"Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell'assenza per F.G. Lorca" di Lorenzo Spurio. Recensione di Isabella Michela Affinito
Recensione di ISABELLA MICHELA AFFINITO
«[…] Lungo una strada va/ la morte incoronata/ di fiori d’arancio appassiti./ Canta e canta/ una canzone/ sulla chitarra bianca,/ e canta, canta, canta.// Sulle torri gialle/ tacciono le campane.// Il vento con la polvere/ compone prore d’argento.» (Dalla poesia Clamore di Federico García Lorca, tratta dal libro monografico n°5 Federico García Lorca –…
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Uomini senza fallo, semidei
che vivete in castelli inargentati
che di gloria toccaste gli apogei
noi che invochiam pietà siamo i drogati.
Dell’inumano varcando il confine
conoscemmo anzitempo la carogna
che ad ogni ambito sogno mette fine:
che la pietà non vi sia di vergogna.
"C’era un re
che aveva
due castelli
uno d’argento
uno d’oro
ma per lui
non il cuore
di un amico
mai un amore né felicità."
Banchieri, pizzicagnoli, notai,
coi ventri obesi e le mani sudate
coi cuori a forma di salvadanai
noi che invochiam pietà fummo traviate.
Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà non vi rimanga in tasca.
Giudici eletti, uomini di legge
noi che danziam nei vostri sogni ancora
siamo l’umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.
Quanti innocenti all’orrenda agonia
votaste decidendone la sorte
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte?
"Un castello
lo donò
e cento e cento amici trovò
l’altro poi
gli portò
mille amori
ma non trovò
la felicità."
Uomini cui pietà non convien sempre
male accettando il destino comune,
andate, nelle sere di novembre,
a spiar delle stelle al fioco lume,
la morte e il vento, in mezzo ai camposanti,
muover le tombe e metterle vicine
come fossero tessere giganti
di un domino che non avrà mai fine.
Uomini, poiché all’ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia
gioir nei prati o fra i muri di calce,
come crescere il gran guarda il villano
finché non sia maturo per la falce.
"Non cercare la felicità
in tutti quelli a cui tu
hai donato
per avere un compenso
ma solo in te
nel tuo cuore
se tu avrai donato
solo per pietà
per pietà
per pietà…"
[Fabrizio de André - Recitativo "Due invocazioni e un atto di accusa" / Corale "Leggenda del re infelice"]
Foto in basso:
Trionfo della Morte (autore ignoto)
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Recitativo - Fabrizio De André (con testo)
Canzone o poesia o atto di accusa,a vostra scelta... purtroppo sottovalutata e non compresa .
Riporto una frase detta da De Andrè nel contesto del disco "Tutti morimmo a stento":
"Non c'è speranza nell'uomo se non nell'amore che uccide l'odio, nella carità che uccide le cupidigie, e rancori, e ingiustizie. I potenti rammentino che la felicità non nasce dalla ricchezza nè dal potere, ma dal piacere di donare. La morte è un rimorso per chi non ha saputo aprirsi, in vita, alla compassione."
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Hubert Clifford (1904–1959) - Serenade for Strings (1943)
I. Allegro moderato II. Allegro scherzando III. Lento, quasi recitativo IV. Molto allegro
The performers are: BBC Concert Orchestra, Barry Wordsworth, conductor.
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Dalle spalle al profilo, storia iconografica.
Riconoscere, identificare, collocare nella giusta immagine qualcosa che possa parlarci, lasciando spazio all'eterno, alla forza comunicativa di quel momento, qualcosa che divenga il tangibile esempio di tempo che resta, come l'esatto momento sospeso, in cui una freccia viene scoccata dal suo arco, reso teso, pronto, per arrivare e fare il suo centro. Questo, il potere di un immagine icona, in metafora riassunta. Marcello si fa iconografia riconoscibile per la sigaretta, il telefono, le spalle e il suo profilo. Quando un tratto distintivo si fa riconoscibile? Quale momento, diventa l'esatto input di riconoscibilità? in lui puoi rivedere l'esempio carismatico in un tempo recitativo, sommesso, un istante sorretto anche dalla recitazione nascosta dalle sua spalle. Eccola la prima immagine iconograficamente potente, che lascia parlare di se, coaudivata dal movimento complice di una macchina da presa, vogliosa di raccontarci iperscrutabilmente e lasciare che resti impressa nei nostri occhi quell'immagine così determinante. Raffigurate una sequenza, che sposti l'ottica sequenziale, volando fluida dalle sue spalle, rivolgendosi al profilo, altro tratto distintivo di Marcello, che lui stesso riteneva infantile, inadeguato, ma che ha tanto disegnato il centro esatto per quella freccia, scoccata per lasciare che fosse icona, come la sua sigaretta accesa, che lasciava spazio al gesto maschile, erotico, seduttivo, complice in causa di un tempo attoriale da recuperare, da riempire, da soddisfare. Una sigaretta tra le sue mani aveva il potere di tutto questo. Era il suo linguaggio, senza esaltazione, estremamente naturale, involontariamente faceva centro senza arco, frecce e bersaglio. Il suo parlarci funzionava, comunicava e diveniva icona senza coscienza assoluta. La sua consapevolezza d'essere era ermeneutica, asciutta, ma impattante tanto quanto la sua immagine iconograficamente riconoscibile anche in penombra, anche di spalle, con qualche rivolo di fumo che si sposta un pò da quel profilo di "infantile identità italiana". Antonioni, Zurlini, Scola ne hanno colto il potenziale veicolando la loro voglia comunicativa attraverso le spalle di Marcello, il profilo e quella sigaretta accesa, rendendo altrettanto iconiche quelle sequenze potenti e comunicative che hanno regalato al cinema italiano diverse frecce scoccate per fare centro. A che punto ci si rende conto di esere icona? nel caso di Marcello, mai consciamente, ma indirettamente conscio di un potenziale che talvolta faticava a sorreggere, a figurare, a collocare, come una pedina di identificazione in uno status d'appartenenza socialmente riconoscibile in superficie. Icona, Vip, Latin Lover, maschio italiano, seduttore, tutti confini, etichette, "bersagli" a cui Marcello non aspirava a far centro. Confini, appunto detestabili, intollerabili determinanti, a suo dire, ad involgarire la sua natura, vera essenza iconografica di identità fruibile dai suoi occhi bambini, vispi, furbi e malinconici. Occhi bersaglio pronti per restare il centro, la comunicazione, la fruibilità, l'essenza. De Sica, Fellini, Archibugi, Ferreri, Visconti, questo lo sapevano. Nelle loro immagini, il racconto esatto della comunicabilità di quegli occhi, utilizzando campi stretti, primi piani che disegnavano il bersaglio più opportuno da sfruttare, che li coadiuvasse a trovare il punto esatto per cogliere nel segno, e il segreto iconografico nascosto, di cui solo Marcello aveva le frecce più opportune da scoccare, per centrare quel bersaglio e riuscire poi, a fare centro.
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ok i love the way pgr combat feels but holy shit im so contentless that I'm solo running recitativo with changyu
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