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#dicembreinlettura
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l’opera prescelta è “A babbo morto. Una storia di Natale” di Zerocalcare.
Natale… i regali, il cenone, i parenti… ma ci avete mai pensato alle condizioni di lavoro dei folletti nella fabbrica di Babbo Natale? Zerocalcare sì, e vi racconta per la prima volta la scabrosa verità dietro al business della consegna dei regali. Bonus! Le anziane rider della Befana scioperano insieme ai minatori sardi (le cui miniere di carbone vengono chiuse perché nelle calze i bambini preferiscono trovare gli orsetti gommosi), per ottenere migliori condizioni di lavoro!
Siamo di fronte ad appena 80 pagine in cui il fumettista Zerocalcare si destreggia tra una fiaba dalle tinte oscure, la politica e la critica sociale. La narrazione in bianco e nero è più volte spezzata da tavole a colori coronate da una breve spiegazione, dettaglio che punta il riflettore sull’evento appena raccontato, in modo allegorico. Come per tutte le storie di Zerocalcare le risate concesse hanno sempre un retrogusto amaro e non risultano mai fini a se stesse, ma sempre concentrate verso una più profonda riflessione proprio sul lato più grottesco della nostra società, abilmente messo in mostra. Con “A Babbo Morto” siamo di fronte ad una grande allegoria che comprende lotte sociali che passano per i lavoratori della fabbrica di Babbo Natale e che non hanno paura di citare anche i fatti del G8 di Genova. Non manca nemmeno una riflessione su quanto sia cambiata la società, sempre più pretenziosa e poco incline a gioire delle piccole cose; insomma, critiche di ogni tipo che provocano una risata, seguita da un inevitabile “oh no” quando ci si rende conto che in realtà Zerocalcare ci pone davanti ad una storia che di grottesco ha poco: è tutto già stato ampiamente superato dalla realtà.
La struttura della storia è particolare, anche per un autore come Zerocalcare che ha spesso abituato i suoi lettori a tipi di narrazione originali e diversi: “A Babbo Morto” è fatto di “quadretti” con descrizione, che di solito immortalano e ricordano un momento felice che si è vissuto, qui invece fissano nella memoria una serie di momenti critici del mondo che l’autore sta raccontando. Il tutto contornato sempre da decorazioni natalizie che contribuiscono ad una sensazione disturbante che Zerocalcare sicuramente, con l’andare avanti delle pagine, vuole instillare nel lettore. Gli episodi che poi meritano, o meglio, necessitano di un ulteriore approfondimento, presentano delle note a piè di pagina. Questa tipologia di struttura, che vuol raccontare solo i punti salienti di una storia ben più ampia ed estremamente tragica, mette in risalto le contraddizioni di un mondo fiabesco e, a livello puramente teorico, magico che altro non è che un focus su tutte quelle situazioni che hanno afflitto l’Italia negli ultimi anni...
In conclusione, “A Babbo Morto” è una storia di Natale che di natalizio, in realtà, ha ben poco. Zerocalcare racconta di paure, violenze e discriminazioni, e per assurdo sceglie il periodo più magico dell’anno per farlo, per basare tutta la narrazione su un gioco di contrasti disturbanti che mette in luce i retroscena di una società, fiabesca ma non troppo, che aspetta solo il giusto casus belli per esplodere.
Piccola nota a margine: Zerocalcare ha realizzato anche un audiolibro per “A Babbo Morto”: la storia è narrata dallo stesso Michele Rech e le voci secondarie sono affidate a Neri Marcorè e Caterina Guzzanti.
Zerocalcare, pseudonimo di Michele Rech (1983), è un fumettista italiano. Il nome d'arte "Zerocalcare" nacque quando, dovendo scegliersi un nickname per partecipare ad una discussione su Internet, s’ispirò al ritornello dello spot televisivo di un prodotto anti-calcare che stava andando in onda in quel momento. Alla fine del 2019 ha raggiunto il traguardo del milione di copie vendute dei suoi libri. Aderisce allo stile di vita straight edge (particolare filosofia di vita generatasi nell’ambiente hardcore punk), che prevede l’astinenza dal consumo di tabacco, alcool e droghe.
Con la recensione di oggi si conclude la rubrica dedicata ai tesori nascosti della biblioteca, uno spazio letterario inaugurato nel maggio 2020 che ci ha accompagnato, incuriosito e ispirato in questi due anni... Ricordiamo che ogni tesoretto è disponibile sulle pagine social (Facebook & Instagram), nonché sul sito web della biblioteca, https://www.bibliotecasanvalentino.it/tesori-nascosti/ (apposita sezione dedicata), per chiunque desideri consultarli e recuperarli!
Dal nuovo anno continueremo comunque a pubblicare e condividere pensieri, riflessioni e recensioni per rimanere sempre aggiornati sui temi della cultura, delle novità librarie o su varie curiosità del panorama letterario.
Stay tuned!
Grazie a chi in questo periodo ha collaborato alla realizzazione dei tesoretti.
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Oggi l'opera prescelta è “Il Maialino di Natale" di J. K. Rowling.
Jack adora il suo maialino di pezza, Mimalino, detto Lino. È sempre lì per lui, nei giorni belli e in quelli brutti. Una vigilia di Natale, però, succede una cosa terribile: Lino si perde. Ma la vigilia di Natale è il giorno dei miracoli e delle cause perse, è la notte in cui tutto può prendere vita, persino  i giocattoli! Jack e il suo nuovo pupazzo, il Maialino di Natale (fastidioso sostituto fresco di negozio), si imbarcano in un piano audace. Insieme intraprenderanno un viaggio mozzafiato nella Terra dei Perduti, dove – con l’aiuto di un portapranzo parlante, di una bussola coraggiosa e di un essere alato di nome Speranza – cercheranno di salvare il miglior amico che Jack abbia mai avuto dal terribile Perdente: un mostro fatto di rottami che divora ogni cosa…
La storia ha tutti gli ingredienti per piacere: il protagonista, Jack, è un bambino delle elementari i cui genitori hanno deciso di separarsi. Questo grande cambiamento, unito anche al trasferimento in una nuova scuola, lo getta come prevedibile nello sconforto. Anche se non lo dà molto a vedere, l’unico suo compagno di confidenze lo sa. L’unico che lo conosce davvero e lo ascolta nel calore delle coperte: è Lino il maialino. Il suo pupazzo di sempre, amico di mille avventure. È talmente consunto e scalcagnato da essere quasi imbarazzante portarselo ancora dietro, ma per Jack è un punto fisso, il solo in questo momento di incertezze. Quindi quando lo perde il mondo gli crolla sotto ai piedi. E a nulla vale il tentativo di risolvere la situazione ricomprandogli una nuova versione dello stesso pupazzo. Perché di Lino ce n’è uno solo. Il nuovo arrivato gli propone di accompagnarlo nella Terra dei Perduti, dove finiscono gli oggetti smarriti. È l’unica notte all’anno in cui può succedere, la notte di Natale, proprio la notte in cui tutte le cose possono animarsi. E così ha inizio il viaggio che cerca di salvare il povero Lino dalle sgrinfie del perfido mostro Perdente, Re della landa degli oggetti perduti. E per farlo tocca loro passare da tre città diverse, “Usa e Getta”, “Dove Sarà Mai” e la “Città dei Rimpianti” (descritta come Venezia). In ognuna di queste città “vivono” oggetti diversi a seconda del valore che hanno, dell’attaccamento dei loro padroni e delle probabilità che possano tornare nel mondo reale perché “ritrovati”.
Nonostante qualche rimando a "Toys" e ad "Alice nel Paese delle meraviglie", nella trama la Rowling riesce con garbo a raccontare quanto ci si possa affezionare anche alle cose, oltre alle persone. E quanto i cambiamenti spaventino i bambini, anche quando non ce ne accorgiamo. Con la delicatezza che la contraddistingue, la Rowling è riuscita a trattare temi come la perdita e il dolore emotivo in un libro adatto a tutti, carico di fantasia e avventura. Il romanzo è suddiviso in nove parti, ciascuna composta da capitoli brevi e accompagnati dalle illustrazioni di Jim Field. Joanne Rowling (1965) è una scrittrice, sceneggiatrice e produttrice cinematografica britannica. La sua fama è legata alla serie di romanzi di Harry Potter, che ha scritto firmandosi con lo pseudonimo J. K. Rowling (in cui "K" sta per Kathleen, nome della nonna paterna), motivo per cui la scrittrice è spesso indicata impropriamente come "Joanne Kathleen Rowling". Nel 2013 pubblica la sua prima opera con lo pseudonimo di Robert Galbraith. Nel 2011 è stata inserita da Forbes nella classifica delle donne più ricche del Regno Unito.
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è “La conchiglia di Anataj" di Carlo Sgorlon.
Nella Siberia pre-rivoluzionaria, un piccolo gruppo di emigranti friulani partecipa alla costruzione della ferrovia transiberiana. Uno di loro, Valeriano, dopo anni di vagabondaggi alla ricerca del lavoro, trova la sua seconda patria in un villaggio sperduto nella taiga siberiana. Qui, dove le buone e le cattive stagioni scandiscono il tempo del lavoro e del riposo, delle fatiche e dei sogni, con nuovi amici e un nuovo amore scopre il senso della sua vita.
Romanzo scritto nel 1983 e che nello stesso anno vinse il Premio Campiello: il titolo evoca un sapore antico come una favola, e proprio con i toni della favola “La conchiglia di Anataj” narra di quella ricerca di significato dell’esistenza che assume sfumature sempre diverse per ciascuno, eppure sempre uguali. La storia è quella di un gruppetto di friulani emigrato in cerca di lavoro e di fortuna che, quasi per caso, giunge a lavorare in Siberia per costruire la ferrovia, la famosa transiberiana che collegherà Mosca all’oceano. Talvolta il gruppo di “senza patria” si sentirà partecipe del grande significato di quella storica impresa, ma più spesso sarà il senso di smarrimento della loro condizione a prendere il sopravvento. Tuttavia sarà proprio il lavoro, il semplice duro lavoro dei corpi a diventare ben presto il solo modo di dare significato alle loro vite, sospese nell’attesa della fine e del ritorno in patria. Lavorare tenacemente perseguendo un comune obiettivo  diventa lo strumento cui aggrapparsi per non lasciarsi cadere nel vuoto del nonsenso.
Nel corso degli anni trascorsi in Siberia il gruppo di emigranti si inserisce nella vita del villaggio tra i cui abitanti c��è Anataj, vecchio senza tempo, forte e saggio, dal passato quasi leggendario di fuorilegge a cavallo nella steppa, che a tutti i suoi cavalli dà sempre lo stesso nome, Kadbar. E proprio Anataj possiede un oggetto particolarmente strano da trovare ai margini della taiga, una conchiglia che “ha una storia”, perché è passata di mano in mano prima di giungere fino a lui, ma solo il suo primo proprietario ha visto il mare. La conchiglia, accostata all’orecchio, ha la proprietà di far ascoltare il fluire della vita, ed essa assumerà per Valeriano la valenza simbolica della consapevolezza del proprio destino. Carlo Sgorlon (1930 – 2009) è stato uno scrittore e insegnante di italiano. I suoi romanzi hanno per tema specialmente la vita contadina friulana con i suoi miti, le sue leggende e la sua religiosità, il dramma delle guerre mondiali e delle foibe, le storie degli emigrati, le difficili convivenze delle varie etnie linguistiche; spesso proprio il passato e le radici rappresentano per Sgorlon gli unici elementi risananti del mondo.
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