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#il tuo trono ti aspetta
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I love EVERYTHING about this!
Fik and Dani! <3
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animatormentata · 1 year
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puoi sederti gentilmente sulla mia faccia,il tuo trono ti aspetta principessa
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be-appy-71 · 4 months
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Ma, se per un attimo,
per un fottutissimo istante,
ti tornasse in mente
che era importante,
tu non esitare,
cercami.
Potrei essere tra mille pensieri
o decine di persone,
ma in un angolo delle mie stanze
tu sarai seduta su un trono di rose
a regnare indisturbata sui sensi miei.
Se caso mai,
ti dimenticassi chi sei
e chi sei stata
o non trovassi le chiavi di casa,
chiama il mio nome.
Ho ancora con me
le tue cose
conservo ogni tuo gesto
e, in cantina,
il nostro vino invecchia
e aspetta.
Ti aspetta la mia pelle,
ti aspetta la tua sedia,
ci aspetta il nostro amore.
Se per un attimo,
per un fottutissimo istante,
ti accorgessi che ti manco,
magari mi starai mancando
e allora sarebbe il caso,
caso mai,
di tornare indietro
e scegliere noi.
Che importa se poi...
se sarebbe un errore.
Amavamo sbagliare
e sbagliando
abbiamo imparato a restare,
a metterci e rimetterci il cuore,
a scrivere e cancellare,
fuggire e ritornare.
Se per un attimo,
per un fottutissimo istante,
ti accorgessi
che è ancora importante,
cercami,
chiama il mio telefono
e taci.
Riattacca.
Capirò che è importante
e verrò a prenderti
per portarti ad amarci,
accanto al mare,
dove nessun dolore,
dove solo noi,
noi
e il nostro amore... ♠️🔥
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Angelo De Pascalis
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bru111271 · 3 years
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"Ma, se per un attimo, per un fottutissimo istante, ti tornasse in mente che era importante, tu non esitare, cercami. Potrei essere tra mille pensieri o decine di persone, ma in un angolo delle mie stanze tu sarai seduta su un trono di rose a regnare indisturbata sui sensi miei. Se caso mai, ti dimenticassi chi sei e chi sei stata o non trovassi le chiavi di casa, chiama il mio nome. Ho ancora con me le tue cose, conservo ogni tuo gesto e, in cantina, il nostro vino invecchia e aspetta. Ti aspetta la mia pelle, ti aspetta la tua sedia, ci aspetta il nostro amore. Se per un attimo, per un fottutissimo istante, ti accorgessi che ti manco, magari mi starai mancando e allora sarebbe il caso, caso mai, di tornare indietro e scegliere noi. Che importa se poi...se sarebbe un errore. Amavamo sbagliare e sbagliando abbiamo imparato a restare, a metterci e rimetterci il cuore, a scrivere e cancellare, fuggire e ritornare. Se per un attimo, per un fottutissimo istante, ti accorgessi che è ancora importante, cercami, chiama il mio telefono e taci. Riattacca. Capirò che è importante e verrò a prenderti per portarti ad amarci, accanto al mare, dove nessun dolore, dove solo noi, noi e il nostro amore."
Angelo De Pascalis
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xsavannahx987 · 3 years
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- Alleanza - cap. 3
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“Quando i malvagi tramano, i buoni devono allearsi; altrimenti cadranno, uno ad uno, un impietoso sacrificio in una spregevole battaglia.” Edmund Burke
Il sole fece capolino dietro le alte colline di Brindleton Bay, illuminando la vallata sottostante di un caldo colore giallognolo. La neve al suolo brillò baciata dai raggi solari, così come la rugiada del mattino. Helena e Cassandra camminavano in silenzio, i volti accarezzati dall'aria gelida mista alla brezza marina. Non avevano proferito parola da quando si erano incontrate a Forgotten Hollow solo un'ora prima. La cacciatrice aveva tentato più volte di intavolare un discorso con la donna, ma la risposta di Cassandra era stata sempre la stessa "Il comandante ti spiegherà ogni cosa", come se non volesse avere alcun tipo di rapporto sociale. Era frustrante non interloquire con qualcuno con il quale ti ritrovi a camminare a lungo ed Helena odiava particolarmente le persone troppo silenziose. Lei era una ragazza di spirito, di un sarcasmo quasi disarmante, amava parlare ed ascoltare ed aveva un’ irrefrenabile voglia di condividere la sua vita con chi potesse comprenderla appieno. Cassandra, d'altro canto, era una donna taciturna che preferiva non mischiare il "lavoro" con la sfera privata. Eppure Helena sentiva che sotto quella corazza da vero soldato si celava un animo buono che chiedeva di essere ascoltato. Quando giunsero all'ingresso della fortezza dell'Organizzazione, tutto ciò che Helena vide davanti a sè fu una cancellata in ferro battuto dietro la quale non c'era altro che terra a picco sul mare. "Beh, devo dire che è un bel posto! Se volevi portarmi a fare una passeggiata romantica sul mare, potevi anche dirmelo prima" annunciò la ragazza, sarcastica come sempre. Cassandra non rispose a quella frase di spirito, limitandosi ad alzare gli occhi al cielo. Poi pronunciò qualcosa in latino e l'enorme fortezza apparve davanti a loro come per incanto. Helena rimase a bocca aperta, incapace di proferire altro. Neppure il suo sarcasmo le venne in soccorso. "Benvenuta a Tiamaranta's fortress" annunciò Cassandra con un sorriso trionfale.
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La barriera magica si richiuse al loro passaggio mostrando ancor di più la magnificenza di quel luogo agli occhi della cacciatrice. Le torri imponenti le suscitavano timore, ma al contempo si sentiva al sicuro, come se quella bolla fatta di incantesimi potesse proteggerla da tutti i mali del mondo. Camminò sul ponte a bocca spalancata, osservando ogni minimo dettaglio della struttura. "E' veramente...imponente" mormorò con lo sguardo perso verso l'alto. "Ti ci abituerai" rispose Cassandra prendendola del tutto in contropiede "Puoi alloggiare qui, se vuoi. Ci sono molte stanze libere e staresti più al sicuro del tuo appartamento in città" e lo disse con un tono quasi amorevole, come una mamma che vuole proteggere i propri figli. "Ci farò un pensierino" dichiarò Helena, continuando ad osservare i dintorni e sorridendo per aver ottenuto forse un piccolo assaggio della vera natura di Cassandra. Salite le grandi scale di pietra che conducevano all'ingresso principale Cassandra si arrestò. "Varcata questa soglia entrerai a tutti gli effetti a far parte dell'Organizzazione. Ti presenterò prima i membri della squadra e poi ti condurrò dal nostro comandante." annunciò senza neppure voltarsi verso la cacciatrice. "Bene. Voglio farne parte!" dichiarò Helena convinta. "Sei pronta?"
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L'enorme sala del trono si aprì dinanzi ai suoi occhi lasciando Helena ancor più esterrefatta di poco prima. La maestosità di quella stanza lasciava a bocca aperta. Era come trovarsi in uno di quei dipinti d'epoca dove vedi le persone danzare al cospetto di un re. Si sentiva frastornata e di nuovo intimorita, ma aveva accettato di far parte di loro e di combattere non più da sola. L'idea di avere finalmente degli alleati nella sua lotta solitaria fu la spinta ad andare avanti e percorrere quella lunga navata. "Aspetta qui." disse Cassandra prima di sparire dietro una delle numerose porte in legno. Rimasta sola nella grande sala, Helena osservò gli arazzi e i dipinti rischiarati dai raggi del sole che filtravano dalle alte finestre appannate. Sentiva il cuore martellarle nel petto, pronto ad esplodere. Se fosse gioia o paura non le fu dato di capirlo, mentre una lacrima le scappò fuori dai suoi grandi occhi celesti, baciandole dolcemente la guancia gelata dal freddo. "Ce l'ho fatta, Quentin" mormorò sotto voce "Ora potremo mettere fine a tutto questo male" "Chi è Quentin?"
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Una voce alle sue spalle la ridestò dai suoi pensieri malinconici e si affrettò a ricacciare dentro le lacrime. Josephine la guardava con un affabile sorriso dipinto sul volto, i capelli raccolti nella solita crocchia che le mettevano in risalto gli occhi color cioccolato. Helena non rispose alla domanda della donna, lasciando che rimanesse in sospeso, in attesa di un momento migliore per raccontare tutta la storia. "Penso che la cacciatrice non voglia rispondere a questa domanda adesso, Jo" annunciò Leliana, superando l'amica e dirigendosi verso Helena. "Sono Leliana. E' un onore fare la tua conoscenza, cacciatrice" annunciò poi allungando la mano. Helena la strinse ricambiando il saluto. "Loro sono Dorian e Amelia, i nostri maghi. E' grazie alle loro doti se ti abbiamo rintracciato" parlò ancora Leliana introducendo i presenti. "A dire il vero sono stata io a trovarti, mia giovane ragazza" le fece eco Amelia prendendosi tutto il merito "Il nostro Dorian era impegnato in altro" "Sempre con questa mania di protagonismo!" si intromise Dorian avanzando verso Helena "Non credo che interessi molto alla cacciatrice chi sia stato a trovarla. L'importante è averla qui." e allungò la mano "E' un vero piacere averti con noi. Sento che diventeremo ottimi amici" Helena sorrise a quella prospettiva, scacciando via anche l'ultimo brandello di malinconia che l'aveva pervasa pochi istanti prima. "Io sono Josephine, ma puoi chiamarmi Jo. Sarai affamata! Vieni, facciamo colazione" disse Jo invitando Helena a seguirla. "Non sarebbe più opportuno condurla da Cullen?" dichiarò Cassandra, le braccia strette sul petto nella sua consueta posa da dura. "Cullen non è ancora rientrato e poi questa ragazza ha vagato tutta la notte al freddo e avrà sicuramente fame" concluse Josephine senza dare il tempo a Cassandra di controbattere.
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Cullen fece ritorno alla fortezza due ore più tardi. Era malconcio, segno di aver avuto una nottata piuttosto movimentata. Si trascinò a fatica nelle sue stanze senza farsi notare da nessuno ferito e debole. La nottata appena trascorsa era stata dura. Si era scontrato con un gruppo di vampiri piuttosto agguerriti che lo avevano conciato per le feste, ma era riuscito comunque a sconfiggerli. E poi c'era la questione della cacciatrice che non era riuscito a trovare, sebbene avesse vagato tutta la notte battendo a tappeto tutto il borgo. E se Amelia si fosse sbagliata? Si spogliò degli abiti sporchi ed immerse il suo corpo pieno di ecchimosi nell'acqua bollente della vasca. La pelle iniziò a riprendere un colorito umano grazie al vapore e i muscoli si rilassarono. Chiuse gli occhi cercando di liberare la mente e allontanare l'idea che la maga potesse aver commesso un errore e che non ci fosse nessuna cacciatrice nei dintorni. E fu allora che il viso di Helena bussò prepotentemente nella sua testa.
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Il sole si fece alto scaldando i prati innevati. Un gabbiano si librò in volo stridendo nel cielo e sorvolò sopra le onde del mare un pò mosso dai primi venti in rinforzo da nord. Dopo un'abbondante colazione Helena era rimasta ad intrattenersi con Dorian, in attesa di essere ricevuta dal comandante. Questo le permise di farsi una prima impressione su uno dei suoi nuovi alleati. Dorian era un uomo affascinante e sicuro di sè, dotato di una tagliente arguzia, un pò arrogante, sebbene questa sua qualità fosse dovuta al fatto di essere stato rinnegato dalla sua famiglia dopo aver dichiarato di essere gay. La sua aria ombrosa celava però un cuore tenero, ferito, ma desideroso di rimettersi in gioco e di trovare qualcuno che potesse amarlo per ciò che era. "Magari poi ti racconterò la mia storia" annunciò Dorian bevendo un ultimo sorso di caffè. "E io l'ascolterò molto volentieri" confessò Helena con un sorriso. Cassandra varcò la porta della sala da pranzo schiarendosi la gola: "Il comandante è rientrato. Andiamo!" Helena salutò Dorian ringraziandolo per averle tenuto compagnia. "E' stato un piacere, principessa. Bussa pure alla mia porta quando vuoi un pò di compagnia. Non ti garantisco che ci scambieremo consigli sul makeup o sulle scarpe, ma avrai sempre una spalla se ne sentirai il bisogno!" dichiarò Dorian.
Avanzando lungo i corridoi di Tiamaranta's fortress, Helena tentò nuovamente di aprire un dialogo con Cassandra, sebbene la donna continuasse a mantenere un certo distacco. "Che tipo è questo comandante?" domandò di slancio. "Lo vedrai" rispose Cassandra. "Non puoi dirmi qualcosa? Ascolta, se dobbiamo lavorare insieme vorrei quantomeno conoscervi" incalzò allora Helena. Cassandra sospirò, quasi contrariata da quelle domande: "Cosa vuoi sapere?" "Beh te l'ho detto. Che tipo è? E' uno molto autoritario?" chiese ancora Helena incuriosita. "Cullen è un leader. Deve essere autoritario, ma è anche piuttosto alla mano se devo essere sincera. Lo conosco da anni e se non ci fosse questa ignobile guerra sarebbe quel genere di persona con la quale si può trascorrere del piacevole tempo insieme." asserì Cassandra. "Cullen..." mormorò Helena "Ha un bel nome..." "E' anche un bell'uomo, se te lo stai chiedendo" terminò Cassandra per lei. Helena arrossì "Non me lo stavo chiedendo" mentì per poi proseguire "Voi due avete..." ma si interruppe, lasciando che Cassandra recepisse cosa intendeva dire. La donna scoppiò a ridere inaspettatamente, di una risata fragorosa, quasi liberatoria. "Ma dove vivi, ragazzina?! Questo non è un romanzo rosa da quattro soldi!" e continuò a ridere di gusto. "A me piacciono i romanzi d'amore e non è sbagliato sognare, soprattutto nel nostro mondo" sussurrò Helena leggermente offesa.
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Giunsero davanti la porta dello studio del comandante senza aggiungere ulteriori parole. Quella breve chiacchierata però aveva acceso altre curiosità in Helena sul conto di Cassandra. Non era poi così dura come voleva dimostrare, ma sapeva anche ridere, sebbene lo avesse fatto con un pizzico di malizia. La donna bussò e una voce calda e vellutata le rispose di entrare. "Comandante!" salutò Cassandra restando ferma sulla porta e intralciando la vista alla cacciatrice che non riusciva a vedere la figura di Cullen. "Cassandra! Dimmi che hai buone notizie questa volta, perchè io ne ho di pessime sul conto della cacciatrice. Non sono riuscito a trovarla stanotte" rispose Cullen, il viso appena illuminato dal fuoco che ardeva nel camino. Aveva il volto sfregiato dalla lotta e stava a malapena dritto sulle gambe, ma nascondeva bene il dolore che provava a causa delle ferite del corpo e di quelle dell'anima. Il non aver trovato la cacciatrice era per lui un'enorme sconfitta e continuava a temere che Amelia si fosse sbagliata. "Ho ottime notizie Cullen" annunciò Cassandra interrompendo il corso dei suoi pensieri e facendo segno ad Helena di entrare. "Salve" mormorò timorosa la cacciatrice varcando la soglia dello studio.
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Cullen si voltò sorpreso e fu allora che i loro occhi si incontrarono per la prima volta. Il blu degli occhi di Helena erano come un mare calmo di inizio estate, luminoso e limpido e il comandante si perse totalmente in loro. "Ho il piacere di presentarti la nuova cacciatrice, comandante." annunciò Cassandra che aveva notato lo stupore misto ad imbarazzo nello sguardo di Cullen. "Cacciatrice..." sussurrò il comandante cercando di mantenere un tono fermo. "Helena, comandante, solo Helena" rispose lei allungando la mano in segno di saluto. Cullen la colse totalmente alla sprovvista quando, presa la sua mano, l'avvicinò alle labbra poggiandole appena sul dorso. "Cullen...niente formalità tra noi. Siamo una squadra!" annunciò perdendosi ancora nei suoi occhi. Le guance di Helena si arrossarono divampando di un insolito calore. "Com'è galante" pensò tra sè.
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La cacciatrice non potè fare altro che dare credito alle parole di poco prima di Cassandra. Cullen era davvero un bell'uomo, il genere che ad Helena avrebbe potuto far perdere la testa con pochi semplici gesti e quel baciamano fu solo la punta dell'iceberg. "Bene. Avrete molte cose di cui discutere" Cassandra, attenta come sempre a tutto, notò lo sguardo del comandante ed inventò una scusa per lasciarlo solo con la cacciatrice, asserendo di avere del lavoro da svolgere prima di riposare qualche ora, in vista della prossima caccia notturna.
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Rimasti soli nel tepore del piccolo studio dalle pareti di pietra, Cullen invitò la cacciatrice a sedersi sulla comoda poltrona davanti al fuoco, deciso a farle quante più domande possibili sulla sua vita di prescelta. Egli rimase in piedi, le mani dietro la schiena e le gambe divaricate proprio come un soldato, mentre osservava distrattamente l'ambiente esterno per evitare di incontrare gli occhi di lei nei quali iniziava già a perdersi irrimediabilmente. Doveva sforzarsi di mantenere il più possibile la sua posizione di comandante, prima che di uomo, ricordando a sè stesso che qualsiasi relazione a lungo termine non gli era concessa e, soprattutto, non era il tipo da intraprendere un rapporto puramente fisico. "E' molto che sei una cacciatrice?" domandò senza voltare lo sguardo nella direzione della ragazza. "Anni ormai, ho perso il conto" rispose Helena guardandolo, benchè non potesse vederlo in volto. "Cullen, forse chiedo troppo ma, potresti venire a sederti? Non mi piace parlare con persone che mi danno le spalle" aggiunse poi. "Perdona la mia mancanza di buone maniere." disse voltandosi e i loro sguardi si incontrarono ancora.
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Fece qualche passo verso la poltrona libera, ma il dolore al fianco si acutizzò all'improvviso e si sentì mancare. Tentò di rimanere in piedi, ma le gambe iniziarono a cedere e la vista si annebbiò. L'ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi fu Helena che chiamava il suo nome con preoccupazione e lo afferrava tra le braccia.
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arminissocute · 4 years
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Checkmate
Un Trono Solitario - 4
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Luogo: Palco del Checkmate
Izumi: Hey... Voi due laggiù, smettete di chiacchierare e sbrigatevi a salire sul palco. Siete voi l'aiuto che ha chiamato Leo-kun, vero? State anche indossando la nostra stessa uniforme, quindi se siete dalla nostra parte, potete sbrigarvi a partecipare alle prove?
Eichi: Ahh, chiedo perdono. Mi dispiace, non sono molto abituato ai live... Non ho molta esperienza, quindi ti ringrazio per avermi ripreso.
Izumi: Va bene fare una cosa simile, per te? Non eri in ospedale fino a non molto tempo fa...?
Non sforzarti troppo dopo esserti appena ripreso, okay? Sarebbe un problema se tu svenissi nel mezzo del live.
Fatti indietro se pensi di creare problemi, bastardo malaticcio.
Eichi: ...Non c'è bisogno che tu abbia queste premure.
Hm? Ma quello laggiù, non è...
Ritsu: Mnn? Che c'è, tu chi sei?
Eichi: Sei forse il fratello minore di Sakuma-senpai? Mi sembra di averti visto in dei documenti.
Il fratello, huh... Voi due avete proprio dei tratti simili.♪
Ritsu: No che non li abbiamo. Quella creatura ed io siamo completi estranei senza la minima parentela.
Arashi: Aspetta... Con Sakuma-senpai, intendi quel Sakuma-senpai...? Ritsu-chan, sei suo fratello?
Eichi: Volete dirmi- che tutti voi non lo sapevate?
Allora perché l'avete spinto a diventare vostro amico? Non volevate arrivare ad una connessione con Sakuma-senpai tramite lui?
Ritsu: .....
Eichi: ...Ouch.
Izumi: Hey, Kuma-kun. Puoi anche essere arrabbiato, ma niente violenza.
Eichi: Che cosa terribile da parte tua. Neppure i miei genitori mi avevano mai colpito... Almeno risparmia il mio viso, visto che stiamo per partecipare ad un live. Per questa volta siamo alleati, sai.
Ferire i tuoi compagni prima di una battaglia non mi sembra un grande piano.
Fufu. Ritsu Sakuma-kun, giusto?
Sembra che a te non piaccia sentire parlare di tuo fratello, ma se ti togliessero la caratteristica di essere "il fratello di Sakuma-senpai"... Che cosa ti resterebbe?
Se non vuoi essere considerato l'accessorio di qualcun altro, ma vuoi che le persone ti vedano per quello che sei...
Devi conquistare il valore che ti manca, e provare il significato della tua stessa esistenza.
Se non lo fai, non sei altro che un bambino viziato, che fa i capricci e mette il broncio perché i genitori non gli prestano abbastanza attenzione. Che vista spiacevole...
Te lo sto dicendo come vendetta per essere stato colpito, ma per come sei ora, non sei meritevole di essere amato.
Se hai delle cose che ti sono care, delle cose che vuoi proteggere... Allora, prima che tuo fratello te le rubi, devi tenerle strette e conquistare la forza di non lasciarle a nessun altro.
Se hai bisogno di aiuto, te lo posso fornire. Vorrei che tu mi facessi sapere se sei interessato. Ho la sensazione che noi due potremmo andare d'accordo.
Per il fatto di essere stati quasi cancellati dall'intensa luce e dalla grandezza intorno a noi, e per aver lottato disperatamente contro questa condizione, arrabbiati e insoddisfatti...
Io e te siamo simili. Penso che potremmo essere amici.
Ritsu: Non ho bisogno di amici. Lasciami stare e basta, mi stai dando fastidio...?
Eichi: Che peccato. Sono stato rifiutato.
Ma va bene così. Puoi continuare a vivere la tua vita restando nell'oscurità più profonda, strisciando, stringendoti le ginocchia.
Continua così, continua pure a urlare e strillare fino a che i tuoi cari mamma e papà non ti vengono a prendere.
Proprio come un bambino impotente. Non avrai nessun problema vivendo in questo stato di pace in cui non puoi essere ferito, giocando dentro a un giardino in miniatura.
Ma che differenza c'è tra quello ed essere un cadavere già nella bara?
Ritsu: .....
Tsumugi: Senti, um~ Eichi-kun, per favore non appesantire l'atmosfera così di colpo.
Siamo qui solo per aiutare, dopotutto... Facciamo i bravi e non immischiamoci a causare problemi, okay?
Eichi: Ho già capito. Preferirei che tu non mi rimproverassi per ogni minima cosa che faccio, Tsumugi.
Comunque, è stato Tsukinaga-kun a chiederci aiuto, ma... La star dello spettacolo ancora non è qui. Come mai, Sena-kun?
Izumi: Non lo so neppure io. Anch'io sono preoccupato per lui... Non ha più comprato un nuovo telefono dopo che lo ha perso l'ultima volta, perciò non posso neppure contattarlo.
Ho provato a chiamare a casa sua, ma non sembra neanche un caso di "mi sono dimenticato del live e sono già tornato a casa~".
Quell'idiota. Cosa starà facendo, e dove sarà?
Nel peggiore dei casi, dovremo sconfiggere Chess da soli. Tenshouin, metticela tutta, okay?
Eichi: Cosa...? E io che ho deciso di partecipare solo perché pensavo di poter guardare Tsukinaga-kun da vicino sullo stesso palco. Non è questo che mi aspettavo, ma va bene, immagino.
Ho comunque fatto una scoperta inaspettata, e visto che sarò sul palco vincerò. Odio davvero, davvero tanto perdere.
Izumi: Ho i tuoi stessi sentimenti. Non perderò contro quei tipi di Chess, che non si sono mai impegnati e continuavano a vivere facendo quello che più gli pareva...
Anche se è vero che non sempre si viene sempre ricompensati per essersi impegnati. Ma questo può aumentare le probabilità che accada. Se non credi almeno in quello, non puoi farcela.
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Lectio Divina: Natale del Signore (A)
Lectio
Mercoledì, 25 Dicembre, 2019
Il prologo del vangelo di Giovanni
Giovanni 1,1-18
1. PREGHIERA INIZIALE
Nel buio di una notte senza stelle,
la notte del non senso,
tu, Verbo della vita,
come lampo nella tempesta della dimenticanza
sei entrato nei limiti del dubbio
a riparo dei confini della precarietà
per nascondere la luce.
Parole fatte di silenzio e di quotidianità
le tue parole umane, foriere dei segreti dell’Altissimo:
come ami lanciati nelle acque della morte
per ritrovare l’uomo, inabissato nelle sue ansiose follie,
e riaverlo, predato, per l’attraente fulgore del perdono.
A te, Oceano di Pace e ombra dell’eterna Gloria, io rendo grazie:
mare calmo alla mia riva che aspetta l’onda, che io ti cerchi!
E l’amicizia dei fratelli mi protegga
quando la sera scenderà sul mio desiderio di te. Amen.
2. LETTURA
a) Il testo:
Giovanni 1,1-18
1 In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2 Egli era in principio presso Dio: 3 tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. 4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5 la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta. 6 Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. 7 Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8 Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. 9 Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 10 Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. 11 Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. 12 A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13 i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. 14 E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15 Giovanni gli rende testimonianza e grida: “Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me”. 16 Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. 17 Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18 Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.
b) Momento di silenzio:
Lasciamo che la voce del Verbo risuoni in noi.
3. MEDITAZIONE
a) Domande per la riflessione:
- Dio che è luce ha scelto di fugare le tenebre dell’uomo, facendosi lui stesso tenebra. L’uomo è nato cieco (cfr Gv 9.1-41): la cecità è per lui la condizione creaturale. Il gesto simbolico di Gesù di raccogliere del fango per spalmarlo sugli occhi del cieco nato di Giovanni sta a dire la novità dell’incarnazione: è un gesto di nuova creazione. A quel cieco i cui occhi sono ancora ricoperti con il fango della creazione viene chiesto non un atto di fede, ma di obbedienza: andare alla piscina di Siloe che significa “inviato”. E l’inviato è Gesù. Sapremo obbedire alla Parola che ogni giorno giunge a noi?
- L’uomo cieco nel vangelo di Giovanni è un povero: non pretende nulla, non chiede nulla. Anche noi spesso viviamo la cecità quotidiana con la rassegnazione di chi non merita orizzonti diversi. Ci riconosceremo privi di tutto, perché sia anche a noi destinato il dono di Dio, dono di redenzione della carne, ma soprattutto dono di luce e di fede?
- «La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,17-18). L’intelligenza di ciò che accade nella storia della nostra vita ci porta ad uscire dalla cecità della presunzione e a contemplare la luce che brilla sul volto del Figlio di Dio. I nostri occhi, inondati di luce, aprono gli eventi. Quando riusciremo a vedere Dio tra di noi?
b) Chiave di lettura:
Giovanni, un uomo che ha avuto modo di veder splendere la luce, che ha visto, udito, toccato, la luce. In principio il Verbo era: costantemente rivolto verso l’amore del Padre ne è diventato la spiegazione vera, l’unica esegesi (Gv 1,18), la rivelazione del suo amore. Nel logos era la vita e la vita era luce, ma le tenebre non l’hanno accolto. Nell’AT la rivelazione del Verbo di Dio è rivelazione di luce: ad essa corrisponde la pienezza della grazia, la grazia della grazia, che ci è data in Gesù, rivelazione dell’amore senza limiti di Dio (Gv 1,4-5, 16). Anche tutta la testimonianza dell’AT è una testimonianza di luce: da Abramo a Giovanni Battista, Dio manda testimoni della sua luce; Giovanni Battista è l’ultimo di essi: annuncia la luce che sta per venire nel mondo e riconosce in Gesù la luce attesa (Gv 1,6-8;15).
Dabar IHWH è la comunicazione di Dio con l’uomo, avvenuta per tutti coloro che Dio ha chiamato e coloro sui quali cadde, sui quali venne la parola del Signore (cfr Is 55, 10-11). Come dice Agostino: La Parola di Dio è la vera luce.
La parola esce dalla bocca di Dio, ma conserva tutta la sua forza, è persona, crea e sostiene il mondo. Questa parola che crea e salva viene identificata con la Torah con la quale Israele intende la rivelazione divina nella sua totalità, con la Sapienza: Da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore (Is 2,3).
Il memra (aramaico) è il concetto che è servito a Giovanni per passare dal dabar al logos: nei targum il memra ha una funzione creatrice, ma soprattutto rivelatrice che si esprime in modo particolare attraverso l’immagine della luce. Nel Targum Neophiti, nel famoso poema delle quattro notti su Es 12,42 sta scritto: «La prima notte fu quella in cui IHWH si manifestò sul mondo per crearlo: il mondo era deserto e vuoto e la tenebra ricopriva la faccia dell’abisso. E il memra di IHWH era la luce che brillava». Nel Targum Jerushalaim il manoscritto 110 dice: «Con la sua parola IHWH brillava ed illuminava».
Il midrash sottolinea che la legge era prima del mondo, era vita, era luce: «Le parole della Torah sono luce per il mondo» (Midrash Dt Rabba 7.3). Figlia unigenita di Dio, la Torah è stata scritta con fuoco nero nella fiamma bianca e giace sulle ginocchia di Dio mentre Dio siede sul trono di gloria (cfr Midrash al Salmo 90.3).
Il logos-luce si fa presente nel mondo. Tutto è vita in lui: il Verbo sostituisce la Torah. Si trascendono i segni, e più che sostituzione si assiste a un adempimento. Se la Torah per il giudeo è figlia di Dio, Giovanni mostra che essa è il logos che fin dall’inizio è presso Dio, è Dio. Questo logos si fa carne: uomo, caduco, limitato, finito, mettendo la sua gloria nella carne. Egli ha messo la sua tenda, skené, tra di noi, è diventato shekinah di Dio tra di noi, e ha fatto vedere la gloria, la presenza schiacciante di Dio agli uomini. La gloria che abitava nella tenda dell’esodo (Es 40,34-38), che abitava nel tempio (1 Re 8,10), ora abita nella carne del Figlio di Dio. È una vera epifania. La shekinah diventa visibile, perché la shekinah è Cristo, luogo della presenza e della gloria divina. C’è chi ha visto la gloria di Dio: l’Unigenito pieno di grazia e di verità; lui viene a rivelarci il volto del Padre, l’unico che può farlo perché è nel seno del Padre. Da questa pienezza di vita ha origine la nuova creazione. Mosè ha dato la legge, Cristo dà la grazia e la verità, l’amore e la fedeltà. Nel Figlio si può contemplare Dio senza morire perché chi vede il Figlio vede il Padre: Gesù è l’esegesi, la narrazione della vita divina.
E il luogo di rivelazione è la sua carne. Ecco perché Giovanni dirà nel compimento dell’ora: «Noi abbiamo visto la sua gloria» (Gv 1, 14), dove per “ora della glorificazione” non si vedono altro che tenebre. La luce è nascosta nel suo dare la vita per amore degli uomini, nell’amore fino alla fine, senza tirarsi indietro, rispettando la libertà dell’uomo di crocifiggere l’Autore della vita. Dio è glorificato nel momento della passione: un amore compiuto, definitivo, senza limiti, un amore dimostrato fino alle estreme conseguenze. È il mistero della luce che si fa strada nelle tenebre, sì perché l’amore ama l’oscurità della notte: quando la vita si fa più intima e le proprie parole muoiono per vivere nel respiro delle parole della persona amata la luce è nell’amore che illumina quell’ora di espropriazione, ora in cui si perde se stessi per ritrovarsi restituiti nell’abbraccio della vita.
4. PREGHIERA
Deponi, o Gerusalemme,
la veste del lutto e dell’afflizione,
rivèstiti dello splendore della gloria
che ti viene da Dio per sempre.
Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio,
metti sul capo il diadema di gloria dell’Eterno,
perché Dio mostrerà il tuo splendore
ad ogni creatura sotto il cielo.
Sarai chiamata da Dio per sempre:
Pace della giustizia e gloria della pietà.
Sorgi, o Gerusalemme,
e sta’ in piedi sull’altura e guarda verso oriente;
vedi i tuoi figli riuniti da occidente ad oriente,
alla parola del Santo,
esultanti per il ricordo di Dio.
Dio ha stabilito di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari,
di colmare le valli e spianare la terra
perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio.
Anche le selve e ogni albero odoroso
faranno ombra ad Israele per comando di Dio.
Perché Dio ricondurrà Israele con gioia
alla luce della sua gloria,
con la misericordia e la giustizia
che vengono da lui.
Baruc 5,1-9
5. CONTEMPLAZIONE
Padre della luce, vengo a te con tutto il grido del mio esistere. Dopo passi di bene e scivolamenti nel male arrivo a capire, perché ne faccio esperienza, che da solo non esisto se non nel buio delle tenebre. Senza la tua luce non vedo nulla. Sei tu infatti la fonte della vita, tu, Sole di giustizia, che apri i miei occhi, tu la via che conduce al Padre. Oggi sei venuto tra noi, Parola eterna, come luce che continua ad attraversare le pagine della storia per offrire agli uomini i doni della grazia e della letizia nel deserto della carestia e dell’assenza: il pane e il vino del tuo Nome santo che nell’ora della croce diventeranno il segno visibile dell’amore consumato ci fanno nascere con te da quel grembo fecondo che è la Chiesa, la culla della tua vita per noi. Come Maria vogliamo restarti accanto per imparare ad essere come lei, pieni della grazia dell’Altissimo. E quando le nostre tende accoglieranno la nube dello Spirito nel fulgore di una parola pronunciata ancora carpiremo la Gloria del tuo Volto e benediremo in un silenzio adorante senza più ritrosie la Bellezza dell’essere una sola cosa con te, Verbo del Dio vivente.
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Incontrare il Re Fandom: Final Fantasy XV Personaggi: Prompto Argentum, Noctis Lucis Caelum, Regis Lucis Caelum, Clarus Amicitia, Ignis Scientia Relationship: Male/Male Pairing: Promptis Genere: Introspettivo, Comico, Fluff Avvertimenti: Oneshot, What if? (E se...) Rating: SAFE Conteggio parole: 1835 Intro:
Prompto era certo di due cose nella sua semplice vita da neo-diciottenne. Uno. Lui era assolutamente e senza alcun’ombra di dubbio innamorato del Principe Noctis Lucis Caelum. Due. Sarebbe morto giovane e anche decisamente presto. Era solo questione di pochi minuti, a dirla tutta. Perché conoscere il padre del proprio fidanzato non era una questione da prendere alla leggera. E, ovviamente, incontrare il Re era un qualcosa di ancor più delicato! Ma se il Re era anche il padre della persona della quale si era innamorati… bhe: era come invitarlo a mettere la testa su un ceppo di legno in attesa della scure del boia..
Prompto era certo di due cose nella sua semplice vita da neo-diciottenne. Uno. Lui era assolutamente e senza alcun’ombra di dubbio innamorato del Principe Noctis Lucis Caelum. Due. Sarebbe morto giovane e anche decisamente presto. Era solo questione di pochi minuti, a dirla tutta. Perché conoscere il padre del proprio fidanzato non era una questione da prendere alla leggera. E, ovviamente, incontrare il Re era un qualcosa di ancor più delicato! Ma se il Re era anche il padre della persona della quale si era innamorati… bhe: era come invitarlo a mettere la testa su un ceppo di legno in attesa della scure del boia. Emise un basso verso disperato, l’ennesimo da quando era salito sulla macchina di Noctis. «Morirò…» Noctis sbuffò una risata e Ignis, che continuava a guidare per le vie della città, diretto alla Cittadella, si lasciò scappare un sospiro. «A titolo informativo… la pena di morte è stata bandita da secoli a Insomnia», cercò di rassicurarlo infatti, ma ovviamente Prompto finì per ignorarlo, andando a nascondere il viso tra le mani. «Morirò… morirò sicuramente», ripeté piano. Noctis iniziò ad accarezzargli la schiena per calmarlo. «Andiamo Prom. Sa già di noi, di che ti preoccupi?», dichiarò. La sua voce era divertita e Prompto non poté non gemere contro i palmi delle mani, diventando rigido come una lastra di marmo quando sentì la macchina fermarsi. Erano arrivati e la sua fine era vicina. «Vuoi tornare indietro?», gli chiese Noctis a quel punto. «Posso?!» «Beh sì», annuì il Principe, «Ma non faresti una bella figura con mio padre». «Che è il Re…», aggiunse Prompto. «Molto arguto», ridacchiò Noctis. «Rimetterà in vigore la pena di morte… lo so…» «Prompto», Ignis si voltò verso di loro, sistemandosi gli occhiali con un’espressione composta, «Stai esagerando. Comprendo il tuo disagio ma le tue paure sono totalmente infondate». «Come reagiresti se tuo figlio, il tuo UNICO figlio nonché Principe, scopasse con un plebeo? Un perfetto Signor Nessuno! Uno come me?!» «Considerando che il figlio sono io, direi che sarei felice», si intromise Noctis, cercando poi di farsi un po’ più serio nel notare l’espressione dell’altro ragazzo, «Davvero Prom, mio padre sarà anche il Re, ma ha già accettato la nostra relazione. Vuole solamente conoscerti, non ucciderti». «Lo so, ma…» Noctis gli prese la mano, stringendola delicatamente. «Ti fidi di me?» «Questa è… una domanda ingiusta…» «Rispondi e basta». «Sì, mi fido di te…» «Allora credimi se ti dico che andrà tutto bene. E se dovesse andare male, ci penseremo io, Gladio e Ignis a proteggerti. Vero, Quattrocchi?» «Se sono gli ordini», rispose Ignis, ma era chiaro che l’avrebbe aiutato. Prompto, in parte rassicurato dalle loro parole, annuì ed accettò finalmente di scendere dalla macchina e di seguire Noctis all’interno della Cittadella. Aveva solo visto alcune foto di quel luogo - aveva comprato tutti gli albi fotografici venduti in allegato con l’Insomnia Post - e, insieme ai racconti di Noctis, si era fatto un’idea ben precisa di quei corridoi, delle stanze e di tutto quello che si trovava all’interno della Cittadella. Eppure, una volta messo piede lì dentro, si rese conto che l’imponenza di quelle mura, delle opere d’arte contenute in esso e tutta la storia e la ricchezza, eguagliavano di gran lunga le sue fantasie. Deglutì, stringendo la mano di Noctis per impedirsi di fermarsi, continuando a seguirlo in silenzio. «Stiamo andando… nella sala del trono?», chiese piano. «Non è un incontro formale, non c’è bisogno di andare lì», spiegò Noctis, «Ci aspetta con Clarus nel suo studio privato». «Clarus. Clarus Amicitia…», ripeté Prompto. «Il padre di Gladio, sì», assentì Ignis accanto a lui. «Lo Scudo del Re sarà lì, e…» «Non iniziare di nuovo!», lo bloccò il Principe, «Non sei un pericolo, quindi Clarus non ti farà niente! Se lo fossi stato, non credi che Gladio ti avrebbe già rivoltato come un calzino?» Prompto lo guardò bianco come un cencio e Noctis si costrinse a sospirare, era stato divertente per… beh, gran parte della giornata, ma in quel momento voleva che Prompto fosse tranquillo. Che fosse se stesso. «Se non fossi stato sicuro della tua incolumità, credi che ne avrei parlato con mio padre? O che ti avrei invitato a venire?» «No…», pigolò ancora Prompto. «Quindi, per l’ennesima volta: stai tranquillo», ripeté Noctis, baciandolo rapidamente sulle labbra, «Se fai il bravo, la prossima volta ti permetto di portare la macchina fotografica», aggiunse piegando le labbra in un sorrisetto. «Davvero?!», Noctis annuì, «Allora facciamolo!», esclamò Prompto con gli occhi che brillavano. «Hai improvvisamente smesso di aver paura all’idea di poter fare delle foto?!», domandò incredulo il Principe e Prompto si sentì avvampare. «B-beh… sai con chi stai parlando! Amo fare foto e questo posto è così bello! Irraggiungibile per un plebeo come me!» Noctis scosse la testa divertito e riprendendo a camminare percorsero l’ultimo corridoio prima di giungere dinanzi alla porta dello studio privato del Re. Prompto avrebbe voluto dire di non sentirsi assolutamente nervoso dopo la promessa che gli aveva fatto Noctis, ma in realtà nella sua testa aleggiava ancora quella minaccia di morte che lo aveva accompagnato per tutto il viaggio. Fu Ignis a bussare e una volta ottenuto il permesso di entrare, Prompto trascinò i piedi per oltrepassare la porta insieme a Noctis. «Mi raccomando», mormorò Ignis quando gli passarono accanto prima di chiudere la porta, e quel semplice rumore fece quasi sussultare il ragazzo sul posto. Sentiva il cuore in gola ed era certo che anche il Principe potesse sentirlo battere all’impazzata attraverso la mano ancora artigliata alla sua. Il Re era seduto su un elegante divanetto di pelle nera. Il bastone che ormai era costretto a utilizzare per camminare accanto a lui insieme all’immancabile Clarus Amicitia, che a detta di Noctis era come la sua ombra. Prompto diventò subito rigido, soprattutto quando Re Regis si alzò lentamente in piedi per accoglierli. Boccheggiò come un pesce, incerto se salutare per primo o se attendere che gli fosse permesso di parlare. Fortunatamente Noctis decise di intervenire per lui - in un modo che Ignis avrebbe definito ‘poco principesco’. «Perdonalo: crede che tu voglia ucciderlo», e se Prompto non fosse stato così impegnato ad immaginarsi con un cappio attorno al collo, avrebbe sicuramente notato le labbra di Clarus tremare per trattenersi dal sorridere - cosa che invece non riuscì a nascondere dei suoi occhi -, e avrebbe addirittura visto Regis scuotere la testa divertito. «Credo che il Signor Argentum sappia che la pena di morte è stata bandita da Insomnia dai tempi del Re Montis», rispose con calma il Re. «Però devi convenire che esistono altri modi per raggiungere lo stesso scopo», aggiunse Clarus, cercando ancora di contenersi quando tutti sentirono chiaramente un verso sfuggire dalle labbra di Prompto. «Trovo che sia un argomento interessante, vecchio mio. Quasi illuminante viste le sue innumerevoli possibilità». Il ragazzo li guardò con gli occhi sgranati, stringendo così forte la mano del Principe che questo fu costretto a scuoterlo con un: «Ti stanno prendendo in giro!» «Eh? C-cosa?», fissò prima Noctis poi gli altri due uomini, notando finalmente gli sguardi divertiti che questi gli stavano rivolgendo… cosa che, ovviamente, gli fece desiderare di trovare una fossa bella profonda nella quale nascondersi. Regis annuì per confermare le parole del figlio e Prompto, riscosso dal suo torpore di terrore, si esibì subito in un inchino nervoso. «S-scusate, Vostra Altezza! M-mi chiamo Prompto A-Argentum e… s-sono...» «Tirati su, ragazzo», lo riprese calmo il Re, «Prendi un bel respiro, qui nessuno vuole ucciderti», aggiunse. Prompto annuì nervoso, rimettendosi dritto e rigido come un’asta di ferro. «Speriamo di non averti messo ulteriormente a disagio con le nostre battute», proseguì Regis, facendo cenno ad entrambi i ragazzi di accomodarsi sul divano e le poltrone. «S-sì… cioè! NO, Vostra Altezza!», esclamò Prompto venendo trascinato da Noctis verso una delle poltrone, sulla quale venne costretto a sedersi. Lo stesso Principe prese posto accanto a lui sul bracciolo per dargli ancora il suo supporto, ma la testa del ragazzo era già altrove. Anche Re Regis si accomodò di nuovo e solo in quel momento riprese la parola. «Spero che mio figlio non ti dia troppi problemi, sa essere un po’ indisciplinato». «Ehi», si lamentò prontamente Noctis. «Eh? No! Certo che no! N-Noct-volevo dire… il Principe Noctis è… è fantastico», rispose Prompto, cercando di ignorare quanto quella poltrona fosse comoda e morbida… faceva venire voglia di sprofondarvi dentro. Poteva essere un buon modo per scomparire da quel mondo. Regis annuì nel sentire quelle parole, era come se stesse giudicando le sue risposte e per quello Prompto si sentì ancor più nervoso. «Parlami di te, che progetti hai per il futuro?» «E-ecco… non so… m-mi piace fare fotografie…», rispose. «L’Università delle Arti di Insomnia ha un ottimo corso di Fotografia», commentò Regis, guardando Clarus che annuì confermando la sua affermazione. «S-sì, Vostra Altezza…», assentì a sua volta il ragazzo. «Noctis mi ha detto che sei stato adottato», proseguì il Re e Prompto si mosse un po’ irrequieto, stringendo inconciamente la mano sul polsino che portava sul polso destro. «N-non… cioè sì… ma non so granché ero molto piccolo e… i miei sono raramente a casa quindi… n-non ho mai chiesto perché la mia vita è qui...», spiegò. «Comprendo», rispose il Re e dopo essersi scambiato una nuova occhiata con Clarus si schiarì la voce, «Prompto, voglio che tu mi ascolti attentamente». Nel sentire il suo nome, il ragazzo di mise ancor più dritto sulla poltrona. «Sì, V-Vostra Altezza...». «Desidero che tu sappia che mi fido delle scelte di mio figlio», dichiarò serio Regis, «Ma preferisco essere chiaro sin da subito, anche se non sono contrario alla vostra relazione, sappi che se oserai far soffrire Noctis... dovrai considerarti morto, anche se la pena di morte non è legale qui a Insomnia». Prompto strinse le labbra ma annuì subito e per la prima volta, da quando era entrato nella Cittadella, il suo viso non mostrò esitazioni. «Papà…», esordì il Principe, ma l'altro lo bloccò prendendo lui stesso la parola. «N-non voglio far soffrire Noctis, neanche inconsciamente. Se dovesse succedere… s-sarei io stesso a farmi da parte, Vostra Altezza», rispose. Sostenne lo sguardo del Re. Tutte le sue paure e le insicurezze si erano dileguate dietro quella dichiarazione. Prompto aveva paura di fare qualche disastro, ma non aveva dubbi riguardo ai suoi sentimenti per Noctis, e Regis piegando un poco le labbra in un sorriso annuì soddisfatto. «Ottima risposta», concesse, e anche Clarus assentì a sua volta compiaciuto, «Ti piacerebbe fermarti per cena, Prompto?», aggiunse il Re poco dopo. «Eh? Cosa?!», ancora una volta fece scorrere gli occhi dapprima su Noctis e poi sul Re, mostrandosi palesemente sorpreso da quel brusco cambiamento di discorso, «I-io… credo di sì», riuscì poi a rispondere, permettendosi di accennare un piccolo sorriso. Quella serata era ancora ben lontana da finire e, sinceramente, Prompto non riusciva del tutto a sentirsi sicuro - temeva ancora di rovinare tutto con qualche gaffe imbarazzante - ma… alla fin fine quella prima parte non era andata poi così male. In fondo, era ancora vivo.
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maxdemigodpower · 6 years
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Nel nome del Figlio
Quando riapre gli occhi, Maximilian Lee è affacciato sul corridoio dei pezzi mancanti del suo Sistema Nervoso Centrale.
È buio e fa freddo. Non sono bastati diciassette anni a dominare quella sensazione, quando si addormenta non è affatto certo del fatto che tornerà a svegliarsi.
Come ogni notte, i piedi nudi in pozze di acqua gelida e limacciosa, avanza in cerca dell’uscita. Le pareti sono costellate di candele semisciolte che ha provato a riaccendere per quasi vent’anni, senza risultati. È un gelo e un buio che ti divorano dentro. Il soffitto opprimente schiaccia le spalle e la schiena, i sussurri dietro la porta da cui cerca di allontanarsi, quella che è tutto il contrario dell’uscita, sono malevoli e sottili come le punte degli aghi. Alcune notti, ci mette più tempo a ritrovare l’uscita, lo spirito si ribella a quel luogo con ogni fibra della sua anima, ma il corpo, il corpo viene reso impotente, legato dalla chimica con catene invisibili che lo costringono ad arrancare in quel corridoio così a lungo che non saprebbe nemmeno dire quanto, piegandolo un po’ di più in cambio di energie per mandare avanti il lui che non è li, la parte sana, dall’altra parte delle palpebre. Oggi è una di quelle notti.
Ha camminato per un tempo infinito nel buio freddo e umido dell’anticamera della Morte, quando qualcosa di inaspettato accade.
E una delle candele si accende.
Per un attimo, rimane a fissarla come si fissa un miraggio. Si avvicina, tende una mano- è una fiamma nera che non getta luce nè calore, quando la sfiora con un dito gli sembra quasi di averlo immerso in un secchio di acqua ghiacciata.
Con la coda dell’occhio, nota il guizzare di un’altra fiammella.
I piedi si muovono come le ali di una falena; svolta un angolo, seguendo le candele, che prima non aveva mai notato. Lentamente il freddo si dissipa, i soffitti si fanno più alti, i pavimenti asciutti, il buio più completo. Per qualche motivo, anche così ci vede benissimo.
Nel petto scalpita un’urgenza mai provata prima. Quel corridoio conduce a una porta- lo sa- ma non è la porta d’uscita, è la porta per un altro mondo, ancora un salto, ancora una dimensione. Lo spaziotempo si piega, spingendolo avanti e-
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E alla fine emerge dall’altra parte.
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Un brivido corre lungo la schiena come una carezza al contempo nauseante e familiare.
Preziosi marmi neri, intarsiati d’oro e diamanti che gettano i riflessi di Fiamme azzurre, nutrite in bracieri d’avorio. Ogni passo echeggia della vastità di sale antiche come la struttura dell’Multiverso stesso, ogni respiro si condensa in un’aria gelida che non raffredda il corpo.
Da quel lucido marmo nero, come da dietro una lastra di vetro, sembra quasi affacciarsi qualcosa, mani magre e pallide, protese in una richiesta d’aiuto muta- ma è poi muta? Sente i sussurri. Sussurri che lo chiamano ad avvicinarsi, sussurri verso i quali si protende, le dita ad un soffio dalla pietra e gli occhi che incontrano il formarsi di un viso, un bagliore di occhi acquosi- con orrore riconosce lo sguardo di Iphigenia Clark.
“Non puoi salvarli.”
Alza la testa di scatto e ritrae la mano per ritrovarsi a fissare una figura sgradevolmente familiare.
Siede statuario su un trono fatto d’avorio, il Principe dell’Oltretomba, ogni mano poggiata sui crani lisci di teschi, macabri pomoli di braccioli regali. Le lunghe pieghe del chitone sobrio e severo delineano un corpo che ha la perfezione inumana degli Dei pur nel suo pallore, un corpo dove i segni delle battaglie non intaccano la carne, dove i tratti severi e rigidi del viso hanno la regalità del sangue Olimpico e lo sguardo scuro è senza tempo, capace di guardare oltre la Vita e la Morte al tessuto del Creato stesso. Il sorriso è condiscendente.
“Well, non ti aspettavi davvero cumuli di ossa e frattaglie, right?”
È con nausea crescente che riconosce in quella voce il proprio black humor. Non riesce ad aprire bocca, il massimo di cui è capace è restare dritto, schiena e spalle dritte, di fronte al Principe che si alza.
“Oh, c’mon. Non fingere di non sapere come un Olimpico ottiene il potere, Maximilian.”
“Potere... Questo non è potere, questo è solo il riflesso del potere di qualcun altro, tu sei solo un Principe.”
Quando trova la voce, la voce è salda, sfrontata come quella del Dio che ha di fronte, ma piena di un orgoglio differente, come due facce della medesima moneta.
“Am I?”
Eppure quelle singole due parole che l’altro scivola fanno annodare lo stomaco con una fitta violenta. Lo guarda carezzare con la mano sinistra uno dei due teschi, giallastro e squadrato, dall’aria antica quanto i marmi senza tempo del Tempio stesso. Gli occhi risalgono a percorrere il corpo fino ad incontrare un sorriso sfacciato e senza vergogna che conosce fin troppo bene.
“Crono ha tagliato le palle ad Urano per venire al mondo. Zeus ha squartato lo stomaco di Crono. You see, è solo naturale, parte dell’ordine cosmico delle cose: il parricidio è un’arte che ti scorre nel sangue. E l’unica via per avere il potere che cerchi.”
“Non mi serve nessun cazzo di fottuto potere.”
Sputa per terra, macchiando il pavimento lucido sotto occhi scuri quanto i suoi, indifferenti e quasi divertiti da quel gesto.
“E come vorresti costruire il mondo perfetto, sentiamo, coi proclami e le canzoncine alla radio?”
“Shut the fuck up, come se tu avessi costruito un cazzo: “il Regno dei Morti sarà il tuo esercito, e lo farai marciare per distruggere tutti. Mutanti, umani, le loro ossa spappolate saranno il tuo altare”- yeah, suona davvero costruttivo, fanculo.”
“Proprio non ci arrivi, mh? Jeez, chiudilo tu il cesso un secondo, e prova a usare i pezzi di cervello che ti rimangono, vuoi? For Gods’ sake.”
Le labbra si stringono in una smorfia dura. Freme, impotente, lo sguardo incupito dalla rabbia latente.
“Il Caos è una parte dell’Equilibrio del Multiverso. Non è buono nè cattivo, sono le persone a dare queste accezioni a quelli che sono semplicemente gli elementi del Caos. Come i Demoni delle Ombre. Semplicemente: avevo bisogno di un esercito, loro si sono gentilmente offerti di essere il mio.”
“E le ossa spappolate dove le metti, testa di cazzo?”
“Come se fosse la prima volta che uccidi per vincere una guerra, Max, porca puttana, guardati allo specchio: una volta tenevi il conto, da quanto hai smesso?”
Tace. E’ vero, una volta teneva il conto. Lo ha perso durante la guerra contro Magnus, quando i corpi hanno cominciato a impilarsi in montagne carbonizzate, quando ha portato l’Inferno in Terra perchè quella Terra potesse continuare a esistere.
“Come pensavo. Per cui chiudi il cesso e guarda: guarda cosa ha comprato, il mio esercito, prima di sparare sentenze. Pezzo di cretino.”
Lo spazio tra loro sembra tremare, e sotto la lucida superficie del pavimento immagini iniziano a scorrere: Philadelphia, anno 2045.
Sotto il sole tiepido di una primavera piena di speranza, la Young Gifted School si erge a cancelli spalancati nel lustro della Old City. Battendo le piccole ali, due ragazzini- ma quanto potranno avere, tre anni?!- svolazzano oltre l’inferriata d’oro, gettandosi nella portiera di una macchina che li aspetta, una mamma orgogliosa a ridere e sistemare piume arruffate  prima di chiudere. Scivola tra i prati e poi i corridoi, passando di fronte ad aule aperte e lezioni di ogni sorta, scendendo nel Level: First Class, dove la vista di un  giovane uomo un po’ paffuto dai capelli dorati seduto alla plancia del Simulatore fa affondare il cuore nel petto. È un battito di palpebre, e da lì è al Force Building, dove visi familiari di nuovo in divisa si riuniscono sotto il comando di una ASI non meno bionda, fiera e altera, coordinando assieme alla First Class il prossimo salvataggio del mondo.
Batte ancora le palpebre, ed è tra le strade di Bella Vista, a casa, e ha la meraviglia negli occhi nel guardare un sogno di molti anni fa, e forse non c’è il mare ma c’è un Telecineta con un ristorante, e piatti che aleggiano nell’aria raggiungendo le loro mete e fiammate azzurre nelle cucine, e gli occhi si spostano ed ecco un cantiere, travi d’acciaio sollevate senza l’ausilio di costosi macchinari, ed ecco un ospedale e ferite che si sanano sotto mano imposte, ed ecco mille altre cose, scene, sorrisi, poteri.
Ancora un battito di ciglia, ed è in una scuola. C’è un uomo in quella scuola, ed è un uomo che conosce.
È un uomo che ha lo sguardo triste, e il sorriso felice: siede sulla cattedra con una discutibile camicia a fiori sotto una cravatta, con una fede al dito e le spalle e la schiena solide. I ricci corti e ordinati sono grigi e striati di bianco, come una barbetta un po’ caprina che macchia il mento. È un uomo che con un’occhiata ti può guardare fin dentro il cervello e spolpartelo come un quarto di manzo, ma non lo fa, perché non ne ha bisogno. È un uomo che sta insegnando una materia di cui non ha mai sentito parlare prima, Storia Superumana, in una scuola normale, nel South Side, a bambini che non importa di che razza sono.
È un uomo che, a guardarlo, gli si spezza per l’ennesima volta il cuore.
“You see, now?”
La sua stessa voce lo strappa al sogno per rigettarlo nell’incubo. Tremante rialza lo sguardo sul Signore dell’Oltretomba, il fiato mozzo, la gola arida.
“Come...?”
“Ma con la guerra, ovviamente. E non farmi quella faccia del cazzo, che in fondo al cuore lo sai che la guerra arriverà, che tu lo voglia o no. È questione di loro, la Phoeni-X o noi. E io ho scelto noi- cazzo si, è un po’ presuntuoso arrogarsi il diritto di scegliere per tutti, ma qualche volta arroganza e coraggio pagano, non ti pare?”
Suda freddo, riconosce con l’ennesima fitta dolorosa il proprio pragmatismo, il proprio schema di pensiero. Il capo si scuote.
“No? Ma no cosa? Look, si: non lo negherò. Sono morti molti, ma sarebbero morti molti di più se avessi lasciato che gli eventi seguissero il loro corso e basta. Le Profezie stanno tutto a come le interpreti, ho costruito questo regno sul sangue ma cazzo- you can’t tell me it’s not worth it.”
Non glielo può dire. C’è un senso di disgusto e di ribrezzo che scuote il corpo fin nell’anima, lacerandola e gettandovi sopra sale, ma la matematica è una realtà oggettiva e una guerra breve fa meno vittime di una guerra lunga.
“Mi hanno offerto un esercito: me lo sono preso, ma questo non vuol dire che ci debba fare il cazzo che vogliono loro. Ci ho fatto quello che ritenevo giusto io. E ora... Ora è pace.”
Dentro di se, in qualche modo, trova ancora la forza di rimettersi dritto, fronteggiarsi, la voce di Iris Carter a dirgli di guardarsi allo specchio, conoscere i desideri più reconditi, i lati più oscuri.
“You’re still not happy. You still don’t have the one thing that could make you truly happy.”
“Don’t I?”
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È una figura evanescente quella che scivola tra le ombre, spuntando da dietro una colonna. Più abbandona l’oscurità, più diventa reale, dolorosamente vivida: le pieghe candide di un chitone ricamato a scivolare sulle forme morbide, seni generosi e fianchi accoglienti, sandali d’oro come d’oro e diamanti sono i monili che adornano le braccia, e la piega sensuale di un collo che con una sola occhiata risveglia fiamme che non hanno nulla di divino e mistico nella pancia, fino a condensarsi in labbra rosee, che piegano un sorriso lieve.
Guarda mani diafane scivolare sulle spalle del Sire, cingerlo, richiedere una torsione e un bacio che guardare ha il potere di metterlo in ginocchio.
“Ancora così sicuro di te?”
La gola non risponde subito. Quando lo fa, è con un sussurrio rauco e rabbioso.
“She’s not dead.” “Well she most definitely is not now.” “SHE’S NOT DEAD!”
Oltraggio, indignazione per le leve che vengono usate sul suo spirito per piegarlo, sono gli impeti che gli danno la forza di tirarsi in piedi e ruggire tutta la sua furia. Guarda l’Altro fissarlo con disprezzo, come si guardano le macchie di sporcizia sul pavimento.
“Chiudi quella fogna dentata e ascolta, un giorno mi sarai grato. I may be wrong about a lot of things, but I’m right about this one.”
Non vuole saperlo. Non vuole sapere come l’ha riavuta, non gli interessa- è tutto falso, tutto una menzogna, tutto un’Illusione-
Ma se fosse vero?
“Mi ritrovo alla fine di un’altra fottuta guerra, con un esercito e un sacco di poteri di cui non so bene che farmene. Ecco quando mi è venuta l’idea di venire a far visita a papà. La sua faccia, cazzo, impagabile, quando mi ha visto. Ma poi se ne sta li come un grandissimo stronzo and I’m like “give her back” and he’s like “I can’t” e allora glielo dico, no, fottuto bugiardo, certo che puoi, è che non vuoi! Lasciala andare, I’m no fucking Orpheus, io non mi girerò, io tirerò dritto fino a fuori da questo cesso di Oltretomba, e lui no, no, ancora con questa puttanata che non può, che gli dispiace ma non può. Così me ne vado.”
La frustrazione dell’Altro nel ricordare è palpabile, lo guarda misurare il pavimento con passi nervosi finché non torna a fronteggiarlo. Ha l’aria di avere bisogno di una sigaretta.
“La volta dopo, torno col fottuto esercito. Visto che a quanto pare davvero non c’è mai un cazzo dì facile a questo mondo, ma non voglio combattere, sono fottutamente stanco di combattere, così glielo chiedo di nuovo, “give her back, don’t make me do this.” E lui? LUI DICE ANCORA CHE NON PUÒ!”
È un istante, un lampo di fuoco, un bagliore bluastro che squarcia le tenebre e per un paio di secondi lo avvolge, spegnendosi con mani che stropicciano il viso privo di occhiaie e sfregi.
“Well. Immagino che ognuno scelga il suo destino, mh? Ade ha scelto il suo. Viene fuori che dopotutto... Si può uccidere un Dio.”
Le nocche pallide battono con un toc-toc e un sorriso soddisfatto sulla sommità di quel teschio antico, e a Max lo stomaco si annoda di nuovo mentre guarda il Principe, il Re, ritornare sul suo scranno, accomodarsi, accogliere una Regina dallo sguardo gelido a sedere su una sua gamba, lasciandole carezzargli il viso. 
Ride. Ride una risata un po’ sarcastica e un po’ disperata, scuotendo la testa, fissandoli con uno sguardo che si rifiuta di credere, ostinatamente, nonostante i dubbi che scivolano tra le pieghe della coscienza, annidandosi fin dentro lo spirito.
“Dei, è tutta una menzogna. Non avresti potuto ottenere tutto questo nemmeno se volessi, nemmeno se volessi potresti ammazzare Iris Carter per un esercito, è un avversario al di sopra della mia portata, sono debole.”
“Oh, non ho avuto bisogno di essere più forte di lei.”
La risposta lo fa espirare con forza. Scuote il capo.
“You can’t outsmart Athena’s blood.” “Actually, you can. Se lei ti insegna come farlo. Due passi davanti agli amici, mh?”
La citazione lancia un ennesimo macigno nello stomaco. La testa gira come se il corpo fosse sul punto di cedere, la scuote ancora, rifiutando con forza le parole.
“No. Shut up. She’s outta your league.” “Ammetto che non è stato facile e che... Non è stato piacevole. È stata la parte più difficile.”
Si sente inchiodato sul posto, d’un tratto, da quello sguardo a cui non riesce a dare umanità, uno sguardo che forse quell’umanità l’ha ceduta in cambio di tutto il resto, il respiro difficoltoso che si blocca nella trachea. Segue le dita dell’altro scivolare sul secondo cranio di quello scranno, meno antico, più affilato, e l’ennesima ondata di nausea scuote il corpo. La testa gira ancora, e vorrebbe scappare, chiudere gli occhi, tapparsi le orecchie: non vuole sapere.
“Ma grandi sacrifici, grandi atti di bontà... Portano i loro risultati. E condividerò questa storia con te, così che, al momento giusto, saprai cosa fare.”
No. No lo urla con ogni fibra del suo essere, con ogni minuscolo frammento del proprio corpo, con ogni ritagli strappato della sua anima: no.
“Stop fighting it, Max. Lo sai anche tu, sei debole.”
È sentirselo dire in faccia da se stesso che scarica nuova forza nelle vene, una fiammata a fare ribollire il sangue, rinvigorire i muscoli, e accende gli occhi di bagliori azzurri, dipingendo sulle labbra un sorriso tagliente che sa di odio e fiele.
“Am I?”
Echeggia l’altro, guardando con soddisfazione il lampo di furia che lo indigna.
È l’ultima cosa che vede.
Johnny tira uno strillo quando suo padre si alza di schianto seduto tra le lenzuola sudate, mandandolo a ruzzolare di lato sul letto, a fissarlo con occhioni spaventati nel buio della stanza nella Underground Base.
“Hai fatto un brutto sogno, papa?”
Il respiro spezzato, il cuore in gola e la rabbia nelle vene, Max lascia che il bambino gli si sistemi di nuovo addosso, passando manine preoccupate a spianare rughe più che premature.
“Papa?” “Dormi, amore mio.. It’s nothing.”
Lo avvolge tra le braccia, posa un bacio ruvido e arrabbiato sui sottilissimi ciuffi biondi. Le labbra aride ripetono mute il vecchio adagio, una frase per volta, scavate nella memoria e incise a fuoco nell’anima, a fondo nelle tenebre come la luce di un faro, da seguire quando la notte è troppo nera e buia per orientarsi con le stelle.
Tre passi davanti ai nemici. Due passi davanti agli amici. Un passo davanti a te stesso.
Un passo davanti a te stesso.
Un passo davanti a te stesso.
Un passo davanti a te stesso.
Un passo davanti a te stesso.
Un passo davanti a...
“Sono ancora più forte di te, stronzo.”
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valeria-manzella · 6 years
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..non andare via Signore..Signore se la porta del mio cuore dovesse restare chiusa un giorno..abbattila ed entra..non andare via..se le corde del mio cuore non dovessero cantare il tuo nome un giorno..ti prego aspetta..non andare via..se non dovessi svegliarmi al tuo richiamo un giorno..svegliarmi con la tua pena..non andare via..se un altro al tuo trono tu dovessi porre un giorno..tu Signore eterno..non andare via ..(Rabondranath Tagore)..
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745-kilometri-blog · 7 years
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Destroy what destroys you!
Siamo ai saluti ciccio. E’ stato un viaggio abbastanza lungo, è stato un viaggio in cui ho capito tante, troppe cose su di me. L’ho fatto anche per merito tuo, caro blog. Mi sembrava doveroso scriverti qualcosa per ringraziarti di tutte le menate esistenziali che hai dovuto custodire per alleggerire il mio cuore in questo periodo nero come la pece. Ne siamo sicuri dai. Ormai è palese. Lei s’è fatta una vita, magari è felice, magari non glien’è mai fregato un cazzo in tutta sta storia di me. Va bene così, siamo carichi, si torna all’inferno ora. Stasera sono elettrico, euforico quasi; finalmente questa rabbia la posso scaricare in una maniera giusta e sensata. I sentimenti sono una merda, una merda che ti spacca piano piano a metà il cuore. Ora si cambia, il cuore non lo ho da un po di tempo. Il sipario cala, un po per tutti; il protagonista qui ha perso, per l’ennesima volta. Il trono degli inferi mi aspetta. Aspetta me, quello che relegato i suoi sentimenti nella cantina più buia del suo cuore.
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Lectio Divina: Luca 1,26-38
Lectio
Venerdì, 20 Dicembre, 2019
3ª Settimana d'Avvento
1) Preghiera
Tu hai voluto, o Padre, che all’annunzio dell’angelo la Vergine immacolata concepisse il tuo Verbo eterno, e avvolta dalla luce dello Spirito Santo divenisse tempio della nuova alleanza: fa’ che aderiamo umilmente al tuo volere, come la Vergine si affidò alla tua parola. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
2) Lettura
Dal Vangelo secondo Luca 1,26-38
Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio”.
Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei.
3) Riflessione
• La visita dell’angelo a Maria evoca le visite di Dio a diverse donne del Vecchio Testamento: Sara, madre di Isacco (Gen 18,9-15), Anna, madre di Samuel (1 Sam 1,9-18), la madre di Sansone (Gde 13,2-5). A tutte loro fu annunciata la nascita di un figlio con una missione importante nella realizzazione del piano di Dio.
• La narrazione comincia con l’espressione “Nel sesto mese”. É il sesto mese della gravidanza di Elisabetta. La necessità concreta di Elisabetta, una donna avanzata in età che aspetta il suo primo figlio con un parto a rischio, è lo sfondo di tutto questo episodio. Elisabetta è menzionata all’inizio (Lc 1,26) ed alla fine della visita dell’angelo (Lc 1,36.39).
• L’angelo dice: “Ti saluto o piena di grazia, il Signore è con te!” Parole simili sono state dette anche a Mosè (Es 3,12), a Geremia (Ger 1,8), a Gedeone (Gde 6,12) e ad altre persone con una missione importante nel piano di Dio. Maria è sorpresa dal saluto e cerca di capire il significato di quelle parole. E’ realista. Vuole capire. Non accetta qualsiasi inspirazione.
• L’angelo risponde: “Non temere, Maria!” Come avviene nella visita dell’angelo a Zaccaria, anche qui il primo saluto di Dio è sempre: ”Non temere!” Subito l’angelo ricorda le promesse del passato che saranno compiute grazie al figlio che nascerà e che deve ricevere il nome di Gesù. Lui sarà chiamato Figlio dell’Altissimo ed in lui si realizzerà il Regno di Dio. E’ questa la spiegazione dell’angelo in modo che Maria non si spaventi.
• Maria è consapevole della missione che sta per ricevere, ma continua ad essere realista. Non si lascia trascinare dalla grandezza dell’offerta, ed osserva la sua condizione. Analizza l’offerta a partire da certi criteri che ha a sua disposizione. Umanamente parlando, non era possibile: “Come è possibile? Non conosco uomo.”
• L’angelo spiega che lo Spirito Santo, presente nella Parola di Dio fin dalla Creazione (Genesi 1,2), riesce a realizzare cose che sembrano impossibili. Per questo, il Santo che nascerà da Maria sarà chiamato Figlio di Dio. Il miracolo si ripete fino ad oggi. Quando la Parola di Dio è accolta dai poveri, qualcosa di nuovo avviene grazie alla forza dello Spirito Santo! Qualcosa di nuovo e sorprendente come che un figlio nasce ad una vergine o un figlio nasce ad una donna di avanzata età, come Elisabetta, di cui tutti dicevano che non poteva avere figli! E l’angelo aggiunge: “Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese”.
• La risposta dell’angelo chiarisce tutto per Maria, e lei si dona: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Maria usa per sé il titolo di Serva, ancella del Signore. Questo titolo di Isaia, che rappresenta la missione del popolo non come un privilegio, bensì come un servizio agli altri popoli (Is 42,1-9; 49,3-6). Più tarde, Gesù definirà la sua missione come un servizio: “Non sono venuto ad essere servito, ma a servire!” (Mt 20,28). Imparò dalla Madre!
4) Per un confronto personale
• Cosa ti colpisce maggiormente nella visita dell’angelo Gabriele a Maria?
• Gesù elogia sua madre quando dice: “Beato chi ascolta la Parola e la mette in pratica” (Lc 11,28). Come si rapporta Maria con la Parola di Dio durante la visita dell’Angelo?
5) Preghiera finale
Del Signore è la terra e quanto contiene,
l’universo e i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondata sui mari
e sui fiumi l’ha stabilita. (Sal 23)
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valeria-manzella · 7 years
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..Quel centurione che vide un re morire di amore..Ermes Ronchi..Domenica delle Palme..In quel tempo Gesù comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo..Sei tu il re dei Giudei?..Gesù rispose..Tu lo dici..E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla. Allora Pilato gli disse..Non senti quante testimonianze portano contro di te?..Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba...Si aprono, con la lettura della Passione del Signore, i giorni supremi, quelli da cui deriva e a cui conduce tutta la nostra fede. E quelli che fanno ancora innamorare.Volete sapere qualcosa di voi e di me?..dice il Signore..Vi dò un appuntamento: un uomo in croce. La croce è l'immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso. E tuttavia domanda perennemente aperta..A stento il nulla..di David Maria Turoldo..No, credere a Pasqua non è / Giusta fede: / troppo bello sei a Pasqua! / Fede vera / È al venerdì santo / Quando tu non c'eri lassù / Quando non una eco risponde / Al suo alto grido / E a stento il Nulla / Dà forma / Alla tua assenza..E prima ancora l'appuntamento di Gesù è stato un altro: uno che è posto in basso. Che cinge un asciugamano e si china a lavare i piedi ai suoi. Chi è Dio? Il mio lavapiedi. In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi. Davvero, come Pietro, vorrei dire: lascia, smetti, non fare così, è troppo. E Lui: sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi. Ha ragione Paolo: il cristianesimo è scandalo e follia. Dio è così: è bacio a chi lo tradisce, non spezza nessuno, spezza se stesso. Non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Non chiede più sacrifici, sacrifica se stesso..Ne esce capovolta ogni immagine, ogni paura di Dio. Ed è ciò che ci permette di tornare ad amarlo da innamorati e non da sottomessi..La suprema bellezza della storia è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia inchiodare, povero e nudo, a un legno per morirvi d'amore..Pietra angolare della fede cristiana è la cosa più bella del mondo: bello è chi ama, bellissimo chi ama fino alla fine. L'ha colto per primo non un discepolo ma un estraneo, il centurione pagano: davvero costui era figlio di Dio. Non da un sepolcro che si apre, non da uno sfolgorare di luce, ma nella nudità di quel venerdì, vedendo quell'uomo sulla croce, sul patibolo, sul trono dell'infamia, un verme nel vento, un soldato esperto di morte dice: davvero costui era figlio di Dio. Ha visto qualcuno morire d'amore, ha capito che è cosa da Dio..C'erano là molte donne che stavano ad osservare da lontano. In quello sguardo, lucente d'amore e di lacrime, in quell'aggrapparsi con gli occhi alla croce, è nata la Chiesa. E rinasce ogni giorno in chi ha verso Cristo, ancora crocifisso nei suoi fratelli, lo stesso sguardo di amore e di dolore. Che circola nelle vene del mondo come una possente energia di pasqua..Dalla fine..di Jan Twardowski..Inizia dalla Risurrezione / Dal sepolcro vuoto / Da Nostra Signora della Gioia / Allora perfino la croce allieterà.../ Non fate di me una piagnucolona / Dice Nostra Signora / Una volta era così / Ora è diverso / Inizia dal sepolcro vuoto / Dal sole / Il vangelo si legge come le lettere ebraiche / Dalla fine..(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Matteo 26,14- 27,66)..
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