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#è un monolite nero
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L'ossessione per DIE, gli ascolti continui e ripetuti, in cuffia, per giorni e giorni, e mesi, l'averla trasmessa ad almeno tre persone. La stratificazione sonora che si insinua nell'anima*, i live dai quali uscire annichiliti.
*sempre delimortaccimia
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♥️💃 🌊
La scalinata dell’amore è stata realizzata in occasione della 1° Vieste in Love, dipingendo uno dalle scale che collegano la porta alta della città vecchia con il corso Fazzini, proprio vicino al municipio del Comune di Vieste.  Sui gradini di questa singolare scala è riportato il testo della Canzone “La Leggenda di Pizzomunno e Cristalda” , di Max Gazzè, presentata al Festival di Sanremo 2018. La canzone parla della leggenda del Pizzomunno, il monolite bianco situato all’inizio della spiaggia a Sud di Vieste, la spiaggia “del Castello”.
Alcune persone hanno subito dato un significato simbolico e magico a quella scala, si dice che percorrendola insieme alla persona amata si rimarrà uniti per sempre, dando luce a una moderna e romantica leggenda che fa di Vieste “la città dell’amore” .
Questo è uno dei versi che è stato scritto nero su bianco, o meglio bianco su rosso, sulla scalinata di Vieste:
E allora dal mare salirono insieme alle spiagge di Vieste 
Malvage sirene, qualcuno le ha viste 
Portare nel fondo Cristalda in catene 
E quando le urla raggiunsero il cielo 
Lui impazzì davvero provando a salvarla 
Perché più non c’era e quell’ira accecante lo fermò per sempreE così la gente lo ammira da allora 
Gigante di bianco calcare che aspetta tuttora il suo amore rapito 
E mai più tornatoMa io ti aspetterò 
Fosse anche per cent’anni aspetterò
Fosse anche per cent’anni aspetterò 
Fosse anche per cent’anni
#ig_italia #love #amore
📸 @ireneccloset
#italia #vieste #puglia
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kon-igi · 3 years
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MONOLITI E CERCHI CHE RITORNANO
Il ritrovamento del famigerato monolite nel deserto dello Utah (che poi si è scoperto essere una terrestrissima opera di un collettivo di artisti... o perlomeno così vogliono farci credere i rettiliani) mi ha fatto tornare in mente un episodio di cui sono stato partecipe nel 2004 e che ho ritrovato in questo vecchio TG locale
youtube
Purtroppo no, allora Figlia N.2 mi aveva tolto tutto il tempo e le energie per fare una cosa che solo dieci anni prima mi avrebbe visto in prima linea notturna con pertica e corda a calpestare le spighe (ho combinato ben di peggio, per inciso) ma il giorno dopo ho fatto quello che qualsiasi persona mai seria per un solo secondo della sua vita non avrebbe resistito dal fare...
Ho riempito la mia ventiquattrore di strumenti chirurgici e provette, ho indossato il completo scuro che avevo comprato non so per quale occasione e dopo aver inforcato un paio di occhiali scuri e infilato nell’orecchio l’auricolare del mio Nokia, sono andato sul posto.
Immaginate... una folla di curiosi che camminano in mezzo a queste spighe schiacciate (comunque un bruttissimo crop circle, incompetenti svogliati) e poi arriva a tutta velocità un fuoristrada scuro da cui scende un tipo vestito di nero con una valigetta misteriosa che parla col colletto della sua giacca.
Facevo fatica a non ridere in faccia a tutti quei tipi dagli occhi sgranati e allibiti.
Silenzio di tomba, rotto solo dal frinire delle cicale - Signori, allontanatevi per favore. Fuggi fuggi come se avessi detto che stavano per sganciare una bomba all’AIDS.
La gente si scosta di poco e rimane a sbirciare in mezzo alle spighe, quando tiro fuori un vecchio walkie talkie, lo accendo e comincio a girare, puntandolo sul terreno come se stessi cercando qualcosa. Quando comincio a premere il tasto per la comunicazione morse e un bip bip ripetuto rompe il silenzio, sento un mormorato OOOOOOHHHH!!! venire dal gruppo poco distante.
Apro la valigetta, mi infilo un paio di guanti chirurgici e poi con un forcipe raccolgo un sasso che metto subito dentro uno specimen bag col simbolo del rischio biologico (di solito ci mettiamo le provette col sangue).
L’ho trovato - dico con voce chiara al colletto.
Dopo aver messo il sacchetto nella ventiquattrore, mi dirigo verso il gruppo di persone che si apre come una folla al passaggio del Papa.
Due persone di mezza età stanno litigando animatamente e si zittiscono, mi guardano e poi mi travolgono con le loro pagine facebook antelitteram.
Tizio N.1 - Vedi, vedi! È tutto vero! Questo è un agente di un’agenzia governativa segreta!
Tizio N.2 - Non diciamo sciocchezze! È un docente universitario che è venuto a fare delle analisi per dimostrare che qualcuno ha calpestato le spighe!
Tizio N.1 - No! Nooooo! Guarda i motivi geometrici! Sarebbero impossibili da riprodurre e poi sono visibili solo dall’alto! E poi cos’era quello strano strumento?
Tizio N.2 - Sarà stato un metal detector... non esistono gli alieni! Guarda, si vedono i buchi dove hanno piantato i paletti per prendere le misure con la corda! Altro che motivi geometrici impossibili!
Tizio N.1 - Sì... e i professori universitari si vestono con giacca e pantaloni neri e parlano nell’auricolare! Solo uno sciocco non vedrebbe che c’è qualcosa sotto!
Tizio N.2 - Sei un buffone credulone che pubblica carta straccia buona come lettiera per canarini!
Tizio N.1 - E tu sei un miope idiota che non capisce che in cielo e in terra ci sono più cose di quanto possa capirne la tua scienza.
Io lascio che si scannino ancora un po’, infine alzo una mano e dico - Non c’è nulla da vedere. Si è trattato di un pallone aerostatico per le previsione meteorologiche o uno stormo di uccelli. Tornate alle vostre abitazioni.
Poi monto in macchina, sgommo via, mi fermo fuori vista giusto il tempo per togliere il cartone bianco incollato sulle targhe e torno orgoglioso alla mia vita seria ma manco per il cazzo.
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chez-mimich · 3 years
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MAURIZIO CATTELAN: “BREATH GHOSTS BLIND”
Non andate a vedere questa mostra perché potreste rimanere delusi, oppure andateci perché non vi deluderà. Dipende da quali emozioni cerchiate nell’arte. Anzi dipende da quali emozioni cerchiate tout court. La mostra che propone Pirelli Hangar Bicocca, è una mostra per tutti e per nessuno, come disse del suo “Also Sprach Zarathustra”, Friderich Nietzsche. In uno spazio colossale sono esposte “solo” tre opere-installazioni di Maurizio Cattelan, se vogliamo legate tra loro dall’idea del ciclo della vita, come affermano Roberta Tenconi e Vincente Todolì nella piccola e preziosa brochure; anche se non sono sicurissimo che Maurizio Cattelan la pensi necessariamente allo stesso modo. La prima è un’opera-installazione creata con un materiale nobile come il marmo di Carrara: “Breath” è composta da una figura umana in posizione fetale e dal suo cane (o forse da “un” cane), sdraiato accanto. Sono due piccole figure nell’immenso e buio atrio dell’Hangar. Chi sono? Sono una figura umana e un cane. Cosa rappresentano? Una figura umana e un cane. Forse si tratta di un clochard con il suo cane che ha trovato rifugio in un capannone industriale. Forse riposano. Forse no. La seconda installazione è nella navata centrale dell’hangar, anzi, è la navata dell’hangar, spazio di inaudita grandezza, questa volta abitato da migliaia di piccioni (in tassidermia) appollaiati sulle travi metalliche, sul carroponte e sui tralicci della struttura. Cosa fanno qui i piccioni? Beh la risposta è molto più facile: fanno i piccioni e rappresentano i piccioni. Forse non avete capito, ma per i piccioni (e per quelli di Cattelan), gli intrusi siamo noi, nell’hangar e fuori. Qui però scatta uno di quei corto-circuiti di cui l’artista è insuperabile: nel già citato ciclo della vita i piccioni sono morti (o per meglio dire non sono vivi), infatti il titolo dell’opera è “Ghosts”. Sono gli stessi piccioni, ma in numero molto maggiore di quelli già visti alla Biennale del 1997, anche lì erano presenti per guardare noi. Ultima stazione del trittico, nel cosiddetto cubo, ecco “Blind”, un faraonico ed essenziale monolite nero che si rivela essere la sagoma di una delle Twin Towers di NewYork, attraversata da un’altra sagoma, quella di uno degli aerei dirottati dai terroristi di Al Qaida che si schiantò sulle torri gemelle. Siamo ciechi? Siamo stati ciechi? Il monolite conclude il ciclo della vita come quello di “2001 Odissea nello Spazio” film di un altro leggendario visionario quale fu Stanley Kubrick. Forse sì, ma solo forse. Potrebbe essere. Non sono sicurissimo che Maurizio Cattelan abbia le stesse certezze dei curatori della mostra e dei redattori del catalogo. Del resto lo diceva già Arnold Hauser in “Sociologia dell’arte” quando affermava “artista e pubblico non parlano immediatamente la stessa lingua…”. Insomma io credo sia meglio affidarsi al segreto dello stesso Cattelan in un suo celebrato volume, “All” dove confessa di creare delle opere ed aspettare che altri diano loro il/i significato/i. Allora se volete sfidare l’autostrada infuocata, percorrere il Viale Sarca nell’afa più micidiale per infilarvi in quella meravigliosa pancia della balena che è l’Hangar Pirelli, la Grande Rivelazione vi aspetta. Se invece credete che non ne valga la pena, Cattelan non fa per voi. Ma nemmeno l’arte.
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corallorosso · 3 years
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Lo ammetto: fino a venerdì sera, non conoscevo Barbara Fiammeri del Sole 24ore. Mai vista, mai letta, mai sentita. Colpa mia: perdo ancora troppo tempo a leggere i lassici, quando invece la contemporaneità non manca di regalarci realtà vieppiù sfavillanti. Tipo la Fiammeri. La quale, durante la conferenza stampa di quattro giorni fa del Santissimo Draghi, ha esalato parole oltremodo rapite. Lo sguardo trasfigurato dalla passione mistica, le mani in posizione messianica quasi che recitasse il Padre Nostro e la salivazione azzerata da un amore purissimo, Santa Barbara si è così rivolta all’Apostolo Mario: “Questo è un Def storico per i numeri che riporta. Ehhmggghhh… che mette i bbbrrividi… vorrei dire che se non ci fosse Lei Presidente del Consiglio, saremmo… gghh… proprio… terrorizzati!”. Siamo a pieno titolo dalle parti di Fantozzi: “E’ un bel Presidente! E’ un santo, è un apostolo!”. In un colpo solo, la nostra nuova eroina ha cancellato i record precedenti di draghite dei ballerini anonimi di terza fila, tipo i Cappellini, e dei fiancheggiatori finto equidistanti, tipo i De Angelis. Brava Barbara! Sfortunatamente la realtà suole far capolino anche in tempi saturi di mieloso conformismo come i nostri. Così, due giorni fa, il buon Massimo Galli ha buttato giù al Fatto pensieri dannatamente lapidari, e si direbbe pure pertinenti: “Se devo essere franco non avrei pensato che la linea (di Salvini) prevalesse così velocemente. Mi duole dirlo, perché su Mario Draghi, come milioni di italiani, riponevo molte aspettative, ma sulla pandemia non ne ha azzeccata ancora una”. E ad affermarlo è stato Galli, dunque uno che ci capisce, non il primo Bechis che passava. E’ sconfortante, e per certi versi quasi affascinante, constatare come buona parte dei media sia ciclicamente portata a venerare il Potere, quasi che fosse il Monolite Nero di kubrickiana memoria. Sperando di non ferire l’amor puro dell’ottima Fiammeri, che nel suo piccolo ha solo esternato quell’antica inclinazione italica nel correr sempre in soccorso del vincitore, verrebbe la voglia malsana e forse eretica di mettersi a contare i tanti errori commessi in questi mesi di anticipata santità dal Divino Draghi. Sulla pandemia e non solo sulla pandemia. La lista dei ministri, quasi sempre bruttina. La lista dei sottosegretari, quasi sempre da vomito. La comunicazione, prima latitante e poi inutilmente tronfia nonché tragicomicamente tonitruante. Gli attacchi imbarazzanti alle regole della vaccinazione, dimenticandosi che quelle regole le ha fatte lui. Il cambio ai vertici di Protezione Civile. La defenestrazione di Arcuri, per far posto non a Mandrake ma al mitologico (ora e nei secoli) General Figliuolo. Il condono, irricevibile in sé e pure economicamente inutile (anzi dannoso, perché l’Italia ci perde pure soldi). La difesa di Speranza, in sé meritoria, associata però a queste riaperture quasi indiscriminate che vanno esattamente nella direzione opposta rispetto a quella auspicata da Speranza. I proclami fuori dal mondo sul “piano vaccinale che va benissimo”. Eccetera eccetera eccetera. Se questo è il governo dei migliori, Senaldi è Pelè. Con un’aggravante meramente politica, di cui si spera prima o poi che si accorgano i desaparecidos Pd e M5S: più passa il tempo e più Salvini domina. Con l’ovvio assenso di Draghi, che ogni volta - o quasi - asseconda le fregole salviniane, o se preferite giorgettiane. E’ un governo all’apparenza di unità nazionale, ma nei fatti di centrodestra. Si scrive Draghi, si legge Salvini. Andrea Scanzi
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thebeautycove · 3 years
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SHISEIDO - GINZA - Eau de Parfum - Novità 2021 -
There’s always a come back. There’s a path already walked but never known in full. It’s up to us, women, the mindfulness of belonging to becoming, challenge present to grasp future with both hands.
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Gli sterminati territori della femminilità ed un luogo simbolo per riassumerne l’infinita bellezza. Passa da Ginza, quartiere epitome di Tokyo, crocevia di tradizione e modernità in equilibrio tra Oriente ed Occidente, luogo d’elezione di Shiseido, l’ispirazione per un nuovo racconto olfattivo. Shiseido affida alla sua nuova fragranza - Ginza - il sottile compito di comunicare i contrasti della femminilità, esprimerne l’essenza nelle sfumature plurime della personalità, manifestare senza reticenze energia e vitalità, liberare il ‘ki’ trasformandolo in un alleato di potere. Quanto straordinariamente armoniche siamo noi donne nel gestire i nostri contrasti! Forza e sensibilità, determinazione e dolcezza, passione e saggezza! La forza è qui, nella consapevolezza di possederli e renderli unici. Così è Ginza, jus al femminile, creatura liberata dal talento compositivo di Karine Dubreuil e Maïa Lernout (Takasago), per donne di fiori e legni, un bouquet sublime di grazia e sensualità, carico di significato, magnolia (perseveranza e dignità), fresia (introspezione e mistero), gelsomino (magnetismo e potere), orchidea (passione ed eleganza), circondato dalla nobile profondità dei legni, sandalo (connessione interiore), hinoki (spiritualità), patchouli (radici dell'anima). Una carismatica raffinatezza emerge dal sillage, a testimoniare l’unicità espressiva di chi la indossa.
Nell’esclusivo flacone design, Constance Guisset, condensa forza e leggerezza. Come un monolite il tappo nero affonda nel liquido rosato, alla scoperta di un tesoro oltre la superficie.
Creata da Karine Dubreuil e Maïa Lernout.
Eau de Parfum 30, 50, 90 ml. Nelle profumerie concessionarie.
instagram.com/igbeautycove
©thebeautycove
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i-love-things-a-lot · 4 years
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Quel Qualcosa in Più
G, 11.091 parole (!), Amadello, passata Amadeus/Biagio Antonacci (????), Betata! link per A03
Iniziò tutto con lo smalto trasparente. Aka, la storia di come Amadeus scopre di essere una donna e l'amicizia con il suo migliore amico si trasforma in qualcosa di più. (nota: Immagino sarebbe tutt* abbastanza confus* dal tema di questa fanfic. Prima di tutto, da dove deriva l'idea di Amadeus mtf? Durante l'AltroFestival di Savino c'è stato un momento in cui Bugo, il nostro caro e povero Bugo, cotto dal fatto che fosse ormai notte inoltrata ha dato una pronuncia femminile ad Amadeus, e da lì poi la mente è volata e le cose sono degenerate in questa serie di fic con il nostro celebre conduttore che cambia sesso. Detto questo, dedico un bacio al cuore pulsante di questo fandom, il canale Discord di Sanremo!)
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Iniziò tutto con lo smalto trasparente.
‘Serve per rafforzare le unghie’, diceva a tutti coloro che incontrava mostrando orgoglioso le dita lucide, segretamente soddisfatto di quella piccola cosa come fosse ai limiti della legalità.
Forse non pareva da fuori, eppure in un certo senso lo era. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’anima.  
Pareva quasi un breve assaggio di qualcosa che non riusciva a definire dentro di sé, un monolite che si stagliava leggero come fosse di polistirolo, misterioso e sorprendentemente antico, gigante posato sulla sua vecchia anima.
Dopotutto cosa poteva mai causare un po’ di smalto? Il trasparente svanì con il crescere delle unghie, rendendolo un po’ nostalgico.
“Prova questo”, gli consigliò la truccatrice in trasmissione un giorno in cui il discorso finì casualmente sull’argomento,
“È color pelle, non troppo visibile e rende pure le mani un po’ più eleganti. È importante, oggigiorno, la cura delle mani. Come quella del viso.”
Gli regalò la boccetta.
Galeotto fu il gesto, forse, ora che ci pensava.
Il mattino seguente si dipinse le dita di quel rosa. Ne fu ammaliato. Stavolta non lo fece notare troppo in giro, perché un’attenzione eccessiva a quel tipo di cose poteva essere vista come ambigua, cosa di cui lui non aveva proprio bisogno, essendo un personaggio pubblico.
Un conto era lo smalto rafforzante, un altro quello colorato: rischiava realmente di passare per…per cosa sarebbe dovuto passare?
Quello smalto gli stava così bene, dopotutto. E poi aveva sempre desiderato fare qualcosa di più azzardato, ma non ne aveva mai trovato il coraggio, non fino a quella mattina, quando l’acre odore che proveniva dalla boccetta ancora aperta gli donava un sentore di libertà che raramente aveva provato in vita sua.
Le boccette di smalto si moltiplicarono presto dentro al mobiletto del bagno.
Provò ogni colore: da quelli più cupi, come nero e grigio, a quelli ben più accesi e considerati femminili, come il giallo brillante che ora non riusciva proprio a togliere con l’acetone perché era un colore che gli stava dannatamente bene, e non importava il fatto che dovesse andare in onda tra qualche ora, perché non riusciva a controllare la fitta di malinconia che il solo pensiero di avere le dita nude gli donava.
Tanto chi mai gli avrebbe guardato le mani in una trasmissione simile?
Era già andato in passato con le dita colorate di rosa incarnato, discrete ma evidenti se lo sguardo ci cadeva sopra. Il giallo, invece, era tutto un’altro discorso. Colore brillante, saltava subito all’occhio. Doveva rinunciare?
No. Non poteva farlo. Chiuse l’acetone con quelle dita ancora dipinte un po’ tremanti, ma che sentiva un po’ più sue da quando vi era la presenza del colore.
Dopotutto il giallo era uno dei colori che riconosceva meglio.
Lo specchio di casa rifletteva l’immagine di un uomo alle soglie della vecchiaia. Viso da lui ben conosciuto, viso con cui condivideva una vita intera, di cui conosceva ogni singola ruga.
Allungò una mano colorata verso la bocca sottile. Teneva un tubetto, un piccolo contenitore lungo e stretto da cui fuoriusciva appena una punta di colore dalla forma ben familiare a chi è avvezzo all’uso del trucco.
Era la prima volta che provava a mettersi un rossetto.
La scelta del colore non era stata difficile, si era attenuto al classico. Lo smalto giallo ancora padroneggiava le sue mani, e tanto aveva riscoperto in quel periodo l’intensità dei colori, colori che sapevano di fiducia in sé stesso, che aveva deciso di provarli anche sulle labbra troppo nude.
Il rossetto era rosso carminio, scuro e sensuale. Gli piaceva da matti. Sbatté le labbra per distendere meglio il colore e non poté trattenere un sorriso nel vedere quanto gli illuminasse il viso, quanto si trovasse bene ad indossarlo.
Non era strano per un uomo che lavorava nel mondo dello spettacolo. Il trucco per loro era una quotidianità.
O almeno questo si diceva per calmare quella sorta di piccolo magone d’ansia e paura che qualcuno lo scoprisse, lo vedesse e lo rovinasse parlando a tutti di quelle piccole cose, cosine normali, assolutamente normali. Non importava.
Si toccò le labbra con la punta gialla del mignolo e si sentì felice, come se per un istante la luce avesse illuminato il gigante etereo che gli poggiava nell’anima, sfiorandolo appena, ma abbastanza perché lui sentisse una fitta di paura attraversargli le viscere.
Non era il caso di indossare il rossetto in pubblico, pensò socchiudendo gli occhi, ma a casa, nel privato, era tutta un’altra storia. Nessuno avrebbe potuto giudicarlo.
Il pennellino sfiorò con delicatezza le palpebre chiuse.
Non aveva idea di come la truccatrice avesse preso la sua proposta di provare un trucco completo, standard, “da donna”, ma in ogni caso sperava che fosse suonata come un’idea divertente, qualcosa di comico, e non come frutto di quella curiosità morbosa che da qualche settimana gli invadeva la mente.
La matita toccò delicatamente il confine stanco dei suoi occhi e tracciò una linea che non poteva ancora vedere.
“Ecco fatto. Sei bellissima!”
Non riuscì a capire il perché, ma essere chiamato al femminile, seppur in modo ironico, gli provocò una magnifica ondata di contentezza. Aprì gli occhi.
La sua figura era ancora vecchia e stanca. Ma il viso, oh! La luce che emanavano i suoi occhi era immensa. Le guance parevano più rosee e le labbra erano dipinte con una tinta tenue, quello che gli appariva un delicato rosso tendente al rosato che stava molto bene con la sua carnagione. La figura allo specchio arrossì con lui.
“Hai fatto un lavoro meraviglioso.”
La sua espressione era forse troppo rapita per poter parere ancora una cosa ironica, ma non gli importava. O meglio, un po’ gli importava: si riscosse e curvò le labbra in un sorriso divertito.
“Okay,” cinguettò alzandosi di scatto dalla sedia e seguendo il corridoio delle quinte,
“Che ne pensate? Non sono la donna più affascinante di questo studio?- dopo di te ovviamente, Carla” si corresse dopo aver incontrato di sfuggita la fonica che ricontrollava la scaletta e lo guardava a bocca aperta con una posa estremamente comica.
Percorse tutte le quinte e arrivò finalmente all’entrata del set. Il pubblico era già presente, come ogni giorno di registrazione, e attendeva solo che la registrazione cominciasse.
“Buonasera!” esclamò a braccia aperte, sorridente come al solito, se non di più. Fu accolto da una risata. Non si aspettava altre reazioni.
“Che dite, oggi presento così?”
Un coro di ‘si!’ si alzò dagli spalti. Provò l’impulso di seguire il consiglio.
No.
La negazione arrivò dal profondo del suo cuore.
Perché no?
Perché potrebbe piacerti.
Quella rivelazione lo colpì in viso come uno schiaffo. Probabilmente gli altri lo vedevano conciato come un pagliaccio in quel momento. Altro che occhi illuminati, altro che labbra dipinte: si stava ridicolizzando. Per fortuna questa volta era riuscito a frenarsi prima di iniziare a registrare, pensò scuotendo lentamente la testa, ma non abbandonò il sorriso, perché dopotutto in quel momento era pur sempre truccato in quel modo che lo faceva sentire un po’ migliore.
“Vi piacerebbe?”
Un’altro coro affermativo. Ridacchiò un po’ e rivolse lo sguardo verso le telecamere ancora spente. Forza dell’abitudine.
“Piacerebbe anche a me. Tra un quarto d’ora circa dovremmo iniziare, siete pronti?”
Di nuovo una risposta positiva. Pubblico caldo, indice di una puntata che non sarebbe stata difficile da condurre. Ne fu rincuorato.
“Meraviglioso,” esclamò, e subito fu richiamato dietro le quinte dalla stessa truccatrice, ridente e impegnata ad agitare un flacondino di struccante nuovo di zecca. Corse di nuovo da lei e si sedette (un po’ a malicuore) sulla sedia del trucco.
Un altro giorno, pensò mentre lo struccante agiva sulla sua pelle.
Magari un altro giorno.
Erano ormai due mesi che non si tagliava i capelli. Non erano male, non troppo lunghi, decisamente un taglio ancora intatto e valevole, ancora maschile. Si era divertito non poco a notare il ritorno del suo castano naturale tra il grigio, cosa che lo faceva sentire di gran lunga più giovane e meno stanco di come si vedesse in passato.
Era felice. Nel suo guardaroba comiciavano a esserci non solo pantaloni e camicie da uomo, ma anche magliette con una certa quantità di scollatura, e in più qualche occasionale gonna rigorosamente indossata solo nel privato di casa, non troppo stretta né troppo larga, elegante e adatta a una persona della sua età.
Perché lo stava facendo? Aveva smesso di chiederselo, tanto non riusciva più giustificarsi con sé stesso, né c’era bisogno di farlo con altri, visto che nessuno sapeva. Almeno fino a quel momento.
Rosario Fiorello lo guardava con quella che poté definire solo come disperata incredulità.
“Mi ero accorto che c’era qualcosa di nuovo.”
Sorseggiò lentamente la sua bottiglia di birra e fece una breve pausa, lo sguardo fisso in un punto oltre il tavolino da bar su cui erano seduti.
“Lo smalto. Me ne sono accorto dallo smalto. Ho pensato: eh, qua c’è qualcosa di nuovo, sicuro, ma non dico niente perché magari mi sbaglio. E invece.” Sapeva che confessare al proprio migliore amico la nuova predilezione per il mondo femminile non sarebbe stato facile. Così come non sarebbe stato facile accettarlo.
“E meno male che te l’ho chiesto io se c’era qualcosa di strano, altrimenti tu mica me l’avresti detto, ansioso come sei.”
“Ho sbagliato?”
“No. Questo no, assolutamente. Ti senti in questo modo, hai deciso di fare qualcosa per migliorare la situazione, e non sarò mai grato abbastanza del fatto che tu me l’abbia detto. Posso solo immaginare quanto sia difficile accettare una cosa del genere. Poi ti dirò, non è che avessi sospettato, ma…beh, mi è sempre parso tu fossi interessato in particolar modo alla femminilità. Pensavo fosse per le ragazze. Certo che non vai a pensare…! Non che ci sia nulla di sbagliato, ripeto. Ti senti così, non è una cosa che puoi cambiare. Questo sentimento di base ce l’hai, insomma, no? Ecco. Allora l’unica cosa che puoi fare è assecondarlo.”
Una macchina passò in fretta tra il chiacchiericcio dei passanti.
“Quando te ne sei accorto?”, chiese Fiorello.
Prima che potesse rispondere rincarò la dose,
“Devo chiamarti al femminile? Con il lei informale?”
Annuì piano. Non aveva chiesto nulla, ma per fortuna aveva un amico che lo conosceva meglio di chiunque altro.
“Se ti va.”
Fiorello scattò.
“No, no. Non deve andar bene a me, deve andar bene a te. Vuoi che usi il femminile quando mi riferisco a te?”
“Solo in privato. Per ora.” Non era ancora arrivato il momento di spargere la notizia ai quattro venti. Era una questione delicata, avrebbe potuto perdere il lavoro al solo accennare una cosa simile, sopratutto nel suo campo, con i giornalisti alla continua e avida ricerca di informazioni in grado di far profondare un rispettabile essere umano nel più completo e denigrante fango. Si guardò le unghie, curate e di un piacevole colore blu notte, e riuscì a trovare in esse abbastanza forza per continuare.
Fiorello annuì e gli rivolse un breve sorriso pieno d’emozione, quasi a volerlo incoraggiare. La cosa funzionò.
“Lo farò. Tu ora non preoccuparti, va bene? Magari non fare cose troppe esplicite in trasmissione, potrebbero arrivarti guai, ma per il resto non c’è alcun problema, penso. Se non sbaglio conosco un gay bar in zona che- si chiama gay bar, ma so che essere femmine non significa che ti piacciano gli uomini, eh. È un bar, come dicono ora, “lgbt frendly”.”
“L g t b?”
“L-G-B-T. Quella cosa dove ci sono tutte le persone che non sono etero e normali. Normali nel senso di non…come te. Insomma, mi hai capito.”
“Si, ho letto qualcosa al riguardo.”
“Ecco. Dicevo, conosco questo bar in cui potremmo andare. Pure per gioco, eh. Tanto per conoscere qualcuno nel campo, così puoi avere qualche consiglio in più da una persona che ha già affrontato il tuo stesso percorso. Cosa ne pensi? L’idea ti garba?” Ci pensò su. Non si sentiva ancora abbastanza al sicuro per uscire così tanto allo scoperto, no. Uscire con Fiorello, d’altro canto, era sempre un’avventura.
“E se andassimo a fare un giro normale? Senza gay bar, senza vestiti femminili. Non ancora. Solo un giro. Una cena, magari.”
Fiorello socchiuse gli occhi e ridacchiò in modo eloquente.
“Cos’è, un appuntamento? Lo dici come se non avessimo mai cenato insieme. Certo che mi va di fare giri normali! Perché non dovrei, perché mi hai detto che sei trans?”
“Abbassa la voce.” “Scusa. Perché hai detto che sei trans? Prima di essere uomo o donna, Ama, tu sei mio amico. Amica. Non potrei mai buttare al vento trent’anni di fiducia solo perché ti senti in un modo che non è il comune, lo standard. Io ti voglio bene. Te ne vorrò sempre. Niente cambierà questo sentimento. Capito?”
La sensazione di estrema gratitudine e gioia che lo pervase gli stampò un breve sorriso sulla bocca.
Chissà, magari con un amico che lo chiamava al femminile finalmente sarebbe riuscito a riferirsi così anche nella solitudine dei suoi pensieri.
“Grazie. Grazie infinite. Il tuo sostegno è la cosa più importante in questo momento.”
Fiorello gli afferrò delicatamente un braccio e allargò il sorriso.
“È il minimo che possa fare per il mio migliore amico. Non ha ancora risposto alla domanda di prima, però, eh.” “Cosa mi hai chiesto? Perdonami, ero-”
“Come te ne sei accorto? Qual’è stato il primissimo passo che ti ha portato a questa rivelazione.”
Ci pensò su per qualche secondo. Di episodi ce n’erano a bizzeffe fin dall’infanzia, ma la questione era rimasta velata per lungo tempo, mai affrontata, sempre relegata ad un’angolino polveroso della sua mente. Almeno finché…
“Iniziò tutto con lo smalto trasparente.”
“Posso dire due parole, se possibile?” La donna al centro del palco era molto alta. Un grazioso vestito color miele dall’aria primaverile le cadeva dalle spalle in maniera elegante, lasciandole le ginocchia scoperte per poco. I capelli erano acconciati in morbidi boccoli biondo cenere, il rossetto brillante illuminava il suo viso come in un quadro medievale. Non aveva più di trent’anni.
“Non c’è alcun problema! Dica pure quello che vuole”, disse piano il conduttore con una voce ancora troppo bassa, un completo troppo maschile e le unghie di una accesa tonalità di lilla.
L’aveva appena annunciata come “attivista lgbt”. Un prezzo basso, semplice da indovinare per il concorrente in piedi nella postazione, perché quella donna era visibilmente transessuale.
“Vorrei fare un piccolo appello a tutti coloro in ascolto. Come avrete purtroppo notato, sono nata in un corpo che non avvertivo mio. Ho dovuto faticare molto per ammetterlo, decidere di fare qualcosa in merito e infine farmi accettare da tutte le persone a me vicine, compresa mia madre, così felice quando nacqui di aver avuto un maschietto. Per questo vi dico: se vedete che qualcuno accanto a voi fa dei piccoli, impercettibili cambiamenti, anche solo mettere un po’ di trucco, farsi crescere i capelli, tagliarli, e ancora indossare vestiti sformati che nascondano le curve o la loro assenza, o anche solo dipingersi le unghie, allora è il momento di star più vicino ed essere comprensivi, di sostenerli anche se ancora non si sentono pronti per dire nulla, di usare le pronunce che richiedono a mezza voce. Non abbandonate figli, fratelli, sorelle o amici solo perché il loro corpo non corrisponde alla loro mente. Il loro percorso è già abbastanza difficile anche senza dover sopportare ancora più pregiudizi di quanti ne riceveranno nel mondo. Grazie mille.”
Un breve applauso partì dal pubblico, e con quello anche molti sguardi, che si diressero immediatamente al conduttore, con i suoi capelli ingellati, ma decisamente più lunghi di qualche mese prima, le dita colorate che in quel momento battevano le une sulle altre nell’applauso, ma sopratutto l’espressione colpevole e nervosa trasparita nonostante la maschera della professionalità.
Il locale era più pieno di quanto di aspettasse. La sciarpa certo era abbastanza coprente per naso e bocca, mentre un paio di occhiali da sole nascondevano gli occhi. Un lungo cappotto sottolineava un vestito alle ginocchia, da cui spuntavano due gambe lisce che si concludevano in scarpette eleganti da signora, un piccolo tacco per slanciare una statura già notevole.
I capelli erano la cosa che più la rendeva orgogliosa. Erano abbastanza cresciuti ormai da sfiorare la sciarpa in uno scoordinato caschetto che diventata sempre più difficile da manovrare in una pettinatura maschile durante le registrazioni. Non importava.
Non fu accolta in modo particolare. Con garbo si sedette a un tavolino vuoto, felice di essere abbastanza coperta da non essere riconosciuta, ma sopratutto orgogliosa di sé, perché mai si sarebbe aspettata di trovare abbastanza coraggio da andare in un gay bar, soprattutto se da sola.
“Desidera qualcosa?”
Il cameriere aveva tratti e statura molto delicati. Lei si tolse gli occhiali da sole, mostrando gli occhi truccati forse un po’ pesantemente, ma tutto era concesso a un principiante, no?
“Uno Spritz, grazie”, chiese piano. Aveva passato una settimana a provare gli esercizi per alzare la tonalità di voce. C’era riuscita?
“Arriva subito”, sorrise il cameriere, e lei ricambiò il sorriso da sotto la sciarpa e fece un cenno con la testa, lo sguardo concentrato sulla figura che si allontanava dal suo tavolo.
Diete un’occhiata più ampia a ciò che la circondava. Non poteva certo dire di essere in un posto con persone che apparivano tutte uguali, pensò un po’ divertita, visto che quella che più si avvicinava alla definizione di normalità era un essere umano che pareva un misto perfettamente incredibile di maschile e femminile, tanto che invano provò a lambiccarsi su quale potesse essere la sua identità di genere.
Maschio o femmina? Il cameriere tornò con il suo Spritz.
“Grazie mille”, e subito si maledisse perché, dopo una settimana di sudore e maledizioni per trovare la perfetta voce era lo stesso riuscita a dimenticarsi tutto a favore della sua naturale tonalità, molto bassa.
“Non c’è di che, signora”, rispose il cameriere con un gran sorriso.
Una sensazione di sorpresa gioiosa la avvolse come un panno caldo. Era la prima volta che qualcuno la chiamava signora. Dunque non pareva così tanto un uomo travestito? Passava davvero per una donna? Decise che l’idea migliore era quella di annegare il groppo in gola nello Spritz.
Come berlo?
Se c’era una cosa abbastanza iconica della sua persona, quella era, ahimé, il suo naso. Far passare la cannuccia da sopra era dunque fuori discussione. Poteva farla passare sotto…? Qualcuno le diede un colpetto sulla spalla. Una donna, o meglio, così pareva a un primo sguardo, vestita di tutto punto come una sorta di ballerina del ventre, ma più coperta, e con una elegante mascherina di colore acceso su naso e bocca le si era avvicinata alla coatta. Le porgeva qualcosa.
Con lo sguardo seguì la mano.
“Piglia”, ordinò la donna con forte accento napoletano.
Era un’altra mascherina, questa di un colore che non riusciva a definire. Marrone? Grigio? Sospettò fosse di qualche tonalità di verde, colore a lei irriconoscibile.
“Ca sta spettand’? Piglia.”
Si riscosse e afferrò d’impulso la mascherina. Avrebbe voluto dirle che non era proprio il suo colore, ma che avrebbe accettato, perché quella era una situazione un po’ disperata, e quindi la ringraziava moltissimo per la sua estrema gentilezza; rialzò lo sguardo e la donna era sparita.
Che persone incredibili, i frequentatori dei gay bar.
Con mossa abile prese la mascherina per le due estremità e la infilò sotto la sciarpa, incastrandola dietro le orecchie. Il tessuto era morbido come seta, ma ci stava: era una di quelle mascherine dei giovani, quelle fashion, per qualche motivo a lei incomprensibile. Però faceva il suo sporco lavoro e copriva bene ciò che doveva, dunque perché giudicare? Appena fu sicura della stabilità della mascherina sciolse il nodo della sciarpa e la srotolò con cura, scoprendo un collo chiaro e ben rasato, assieme a una scollatura che si perdeva sotto il cappotto, che ancora teneva addosso.
In effetti faceva un po’ di caldo dentro quel locale, forse era il caso di toglierlo.
Sganciò anche quei bottoni, sfilò le maniche e liberò una graziosa maglia scollata non in maniera esagerata, decisamente femminile, ma che ricadeva tristemente su un petto vuoto, seppure l’avesse messa in modo da apparire un po’ gonfia. La gonna invece era nera, anch’essa abbastanza elegante, ma larga perché ancora non si sentiva abbastanza sicura da indossare abiti aderenti, dalla struttura ripiegata a zig zag per nascondere la poca ampiezza del bacino. Era davvero un bella gonna, pensò lisciandosi il tessuto nelle cosce, forse un giorno avrebbe potuto indossarla in programma. Un giorno ancora lontano, s’intende.
Sospirò e guardò lo Spritz davanti a lei. La musica pompava nelle casse, anch’essa musica giovane, da discoteca, ma paradossalmente ritmica come quella a cui era abituata tanti anni prima, quando ancora faceva il dj. Che tempi.
Allungò la cannuccia sotto la mascherina e bevve un sorso.
Non era affatto male, dopotutto, l’ambiente di quel gay bar.
“Ama, non posso riempirti questa meraviglia di gel.” L’acconciatrice squadrava il nuovo taglio con l’aria di chi le avesse appena chiesto di compiere un’illegalità.
Ci aveva messo due settimane per decidere che i suoi capelli avevano decisamente bisogno di un’accorciata e che non era il caso di andare dal solito parrucchiere specializzato in tagli maschili.
Non che non se ne fosse accorta prima; c’era stato bisogno dei consigli che l’altra sera le avevano dato al bar (ormai si era fatta un buon giro di amicizie tra i clienti abituali e il personale, seppur ancora non si fidava abbastanza da togliere la mascherina) perché necessitava di qualcuno di discreto, che non facesse né nomi né cognomi, né tantomeno nomi d’arte.
“Non potresti racchiuderli in un codino e basta?”
L’acconciatrice scosse la testa e schioccò la bocca in segno di diniego, poi sospirò a fondo seccata.
“Senti. Qui non ci sente nessuno, quindi ti parlo un attimo da amica. Questo non è un taglio maschile. Non lo è per natura. I capelli non sono abbastanza lunghi per fare una coda che non si sfasci dopo dieci minuti, non lo posso fare e basta. E poi, ripeto, da amica,”
Sentì un brivido freddo scorrerle lungo la colonna vertebrale,
“Forse è arrivato il momento di cominciare a uscire dall’armadio.”
Deglutì a fondo e strinse i pugni. Gli amici al bar erano stati chiari sul significato di quel modo di dire. Non c’era dubbio su cosa stesse proponendo. La questione era: si sentiva pronta? La risposta era no. Assolutamente no. Il solo pensiero le faceva venire le palpitazioni.
“Qui tutti lo sospettano. Abbiamo tutti gli occhi, sappiamo come sei vestita prima di andare a cambiarti. E no, non dirò nulla sugli atteggiamenti più femminili perché non ce n’è bisogno.”
Cominciò a giocare con le mani, incapace di replicare.
“Ti voglio dire solo questo: non posso far nulla con questi capelli. O vai in onda così oppure non vai in onda. Scegli tu.” Le gettò una veloce pacca sulla spalla e si allontanò, lasciandola sola con le mani tremanti e tanta, tanta voglia di piangere.
“Buonasera!” annunciò il conduttore con la sua solita voce tonante. Il taglio a caschetto era un po’ vuoto di capelli, ma era decisamente un caschetto, e i ciuffi argentei si ripiegavano sulle guance in maniera delicata. Sembrava molto scosso.
“Avrete notato il mio nuovo taglio di capelli. Che dite, mi sta bene?”
Un coro affermativo si levò dal pubblico. Ne fu estremamente confortata.
“Allora direi che possiamo presentare il concorrente di oggi.”
Le pagine aperte della rivista ricambiavano il suo sguardo vuoto da ore.
“Look da Piton o da Lily?”, diceva il titolo.
La pagina era interamente occupata da una foto. Era palesemente stata scattata da qualche paparazzo, troppo buona perché potesse essere amatoriale, troppo giusta.
La ritraeva al bar mentre aspettava il suo amico Fiorello per uno dei loro soliti caffè. Era una foto di appena tre giorni prima, scattata la mattina prima di ripartire a Milano.
Quel giorno indossava una maglia bianca, velata, indiscutibilmente femminile. Un paio di pantaloni stretti, ma non abbastanza da essere osceni, effetto ottenuto sopratutto grazie ai suggerimenti avuti al gay bar. I tacchi neri. I capelli, messi in modo da nascondere i punti meno folti, formavano un glorioso caschetto in cui il grigio si mescolava col castano. Gli occhi erano coperti da una grossa montatura di occhiali da sole, la bocca dipinta di un bel color ciclamino. Aveva persino un accenno di seno, fittizio e composto interamente da un reggiseno riempito di cotone.
L’articolo non era molto lungo.
“Nemmeno per strada Amadeus (54) riesce ad essere…un solito ignoto! Eccolo mentre incontra il suo migliore amico Rosario Fiorello (56) al bar di fiducia.”
“Notate qualcosa di strano? Il noto conduttore è vestito da donna! Che sia per un nuovo programma televisivo? Dopotutto la scorsa settimana l’avevamo beccato con un’aria da Professore di Pozioni, con quei capelli e il nasone. Dopo Piton, che voglia travestirsi anche da Lily Potter, la madre di Harry? A questo punto tutte le scommesse sul prossimo personaggio della nota serie per ragazzi, dalla professoressa McGrannit al maghetto protagonista, sono ben accette!”
Nella pagina di fianco c’erano delle foto più piccole. Una in cui il suo amico era arrivato e lei lo salutava con i classici baci sulla guancia, un’altra dove erano seduti nel tavolino e infine la terza, scattata mentre era impegnata a sistemarsi i capelli.
Nessuna didascalia.
“Non accadrà niente, vedrai. Quante persone potranno mai leggere uno stupido articolo di gossip? Non è nemmeno così esplicito.” “Ero truccata. Avevo i tacchi. Fiore, se lo pubblicano vuol dire che qualcuno lo legge.”
Poté sentire Fiorello esitare un attimo dall’altra parte del telefono.
“Facciamo una cosa. Tu vai a farti prescrivere quelle medicine di cui mi hai parlato, okay? Io mi occuperò di eventuali sospetti su di te. Posso dire che Jova stava cercando un idea per un nuovo videoclip o qualcosa del genere. Faccio una rullata di telefoni e vedo ora riesco a ottenere, tanto vedrai che qualcuno di disponibile lo trovo. Sai che non andrò in giro a spifferare il vero motivo della paraculata.”
Sospirò a fondo e si fissò le unghie grigie. Stava rischiando la carriera solo per uno stupido desiderio malato che non piaceva a nessuno, tantomeno all’azienda televisiva per cui lavorava. Perché lo stava facendo?
“Ama? Ci sei?”
“Si.” “Vedi? Ti risolverò tutto io. Sei d’accordo? Tu non devi preoccuparti, faccio tutto io.”
Le risposte arrivarono nella sua testa di getto.
Perché quando a lavoro aveva riunito tutti e aveva chiesto di usare pronunce femminili era terrorizzata, ma quando aveva sentito le persone chiamarla in maniera appropriata si era sentita viva come non mai.
Perché non era mai stata così a suo agio con sé stessa prima di quel momento.
Perché non poteva tornare indietro. Non più.
“Sono d’accordo.” “Perfetto. Ricordati, le medicine. Mi raccomando. La prossima volta che ci vediamo voglio vederti con due tette vere, capito? Voglio vederti felice.”
Un moto di estremo affetto la trafisse.
“Non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che fai, Fiore. Ti voglio bene.”
Lo sentì sorridere attraverso il telefono.
“Mi ringrazi abbastanza solo se vai dall’endocrinologa e ti fai fare la ricetta per gli estrogeni. Ti voglio bene anch’io. Buonanotte, Ama.” “Lo farò, non preoccuparti. Buonanotte anche a te.”
“Sei un personaggio pubblico. Lo sei da tanti anni, quindi non metto in dubbio che tu lo sappia, eppure le tue azioni di questi ultimi tempi mi rendono in dovere di ricordartelo. L’aspetto fisico è importante in questo lavoro. Non possiamo permetterci di perdere il conduttore di un preserale, ma mi dispiace dirtelo, la situazione ci sta rendendo molto propinqui a spostarti a un orario dove il pubblico possa adattarsi meglio alla tua…nuova presentazione fisica.” “Stanno calando gli ascolti?” “Non ancora. Lo faranno presto. Devi capire, Amadeus, che la popolazione non è ancora pronta per vedere questo genere di cose nella televisione pubblica, all’ora di cena, con minori presenti. Le persone accendono il televisore per guardare un programma leggero, qualcosa con cui distrarsi un po’ e divertirsi come con un gioco a premi, e invece cosa vedono? Un uomo maturo con lo smalto e i capelli da donna. Non che ci sia niente di sbagliato in questo, eppure ribadisco: sei un personaggio pubblico. Il tuo aspetto dev’essere di un certo livello. Se non lo sarà entro breve, mi dispiace, ma saremo costretti a sostituirti.”
“Ti parlerò con tutta franchezza: per il tipo di terapia che mi stai richiedendo chiedo sempre la certificazione da parte di uno psicologo con scritto che tu desideri di ricevere questa tipologia di cambiamento fisico da almeno un anno. Il tuo corpo riceverrebbe modificazioni permanenti, non sarebbe saggio iniziare una tipologia di farmaci così pesanti senza prima avere la certezza assoluta che sia necessaria. Almeno io la penso così, che ognuno faccia pure quello che vuole. Dimmi, da quanto tempo ti senti in questo modo? Non accetto risposte come ‘da tutta una vita’. Voglio sapere quando hai avuto la realizzazione, quando ti sei accorto che c’era qualcosa che volevi cambiare.”
“È stato circa cinque mesi fa.”
L’endocrinologa fece spallucce.
“Allora mi dispiace, per ora non posso fare nulla per te. Se rimarrai della stessa idea in cui sei ora tra sette mesi e avrai con te il foglio che lo attesta, allora non ci sarà santo che mi fermerà dal prescriverti quei farmaci, ma prima di questa data non ti potrò dar nulla. Siamo intesi?”
Lo specchio rifletteva gli occhi stanchi di una donna che non riusciva a smettere di osservare le mani del suo parrucchiere, quello storico, da cui era sempre andata e da cui ora tornava con tutt’altro spirito.
Aveva delle forbici in mano.
“Scusa se te lo dico, ma questo taglio è proprio femminile. Non faccio fatica a immaginare perché ora vuoi cambiarlo, qua c’è il rischio che ti scambino per una donna, soprattutto da quando hai tolto il pizzetto!”
La risata dell’uomo fu ricambiata da un sorriso forzato.
“Allora, di quanto li vuoi accorciare?”
“Falli come al solito.” La voce le tremava un po’.
“Intendi corti come prima che li lasciassi crescere? Stessa lunghezza di prima?”
“Si.”
Gli occhi osservarono la sua stessa gola che cercava di deglutire invano un intenso groppo che rischiava di farla piangere.
“Sicuro? È un bel salto.”
“Taglia tutto, per piacere.”
La prima ciocca cadde a terra come lama nel suo animo.
“Mi dispiace,” singhiozzò coprendosi il viso con le mani,
“Non posso smettere. Sono un mostro.” Quando Fiorello aveva deciso di fare un salto a casa della sua amica non era quello lo spettacolo che aveva immaginato di trovare. Sul letto erano posati un paio di pantaloni e una maglia maschile, ma lei indossava un grazioso abito a fiori che sottolineava i fianchi e cadeva aggraziato persino sul suo petto, sfortunatamente vuoto.
Si era tagliata i capelli come li aveva un tempo, maschili, cortissimi. Poteva vedere la sottile ombra del pizzetto in ricrescita.
“Te l’hanno detto loro?”
Non rispose. Non diede nemmeno segni di aver sentito. Rimase lì a singhiozzare, seduta al bordo del letto, le braccia morbide e bianche, le gambe nude e liscie che spuntavano dalla gonna fiorita. Si avvicinò a lei.
“Ama, tu non sei un mostro. Non dirlo nemmeno per scherzo. Perché dovresti esserlo? Non hai fatto del male a nessuno, ti sei solo azzardata a voler essere te stessa. Chiunque ti abbia detto il contrario è un segaiolo di merda che non sa cosa voglia dire avere un corpo con cui non stai bene. Non devi azzardarti ad ascoltare certa feccia. Chi è stato? Dimmelo. È qualcuno che conosco?” “Forse sto solo fingendo. Forse è solo desiderio di attenzioni.”
“Se lo fosse non saresti qui a piangere perché ti sei messa un vestito. Rispondimi. Chi è stato?” Aspettò un po’ prima di rispondere. Almeno aveva smesso di singhiozzare, anche se il peso opprimente al petto non si azzardava a sparire.
“Non è stato qualcuno in particolare. Sono stati in tanti. Con lo sguardo, principalmente. La Rai ha detto che non ero adatta ai bambini. Non posso prendere gli ormoni se non tra sette mesi e delle sedute psicologiche in cui devo convincere qualcuno che non sto fingendo, che mi sento davvero così. Rosario, io non ce la faccio più. Hanno detto che se non mi tagliavo i capelli mi toglievano il programma. Non posso continuare così, ma non posso nemmeno tornare indietro. Non so cosa fare.” “Non devi tornare indietro se non lo vuoi. Loro non hanno alcun diritto di decidere della tua vita, Ama, che tu sia un personaggio pubblico o meno. Anzi: il tuo esempio potrebbe essere importante. Molte persone nella tua stessa situazione potrebbero sentirsi incoraggiate a uscire lo scoperto. I loro parenti imparerebbero a supportarle! Non puoi abbandonare adesso. Fallo non solo per te, ma per tutti coloro che hanno bisogno di un esempio.”
“Ho già rischiato la mia carriera una volta. Non posso permettermi di farlo ancora.”
“Vuoi continuare a fingere di essere ciò che non sei per il resto della tua vita? Non credo tu possa continuare a farlo. Non ti permetterò di farlo, questo è poco ma sicuro. Perderai il programma? Non credo, non con gli ascolti che stai facendo. Ti stanno solo minacciando, Ama. A loro rode il culo che tu stia facendo qualcosa al di fuori del loro controllo, ti vorrebbero linda, una macchina che va e fa quello che dicono loro. Scusa, ormai hai anche un po’ di soldi da parte, no? Non rischi di fallire se perdi il programma. Fallo. Se non lo puoi fare tu, chi mai potrebbe?”
“Ma il programma-”
“Ma che vada a farsi fottere, il programma! Stai mettendo una robina del genere davanti alla tua stessa salute, te ne rendi conto? Io non tornerò a chiamarti al maschile perché qualcun altro mi ha detto di farlo, né credo lo faranno gli altri. Solo tu puoi decidere di te stessa. Io ti voglio bene e ti supporterò sempre, qualunque sia la tua scelta finale; però devi promettermi che non farai qualcosa che ti fa star male. Promettimelo.”
Sospirò a fondo. Fiorello non era solo un amico, era il suo angelo custode.
“Ci proverò.”
La concorrente la guardava con l’aria più confusa che avesse mai visto su qualcuno. Era una donna sui quarant’anni, truccata ma non troppo, i capelli castani e l’abbigliamento da persona di provincia. Portava gli occhiali.
“Scusi, come la devo chiamare? Insomma, quando aveva i capelli lunghi alcuni concorrenti usavano il femminile, altri il maschile-ora uso il maschile?” Il cuore perse un battito e cominciò a pompare un po’ di adrenalina, manco fosse in tribunale. Le orecchie presero un leggero colorito rosso.
“È…complicato. La rete vuole che io usi il maschile, ma personalmente preferirei il femminile.”
La donna annuì subito in fretta.
“Oh, certo. Capito. Sa, mia sor-mio fratello ha affrontato un persorso simile, anni fa. So cosa significa. Dunque nel palco la dovrò chiamare al maschile?”
“Grazie per la comprensione. Per le pronunce in trasmissione, signora, mi chiami pure come le viene meglio. Per me non c’è problema. ”
“Perfetto, grazie mille! Sa, però potrebbe truccarsi un po’. Sinceramente poi la preferivo con i capelli lunghi, le davano un’aria più…non saprei. Aggraziata?”
Ridacchiò un po’, contagiando pure lei, che in quel momento provava una gratitudine e una sorpresa così grande che il sentimento rischiava di soppraffarla e farla commuovere.
“Grazie del consiglio. Ne terrò sicuramente conto.”
“Oh, a proposito: adoro lo smalto.”
Il suo sorriso a questo punto era così grande che la bocca cominciava a fargli male.
“Bene, se non sbaglio siamo tutti pronti.” “Non ancora!”
Sabrina la truccatrice si stava sbracciando verso di lei.
“Manca ancora il trucco per te, Ama!” “…Oh, scusate. Torno subito.”
Il trucco fu più lungo di quanto pensasse. Avvertì il solletico della cipria, poi con sua grande sorpresa il sentore di un pennellino più sottile attorno agli occhi, e infine cominciò a intuire quando la punta di una matita cominciò a tracciare il confine dei suoi occhi, seguito dalla cerosità di un rossetto sulle labbra.
“Puoi aprire gli occhi”, e lei li aprì eccome.
Allo specchio c’era un lavoro incredibile. La durezza dei lineamenti era stata ammorbidita e affusolata, gli occhi parevano più grandi, lo sguardo intenso (e ora un po’ commosso- “No non piangere o dovremo rifare tutto d’accapo!”, esclamò Sabrina posandogli le mani sulle spalle) e la bocca era stata ridisegnata in modo che le labbra apparissero più carnose e morbide. In qualche modo era riuscita persino a togliere il segno grigio della barba dalle guance, seppur lasciando intatta la figura curata del pizzetto, che spiccava in modo strano su quel viso truccato, un modo che non era affatto spiacevole, doveva ammettere.
“Abbiamo saputo della cosa che hanno detto alla Rai e non è piaciuta a nessuno qua, quindi abbiamo deciso che tu non andrai mai in onda senza essere il più femminile che la rete permette. Certo, queste puntate andranno in onda tra qualche mese, quando quelle con i capelli lunghi finiranno, abbiamo pure cercato una parrucca quando ti abbiamo visto entrare qualche ora fa, ma temo che per quella dovrai aspettare ancora un po’, perché non siamo riusciti a procurare niente.” “Non dovevate, davvero. Siete delle persone d’oro”, esclamò con la voce sull’orlo del pianto e un sorriso così grande da far bene all’anima.
“Non potevamo non farlo. Allora, sei pronta?”
“Assolutamente.”
“Allora vai pure! E buona fortuna.”
“Non vi ringrazierò mai abbastanza.” “Vai, vai!”
Il corridoio era pieno di volti sorridenti e supportivi, o forse lo erano in risposta al suo, di sorriso, e alle sue spalle dritte e la testa alta, che mostrava quegli occhi profondi e le labbra luminose a tutti i presenti con un coraggio e un orgoglio che non aveva mai provato prima.
La musica che veniva dalle casse sul carro era molto più alta di quanto avesse pensato. Fiorello era più spaesato di quanto cercasse di dimostrare, eppure stava cercando in tutti i modi di integrarsi con i suoi nuovi amici del gay bar che, nonostante non avesse ancora mostrato il viso e rivelato la sua identità, avevano comunque ormai intuito di chi si trattasse, e da quando era andata in onda la puntata in cui aveva i capelli corti erano riusciti a convincerla a partecipare al suo primo, primissimo gay pride.
I capelli erano di nuovo lunghi abbastanza da potersi acconciare in un grazioso taglio corto da signore, cosa che ben si adattava con il grigio sparso tra il castano che non intendeva coprire, sotto consiglio del suo migliore amico.
Indossava una maglia a bretelle con tanto di reggiseno apposito per coloro prive di molto materiale la reggere, quindi appariva che avesse un seno, e la sua gonna larga aveva un grazioso tema floreale su sfondo nero che dava un bel contrasto con le calze a velo scure e le scarpe, comode ma con un piccolo tacchetto, decisamente femminili.
E proprio femminile si sentiva, sopratutto perché nessuno l’aveva scambiata per uomo da quando era arrivata.
“Ti stai divertendo?” le chiese Fiorello prendendola per mano e urlandole all’orecchio a causa del volume della musica. Lei sorrise e cominciò a trascinarlo verso il carro principale. Ignorò le deboli proteste sulla sua forza e  “manco un golden retriver tira così” finché non arrivò abbastanza vicino perché la madrina di quell’anno non la notasse, o almeno, vedesse un Fiorello stremato che urlava e rideva mentre una donna dall’aria familiare un po’ lo tirava per il braccio, un po’ ballava.
“Rosario? Sei tu? Signori, mi è parso di vedere Rosario Fiorello! Un applauso! Vieni su, vieni su!”
Il pubblico subito cominciò a urlare e fare spazio, e questa volta fu Fiorello a trascinarla sino al palco, rossa come un peperone, ma felice come una pasqua.
“Buon pomeriggio a tutti!” esclamò al microfono. Il pubblico prese a fare un coro, e lui si ritrovò a ridacchiare in una maniera che le fece scaldare il cuore. Il suo migliore amico era nato per intrattenere.
“A giudicare da quanti siete qui oggi, direi che di etero qui in città non ne è rimasto più nemmeno uno, eh?”
La guardò e avvolse il braccio attorno alla sua vita. Lei ricambiò e rise con delicatezza, come si addiceva a una signora.
“Sono qui con la mia migliore amica. Una vita che ci conosciamo, eh? Quanto saranno ormai, Venticinque? Trent’anni?” “Trenta e passa, ormai!”
“Trenta e passa, signori! Da trent’anni che la conosco, ma nonostante la sua immensa bellezza non ci ha mai provato con me. Ditelo: non le sta benissimo questa gonna?” Un grido affermativo si alzò dalla folla mentre lei faceva un grazioso inchino tenendo i lembi della gonna e piegava le gambe divertita. Fiorello era davvero il suo angelo custode.
“Un applauso per la mia amica, e un altro per tutti voi! Viva gli strani, abbasso la normalità, ma che schifo è? Etero, poi come si dice una persona che non è tr-come scusa? Cis? E cos’è, la Gallia Cisalpina? Dicevo, etero, cis, ma che noia! Ma non è meglio avere qualcosa di particolare di cui parlare? Dico, se la mia amica qui fosse un uomo dovremo fare i soliti discorsi da maschi, ma che tristezza! E lo sport, e le donne, e questo, e quest’altro, e alla fine si finiscono gli argomenti! Invece qua noi parliamo- beh, parliamo lo stesso di queste cose, ma è molto più divertente perché, si sa, le donne non sanno niente di calcio! Si scherza, si scherza”, si corresse subito appena lei  minacciò di tirargli uno schiaffetto sul collo, seppur non riuscisse a smettere di ridere.
“Con questa mascherina pari Myss Keta, la cantante, lo sai?”
Ricominciò a ridere copiosamente. Era impossibile stare offesa con lui, persino per finta.
“Com’è che fa, la canzone, ‘siamo le ragazze di porta Venezia…’ ”
Il pubblico cominciò a cantare in coro.
“Ecco, esatto, proprio quella! Altro che ragazze, qui c’è di tutto! Qua, lei signora, che cos’è? Drag queen? Donna? Uomo? Chissenefrega? Come, scusi? Eh? Enbi? Cos’è Enbi?” La madrina gli disse qualcosa all’orecchio.
“Non ha un genere? Madonna ragazzi, siete troppo avanti voi. Di nuovo un applauso a tutti voi, che siate maschi, femmine, trans, drag queen e Enba, Enbi, quello che è! Mi raccomando, continuate a farvi sentire!”
L’applauso risuonò per le vie di Roma amplificato dalle strade laterali in modo così avvolgente da sovrastare la musica.
L’estate era volata via fin troppo in fretta. Rosario era coricato nel suo letto e si godeva la leggera brezza che entrava attraverso la finestra. Era vestito da casa.
Ultimamente si presentava a sorpresa a casa sua sempre più spesso, e restava a parlare, o anche semplicemente passare un po’ di tempo assieme, mentre lei si pettinava i capelli, ora lunghi abbastanza da arrivare quasi alle spalle, o si metteva lo smalto, o provava qualche nuovo vestito. Questo almeno nei giorni produttivi, perché la maggior parte delle volte erano semplicemente coricati l’uno di fianco all’altra ad assaporare il leggero vento di Roma che passava a lenire il caldo. Non c’era nemmeno bisogno di parlare.
“Sai cosa pensavo l’altro giorno?”
Fiorello la fissava con affetto. Lei sorrise.
“No, cosa?”
Lui cominciò un sorriso e allungò la mano verso la sua, forse per dare enfasi alla risposta che stava per dare, forse ancora come semplice gesto di amicizia.
“Non so se sia perché stai migliorando con la questione del femminile, ma mi pare che ogni giorno diventi sempre più bella. È da gay dire che sei bella?”
Quasi arrossì per il complimento.
“Perché dovrebbe essere gay? Sono una donna.”
Fiorello fece una certa faccia pensosa, poi sorrise piano, gli occhi neri puntati verso il suo viso con mordidezza.
“Una donna molto bella.”
Questa volta arrossì senza il quasi.
Novembre era un buon mese per tante cose. L’inverno cominciava a far sentire più forti le sue spire, persino in una città dal clima relativamente mite come Roma. Era notte.
Il bar era affollato come suo solito. La porta si aprì, il barista girò casualmente il viso, attirato dal rumore e dal movimento, e si gelò, sorpreso. Mise su un enorme sorriso incredulo e corse a chiamare quanto più personale potesse. Ben presto tutti i presenti, incuriositi da tutto quel trambusto, si girarono verso i nuovi arrivati.
Fiorello attirava sempre attenzioni, ma per una volta non era lui ad attirare gli sguardi. Accanto a lui, con i capelli ormai lunghi e ben acconciati che facevano da cornice a un trucco che ben si adattava ai suoi lineamenti e un abbigliamento elegante, seppur caldo abbastanza per il clima di quei giorni, c’era la conduttrice televisiva fino a poco tempo nota con un nome che ora preferiva dimenticare.
Fu la direttrice del bar in persona la prima a gettarle le braccia al collo.
“La mascherina, finalmente hai tolto quella dannata mascherina!” esclamò tra le lacrime mentre la nuova arrivata ricambiava l’abbraccio con tutto l’affetto possibile.
Non pensava si sarebbe mai sentita abbastanza sicura con sé stessa da fare una mossa del genere. Un anno prima aveva a malapena su uno smalto trasparente, come poteva immaginare che fosse solo l’inizio di qualcosa di così grande e incredibile? Il suo programma non solo non era stato sospeso come avevano minacciato perché i suoi ascolti erano  aumentati, ma la fascia d’età leggermente ringiovanita e i concorrenti erano diventati molto più vari e particolari, perché con una conduttrice dai lunghi capelli ma il solito completo blu dall’aria maschile (accordo fatto con la sartoria e le varie aziende coinvolte nella stesura del programma) faceva sentire tutti più accettati e rilassati.
Per strada raramente accadeva che sbagliassero ancora il suo genere, senza contare che coloro che di solito lo facevano erano avanti con l’età o dall’aspetto poco sveglio, cosa che le donava una fiducia nell’umanità che non pensava di aver potuto mai recuperare dopo la chiusura che gli era parso di notare agli inizi.
Era, insomma, ora di uscire dall’armadio.
“È strano poter parlare liberamente senza avere nulla in bocca”, disse mentre scioglieva l’abbraccio con la direttrice e iniziava quello con una delle cameriere che conosceva meglio. Peccato che il primo che avesse conosciuto in quel posto ormai non lavorasse più lì, ma si sa, la vita va avanti, e in ogni caso gli augurava solo cose belle.
“Dì pure che è strano poter parlare liberamente” disse qualcuno con un forte accento napoletano.
La voce era estremamente familiare per qualche motivo. Si girò e capì il perché: una donna particolarmente alta indossava una mascherina molto simile al quella che un tempo aveva indossato lei. Era stata proprio quella donna, migliaia di anni prima, ad averle offerto quella prima di colore verde (almeno per quanto potesse intuire, visto che non vedeva quel colore e supponeva che le mascherine marroni con paillettes non fossero molto comuni).
“Tu!” esclamò puntandole un dito contro,
“Sei stata tu a darmi la mascherina la prima volta!”
La donna fece spallucce.
“Io? Oh, può darsi. Offro mascherine a tutte le persone che preferiscono tenere la loro identità nascosta, quindi può essere.” Pensò di ringraziarla, correggerla e spiegarle quanto l’avesse aiutata nell’accettazione poter nascondere il proprio viso a piacimento, ma non fece in tempo: la donna sparì così com’era apparsa, tra la folla che ormai li circondava.
Certe persone erano proprio destinate a non essere che comparse senza nome. Certo, era brutto pensarlo, eppure era anche estremamente vero.
Guardò alla sua sinistra. Fiorello aveva gli occhi puntati sui suoi con un affetto così profondo, ma così profondo, che improvvisamente si accorse di essere innamorata di lui.
“Allo’, si è fatta una certa. Forse è il caso di andare a casa.” Rosario era bello persino quando il suo viso sbucava appena da una grossa sciarpa nera e un basco grigio, e si stringeva le mani compiaciuto e un po’ nervoso in quel modo che gli era tipico almeno quanto la sua vena comica.
Si avvicinò a lui. Dopotutto quella sera dentro al bar si era presentata con la sua nuova identità per la prima volta ad almeno un centinaio di persone: cosa la poteva più fermare?
“Casa mia o casa tua?” scherzò (ma nemmeno troppo) mentre gli solleticava il mento. Lo sguardo del suo migliore amico pareva non scherzare affatto.
“Mi sembra un po’ presto per quello.”
La sua voce era profonda e nervosa. Le stava fissando le labbra? Si riscosse e allontanò il viso da lei, quasi ci avesse ripensato. Le diede un buffetto sul braccio.
“E poi com’è, ora che sei donna ti piacciono gli uomini? Perché ricordo bene che per le donne avevi una…evidente reazione!”
Scoppiarono a ridere e lo minacciò scherzosamente con dei finti pugni.
“Non si dicono queste cose davanti a una signora!” esclamò tra le risate. Fiorello la prese per le braccia e la guardò con intensità, o forse era solo il suo sguardo ad essere naturalmente intenso e lei stava vedendo cose che non c’erano. Entrambe le cose?
“Signora, signora, e intanto non mi hai ancora risposto.”
Forse ciò che vedeva nei suoi occhi era più semplice nervoso. Esitò un attimo e distolse lo sguardo.
“Non ho mai pensato troppo a cosa avessi davanti mentre mi innamoravo. Se mi piaci mi piaci. Mi innamoro delle persone”, fece una breve pausa, “Non mi importa del sesso.”
Scoppiò a ridere da sola, una risata un po’ nervosa che ben s’intonava con il viso arrossito. Fiorello non distolse lo sguardo da lei.
“Quindi ti piacciono anche gli uomini?”
“Si. Anche prima di…di quest’anno.” “Perché non me l’hai mai detto?” Lo sguardo le scivolò sui piedi.
“Non è facile. Pensavo che tu avresti reagito male. Sai, se hai un amico a cui piacciono gli uomini di solito hai paura che ci provi e ti allontani un po’. Volevo evitare.”
Fiorello annuì e la prese a braccetto, poi la invitò a seguirlo nel fare una passeggiata nei dintorni. L’atmosfera era elettrica, piena di potenzialità e sottintesi ancora troppo nascosti da poter essere anche solo intuiti. Era una serata particolare, dopotutto.
“È per quello che non mi hai mai detto di te e Biagio?”
Il cuore le piombò a tanti anni prima. Tra lei e Biagio c’era sempre stata della tensione fin dai tempi del Festivalbar. Tensione che si era risolta una di quelle lontane estati, dietro un vicolo, tra un muro sudicio e il calore dei loro corpi che si confondeva con quello della notte di un paesino di provincia.
Avevano provato a mantenere una relazione, ci avevano provato davvero. Biagio era troppo impegnato con concerti e dischi, lei doveva tenere il voto di riservatezza a causa del suo lavoro; avevano dovuto interrompere, seppur si amassero ancora. Per fortuna erano rimasti buoni amici.
“Chi te l’ha detto?”
Fiorello sorrise amaramente.
“Lui stesso una quindicina d’anni fa. Era ubriaco e faceva commenti incredibili su una marea di cose, ad un tratto il discorso è caduto su di te, ha detto che non poteva dirmelo e invece me l’ha detto. Assieme a troppi dettagli sui vostri…uhm…chiamiamoli incontri intimi. Certe immagini non vanno via facilmente.”
“Ti ha detto anche d-”
“Si, mi ha parlato anche degli ‘incontri intimi’, ascoltami quando ti dico le cose. Quelli dopo che vi siete lasciati. Se non sbaglio era da un po’ di mesi che non ti vedeva quando l’ho incontrato, era abbastanza giù di morale. Fate ancora…?”
“Abbiamo smesso quando si è fidanzato con Paola.”
“Oh. Bene. Quindi nel…”
“2004.”
“Oh. Pensavo che aveste continuato, sai. Non lo facevo un tipo fedele.”
“Lui voleva continuare, sono io che ho messo un punto. Non potevamo andare avanti così all’infinito, no?”
“E lo ami ancora?”
Lo fissò con l’aria più scettica del mondo e ridacchiò.
“È stato quasi vent’anni fa. Ormai è passata alla grande.”
“Comunque c’è una cosa particolare che m’ha detto, qualcosa che proprio mi è rimasta in testa e te la devo dire.” “Che cosa?”
“Non ti facevo attivo.” “Cioè?”
“Beh, mi ha detto che non eri tu a prenderlo in paniere, per dirlo elegantemente. Tra i due. Lui era la donna. Aspetta, nel senso che lo prendeva, non nel senso che- insomma, hai capito”
“In realtà facevamo a turno.” “Si, ma lui lo prendeva di più.” “Perché ti interessa così tanto questa informazione? Lo vuoi prendere anche tu? Lo vuoi dare? Vuoi qualche consiglio? Cosa vuoi?”
Fiorello parve voler dire qualcosa, ma rideva così tanto che non poté farlo. Lei si unì alla sua risata, e di nuovo furono due amici che si divertivano soli nella notte novembrina, le nuvolette dei loro fiati che saliva verso i lampioni.
“Da una bella donna, magari, lo prenderei volentieri”, esclamò Fiorello guardandola eloquentemente.
“È una provocazione?”
“È una constatazione.”
Girarono l’angolo e cominciarono a tornare indietro, verso il parcheggio. Non sentivano più nemmeno il freddo.
“Se una bella donna ti chiedesse un bacio, invece?” La voce le saltò un po’ dal nervosismo. Diamine, gli aveva appena detto di essere attratta dagli uomini. Forse pretendere un bacio da lui era troppo. Eppure, pensò tra le righe, eppure non si sarebbe certo tirata indietro, se Fiorello avesse dimostrato quell’intenzione.
“Dipende tutto da chi me lo chiede. Lo sai quante malattie si possono trasmettere con un bacio? Metti che te lo chiede una figa che ha una malattia strana in bocca, te la contagia e tu come rispondi? ‘E ma era figa’? Però se me lo chiedesse una persona che conosco e di cui mi fido, allora non avrei alcun problema. Per esempio: se me lo chiedessi io accetterei. Per dire.” “Anch’io accetterei. Se fossi tu.”
Fiorello si fermò, si spostò davanti a lei e la guardò con un’aria indefinibile, il viso a pochi centimetri dal suo.
“Io dico seriamente.”
“Anch’io.”
La pausa fu brevissima. “Ti andrebbe di provare?”
Annuì. Bastò perché lo sguardo di lui si spostasse alle sue labbra lucide di rossetto, portasse delicatamente la mano alla sua guancia e si avvicinasse, un po’ nervoso, un po’ sicuro, e ancora un po’ naturale, perché la loro vicinanza passata rendeva l’esperienza estremamente familiare, seppur fosse una prima volta. Il bacio fu una delle sensazioni più belle della sua vita.
Sabrina la richiamò in sala trucco così in fretta che quasi non ebbe il tempo di poggiare la borsa in camerino.
“È successo qualcosa?”
La truccatrice cominciò a rimestare qualcosa in una piccola scatola la cui visione le era preclusa, per quanto cercasse di allungare il collo.
“Cos’è?” chiese con un sorriso che andava allargandosi sempre di più. Sabrina l’aveva aiutata non poco agli inizi, dopotutto. Aveva imparato molto presto a fidarsi di lei.
“Niente di che. Solo un pensierino per Natale.” Finalmente si girò con quella che pareva una minuscola valigetta di plastica nera e gliela porse.
“Non ho fatto in tempo a impacchettarlo per bene, mi è arrivato solo oggi.” Guardò ancora l’oggetto. Era più pesante di quanto avesse pensato.
“Beh?”
Guardò Sabrina con aria interrogativa. Doveva fare qualcosa?
“Non lo apri?”
“Oh, pensavo di aprirlo a Nat-” “Ma no, io a Natale mica ci sarò! Voglio vedere la tua reazione. Apri, apri!”
Intanto si era creata una piccola folla attorno alla porta, che sia lei che la truccatrice avevano inaccuratamente lasciato aperta. Pareva più lasciata aperta apposta in realtà, perché tutti i presenti avevano la faccia di chi sa bene di che regalo si tratta e vuole vedere la reazione.
Aprì delicatamente la valigetta.
Una sfilza di polveri colorate ricambiò il suo sguardo stupefatto.
“Oh. Oh…!”
Guardò Sabrina, poi la massa di persone sulla porta che sorridevano come diavoli, di nuovo Sabrina e infine la valigetta di trucchi intonsi.
“Ho provato a scegliere la tua tonalità migliore, sai? Questi in teoria sono professionali, ma non credo avrai problemi particolari a usarli con i miglioramenti che hai fatto in questi mesi. Ora ti trucchi molto meglio di alcune persone che conosco e lo fanno dall’adolescenza, sai?”
Non aveva abbastanza parole per ringraziarla, quindi spalancò le braccia e la avvolse con forza, rischiando nel frattempo di spargere il prezioso contenuto della valigetta per terra.
“Grazie per tutto”, le sussurrò all’orecchio mentre la stringeva, una mano sulla sua schiena e l’altra a tenere a stento il regalo.
“È stato un piacere”, rispose Sabrina con le lacrime agli occhi.
Lo studio si illuminò alla presenza di Fiorello che emergeva dalle quinte, tra il pubblico, e andava a schioccare un buon bacio sulle labbra pitturate della sua compagna.
“Scusate, scusate l’intrusione, eh! Nessuno sapeva che sarei venuto, nemmeno lei!”
La conduttrice rise di gusto e unì le mani in un unico applauso di confusa gioia. Non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma adorava le sorprese che Fiorello continuava a riservarle dall’inizio della loro sudata relazione.
Era aprile dopotutto, stavano ufficilamente insieme da appena cinque mesi, seppur si conoscessero da una vita, cosa che rendeva il dato abbastanza inaffidabile, ora che ci pensava.
“C’è un motivo particolare se sono qui oggi. Ecco, tra l’altro: devo ringraziare la splendida regia che mi ha permesso di venire qui a rompere le…spalle, ho detto spalle! Per fare questa cosa, ecco, volevo che fosse un po’ speciale, e quale posto più speciale se non il programma della mia donna preferita?”
Si avvicinò a lei, che gli schioccò un altro sonoro bacio, ma questa volta sulla guancia, poi si allontanò di nuovo e si rivolse subito verso il pubblico, gli espressivi occhi neri che scrutavano nervosamente attorno a sé.
“Che dite, lo faccio? Perché è una cosa particolare, qui non si torna indietro.” “Ma cosa vuoi fare?” chiese sistemando automaticamente una ciocca ribelle sulla spalla. Quando Fiorello era attorno a lei non riusciva proprio a smettere di ridere.
“Lo faccio, lo faccio.” Fiorello si girò di scatto verso lei. Con movimento fluido scese in ginocchio, e con altrettanta delicatezza afferrò un piccolo oggetto dalla tasca della giacca.
“Ama, so che forse è un po’ troppo presto- no, forse è un po’ troppo tardi, c’abbiamo sessant’anni, se non ci sbrighiamo non lo facciamo più, insomma.”
In mano teneva una scatolina di colore blu. Il suo cuore perse un battito, ma lo sguardo di Rosario non esitò un istante.
“Ama, all’anagrafe Rita (ti devo chiamare così in questa occasione? Credo sia il caso, si), Rita, ti andrebbe, se te la senti, ti sposarmi?”
Il pubblico trattenne il fiato. La regia e i tecnici pure.
L’anello brillava in filigrana d’argento come una goccia d’acqua al sole sotto le potenti luci dello studio. Annuì.
“Quindi mi sposi?”
Annuì di nuovo, questa volta con gli occhi pieni di lacrime e il sorriso più morbido che avesse mai fatto.
“Dillo a voce.”
“Si, Rosario. Certo che ti sposo.”
La commozione nella sua voce era tale da provocare un immenso torrente di applausi da parte di tutto lo studio.
Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare un’altra occasione in cui aveva mai abbracciato qualcuno in quel modo.
La spiaggia era deserta e il clima torrido come doveva essere a luglio inoltrato, merito del clima mediterraneo, anche se mitigato da morbide raffiche di maestrale in modo da non essere insopportabile.
Gli unici presenti erano gli invitati esclusivi a quel particolare matrimonio. Per l’occasione si erano chiusi gli accessi pubblici alla spiaggia, in modo da dare riservatezza all’evento; gli invitato totali non raggiungevano le cento unità.
I due sposi, un uomo abbronzato in uno smoking elegante e una donna dal trucco leggero, i capelli raccolti e un timido seno ben raccolto dal vestito bianco, seno tanto agognato e finalmente ottenuto con la sua terapia, particolarità che mostrava con orgoglio rivolta verso il suo sposo.
La firma delle carte, lo scambio delle fedi, il bacio, l’applauso finale, il pranzo e la festa nella villetta con giardino, tutto fu meraviglioso, tanto che le era impossibile scegliere un momento che spiccasse tra gli altri. O forse si: quando durante il taglio della torta Rosario aveva trovato il modo di mettersi un po’ di panna nel mento, e lei si era avvicinata a leccargliela via; quello era stato forse il momento più bello.
Eccola ora, mentre ondeggiava piano in un lento con il suo migliore amico, la persona che meglio conosceva, ma quasi gli pareva di conoscere a malapena, in quell’istante, con quel suo sorriso dolce e gli occhi scuri fissi sui suoi, felici e stanchi come lei.  
Posò il telefono con riverenza. L’enorme sorriso dipinto sul suo volto doveva parlare da sé, perché Rosario non le chiese niente: si limitò a darle un lungo, lunghissimo e appassionato bacio.
“Condurre Sanremo. Te ne rendi conto? Io, che ho iniziato a prendere ormoni nove mesi fa, io, condurre Sanremo.”
“E perché, ci volevi su qualcun’altro? Te lo meriti, Ama. Te lo meriti con tutta te stessa. Sai che sei una delle poche donne ad averlo condotto? Pensa a quanto tu abbia fatto per tutta Italia. Pensa a quanto tu sia importante per tutti, per primo per me, e poi baciami tanto, che se gli altri hanno bisogno di te, immagina quanto io ne ho di te!”
Rise di gusto. Cosa diavolo stava dicendo il suo fidanzato?
“Fiore, niente di quello che hai detto ha un senso logico”, ridacchiò ancora abbracciandolo stretto.
“Ha importanza?” rispose il suo Rosario lasciandole un morbido bacio sulla fronte.
“È da due mesi che sei mia moglie. Ricordi le promesse? Dovrai sorbirti i miei discorsi senza senso per tutta la vita!”
“Lo farei anche per tre vite, se potessi.”
“Guardate ragazzi, l’ospite di oggi è una persona così buona e così speciale che quasi mi commuovo a vederla entrare, scusate, sapete che ho la lacrima facile, io! Ha una storia meravigliosa di accettazione senza nessuna precedenza prima, qualcosa che si merita completamente, perché questa persona è davvero la cosa più affettuosa che io abbia mai conosciuto- pensate, prima mi ha fermato dietro le quinte e mi ha chiesto se poteva indossare i tacchi, perché sarebbe apparsa molto alta e mi avrebbe fatto sentire una nanetta, a me che diciamo non è che sia proprio bassottina, ecco. In ogni caso, probabilmente avete già capito di chi si tratta, dai, si è pure sposata da poco, in spiaggia in Sardegna, voi direte: e minc…! E io vi dico: dovevate venire, c’era un vento ragazzi, un vento che non faceva a stare! Ma è stata una cerimonia splendida, si vedeva proprio che c’erano due persone davvero innamorate l’uno dell’altra. Sto divagando, scusate. Anche perché poverina, è lì dietro le quinte che aspetta solo di entrare, e io invece sono qua a chiacchierare da sola come una pazza. Ve la annuncio? Eccola che arriva, un applauso alla regina del preserale, Ama!”
“Salve a tutti, salve!”
“No, no, aspetta prima di sederti, vieni qui che ti devo abbracciare un pochino, eh!”
Gli abbracci di Mara Venier erano proverbiali nel giro degli studi televisivi non senza valida ragione; se poi si considerava che ora erano in qualche modo imparentati, visto che era la migliore amica d’infanzia di suo marito, allora si può ben immaginare il tipo di abbraccio che ricevette.
“Ecco, così! Ma quindi alla fine ti sei messa i tacchi lo stesso!”
“Si, prima mi hai detto che-”
“Ma certo che sei davvero alta, sai? Non per tirare fuori la storia che prima eri uomo e cose simili, ma quanto sei alta? Che poi, solo due anni fa ti vedevamo in televisione coi capelli quasi a zero e il pizzetto che fa tanto musicista single, e guardati ora, fattelo dire tesoro, sei uno splendore!”
“Grazie Mara, ricambio volentieri.” “Eh, ormai qui si invecchia! Ma dimmi piuttosto: hai qualche notizia di Sanremo? Perché sai, ci sono voci molto contrastanti sulla conduzione o meno, con alcuni che dicono che a condurlo sarai tu, altri che dicono ‘eh no ma non lo farebbero mai, ora che è una donna’, hai presente?” “Si, si, ho letto qualc-” “Ecco, allora, visto che sei qui, ora, dacci qualche conferma, un minimo di notizia, qualcosina per capire meglio, ti va? Puoi?” “Si, ora finalmente posso parlarne.” “Oh! Finalmente! Io ragazzi ve lo devo dire: lo so già. Perché si sa, le notizie girano, anche qua in studio qualcosa è arrivato, com’è normale ragazzi, ora non bisogna farne una tragedia. Quindi?”
“Quindi-” “No, aspetta, fallo come se fossi al tuo programma, come si chiama, I-I Soliti Nascosti”
“Ignoti”
“Si, esatto, fammi un bel primo piano- ecco, hai un viso così pulito, sai quante donne vorrebbero avere una pelle come la tua? Perfetto, allora, cos’è che devo dire? Insegnami un po’, devo dire-”
“Allora, tu dici ‘Per- che ne so, trentamila euro?- per trentamila euro, signora Rossi, è lei che conduce Sanremo?’”
“Okay, perfetto, ho capito. Allora. Per trentamila euro, signora Ama, è lei che condurrà la prossima edizione di Sanremo? Abbiamo la musichetta? Oh, eccola, la abbiamo la musichetta!” Rise un po’, in barba al gioco reale, dove la persona inquadrata deve cercare di stare il più ferma e zitta possibile. La musichetta finì e arrivò il momento di rispondere.
“Si, sono io che condurrò Sanremo VentiVenti.”
“Buonasera e benvenuti a questa settantesima edizione del Festival di Sanremo!”
Non poteva negare di sentirsi un po’ a disagio in quell’elegante completo maschile, seppur rimodellato in modo da non nascondere completamente le tanto faticate curve. Portava i capelli raccolti in una complessa acconciatura ornata da piccole margherite selvatiche e un trucco leggero, quasi invisibile se una persona non voleva soffermarcisi troppo, ma abbastanza presente da illuminarle il viso e rendere i suoi tratti più femminei.
Faceva tutto parte della scelta dei costumi. La prima serata aveva l’abito più maschile, la quinta avrebbe usato il più lungo e femminile, con capelli ornati da fiori man mano sempre più vistosi; così avevano deciso gli stilisti, e lei non poteva dire di essere in disaccordo, perché era un buon modo per omaggiare il lungo percorso che l’aveva portata sino a quel punto.
Ciononostante era un po’ nervosa. Un conto era presentare il suo programma, dove con gli anni si era venuto a creare un ambiente domestico persino con i suoi spettatori, che non solo non avevano accennato a diminuire, ma addirittura erano aumentati da quando aveva iniziato il suo cambiamento. Un’altro era realizzare il suo sogno di una vita e condurre una delle più importanti manifestazioni musicali dell’intero Paese.
Fiorello l’aveva aiutata non poco. La sua sola presenza aveva il potere di calmarla, e la sua introduzione di quella sera, quando lui si era presentato sul palco vestito da Don Matteo, era stata come al solito fenomenale. Non che avesse qualche dubbio, visto che lo conosceva ormai da abbastanza tempo da non poter dubitare in alcun modo delle sue capacità intrattenitive.
Guardò davanti a lei.
Il pubblico senza volto era oscurato dal contrasto creato dalle luci sul palco. Le telecamere fissavano irrefrenabili come occhi affamati.
Era il momento di soddisfare quella fame.
Rivolse una breve occhiata al gobbo, fece un rapido calcolo dei tempi, sistemò le mani ordinatamente davanti al busto e cominciò a vivere.
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levysoft · 6 years
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[...] Da anni si allena sulla velocità insieme all’amico John Carlos, duecentista e newyorkese come lui, che insiste: il segreto è la rincorsa. «Lo sai come fanno gli aeroplani a volare, Bob? Prendono velocità». Lo sa bene Bob Beamon, che è tranquillamente in grado di correre i 100 metri in 10 secondi. Ma la potenza è nulla senza controllo, dirà una famosa pubblicità di qualche decennio dopo, e allo stesso modo Beamon finisce spesso per andare lungo oppure regalare 20-30 centimetri alla pedana. Ciononostante, anche senza allenatore, rimane il lunghista più forte del Paese, capace di vincere quasi tutte le gare del 1968 e arrivare da favorito ai Trials, previsti dal 6 al 16 settembre.
Com’è noto, a Città del Messico si gareggerà in condizioni atmosferiche eccezionali, dettate dall’altitudine di 2.248 metri che minaccia di incidere molto nell’atletica e nel nuoto. Gli americani ritengono che le Olimpiadi si preparino meglio se le selezioni avvengono a Echo Summit, località ignota al confine tra Nevada e California, sulle sponde del Lago Tahoe, là dove l’altitudine è quasi identica alla capitale messicana, in una coreografia naturale irripetibile, in cui l’anello dei 400 metri di pista gira letteralmente intorno a un bosco di pini. I saltatori in lungo gareggiano in condizioni che rendono le misure del tutto irrilevanti: Beamon vince arrivando fino a 8 metri e 39, che sarebbe record del mondo, ma non con 3,2 metri di vento a favore… Ma il Messico è realtà, per lui e per i suoi compagni Boston e Charles Mays.
L’altitudine è un altro degli aspetti che rendono i Giochi di Città del Messico unici nel loro genere. Col senno di poi si tratta di una follia, peraltro ripetuta due anni dopo con i Mondiali di calcio che anche per questo daranno vita a partite indimenticabili (su tutte la massacrante semifinale che ben conosciamo). L’ossigeno è inferiore del 20% rispetto a una città pianeggiante; la stessa quantità di aria respirata satura l’emoglobina del 7% in meno e il battito cardiaco accelera con esiti nefasti per le gare di lunga distanza. A domanda precisa, «quanto ci metterà un atleta medio ad abituarsi ai 2.200 metri?», il dottor Roger Bannister (mezzofondista britannico anni Cinquanta e poi affermato neurologo) risponde lapidario: «Venticinque anni».
Breve compendio medico di Città del Messico 1968: la nigeriana Olajiunmoke Bodunrin finisce in ospedale dopo la batteria dei 400 metri; la nuotatrice australiana Karen Moras, 14 anni, si sente male in acqua e viene prontamente ricoverata; l’americano Mike Burton, oro nei 400 e 1500 stile libero, sviene in ascensore; l’australiano Ron Clarke, tra i favoriti nei 10mila metri, letteralmente si pianta a tre giri dalla fine, arrivando al traguardo solo per onor di firma.
Bob Beamon
Il mistero Beamon tiene banco tra i professori statunitensi già da qualche anno. È un totale autodidatta, salta di puro istinto, ha doti naturali prodigiose ma nessunissimo autocontrollo, diametralmente opposto allo stile raffinato di Boston o ai salti del marpione ucraino Ter-Ovanesyan, progettati in laboratorio. La sua vita ne giustifica la tecnica artigianale: [...] Il dubbio che la vita l’abbia condannato a essere un buono a nulla serpeggia minaccioso fino al 1962, in quello che deve sembrargli il giorno più bello dell’esistenza passata e futura: a 15 anni salta 7 metri e 34, vince la gara del salto in lungo alle Junior Olympics di New York e scopre di poter combinare qualcosa di utile. È un buon proposito che mantiene regolare negli anni successivi, quando arriva al metro e 89 di altezza e diventa il portento della natura ammirato in tutti gli States
[...] Alle 15:49 Bob Beamon ripassa meccanicamente il protocollo di ogni buon salto della sua vita. Chiude gli occhi per un istante, un bel respiro e si parte. Prima di staccare sono necessari diciannove passi ben calibrati, lunghi, a velocità crescente – l’aereo di John Carlos, no? – ma trentotto chilometri all’ora sono una punta mai raggiunta da nessun saltatore in lungo della storia, neanche da Jesse Owens. Beamon – l’ha ripetuto più volte lui stesso – non pensava a nulla durante la corsa: se ci fosse riuscito, si sarebbe spaventato lui per primo. 
Userà un giro di parole efficace: «Mi sentivo come in un episodio di Twilight Zone», la famosa serie televisiva di storie verosimili che sconfinano nel fantascientifico, un Black Mirror degli anni Sessanta (in Italia è nota con il titolo “Ai confini della realtà”). Arrivato a diciannove passi Beamon stacca e decolla, senza avere il tempo di capire se il salto sia valido o no. Ora bisogna salire, camminare nell’aria, viaggiare quasi, arrivare fino a 178 centimetri d’elevazione in meno di mezzo secondo, ma cosa succede?, quanto lontano sto andando?, e sempre di più, con le gambe lunghissime che quasi escono dai vestiti, un ultimo slancio con il bacino, il braccio destro proteso in avanti, il braccio sinistro ad attivare le procedure di atterraggio. E poi giù, come un palazzo che implode: il corpo si rannicchia su sé stesso, le Adidas bianche affondano nella sabbia, anche se il fondoschiena non resiste alla gravità e dà una veloce spazzolata alla sabbia, lasciando il segno. Dannazione, ci avrò lasciato almeno dieci centimetri. Un occhio verso i giudici: bandiera bianca, il salto è buono. È molto buono.
I litri di adrenalina che attraversano le viscere di Bob Beamon gli consentono persino un altro paio di saltelli da canguro mentre si tira su, soddisfatto innanzitutto per aver evitato il nullo. Non è affatto pratico col sistema metrico decimale ed è rassegnato a chiedere la traduzione in piedi e pollici della misura – speriamo almeno 27 piedi! – che comparirà tra qualche secondo sul tabellone.
Per questi Giochi hanno installato un sistema di rilevazione elettronica, posizionato su un accrocchio che corre parallelo alla pista, fino a circa 8 metri e 60: ma c’è un intoppo. Beamon è andato troppo lungo. I giudici in giacca rossa si danno un gran daffare per procurarsi uno strumento manuale, una bindella, magari anche un metro da sartoria. Appena atterrato dalla Luna con dieci mesi d’anticipo sulla concorrenza, Beamon incrocia gli sguardi sbalorditi degli altri terrestri. Guarda avvicinarsi Boston, Davies, Ter-Ovanesyan, e non capisce se vogliono congratularsi oppure ammazzarlo. È il monolite nero di 2001: Odissea nello spazio fattosi uomo. Insieme passano venti lunghi minuti a guardare gli ufficiali di gara tentare la traduzione in cifre di quel volo impossibile. Il tempo si è fermato, si sentono appena le prime gocce di pioggia.
Poi arrivano i numeri, e quei numeri urlano: otto punto nove zero. Gli europei in gara hanno già capito. Beamon non ancora, deve pensarci Boston. «Hai saltato più di ventinove piedi, non è possibile. Ci hai uccisi tutti». Le foto e i filmati lo ritraggono come fulminato da questa notizia: si accascia su sé stesso, sembra urlare di dolore. Forse sta pagando solo adesso il conto dello sforzo appena effettuato, come un ubriaco che si sveglia in botta il mattino dopo. Forse per saltare otto metri e novanta serve una forza di quelle che strappano i muscoli e rompono le ossa. Qualche mese prima, ai Giochi Invernali di Grenoble, il sovietico Vladimir Belusov aveva conquistato l’oro nello ski jumping con un ultimo salto prodigioso. Mentre stava esultando, era stato colto dalla stessa crisi, che la scienza chiama “attacco cataplettico”: chi ne soffre perde il controllo dei muscoli e cade a terra, ma rimane sempre cosciente e vigile. Un deliquio passeggero, che dura meno di un minuto, strettamente legato a un momento di immane stress psico-fisico.
La performance di Beamon non ha precedenti nella storia dell’atletica leggera. C’erano voluti 38 anni per passare lentamente dall’8.08 all’8.35 del vecchio record; in cinque secondi Beamon ha piazzato l’asticella oltre mezzo metro più avanti. Non esiste. È come se domani sui 100 metri un alieno abbassasse il record di Bolt da 9”58 a 9”10. Il matematico Donald Potts quantificò in un 4% abbondante l’aiuto di altura e vento a favore e giunse a stabilire che, a vento nullo e al livello del mare, Beamon avrebbe saltato 8.56, comunque record. Qualcun altro eccepì sull’anemometro che segnava esattamente due metri a favore, asserendo che bisognava ricalibrarlo alla luce degli oltre duemila metri d’altitudine: un centimetro di più e il record non sarebbe stato omologato.
La finale perde ogni motivo d’interesse, e le cronache si riempiono soprattutto delle parole di sconforto degli avversari. «Io non posso continuare», argomenta il campione uscente Davies, «faremmo tutti la figura degli scemi» – finirà mestamente nono. «In confronto sembriamo tutti dei bambini», dice amaramente Ter-Ovanesyan. Come se ci fosse bisogno di sottolineare la dimensione ultraterrena di ciò che è appena successo, riprende a diluviare. Ripresosi a fatica, Beamon si concede lo sforzo a quel punto sovrumano di un secondo inutile salto, poco più che normale (8,04), prima di diventare un semplice spettatore del proprio capolavoro.
E adesso?
Gli ronza già nella testa quel pensiero che sarà l’urlo silenzioso che gli farà compagnia per i mesi a venire: e adesso, come si fa a continuare? Come si può volare ancora, anche se volare è tutto ciò che sa fare? [...] Ma non finirà in malora come tanti altri atleti maledetti. [...] Beamon si laureerà in sociologia nel 1972 all’Adelphi University di Long Island, diventerà tecnico, consulente, conferenziere, uomo immagine, membro di infinite Hall Of Fame.
[...] Inconsapevole del tesoro che aveva nella Nikon, Duffy si comportò come un turista qualsiasi. Aspettò due giorni per sviluppare il rullino, portandolo in un negozietto accanto all’hotel; quando tornò in camera e aprì la busta, iniziò una lenta disamina, immagine per immagine. Per riconoscere gli atleti, si aiutò con i numeri dei pettorali indicati sul programma ufficiale. La foto di Ralph Boston era venuta mossa, ma quella di Beamon – pettorale 254 – era perfetta. Nel giro di un paio di mesi era sulle copertine delle riviste sportive di mezzo mondo, sui poster, per impreziosire un libro. Qualche invidioso gli contestò l’autenticità dello scatto, ma Duffy aveva una controprova formidabile: Beamon aveva saltato solo due volte, e la seconda volta aveva indossato un paio di calzini di cui nella foto non c’era alcuna traccia. Grazie allo “scatto più fortunato della mia vita” mise da parte un piccolo tesoro che gli servì per prendere lezioni intensive di fotografia e aprire una piccola agenzia, la Allsport, che con gli anni divenne sempre più importante (sarà acquisita da Gettyimages nel 1998, compreso l’archivio che contiene la foto del Salto).
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È dunque questa la storia di un volo senza precedenti, e mai più ripetuto. Si potrà obiettare che ai Mondiali di Tokyo 1991 Mike Powell ha fatto ancora meglio, 8,95 e medaglia d’oro dopo un duello epocale con Carl Lewis (“solo” 8,91 ventoso, in una finale da cinque salti a 8,82 di media: il fatto di non aver mai superato ufficialmente Beamon sarà il più grande rimpianto della carriera). Ma altri tempi, altri allenamenti, altra preparazione fisica, altre tecnologie, lo sport ai livelli più certosini di professionismo; soprattutto, nessuna magia. In un Sessantotto colmo di proteste, di sparatorie, di bengala, di elicotteri che intervenivano dal cielo per stroncare il presente, Beamon rispose volando lontano a immaginare il futuro. Vi sembra un’esagerazione? Interpellato sull’argomento, il dottor Ernst Jokl, luminare tedesco della neurologia sportiva, fu costretto ad allargare le braccia e ad annunciare la sconfitta dei numeri e della scienza: secondo i dati in suo possesso, un salto del genere non avrebbe dovuto verificarsi prima del 2052.
In pochi secondi Bob Beamon si era inventato e aveva messo in pratica il suo incommensurabile gesto di ribellione, la ribellione all’idea che tutto si può classificare, incasellare, imprigionare. Si era elevato al di sopra dei suoi problemi personali come avrebbe fatto due anni dopo il gabbiano Jonathan Livingston, in un romanzo di Richard Bach che avrebbe ispirato milioni di giovani in tutto il mondo: aveva scoperto la velocità perfetta. «Che non vuol dire volare a mille miglia all’ora, o a un milione, o alla velocità della luce. Perché qualunque numero è un limite, mentre la perfezione non ha limiti. La velocità perfetta, figliolo, vuol dire solo esserci».
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lanimadellamosca · 6 years
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2051
“Ci vediamo al cinema” mi scrive di punto in bianco, dopo mesi che non lo sento. “Forse hai sbagliato destinatario” gli rispondo. “Non vai a vedere 2001?” E così, per colpa di questo scambio di messaggi che chiamare comunicazione sarebbe troppo, ho vinto la mia pigrizia cinematografica e sono andato a vedere 2001 restaurato, in compagnia. 
Davanti al cinema c’era il manifesto di Dogman, ne ho preso ispirazione per dire che per una volta che andavo a cinema avrei fatto meglio ad andare a vedere Dogman, piuttosto che andare a rivedere 2001, ma la cosa non ha interessato nessuno. Poi, sempre davanti al cinema, ho detto che la mia generazione fu presa dallo sbalordimento al vedere la hostess che si arrampicava sulla parete senza che il vassoio le si rovesciasse addosso, e si sentì presa in giro quando scoprì il modo in cui Kubrick aveva girato la scena. D’atronde, Guerre Stellari non era ancora arrivato, sarebbe arrivato dieci anni dopo, ho puntualizzato a beneficio della compagnia, i cui componenti, me escluso, erano appena nati quando uscì Guerre Stellari figuriamoci dove erano quando uscì 2001. Qualcuno ha abboccato, e mi ha chiesto come Kubrick avesse girato la scena e così ho potuto raccontarlo.
Sull’entusiasmo ho chiesto se tutti sapessero perché Hal si chiamava Hal, ma sono stato zittito con un secco e annoiato “sì...”. Per far dimenticare questo passo falso ho detto che “Così parlò Zaratustra” è stato uno dei primi LP che ho comprato per l’unico motivo di 2001, e a questo punto uno della compagnia ha detto: “entriamo!” Per farmi stare zitto, è evidente.  
Siamo entrati e mi son fiondato alla biglietteria a pagare il biglietto per tutti, che poi eravamo in cinque, mica pochi per un cinema. Mi è sembrato d’obbligo che uno come me mantenuto dal governo seppure sotto forma di pensionato, che aveva diciotto anni quando uscì 2001, pagasse il biglietto per 2001 a quattro ex ragazzi che se vi dovessi dire come fanno a produrre reddito vi chiederei di credere ai miracoli. Il signore alla cassa mi ha chiesto: “tutti interi?” Io ho confermato: “sì, siamo tutti interi, vero ragazzi?” Lui ha puntualizzato: “no, volevo sapere se qualcuno ha più di settant’anni e paga ridotto”, e questo qualcuno non potevo che essere io. Gli ho detto acido: “sono ancora intero”.
E insomma, mi son seduto e mentre nella sala si diffondeva il suono monocorde della lunga anteprima sonora di 2001, mi son messo a pensare ai fatti miei, a partire da un deprimente “caspita, son passati 50 anni”.
Cos’era quando l’ho visto, l’autunno del 1968? E dove, al Politeama Moderno? O piuttosto a cineforum al Cinema Diana? Ma chi lo faceva questo cineforum al Cinema Diana? Chi si prendeva la briga di fare un cineforum a Pachino nel 1968? Dove ho visto Blow-Up e, mi pare, 2001... Doveva essere la Curia, a giudicare dalla quantità di preti che nei miei ricordi popolavano la sala: giovani, aperti, molto affettuosi con me che conoscevano per essere valdese. Deve essere stato il cattolicesimo conciliare, l’aria del Concilio Vaticano II a portare a Pachino Blow-Up e 2001, nell’ambito di un cineforum dalla effimera durata…
Poi è cominciato.
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Ho provato una soddisfazione tutta nuova nel vedere Dave che estrae i moduli di memoria di Hal, una soddisfazione che non avevo provato le altre volte, e che mi sembra derivare da quello che i computer sono diventati nel frattempo. 
Ed ho capito che cosa è il monolite nero: è lo smartphone, fateci caso, non è altro che lo smartphone. Non voglio dire che Kubrick avesse in mente lo smartphone, voglio dire che quell’idea del monolite, quello che mi sembra rappresentare nel film, adesso non è altro che lo smartphone.
D’altronde Kubrick stesso ci ha caldamente invitati a pensare del suo film quello che volevamo, e uno dei misteri dell’arte è che offre sempre nuove chiavi di lettura, che tocca le sensibilità oltre il limite delle epoche. 
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pangeanews · 6 years
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La disciplina militare della Socìetas: gli attori combattono, pregano, falciano (e conoscono il verbo di Aion). Appunti su “Verso la specie”
La parola “padre” – leit motiv del Festival “Ipercorpo 2018” organizzato a Forlì all’interno dell’Ex ATR, una struttura di archeologia industriale riconvertita sapientemente a luogo “altro” – mi ha sempre affascinato: scomponendola, appare (anche) il vocabolo “preda”. Una figura che sta in sospeso, lieve e ferma, assolutamente “soggettiva” ma soprattutto mutevole come il tempo: da monolite per i figli piccoli, quando invecchia tende a scappare dall’età che avanza, rifugiandosi in escamotage per fermare Kronos. Perché, e questo è il punto: non siamo greci e non siamo antichi, e abbiamo in mano solamente “quel tempo” nella sua dimensione di passato presente e futuro, lo scorrere delle ore mentre la “tensione ideale e ambita” è tutta rivolta alle altre due divinità, Aion (l’eternità, l’intera durata della vita, l’evo; è il divino principio creatore, eterno, immoto e inesauribile) e Kairos (il tempo opportuno, la buona occasione).
“Ipercorpo” mette al centro la figura paterna nella sua assenza poetica: la sublima, rinnegandola, per elevarla a elemento totemistico davanti al quale pregare una litania pagana, forse apocrifa, di certo sincera come un bisogno primordiale. La testimonianza più limpida ha una durata di mezzora e un nome preciso: “Verso la specie”, il ballo della scuola di movimento ritmico di “Mòra” (dal nome della pausa più piccola, utile a distinguere due suoni) diretto da Claudia Castellucci (Socìetas Raffaello Sanzio) e che pone al centro il gesto. Privo di ogni orpello scenografico – la sala è nuda e vuota -, lo spettacolo inizia dal foyer: è da lì che un corteo in fila indiana muove i passi verso la scena. Un lungo cordone opaco, composti da “figuri” vestiti di nero e incappucciati che, con passo dondolante, riempiono lo spazio. Una danza che insegue e riproduce l’affiorare consecutivo di immagini mentali lì dove il bisogno di ritualità si concretizza nella figura ricorrente del cerchio, nelle azioni propiziatorie che i gesti riproducono nelle processioni. La partitura musicale campionata produce un effetto di rottura di quel tempo greco che è uno e trino: davanti agli occhi si stagliano ombre antiche, forse suorine di clausura che con grazia e armonia disegnano un linguaggio ancestrale fatto di aste, cerchi e fonemi silenziosi.
Il rigore che attraversa la pièce, quasi una disciplina militare, è uno degli elementi cardine della poetica della Socìetas (ricorda il bellissimo “Cryonic Chants” ospitato anche al Velvet di Rimini tanti anni fa), un segno marcato di riconoscimento: la geometria drammaturgica è, de facto, teatro puro, e dà seguito al percorso in fieri della “Mòra” (rispetto allo spettacolo portato a Cesena a fine 2016 poco è cambiato, quasi che “Verso la specie” fosse in realtà una versione teatrale delle “Variazioni Goldberg” di Glenn Gould). Gli elementi che contraddistinguono la ricerca del “Ballo” ci sono tutti: le tonache nere, la bandiera con una croce al centro che viene girata e piegata, la reiterazione dei movimenti, la consumazione del tempo, il ritmo.
Ma è soprattutto il gesto a farsi racconto. Gli attori combattono, pregano, falciano, si inginocchiano, ri-pregano per poi uscire di scena e replicare lo spettacolo in qualche altro spazio. Perché loro conoscono Aion, a differenza del pubblico.
Alessandro Carli
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Sembrano tutti contenti di stare insieme
Poi si allontanano e dicono quello che pensano davvero
C'è sempre tanta crudeltà
(da: Didn’t Know What I Was In For)
1. Didn't Know What I Was In For
Non sapevo cosa mi aspettava
   Il mio telefono non ha la fotocamera
Se ce l'avesse, scatterei una foto a me stessa
Se ce l'avesse, scatterei una foto all'acqua
E all'uomo sul cavalcavia con in mano un cartello che mi chiede aiuto
   Mi sono trovata un lavoro per l'estate
Piego gli asciugamani e li dispongo vicino alla piscina
Sembrano tutti contenti di stare insieme
Poi si allontanano e dicono quello che pensano davvero
C'è sempre tanta crudeltà
   Non sapevo cosa mi aspettava quando mi sono iscritta a quella corsa
Di certo la cura per il cancro non la trovo io
Ma con una bella sudata alla fine ci arrivo
Sono proprio orgogliosa adesso di tutto il bene che ho fatto
   Conosco una ragazza che ha una boutique in città
Dove vende i vestiti a quelli che sono sempre in elegante ritardo
Dice che piange davanti al telegiornale, ma in realtà non è vero
Perché si diverte troppo, ha troppo tempo e troppi soldi di plastica da guadagnare
   Non sapevo cosa mi aspettava quando mi hanno tolto la cintura e le stringhe
Mi hanno detto che ero diventata pazza
Avevo le braccia legate in una camicia di forza
Per non farmi salvare quei rifugiati che si vedevano in TV
   Quando sono per terra in un bagno di sangue
Pieni di Sarin Gas su uno schermo
   Non sapevo cosa mi aspettava quando mi sono stesa sotto il sole
Ti mandano al rogo se sei sincero
In realtà non ho mai fatto nulla per nessuno
   Per prendere sonno ho bisogno del rumore bianco per distrarmi
Altrimenti devo ascoltarmi che penso
Altrimenti cammino in giro, trattengo il respiro e lo butto fuori
Mi siedo sul divano e penso al fatto che vivere è solo una promessa che ho fatto
       2. Sleepwalkin'
Sonnambulismo
   Bevo caffè freddo senza zucchero
Tremo e tremo, eppure non me ne libero
L'ennesima visione beata dove gli animali e gli oggetti mi parlano
Ci provo sempre a non farmela piacere
Ma poi tu ridi, mi sembra pazzesco
Passo un'altra giornata da sonnambulo
   Mi sto divertendo? O è così tanto per?
Chi sparisce per primo dalla faccia della terra?
   A te piace la birra e il cioccolato
A me piace sparare in aria quei razzi in bottiglia
Non lo troveremmo mai un compromesso
Ma continuare a scannarci ci tiene in vita
Perché non rimani se tanto devi comunque lasciar qua la macchina?
Passiamo un'altra estate a parlare di cazzate
   Mi sto divertendo?
Non è come prima
Pensavo che a te queste cose piacessero
O me lo sono inventata io?
   Fare le stesse cose, andare sul sicuro
Non mi convinceva come piano in ogni caso
Aver paura del cambiamento
Sperare di andare avanti un altro giorno
Voglio che finiscano questi pensieri circolari
Giriamo in un vortice di nontiscordardimé
Io ho dato quello che avevo
Ero scioccata quando ho scoperto che mi andava bene quello che avevo perso
       3. Dylan Thomas
Dylan Thomas
   Era un mattino sul presto
È arrivato senza preavviso
Sono andato a sentire il generale che parlava
Mi ero alzato in piedi per l'inno
Striscioni tutto intorno a lui
Con tutti quei coriandoli si faceva fatica a vedere
   Ho messo i piedi sull'asfalto
Morivo dalla voglia di un po' d'intrattenimento
Quattro stagioni, una porta girevole
Non ne posso proprio più di essere sincero
Morirò come Dylan Thomas
Un colpo sul pavimento della sala di un bar
   Sto diventando avido di questo inferno privato
Faccio da solo, ma è lo stesso
   Questi gatti sono impauriti e selvatici
Con le spille della bandiera al bavero
La verità è la sparata di uno qualsiasi
Questi analisti continuano a dire
"Il re sta solo facendo una partita a scacchi quadridimensionali"
   Ci sono fiori tra le macerie
Le erbacce crolleranno
Sono lucido, ma non riesco ancora a pensare
Sono immobilizzato da un corsetto
Son salito sulla tua Corvette
Ho sete di un altro bicchiere
   Se lo pubblicizzano lo provo
Compro un po' di pace e di tranquillità
E me ne sto zitto nel mio ritiro silenzioso
Dicono che devi fingere
Almeno fino a che non arrivi dove vuoi
Quel fantasma è solo una bambina dentro un lenzuolo
   Mi sto abituando a questi attacchi di vertigini
Mi faccio una doccia al Bates Motel*
Sto diventando avido di questo inferno privato
Faccio da solo, ma è lo stesso
    * Il motel del film Psycho.
       4. Service Road
Strada di servizio
   Dovresti proprio chiamare tuo fratello
Qualcuno ha pubblicato una foto dove non si regge in piedi
È aggrappato al tavolo, probabilmente mentre tira le freccette o gioca a carte
È su tutte le furie per qualcosa che ha perso
Diceva sempre che non aveva importanza
Con un mucchio di monete sporche strette nel pugno
Mentre chiedeva agli sconosciuti di perdonarlo
Ma non gli diceva mai che cos'è che gli avesse fatto per sentirsi così in colpa
   Di' quello che pensi e dillo adesso
Non dire il tuo nome, quello non conta
Chi sei? Chi stai cercando?
   Pensavo che stesse andando meglio ultimamente
Un avviso definitivo di sfratto e lui se la ride
Il senso dell'umorismo ce l'ha sempre avuto
Scherza ancora proprio fino all'ultimo
Beh, tutte quelle sue minacce non possono tornare indietro
Tra un'indecisione e l'altra
Tra un'opzione e l'altra di quante ne aveva un tempo
Addio, arrivederci
E ora i guai che hai causato e che non ti piacevano non ci sono più
   Di' quello che pensi e dillo adesso
Non fare scenate, piantala di comportarti male
Chi sei? Chi stai aspettando?
   Tu va' fuori sotto la neve che cade
Tu va' verso il bianco della finestra
Tu va' oltre i camion sulla strada di servizio
Tu va' fino a che non ti senti diverso
       5. Exception to the Rule
Eccezione alla regola
   Ti serve un'occupazione per garantirti una vacanza
Senza l'attesa, nulla è soddisfacente
Son venuto qua per dare un'occhiata, per uscire un po' di casa
Adesso non mi alzo da questo divano o spengo la TV
   C'è sempre un'esenzione
C'è sempre un'eccezione alla regola
Sempre un'esenzione
C'è sempre un'eccezione alla regola
Perché non la vuoi?
Perché non la vuoi più?
Perché non la vuoi?
Perché non la vuoi più?
   Volevo evitarmelo, andare a vivere in mezzo ai boschi
Restarmene fuori da quell'orbita
Lasciarmi trasportare al largo dal mare
Ma il destino non ha voluto saperne
Ci tratta come un magnete
Mette una pezza alle mie pessime abitudini
Mi fa fare la figura dello scemo
   C'è sempre un'esenzione
C'è sempre un'eccezione alla regola
Sempre un'esenzione
C'è sempre un'eccezione alla regola
Perché non la vuoi?
Perché non la vuoi più?
Perché non la vuoi?
Perché non la vuoi più?
   Bel sentimento
Ancora questa cosa no
Piantala di bussare alla finestra
Non ti faccio entrare
Non ti ascolto
Perché lo so dove vai a parare
   E non voglio
E non voglio più
E non voglio
E non voglio più
       6. Chesapeake
Chesapeake
   Il mondo non si ricorderà quando saremo vecchi e stanchi
Soffieremo sui carboni di un fuocherello
Eravamo lo spettatore più alto a Chesapeake
Mi hai preso in spalletta per farmi vedere
   Ero completamente ricoperta dal suono
I tappi nelle orecchie, così non era troppo forte
Inghiottita dalla folla
Non sapevo di cosa stessero parlando nella canzone
   Vedo l'ora di qualcuno da rimpiazzare
   Faceva caldo nel palazzetto
Uomini giusti muoiono come cani
Il mio eroe suona davanti a nessuno in un parcheggio
   Anche se non c'è nessuno
È salito sul palco ed è venuto giù il locale
Qualche timido applauso
Uno spiraglio di luna e una cover
   Oh, mia dolce bambina
Ti dispiace sempre per ogni cosa, non scusarti mai
Oh, mia dolce bambina
Ora resti lì all'angolo e speri che ti riconoscano
   Ero completamente ricoperta dal suono
Quando tu mi hai chiesto di abbassare
Non pensavo neanche che fosse forte
Adesso si sente?
       7. My City
La mia città
   Guardo la curva del fiume
Guardo una cosa che non c'è
Guardo il tira e molla sulla tangenziale
Guardo e cerco la corrente
   Piccoli periodi di smemoratezza
Piccoli suoni acuti e insistenti
Piccoli insetti che pungono mentre vanno e vengono
Piccoli attimi in cui trovo un senso
   Ti amavo, ti ho fatto stancare
Mi manchi, dove sei adesso?
   Questa città è un monolite
Questa città è un cinema affollato
Questa città è un deposito, vado e vengo
Questa città è la mia
   Ti odio, ti ho distrutto
Mi manchi, dove sei adesso?
Si mette male, come le probabilità a Las Vegas
Fai finta di sorridere come se ti devi camuffare
   Quest'oggi è stato un cielo fumante
Quest'oggi è stato una minaccia pubblica
Quest'oggi sono andato a fare due passi mentre le cose esplodevano
Che giorno dell'indipendenza triste
   Voglio fare anch'io tutto quel rumore
Tutta questa libertà mi spaventa
Rischio tutto nel gioco delle possibilità
Corro dietro all'amore come all'ambulanza
       8. Forest Lawn
Forest Lawn
   Una volta cantavi con la faccia seria Que sera sera
E riaccompagnavi a casa nostra quelle regine profumate in una cassa di velluto
E poi facevi la tua mossa
   È da quando sei scomparso che vorrei rintracciarti
È da quando sei scomparso che vorrei riesumarti
   Una volta cantavi con la faccia sera My Heart Will Go On
E riportavi a casa nostra quegli sciroccati tatuati in un barattolo di vetro
Avevi qualcosa da dimostrare
   È da quando sei scomparso che vorrei rintracciarti
Già, è da quando sei scomparso che vorrei riesumarti
   Fai presto a svenire, ti manca l'ambizione
Perché vanno sempre tutti a finire in cucina?
L'uomo coi pantaloni bianchi ha proprio l'aria di uno pericoloso
E ho sentito che quello basso è più o meno famoso
   Una volta dicevi che volevi finire a Forest Lawn
Noi due fianco a fianco a dormire mentre i ragazzini bevono fino all'alba
Ti prego, dimmi che è vero
   È da quando sei scomparso che vorrei rintracciarti
È da quando sei scomparso che vorrei riesumarti
   Una volta cantavi con la faccia seria Que sera sera
       9. Big Black Heart
Grande cuore nero
   I tuoi capelli neri sono rossi
Ho riso quando ti ho visto il petto
Tu hai scosso la testa e hai tirato indietro le tende, hai contemplato la vista
Poi mi hai fatto vedere il resto di te
E allora probabilmente ho pensato che avrei visto il mondo
Probabilmente ho pensato che avrei visto il mondo
   Il tuo cuore nero è grande
Ti chiederei di attraversare, ma non lo faresti mai
Però d'altronde hai indugiato in mezzo alla strada solo per baciarmi
E ho pensato che avessi fatto fermare il mondo
Probabilmente ho pensato che tu potessi far fermare il mondo
   Va bene, va bene così per ora
Non ci voglio pensare
Mi va bene nascondermi
Va bene, va bene così per ora
Vedrò di rifletterci sù per bene
Far spazio a qualcos'altro
Va bene, va bene così per ora
Non ci voglio pensare
Mi va bene nascondermi
Va bene, va bene così per ora
Vedrò di rifletterci sù per bene
Far spazio a qualcos'altro
Fino a quel momento mantengo la calma
       10. Dominos
Domino
   Li senti i grilli?
Io sento solo grilli
Come un fiume che luccica ai lati degli occhi
Il cielo è nero, buio pesto
Eppure allo stesso tempo ha un che di calmo
   Si fa buio al mattino
Rinuncio al sonno per qualche bicchiere in un bar
Sicuro come l'inferno mi puzza il fiato
Vedo che scorre come fumo nella nebbia
Sento che arriva un tornado
E mi fa venire i brividi alle braccia
Sto giocando a domino
Cerco solo di non distruggere macchine
Tiro dentro al naso la paura
E cerco di stare al passo con tutti i miei pensieri
   Se andiamo da qualche parte sono pronto
Se è solo la terra non lo sono
   Mi gratto gli occhi quando tocco il cielo
E perdo un po' la visione dell'uomo
Posso farmela venire in mente
Non voglio tenere per mano nessuno
Posso rigirarmi con la luce del mattino
Farò il morto quando sarò sepolto sotto la sabbia
Vedo ombre di un uomo senzatetto, sepolto e intorpidito
La previsione di una terra dimenticata
Spero che compaia col tramonto
   Se andiamo da qualche parte sono pronto
Tesoro, se da nessuna parte, ho finito
   Sento una voce ma parla in codice
Come se parlassi con degli sconosciuti a un telefono straniero
Riesco a parlare con gli angeli quando sono da solo
Mi portano in un posto in città
E quando abbiamo finito mi portano a casa
   Non trovo la voce per cantare con gli uccellini
Invece sono solo una voce bassa in mezzo alla folla
Non sento la mia voce in mezzo a questa folla
   Mi agito nelle vie buie
Tornando a casa sento i battiti del cuore
Mi dico che è l'ultima volta che mi concio così
Poi lo rifaccio a ripetizione
   Faccio carpooling per l'aldilà
Nel purgatorio selvaggio
Sento un arcobaleno magico
Basta solo seguirlo
   E se non ti senti pronto, c'è sempre domani
E se non ti senti pronto, c'è sempre domani
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simonemonsi · 5 years
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Cosa rappresenta il monolite nero (che compare in 2001: Odissea nello spazio) per quanto riguarda la metafotografia e l'oltremedium? Il viaggio psichedelico innescato dalla forza oscura presente nel monolite induce lo sguardo e la mente a percorrere una velocità astratta. L'approdo è nella stanza del passaggio da una vita a un'altra, da una preimmaginazione all'immaginario possibile, dall'incontro di vari tempi in un solo istante, dove vivono al contempo passato, presente e futuro, nello spazio memoriale.
– Mauro Zanchi
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corallorosso · 4 years
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Nello Utah è spuntato un monolite argentato in mezzo alle montagne Mercoledì scorso alcuni membri del Dipartimento di pubblica sicurezza dello Utah, negli Stati Uniti, stavano sorvolando in elicottero una zona a sud-est dello stato per aiutare la divisione che si occupa della tutela della fauna selvatica. Durante il sorvolo hanno però notato qualcosa di molto strano, e decisamente in contrasto con il terreno rossastro e roccioso dell’area: un monolite di un colore argentato scintillante, alto circa 3 metri e piantato nel terreno. Il pilota dell’elicottero, Bret Hutchings, ha detto alla televisione locale KSL di credere che si tratti di un’installazione artistica di qualche fan di 2001: Odissea nello spazio, il film di Stanley Kubrick del 1968 che inizia con una famosa scena in cui è presente un grosso e misterioso monolite nero. Il Dipartimento non ha specificato la zona in cui è stato trovato il monolite e ha detto che non è chiaro al momento chi lo abbia messo lì. In un comunicato ha aggiunto però che è illegale posizionare strutture o installazioni artistiche nei luoghi pubblici «a prescindere dal pianeta da cui si proviene». Il Post ********************* Lo avevo detto che quest'anno mancavano solo gli alieni!!!
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Piccola Recensione: I love anime - Berserk Un guerriero sanguinario nelle Terre di mezzo di Piero Ciccioli Editore Iacobelli
Sinossi presente nel retro del volume: E' nato nel dolore, è stato mercenario, cavaliere e martire perseguitato da dèi partoriti dall'inferno. Ora è uno spadaccino errante, che vive per la vendetta, per il sangue e per un amore malato, affidandosi alla lama di un monolite metallico alto due metri. E' il più feroce dei guerrieri, è il berserk e questa è la sua leggenda....
Il volume affianca le analisi critiche di personaggi ed eventi presentati in ognuno dei vari archi narrativi del manga ad approfondimenti sulle influenze stilistiche e contenutistiche ravvisabili nell'opera.
Dati del volume
Berserk - Un guerriero sanguinario nelle Terre di Mezzo di Piero Ciccioli Iacobelli editore collana "I Love Anime" Copertina flessibile N. pagine 133
La Iacobelli Edizioni aveva presentato una collana italiana interamente dedicata all’animazione giapponese anni ‘80/’90 chiamata I Love Anime che annovera già tra i titoli: I cavalieri dello zodiaco, Mazinga , Lady Oscar, Capitan Harlock, Jeeg Robot e Candy Candy e altri.
Interessante è la prima pagina a sinistra che oltre a indicare l'anno di uscita (2011) del volume indica tre punti importanti che il lettore deve valutare: Tranlistterazione dei termini giapponesi Tranlistterazione dei termini non giapponesi dal gapponese Riferimenti ai volumi del manga
Questi tre punti portano il lettore a capire riferimenti, titoli e parole come sono presenti e indicati nel volume per una migliore lettura.
I ringraziamenti a fine volume ospitano info su staff e fonti da cui CIccioli ha attinto, come Berserk Chronicles. Le due pagine finali del volume presentano tre capitoli:
Introduzione pag 5
Capitolo 1: Un giapponese nelle terre di mezzo; dove si presenta l'autore, il panorama e ambiente dell'opera con spiegazioni e il genere portato da Miura nel mondo dei manga da pag. 6 a pag. 43
Capitolo 2: L'ordalia dello spadaccino nero, che presenta i personaggi, le epoche, informazioni sui temi del Conviction Ark (o Albione), Millennium Falcon Ark fino a al Party per Fantasia. Informazioni anche sull'anime e le famose musiche di Hirasawa con capitolo apposito. Da pag. 47 a pag. 103
Capitolo 3: Dalla carta con Furore, presenta infor su Berserk negli altri media come giochi, merchandise, riferimenti e collegamenti con altre opere, figure e statue, lifestyle info e infine un box con un articolo su un cortometraggio indipendente del 2008 di un cosplayer italiano. Per chiudere con informazioni sull'ammazzadraghi e le opere denominate 'l'eredità di Berserk'. Da pag 106 a pag. 118
Le restanti pagine sono per Conclusioni, Note, Riferimenti e Ringraziamenti.
-NOte: informazioni su elementi presenti dei vari capitoli qui spiegati e chiariti. -Riferimenti bibliografici e Multimediali: Animegrafia e bibliografia con titoli e info su opere indicate nel volume per reperire quella determinata informazione.
Il nostro parere: E' giusto dire che questo volume ci ha aveva intrigato all'uscita ma avevamo timore che fosse il solito volumetto scarno e con qualche info errata e sbrigativa creata per il Dio denaro come ci era capitato con riviste italiane del settore che usavano solo poche pagine o giusto due in croce di testi e stop. Invece siamo rimasti colpiti dal lavoro dell'autore che ha fatto ricerche (indicati a fondo libro, vedi sopra) e ha presentato capitoli e box di articoli interessanti che conoscevamo ma è stato un piacere leggere e riscoprire, pieni di riferimenti e info interessanti e ben strutturati. I temi sono ben articolati e hanno un ottimo approfondimento anche sviluppato nelle Note. Le immagini non sono disturbanti nell'insieme come avveniva per riviste specializzate che erano utilizzate per riempire spazio che con il testo non sarebbe stato possibile coprire, perchè appunto erano scarni e inseriti solo per far apparire nella cover il titolo dell'opera senza dare nulla al lettore interessato. Qui invece si studia lo stile di Miura, influenze, opere che sono state influenzate o che lo hanno influenzato, info su elementi reali da cui Miura ha attinto e molto altro. Le immagini inserite di cui sopra sono esaustive per il loro scopo con ottima didascalia che amplia il tutto. L'autore, sopratutto per il primo capitolo si sofferma molto sui temi del manga e del pensiero di Miura del come e perchè ha inserito quelle detemrinate cose nel manga e questo lo abbiamo apprezzato. Le varie epoche o Arks sono ben descritti e sviluppati per lo spazio del volumetto, visto il numero di pagine ridotto (secondo noi all'epoca) che ci faceva temere per un libro di analisi e studio dell'opera fine a se stesso per noi fan. Eppure, nonostante le poche pagine (perchè diciamocelo, Berserk ha davvero molto da dire) il materiale testuale e informativo è ampio e ben documentato e dopo la lettura siamo rimasti soddisfatti della cosa. Davvero un otimo acqusito, non come le riviste che abbiamo che ci hanno fuorviato all'epoca.
Frasi, parti e scene che l'autore descrive sono indicate con il numero del volume e quindi facilmente rintracciabili per chi si affaccia a Berserk da poco e vuole, mentre legge, avere sottomano le tavole dal manga.
Anche le schede dei personaggi, anche se fino al 2011 e quindi manca parecchio materiale, sono ben strutturate e li descrivono bene, con foto e pochi errori in generale. Errori perchè ne abbiamo trovato uno all'epoca che vogliamo indicare che ci ha fatto sorridere e riguarda il figlio di Guts e Casca, ma questo lo lascio a voi nella lettura.
Conclusione: Insomma, siamo soddisfatti ancora adesso dell'acquisto e ogni volta che lo prendiamo anche per lettura pura e semplice o curiosità da poter inserire quando postiamo un topic, non manca mai di ricordarci che qualcosa fatta bene a volte cè qui da noi e quindi ringraziamo la Iacobelli per questo volume. Anche se sarebbe interessante vedere un nuovo lavoro, di Ciccioli o meno, dedicato a Berserk adesso, perchè di materiale dal 2011 a ora ce nè e tanto. Raccomandiamo fortemente questo acquisto perchè è ricco, appassionante, infromativo e esplicativo sul mondo di Miura ed è l'unico attualmente a parte l'artbook italiano di Panini Comic (ma costa molto di più e questo ha delle didascalie e info che, anche se più approfondite perchè originariamente giapponese, sono comunque presenti qui, arricchite dal resto che il libro propone), altrimenti il Guide Book inglese che esce quest'anno o quello francese (sempre lo stesso ma in lingua francese e uscito prima) publicato negli ultimi anni dopo la data giappones, e ma anche quello arriva fino a quasi Fantasia.
Ci auguriamo che Iacobelli quindi proponga un nuovo volume, intanto lo raccomandiamo e se lo acquistate e gustate, per favore inserite i vostri commenti o recensioni sotto o mandateci mp per un post con la vostra recensione personale.
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gianlucadandrea · 5 years
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Dall’inizio (Giovanna Frene) Su L’Estroverso Giovanna Frene per la rubrica Dall’inizio. Di seguito un estratto. La storia è il monolite nero che improvvisamente appare tra le scimmie, non appena una di loro ha per la prima volta usato con intelligenza un osso come arma, in 2001 Odissea nello spazio di Kubrick.
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italianaradio · 4 years
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Inception e gli altri: i 10 finali più ambigui del cinema
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/inception-e-gli-altri-i-10-finali-piu-ambigui-del-cinema/
Inception e gli altri: i 10 finali più ambigui del cinema
Inception e gli altri: i 10 finali più ambigui del cinema
Inception e gli altri: i 10 finali più ambigui del cinema
Un finale ambiguo è qualcosa di molto difficile da concepire per un regista e, forse, qualcosa di ancora più difficile da metabolizzare per lo spettatore. Quasi sempre, il pubblico si approccia alla visione di un film con la speranza che tutti i nodi della trama vengano sciolti prima del suo epilogo. Non sempre però accade, e molto spesso alla fine di un film ci troviamo con più domande che risposte.
Per costruire un finale aperto, bisogna essere estremamente abili, lasciare allo spettatore le giusti tasselli per arrivare ad una propria chiave di lettura, o altrimenti si correrà il rischio di deludere le sue aspettative.
Di seguito abbiamo raccolto i 10 film con i finali più ambigui della storia del cinema:
A Serious Man
A Serious Man dei Fratelli Coen, ambientato negli anni ’60, è la storia – ricca di riferimenti biblici – di un uomo ebreo la cui tranquilla vita suburbana si sgretola sotto ai suoi occhi nel giro di una settimana. Alla fine di quella settimana – che corrisponde al finale del film -, un gigantesco tornado si abbatte sulla città in cui vive.
Questo avviene subito dopo che Larry, il protagonista del film, riceve una telefonata dal suo medico, il quale gli spiega che deve urgentemente parlargli dei risultati di una sua recente radiografia al torace…
Shining
Shining di Stanley Kubrick si chiude in modo decisamente ambiguo. Jack Torrance è ormai preda della follia più bieca e tenta di uccidere sua moglie e suo figlio, che riescono a sfuggirli e a farlo perdere all’interno di un labirinto, cosa che gli provocherà una morte per congelamento. 
Prima dei titoli di coda, però, la macchina da presa si avvicina lentamente ad una fotografia scattata decenni prima dei fatti narrati nel film, in cui vediamo Jack festeggiare all’Overlook Hotel insieme ad altri ospiti. Nonostante le migliaia di analisi di appassionati cinefili e non, nessuno è mai riuscito a spiegare cosa Kubrick avesse davvero voluto dire con il finale del suo film. 
Il braccio violento della legge
Alla fine del thriller poliziesco Il braccio violento della legge di William Friedkin, termina la caccia di Jimmy Doyle nei confronti del misterioso trafficante Charnier. Quando Doyle scopre di aver sparato per errore a Mulderig, l’agente federale con cui era in servizio, lo stesso rivela a Cloudy che stava ancora dando la caccia a Charnier.
Il personaggio esce poi dall’inquadratura e lo spettatore sente un singolo colpo risuonare prima che lo schermo diventi nero. Una serie di didascalie ci informano che Charnier non venne mai catturato e che Doyle e Cloudy vennero trasferiti in un altro dipartimento. Non è mai stato chiarito cosa quello sparo abbia comportato.
Blade Runner
Rick Deckard è un replicante? Questa è la domanda che ha letteralmente torturato gli appassionati di fantascienza per circa 40 anni. Blade Runner di Ridley Scott sfrutta sapientemente tutti gli elementi tipici del noir in un film dall’ambientazione futuristica, con dove il personaggio di Rick Deckard interpretato da Harrison Ford ha il compito di scovare androidi che si sono mescolati alla società umana.
Il finale non chiarisce davvero se lo stesso Deckard sia o meno un androide. Il sequel di Denis Villeneuve, Blade Runner 2049, usciti a diversi anni di distanza dal film originale, avrebbe finalmente potuto fornire la risposta definitiva alla questione, ma ha nuovamente lasciato Deckard incerto a proposito delle sue vere origini, esattamente come lo spettatore.
Birdman
L’oscura satira messa in piedi da Alejandro G. Iñárritu in Birdman termina con Riggan Thomson che esce sul palco e si spara di fronte agli spettatori. Nell’epilogo, lo troviamo ricoverato in ospedale e perseguitato dalla stampa: la sua esibizione è stata elogiata e sua figlia Sam sembra volersi finalmente riavvicinare a lui. Si tratta di una conclusione molto simile a quelle di film come Taxi Driver e Re per una notte, dove il protagonista decide di andare incontro ad un destino nefasto per poi vedere tutti i suoi sogni diventare realtà in un finale a dir poco incredibile.
Negli ultimi minuti di Birdman, Riggan si getta dalla finestra e Sam si precipita a guardare fuori. I suoi occhi si spostano verso l’alto. Riggan ha davvero spiccato il volo? O l’intera sequenza finale è balenata davanti agli occhi di Riggan prima di morire? Quest’ultima è l’ipotesi più accreditata, anche se il film non lo chiarisce mai.
Il laureato
Il laureato è la storia di un giovane ragazzo di nome Benjamin Braddock, interpretato da Dustin Hoffman, che una volta terminato il college si trova a dover fare i conti con il suo futuro. Una fase della vita che abbiamo attraversato tutti. Il finale si collega direttamente a questo passaggio della vita del protagonista, con Benjamin che cerca di impedire alla sua ragazza, Elaine, di sposarsi e di convincerla invece a scappare con lui.
La maggior parte delle commedie sentimentali avrebbe chiuso così la storia, ma ne Il laureto le cose vanno in maniera un tantino diversa: prima che compaiano i titoli di coda, infatti, vediamo Benjamin ed Elaine salire su un autobus, diretti verso una destinazione ignota.
Inception
Probabilmente, il finale più ambiguo della storia del cinema recente. Inception di Christopher Nolan termina con Cobb (Leonardo DiCaprio) che torna a casa dai suoi figli, tutto ciò che l’uomo ha sempre desiderato dall’inizio della storia: assicurarsi di essere nel mondo reale e di non essere in preda ad un sogno prima di tornare da loro.
Sul finale, una volta a casa, Cobb fa girare il totem, ma viene distratto dai suoi due figli che può finalmente riabbracciare, prima che l’oggetto gli riveli se si tratti di un sogno oppure no. Lo spettatore vede che la parte superiore del totem sta iniziando a cedere, ma prima che l’oggetto concluda definitivamente il suo giro, lo schermo diventa nero.
Un colpo all’italiana
Dopo che una rapina pianificata al dettaglio riesce alla perfezione e la squadra si allontana con il bottino, Un colpo all’italiana termina con un enorme cliffhanger: il furgone della squadra resta bloccato sul bordo di una scogliera, barcollando dall’alto verso il basso. Il bottino pende sul retro e la squadra non è in grado di avanzare.
Prima che il film termini, il personaggio di Michael Caine afferma: “Aspettate un attimo, ragazzi, ho avuto una grande idea”. Sfortunatamente, non riusciamo a vedere quale sia quest’idea e se abbia avuto effettivamente successo.
2001: Odissea nello spazio
Il finale di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick è un autentico spettacolo visivo. Dave Bowman viene risucchiato attraverso un vuoto nelle profondità dello spazio esterno e lanciato “oltre l’infinito”. Si vedono luci lampeggianti, paesaggi surreali e colori brillanti; poi approda in una misteriosa camera da letto futuristica.
C’è un monolite in mezzo al pavimento, Dave vede una versione più vecchia di se stesso intento a cenare. Va a letto, invecchia rapidamente e poi muore, rinascendo sotto forma di feto cosmico. Un finale meraviglioso, sicuramente ambiguo, ma decisamente stimolante per lo spettatore.
Taxi Driver
Se facciamo riferimento agli eventi così come ci vengono raccontati sullo schermo, Taxi Driver sembra concludersi in maniera apparentemente felice. La sanguinosa furia di Travis Bickle nel bordello ha permesso ad Iris di tornare a casa dai suoi genitori. Una volta ripresosi dalle sue ferite, invece di essere condannato, Travis viene celebrato come un eroe metropolitano; persino Betsy sembra voler ritornare sui suoi passi.
In realtà, non è assolutamente ciò che è accaduto. Il finale è così assurdamente idealizzato – e anche ottimista, in contrasto con il tono del resto del film – che quasi sicuramente si tratta di un allucinazione partorita dalla mentre di un delirante Travis in punto di morte.
Fonte: ScreenRant
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Inception e gli altri: i 10 finali più ambigui del cinema
Un finale ambiguo è qualcosa di molto difficile da concepire per un regista e, forse, qualcosa di ancora più difficile da metabolizzare per lo spettatore. Quasi sempre, il pubblico si approccia alla visione di un film con la speranza che tutti i nodi della trama vengano sciolti prima del suo epilogo. Non sempre però accade, […]
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Stefano Terracina
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