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#alfonso barón
k-wame · 2 years
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Alfonso Barón & Gaston Re The Blonde One (2019) | dir. Marco Berger
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pierppasolini · 2 years
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The Blonde One (2019) // dir. Marco Berger
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carloskaplan · 2 years
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Gastón Re e Alfonso Barón en Un rubio (2019)
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Gaston Re/Gabriel as Aurora
And
Alfonso Barón/Juan as Philip
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cinevisto32 · 2 years
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Un rubio (2019)
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onenakedfarmer · 11 months
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Currently Watching - 30 Days of The Gays™ Edition
THE BLONDE ONE [Un rubio] Marco Berger Argentina, 2019
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puffinsplaces · 2 years
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Gaston Re and Alfonso Barón
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scenariopubblico · 4 months
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«Tu chiamale se vuoi…Emozioni»
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Sabato 9 Dicembre è stata portata in scena la performance Un Poyo Rojo di Luciano Rosso, Alfonso Barón e Hermes Gaido, Compañia Poyo Rojo, proposta all’interno della stagione Sp*rt! di Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza.
Questo spettacolo non nasce in un qualsiasi anno di un qualunque periodo. In una periferia di Buenos Aires, la creazione inizia a strutturarsi nel 2008, un momento storico connotato da un progetto di legge che proponeva la legalizzazione del matrimonio omosessuale in Argentina.
Questo aspetto è fortemente presente nella performance dove, per l’appunto, «non è lo sport in sé il focus», bensì la relazione tra due esseri umani, in questo caso due uomini.
Il rapporto dei due performer passa dallo scrutamento sfidante, alla provocazione sensuale. È chiaro, dunque, il richiamo al periodo di creazione dello spettacolo che “grida” con forza per combattere le resistenze che ingabbiano la società.
Possiamo dire che Un Poyo Rojo è uno spettacolo che spiega l’AMORE.
Non tutti però, come ben sappiamo, riescono ad andare oltre quei pregiudizi stereotipati e empatizzare con quello che lo spettacolo vuole comunicare. Questo perché, come ci suggeriscono gli psicologi Robert R. McCrae e  Paul T. Costa, vi sono alcune dimensioni di personalità, denominati Big Five, che influenzano i nostri modi di agire e pensare.
In particolare, la dimensione che qui viene presa in considerazione è l’APERTURA MENTALE.
Essa, come le altre dimensioni, è presente in ognuno di noi senza eccezioni. L’unico rimedio per abbattere le barriere della mente e inglobare la dimensione opposta è l’utilizzo di eccessi che aiutano a prendere con più leggerezza aspetti talvolta molto importanti della vita.
Questi eccessi vengono messi in risalto nell’incontro tra i due performer che attraverso i loro movimenti e sguardi buffi, hanno centrato l’obiettivo.
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«L’incontro è la magia che trasforma il dettaglio, ciò che ha acceso l’evento in una totalità».
Così Massimo Recalcati parlava dell’incontro, evento mistico che infiamma le situazioni, anche quando sono inizialmente poco stimolanti.
L’esibizione portata in scena da Rosso, Baròn e Gaido fonda le sue origini sull’incontro-scontro di due «galli in un pollaio». Sembra di vivere una giostra d’emozioni, dove centrale è il sentimento amoroso, dicotomico tra incertezza e passione. Questo incontro, sempre mediato dal corpo in una dimensione misteriosa, mette in luce un linguaggio scenico molto fisico, in cui i due performer si provocano a colpi di stereotipi di genere, come gli sputi e le acrobazie, da cui affiora una connotazione fortemente virile.
Di per sé, esistere, pone l’uomo in una condizione di relazione con il mondo esterno. «Essere significa essere in relazione».
Il legame più forte che possa esistere viene analizzato dal mondo della fisica, l’Entanglement. Fenomeno in cui due cellule incontrandosi, generano un legame indissolubile, avulso da spazio e tempo. Si instaura così una relazione in cui al cambiare dell’uno cambia anche l’altro, modificando la diade.
Il progressivo avvicinarsi dei protagonisti può essere analizzato come una «profezia che si autoavvera», in cui sin dal principio vi era una attrazione misteriosa che culmina in un bacio intenso, privo di orgoglio.
Gli sguardi scambiatisi dai due protagonisti non vengono riservati solo all’interno della coppia.
 Lo specchio, utilizzato più volte in scena, potrebbe servire ad indagare se stessi, prima ancora di chi si ha davanti. Prima di potersi dire capaci d’amare qualcuno, bisognerebbe essere capaci d’amare se stessi.
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Una delle sette emozioni primarie descritte da Paul Ekman che prevale ed è centrale nella performance è la paura. Essa, come afferma lo psicologo statunitense, viene innescata da una minaccia, da un danno di tipo psicologico o fisico che potrebbe provocare dolore. La psicologia ci suggerisce che non esiste uno stimolo innato diretto a quest’emozione, ma attraverso condizionamenti, possiamo imparare ad aver paura di qualsiasi cosa.
Ricollegandoci a quanto detto e dirigendoci verso la storia raccontata dai due performer, notiamo l’evitare di un sentimento per la paura di essere giudicati, stigmatizzati e considerati magari diversi agli occhi della società. Da quest’ultima abbiamo appreso cosa significa «normalità», il dover uniformarsi a ciò che è ritenuto giusto fino a farci credere, in questo caso, che i sentimenti puri e veri siano sbagliati solo perché non conformi alla «norma».
Lo spettacolo cerca di far capire quanto sia importante potersi esprimere liberamente per vivere bene e senza angosce. Questo viene evidenziato soprattutto nell’ultima scena in cui tutti i sentimenti negletti esplodono rendendo i due uomini finalmente liberi e sinceri, prima ancora che con gli altri, con sé stessi.
Quello che tutti dovremmo imparare è che possiamo anche provare sgomento verso qualcosa, ma ciò che è imprescindibile è non avere mai paura di «guardarsi dentro», in quanto è l’unica cosa che può salvarci dal «buio» provocato dalla «giustezza» della società.
Di: Donato Gabriele Cassone Giulia Concetta Celeste Laura Raneri
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Le sang des Espagnols, Mourir à Paris...
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Acacio Puig. LQS. Abril 2019
El compromiso de estos hombres (cuatro de ellos militantes comunistas, un masón y uno anarquista) es recuperado mediante el meticuloso trabajo historiográfico de Henri Farreny que explora nuevas fuentes documentales y archivos, polemiza con inexactitudes establecidas por estudios anteriores y ubica sus combates en la trama de organizaciones que constituyeron en Francia las Fuerzas Francesas del Interior
De Morir en Madrid, el excelente documental realizado por Fréderic Rossif recuperando filmaciones hechas en el curso de la Guerra como homenaje a tres años de combate por la Libertad, toma prestado el título este interesante libro que asigna un lugar de honor a seis de los españoles muertos en Paris como activos miembros de la Resistencia...
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El resto del articulo aquí : https://loquesomos.org/le-sang-des-espagnols-mourir-a-paris/
...Profusamente ilustrado, las imágenes enfatizan el proyecto de conocer la historia para hacer Historia y Memoria. El monolito a José Roig, la estela en el boulevard Arago y la Placa en Barcelona a Conrad Miret, la Mención de honor “Muerto por Francia” a Manuel Bergés, la reconstrucción (rebuscando en los archivos policiales) del interrogatorio en el hospital y bajo tortura de un Domingo Tejero ya herido de balas y finalmente muerto (y el logro de la mención de Honor correspondiente que logró AAGEF-FFI en 2016) la placa en la calle Tolbiac de Paris a Celestino Alfonso o la placa en el Boulevard Saint Germain de Paris, a Barón Carreño (inaugurada en agosto de 2017) incorporan a la Historia y la Ciudad, la memoria de nuestros combatientes por la Libertad, todo un ejemplo que en buena parte sigue pendiente en nuestras tierras.
En definitiva, este libro como indica en su prefacio Anne Hidalgo, constituye un importante paso adelante en la incorporación de héroes anónimos a la memoria colectiva de la izquierda.
Le sang des Espagnols, Mourir à Paris. Autor : Henri Farreny. Éditions Espagne au cœur
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un rubio (the blonde one) 2019 dir marco berger
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lithium89 · 2 years
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The Blonde One, 2019.
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k-wame · 2 years
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Alfonso Barón & Gaston Re · The Blonde One (2019) · dir. Marco Berger
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yeppiyeppifan · 3 years
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Un Rubio (2019)
dir. Marco Gerber
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filmframesforlife · 5 years
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Un Rubio (2019)
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elcineasta · 4 years
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Un rubio | dir. Marco Berger (2019)
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scenariopubblico · 5 months
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Intervista alla Compañia Poyo Rojo
Domenica pomeriggio, prima della seconda replica di Un Poyo Rojo a Scenario Pubblico, abbiamo incontrato Luciano Rosso, Alfonso Barón, interpreti dello spettacolo, e il regista Hermes Gaido. La Compañia Poyo Rojo fondata nel 2008 è composta da artisti coesi come una piccola famiglia, benché eterogenei nella formazione artistica basata tra danza, teatro, musica e sport. Il loro spettacolo è stato portato in scena, con più di 1400 repliche, in teatri di tutto il mondo. Dialogando con loro abbiamo scoperto qualcosa di più sulla storia della loro iconica creazione. Prima di lasciare loro la parola, una piccola premessa:
- Luciano Rosso ha interpretato inizialmente lo spettacolo insieme a Nicholas Poggi, suo partner anche fuori dalla scena. - Da loro deriva il titolo dello spettacolo – nonché il nome della compagnia: Nicholas Poggi - Luciano Rosso - Un Poyo Rojo... è un gioco di parole. - Insieme a Hermes hanno creato lo spettacolo in poco più di un anno a Buenos Aires. - Oggi in scena insieme a Luciano c’è Alfonso Barón, entrato all’interno della performance dopo aver visto la prima versione della stessa.
Come avete sviluppato il processo creativo? Luciano Rosso: all'inizio volevamo fare uno spettacolo di danza contemporanea, con un linguaggio astratto ma poi abbiamo virato verso qualcosa di più teatrale perché eravamo interessati a raccontare una storia più narrativa o, meglio, una relazione. All'inizio del lavoro, infatti, c’eravamo io e il mio partner e Hermes era il regista.
Hermes Gaido: Nicholas non si sentiva a suo agio con l'umorismo. È stato un problema perché voleva lavorare su qualcosa di più astratto. Così Alfonso ha imparato la parte di Nicholas.
Alfonso Barón: Nel pezzo originale ho visto una relazione reale sul palco. Ma io e Luciano non siamo una coppia. Con la regia di Hermes, abbiamo iniziato a cambiare il rapporto tra i due personaggi. C'era più resistenza, più conflitto, quindi più teatro. Abbiamo mantenuto la struttura originale, ma io ho un background diverso, un corpo diverso. Io e Luciano abbiamo trovato il nostro modo di raccontare quella storia. All'inizio ho impiegato molto tempo per capire lo spettacolo e poi per lavorarci, è stato davvero difficile. È stato semplice invece imparare le parti tecniche, ma non è questo il punto di Un Poyo Rojo. L'aspetto principale è il lavoro sull'interpretazione e la relazione tra i personaggi.
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Riguardo la ricezione del pubblico, avete notato differenze nel corso degli anni e nei diversi luoghi? Luciano Rosso: direi che dipende più dai luoghi in cui ci esibiamo che dalla cultura del posto. In America Latina il pubblico è solitamente molto espressivo e partecipe, mentre in alcune zone d'Europa, come la Germania o il Belgio, le persone sono più tranquille, ma alla fine ti rendi conto che gli spettatori hanno apprezzato molto lo spettacolo e che lo hanno espresso in un altro modo, quindi sì, è sempre diverso.
Alfonso Barón: in generale c'è molta accettazione ed è molto bello anche perché è uno spettacolo che può essere recepito in tanti termini. Per esempio i bambini piccoli ci vedono come un cartone animato...Gli altri spettatori colgono vari aspetti: la parte tecnica, quella “poetica”, quella erotica… si passa attraverso un sacco di colori e texture per raccontare una storia semplice.
E in merito alla critica? Alfonso Barón: Abbiamo iniziato molti anni fa quando in Argentina non si accettava ancora il matrimonio tra uomini per esempio. Alcune critiche dicevano che questo spettacolo è omofobo o è contro la comunità LGBTQ+, perché ritenevano che avessimo un'immagine di retroguardia o che ci prendevamo gioco di loro. Comunque abbiamo avuto pochi commenti di questo tipo, ma non ne capisco ancora il motivo. Non attacchiamo nessuno e non veicoliamo un'informazione specifica per dire ai gay che abbiamo il diritto di baciarci o di non farlo affatto. E anche per i bambini, cosa c'è di nuovo? Siamo come cartoni animati…potremmo somigliare a Tom e Jerry, Bugs Bunny e Topolino! È una storia d'amore, la storia del primo bacio tra due uomini.
C'è stata qualche reazione particolare che ricordi di uno degli spettacoli che avete fatto negli anni? Alfonso Barón: Ho l’immagine in testa di una madre o un padre, non ricordo, che cercava di mettere le mani sugli occhi del figlio per non far vedere…e il bambino si dimenava come a dire: fammi vedere!
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Come vi posizionate rispetto ai messaggi che arrivano al pubblico? Alfonso Barón: noi trattiamo la storia in modo fresco, cosicché sia naturale e facile da vedere. Tecnicamente ci sono molte cose che possono essere interessanti, ma noi raccontiamo la storia senza pretenziosità rispetto a temi dell'umanità, è come un gioco ma allo stesso tempo è politico e diciamo cose, diciamo un sacco di cose ma in una specie di modo cool, ecco perché è come se fosse facile da vedere.
A proposito di questo secondo voi che ruolo dovrebbe avere la danza nella società di oggi? Luciano Rosso: Personalmente penso che la danza faccia parte del teatro, si può usare o non usare… come la musica o come tutte le espressioni. Personalmente sono un po' confuso sul ruolo della danza…
Hermes Gaido: Stiamo vivendo in un momento in cui tutte le accademie di musica, teatro, danza stanno andando in frantumi, perché a volte c'è gente che balla con la street dance o che fa musica con il cellulare. Tutto sta cambiando. Ricordo che mia nonna mi ha raccontato quando ero in Argentina che era molto comune che la gente finisse di mangiare e portasse via il tavolo per ballare. Abbiamo perso questa dimensione...nessuno lo fa più, o cerca di riportare questa sensazione.
E dato che il vostro lavoro mostra la danza e il teatro insieme mentre forse la nostra cultura li considera come generi indipendenti, pensate che la danza e il teatro possano vivere l'uno senza l'altro o hanno bisogno di coesistere? Alfonso Barón: dipende dalla tua decisione personale. Puoi decidere di usare un modo strettamente teatrale, togliere il movimento, sentirti bene in un testo o qualcosa di super classico senza espressione fisica. Noi tre veniamo dal mondo del teatro e non dalla danza. All'inizio con il teatro stavamo imparando a rompere le regole.
Perché in teatro la regola è che non ci sono regole.
Penso che nella danza si viene educati in un modo più rigido, ecco perché i ballerini hanno paura di allontanarsi da quelle regole. Noi rompiamo le regole e usiamo la danza per andare in un "modo nuovo". Credo che noi siamo coraggiosi nel senso che ci permettiamo di rompere le regole e di non pensare a noi stessi come danzatori, clown, acrobati, quindi ci piace dire che ci chiamiamo "interprete fisico". Il corpo è il nostro strumento e possiamo fare quello che vogliamo.
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Avete dei modelli di riferimento nel vostro lavoro? Qualcuno che vi ispira? Hermes Gaido: per me sicuramente i film di Chaplin e tutto il genere di cinema classico muto, come il vecchio teatro basato sulla pantomima.
Luciano Rosso: tutti i cartoni animati che guardavo da bambino, tutti i film di Buster Keaton o della Pantera Rosa, ma anche i miei amici, la mia famiglia. Posso ispirarmi a tutto ciò che mi circonda. Non credo di avere un modello di riferimento...Beyoncé, lei potrebbe essere.
Alfonso Barón: per me i supereroi sono super potenti, pensavo sempre a cosa avrei fatto se avessi avuto un superpotere. Mi sarebbe piaciuto avere un superpotere come quello di volare o di arrampicarmi.
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a cura di Luca Occhipinti e Sofia Bordieri
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