Tumgik
#consiglibibliotecari
Text
Tumblr media Tumblr media
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l’opera prescelta è “A babbo morto. Una storia di Natale” di Zerocalcare.
Natale… i regali, il cenone, i parenti… ma ci avete mai pensato alle condizioni di lavoro dei folletti nella fabbrica di Babbo Natale? Zerocalcare sì, e vi racconta per la prima volta la scabrosa verità dietro al business della consegna dei regali. Bonus! Le anziane rider della Befana scioperano insieme ai minatori sardi (le cui miniere di carbone vengono chiuse perché nelle calze i bambini preferiscono trovare gli orsetti gommosi), per ottenere migliori condizioni di lavoro!
Siamo di fronte ad appena 80 pagine in cui il fumettista Zerocalcare si destreggia tra una fiaba dalle tinte oscure, la politica e la critica sociale. La narrazione in bianco e nero è più volte spezzata da tavole a colori coronate da una breve spiegazione, dettaglio che punta il riflettore sull’evento appena raccontato, in modo allegorico. Come per tutte le storie di Zerocalcare le risate concesse hanno sempre un retrogusto amaro e non risultano mai fini a se stesse, ma sempre concentrate verso una più profonda riflessione proprio sul lato più grottesco della nostra società, abilmente messo in mostra. Con “A Babbo Morto” siamo di fronte ad una grande allegoria che comprende lotte sociali che passano per i lavoratori della fabbrica di Babbo Natale e che non hanno paura di citare anche i fatti del G8 di Genova. Non manca nemmeno una riflessione su quanto sia cambiata la società, sempre più pretenziosa e poco incline a gioire delle piccole cose; insomma, critiche di ogni tipo che provocano una risata, seguita da un inevitabile “oh no” quando ci si rende conto che in realtà Zerocalcare ci pone davanti ad una storia che di grottesco ha poco: è tutto già stato ampiamente superato dalla realtà.
La struttura della storia è particolare, anche per un autore come Zerocalcare che ha spesso abituato i suoi lettori a tipi di narrazione originali e diversi: “A Babbo Morto” è fatto di “quadretti” con descrizione, che di solito immortalano e ricordano un momento felice che si è vissuto, qui invece fissano nella memoria una serie di momenti critici del mondo che l’autore sta raccontando. Il tutto contornato sempre da decorazioni natalizie che contribuiscono ad una sensazione disturbante che Zerocalcare sicuramente, con l’andare avanti delle pagine, vuole instillare nel lettore. Gli episodi che poi meritano, o meglio, necessitano di un ulteriore approfondimento, presentano delle note a piè di pagina. Questa tipologia di struttura, che vuol raccontare solo i punti salienti di una storia ben più ampia ed estremamente tragica, mette in risalto le contraddizioni di un mondo fiabesco e, a livello puramente teorico, magico che altro non è che un focus su tutte quelle situazioni che hanno afflitto l’Italia negli ultimi anni...
In conclusione, “A Babbo Morto” è una storia di Natale che di natalizio, in realtà, ha ben poco. Zerocalcare racconta di paure, violenze e discriminazioni, e per assurdo sceglie il periodo più magico dell’anno per farlo, per basare tutta la narrazione su un gioco di contrasti disturbanti che mette in luce i retroscena di una società, fiabesca ma non troppo, che aspetta solo il giusto casus belli per esplodere.
Piccola nota a margine: Zerocalcare ha realizzato anche un audiolibro per “A Babbo Morto”: la storia è narrata dallo stesso Michele Rech e le voci secondarie sono affidate a Neri Marcorè e Caterina Guzzanti.
Zerocalcare, pseudonimo di Michele Rech (1983), è un fumettista italiano. Il nome d'arte "Zerocalcare" nacque quando, dovendo scegliersi un nickname per partecipare ad una discussione su Internet, s’ispirò al ritornello dello spot televisivo di un prodotto anti-calcare che stava andando in onda in quel momento. Alla fine del 2019 ha raggiunto il traguardo del milione di copie vendute dei suoi libri. Aderisce allo stile di vita straight edge (particolare filosofia di vita generatasi nell’ambiente hardcore punk), che prevede l’astinenza dal consumo di tabacco, alcool e droghe.
Con la recensione di oggi si conclude la rubrica dedicata ai tesori nascosti della biblioteca, uno spazio letterario inaugurato nel maggio 2020 che ci ha accompagnato, incuriosito e ispirato in questi due anni... Ricordiamo che ogni tesoretto è disponibile sulle pagine social (Facebook & Instagram), nonché sul sito web della biblioteca, https://www.bibliotecasanvalentino.it/tesori-nascosti/ (apposita sezione dedicata), per chiunque desideri consultarli e recuperarli!
Dal nuovo anno continueremo comunque a pubblicare e condividere pensieri, riflessioni e recensioni per rimanere sempre aggiornati sui temi della cultura, delle novità librarie o su varie curiosità del panorama letterario.
Stay tuned!
Grazie a chi in questo periodo ha collaborato alla realizzazione dei tesoretti.
10 notes · View notes
Text
Tumblr media
Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Sellerio
Buona lettura a tutti!
PICNIC A HANGING ROCK di Joan Lindsay
“Se Picnic a Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per conto proprio. Poiché quel fatidico picnic ebbe luogo nell'anno 1900 e tutti i personaggi sono morti da molto tempo, la cosa pare non abbia importanza”.
All’Appleyard College, una rinomata scuola per signorine di buona famiglia, situata in Australia a poca distanza da Melbourne, si respira un’atmosfera di profonda allegria e di grande trepidazione: è l’alba del 14 febbraio del 1900 e le ragazze, tutte vestite di bianco, si preparano per una scampagnata a Hanging Rock, un immenso gruppo roccioso di origine vulcanica che costituisce il simbolo del paese.
La direttrice, la severa e arcigna Mrs. Appleyard sovrintende ai preparativi, mentre le ragazze si scambiano i biglietti di San Valentino. Tra loro spiccano le tre allieve più grandi: Miranda, la più bella, la più riflessiva e la più amata del collegio, Irma, la più ricca e Marion, la più intelligente. L’attempata Miss Greta McCraw, insegnante di matematica con il naso perennemente infilato in un libro e Mademoiselle Dianne de Poitiers, insegnante di francese e di ballo, giovane, elegante e ricca di fascino, sono le accompagnatrici.
Quella che dovrebbe essere una giornata di festa si trasforma in tragedia: una volta arrivata a destinazione, l’allegra brigata si dispone a trascorrere la giornata oziando, ma Miss McCraw, Miranda, Irma e Marion, seguite dall'insulsa Edith, una ragazza lagnosissima, definita dal narratore l’asina del collegio, si avventurano sulla cima della Hanging Rock e non faranno più ritorno. Soltanto Edith e Irma, in momenti diversi, verranno ritrovate, ma non saranno in grado di spiegare cos’è accaduto alle altre. Nonostante le ricerche, neanche i corpi delle scomparse saranno rinvenuti, come se la montagna le avesse letteralmente inghiottite.
Picnic a Hanging Rock è un mystery d’atmosfera in cui le descrizioni di una natura lussureggiante e selvaggia si alternano agli eventi successivi alla scomparsa delle tre ragazze e della loro insegnante durante la gita organizzata dal collegio. Il romanzo è caratterizzato dal tema del perturbante: la normalità, ciò che ci è familiare, diventa estraneo e spaventoso, provocando ansia e disagio. Una tranquilla gita in montagna non si trasforma in una semplice tragedia, ma in qualcosa di ignoto e terribile con cui tutti i protagonisti del romanzo dovranno fare i conti. La Hanging Rock si erge in lontananza, quasi fosse una creatura senziente in grado di influire in modo determinante sulla vita (e la morte) di tutti i personaggi.
Il manoscritto originale del romanzo comprendeva un finale con la soluzione del mistero: il cosiddetto diciottesimo capitolo. Tuttavia, l’editore convinse la Lindsay a rimaneggiare il romanzo, lasciando il mistero senza soluzione. L’autrice affidò al suo agente il compito di pubblicare il capitolo mancante dopo la sua morte. Ciò è avvenuto nel 1987. L’edizione italiana non comprende il diciottesimo capitolo che, in ogni caso, può essere reperito facilmente online in lingua originale con il titolo The Secret of Hanging Rock.
COSA MI È PIACIUTO
Ho avuto la fortuna di leggere questo romanzo con il gruppo di lettura #oldbutgold gestito da Teresa, Bee Book a Lula e la sottoscritta, al quale si sono unite tante lettrici e alcuni lettori con i quali abbiamo discusso ed esaminato i vari aspetti del romanzo.
Personalmente ne ho amato ogni pagina, soprattutto perché il tema del perturbante, ampiamente trattato nel romanzo, mi ha ricordato L’incubo di Hill House di Shirley Jackson, uno dei miei romanzi prediletti. Inoltre, proprio quest’anno la casa editrice Sellerio ha deciso di ripubblicare una nuova edizione di Picnic a Hanging Rock dalla copertina estremamente evocativa e volevo assolutamente che questo splendido volume facesse parte della mia biblioteca.
COSA NON MI È PIACIUTO
Il romanzo ha pienamente soddisfatto le mie aspettative, ma non ne consiglio la lettura a chi non ama le pagine descrittive e ritiene che ogni mistero debba avere la sua soluzione.
L’AUTORE
Joan Lindsay (1896-1984), scrittrice e commediografa australiana, oltre a Picnic a Hanging Rock (1967), pubblicato per la prima volta da Sellerio nel 1993, oggetto di una celebre versione cinematografica di Peter Weir e di una serie TV nel 2018, ha pubblicato il libro di memorie Time Without Clocks (1962).
LA CASA EDITRICE
La Sellerio è nata nel 1969 a Palermo da Elvira Giorgianni e suo marito Enzo Sellerio su ispirazione di Leonardo Sciascia e dell’antropologo Antonino Buttitta. La casa editrice ottiene visibilità nazionale (e internazionale) con la pubblicazione nel 1978 de “L'affaire Moro” di Sciascia. Cresce il numero delle collane, a cominciare da “La Memoria”, oggi simbolo della produzione selleriana. Fra gli scrittori che hanno collaborato con la casa editrice: Gesualdo Bufalino, lanciato nel 1981, vincitore del Premio Campiello e del Premio Strega, e Andrea Camilleri ("padre" della serie TV Montalbano).
2 notes · View notes
Text
Tumblr media Tumblr media
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è "Il paradiso degli orchi" di Daniel Pennac.
Il libro narra la storia di Benjamin Malaussène, che di mestiere fa il capro espiatorio, mansione per la quale viene strigliato dai clienti per oggetti malfunzionanti. Anche se il lavoro è molto duro, Benjamin è costretto a svolgerlo poiché ha una famiglia molto numerosa alle spalle: Louna, Clara, Thérèse, Jérémy, il Piccolo e il cane Julius. La famiglia Malaussène vive nel quartiere di Belleville, accanto a un ristorante arabo gestito dalla mamma adottiva della famiglia, Yasmina, e da tutta la sua famiglia. Infatti, la vera madre dei Malaussène è uno spirito libero e molto spesso scompare per lunghissimi periodi, tornando incinta e abbandonata dal suo ennesimo grande amore. La storia ha inizio quando, nel Grande Magazzino dove Benjamin lavora, inizia ad esplodere una serie di bombe. L'uomo viene subito sospettato a causa del suo lavoro e per la sua presenza nell'edificio ad ogni esplosione.
Nonostante tutti questi inconvenienti, Ben riesce sempre a tenere di buon umore i suoi fratelli raccontando loro delle storie del libro che egli stesso ha scritto. Un giorno, a sorpresa, sua sorella Clara spedisce questo libro a undici case editrici. Per scoprire chi sia realmente il colpevole dello scoppio delle bombe, Ben, con i suoi fratelli e Theo, iniziano ad indagare sul caso. Si viene a scoprire che, durante la seconda guerra mondiale, proprio nel Grande Magazzino erano stati uccisi dei bambini per mano di alcuni anziani che attualmente vi lavoravano, da qui il nome "orchi". Grande aiuto viene dato da una giornalista, Julie, la quale ben presto s'innamora della disastrata famiglia Malaussène e dello stesso Benjamin. Infatti, nel finale, riesce a scrivere un articolo sul mestiere del capro espiatorio e, dopo che Benjamin è stato allontanato e assunto presso una nuova agenzia, le Edizioni del Taglione, i due si metteranno insieme.
È Stefano Benni che dobbiamo ringraziare se nel 1991  Pennac sbarca in Italia con la fortunatissima saga di Malaussène. Benni legge Pennac, rimane affascinato dalla sua scrittura e lo propone a Feltrinelli. Oggi, nel retro della copertina del Paradiso degli orchi  troviamo la sua bellissima introduzione nella quale lo definisce “uno scrittore d’invenzione, un talento fuori dalle scuole”.
Il protagonista, Benjamin Malaussène, nel grande Magazzino, svolge una professione a dir poco singolare, il capro espiatorio; la sua mansione è quella di muovere a compassione i clienti furiosi che presentano i più svariati reclami. Trasformare la rabbia in clemenza, l’indignazione in commiserazione, ecco il vero lavoro di Benjamin. Il risultato? Il ritiro di ogni denuncia e reclamo da parte di ogni cliente inferocito. Questo stato di cose verrà appunto turbato dalle inaspettate, incomprensibili e ripetute esplosioni all’interno del Grande Magazzino. Gli ingredienti di una detective story ci sono tutti: cadaveri, indagini della polizia, indiziati, ma la contaminazione di generi fa sì che il noir si sposi con toni comici e ironici, con trovate intelligenti e leggere. Pennac mescola il crudo realismo con il magico. Le brutture che si stanno consumando al Grande Magazzino vengono trasfigurate e esorcizzate dai racconti che, la sera, Benjamin fa alla nutrita banda dei fratelli e delle sorelle. Il racconto e il raccontare spazzano via ogni genere di preoccupazione sulla proprio sorte, sulla realtà opprimente. Le esplosioni tragiche vengono viste attraverso una lente fantastica, giocosa e il tutto diventa un’avventura.
La presentazione dell’intreccio non rende giustizia al romanzo, la cui forza sta soprattutto nella straordinaria capacità narrativa dell’autore, nel ritmo veloce della sua narrazione, nelle innumerevoli sorprese che scandiscono la successione di eventi pieni di suspense. Daniel Pennac, pseudonimo di Daniel Pennacchioni (1944), è uno scrittore francese. Pessimo allievo, solo verso la fine del liceo ottiene buoni voti, quando un suo insegnante, nonostante la sua dislessia, comprende la sua passione per la scrittura e, al posto dei temi tradizionali, gli chiede di scrivere un romanzo a puntate, con cadenza settimanale. Ottiene la laurea in lettere all'Università di Nizza nel 1968, diventando contemporaneamente insegnante e scrittore. La scelta di insegnare, professione svolta per ventotto anni, a partire dal 1970, gli serviva inizialmente per avere più tempo per scrivere, durante le lunghe vacanze estive. Pennac, però, si appassiona subito a questo suo ruolo. Scommettendo contro amici che lo ritenevano incapace di scrivere un romanzo giallo, nel 1985 pubblica “Il paradiso degli orchi” (Au bonheur des ogres), primo libro del ciclo di Malaussène. Comincia così la fortunata serie di romanzi che girano attorno a Benjamin Malaussène e a un quartiere di Parigi, Belleville. Nel 1992, pubblica il saggio “Come un romanzo”(Comme un roman, in francese), manifesto a favore della lettura. Il 26 marzo 2013 è stato insignito della Laurea ad Honorem per il suo impegno nella pedagogia presso l'Università di Bologna. Nella Lectio magistralis in occasione della Laurea honoris causa, Pennac si sofferma a lungo nella spiegazione della parola “passeur”(letteralmente: facilitatore) per poi nella parte finale definire il “passeur supremo” colui che non fa domande su cosa si pensa del libro appena finito di leggere perché le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità.
3 notes · View notes
Text
Tumblr media Tumblr media
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è "La misura dell’uomo" di Marco Malvaldi.
Ottobre 1493. Firenze è ancora in lutto per la morte di Lorenzo il Magnifico. Le caravelle di Colombo hanno dischiuso gli orizzonti del Nuovo Mondo. Il sistema finanziario contemporaneo si sta consolidando grazie alla diffusione delle lettere di credito. E Milano è nel pieno del suo rinascimento sotto la guida di Ludovico il Moro.
A chi si avventura nei cortili del Castello o lungo i Navigli capita di incontrare un uomo sulla quarantina, dalle lunghe vesti rosa, l’aria mite di chi è immerso nei propri pensieri. Vive nei locali attigui alla sua bottega con la madre e un giovinetto amatissimo ma dispettoso, non mangia carne, scrive al contrario e fatica a essere pagato da coloro cui offre i suoi servigi. È Leonardo da Vinci: la sua fama già supera le Alpi giungendo fino alla Francia di re Carlo VIII, che ha inviato a Milano due ambasciatori per chiedere aiuto nella guerra contro gli Aragonesi ma affidando loro anche una missione segreta che riguarda proprio lui. Tutti, infatti, sanno che Leonardo ha un taccuino su cui scrive i suoi progetti più arditi - forse addirittura quello di un invincibile automa guerriero - e che conserva sotto la tunica, vicino al cuore. Ma anche il Moro, spazientito per il ritardo con cui procede il grandioso progetto di statua equestre che gli ha commissionato, ha bisogno di Leonardo: un uomo è stato trovato senza vita in una corte del Castello, sul corpo non appaiono segni di violenza, eppure la sua morte desta gravi sospetti... Bisogna allontanare le ombre della peste e della superstizione e in fretta! E Leonardo non è nelle condizioni di negare aiuto al suo Signore.
A cinquecento anni dalla morte di Leonardo da Vinci, Marco Malvaldi gioca con la lingua, la scienza, la storia, il crimine e ridà vita al suo genio tra le pagine immaginando la sua multiforme intelligenza alle prese con le fragilità e la grandezza dei destini umani. Un romanzo straordinario, ricco di felicità inventiva, di saperi e perfino di ironia, un’indagine sull'uomo che più di ogni altro ha investigato ogni campo della creatività, un viaggio alla scoperta di qual è - oggi come allora - la misura di ognuno di noi.
Marco Malvaldi si cimenta con il giallo storico e lo fa a suo modo, con la sua ironia e con un dialogo diretto tra narratore e lettore, facendo emergere il contrasto tra il periodo storico raccontato e l’attualità del linguaggio moderno, dove dissemina termini anacronistici ma azzeccati, come internet o influencer, sondaggi o statistiche. Gli stessi personaggi descritti sono a tratti ironici e lontani dall'immaginario collettivo ma, del resto, lo stesso autore afferma che “è sbagliato pensare che i personaggi storici fossero consapevoli di essere personaggi storici”. Anch'essi sono stati esseri reali, quindi caratterizzati da sentimenti e passioni e vizi naturalmente umani. C'è spazio per amori, tradimenti, parolacce e anche un Leonardo da Vinci un poco svampito e distratto che si aggira con aria da sognatore. Tutto questo non rende meno credibile la storia, anzi! Si percepisce chiaramente che dietro “La misura dell’uomo” si cela un approfondito lavoro di ricerca sul periodo storico e, in particolare, sulla Milano di quel tempo. Insomma, siamo molto lontani dalle atmosfere del Bar Lume a cui Malvaldi ci aveva abituato.
Marco Malvaldi (1974) è uno scrittore italiano. Ricercatore presso l’Università di Pisa (Dipartimento di Chimica biorganica), nel 2007 ha pubblicato “La briscola in cinque”; accolto con favore da critica e lettori, il romanzo è il primo di una serie di gialli (nota come ciclo del BarLume) di cui fanno parte “Il gioco delle tre carte” (2008), “Il re dei giochi” (2010), “La carta più alta” (2012) e “Il telefono senza fili” (2014). Nel 2011 sono usciti “Scacco alla Torre” (un’atipica guida alla scoperta di Pisa) e il giallo storico Odore di chiuso, mentre sono del 2012 “Come i fumi confusi” e “Milioni di milioni” e del 2013 “Argento vivo”. Nel 2014 ha pubblicato la guida enogastronomica letteraria “La famiglia Tortilla” e, in collaborazione con D. Leporini, il saggio “Capra e calcoli. L'eterna lotta tra gli algoritmi e il caos” e ha scritto uno dei racconti contenuti nel volume “Vacanze in giallo”, mentre sono del 2015 il testo “Leonardo e la marea”, realizzato in collaborazione con S. Bruzzone, il thriller “La tombola dei troiai”, il saggio “Le regole del gioco. Storie di sport e altre scienze inesatte” e il romanzo “Buchi nella sabbia”. Dal 2015 collabora con il Domenicale de “Il Sole 24 ore”. Tra i suoi lavori più recenti vanno segnalati, tutti pubblicati nel 2016, il romanzo “La battaglia navale”, il saggio “L'infinito tra parentesi. Storia sentimentale della scienza da Omero a Borges”, la raccolta di racconti “Sei casi al BarLume” e uno dei racconti dell'antologia “Il calcio in giallo”; nel 2017, “Le due teste del tiranno. Metodi matematici per la libertà”, “Negli occhi di chi guarda” e “L'architetto dell'invisibile ovvero come pensa un chimico”; nel 2018, i romanzi “A bocce ferme” e “La misura dell'uomo” e il saggio sull'umorismo “Per ridere aggiungere acqua”; nel 2019, “Vento in scatola” (con G. Ghammouri) e “Caos. Raccontare la matematica” (con S. Marmi); nel 2020, “Il borghese Pellegrino” e “La direzione del pensiero. Matematica e filosofia per distinguere cause e conseguenze”; nel 2021, con P. Cintia, “Rigore di testa” e “Chiusi fuori” (con S. Bruzzone, 2022).
4 notes · View notes
Text
Tumblr media Tumblr media
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è "La vita bugiarda degli adulti" di Elena Ferrante.
Il bel viso della bambina Giovanna si è trasformato, sta diventando quello di una brutta malvagia adolescente. Ma le cose stanno proprio così? E in quale specchio bisogna guardare per ritrovarsi e salvarsi? La ricerca di un nuovo volto, dopo quello felice dell’infanzia, oscilla tra due Napoli consanguinee che però si temono e si detestano: la Napoli di sopra, che s’è attribuita una maschera fine, e quella di sotto, che si finge smodata, triviale. Giovanna oscilla tra alto e basso, ora precipitando ora inerpicandosi, disorientata dal fatto che, su o giù, la città pare senza risposta e senza scampo.
Ne “La vita bugiarda degli adulti” le protagoniste sono queste due figure femminili: nipote e zia divise da anni, educazione, carattere; inoltre, il racconto, doloroso e tratti disturbante, del passaggio di una ragazzina dall'infanzia verso l'età adulta. Il punto di vista è esclusivamente femminile, e nell'animo femminile la Ferrante indaga, scava, racconta, fino alle sue pieghe più intime e nascoste. Ci sono, è vero, poi tanti uomini che bazzicano le pagine del romanzo, ma tutti fungono da elemento complementare alle figure femminili. Quasi fossero dei pretesti per consentire alle altre, le vere protagoniste della storia, di svilupparsi. Tutti i personaggi di questo romanzo sono personaggi estremamente complessi, nessuno è mai totalmente positivo o totalmente negativo. Anche i personaggi apparentemente secondari, come quello di Tonino o di Giuliana, si scoprono pian piano: quelli che sembrano buoni, semplici, puri, rivelano poi un lato di sé quasi più “animale”, ma anche fatto di insicurezze, fragilità, bisogno d'essere amati. La contrapposizione iniziale fra la Napoli borghese e quella popolare si fa via via, nel corso del romanzo, meno marcata; nessun personaggio è completamente colpevole, nessuno è completamente innocente; sono tutti, in fondo, divisi in due. E quindi sì, forse in questo romanzo c’è una critica alle ipocrisie della società borghese, ma c’è in realtà un viaggio nell'animo umano che è molto più ampio.
Zia Vittoria, apparentemente, è meschina, ignorante e invidiosa, ma con lo scorrere delle pagine il lettore vede in controluce la fragilità di questa donna, le difficoltà che ha dovuto sempre affrontare con i pochi strumenti che la vita le ha messo a disposizione. Così come la perfezione della mamma di Giovanna lascia il campo ad una sempre più grande dipendenza verso un marito che l’ha umiliata per anni. Una debolezza che non riesce a colmare trovando la forza in se stessa ma solo attraverso il supporto di un altro uomo. Il padre di Giovanna sa incantare con le sue parole e, agli occhi della figlia, non è altro che un figura misera, capace di creare solo dolore alle persone che gli sono vicine. Eppure, può lei stessa constatare che per le donne, lui è un pifferaio magico che le incanta e le fa pendere dalle sue labbra. Giovanna prova a orientarsi in un mondo fatto di maschi. Lo fa inizialmente attraverso il linguaggio del sesso che gli viene insegnato, appunto, da un ragazzo. Poi lo fa credendo di trovare nell’amore la sua via di salvezza. Ma nonostante la sua mente adolescente concepisca gli stratagemmi più assurdi per far suo l’uomo più perfetto che crede di aver mai incontrato nella sua vita, si accorge che, in fin dei conti, altro non è che una copia ripulita di suo padre. E decide di ripartire da sé, sapendo di valere molto di più di quanto qualsiasi altro uomo le consentirà mai di brillare della propria luce riflessa.
Come sempre Elena Ferrante chiude il suo romanzo lasciando a noi di proseguire, riflettendo su quello che sarà il futuro di Giovanna e, perché no, anche il nostro.
È opinione diffusa che il suo nome sia uno pseudonimo, per quanto tale ipotesi non sia accreditata dalla scrittrice. Tra le ipotesi fatte sulla sua possibile identità reale ci sono quelle di Anita Raja, saggista partenopea moglie di Domenico Starnone e traduttrice di Starnone stesso, nonché di Goffredo Fofi (nato però a Gubbio, in Umbria) e degli editori Sandro Ferri e Sandra Ozzola (delle Edizioni e/o). Ricerche stilistiche e stilometriche orientano l’identificazione verso il nome di Domenico Starnone. A queste si aggiungono anche corrispondenze che riguardano i personaggi familiari presenti nei romanzi di Starnone e di Ferrante. In questo senso sono molto significativi i saggi di Simone Gatto, che confermano un'analisi di Luigi Galella. Un'altra ipotesi riconduce alla formulazione del critico e romanziere Marco Santagata, che ha tentato di svelare l'identità di Ferrante, dietro la quale, a suo parere, si celerebbe la storica normalista Marcella Marmo, docente all'Università "Federico II" di Napoli. Altre piste, invece, indirizzano al filosofo Marcello Frixione, anche se l'approfondita conoscenza ambientale e descrittiva di alcuni rioni partenopei presente nei libri non si concilia con l'ipotesi relativa a Frixione, che è originario di Genova.
Nell'ottobre 2016 l'ipotesi che Ferrante sia Anita Raja si è rafforzata in seguito alla pubblicazione di un articolo (uscito sul Sole 24 ore e ripreso dalle principali testate internazionali) che desume l'attribuzione dalle transazioni finanziarie della casa editrice, un metodo deplorato con fermezza da Sandra Ozzola, della casa editrice E/O, senza però una vera smentita. Nel febbraio 2022, Claudio Gatti è tornato sull'argomento indicando, come scopo principale della sua ricerca, l'individuazione di "una chiave di lettura biografico-culturale ai suoi romanzi", attraverso le ascendenze ebraiche di Anita Raja. Senza aver mai svelato la propria identità, la scrittrice ha pubblicato il volume “La frantumaglia” proprio per soddisfare la curiosità del pubblico nei suoi confronti; in esso sono raccolte le lettere dell'autrice al suo editore, le poche interviste da lei concesse e le sue corrispondenze con lettori d'eccezione. La funzione principale dell'opera è far comprendere al lettore i motivi che spingono l'autrice a rimanere nell'oscurità. La scrittrice stessa parla di un desiderio di autoconservazione del proprio privato, un desiderio di mantenere una certa distanza e non prestarsi alla spinta che alcuni scrittori hanno di mentire per apparire come ritengono che il pubblico si aspetti. Ferrante è convinta che i suoi libri non necessitino di una sua foto in copertina né di presentazioni promozionali: devono essere percepiti come “organismi autosufficienti”, a cui la presenza dell'autrice non potrebbe aggiungere nulla di decisivo, dando vita, in questo modo, a un'inedita performance autoriale dell'assenza.
2 notes · View notes
Text
Tumblr media Tumblr media
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è "Un amore" di Dino Buzzati.
Una Milano che è insieme ritratto della metropoli e simbolo della babele d’ogni tempo. Su questo sfondo si muove il protagonista di “Un amore”: un uomo inconsapevole di aver atteso troppo, che è rimasto nell’intimo un giovane e crede che il sentimento possa compiere miracoli. E così il professionista maturo si innamora perdutamente di una donna giovanissima, ma già carica della cinica spregiudicatezza e della stanchezza morale di un’epoca. Unico romanzo erotico di Buzzati, “Un amore” continua l’indagine nelle inquietudini dell’uomo contemporaneo descrivendo la parabola di un amore vero, di esemplare limpidezza, destinato a smarrirsi nella menzogna come in un labirinto.
Antonio Dorigo è un professionista affermato di quasi cinquant’anni, vive a Milano negli anni Sessanta del Novecento, è scapolo. Ha sempre considerato le donne come creature irraggiungibili e lontane; si è sempre considerato poco desiderabile, non attraente per le ragazze che veramente gli piacevano. Così per calmare il bisogno fisico dell’amore si concede di andare con le prostitute: spesso giovanissime, belle, disinibite e soprattutto sempre disponibili in cambio di denaro. Finché un giorno, proprio durante uno di questi incontri a pagamento, conosce una ragazzina dai lunghi capelli neri e dal nome certamente significativo a livello letterario: Laide. Essa trascina il suo uomo, noioso borghese, nel vortice di una relazione carnale che gli procura tanta infelicità quanta vita. Laido infatti è qualcosa di sporco, sporco nel senso di immorale, osceno: Laide trascina Dorigo in una specie di incubo fatto di bugie, gelosia e dolore: il problema è che il nostro ingenuo se ne innamora. Lui stesso si meraviglia e si sbigottisce di fronte a questo inatteso avvenimento. Ma si tratta di una relazione malata, di una passione che porta solo dolore e sofferenza, è il loro legame che è sbagliato, fondato su rapporti di potere e soldi, interessi che non hanno niente in comune con il sentimento dell’amore.
Buzzati ci accompagna nel racconto attraverso il flusso di coscienza del protagonista in cui salta la punteggiatura perché i pensieri corrono veloci in un turbinio di parole inarrestabili, una cascata di immagini che marcano la sua ossessione bruciante, il suo pensiero fisso, la sua dolce-amara sofferenza, il suo sperare “esasperato” che fa patteggiare ora per l’una ora per l’altra parte, in un gioco senza vincitori né vinti, dove l’amore non è che una maledizione a cui non è possibile resistere.
La prosa è dolce ed elegante; l'erotismo è gestito con grande stile, mai esplicito ma costantemente aleggiante su ogni pagina dell’opera. L’analisi psicologica è magistrale, Buzzati ci porta nella mente del protagonista sviscerandone ogni più riposto pensiero, ogni insano meccanismo mentale, ogni angosciante paura. L’epilogo è sorprendente, l’amore, che sia reale o immaginario, sano o malato, appagante o tormentato, è sempre il grande, vero, inevitabile leitmotiv della vita di tutti noi.
Dino Buzzati Traverso (1906 – 1972) è stato uno scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo, librettista, scenografo, costumista e poeta italiano. Fin da studente collaborò al Corriere della Sera come cronista, redattore e inviato speciale. Autore di un grande numero di romanzi e racconti surreali e fantastici, tanto da esser stato a più riprese definito il “Kafka italiano”, viene considerato, insieme a Italo Calvino, Tommaso Landolfi e Juan Rodolfo Wilcock, uno dei più grandi scrittori fantastici del Novecento italiano: il suo libro più noto è “Il deserto dei Tartari”, romanzo del 1940. Lo scrittore sudafricano J. M. Coetzee, premio Nobel nel 2003, si è ispirato alla trama de “Il deserto dei Tartari” per scrivere uno dei suoi capolavori, “Aspettando i barbari”, pubblicato nel 1980. Ancora oggi, grazie a un numero elevatissimo di traduzioni - in primis la Francia, dove, quasi avendolo eletto a loro autore, ne hanno pubblicato l'Opera omnia - Buzzati gode di un vasto riconoscimento in tutto il mondo.
2 notes · View notes
Text
Tumblr media Tumblr media
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è "Autobiografia del Blu di Prussia" di Ennio Flaiano.
«Se in un quadro i cattivi umori del pittore, le sue torbide malinconie, i suoi errori, le sue sfrenate ambizioni condensano e s’esprimono, state certi che là, in quel punto, troverete la mia ombra, l’ombra del Blu». Flaiano scrive i testi – racconti, apologhi, stralci di cronaca, epigrammi – che formano questa composita raccolta con la stessa livida cromia, e li tramuta in autobiografia indiretta. Descrive luoghi dell’Abruzzo natio in cui la desolazione è profondamente radicata e figure che, su quei fondali, paiono inesorabilmente votate all’autodistruzione: come l’intellettuale romantico e decadente che sospende un’assunzione fatale di veronal solo per la momentanea fioritura di una rosa, o il giovane, ultimo di sei fratelli, cui la famiglia non perde occasione di rinfacciare il suo status di indesiderato, di nato «a tavola sparecchiata». E quando, nel più lungo di questi racconti, Flaiano rievoca la vicenda di uno zio prete, don Oreste, la narrazione affonda ancor più tra quelle rocce scarne, dove «i cattivi umori della terra cristallizzano» e generano quel blu di Prussia «velenoso, sordido, intelligente e pieno di rancori sociali». Ma sarebbe strano se questo brulichio di volti ignoti e misconosciuti non celasse fisionomie storiche: le troviamo nella luce autunnale di una Roma così toccata dalla grazia da far dire a Vincenzo Cardarelli, appena uscito dal cinema, che «con un cielo simile si può rinviare un suicidio».
Si tratta di una raccolta di racconti, apologhi, stralci di cronaca, epigrammi, divisa in tre parti (la prima è quella che conferisce il titolo al libro). In appendice al testo vengono anche riprodotti in facsimile alcuni “schizzi” dello stesso Flaiano di opere da fare.
Dopo la morte di Flaiano i suoi libri postumi si sono succeduti con frequenza: scrisse tantissimo, ma di romanzi ne diede alle stampe soltanto uno, perciò tutto il resto è composto da racconti, aforismi, articoli etc. "Autobiografia del Blu di Prussia" fu il primo libro pubblicato postumo, in prima edizione da Rizzoli nel 1974 e come ci racconta Cesare Garboli che l’ha redatto (o meglio dire composto), buona parte del materiale era stato scelto dall'autore. In pratica alla sua morte, la vedova ha aperto le porte dello studio e lì, ben disposti in diversi raccoglitori, Flaiano aveva lasciato una sorta di resoconto del proprio lavoro, catalogando quanto pubblicato mentre il resto era stato ordinato. Ennio Flaiano (1910 – 1972) è stato uno sceneggiatore, scrittore, giornalista, umorista, critico teatrale e cinematografico e drammaturgo italiano. Specializzato in elzeviri, Flaiano scrisse per “Oggi”, “Il Mondo”, il “Corriere della Sera” e altre testate. Lavorò a lungo con Federico Fellini, con cui collaborò ampiamente ai soggetti e alle sceneggiature dei suoi più celebri film, tra i quali “La strada”, “La dolce vita”e ”8½”. Fine e ironico moralista, ma anche acre e tragico al tempo stesso, produsse opere narrative e varie prose tutte percorse da un'originale vena satirica e un vivo senso del grottesco, attraverso cui vengono stigmatizzati gli aspetti paradossali della realtà contemporanea. Creava continuamente mottetti e aforismi, molti dei quali ancora di uso comune. Fu il primo vincitore del premio Strega, nel 1947, con il suo più famoso romanzo, “Tempo di uccidere”. Alla sua memoria, nel 1974, gli è stato dedicato il Premio Flaiano, il concorso più importante per soggettisti e sceneggiatori del cinema. La manifestazione si svolge ogni anno nella sua città natale, Pescara, che, dopo la sua morte, gli ha intitolato una strada nel centro storico e l'omonimo ponte sul fiume Pescara.
2 notes · View notes
Text
Tumblr media Tumblr media
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è "Margherita dolcevita" di Stefano Benni.
Margherita Dolcevita è una ragazzina che sa guardare il mondo. Le bastano un cuore appena difettoso e qualche chilo in più per aggiungere sale e ironia alla sua naturale intelligenza. Compatisce con affetto le stramberie della sua famiglia e volentieri si perde nel grande prato intorno alla sua casa, ultimo baluardo della campagna ormai contaminata dalla città e dimora della sua amica invisibile: la Bambina di polvere. Ma improvvisamente, come un fantasma di notte, di fronte alla casa di Margherita appare un cubo di vetro nero circondato da un asettico giardino sintetico e da una palizzata di siepi. Sono arrivati i signori Del Bene, i portatori del "nuovo", della beatitudine del consumo. Amici o corruttori? La famiglia di Margherita cade in una sorta di oscuro incantesimo: nessuno ne resta immune. E su chi fa resistenza alla festa del benessere, della merce e del potere s'addensa una nube di misteriose ritorsioni. Margherita sospetta un piano diabolico ed è pronta a mettere in gioco tutta la combattività e l'immaginazione per scoprire in quale abisso di colpevole stoltezza il suo piccolo mondo, e forse il mondo intero, sono precipitati.
“Margherita Dolcevita” è un romanzo particolare. E, in effetti, è una storia ironica, divertente, una favola senza tempo e dal finale totalmente spiazzante. Il racconto ha come protagonista l’adolescente col cuore malandato, Margherita, che ama i libri e la poesia, il cui sguardo va oltre le apparenze e la fantasia non ha confini: un personaggio davvero fuori dagli schemi, assolutamente fuori posto in una società moderna, ma che invece risulta essere la persona più “normale”. Scrive poesie brutte, incipit di racconti mai finiti, e inventa titoli di libri ostentando tanta sicurezza da farli sembrare veri. Un piccolo personaggio geniale che passa da momenti estremamente infantili all'argutezza non proprio di una ragazza della sua età, fino alle polemiche di una donna di ottant'anni. Ha i capelli biondi e ricci (come i fusilli) e non è un personaggio idilliaco, ma come tutti gli adolescenti ha caratteristiche uniche e imperfette che la rendono totalmente umana: è una ragazza positiva, onesta, sincera e coraggiosa.
“Margherita Dolcevita” è un romanzo che spinge il lettore a riflettere sui contorni sempre più netti che sta via via assumendo la nostra società: la ricerca della perfezione, il consumismo, la distruzione del nostro pianeta e il disinteresse verso il prossimo. Non è un semplice libro per bambini, ma un atto di denuncia, a volte celato, a volte evidente e diretto. Fa riflettere su ciò che conta davvero e sull'importanza dei buoni sentimenti, come la generosità, l’amicizia, l’affetto familiare, l’umiltà. La fantasia di Margherita è una barriera protettiva contro le minacce incombenti dell’era moderna, che annullano la creatività e la personalità dell’individuo e che, se ignorate o sottovalutate, diventano ogni giorno più forti e pericolose. È necessario, dunque, combattere per ciò in cui si crede, rispettare se stessi e gli altri, non aver paura di mostrarsi per quello che si è.
Può sembrare un romanzo cupo e triste, e forse in fondo un po' lo è, ma si tratta della vita.
Quel che è certo è che Benni ci proietta in un mondo di riflessioni: ci si ritrova spesso a pensare a tutte le nostre scelte, ai nostri modi di agire e alle loro conseguenze. Fino a capire che, alla fine della storia, il progresso della società ci spinge verso un mondo più comodo ma anche, per certi versi, peggiore perché fa dimenticare la bellezza di alcuni valori. Questo non vuol dire, però, che ci si debba arrendere: Margherita ne è l'esempio più vivo e lampante.
Non esiste una biografia vera e propria di Stefano Benni - fanpage autore, perché, da trent'anni, si diverte a modificarla, arricchirne dii particolari e di aspetti spesso inventati! Basti pensare che Benni si è cimentato a costruirsi almeno dodici biografie diverse! Eccone una che, però, è quasi vera. Nasce nel 1947 a Bologna ma la sua infanzia è sulle montagne dell’Appennino, dove fa le prime scoperte letterarie, erotiche e politiche. Gioca a pallone ma la sua carriera è interrotta da un infortunio. Studia al classico con risultati non eclatanti, l’università non fa per lui: cambia due o tre facoltà, ma intanto ha cominciato a scrivere. Inizia a fare l’attore, ma non guadagna una lira. È un’esperienza che gli servirà dopo. Lavora in alcuni giornali, poi Fruttero e Lucentini lo scoprono sulla rivista “Il Mago”. Scrive articoli per il Mondo, Panorama, Espresso e soprattutto per il Manifesto. Durante il militare scrive “Bar Sport”. Con i primi soldi viaggia... Ha scritto più di venti libri. È momentaneamente vivo e in buona salute.
3 notes · View notes
Text
Tumblr media
Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: NN Editore
Buona lettura a tutti!
ℚ𝕌𝔸𝕃ℂ𝕆𝕊𝔸 ℕ𝔼𝕃𝕃𝔸 ℕ𝔼𝔹𝔹𝕀𝔸 – ℝ𝕠𝕓𝕖𝕣𝕥𝕠 ℂ𝕒𝕞𝕦𝕣𝕣𝕚
«Ho scritto un libro che parlava di come ci si possa sentire in gabbia di fronte all'infinito, ora, nei racconti che ho iniziato, sento che c’è qualcosa di diverso, qualcosa che non capisco. Voglio scoprire dove mi sta portando, ascoltare ciò che mi sta chiamando.»
Può il confine tra finzione e realtà diventare sempre più labile tanto da consentire ad uno scrittore di incontrare e guardare negli occhi i propri personaggi? Questo è ciò che accade in “Qualcosa nella nebbia”, di Roberto Camurri, un romanzo in cui l’autore prova a descrivere il malessere esistenziale che può sottendere al processo creativo.
Il lettore si trova di fronte ad un vero e proprio metaromanzo, poiché il protagonista è lo scrittore Roberto alle prese con la stesura della sua nuova opera, una raccolta di racconti incentrati sulle vicende di Andrea detto Jack, Alice e Giuseppe che vivono nel comune di Fabbrico, in provincia di Reggio Emilia.
Andrea è un giovane uomo consumato dalla vita; da bambino è stato vittima di bullismo e, una volta cresciuto, ha sviluppato una dipendenza da alcol e droghe. Un evento del passato lo ha segnato inesorabilmente: l’arrivo di una strana famiglia nella casa accanto alla propria, che sarà vittima di un’immane tragedia. Andrea ha un’unica amica alla quale è molto legato, Alice.
Alice è la sola ad andare via da Fabbrico per inseguire sogni di fama e fortuna. È diventata una star televisiva da reality show, ma non può fare a meno di tornare al paese d’origine. È anche il personaggio più complesso e sfaccettato: vuole rinnegare le proprie radici, ma non riesce a stare lontana da Fabbrico per troppo tempo. Cerca l’amore, ma si butta via lasciandosi coinvolgere in storie con uomini sbagliati che la umiliano e la maltrattano.
Giuseppe è un tipo piuttosto introverso. È il grande amore di Alice, ma il loro è un rapporto fatto di assenza e grandi silenzi. Il legame col padre alcolizzato è stato fonte di grande sofferenza e lo ha portato a chiudersi in se stesso a tal punto da diventare estraneo a ciò che lo circonda.
Lo scrittore Roberto, che tira le fila delle varie vicende, è un uomo profondamente irrisolto e insoddisfatto e questo lo spinge a provare molta rabbia nei confronti della moglie, donna solida, accogliente e pragmatica, e della figlioletta. Attraverso la scrittura Roberto attiva un processo di catarsi che gli consentirà non solo di annullare la distanza tra sé e i personaggi da lui creati, ma anche di ricordare un evento tragico del suo passato nascosto nei recessi più profondi della memoria.
La Fabbrico descritta da Camurri non è reale, piuttosto è cupa, fosca, sotterranea poiché riproduce i moti dell’anima dello scrittore e dei suoi personaggi. È il luogo in cui si creano rapporti, si stringono amicizie, ma anche quello dove avvengono fatti di sangue e in questo romanzo, di violenza sia fisica che psicologica, ce n’è davvero tanta. La scrittura è estremamente intima e scava nell'anima dei protagonisti mettendone a nudo gli stati d’animo, i sentimenti e le debolezze.
Leggendo questo libro è impossibile non provare un profondo senso di malessere e di straniamento, simile a quello derivante dalla visione di un film di David Lynch. Allo stesso tempo, non si può non restarne invischiati: il senso di fascinazione che le vicende e i personaggi esercitano sul lettore non lasciano scampo.
Infine c’è la nebbia che nasconde luoghi, oggetti, persone e quel qualcosa di cui tutti noi, in fin dei conti, siamo alla ricerca.
COSA MI È PIACIUTO
Ho amato molto l’elemento metanarrativo del romanzo e il modo in cui il protagonista cerca di entrare nel libro che sta scrivendo. Inoltre ho apprezzato il colpo di scena finale.
COSA NON MI È PIACIUTO
L’estrema violenza e la volgarità del linguaggio in alcune delle situazioni narrate.
L’AUTORE
Roberto Camurri è nato nel 1982, undici giorni dopo la finale dei Mondiali a Madrid. Vive a Parma ma è di Fabbrico, un paese triste e magnifico che esiste davvero. È sposato con Francesca e hanno una figlia. Lavora con i matti e crede ci sia un motivo, ma non vuole sapere quale. Il suo libro d’esordio, “A misura d’uomo” (NNE 2018), ha vinto il Premio Pop e il Premio Procida ed è stato tradotto in Olanda, Spagna e Catalogna. Il suo secondo romanzo, “Il nome della madre”, è stato tradotto in Olanda e Germania. “Qualcosa nella nebbia” è il suo terzo romanzo.
LA CASA EDITRICE
NN Editore ha avuto inizio il 19 marzo 2015, quando sono usciti in libreria “Benedizione” di Kent Haruf e “Sembrava una felicità” di Jenny Offill. Fin dal nome - NN sta per nomen nescio, nome sconosciuto, come nella carta d’identità degli "orfani" di padre – la casa editrice ha voluto dare risalto al tema della ricerca d’identità nel mondo contemporaneo, insieme alla qualità della scrittura e all'empatia suscitata nei lettori dalla voce degli scrittori al di là dei generi e della nazionalità degli autori. Il catalogo di NN non ha collane, ma si sviluppa in Stagioni, Trilogie e Serie. Ogni stagione illumina un tema specifico legato alla ricerca d’identità, come il peso di ruoli e relazioni, l’eredità del passato, gli alleati e i nemici nella ricerca del proprio posto nel mondo. In questo modo, i libri sono legati tra loro da invisibili fili rossi, a costituire nel loro insieme un ideale percorso di lettura.
1 note · View note
Text
Tumblr media
Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Edizioni E/O
Buona lettura a tutti!
ℕ𝕀ℕ𝔽𝔼𝔼 ℕ𝔼ℝ𝔼 𝕕𝕚 𝕄𝕚𝕔𝕙𝕖𝕝 𝔹𝕦𝕤𝕤𝕚
“Tre donne vivevano in un paesino. La prima era cattiva, la seconda bugiarda e la terza egoista. […] Erano tre persone molto diverse. Eppure avevano qualcosa in comune, una specie di segreto: tutte e tre sognavano di andarsene. […] Tre donne vivevano in un paesino. La terza era quella con più talento, la seconda era la più furba e la prima era la più determinata. Secondo voi, quale delle tre è riuscita a scappare? La terza, la più giovane, si chiamava Fanette Morelle. La seconda si chiamava Stéphanie Dupain. La prima, la più vecchia, ero io”.
Questo è l’incipit di “Ninfee nere”, il romanzo più famoso dello scrittore francese Michel Bussi, un mystery ambientato a Giverny, il paesino della Normandia famoso in tutto il mondo per via del pittore impressionista Claude Monet e della serie di quadri dedicati alle Ninfee.
Nel paese tutto ruota intorno alla figura del pittore, alla sua casa museo, allo stagno delle ninfee, ma anche intorno ad una bambina con un talento innato per la pittura e ad una maestra infelice, dagli occhi color malva, che vuole dare una svolta alla sua vita.
Nonostante l’ambientazione colorata, ricca di fiori e di bellezze naturali, già dopo poche righe di lettura, ci imbattiamo nel primo di una serie di omicidi che sembrano avere un oscuro legame con fatti avvenuti in un lontano passato.
La vittima è un collezionista d’arte forse coinvolto nel ritrovamento di un quadro di Monet dal valore inestimabile, mentre sono legati alla vicenda un marito geloso e un’anziana donna che conosce tutti i segreti dei suoi concittadini, ma si ostina a tacere.
“Ninfee nere” è considerato dalla maggior parte dei lettori un vero e proprio page turner, un romanzo dall'intreccio apparentemente lineare in cui, però, nulla è come appare: il finale è caratterizzato da un colpo di scena a prima vista sensazionale. In realtà, andando a rileggere alcuni passaggi, mi sono resa conto che Bussi si approfitta della buona fede del lettore, utilizzando vari escamotages per ingannarlo, facendogli credere quello che vuole, affinché non arrivi da solo alla soluzione del mistero.
COSA MI È PIACIUTO
Ho letto questo romanzo con il gruppo di lettura #lelulahunters gestito da Teresa, Bee Book a Lula e da Miria @miriathebookhunter2019 e attendo con ansia la discussione finale per potermi confrontare con gli altri partecipanti. Di “Ninfee nere” ho amato moltissimo l’ambientazione e le pagine dedicate all’impressionismo e, in particolare, alla vita di Claude Monet. Anche lo stile di scrittura, molto caustico, tipico della commedia nera, è sicuramente notevole.
COSA NON MI È PIACIUTO
Nonostante gli indiscussi pregi, la lettura del romanzo mi ha lasciata piuttosto tiepida per vari motivi: non ho apprezzato le modalità in cui l’autore cerca di depistare il lettore; i personaggi, a mio parere, sono caratterizzati in modo troppo marcato, assumendo dei tratti caricaturali. Inoltre, la vicenda è, di per sé, piuttosto scialba, poiché tutto viene raccontato solo e unicamente in funzione del colpo di scena finale.
L’AUTORE
Michel Bussi. Autore francese di gialli più venduto oltralpe. È nato in Normandia, dove sono ambientati diversi suoi romanzi e dove insegna geografia all’Università di Rouen. Ninfee nere (Edizioni E/O 2016) è stato il romanzo giallo che nel 2011, anno della sua pubblicazione in Francia, ha avuto il maggior numero di premi: Prix Polar Michel Lebrun, Grand Prix Gustave Flaubert, Prix polar méditerranéen, Prix des lecteurs du festival Polar de Cognac, Prix Goutte de Sang d’encre de Vienne. Tra le sue pubblicazioni per E/O figurano: Tempo assassino (2017), Mai dimenticare (2017), La doppia madre (2018), Il quaderno rosso (2018), La follia mazzarino (2019), Usciti di Senna (2020), la saga distopica N.E.O La caduta del sole di ferro (2020), Tutto ciò che è sulla terra morirà (2021), La mia bottiglia per l'oceano (2022) e Codice 612. Chi ha ucciso il Piccolo Principe? (2023).
LA CASA EDITRICE
Edizioni E/O è stata fondata dai coniugi Sandro Ferri e Sandra Ozzola nel 1979 e pubblica libri di letteratura italiana e straniera. Lo scopo della CE è quello di creare ponti tra letterature di diversi paesi per stimolare il dialogo tra le culture. Infatti, il nome e/o sta per e/oppure, ma anche est/ovest, mentre il logo rappresenta una cicogna che viaggia nel mondo portando storie. La e/o presta da sempre un’attenzione particolare alla letteratura femminile, pubblicando le opere di autrici come Elena Ferrante, Lia Levi, Muriel Barbery, Christa Wolf e Alice Sebold, ma edita anche i noir di Massimo Carlotto e Jean-Claude Izzo, i romanzi fantastici di Matt Haig e la saga dell’Attraversaspecchi di Christelle Dabos.
0 notes
bibliotecasanvalentino · 11 months
Text
Tumblr media
Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: NN Editore
Buona lettura a tutti!
𝑭𝑬𝑳𝑳𝑶𝑾𝑺𝑯𝑰𝑷 𝑷𝑶𝑰𝑵𝑻 di 𝑨𝒍𝒊𝒄𝒆 𝑬𝒍𝒍𝒊𝒐𝒕𝒕 𝑫𝒂𝒓𝒌
Agnes Lee e Polly Wister sono due vispe ottantenni che, insieme ad altri soci, condividono la proprietà di Fellowship Point, un’amena località situata nello stato del Maine. Amiche da sempre, sono una l’opposto dell’altra: Agnes, infatti, è una scrittrice di successo della serie di libri per bambini “Quando Nan” e, sotto pseudonimo, dei romanzi per adulti di “Franklyn Square”, non si è mai sposata, ha un carattere forte e deciso, dice sempre quello che pensa e lo fa senza tanti giri di parole. Polly, invece, è una donna dolce e remissiva che ha dedicato tutta la sua vita a compiacere gli altri, in particolare il marito Dick, un professore di filosofia pomposo e pieno di sé, che considera la moglie al suo servizio ventiquattr'ore al giorno.
Siamo all'inizio del Duemila e le inseparabili amiche si trovano a dover affrontare una vera e propria emergenza poiché scoprono che su Fellowship Point, paradiso della flora e della fauna, incombe un progetto di sviluppo turistico che ne distruggerebbe la bellezza incontaminata. Allo stesso tempo, Agnes è tormentata da Maud, una giovanissima editor che vuole convincerla a scrivere un memoir, e i suoi cugini Archie e Seela Lee accusano Robert Circumstance di furto…
“Fellowship Point” è un romanzo che, nonostante il considerevole numero di pagine, si legge tutto d’un fiato e in cui, oltre alle indimenticabili protagoniste, l’autrice ci presenta una galleria di personaggi ai quali non possiamo non affezionarci: dall’architetto paesaggista Robert Circumstance, amico da sempre delle due anziane signore, allo scrittore Virgil Reed e a sua figlia Nan, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella vita di Agnes; da Maud, appassionata fin da piccolissima dei romanzi di “Quando Nan”, a sua madre Heidi, personaggio dolente ed enigmatico.
Nel romanzo l’autrice tratta con grande delicatezza il tema dell’amicizia, soprattutto di quella femminile, ed è in grado di alternare episodi piacevoli e divertenti con altri estremamente drammatici e toccanti. Attraverso il racconto della vita e dei segreti di Agnes e Polly, inoltre, la Dark ci mostra anche quanto possa essere difficile essere donna: Agnes si è dedicata alla carriera, ma non è mai riuscita a crearsi una famiglia, mentre Polly, per essere la moglie e madre esemplare che tutti si aspettavano che fosse, ha dovuto mettere da parte le sue ambizioni e reprimere la propria intelligenza.
Lo splendore di Fellowship Point viene ampiamente descritto in modo poetico e suggestivo e non possiamo fare a meno di condividere l’amore che molti dei personaggi nutrono per questo magnifico territorio.
COSA MI È PIACIUTO
Ho amato moltissimo il romanzo e ho apprezzato particolarmente lo stile “cinematografico” dell’autrice: infatti, le immagini di quello che leggevo mi scorrevano davanti agli occhi, come se stessi guardando un film.
COSA NON MI È PIACIUTO
Nonostante abbia divorato il libro, mi ci è voluto un po’ per entrare nella storia perché l’autrice descrive l’ambientazione, la situazione di partenza e i personaggi con troppa dovizia di particolari.
L’AUTRICE
Alice Elliott Dark è autrice di romanzi, poesie e racconti. I suoi scritti sono apparsi su The New Yorker, Harper’s, The New York Times, Best American Short Stories. Il suo racconto In the Gloaming è stato inserito da John Updike nell’antologia The Best American Short Stories insieme ai più grandi autori della letteratura americana. Fellowship Point è in corso di traduzione in diversi paesi.
LA CASA EDITRICE
NNEditore ha avuto inizio il 19 marzo 2015, quando sono usciti in libreria “Benedizione” di Kent Haruf, e “Sembrava una felicità” di Jenny Offill. Fin dal nome - NN sta per nomen nescio, nome sconosciuto, come nella carta d’identità degli "orfani" di padre – la casa editrice ha voluto dare risalto al tema della ricerca d’identità nel mondo contemporaneo, insieme alla qualità della scrittura e all'empatia suscitata nei lettori dalla voce degli scrittori al di là dei generi e della nazionalità degli autori. Il catalogo di NN non ha collane, ma si sviluppa in Stagioni, Trilogie e Serie. Ogni stagione illumina un tema specifico legato alla ricerca d’identità, come il peso di ruoli e relazioni, l’eredità del passato, gli alleati e i nemici nella ricerca del proprio posto nel mondo. In questo modo, i libri sono legati tra loro da invisibili fili rossi, a costituire nel loro insieme un ideale percorso di lettura.
0 notes
Text
Tumblr media
Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Voland Edizioni
Buona lettura a tutti!
IGIENE DELL’ASSASSINO di Amélie Nothomb
Amélie Nothomb, scrittrice belga estremamente prolifica e molto amata, ha pubblicato il suo primo romanzo, “Igiene dell’assassino”, nel 1992. Si tratta di un’opera in cui i dialoghi, che occupano gran parte della narrazione, appaiono come dei duelli all'ultimo sangue tra i personaggi e sono caratterizzati da battute taglienti, da un botta e risposta che non lascia scampo.
Il protagonista è il famoso scrittore Prétextat Tach, vincitore del premio Nobel per la letteratura, un uomo solitario che da molti anni vive quasi recluso per dedicarsi a due grandi passioni: la scrittura e il cibo. Prétextat è un uomo obeso, repellente e sembra quasi che la bruttezza fisica si rispecchi anche nel carattere poiché l’uomo è misogino, cinico, intollerante, provocatore e del tutto restio a qualunque tipo di rapporto umano.
A ridosso della scadenza dell’ultimatum della Guerra del Golfo, si diffonde la notizia che l’ottuagenario scrittore sia affetto da una rarissima forma di tumore e ormai prossimo alla morte. I giornalisti di tutto il mondo chiedono a gran voce che Tach rilasci un’intervista, una sorta di testamento spirituale. A questo scopo, Ernest Gravelin, il segretario del Premio Nobel, sceglie cinque giornalisti e fissa un incontro al giorno con il grande autore.
I primi quattro, tutti uomini, vengono immediatamente messi a disagio e letteralmente massacrati dalla dialettica crudele e spietata di Prétextat. Tuttavia, la situazione si capovolge quando entra in scena l’ultima giornalista, l’unica in grado di tener testa al tremendo scrittore, l’unica ad aver letto tutte le sue opere. A differenza dei suoi colleghi, la giovane Nina ha uno scopo ben preciso: scoprire tutta la verità sull'unico romanzo di Tach ad essere rimasto incompiuto, un libro dal sapore autobiografico intitolato “Igiene dell’assassino”.
Nel romanzo troviamo due dei temi ricorrenti nella produzione letteraria della Nothomb: il tema del delitto, inteso come atto necessario per liberarsi dalla prigione fisica o psicologica che ci attanaglia, ma anche come cruento ricongiungimento con la parte più profonda di sé, e il tema del corpo come sede dell’espiazione e catalizzatore di ogni colpa. Nei romanzi della Nothomb, infatti, troviamo spesso personaggi descritti con caratteristiche fisiche raccapriccianti: ad esempio in “Igiene dell’assassino” il protagonista è grottescamente obeso.
COSA MI È PIACIUTO
Sono rimasta colpita dall'uso sapiente del linguaggio da parte dell’autrice: colto, tagliente, raffinatissimo ma, allo stesso tempo, essenziale. Ho anche apprezzato i dialoghi le cui battute sono affilate come rasoi.
COSA NON MI È PIACIUTO
Inizialmente, la trama molto intrigante e i dialoghi serrati, estremamente ironici e pungenti, hanno catturato la mia curiosità, ma da un certo punto in poi, ho notato un rallentamento nel ritmo della narrazione e il finale non è stato all'altezza delle mie aspettative.
L’AUTRICE
Amélie Nothomb è nata nel 1966 a Etterbeek. Figlia di un diplomatico belga, ha trascorso la sua infanzia tra il Giappone, la Cina, gli USA e il Bangladesh. Ha pubblicato il suo primo romanzo, “Igiene dell’assassino”, nel 1992 e, da allora, pubblica un libro all’anno alla fine di agosto. Ha vinto numerosi premi letterari come il Grand Prix du roman de l’Academie Française, il Prix René-Fallet e il Prix Alain-Fournier.
LA CASA EDITRICE
Voland edizioni nasce a Roma nel dicembre del 1994. Il marcato interesse per le letterature slave è da subito evidente, come dimostra anche il nome scelto, tratto dal romanzo “Il maestro e Margherita”, capolavoro del ’900 russo di Michail Bulgakov. Animata dalla volontà di far conoscere culture e mondi affascinanti attraverso letterature poco esplorate, ma di grande profondità, tra le proposte della casa editrice spiccano Georgi Gospodinov, Mircea Cartarescu e Zachar Prilepin. Accanto all'anima slava, la passione per la narrativa di qualità ha reso possibile la scoperta di Amélie Nothomb, dal 1997 fedelissima alla casa editrice che l’ha lanciata in Italia.
1 note · View note
Text
Tumblr media
Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica @Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ (a darci l'idea è stata Misstortellino con il suo progetto #indiebooks).
La casa editrice di questo mese è: 21lettere
Buona lettura a tutti!
PUNTO DI FUGA di MIKHAIL SHISHKIN
“Per esistere devi vivere, non nella tua mente, che è così inaffidabile… ma in quella di un’altra persona, e non una persona qualunque, ma quella che ha a cuore la tua esistenza.”
Nel 1899, durante la guerra dei Boxer che vede contrapposti gli imperi coloniali, tra cui la Russia, e la Cina, due giovani innamorati, Sashka e Volodja, che hanno avuto la fortuna di incontrarsi e di vivere un breve periodo di perfetta felicità, sono costretti a separarsi poiché lui dovrà trascorrere un periodo di addestramento in un campo militare e poi andare a combattere al fronte. Per tenersi in contatto durante il periodo di lontananza, i due ragazzi si scrivono costantemente, ed ecco che la struttura di “Punto di fuga” di Mikhail Shishkin è quella di un romanzo epistolare in cui leggiamo alternativamente le lettere di Sashka e quelle di Volodja.
Tuttavia, ci accorgiamo ben presto che le missive non hanno un andamento diacronico perché il tempo non scorre allo stesso modo per entrambi. Le lettere di lui riguardano un momento storico breve e ben delineato dagli scontri e dalle battaglie di cui racconta. Quelle di lei, invece, si riferiscono ad un periodo molto più ampio in cui il tempo degli eventi e della memoria subisce una dilatazione. Ecco che i due, oltre ad essere lontani nello spazio, si allontanano anche nel tempo, procedendo l’uno accanto all'altra senza incontrarsi mai in una sorta di punto di fuga inverso.
Più che lettere rivolte ad un destinatario, gli scritti dei due fidanzati si configurano come due diari a senso unico in cui non ha importanza a chi si scrive, ma ciò che viene narrato. Per Sashka e Volodja si tratta di un’opportunità unica per mettere a nudo se stessi, raccontare con grande nostalgia i ricordi della propria infanzia in una sorta di lunga confessione, ma anche di un’occasione per parlare degli eventi del presente di entrambi: gli orrori della guerra per lui e il senso di solitudine, inadeguatezza e le difficoltà del vivere quotidiano per lei.
Gli elementi più interessanti del romanzo sono lo stile di scrittura, ma soprattutto la profonda capacità d’introspezione dell’autore che, in alcuni passaggi, mi ha ricordato mostri sacri della letteratura russa come Dostoevskij e Tolstoj. Anche se l’amore riveste un ruolo fondamentale, “Punto di fuga” non è un romanzo sentimentale, ma un’opera il cui fulcro è costituito dalla memoria, dalla guerra, dal lutto e dal potere salvifico della parola.
COSA MI È PIACIUTO
Ho amato molto il modo in cui Shishkin approfondisce la psicologia non soltanto dei protagonisti, ma anche dei personaggi che gravitano intorno a loro, rendendoli in tutto e per tutto degli esseri umani, con i loro vizi e le loro virtù. In alcuni punti del romanzo mi sono commossa, mentre altri mi sono sembrati di una crudezza quasi intollerabile.
COSA NON MI È PIACIUTO
La lettura del romanzo mi ha provocato dei sentimenti contrastanti. Mentre lo leggevo mi sentivo totalmente assorbita dalla narrazione tanto che non avrei mai voluto smettere. Una volta interrotta la lettura, però, l’idea di riprendere il libro in mano mi risultava insopportabile. Forse, come ha acutamente sottolineato Martina Asero (@imaandthebooks) “’Punto di fuga’ è un romanzo che racconta cose su noi stessi che non abbiamo voglia di sentire”.
L’AUTORE
Mikhail Shishkin figlio di un’insegnante di letteratura e di un ingegnere civile, è cresciuto nel centro di Mosca. Dissidente nei confronti del governo russo, oggi vive in Svizzera. I suoi libri sono tradotti in oltre 30 lingue e “Punto di fuga” ha vinto il Premio Strega Europeo 2022 a pari merito con “Primo sangue” di Amelie Nothomb.
LA CASA EDITRICE
21lettere è una casa editrice indipendente fondata da Alberto Bisi nel modenese, che si affaccia sul panorama editoriale nel 2020. Si tratta di un progetto editoriale che, nelle intenzioni, si basa sull'ascolto, elemento in contrasto alla contemporaneità sempre più urlata. “Tutto quello che c’è qui dentro è una combinazione di 21lettere più una manciata di segni di punteggiatura e 5 lettere straniere. Tanto basta. Il resto è dentro a una persona, e passa a un’altra persona”, si legge nel manifesto della casa editrice. Ascolto, inteso sia come attenzione verso le voci del panorama internazionale e apertura a nuove forme letterarie, e ascolto inteso anche come il caratterizzarsi da un ritmo lento. 21lettere, infatti, si propone di pubblicare sei libri ogni anno, per dedicare la giusta attenzione alle immagini, alla componente grafica e al materiale.
0 notes
Text
Tumblr media Tumblr media
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è “Il Maialino di Natale" di J. K. Rowling.
Jack adora il suo maialino di pezza, Mimalino, detto Lino. È sempre lì per lui, nei giorni belli e in quelli brutti. Una vigilia di Natale, però, succede una cosa terribile: Lino si perde. Ma la vigilia di Natale è il giorno dei miracoli e delle cause perse, è la notte in cui tutto può prendere vita, persino  i giocattoli! Jack e il suo nuovo pupazzo, il Maialino di Natale (fastidioso sostituto fresco di negozio), si imbarcano in un piano audace. Insieme intraprenderanno un viaggio mozzafiato nella Terra dei Perduti, dove – con l’aiuto di un portapranzo parlante, di una bussola coraggiosa e di un essere alato di nome Speranza – cercheranno di salvare il miglior amico che Jack abbia mai avuto dal terribile Perdente: un mostro fatto di rottami che divora ogni cosa…
La storia ha tutti gli ingredienti per piacere: il protagonista, Jack, è un bambino delle elementari i cui genitori hanno deciso di separarsi. Questo grande cambiamento, unito anche al trasferimento in una nuova scuola, lo getta come prevedibile nello sconforto. Anche se non lo dà molto a vedere, l’unico suo compagno di confidenze lo sa. L’unico che lo conosce davvero e lo ascolta nel calore delle coperte: è Lino il maialino. Il suo pupazzo di sempre, amico di mille avventure. È talmente consunto e scalcagnato da essere quasi imbarazzante portarselo ancora dietro, ma per Jack è un punto fisso, il solo in questo momento di incertezze. Quindi quando lo perde il mondo gli crolla sotto ai piedi. E a nulla vale il tentativo di risolvere la situazione ricomprandogli una nuova versione dello stesso pupazzo. Perché di Lino ce n’è uno solo. Il nuovo arrivato gli propone di accompagnarlo nella Terra dei Perduti, dove finiscono gli oggetti smarriti. È l’unica notte all’anno in cui può succedere, la notte di Natale, proprio la notte in cui tutte le cose possono animarsi. E così ha inizio il viaggio che cerca di salvare il povero Lino dalle sgrinfie del perfido mostro Perdente, Re della landa degli oggetti perduti. E per farlo tocca loro passare da tre città diverse, “Usa e Getta”, “Dove Sarà Mai” e la “Città dei Rimpianti” (descritta come Venezia). In ognuna di queste città “vivono” oggetti diversi a seconda del valore che hanno, dell’attaccamento dei loro padroni e delle probabilità che possano tornare nel mondo reale perché “ritrovati”.
Nonostante qualche rimando a "Toys" e ad "Alice nel Paese delle meraviglie", nella trama la Rowling riesce con garbo a raccontare quanto ci si possa affezionare anche alle cose, oltre alle persone. E quanto i cambiamenti spaventino i bambini, anche quando non ce ne accorgiamo. Con la delicatezza che la contraddistingue, la Rowling è riuscita a trattare temi come la perdita e il dolore emotivo in un libro adatto a tutti, carico di fantasia e avventura. Il romanzo è suddiviso in nove parti, ciascuna composta da capitoli brevi e accompagnati dalle illustrazioni di Jim Field. Joanne Rowling (1965) è una scrittrice, sceneggiatrice e produttrice cinematografica britannica. La sua fama è legata alla serie di romanzi di Harry Potter, che ha scritto firmandosi con lo pseudonimo J. K. Rowling (in cui "K" sta per Kathleen, nome della nonna paterna), motivo per cui la scrittrice è spesso indicata impropriamente come "Joanne Kathleen Rowling". Nel 2013 pubblica la sua prima opera con lo pseudonimo di Robert Galbraith. Nel 2011 è stata inserita da Forbes nella classifica delle donne più ricche del Regno Unito.
1 note · View note
Text
Tumblr media Tumblr media
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è “La conchiglia di Anataj" di Carlo Sgorlon.
Nella Siberia pre-rivoluzionaria, un piccolo gruppo di emigranti friulani partecipa alla costruzione della ferrovia transiberiana. Uno di loro, Valeriano, dopo anni di vagabondaggi alla ricerca del lavoro, trova la sua seconda patria in un villaggio sperduto nella taiga siberiana. Qui, dove le buone e le cattive stagioni scandiscono il tempo del lavoro e del riposo, delle fatiche e dei sogni, con nuovi amici e un nuovo amore scopre il senso della sua vita.
Romanzo scritto nel 1983 e che nello stesso anno vinse il Premio Campiello: il titolo evoca un sapore antico come una favola, e proprio con i toni della favola “La conchiglia di Anataj” narra di quella ricerca di significato dell’esistenza che assume sfumature sempre diverse per ciascuno, eppure sempre uguali. La storia è quella di un gruppetto di friulani emigrato in cerca di lavoro e di fortuna che, quasi per caso, giunge a lavorare in Siberia per costruire la ferrovia, la famosa transiberiana che collegherà Mosca all’oceano. Talvolta il gruppo di “senza patria” si sentirà partecipe del grande significato di quella storica impresa, ma più spesso sarà il senso di smarrimento della loro condizione a prendere il sopravvento. Tuttavia sarà proprio il lavoro, il semplice duro lavoro dei corpi a diventare ben presto il solo modo di dare significato alle loro vite, sospese nell’attesa della fine e del ritorno in patria. Lavorare tenacemente perseguendo un comune obiettivo  diventa lo strumento cui aggrapparsi per non lasciarsi cadere nel vuoto del nonsenso.
Nel corso degli anni trascorsi in Siberia il gruppo di emigranti si inserisce nella vita del villaggio tra i cui abitanti c’è Anataj, vecchio senza tempo, forte e saggio, dal passato quasi leggendario di fuorilegge a cavallo nella steppa, che a tutti i suoi cavalli dà sempre lo stesso nome, Kadbar. E proprio Anataj possiede un oggetto particolarmente strano da trovare ai margini della taiga, una conchiglia che “ha una storia”, perché è passata di mano in mano prima di giungere fino a lui, ma solo il suo primo proprietario ha visto il mare. La conchiglia, accostata all’orecchio, ha la proprietà di far ascoltare il fluire della vita, ed essa assumerà per Valeriano la valenza simbolica della consapevolezza del proprio destino. Carlo Sgorlon (1930 – 2009) è stato uno scrittore e insegnante di italiano. I suoi romanzi hanno per tema specialmente la vita contadina friulana con i suoi miti, le sue leggende e la sua religiosità, il dramma delle guerre mondiali e delle foibe, le storie degli emigrati, le difficili convivenze delle varie etnie linguistiche; spesso proprio il passato e le radici rappresentano per Sgorlon gli unici elementi risananti del mondo.
0 notes
Text
Tumblr media Tumblr media
In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è “La valigia di Adou" di Zita Dazzi.
Adou e Oreste hanno molte cose in comune: hanno tutti e due dieci anni, amano il calcio, non capiscono il mondo dei grandi. E poi, tutti e due aspettano qualcosa: Adou non vede l'ora di arrivare in Italia, Oreste aspetta la nascita della sorellina. Ma il sogno dell'Italia per Adou comincia nel modo più drammatico: da solo, dentro una valigia. La stessa valigia che riserverà a Oreste la più grande sorpresa della sua vita. Adou e Oreste ci raccontano la storia che li ha portati a conoscersi e a diventare amici, in barba a qualunque ostacolo. I legami più forti, a volte, nascono nei modi più inaspettati.
La valigia di Adou é ispirata a un vero fatto di cronaca che ci permette di conoscere maggiormente (e in maniera semplice ma diretta) un problema attualissimo, che non vede ancora una soluzione valida: cosa significa essere migranti. Per questo motivo il libro è sostenuto da Amnesty International Italia che da sempre combatte per i diritti umani.
L'autrice, giornalista de La Repubblica (si occupa di sociale), scrive così a voci alternate, di due ragazzini - Oreste e Adou - che raccontano il loro incontro, ciascuno dal suo punto di vista. Lieve come una fiaba per i toni che usa, eppure profondissima per i temi che tratta ("Mi sento un bambino venuto dal nulla e con nulla davanti, come se non fossi nessuno, senza passato e senza futuro"), Zita Dazzi, insomma, ci regala due personaggi indimenticabili.
 
Due personaggi in grado di far riflettere non solo i piccoli, dal cuore già tenero e sensibile, ma anche i più grandi, a cui a volte bisogna solo ricordare che un cuore bisogna averlo.
 
Zita Dazzi (1965) è una giornalista e scrittrice italiana, cronista di la Repubblica. Milanese di nascita, vive a Roma fino ai 14 anni. Frequenta il liceo Parini a Milano, per poi laurearsi in Scienze Politiche a New York. Dopo aver lavorato per la RAI, l'Espresso e Radio Popolare, nel 1989 inizia a lavorare per la Repubblica alla redazione di Milano, occupandosi principalmente di cronaca politica e temi sociali. Nel 2008 pubblica il suo primo libro, “La Banda dei gelsomini”, continuando a pubblicare negli anni successivi altri venti libri per ragazzi e adulti con le principali case editrici italiane. Ha vinto diversi premi giornalistici e letterari. Menzione speciale nel 2020 al Premio Matteotti istituito dalla Camera dei Deputati per il romanzo "Con l'anima di Traverso", storia della partigiana Laura Wronowski. Insegna al master della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi dell'Università Statale di Milano.
0 notes