“Signora, basta ora, si calmi.” È intervenuto il vicino con gli occhiali scuri, che stamattina si è trovato un bel diversivo all'uscita da casa. Ha preso gentilmente Serena alle spalle per impedirle di infierire ancora su Giordano, che non si muove, piange e basta. “Non si preoccupi, ho finito. A meno che il signore non riprovi a vedere mia figlia un'altra volta: in questo caso non mi fermerò così presto. Hai capito? Come ci si sente a essere picchiati? Bene? E non ti ho neanche fatto gli occhi neri come hai fatto te a Rebecca.” La voce è alterata, ma ancora calma. “Te lo richiedo, ti è piaciuto? Lo rifacciamo?” “Tu sei matta davvero. Da legare. Ti denuncio, ti rovino!” Giordano comincia lentamente a rialzarsi, la schiena e i testicoli a pezzi. “Dai, andiamoci insieme dai carabinieri, facciamoci una denuncia a vicenda. Sarà uno spasso...” “Signora, venga, l'accompagno in casa, non è il caso.” Serena si divincola e cerca di assestare un calcio al ginocchio di Giordano, che lo schiva e si mette a correre tra le macchine. “Aspetta Giordano! Hai lasciato il cellulare per terra...” "Le piccolissime tragedie" di Cecilia Lombardi @cecilialombardi2111 @innocenti_piccoli_sfoghi #lepiccolissimetragedie #cecilialombardi #lucignano #librisulibri #determinazione #vendetta #leggereinsieme #letturaconsigliata #toscana #toscanadaleggere #storiedivita #writersofinstagram #realtà #reading #librileparche #leparcheedizioni #leparchedizioni (presso Naples, Italy) https://www.instagram.com/p/CRnjajiHrub/?utm_medium=tumblr
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#bibliotecasanvalentino
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera e l’autore prescelti sono: “Donne che amano troppo" di Robin Norwood.
Perché amare diviene “amare troppo”, e quando questo accade? Perché le donne a volte pur riconoscendo il loro partner come inadeguato o non disponibile non riescono a liberarsene? Mentre sperano o desiderano che lui cambi, di fatto si coinvolgono sempre più profondamente in un meccanismo di assuefazione. “Donne che amano troppo” offre una casistica nella quale sono lucidamente individuate le ragioni per cui molte donne si innamorano dell’uomo sbagliato e spendono inutilmente le loro energie per cambiarlo. Con simpatia e competenza professionale Robin Norwood indica un possibile itinerario verso la consapevolezza di se stessi e verso l’equilibrio dei sentimenti.
Questo libro è dedicato a tutte quelle donne che sono convinte di essere sfortunate, poiché si innamorano sempre della persona sbagliata senza rendersi conto di come avviene tutto ciò... "Quando si confonde l'amore con la sofferenza, una donna sta amando troppo. Quando accetta una relazione che lede la sua dignità e non la rende serena e felice, ma ciò nonostante non riesce a interromperla, sta amando troppo"... Un saggio unico che aiuta a capire tante cose sul modo di amare delle donne "quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo": in questa frase dell'autrice è riassunto tutto il significato del libro. Il saggio intende insegnarci a guarire "dal troppo amore" che è una vera e propria malattia guidandoci attraverso i vari racconti per poi farci approdare a vivere una vita serena nella quale amare noi stesse viene sempre prima di tutto e tutti...
Ma davvero un libro pubblicato nel 1985 ha ancora qualcosa da dire alle donne di oggi?
Sappiamo che il 31,5% delle donne dai 16 a 70 anni ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Sono dati Istat presentati in occasione della giornata contro la violenza sulle donne (il 25 novembre). Si parla di 6 milioni e 788 mila donne, e non vi sono incluse le violenze psicologiche. Dunque, “Donne che amano troppo” è un libro sempre attuale.
Robin Norwood (1945) è una psicoterapeuta americana specializzata in terapia della famiglia, si occupa dei problemi di "dipendenza" e ha lavorato nel campo delle tossicodipendenze e dell'alcolismo. Che c'entrano, direte voi, le donne implicate in una relazione disfunzionale con tossicodipendenti e alcolisti? Ebbene, l'autrice, nella sua esperienza clinica, ha scoperto che mentre i tossicomani talvolta sono cresciuti in famiglie disturbate e talvolta no, le loro partner provengono sempre da famiglie gravemente disturbate; esse cercando di adattarsi ai loro partner, stanno inconsciamente ricreando e rivivendo aspetti significativi della loro infanzia: il bisogno di superiorità e di sofferenza che da piccole riuscivano a soddisfare nel loro ruolo salvifico.
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Atlante sentimentale dei colori
Atlante sentimentale dei colori
Io amo i colori, e ho amato questo libro: l’ atlante sentimentale dei colori.
Se anche voi come me amate l’arte, la pittura o anche il make up, proprio come me, non potete farne a meno, ci sono tutte le storie della nascita dei colori, ad esempio il rosa prima si dava ai maschietti e il rosa alle femmine, oppure come nasce il beige o il kakhi, vorrei trovare anche dei libri che parlino della…
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Libro 1. Albert Camus, “La Peste” (Edizione Bompiani)
Il 15 Giugno ero a Milano.
Preparavo bagagli per tornare finalmente a Palermo dopo mesi di assenza. Il mio compagno, affaccendato anche lui, esclamò "Oh, hanno registrato un caso di meningite fulminante a Palermo!". Allarme rosso per la mia ipocondria, perché i problemi, finché non sono problemi "nostri", sono solo l'ennesima notizia noiosa sentita da qualche parte, ma se era (a) Palermo il problema, allora il problema era anche mio. Raggelata dall'egoismo e dalla pochezza di questo pensiero, feci comunque spallucce, continuai a preparare i miei bagagli e l'indomani partii, arrivai a casa e iniziò un bombardamento mediatico che registrò ogni giorno nuovi casi e nuove morti causate dalla meningite.
Giornalisti sciacalli o meno (tanto da farmi ringraziare costantemente Giorgio Gaber per aver scritto "Io se fossi Dio", in cui malediceva "veramente i giornalisti e specialmente tutti"), mi resi conto di voler trovare un modo per non farmi trascinare da una nevrosi da contagio che stava coinvolgendo tutti e in cui tutti (o quasi) caddero. Era l'alba di un giorno a caso e decisi di combattere la mia ipocondria, il mio egoismo concettuale, la paura di un'ipotetica trasmissione, leggendo il libro che più di tutti, pensai, avrebbe potuto aiutarmi in quel preciso momento: "La Peste di A.Camus" (Edizione Bompiani). Lo aprii e lessi, a pagina 30, che "I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa" e mi sembrò così strano che invece noi si stesse facendo tutto il contrario e come dal 1947 ad oggi le credenze al riguardo potessero essere tanto diverse. E lessi, ancora, a pagina 32, come "pochi casi non fanno un'epidemia".
Non avevo certo bisogno di Camus per comprendere questo, ma mi rendevo perfettamente conto che l'azione del prendere dalla libreria questo libro già letto e il rileggere attentamente le sue parole, mi mettevano nella condizione di credere che quello che stavo facendo era effettivamente chiedere "Ok, Albert. Tu che hai immaginato così bene un'epidemia come la peste, proprio come Salgari ha immaginato la giungla nera, vorrei chiederti delle cose, esattamente come le chiederei a Salgari se dovessi fare un'escursione nelle foreste dell'Amazzonia. E invece no. Parlo con te, ché sei il più adatto al caso, te ne renderai conto anche tu".
E se vi aspettate che questa sia una recensione che vi spieghi per filo e per segno l'intreccio del romanzo, lo studio psicologico dei personaggi, l'analisi del rapporto che il Dottor Rieux ha con sua moglie, con sua madre e con i pazienti tutti, non lo farò. Non lo farò perché tutto questo è già stato spiegato e approfondito in chissà quante tesi, chissà quante recensioni di persone che riescono a prendere un libro e sezionarlo come un chirurgo seziona i lembi di carne da eliminare da un paziente obeso. Non che io non lo sappia fare, ma qua, adesso, è realmente necessario, al fine della nostra storia e consapevoli delle centinaia di persone che già l'hanno fatto, parlare del fatto che la storia ruoti attorno a cinque personaggi centrali, che vivono la peste in modo diverso, benedicendola, rifuggendone, affrontandola, annoiandosene, accettandola? E' davvero necessario scriverne così, o dire che questi stessi personaggi non sono che la traduzione in sentimenti dei possibili modi che abbiamo per affrontare qualsivoglia insidia, davanti ad uno scenario disarmante come la malattia, in genere? L'inevitabilità della morte.
La questione, credo, non sia porsi a un libro come l'annoiato che sceglie un titolo a caso per il semplice piacere della lettura.
Quello esiste, esiste anche, ma è così riduttivo - ho imparato negli anni - farsi sopraffare da un libro per la questione noia, perché la noia stessa si farebbe scambiare, piuttosto che aversi, con qualsiasi pochezza di spirito e pensiero, e ci accontenteremmo di tutto, soverchiati dalle parole.
Lo puoi fare a 16 anni, quando ti stai formando. Ma arriva un momento in cui è giusto comprendere il perché ci si approcci a qualcosa, e il come.E dopo gli anni della formazione si arriva ad un punto in cui, nel momento stesso in cui apri un libro, te ne freghi dell'introduzione, della cronologia, te ne freghi di contestualizzare l'opera all'interno della storia. Sei solo tu e c'è solo lui - O lei - perché lo scrittore prende effettivamente corpo come fosse un fantasma e tu, aprendo il libro, che hai aperto perché avevi delle domande specifiche da porgli, rimani fermo, zitto e ascolti tutto quello che ha avuto la necessità di comporre. Porsi in silenzio di fronte alle parole di questo scrittore; a tratti fermarlo e dirgli "Ok aspetta un attimo, ti rendi conto di quanto sia grave questa cosa che stai dicendo?", o quanto sia bella, o quanto sia importante, o quanto sia così ovvio che ci si sente instupiditi dal non averlo pensato prima, da solo. E allora lo ringrazi, o ti arrabbi: "Cosa stai dicendo, accidenti a Te!".
L'opera parla sempre da sola, se è davvero un capolavoro.
Ti risponde.
Vivi insieme a lui (scrittore) e insieme a lei (storia).
E in quelle mattine d'Estate, tra una notizia e l'altra dei casi di meningite che continuavano a sbucare da ogni parte d'italia, io mi ripetevo "pochi casi non fanno un'epidemia, M., e te lo sta dicendo uno che il flagello lo ha visto davvero". Perché scrivere è vedere davvero, aver vissuto davvero tutto quello che non si è vissuto. E il lettore che si pone in questi termini rispetto alle parole di qualcun altro vive esattamente allo stesso modo il libro, la vita.
E io, che stavo vivendo non un flagello, non un epidemia, ma qualcosa che a torto o ragione volevano spacciare per tale e che venne vissuta da tutti noi come tale, non ho potuto far altro che ritrovarmi in tutti quei personaggi minori del libro, quelli di cui nessuno parla, la vera anima vibrante, il prurito impaziente, lo sragionamento, gli slanci emotivi brevissimi. Quei personaggi impauriti nel vedere il proprio caro affetto dalla peste e il dilemma interiore di credere questo stesso caro, sì, come vittima della malattia sua, ma soprattutto flagello della morte mia, nostra. Provai lo stesso terrore quando il mio compagno tornava alle 4 di mattina dalla movida palermitana, mi dormiva accanto e si affacciava lo stesso dilemma interiore, le stesse fantasie di quei familiari, la stessa paura della quarantena, dell'isolamento, dell'ipercontrollo mancato, la disillusione del futuro, la consapevolezza di un eterno qui ed ora, la genuinità dei sentimenti senza ipocriti fronzoli, l'accettazione della morte.
Leggere La Peste di Camus ci insegna come non possa esistere un unico modo per affrontare la malattia, per affrontare in definitiva "la" questione: la morte. Esistono più e più modi. Qualsiasi sia, questo modo - la maledizione di dio o l'assoluta devozione, aggrapparsi alla speranza, il cinismo compiaciuto - rimaniamo assolutamente ignari del perché "tocchi a lui piuttosto che a me" quella morte orrenda e se io rimango qua, in qualsiasi modo io ne rimanga, è forse giusto che ci si occupi della vita, in tutti i qui ed ora che ci è dato avere senza possibilità di controllo.
M.
#1: amarsi senza saperlo
#2: riflettere
#3: la primavera sui mercati
#4: il passato (e Nostalghia)
#5: il dolore che si vende neinegozi
#6: “io se fossi dio maledirei davvero i giornalisti e specialmente tutti” (Gaber)
#7: mancanze
#8: “i convenevoli del quotidiano fatti preghiera” (C. Bene)
#9: in nome della verità
#10: morire per le idee
#11: lasciarsi andare
#12: mosche e pruriti, lo sappiamo tutti
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Per l’autrice, la narrazione di "Terra Viva" diventa visione allo specchio di se stessa, di ciò che si diventa negli affetti, nel lavoro, negli hobby, a partire da un nucleo fondante di valori che, nel bene e nel male, inaspettatamente germogliano dentro... “Quell’anelito alla libertà, che comunque quelle donne hanno avuto, l’ho avvertito in me, sentendomi, rispetto a loro, privilegiata nell’aver potuto scegliere che orientamento dare alla mia vita.” "Terra Viva - Sotto una buona stella" Maddalena Zullo @maddalenazullo #terraviva #sottounabuonastella #maddalenazullo #libro #maggioinpillole #trovandolibri #ilclubdeilettorifelici #liberedileggere1 #clubpennalibri #lettura #letturaconsigliata #librileparche #leparchedizioni (presso Naples, Italy) https://www.instagram.com/p/CPXe3OEnFLE/?utm_medium=tumblr
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