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#inoperosità
aitan · 6 months
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"La sola cosa necessaria per il trionfo del male è l'inoperosità dei buoni."
(La traduzione, un po' raccogliticcia, è mia.)
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eliogia · 30 days
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ci stanno abbandonando
è primavera ancora chiaro il giorno merito delle nuove ore l'ora solare c'è pace tra i cani che abbaiano i passerotti che ciarlano e le automobili che scorrono la statale una settimana impegnativa di inoperosità ma tanto è successo da turbare l'animo un pezzo di questa vita colpevole la barba da radere trascurata essere eclettico e mondano artista non sono tratti questi che connotano la tipicità. Alcune persone ci stanno abbandonando ma non ne siamo consapevoli incapaci rischiamo di naufragare in banalità quando è sufficiente un accorato saluto non necessario lascia traccia per non ritrovarsi a piangere i segni che confondono quotidiano e certezze travolti da emozioni più antiche di noi che ripudiamo per crogiolarci in quieto semplice sopravvivere incoerente con i giorni del genio ieratico che voleva essere. Un'altra amica adesso corre felice avanti e indietro nei campi elisi e ci sorride serena senza più afflizioni ne dolori o paure sottolinea alle nostre vite che stiamo sbagliando la dipendenza impegnati come in una serie televisiva che male interpretiamo costantemente tagliata dal palinsesto senza possibilità di riscrittura o correzione.
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schizografia · 3 years
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Si scrive per diventare impersonali, per diventare geniali e, tuttavia, scrivendo, ci allontaniamo da Genius, che non può mai avere la forma di un Io, e tanto meno di un autore. Ogni tentativo di Io, dell’elemento personale, di appropriarsi di Genius, di costringerlo a firmare in suo nome è necessariamente destinato a fallire. Di qui la pertinenza e il successo di operazioni ironiche come quelle di Duchamp, in cui la presenza di Genius viene attestata decreando, distruggendo l’opera. Ma se pure soltanto un’opera revocata e disfatta potrebbe essere degna di Genius, l’Io-Duchamp non potrà mai coincidere con Genius e, nella generale ammirazione, se ne va in giro nel mondo come la malinconica prova della propria inesistenza, come il portatore famigerato della propria inoperosità.
Giorgio Agamben
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ladycatastrofe · 3 years
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Credo che la mia ragazza non mi ama più, le carte che dicono?
Ho chiesto cosa prova per te questa ragazza. Le carte sono state davvero chiare, sembra di avercele messe apposta così hahah. Partiamo con un cavaliere di bastoni al contrario e segue poco dopo un quattro di spade: blocchi, pause, riposi, bisogno di riprendere le proprie forze. In più il papa mi fa pensare che sia una relazione che dura da tanto o che ha fondamenta ben salde. Forse è accaduto qualcosa di estremamente pesante fra voi due. Nel passato abbiamo un cavaliere di denara, in genere rappresenta movimenti e/o comunicazioni lente, ma in questo caso lo vedo come un trascinarsi fino ad un presente che mi viene rappresentato da un due di spade: scelte complicate, scelte che feriranno gli altri e soprattutto sé stessi, non a caso chiudiamo con gli amanti al contrario, altra carta che parla di dualità ed in questo caso di una scelta già presa e confermata, cosa che poi mi riconferma il sette di coppe al contrario sul fondo del mazzo. Poi abbiamo un mago al contrario, mi ritorna il suo stato di inoperosità, di pausa, nei suoi sentimenti abbiamo l’appeso, la ricerca di una risposta (probabilmente quella che cerca col due di spade), in più trovo una difficoltà nell’ accordarsi, ma forse più nel capirvi.
In breve quello che mi emerge è una persona stanca o distrutta da qualcosa e che prova assolutamente ancora amore per te ma che vuole allontanarsi, in un modo o nell’altro per non soffrire. Il motivo chiaramente è solo vostro.
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uncantuccio · 4 years
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non potendomi proiettare verso il futuro e non potendo esplorare l’esterno, e abitando il presente come un tempo sospeso, fatto di silenzio e per lo più di inoperosità - è quasi inevitabile che io ricada nel passato. questo pomeriggio ho ripreso in mano delle poesie scritte a intervalli irregolatissimi tra il duemiladiciotto e il duemiladiciannove. quanti bei sentimenti c’erano dentro, e con quanta semplicità erano descritti. mi sono fatta tenerezza da sola. forse sono sempre capace di bei sentimenti? non solo quando sono innamorata? la risposta più impulsiva è no, ma forse mi sbaglio. mi concedo la coccola del dubbio.
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crestomazia · 4 years
Quote
Uno zoologo che in Africa ha osservato da vicino i gorilla si stupisce della uniformità della loro vita e della loro grande inoperosità. Ore e ore senza far niente... non conoscono dunque la noia? Questa domanda è tipica di un uomo (...) Lungi dal fuggire la monotonia gli animali la cercano e ciò che temono di più è che abbia fine. Perché se ha fine è solo per essere sostituita dalla paura, causa di ogni affaccendarsi. L'inazione è divina. Tuttavia proprio contro di essa l'uomo è insorto. Solo lui, nella natura, è incapace di sopportare la monotonia, solo lui vuole a ogni costo che succeda qualcosa, qualsiasi cosa. In tal modo si dimostra indegno del suo antenato.
E. M. Cioran, L’inconveniente di essere nati
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beppebort · 2 years
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Mercoledì 20 aprile Meditazione Quotidiana J.Main da "Il Silenzio e la Quiete"
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Dom John Main osb
A chi vive nella nostra epoca la parola meditazione spesso evoca passività e inoperosità, ma non è niente di tutto ciò. La meditazione è la via verso uno stato di pienezza dell'essere; infatti, è la condizione che precede l'agire e senza la quale ogni azione tende a essere effimera, senza carattere di stabilità. Nella nostra vita, ogni azione sana deve provenire dall'unità con l'essere. Ciò significa che per meditare, iniziamo a imparare la completa attenzione, l'assoluta accettazione e l'amore per noi stessi e a riconoscerci radicati e fondati nella compiuta realtà che chiamiamo Dio. Per la maggior parte della nostra vita, viviamo con superficialità, spesso in modo impulsivo. Nella meditazione, tuttavia, non reagiamo a stimoli esterni e impariamo a vivere dellaprofondità del nostro essere, dove troviamo l'unico e supremo impulso, il Creatore, e gli rispondiamo. Impariamo ad essere chi siamo chiamati ad essere, poiché ci predisponiamo a rispondere alla sorgente che ci ha chiamato alla vita. Essere chi siamo significa godere del dono della nostra stessa creazione, prima e al di là di ogni desiderio, aspettativa e pretesa. I primi Padri del monachesimo lo definiscono uno stato di unione e distacco, poiché siamo assolutamente ricolmi della pienezza di Dio. L'unità è totalità: abbiamo tutto ciò che ci occorre per conseguire sia l'una che l'altra e per trascendere ogni desiderio. Il desiderio è sgradevole perché può solo complicare e dividere ciò che deve essere semplice e unito. L'esperienza meditativa è dunque un esercizio di semplificazione, in cui si impara a diventare sempre più semplici, in maniera radicale. Questo è il segreto di ogni felicità: godere di ciò che è. Essere è la nostra prima esperienza; prima di ogni possesso, prima di ogni azione, l'essere è sempiterno. E' l'eterno in ciascuno di noi.
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s-hayashi · 6 years
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Giorgio Agamben - Le concept d'action
Jean-Luc Nancy - Restitution
Étienne Balibar - Inoperosità : usage et mésusage d’une négation
colloque « Homo Sacer : Giorgio Agamben et l’usage de la métaphysique » tenu le 8 et 9 avril 2016, à Paris.
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paoloferrario · 3 years
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Paglia Vincenzo, L'età da inventare. La vecchiaia tra memoria ed eternità, Piemme, 2021. Recensione: Terza età , i nuovi invisibili, di Ferruccio De Bortoli, in Corriere della Sera, 5 novembre 2021
Paglia Vincenzo, L’età da inventare. La vecchiaia tra memoria ed eternità, Piemme, 2021. Recensione: Terza età , i nuovi invisibili, di Ferruccio De Bortoli, in Corriere della Sera, 5 novembre 2021
vai alla scheda dell’editore: https://www.edizpiemme.it/libri/leta-da-inventare Per alcuni è rassegnato passaggio verso anni di decadimento fisico, inoperosità forzata e solitudine. Per altri una lontana minaccia da sfuggire con l’aiuto di pratiche salutistiche e attività appaganti. Comunque la si viva, la vecchiaia spesso fa paura o porta con sé la malinconia del tramonto. Eppure è diventata un…
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greggmaximilian · 4 years
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           & gregg, oct 12           somewhere in raven    ❝ Per quanto una situazione sia disperata, c'è sempre una possibilità di soluzione. ❞               ( ... ) Le due ore trascorse in palestra erano servite a stancarlo a dovere. Alex avvertiva male ovunque, male alle gambe, male alle braccia, persino la sua testa pulsava a causa di una forte emicrania. “Non c’è soluzione al tedio in una città piccola come questa, credi a me, le ho provate tutte.” E sospirò, Alex, mentre si avvicinava a una poltrona all’apparenza comoda e vi prendeva posto subito dopo aver recuperato un libro, uno qualsiasi. Conosceva Gregg Holland da un paio di anni, ma ancora non era riuscito ad abituarsi a tutta quell’aria di mistero che l’uomo portava elegantemente addosso, come una semplice cravatta. “Secondo te dovrei concorrere per ottenere una cattedra di supplente in storia della nullafacenza? O dovrei chiamarla inoperosità, la cara signora inerzia. Dimentico sempre che sto parlando a un professore.”
Gregg Maximilian R. Holland
Allenarsi, tenersi in forma era un dogma fondamentale per l'inglese, il quale cercava sempre di ritagliarsi qualche ora nell'arco della giornata per andare in palestra. Inoltre era anche il modo migliore per mantenere quei legami che non sempre avevano la possibilità di svilupparsi con incontri assidui. Era intento a parlare con Alexander, un giovane che di certo aveva un promettente futuro ma in qualche modo si stava buttando giù in quel momento. « Sembra che tutta Ravenfire ti stia stretta, Maxwell. » Commentò inarcando un sopracciglio ed osservando come il suo atteggiamento in qualche modo fosse anche distruttivo. « E questo atteggiamento da dove nasce, mh? Stai parlando con un professore, è vero, ma siamo anche amici, no? E correre per una cattedra è una scelta che sai solamente tu, ma di certo non lo farei... così ecco. »
Alex Maxwell
Per un breve momento la risposta di Holland lo sorprese. Alex si considerava spesso come un libro aperto, era diretto, non lasciava nascoste le emozioni che provava – che fosse arrabbiato, triste, su di giri come un bambino davanti ai tendoni di un circo o di un luna park – , era abituato a dare spettacolo di sé e a stare, quasi sempre, al centro dell’attenzione di chiunque. Pensava fosse ormai palese anche per l’amico professore. Poi si ricordò che Holland era umano. “Certo che mi sta stretta. Non vedi quanto è piccola e noiosa?” seduto in modo scomposto, con le gambe penzoloni sul bracciolo della poltrona, rivolse il viso corrucciato verso l’altro. “Sono soltanto molto stanco, non credevo che la palestra fosse un vero e proprio suicidio. Mi ha fatto anche venire sete. È per caso bourbon, quello? Agli amici si offre sempre da bere, sai.”
Gregg Maximilian R. Holland
Era difficile prendere in contropiede l'inglese, da sempre attento ad ogni dettaglio che lo riguardasse, Gregg aveva imparato a memorizzare qualunque cosa potesse essere degna di nota. Ciò che era successo nel suo passato l'aveva cambiato, l'aveva mutato nella persona che era e difficilmente avrebbe potuto cambiare ancora. Osservò il giovane, il quale possedeva così tanto potenziale prima di inarcare un sopracciglio. « Potresti andare ovunque, potresti visitare il mondo... » Commentando non comprendendo come Alexandre rimanesse a Ravenfire. Era intelligente, perspicace, più di quanto non lo fossero i ragazzi della sua età, dunque perché fermarsi? L'Holland si limitò così ad alzare un angolo delle labbra prima di allungare il bicchiere di bourbon. « Serviti pure... Ma sono curioso, stanco di cosa? E non dirmi che è la palestra, perché a quanto vedo la tua è una stanchezza mentale. »
Alex Maxwell
“C’è la biblioteca per quello.” Visitare il mondo. Andare ovunque e rimanere al tempo stesso, sempre, nello stesso posto. Viaggiare con la mente, vivere più di una vita, più di un’avventura, più di un’amore entrando nella vecchia e amata biblioteca di raven senza lamentarsene mai (o almeno non tanto spesso!). Era questa l’alternativa di Alex. “Viaggio abbastanza, ogni giorno, ti dico.” E si servì da solo, — due dita di bourbon proveniente dalla Scozia —, lanciando un’occhiata loquace a Gregg che faceva troppe domande. “Stanchezza mentale? Da cosa lo hai intuito?” Con il bicchiere tenuto debolmente stretto in una mano, si accomodò nuovamente sulla poltrona, rivolgendo intorno a sé un’espressione confusa e interessata, al contempo, sulla faccia. Le sue conversazioni da salotto con Gregg gli piacevano oltremodo, ma quel giorno avrebbe preferito il silenzio alle parole; e non sapeva neppure lui perché. Che l’uomo avesse ragione? Che si trattasse di stanchezza mentale? “Voglio dare una festa. Una festa privata. Con fiumi di alcol, poesie, Wilde e ogni piacere della carne... e tu sei ovviamente invitato.”
Gregg Maximilian R. Holland
La curiosità che velava ogni sua parola era impossibile da non notare e il fatto che in quel momento avesse posto determinate domande tradiva anche il suo interesse per qualcosa di più profondo. Diede un'occhiata rapida all'amico, un piccolo cipiglio che giaceva in mezzo alle di lui sopracciglia prima di lasciargli prendere da bere e rispondere con una leggera scrollata di spalle. « Chiamalo intuito, o semplicemente so osservare con attenzione le persone. » Approcciarsi alla psicologia e successivamente all'insegnamento aveva permesso all'Holland di comprendere anche quei piccoli dettagli che non sempre erano chiari, ma che potevano balzare all'occhio di un esperto, come Gregg in quel caso. Solo quando menzionò la festa, un debole sorriso impreziosì le labbra dell'inglese. Poteva considerarsi tutto d'un pezzo, con le sue regole e la sua mentalità, ma sapeva anche divertirsi quando l'occasione lo richiedeva. « Sembra il preludio a qualcosa alla Bukowski, a cui non so dire di no mio caro. Considerami già lì. »
Alex Maxwell
“Uhm, uhm.” Con le guance piene e il palato bruciante e dolciastro di bourbon, Alex distolse lo sguardo dal fondo del bicchiere svuotato e lo portò sul viso dell‘Holland, curioso circa il tono entusiasta e condiscendente che gli era parso di sentire trasparire dalle sue parole. “Vieni vestito elegante. Come hai detto, sarà tutto alla Bukowski – anche se, a dire il vero, non l’ho mai ritenuto un uomo elegante.” Avrebbe voluto dire di più, descrivere a voce il disegno che aveva ideato nel proprio cantiere mentale per la serata, accennare ai sigari provenienti da Cuba e ad alcuni... intrattenitori – che aveva personalmente cercato e scelto. Ma rimase in silenzio, con la bocca nuovamente piena di bourbon, ad osservare compiaciuto il suo amico. Un istante di silenzio congiunto. Soltanto dopo aver svuotato il secondo bicchiere si alzò e prese la giacca di camoscio lasciata cadere sul bracciolo della poltrona. “Il tuo intuito potrebbe avere ragione, ho bisogno di una bella dormita. Ci vediamo da me sabato, ore nove – nove e mezza di sera, ceneremo nel mio soggiorno, fino ad allora tieniti leggero. Stammi bene, Holland; e grazie per il bourbon. È ottimo.”
Gregg Maximilian R. Holland
Più osservava il giovane dai capelli castani, più vedeva che sotto quell'espressione apparentemente contrita ci fosse molto di più di un semplice ragazzo di Ravenfire. Sembrava padrone di sé, consapevole di ciò che poteva e non poteva fare, eppure vi era anche il bisogno di oltrepassare i limiti e lo dimostrava anche il suo desiderio di andare fuori dagli schemi con quella festa. Un sorriso sardonico aleggiò sulle labbra dell'inglese, il quale si limitò a fare un piccolo cenno del capo. « E serata sia... » Commentò il professore osservandolo ingurgitare in un sol sorso il suo bicchiere di bourbon. Sembrava in quel momento un'altra persona, con un nuovo stimolo. « Ci vediamo Maxwell. »
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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aitan · 5 years
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Uno dei più terribili rischi che riesco a immaginare è quello di trascorrere la vita evitando tutti i rischi, fino a rischiare di non viverla affatto, la vita.
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Lunedì 20 aprile Meditazione Quotidiana J.Main da "Il Silenzio e la Quiete" 
A chi vive nella nostra epoca la parola meditazione spesso evoca passività e inoperosità,ma non è niente di tutto ciò. La meditazione è la via verso uno stato di pienezza dell'essere; infatti, è la condizione che precede l'agire e senza la quale ogni azione tende a essere effimera, senza carattere di stabilità. Nella nostra vita, ogni azione sana deve provenire dall'unità con l'essere. Ciò significa che per meditare, iniziamo a imparare la completa attenzione, l'assoluta accettazione e l'amore per noi stessi e a riconoscerci radicati e fondati nella compiuta realtà che chiamiamo Dio. Per la maggior parte della nostra vita, viviamo con superficialità, spesso in modo impulsivo. Nella meditazione, tuttavia, non reagiamo a stimoli esterni e impariamo a vivere della profondità del nostro essere, dove troviamo l'unico e supremo impulso, il Creatore, e gli rispondiamo. Impariamo ad essere chi siamo chiamati ad essere, poiché ci predisponiamo a rispondere alla sorgente che ci ha chiamato alla vita. Essere chi siamo significa godere del dono della nostra stessa creazione, prima e al di là di ogni desiderio, aspettativa e pretesa. I primi Padri del monachesimo lo definiscono uno stato di unione e distacco, poiché siamo assolutamente ricolmi della pienezza di Dio. L'unità è totalità: abbiamo tutto ciò che ci occorre per conseguire sia l'una che l'altra e per trascendere ogni desiderio. Il desiderio è sgradevole perché può solo complicare e dividere ciò che deve essere semplice e unito. L'esperienza meditativa è dunque un esercizio di semplificazione, in cui si impara a diventare sempre più semplici, in maniera radicale. Questo è il segreto di ogni felicità: godere di ciò che è. Essere è la nostra prima esperienza; prima di ogni possesso, prima di ogni azione, l'essere è sempiterno. E' l'eterno in ciascuno di noi.
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In missione a Istanbul James Bond deve recuperare un file prezioso che contiene i nomi degli agenti infiltrati del MI6. Finito nelle mani di un killer, Bond lo insegue cadendo sotto i colpi del fuoco amico. Precipitato e disperso dentro una cascata, Bond viene dichiarato morto e compianto in un formale necrologio. Pubblicate su internet le identità degli agenti operativi, M è chiamata a rispondere della questione e della sua gestione davanti al governo che vorrebbe le sue dimissioni. Bond, intanto, sopravvissuto alla ‘caduta’ e alla inoperosità, è richiamato al dovere da un attentato gravissimo alla sede del MI6. L’obiettivo è M, il criminale è Silva, un ex agente che ha coltivato la vendetta e adesso chiede il conto al suo ex direttore. Figli putativi della stessa M(adre), Bond e Silva si confronteranno a colpi di pistola, fino a esplodere o a implodere il loro passato.
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vienuelespectacle · 6 years
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La pièce
Deux doctorantes en philosophie passent une semaine dans un château pour y mener une expérience de vie en communauté. Elles souhaitent tester quelques concepts qu’elles ont retenus du philosophe italien Giorgio Agamben. Elles vont expérimenter notamment l’idée de désœuvrement (inoperosità). Ce n’est pas tout à fait de l’inaction mais un mode de présence qui rend inopérantes les structures dans lesquelles nous sommes enfermés. Ceci afin de rendre possible de nouvelles façons de vivre. Pour ce faire, les étudiantes s’imposent une règle de vie monacale qui consiste à pratiquer la parcimonie en toute chose, notamment dans l’usage de la parole. C’est donc une sorte de vœu de silence. Pour que le protocole d’expérimentation soit complet, elles ont emmené avec elles un inconnu, Jean, qui va leur servir de cobaye.
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Jean, libraire à la Fnac, en instance de divorce, s’est laissé séduire par l’idée de passer une semaine avec deux jeunes femmes. Sa participation à l’expérience repose sur un parfait malentendu. « Vie nue » lui évoque la promesse d’une partouze. Il ne comprend pas que, pour elles, c’est une expérience politique et philosophique. Comme elles font un usage parcimonieux de la parole, ce sont les réactions de Jean à leur silence qui sont écrites. Un des paradoxes, et des ressorts comiques de la pièce, est que l’expérience du silence donne lieu à un flot de parole ininterrompu. Le personnage de Jean occupe la position d’un spectateur, d’un témoin dubitatif, tout en étant, au fond, le véritable enjeu de l’expérimentation. Pour lui, l’expérience se fait in vivo. Il s’y refuse et finit par s’y abandonner, ses résistances constituent des moments de l’expérience. Il en sortira radicalement transformé à la fin de la pièce. Ce n’est pas parce qu’elles se taisent qu’il ne se passe rien pour les deux personnages féminins, bien au contraire. Ni actives ni passives, elles explorent sensiblement les conséquences du désœuvrement. C’est, pour elle, une expérience physique qui consiste à désactiver les habitudes pour libérer un nouvel usage du corps, du langage et de l’environnement. Elles explorent des sensations réelles. En un sens, Jean ne se trompe pas tant que ça, il s’agit bien d’une expérience érotique partagée. Mais il a beaucoup à apprendre pour accéder à ce niveau supérieur. La pièce est le chemin de cet apprentissage. Dans une première partie de la pièce, Jean soliloque, il semble parler pour parler, il expose, malgré lui, une certaine vacuité du discours. Une scène centrale constitue un point de bascule de la pièce. Dans une chapelle troglodyte du château, les deux étudiantes sortent de leur silence pour prononcer une pseudo conférence sur la question de savoir « ce que c’était qu’être ». C’est une scène de théâtre dans le théâtre dont Jean est le spectateur. Le questionnement porte sur ce que c’était qu’être - sur scène. On comprend dès lors que l’expérience dont il est question dans la pièce est éminemment théâtrale en plus d’être érotique, philosophique et politique. L’expérience ne saurait être érotique, philosophique et politique sans être avant tout théâtrale. Les personnages de la pièce s'éprouvent comme être de langage ; ils ne font pas l'expérience de tel ou tel contenu du langage, mais du langage même, non pas de telle proposition vraie ou fausse mais du fait même qu'il y ait du langage. Jean passe peu à peu de son statut de spectateur à celui d’acteur, non pas en devenant plus actif, mais, au contraire, en saisissant quelle destitution de la subjectivité, quelle déposition des masques, suppose le fait de s’exposer, d’exhiber, sur scène, son être de langage. Tous trois, en faisant cette expérience « d'amener le langage au langage même », sont « les premiers citoyens d'une communauté sans présupposés ni État », cette « communauté qui vient » dont Agamben est l’annonciateur.
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Le miroir, Tarkovski
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purpleavenuecupcake · 7 years
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Russia 2018. Débâcle Italia, adesso piazza pulita
Quello che è accaduto ieri allo stadio Meazza di Milano, spesso giornalisticamente definito “la scala del calcio italiano” è emblematico non solo per il sistema calcio del nostro Paese, ma più diffusamente per l’Italia in generale. Dopo 60 anni l’inno di Mameli non suonerà prima delle partite della maggiore competizione calcistica del mondo, dopo 60 anni i tricolori non faranno da coreografia alle nostre città. Le lasceranno nel loro grigiore, negando perfino quell’illusione di unità nazionale e di festa che di solito si manifesta attorno agli eventi, soprattutto calcistici, che coinvolgono l’Italia, una delle rare occasioni in cui ci sentiamo un popolo, con un obiettivo comune. Il famoso nodo è venuto al pettine e il prossimo anno, chi vorrà, potrà assistere in tv alle contese tra “altre” nazionali, dovrà accontentarsi di ascoltare altri inni suonare e scegliersi una nazionale “alternativa” da supportare. È venuto al pettine quel nodo fatto di “improvvisazione” e “non gestione” del nostro calcio, uno dei prodotti di nicchia del nostro Paese, finito nelle mani di incompetenti che alla vigilia dei loro prestigiosi incarichi si erano presentati come “la cura”, come coloro che avrebbero rinsavito un calcio italiano, trovato, a detta loro, alquanto malaticcio. Probabilmente di fenomeno malaticcio si trattava, ma chi avrebbe dovuto curarlo, altro non ha fatto che assistere inoperoso ad una lenta e lunga agonia, senza tuttavia provare ad intervenire. Il risultato di tale incompetente ,inetta, inoperosità, è che dopo 60 anni, mentre “gli altri” si giocheranno la Coppa del Mondo di calcio, noi ce ne resteremo a casa, evento questo del tutto inedito per la maggior parte degli italiani. In ciò che si è verificato ieri, con l’uscita dell’Italia del calcio, dal “tavolo dei grandi”, personalmente ci vedo molte preoccupanti similitudini con la situazione generale del nostro Paese. Un ex grande Paese, dotato di innumerevoli qualità ed eccellenze, che a tutti i livelli perde consensi e competitività, svenduto al miglior offerente, da una classe dirigente di bassissimo livello professionale oltre che morale. Siamo un Paese che da sempre fa dello stile e della bellezza, un marchio di fabbrica, un Paese che ama specchiarsi con stolta vanità, semplicemente per ammirare bellezze che però continuiamo a trascurare e che se ne stanno andando via lentamente. Ci piace guardarci in questo specchio, e pensarci belli ed infallibili su tutto ciò che ci riguarda, poi però arriva la Svezia di turno e ci fa tornare con i piedi per terra, come dispiace dover ammettere, è giusto che sia. Quello specchio non abbiamo mai imparato ad utilizzarlo per guardarci dentro e per analizzare oltre che i pregi, la miriade di difetti che se non affrontati non solo non migliorano, ma naturalmente aumentano. Individuare una debolezza o un aspetto perfettibile significherebbe rimettersi in gioco e lavorare, molto spesso sodo, per cercare di migliorarsi, significherebbe compiere qualche sacrificio per tornare in forma, ma di sacrifici, in linea generale, non vogliamo sentirne parlare. Tutto quindi resta come è, anzi, a dire il vero, tutto peggiora di giorno in giorno così lentamente da non accorgersene. Oggi siamo tutti alla ricerca di uno o più colpevoli, senza neppure farci sfiorare dal dubbio che di quella folta schiera di responsabili, chiaramente con ruoli diversi, fa parte ognuno di noi. Gli specchi di cui abbiamo accennato andrebbero utilizzati non solo per ammirare quanto siamo belli ma anche e soprattutto in situazioni come queste, quando cerchiamo con il sangue agli occhi un colpevole. I colpevoli vanno ricercati a tutti i livelli e quindi parte della colpa è anche la nostra in quanto fruitori e soprattutto sovvenzionatori quotidiani di un sistema calcio, da anni alla deriva. I colpevoli siamo anche noi che sottoscriviamo abbonamenti e finanziamo i nuovi padroni del calcio, vale a dire le sempre più potenti pay-tv, per assistere ad incontri del campionato italiano in cui, tra i 22 atleti in campo, spesso di nostri connazionali ce ne sono a malapena un paio. I colpevoli siamo noi tifosi che non abbiamo la pazienza di aspettare la crescita del talento “Made in Italy”, preferendo il risultato immediato ed il colpo di calciomercato internazionale, criticando addirittura eventuali politiche societarie volte a valorizzare i nostri settori giovanili, anch’essi, in verità, recentemente “troppo aperti” ai giovani calciatori stranieri. Aveva ragione l’allenatore della Ternana Sandro Pochesci che alla vigilia della gara di ritorno contro la Svezia aveva attaccato senza mezze misure e con cognizione di causa, tutto il sistema calcio italiano, salvo poi essere costretto ad una “retromarcia” sicuramente indotta da minacce di deferimento o squalifica ….. purtroppo alla fine ciò che scongiuravamo si è verificato e come aveva giustamente detto lui, abbiamo perso tutti. Noi saremo privati di quel clima di festa caratteristico delle competizioni ufficiali a cui partecipa l’Italia, quelle che ci spingono a scendere in strada sventolando un tricolore e a sentirci, almeno per una volta, più o meno tutti “fratelli”, mentre i dirigenti del nostro calcio e tutto lo staff tecnico da loro scelto (che neanche nominiamo in quanto innominabili), se davvero hanno una dignità, devono farsi da parte il più velocemente possibile per permetterci di ripartire e di certo non si può ripartire sotto la guida dei principali responsabili di una vergognosa “debacle” che passerà alla storia come la mancata qualificazione ai mondiali di calcio Russia 2018. GB Foto: la repubblica Read the full article
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paolomarangon · 7 years
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    All’inizio c’è l’idea improvvisa, il gesto, l’appunto veloce, il segno che chiarisce tutto, i momenti dell’ideazione. Poi segue il ritmo del progetto, il tempo fatto di gesti ragionati in cui l’idea diventa concreta. Alla fine c’è il tempo della lentezza, dell’apparente inoperosità, della riflessione. Forse sarebbe meglio dire della sedimentazione. Il tempo lungo […]
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