⠀ & Jan Fabre (artist)⠀ ⠀ #art #artsculpture #sculpture #sculptures #sculptureart #sculpt #sculptor #sculpting #sculptured #contemporaryart #contemporaryartist #contemporarsculpture #newcontemporary #modernart #modernsculpture #artgallery #contemporaryartgallery #figurativeart #figurativesculpture #surreal #surrealart #surrealism #popsurrealism #jesuislesurrealisme #beautifulbizarre #lowbrowart #lowbrowpopsurrealists #vagabondwho #marcopolorules #janfabre https://www.instagram.com/p/BzQmL6xogXr/?igshid=19c6rm12wg6o2
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