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#giulio anelli
mister-rings · 6 months
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LIDL DAL 9 NOVEMBRE '23 AUTO SEMPRE IN ORDINE #lidlitalia #volantinolidl...
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omarfor-orchestra · 2 years
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E ja manifesting simocasa coi capelli lunghi nella S2 🕯️🕯️🕯️🕯️🕯️🕯️🕯️🕯️
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tiseguiro · 2 years
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Giulio Tremonti
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È in uscita un mio volume. Questo è un libro breve perché ho avuto trent’anni per scriverlo, mentre il pensiero e le politiche dominanti si sviluppavano in opposta direzione. @solferinolibri.
Descrizione
Le piaghe che si sono abbattute sull’Egitto, secondo la Bibbia, erano dieci. Le piaghe che si stanno abbattendo sul mondo in cui viviamo sono almeno sette: il disastro ambientale, lo svuotamento della democrazia sversata nella repubblica internazionale del denaro, la società in decomposizione, la spinta verso il transumano, l’apparizione dei giganti della rete, la pandemia, la guerra alle porte d’Europa e la crisi nell’approvvigionamento di risorse, dal gas al grano. Ma è un numero destinato a salire: inflazione e recessione, crisi finanziarie, carestie, migrazioni, altre guerre. Tutti anelli sconnessi di una stessa catena, perché non siamo alla «fine della storia» ma alla fine della globalizzazione. Un esito che evidenzia la crisi di trent’anni del modello globalista cui l’Occidente ha aderito acriticamente. Il nuovo libro di Giulio Tremonti è una riflessione sulla deriva delle società occidentali ma anche un appello per evitare il disastro finale attingendo al vecchio «arsenale della democrazia»: «Oggi il rischio è che la divisione prevalga sull’unione, come replica della dividente maledizione dei guelfi contro i ghibellini, che lo smarrimento e la paura prevalgano sulla speranza, che la rassegnazione prevalga sull’orgoglio. E l’urlo sulla voce. Ci sono dei modi per evitarlo: uno è mettere a punto una cura che freni il dominio assoluto del mercato, l’altro è recuperare le risorse e i valori di fondo della nostra comunità».
Giulio Tremonti libri Amazon
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thatsbutterbaby · 5 years
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Roberto Giulio Rida (né en 1943)
Anelli, Paire de cabinets     
Bois, laiton et verre Monogrammés R.G. Edition Nilufar Edition limitée à 4 exemplaires Date de création : 2013 H 81 × L 110 × P 55 cm
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holmes-nii-chan · 3 years
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La natura effimera e illusoria della libertà | Spinoza, Nietzsche e le neuroscienze
Nel libro "Lo scimmione intelligente" scritto dal biologo Boncinelli e dal brillante filosofo Giorello, si citano le parole di un noto teologo (Vito Mancuso) in merito alla libertà: "Come il vento appare libero nel suo andare e venire, così l'uomo, almeno qualche volta, giunge ad essere libero rispetto al mondo." L'interessante riflessione di Giorello è che, innanzitutto, il paragone col vento non sussiste: "[...] il vento non è affatto libero nel suo soffiare, solo che spesso non siamo in grado di indicare le cause scatenanti di questo o quel particolare refolo [...]", e ancora: "non posso che concludere che la cosiddetta libertà dell'anima si basa in definitiva solo sull'ignoranza".
È interessante notare come la nozione di "caso" non trovi posto nel rigoroso determinismo della natura, essendo piuttosto riconducibile alla semplice ignoranza delle reali cause dei fenomeni. Da sempre il tema della libertà individuale affascina filosofi, teologi e psicologi, ma oggi, con l'avvento delle neuroscienze (che studiano nel particolare il funzionamento del sistema nervoso) sembra meno fondata l'idea che il comportamento umano sia libero; in questo momento, se qualcuno mai stesse leggendo queste righe, sarebbe certo di poter interrompere autonomamente e liberamente la lettura del post per poi passare a fare altro, nel senso che siete convinti che nessuno sia in grado di prevedere ciò che sceglierete di fare; in realtà, la scienza ci dice che visualizzando il vostro cervello tramite una semplice risonanza magnetica sarebbe possibile prevedere e captare la vostra decisione qualche istante prima che la mettiate in pratica - di fatto, confermando per molti aspetti il carattere problematico del cosiddetto libero arbitrio, come secoli fa prevedeva la mente eccelsa di Spinoza.
Anche Nietzsche, peraltro, fu essenzialmente d'accordo con questa visione che inserisce ciascuna azione in un contesto più ampio: "[...] Noi pensiamo che tutti i sentimenti e le azioni siano atti di volontà libera: quando osserva se stesso l'individuo senziente considera ogni sentimento, ogni mutamento come qualcosa di isolato, cioè di incondizionato, privo di connessione: essi affiorano in noi senza collegamento con un prima o un dopo. Noi abbiamo fame ma [...] non pensiamo che [sia] l'organismo [che] vuole esser conservato, quella sensazione sembra farsi valere senza motivo e scopo, essa si isola e si considera volontaria" (Umano, troppo umano). Nelle sue opere, Spinoza assegna alla natura un ordine meccanico e fisso, stabilendo che nulla avvenga senza una causa specifica precedente. In questa visione, la libertà sarebbe una causalità "dal nulla" inconcepibile, non essendo determinata da qualcosa di precedente: "La volontà non può essere chiamata causa libera, ma soltanto necessaria; [...] e perciò non si può dire causa libera, ma soltanto necessaria, o coatta." (Etica, I, prop. 32) L'illusione della libertà deriva quindi chiaramente dall'ignoranza e dall'inconsapevolezza delle cause che determinano la nostra scelta. Con straordinaria lungimiranza, in una porzione successiva dell'Etica, Spinoza prevede anche che se fosse possibile osservare con precisione i meccanismi del nostro corpo, potremmo prevedere ciò che ci sembra una decisione 'libera': "Nessuno [...] ha conosciuto la struttura del Corpo tanto accuratamente da poter spiegare tutte le sue funzioni [...] il che mostra a sufficienza che lo stesso Corpo, in base alle sole leggi della natura, è capace di molte cose di cui la sua stessa Mente si stupisce [...]. Donde segue che gli uomini, quando dicono che questa o quella azione del Corpo trae origine dalla Mente [...] non sanno quel che dicono e non fanno altro che confessare con parole speciose di ignorare, senza meravigliarsene, la vera causa di quell'azione." (Etica, III, prop. 2) Anche Nietzsche ribadisce cinicamente: "Lo sfrenato orgoglio dell'uomo lo ha portato a rimanere profondamente e orrendamente preso in questa assurdità. L'esigenza di "libertà del volere" [...] domina ancora sempre nelle teste dei semicolti, la pretesa di assumere da soli la completa ed estrema responsabilità e liberarne Dio, mondo, progenitori, caso, società [...]." (Umano, troppo umano)
Quali sono le risposte della scienza? La neuroscienza ha dato un notevole sostegno alle affermazioni di Spinoza; si è dimostrato come la corteccia cerebrale di un uomo posto davanti a una scelta si attivi determinando l'atto "libero" otto decimi di secondo prima che l'individuo in questione diventi consapevole della propria decisione (Libet, 1979). Tempo dopo, utilizzando una semplice risonanza magnetica, alcuni studiosi sono riusciti a 'vedere' l'attività elettrica del cervello di alcune persone invitate a compiere una scelta semplice, notando alcuni processi cerebrali di segnali scambiati tra i neuroni che anticipano di qualche istante l'azione del soggetto (Haynes, 2004). Ma allora chi decide come e cosa fare? Il soggetto o il suo cervello, che solo alcuni istanti dopo ne informa l'organismo? Come pensava Spinoza, e come confermava anche Nietzsche - tra gli altri - l'uomo crede di scegliere in libertà ciò che è determinato a fare. Allora essere liberi è davvero un'illusione? È tutto un interscambiarsi di meri segnali elettrici? Forse sì. Ma l'uomo conosce i suoi limiti. Il cervello umano, come notava la scienziata italiana Margherita Hack, è più complesso di una galassia. Questa incredibile complessità rende così difficile distinguere e studiare i fenomeni biochimici che portano gli esseri umani a prendere decisioni che la libertà sarebbe di fatto la grande vastità gnoseologica delle risposte comportamentali; gli anelli dell'immaginaria catena delle infinite decisioni sono semplicemente troppi per poterli tracciare a ritroso: pur non essendoci niente di "casuale" e misterioso non siamo in grado di ricostruirli, e questo sotto certi punti di vista ci rende liberi.
Risorse citate (in ordine): - Edoardo Boncinelli, Giulio Giorello, Lo scimmione intelligente. Dio, natura e libertà, Rizzoli, 2012. - Baruch Spinoza, Etica, Armando Editore, 2008. - Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, Adelphi, 1981. Altre risorse: - Benjamin Libet, Raffaello Cortina (a cura di), Mind Time. Il fattore temporale nella coscienza, Cortina Raffaello, 2006. - John Dylan Haynes, Posso prevedere quello che farai, Codice Edizioni, 2010. Sul pensiero di Friedrich Nietzsche vedansi anche: - Friedrich Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, Adelphi, 1977. - Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, 1976. - Friedrich Nietzsche, Ecce Homo, Adelphi, 1991. - Ferruccio Masini, Interpretare Nietzsche, 1978.
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fashionbooksmilano · 3 years
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Stilnovo
Decio Giulio Riccardo Carugati
Mondadori Electa, Milano 2013, 160 pagine, English Edition, 26 x 28.5 cm,  ISBN 978-8837093938
euro 80,00
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Nel 1946, dall'intuizione di Bruno Gatta, nasce Stilnovo. Oggi l'azienda si mostra in veste nuova, un profondo restyling caratterizzato da un comitato scientifico con lo scopo di dar vita a un manifesto in cui vengono definite le linee guida e i criteri necessari per le future creazioni. La realizzazione di nuovi progetti, come la riedizione di pezzi iconici e il coinvolgimento di nuove leve del design italiano e internazionale sono alcuni degli impegni per portare novità e stimolare il dialogo tra artigiani e progettisti italiani.  Laboratorio, fucina di idee, sin dagli anni della ricostruzione e del primo boom economico, Stilnovo suscitò l’interesse della storica testata “Domus”, assurgendo a punto di riferimento imprescindibile per i nomi prestigiosi del design italiano, da Achille e Pier Giacomo Castiglioni, a Joe Colombo, Danilo e Corrado Aroldi, Roberto Beretta, Antonio Macchi Cassia, lo studio De Pas D’Urbino Lomazzi, Ettore Sottsass, Cini Boeri, Gae Aulenti, che disegnano per la piccola entità milanese pezzi memorabili. Esempi, per citare, Periscopio, Manifesto, Nuvola, Multipla, Bridge, Topo, Triedro, Lampiatta, Lucetta fino ai sistemi Trepiù e a Gomito – anelli eccellenti di una catena produttiva di grande successo atta a soddisfare le più diverse forme d’uso: dagli interni civili ai locali pubblici, e soprattutto sempre attenta alla scelta dei materiali, sensibile all’innovazione, riconoscibile nella differenziazione del segno estetico.
14/11/20
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paper---airplane · 4 years
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«Aprimi, io son colei che già cercasti
lungo l’adolescenza,
quando a te discoprivi
te stesso, modulando
voci di sogno che tu solo udivi.
Sono bella; i silenzi amo e le cose
intime: parlerò poco d’amore.
Non voglio anelli, né smaniglie; i baci
tuoi, le carezze saran miei gioielli.
Poveri siamo, poveri saremo.
Accoglimi!»
Giulio Gianelli
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patrizio-t · 4 years
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Io sono tempesta
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Sono pioggia stanotte
mi senti come batto forte sulla tua testa
come premo stringente sul tuo ventre svuotato?
Credi di potermi fermare
credi davvero che il tono della tua voce possa essere una stupida paratia
Io scivolo via, oramai lontano da te
passo attraverso gli stipiti delle tue fragili ossa
Scendo giù nei sotterranei della tua mente ed invado
Sono uragano
sono alberi divelti come fuscelli
sono navi rovesciate, spazzate via come foglie
sono spiagge dorate divorate e case senza tetti che navigano
vite che galleggiano su strade che si fanno fiumi
che parlano di noi come morti.
Sono tempesta, e poi tuoni e poi fulmini
e gorghi che inghiottono ricordi
e pensieri assunti a regali, anelli d’oro, bracciali
fedi di legami dissolti, di promesse non mantenute,
 amori passati finiti, abbandonati, come figli sulla strada
sfigurati di rughe e tristezze.
Ieri, oggi e domani, questo sono.
E tu non ne hai paura.
(testo: PatrizioT © - foto Tony Frissell)
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La cronaca dell' Aqua "granda" - Venezia 1966
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Il 4 novembre del 1966 è il giorno dell'Aqua granda, un'acqua così alta non si ricordava a memoria d'uomo. Venezia è quasi completamente sommersa dall'acqua del mare Adriatico in tempesta. Di seguito un testo denso e sofferto (che è anche lezione di scrittura) ormai introvabile scritto da Giulio Obici, redattore allora di Paese Sera, nel 1967. E nel 2019 siamo ancora qui, come nulla fosse stato.
Ore 18: una prova decisiva per la città
Alle 18, il calcolo delle ore trascorse sottacqua poteva dare un'intuizione dei danni e dei disagi già sofferti, e quello delle probabilità era paurosamente aperto: l'alta marea aveva invaso Venezia alle 22 del 3 novembre, elevandosi con un'impennata prepotente, e alle 5 del mattino successivo avrebbe dovuto, secondo le regole astronomiche, ritirarsi in buon ordine, magari per ritornare più tardi, cioè sei ore dopo. Alle 5, invece, la marea non ebbe che una tenue flessione, scoprendo appena qualche zolla d'asciutto: la laguna non era riuscita ad espellerla. Un primo allarme era scattato. Verso il mezzogiorno, in coincidenza con la nuova onda di marea, le acque, già gonfie, si gonfiarono ancora, recuperando il terreno perduto ed elevando ulteriormente la propria altezza in quello mai abbandonato. Saltavano i telefoni, spariva la luce elettrica e, in molte case, anche il gas: in quasi tutte le zone della città, pur se muniti di alti stivaloni, era impossibile transitare: qualche barca, sotto la pioggia e un caldo sciroccale, ramingava per calli e campi. Venezia, nel buio più completo, affrontava la sera, attendendo le ore 18 - che avrebbero dovuto segnare il secondo e ultimo deflusso di quel giorno - come si attende una prova decisiva. Il dramma in corso, che negli stessi attimi stava sconvolgendo per altre vie altre città e paesi, a Venezia poteva essere seguito e controllato sulle lancette dell'orologio, nella ricerca sottilmente angosciante della conferma che le regole e i tempi che governano la vita lagunare non erano stati del tutto sovvertiti. A Firenze - per spiegarci - il dramma non aveva né tempi né regole da infrangere: era un evento brutale, ingiusto, totalmente abnorme. A Venezia, per devastante che fosse, poteva essere mentalmente contenuto nello schema di un'ipotesi da secoli verificata, e così seguito con una terribile lucidità e con la consapevolezza di ogni minuto che scorreva e di ogni centimetro che le acque si guadagnavano nella loro crescita. Anche la gente che abita i pianterreni e che ormai aveva inutilmente accatastato mobile sopra mobile, non combatteva soltanto contro le acque, ma anche contro il tempo: se Venezia era Venezia, quella devastazione doveva pur cessare. Quasi a rendere più lucido, più percettibile, lo scorrere delle ore, la sommersione progrediva senza fragore di rotte, in un silenzio assoluto. Ingiusto e giusto, irregolare e regolare, il dramma soffocava la bestemmia e induceva alla speranza.
La prova fallisce
Calata la precoce notte di novembre, bloccate le luci, rotto ogni contatto con il mondo che non fosse quello delle radiole a transistor, che tuttavia non restituivano ai Veneziani un'immagine probabile della loro vicenda, si attese l'ultima prova a cui la città e la sua laguna erano chiamate. La prova fallì: ancora una volta la marea non fu espulsa. Anzi - invertendo ogni regola e sconvolgendo ogni tradizione - proprio nel momento in cui avrebbe dovuto calare, riprese a salire. A quel punto - erano le 18 - l'incolumità di Venezia parve vacillare. Stavolta la minaccia non sorvolava la città: vi si era installata e vi maturava; non veniva da fuori per poi seguire prevedibili migrazioni, ma muoveva dal di dentro, dal corpo stesso di Venezia, e per giunta aveva acquisito i caratteri di un fenomeno inarrestabile. Che cosa era successo? Nella generale paralisi, che fin dalla mattina aveva coinvolto anche i telefoni, lo stupore o la disperazione erano rincarate da una paurosa incognita: verso sera, tutti avvertirono che un equilibrio plurisecolare si era rotto, che la città e la laguna avevano smarrito un anello, chi sa quale, del loro delicato ingranaggio. Nessuno, tranne pochi e i pubblici istituti (che in quelle ore parevano essersi diluiti nella marea), sapeva ancora che là, sui litorali, il mare aveva compiuto un disastro che nemmeno la guerra era riuscita a seminare: le difese costiere, tra cui i murazzi, erano scoppiate.
I litorali cedono: il mare tracima in laguna
Scoppiate e rase al suolo. Mentre Venezia affogava nella laguna e in un'attesa lacerante, sul cordone litoraneo si fuggiva. Qui la regola non conosce né ritmi né tempi: è una precisa demarcazione tra laguna e mare. Quel giorno, questa demarcazione non esisteva più: le onde marine, alimentate da un forte scirocco, si congiungevano alle acque lagunari valicando la fascia costiera anche nei tratti più estesi. Non era mai successo. Il Cavallino, che è una penisola tutta orti vigneti e campi, giaceva sotto una coltre di acqua salsa agitata da violente e altissime onde: addio alle coltivazioni per chi sa quanti anni. Decimato il bestiame, macchine agricole spazzate via e non più ritrovate. Invocazioni - si raccontò poi - di gente terrorizzata: qualche fuga in barca là dove prima c'era terra. Il Cavallino, come barriera naturale, non esisteva più: e infatti, l'isola di Burano, che gli sta alle spalle, veniva percossa da ondate paurose, come se d'improvviso si fosse trovata in mare aperto: anche qui la mareggiata entrava nelle case, sparivano la luce e il telefono, le barche si perdevano alla deriva; per di più, saltava anche l'acquedotto. La laguna ha una sentinella, l'isola di S. Erasmo: collocato proprio in faccia alla bocca del porto di Lido, vigila sulle acque che il mare vi incanala e le frena. Quel giorno, l'isola (mille abitanti) era scomparsa sotto ondate alte fino a quattro metri: molte case si svuotarono dei mobili, trascinati via dalle acque. Più oltre, lungo il Lido, la mareggiata decimava le strutture balneari, squassando centinaia di cabine e strappando la sabbia alle spiagge: alcune falle si aprivano sul primo tratto dei murazzi. Ma per i murazzi il vero disastro accadeva più in là, dove il cordone litoraneo si assottiglia ed essi diventano l'unico diaframma che divide il mare dalla laguna. Eretti dalla Repubblica Veneta due secoli or sono, furono concepiti e battezzati come le mura di Venezia contro le insidie dell'Adriatico. Accovacciate ai loro piedi, si stendono due borgate di pescatori e ortolani, settemila persone: San Pietro in Volta e Pellestrina, che se oggi sono ancora là è un vero miracolo. Le mura di Venezia, il 4 novembre, si sono aperte in una decina di punti per un totale di ottanta metri e per altri seicento si sono slabbrate o lesionate o incrinate. Agli abitanti del luogo parve giunta la fine del mondo: fin che il telefono funzionò, invocarono aiuto da Venezia, poi fuggirono in barca alla volta del Lido. Quando Venezia raggiunse le due borgate con una motozattera e alcuni vapori metà della popolazione era già scappata via. A sera mentre il mare continuava a sbriciolare le colossali mura, Pellestrina era pressoché deserta.
Un capitolo ignorato dal centro storico
I Veneziani del centro storico, sequestrati dalla marea, ignorarono questo capitolo del 4 novembre fino all'alba del giorno dopo. E forse fu addirittura una fortuna: poteva anche accendersi la scintilla del panico, e allora la paura del mare sarebbe corsa più in fretta della corrente. Però a chi abita sul bacino di San Marco quelle onde che ingobbivano la laguna e finivano per infrangersi sotto le arcate del Palazzo Ducale, dovettero portare un lugubre presentimento. Un gondoliere ci disse più tardi: -Credevo che il mare fosse arrivato fin qua-. E un vecchio che abita un pianoterra della Giudecca dichiarò a un cronista: -Avevo la sensazione che il mare volesse riempirmi la casa -. La verità è che, se il vento non fosse caduto improvvisamente e la mareggiata avesse potuto continuare anche per poco nella sua opera di distruzione, il mare avrebbe dilagato e messo a dura prova il centro storico. Le fondamenta dei vecchi palazzi, delle vecchie case, per le quali è un pericolo anche lo sciacquio del moto ondoso provocato dai natanti, avrebbero resistito? Per fortuna il vento cadde in tempo perché la dimostrazione del 4 novembre non si spiegasse per intero.
Un rito funebre sulla città agonizzante
Quando, verso le 21, ormai contro ogni attesa, le acque cominciarono a scemare, più d'uno dovette credere al miracolo. Il ritorno così tardivo alla regola fu un altro colpo di scena, un altro repentino voltafaccia. Così come era montata, la marea se ne usciva dalla città, improvvisamente e con una violenza pari a quella del suo accesso. Aveva raggiunto l'inedita altezza di un metro e novantaquattro centimetri sopra il livello medio del mare, devastato tutti i negozi della città, invaso tutte le abitazioni a piano terra, danneggiato quasi tutte le imprese artigianali, strappato la nafta a centinaia di caldaie, inzuppato e deteriorato un numero incalcolabile di libri nelle biblioteche, distrutto merci nei magazzini, mobili nelle case, atti pubblici in molti uffici. In ventiquattr'ore di assoluto dominio, le acque avevano dato la loro terribile dimostrazione e adesso potevano ritirarsi, restituendo ai Veneziani un'altra Venezia, di cui un po' tutti - potendosi infine riversare nelle strade improvvisamente accessibili - sentirono il bisogno di riprendere possesso. Il 4 novembre si concluse con un'immagine iperbolica, eppure lucidamente esatta. Nel buio profondo, senza luna, in cui la città era immersa, più che vedere si intravedeva: ecco la sagoma di una barca in una calle, muri listati a lutto da un segno nero di nafta, materassi sedie mobili immondizie sparsi dovunque, colombi e topi morti a ogni angolo di calle, desolazione nelle case a pianoterra. E su questo uniforme e immobile fondale, ecco centinaia di fiammelle, che lo percorrevano senza illuminarlo. I Veneziani, al lume di candela, perlustravano i luoghi della devastazione: eppure sembrava proprio che celebrassero un collettivo, struggente rito funebre sulla loro città agonizzante
Giulio Obici, Paese Sera, 1967 ©
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ballata · 2 years
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«In questa società sbandata si deve esser capaci del lusso di avere un carattere».
Questo scriveva il filosofo romano Julius Evola nel 1950, come appello ai ragazzi delusi da movimenti e partiti di destra e sinistra. Evola purtroppo continua ad essere avvolto in un mantello scuro, coperto da un’ombra creata per scoraggiare i più dall’avvicinarsi alle sue opere rivoluzionarie. Questo vuol dire che condivido tutto di Evola? Certamente no! Non ho vissuto la sua epoca e non posso né decontestualizzare determinate riflessioni, ne accettarle in toto per la mia epoca, per altre ancora invece sono completamente in disaccordo. Ma sono fermamente convinto che sarebbe ora di sbriciolare il pregiudizio creato da chi lo teme per interessi personali, e iniziare a leggere i testi evoliani con mente libera per rendersi conto di quanto siano incredibilmente attuali. Giulio Cesare Evola predicava l’apolitìa, cioè la distanza dagli schieramenti contingenti, non voleva discepoli, ma sognava eroi. Per questo motivo, pressato dai giovani che lo frequentavano e bramavano le sue parole, scrisse Orientamenti. Non fatevi infinocchiare da una informazione, e da una disinformazione che vogliono fare formazione, rovesci della stessa medaglia voluti da politichini ini ini pagati 18.000 euro al mese che stanno bene nei talk-show domenicali, ma leggete liberi di decidere se vi piace o non vi piace, liberi di argomentare in accordo o in disaccordo quel che scrivono gli uomini liberi, quelli veramente audaci.
E come quando ti dicono che Tolkien è di destra e tu ti fossi perso "Il signore degli anelli" o quando ti fanno notare che Venditti è di sinistra e tu non avessi mai ascoltato "Notte prima degli esami" , non fatevi etichettare da questi etichettatori seriali, dinosauri destinati ad estinguersi nel sangue scuro delle loro ideologie.
#gliaudaci
#robertonicolettiballatibonaffini
#bookblogger #bookstagramitalia #bookphilosophy #bookphilosophy #booklover #bookstagrammer #evola #romanzidaleggere #autoricontemporanei #autoriemergenti #orientamenti #liberopensiero #uomini #cultura #italia #narrativa #politicaitaliana #altoprofilo #juliusevola
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mister-rings · 7 months
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VOLANTINO LIDL PARKSIDE 16 ottobre 2023 #volantinolidl #parkside #silver...
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tempi-dispari · 4 years
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Il compleanno di Amnesty International festeggiato da trenta artisti con un brano di Ivano Fossati
Giovedì 28 maggio sarà il 59° compleanno di Amnesty International e Voci per la libertà, il festival musicale strettamente legato ad Amnesty, festeggerà l’avvenimento con un ricco programma, a partire dalle 21 su www.facebook.com/vocixlaliberta e su www.youtube.com/user/vocixlaliberta/videos .
Oltre trenta artisti legati al festival (in gran parte ex vincitori o finalisti del premio per emergenti) daranno vita ad una diretta streaming piena di musica e testimonianze. In più un vero e proprio regalo: una reinterpretazione in forma collettiva da parte di tutti loro (sotto il nome di “Le stelle di Voci per la Libertà”) di “Pane e coraggio”, il brano di Ivano Fossati che vinse premio Amnesty International Italia nella sezione Big nel 2004.
Un modo per ricordare il 28 maggio 1961, quando, con la pubblicazione sulla prima pagina dell’Observer di un articolo-appello dell’avvocato inglese Peter Benenson intitolato ‘I prigionieri dimenticati’, nacque Amnesty International. Cinquantanove anni d’impegno per la tutela e la promozione dei diritti umani, accanto e insieme ai titolari dei diritti; cinquantanove anni di campagne per liberare i prigionieri di coscienza, abolire la pena di morte, porre fine alla tortura e alla violenza contro le donne, contrastare impunità e discriminazione, garantire il diritto all’alloggio, alla salute, all’ambiente e all’istruzione, riaffermare i diritti umani di migranti, richiedenti asilo e rifugiati.
A condurre la serata del 28 sarà Savino Zaba (di Rai Radio 1), lo storico presentatore del festival. Oltre agli interventi musicali saranno ospiti Alessandro Guerra e Riccardo Noury, presidente e portavoce di Amnesty International Italia; Giovanni Stefani e Michele Lionello, presidente e direttore artistico dell’Associazione Voci per la Libertà; Enrico Deregibus e Melania Ruggini, consulenti artistici dell’associazione. Gli artisti coinvolti sono:
Riky Anelli, Giorgio Barbarotta, Eleonora Betti, Elisa Erin Bonomo, Cloud, Leo Miglioranza e Alberto Cendron dei Do’Storieski, Adolfo Durante, Davide Nosea de Les Fleurs des Maladives, Massimo Francescon, Giovi, Roberto Cossu Cortejanas dei Golaseca, Gianluca Casazza dei Grace N Kaos, Francesco Mucè dei Loren, Anna Luppi, Valentina Benaglia de La Malaleche, Marcondiro, Maurizio Zannato dei Marmaja, Michele Mud, Assia Fiorillo delle Mujeres Creando, Chiara Patronella, Totò Nocera de Pupi di Surfaro, Fabrizio “Pachamama” Russo della Riserva Moac, Danilo Ruggero, Carlo Valente, Giulia Ventisette, Kumi Watanabe, Michela Grena dei Wicked Dub Division, Giulio Wilson,
L’evento ed il brano sono a sostegno di di #nessunoescluso , la campagna di Amnesty International per il diritto alla salute, che deve essere garantito anche a chi non ha un’assistenza sanitaria adeguata, a chi non ha una casa o vive in condizioni di precarietà. Per sostenere Amnesty International Italia: bonifico bancario intestato a Amnesty International – Sezione Italiana, via Magenta 5, 00185 Roma, C/C IT69Y0501803200 000010000032 presso Banca Popolare Etica o sul sito ww.amnesty.it/nessunoescluso/#dona
La serata del 28 è la conclusione degli eventi in streaming e delle aste organizzate da “Arte per la Libertà”, il festival della creatività per i diritti umani, nato dall’unione di “Voci per la Libertà – Una canzone per Amnesty” e “DeltArte – il Delta della Creatività”. A partire da metà marzo, ci sono state 40 performance artistiche, quasi 200.000 visualizzazioni sui social e oltre 2.000€ raccolti a favore di associazioni impegnate contro il coronavirus.
Il brano “Pane e coraggio” è stato realizzato dal collettivo “Le Stelle di Voci per la Libertà” e ha visto la direzione artistica di Michele Lionello. Alla segreteria organizzativa Martina Manfrinati, mix & mastering di Marco Malavasi di Sonic Design, montaggio video di Andrea Artosi di Studio Artax. Sarà disponibile online a partire dal 29 maggio.
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installator · 7 years
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Installation view of Giulio Paolini, Saffo (1981). Photographs and plexiglas. (Photo: Marco Anelli)
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andreaadastra · 7 years
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L’aria di metà mattina nella vecchia caserma prima del confine è le olimpiadi di lotta greco-romana, categoria odori pesi medi. Si contendono l’Oro in tanti. Tra le stanze, arriva il tanfo di qualche bustone liofilizzato della nazionale francese, gente umidiccia che non aveva ancora scoperto il deodorante quando noi già si ammazzava un Giulio Cesare (semi-cit). Il sottoscritto tiene alta la bandiera nazionale con un sottobosco misto acqua piovana e fango, certamente partecipo più per lo spirito di competizione, mancheranno ancora alcuni giorni prima di maturare l’aroma inconfondibile di Gorgonzola, che già mi scrive per consegnarmi le chiavi della città. Posso annoverare la pioggia presa come una delle cose più simili alla doccia fatte durante il viaggio. La nazionale naturale è capitanata dall’aria viziata dalle muffe che crescono sulle pareti, nelle crepe, e su quello che lasciano a turno caprioli, stambecchi, camosci, un marcio che sa di chiuso nonostante porte e finestre siano un ricordo lontano della caserma ridotta ad uno scheletro sbiancato da un secolo di abbandono. La sorpresa della stagione però è riservata a Fabio, (50 anni circa, di spalle, nella foto, con il suo Osprey arancione superato il confine Italo-Francese) che sceglie di guadagnarsi il mio personalissimo Odore Olimpico con un toscano fumato sull’uscio del casermone in mezzo alla tempesta carica di elettricità e sferzante di vento. Severo ma giusto, mi riporta immediatamente a quel breve annetto dove anche io ho ceduto al lato amaro del tabacco e mi ha dato una immagine taciturna, pragmatica, ma tutto sommato romantica della persona.  Da dietro il suo toscano antivento, Fabio inquadra la situazione e, mentre il tempo lentamente migliora abbozza una previsione che si avvererà: dalla sua anche un barometro ed una traccia GPS che lo trasformano immediatamente in un ibrido uomo-macchina specie se paragonato alla mia bussola cinese e alle mie cartine stampate e messe in un foglio di plastica da quaderno ad anelli. Accolgo il “Kairos” come direbbero gli ellenisti e diventiamo un party tipo Final Fantasy o Baldur’s Gate. Della sua storia lontano da queste sassaie senz’alberi dirò poco, solo della sua origine Pavese perchè ci tornerà utile tra diversi giorni.
Attacchiamo il confine appena spiove, incontriamo turisti di giornata che mettiamo in guardia sul meteo dal nostro lato di origine, ma soprattutto rimaniamo colpiti dal lago che, come un occhio di una bestia gargantuesca sdraiata a prendere il sole oltreconfine, si apre poco più in là, sempre più lontano del previsto.  Nella sua pupilla crescono alberi ombrosi, una piccola lingua di terra sommersa consentirebbe un’agile traversata. “Quanto ti ricapita?” basta a convincere Fabio che non solo il lago è la nostra meta, ma che dovremo consumare il pranzo sull’isola al centro. Mollo tutto, poi prendo il pranzo e faccio un breve video (lo posterò nei prossimi giorni!), mangio una piadina buonissima con sgombro al naturale e maio del Mc. Quando mi rendo conto che il fondo del lago è una fanghiglia caldissima, frutto del lavoro di chissà quanti miliardi di microrganismi, decido che l’acqua gelida non è un problema. Mi spoglio, mi tuffo, poi l’orrore: ho dimenticato di togliermi gli occhiali, e tuffandomi li ho persi. Il fondo torbido è impossibile da sondare, col piede tasto ma è come camminare su di un budino, ed ogni passo complica quello che dovrebbe risolvere. Scelgo di aspettare, abbandono tutto e non penso. Scendo di testa, prendo un fiato così d’istinto che nei miei ricordi è stretto nei polmoni quando ormai l’acqua mi avvolge, poi chiudo due o tre volte le palpebre fino a serrarle prima che il fango mi avvolga completamente. Allungo la mano sinistra nel buio, come a cercare qualcuno, dritto verso un punto indeciso, insondabile, e avviene l’impossibile. Probabilmente è la Dama del Lago a passarmi direttamente gli occhiali, perchè che lo crediate o no in un solo gesto torno a stringere la montatura che riposava sul fondo.  Esco dall’acqua come dopo il gesto atletico di chi lo fa da una vita, è sembrato tutto così facile, è andato tutto così liscio che rimane uno degli avvenimenti misteriosi di questo viaggio. 
Il resto del viaggio durante la giornata scorre sereno, i percorsi in Francia sono segnati poco, più di una volta ci chiediamo quale sia la direzione. Scegliamo di attaccare un sentiero davvero microscopico sul lato nord del fiume che porta a Le Boreon, alle 6 di sera arriviamo alla Vacherie Des Erps dopo un continuo saliscendi rovente, umido, e largo non più della scarpa che lo batte. Il luogo di arrivo è pianeggiante, una caterva di boasse ci fa cercare l’unico angolo pulito. Una nube di zanzare ronza sullo stagno a fianco al ruscello, senza mancare di rispetto a chi comanda nella zona ringrazio la permetrina con la quale ho trattato i vestiti prima della partenza. Fabio cucina dei tortellini eccezionali, e scopro che il suo setup comprende una bombola di propano (io resto fedele al mio fornello ad alcool autocostruito, ma accetto volentieri la dose da osteria di cibo caldo, grasso, e proteico). Nel pulire il punto dove piazzare la tenda, forse stanco per la giornata oppure semplicemente distratto, spezzo un grosso ramo come non dovrei fare. Porto tutto il mio peso avanti, tengo il ramo tra le mani come Conan quando fa girare la ruota, il ramo si spezza ma il suo moncone torna indietro in un lampo, mi apre tre tagli sulla gamba sinistra.  Sono troppo stanco per medicarmi, le ferite sulla tibia zampillano volentieri ma non ho niente dentro la gamba, quindi pulisco tutto con un po’ d’acqua ed un pezzo di tessuto, lascio fare al sangue il suo mestiere e tanto mi basta. Durante la serata Fumo, poi grazie a Fabio riparo lo zaino con un kit da cucito, son felice che i punti che so dare sulle persone tornino utili anche in questi casi, perchè riparo gli spallacci con dei punti secondo Donati (ma ammetto che l’ho fatto solo per diletto) e lo schienale con una continua.  Croce e delizia degli zaini autocostruiti. La zona è piena di mosche e zanzare, la stanchezza inizia a salire mentre il sole cala, Fabio mi rivela di avermi riconosciuto dallo zaino che avevo postato su Avventurosamente, un forum sulla montagna. Il suo nickname riporta ai miei studi, e nei giorni successivi parleremo spesso di medicina a tuttotondo, ma non dico altro per rispettare la riservatezza che mi ha chiesto riguardo la sua vita. E’ stato un incontro chiaramente dettato dal Caos, dunque anche questa volta resto fedele allo scorrere spontaneo degli eventi, accolgo la notizia e ne seguo il flusso. Appena però inizio a digerire la cena e gli insetti si fanno più agguerriti, è tempo di meditare nella tenda. Provo a concentrarmi forse cinque minuti, poi crollo e dormo fino a tardi, ben oltre l’alba, mi sveglierò alle 9.
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hoanvu-2016-us · 4 years
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Virus corona đã giết chết các bác sỹ ở Ý, sắp tới là các bác sỹ ở Mỹ
(bởi adminTD, 20/03/2020)
Daily Beast
Tác giả: Barbie Latza Nadeau
Dịch giả: Trúc Lam, 19-3-2020
(truy cập từ https://baotiengdan.com/2020/03/20/virus-corona-da-giet-chet-cac-bac-si-o-y-sap-toi-la-cac-bac-si-o-my/)
Các nhân viên y tế ở Mỹ lo lắng về làn sóng đại dịch tràn ngập quanh họ. Họ nên lo lắng. Ở Ý, điều đó đã xảy ra dù Ý đã được chuẩn bị tốt hơn Mỹ.
Trong cuộc chiến chống virus corona, bác sỹ Marcello Natali chưa bao giờ rời khỏi tuyến đầu ở thị trấn Codogno, phía Bắc nước Ý, kể (từ) khi dịch bùng phát hơn ba tuần trước. Và chiến tuyến này là nơi bác sỹ Natali, 57 tuổi, đã bỏ mạng trong tuần này vì chính căn bệnh mà ông đã chiến đấu dữ dội để chống lại nó.
Natali có vợ cũng là một nhân viên chăm sóc y tế. Ông không có tiền sử bị bệnh từ trước và ông ở lứa tuổi trẻ hơn nhiều so với độ tuổi trung bình 80 của hầu hết người Ý, nơi có khoảng 3.000 người đã chết do Covid-19. Nhưng ông chỉ đồng ý nhận sự chăm sóc đặc biệt mà ông rất cần hồi tuần trước, sau khi các triệu chứng áp đảo ông.
Ông đã không vào phòng chăm sóc đặc biệt sớm hơn vì ông không muốn lấy mất một chiếc giường ở đây, của bất cứ người nào khác. Cuộc khủng hoảng đã gây căng thẳng nghiêm trọng cho toàn bộ hệ thống chăm sóc sức khỏe, với một số bệnh viện tốt nhất ở châu Âu sử dụng hành lang cho các khu vực chăm sóc đặc biệt.
Lúc đầu, Natali được xe cứu thương đưa đến một cơ sở lớn hơn ở gần Cremona và sau đó đưa đến Milan, nơi ông chết một mình trong cô độc. Và vì đám tang bị cấm như là một phần sự cô lập quốc gia, thậm chí ông cũng sẽ không nhận được một sự chôn cất dành cho một người hùng.
Irven Mussi, bạn thân và là bác sỹ đồng nghiệp của ông Natali đã viết trong một bức thư vĩnh biệt, đăng trên báo Ý, thay cho đám tang. “Chào Marcello. Họ đã đưa anh đến Cremona, sau đó họ chuyển anh đến Milan. Và bây giờ anh đã chết một mình, như bao nhiêu người khác”.
Natali là người đứng đầu liên đoàn Bác sỹ đa khoa của khu vực, là bác sỹ thứ tư chết trong “vùng đỏ” ban đầu, nơi đã bị cô lập kể từ ngày 23 tháng 2. Chỉ vài ngày trước khi ông được vào phòng chăm sóc đặc biệt, ông đã trả lời phỏng vấn trên đài phát thanh, trong đó ông phàn nàn rằng, việc xét nghiệm mất quá nhiều thời gian và có nhiều ca nhiễm mà các bác sỹ gia đình đang chăm sóc ở nhà khi được gọi, không có sự bảo vệ đầy đủ, khiến họ bị nhiễm virus.
Mussi đã viết cho bạn mình: “Bạn ở Codogno, là một trong những người đầu tiên tham gia vào cuộc chiến, với nỗi sợ hãi nhưng với tinh thần trách nhiệm lớn hơn nỗi sợ. Và bạn đã bị đánh bại. Chúng tôi cùng với bạn đã bị đánh bại. Thật vô lý quá. Chúng tôi là những người đi đầu chiến tuyến, nhưng chúng tôi không có sự bảo vệ, chúng tôi đang bị bệnh với số lượng lớn và chúng tôi có nguy cơ lây cho bệnh nhân của chúng tôi”.
Khi virus này lây lan sang Hoa Kỳ, các nhân viên y tế ở đây đang theo dõi tình hình ở Ý rất chặt chẽ và các bác sỹ kinh hoàng khi liên tục bấm chuông báo động. Nhưng những con số không cho ra điềm báo tốt. Hệ thống chăm sóc sức khỏe của Ý có thể cung cấp 3,2 giường trên 1.000 người so với 2,8 giường trên 1.000 người ở Mỹ, theo tổ chức OECD.
Hôm thứ Tư, bộ ngoại giao Hoa Kỳ xác nhận rằng, Ý đã gửi 500.000 miếng gạc đến Mỹ để giúp Mỹ hoàn thành bộ dụng cụ xét nghiệm. Thực tế là, những người bị bệnh lại đang giúp đỡ những người được coi là mạnh mẽ hơn, là điều đáng lo ngại.
Covid-19 không phải là trận chiến đầu tiên mà bác sỹ Natali chiến đấu. Trong nhiều năm qua, ông đã làm việc để đảo ngược chuyện cắt giảm ngân sách đối với hệ thống chăm sóc sức khỏe của nhà nước [sự cắt giảm này] là điều dẫn đến một phần sự căng thẳng hiện nay đối với hệ thống này. Ông hy vọng rằng, những cải cách mới được đặt ra trước khi thảm họa virus corona đưa ra, thậm chí có khả năng giúp ngăn chặn loại thảm họa mà hệ thống hiện đang phải đối mặt.
Mussi, bạn của Natali, viết: “Chúng tôi đã nói đùa về việc khi nào cải cách này có hiệu lực. Tôi nói, chắc tới lúc chúng ta nghỉ hưu trước, nhưng anh trả lời rằng, chúng ta sẽ chết trước. Tôi không bao giờ tưởng tượng rằng, rủi thay, anh đã nói đúng”.
Theo kết quả mới nhất của bộ y tế Ý, có ít nhất 2.629 nhân viên chăm sóc y tế đã bị nhiễm virus corona, chiếm 8,3% tổng số ca nhiễm ở nước này, do làm việc với các thiết bị không phù hợp, hoặc tiếp xúc với người mang mầm bệnh mà không có triệu chứng.
Chỉ riêng TP Bergamo của tỉnh Lombardy, một khu vực khác bị ảnh hưởng nặng nề nhất, có 50 bác sỹ đã bị nhiễm bệnh và một bác sỹ đã chết. Giulio Gallera là người đứng đầu cơ quan Quản lý phúc lợi và y tế của Lombardy, tọa lạc tại TP Bergamo, cho biết, số lượng nhân viên y tế bị nhiễm bệnh là 12% trong tổng số tất cả các ca nhiễm ở khu vực phía Bắc, nơi chịu ảnh hưởng nặng nề thứ hai, gần nơi dịch bệnh bắt đầu. “Nếu chúng ta tiếp tục cái đà này, chúng ta sẽ gặp rủi ro, không chỉ sẽ không có đủ bác sỹ để hỗ trợ tất cả mọi người, mà các chuyên gia y tế sẽ trở thành một phương tiện lây nhiễm, chưa kể cho chính họ”, theo ông Gall Gallera.
Các nhân viên y tế nghi ngờ họ bị nhiễm virus nhưng không có triệu chứng và họ vẫn đang hoạt động ở nhiều khu vực. Những người khác nói rằng, họ hoàn toàn bỏ qua xét nghiệm, miễn là họ cảm thấy đủ mạnh để làm việc, không cần phải dừng lại. Nếu họ có thiết bị bảo vệ phù hợp, có khả năng họ sẽ giành chiến thắng. Đó là nơi mà sự thiếu hụt trở thành một mối quan tâm lớn hơn.
Trên khắp cả nước, sinh viên y khoa và y tá đang tốt nghiệp sớm để làm việc trong lĩnh vực này, và các kỹ thuật viên và trợ lý y tế khác đang đào tạo, hiện đang ở tuyến đầu khi nhiều nhân viên y tế bị bệnh. Hôm thứ Tư, bộ y tế yêu cầu tất cả các bác sỹ và y tá đã nghỉ hưu và sắp nghỉ hưu, trở lại làm việc để giảm bớt căng thẳng cho hệ thống. Các nhân viên y tế đang làm việc theo ca đôi, đôi khi làm việc với rất ít giờ nghỉ, cố gắng theo kịp tình trạng tải trọng tăng cao. Hôm thứ Tư, tổng số ca nhiễm ở Ý đã lên tới 35.713 ca, tăng hơn 4.000 ca so với ngày hôm trước(*).
Filippo Anelli, người đứng đầu liên đoàn Bác sỹ phẫu thuật quốc gia, nói trong một bức thư ngỏ gửi tới chính phủ Ý: “Các biện pháp mới là cần thiết để điều chỉnh hoạt động của các bác sỹ tại các phòng khám, để bảo vệ sức khỏe của các chuyên gia và toàn dân. Các bác sỹ của chúng tôi là những người lây nhiễm virus rất nhanh, vì chúng tôi làm việc rất gần với bệnh nhân, nhiều người trong số họ dễ gặp nguy hiểm, do tuổi tác hoặc do bị các bệnh từ trước. Theo thống kê, đối với Covid-19, bất kỳ người nhiễm bệnh nào cũng có thể lây nhiễm cho hai người khác, điều đó có nghĩa là khi bác sỹ bị bệnh, anh ta có thể lây nhiễm tới 10 người”.
Các quan chức cho biết, có thể đến ngày 26 tháng 3 [mới là đỉnh của dịch bệnh], khi đường cong bắt đầu phẳng và các ca nhiễm mới bắt đầu đi xuống. Xem xét toàn bộ hệ thống chăm sóc sức khỏe hiện tại mong manh như thế nào, thật khó có thể tưởng tượng nó sẽ căng thẳng như thế nào khi tới lúc đó.
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(*) Khi bài này đang được, thì số người nhiễm ở Ý đã lên tới 47.021 ca, tăng 5.986 ca trong 24h qua. Tổng số người chết hiện tại là 4.032 người, tăng 627 người trong 24h qua.
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perfettamentechic · 4 years
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Emilio Schuberth, Federico Emilio (Emilio Federico). – Nacque l’8 giugno 1904 a Napoli, figlio di Gotthelf e di Fortura Vittozzi. Venne alla luce nel pieno centro storico di Napoli, nel quartiere Vicaria. Respirò ben presto l’energia creativa e l’umanità teatrale che da sempre vivono nel ‘ventre di Napoli’. Sulle sue origini vi sono notizie contrastanti. In realtà – come riportato nel certificato di nascita – Federico Emilio (noto come Emilio Federico) all’età di 15 anni fu riconosciuto da Gotthelf Schuberth, «un magnate ungherese», che gli diede il proprio cognome. Anche la sua formazione è avvolta da un alone di leggenda: si fa riferimento a scuole d’arte frequentate a Vienna e a Shanghai, in aggiunta all’Accademia di belle arti di Napoli, che potrebbero in qualche maniera spiegare l’estro e la versatilità di Schuberth, vero «sarto pittore».  Nel 1929 sposò Maria Jelasi e ben presto i coniugi si trasferirono, negli anni ’30, da Napoli a Roma, dove Schuberth cominciò un periodo di apprendistato nella sartoria Montorsi, dove dimostra una spiccata dimestichezza nel combinare la seta ai merletti per il settore biancheria: dalla loro unione nacquero due figlie, Annalise e Gretel. Nel 1938 decide di mettersi in proprio ed inaugura, insieme a sua moglie, un primo negozio di modisteria in via Frattina in cui non esponeva cappelli già confezionati, ma li creava volta per volta secondo le esigenze delle sue clienti. Lo venne così a conoscere la contessa Ratti, nipote di Pio XI, che lo incoraggiò a realizzare modelli per abiti femminili, introducendo nel suo atelier donne dell’alta aristocrazia. Sommerso dalle mille richieste delle clienti, nel 1940 costituì e inaugurerà la ditta individuale Schuberth Emilio e l’atelier di alta moda in via Lazio. La clientela continuò ad aumentare, tanto da trasferire, sempre nello stesso anno, i locali dell’atelier in via XX Settembre n. 4, diventando dal secondo dopoguerra meta fissa degli itinerari nella capitale di regine e di attrici del cinema e del teatro, di signore dell’aristocrazia e della politica provenienti da tutto il mondo. Era infatti chiamato la ‘quinta basilica di Roma’. Il suo stile singolare presentava una donna classica e ricercata, che amava i tessuti lussuosi e le sapienti combinazioni dei materiali. Busto sottile e spalle importanti, i suoi abiti, sintesi di fasti ottocenteschi e hollywoodiani: motivo dell’appellativo che gli venne definito “sarto delle dive“.
Tutte sognavano un abito Schuberth per il giorno del matrimonio tanto che veniva inserito nell’invito: “La sposa indosserà un abito di Schuberth”. Quello che tutte ricercavano in Schuberth non erano semplicemente abiti meravigliosi, ma il sentirsi dive.
L’atelier, costruito sul modello francese, era arredato con poltrone, divani di raso, lumi di vetro di Murano, grandi specchi completi di cornici e alle finestre tende che incorniciavano un ritratto di Schuberth eseguito dall’artista maceratese Aldo Severi. Nel suo lavoro di grande rigore e ricerca della perfezione si avvalse sin dagli inizi di uno stuolo di disegnatori, come, tra gli altri, Pino Lancetti, Renato Balestra, Lino Pellizzoni, Giulio Coltellacci, Elio Costanzi, Guido Cozzolino. Schuberth, intuendo profondamente i sentimenti e gli ardori del suo tempo, si immerse a pieno titolo in questo processo creando un suo stile, lo stile ‘schubertiano’, e una moderna comunicazione: trasformò l’abito in linguaggio e il corpo in motore di un cambiamento sociale ed estetico. Precursore in tutto
… amò circondarsi di leggende, sempre in anticipo coi tempi, alimentò il mito per produrre la sorpresa per rompere i luoghi comuni di una società restia ad una svolta epocale.
Fu eccentrico protagonista della vita mondana romana e delle cronache di costume, immergendosi nella magia della ‘Dolce vita’. Anche le nozze delle due figlie, – Gretel nel 1958 con Carlo Rappa e   Annalise con De Santis nel 1960 – celebrate a Roma in stile quasi cinematografico, si trasformarono in eventi pubblici trasmessi dai cinegiornali e seguiti dalla stampa.
Gretel – 1958
Annalise – 1960
Schuberth divenne artefice del proprio successo: stravagante, imprevedibile, magnetico, fu il primo a spostare l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica sul creatore di moda, nuovo protagonista della cronaca, del cinema e della cultura.
Schuberth è stato il primo a esibire anelli vistosi a forma di serpente con occhi di smeraldo avvolgentesi attorno al mignolo. È stato il primo a indossare la pelliccia in persiano al mattino e in visone pastello la sera. È stato il primo a usare il parrucchino, il fondo tinta, il trucco agli occhi […] Schuberth non si è mai vestito come un uomo ma come un artista, l’artista che era.
Una delle prime clienti che la contessa Ratti portò nell’atelier di Schuberth fu Maria Francesca di Savoia. Per il matrimonio di Maria Pia, figlia maggiore di Umberto II e di Maria José, con Alessandro di Iugoslavia, Schuberth realizzò, come dono di nozze, tre modelli e partecipò ai preparativi dell’evento.
Oltre a Eva Perón, in visita a Roma nel luglio del 1947, e a Narriman d’Egitto, in viaggio di nozze a Sanremo con re Fārūq (re Farouk) nel 1951, furono conquistati dallo stile schuberthiano anche i reali d’Inghilterra, e la regina Sharifa Dina che, qualche settimana prima delle nozze con il sovrano di Giordania Hussein nell’aprile 1955, scelse i modelli dei suoi vestiti nell’atelier di Schuberth.
Ma fu soprattutto Soraya Esfandiary-Bakhtiari, moglie dello scià dell’Iran Mohammad Reza Pahlavi, a consolidare il suo successo. In quegli anni era infatti diventata un’assidua cliente che ordinava abiti tramite telegrafo. Fuggita a Roma dopo il tentato golpe di Mossadeq del 1953, Soraya era scappata da Teheran con il solo vestito che aveva indosso; il 18 agosto si presentò in atelier e Schuberth, in quattro ore, le preparò in emergenza cinque abiti per la giornata. Non appena la situazione in Iran si stabilizzò, Soraya tornò in atelier e ordinò un intero guardaroba che portò con sé a Teheran.
Frequentavano assiduamente l’atelier di Schuberth anche attrici e dive del cinema e dello spettacolo che cooperarono alla costruzione del consenso e alla trasformazione della vita dello stilista in una sorta di palcoscenico girevole a spettacolo infinito. Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Valentina Cortese furono fra le clienti più legate a Schuberth che seppe valorizzarne la bellezza trasformando le loro immagini di dive da vero ‘arbitro di eleganza’. Inoltre, durante gli anni Cinquanta, furono numerosi i film e le riviste alla cui realizzazione la casa di moda Schuberth collaborò o per le cui attrici protagoniste confezionò abiti.
Memorabili sono le sue larghe gonne a ruota sovrapposte; caratteristico l’abbondare di tulle e di lustrini, che ne fanno un maestro di stile per le soubrette della rivista. Perfino le semplici vestaglie e le gonne logore o sbrindellate che Gina Lollobrigida indossa in Pane, amore e fantasia, La provinciale, La romana mostrano il tocco di classe del loro creatore.
Dalla fine degli anni Quaranta la stampa aveva cominciato a interessarsi a Schuberth e alle sue creazioni, essendo uno tra i protagonisti delle manifestazioni organizzate per la diffusione della moda italiana dall’Ente della moda di Torino. Nel dicembre 1948 al Casino de la Vallée di Saint Vincent ‘l’estroso e discusso Dior d’Italia’ partecipò a una sfilata di abiti; l’anno seguente, nel mese di settembre, sfilò nel salone delle Stelle del Casinò del Lido di Venezia. La sua partecipazione al gran gala della moda fu continuativa, presentando negli anni modelli come Mi sento audace, Viaggio d’amore, Ho scoperto l’amore. Emilio Schubert aveva compreso che la comunicazione era fondamentale nel suo lavoro e ad ogni evento mondano non mancava di mettere in scena, con un fare istrionico, le sue apparizioni, accompagnandosi con dodici scintillanti modelle e facendo sfoggio di costosi gioielli che adoperava in particolare per calamitare l’attenzione dei media.
Accolto l’invito di Giovanni Battista Giorgini, il 12 febbraio 1951 partecipò a Firenze, nella residenza fiorentina di villa Torrigiani, al debutto della moda italiana con la prima sfilata di First Italian High Fashion Show per compratori internazionali e stampa statunitense che riscosse un successo straordinario. Si cominciarono a spalancare così le porte dei mercati internazionali e, in particolar modo, di quelli statunitense e tedesco. Nel mese di settembre del 1951, accanto alle collezioni francesi come Dior, Balmain, Lanvin, Balenciaga, Schiaparelli, furono acquistati dai grandi magazzini Bergdorf Goodman di New York e presentati alla stampa statunitense dieci modelli (tra cui Cifrario segreto, Molto amata, Oggi ho venti anni, Celeste orizzonte) di Schuberth. Nel 1952 la ‘Carovana volante della moda’, composta da Fercioni, Vanna, Marucelli, Tizzoni, Antonelli, Carosa, Gabriellasport e Schuberth, fu accolta a New York nel Grand Central Palace con servizi radiofonici e televisivi nel quadro delle manifestazioni New York Fair of Italian manufacturers. Nel 1953 gli abiti di Schuberth, accanto a quelli di Carosa, Mirsa, Elza Volpe, furono scelti dal buyer australiano, David Jones, che volle organizzare la ‘Italian Parade’ a Sydney.
Tra i suoi viaggi non mancava di fare ritorno nella sua città natale: nel 1953, al Circolo della stampa, durante uno spettacolo dedicato alla canzone napoletana, andarono in scena abiti di Schuberth ispirati ai celebri motivi napoletani, mentre ad aprile del 1954, pochi mesi dopo l’inaugurazione, il teatro S. Ferdinando ospitò una passerella di abiti di Schuberth dai titoli tanto suggestivi: Come una volta, Incontro con destino, Cuore in vacanza, Via dell’ingenuità.
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Sempre nello stesso anno, fu invitato a partecipare al I Congresso della moda e dell’abbigliamento e del tessile, promosso dal Centro mediterraneo della moda e dell’artigianato, sede Mostra d’Oltremare.
Schuberth, «ciclonico e inesauribile», seppe in effetti coniugare mirabilmente la grande perizia sartoriale di tradizione napoletana, che nel tempo reinventava e riproponeva, con l’assemblaggio di tecniche diverse e l’utilizzo di nuovi tessuti. Eccelse nell’arte del ricamo, realizzato con conterie e perline di fiume, corallini, strass, pietre preziose incastonate con fili metallici. Creò colori di tessuti sfumati, utilizzò tessuti stampati e tessuti nuovi prodotti in laboratorio: dai rhodia al nylon,
agli acrilici, al tulle artificiale, abbinato a materiali preziosi e tessuti poveri ma naturali.
Nel maggio del 1954 fu organizzata dal Comitato italiano del Congresso internazionale dei tessili artificiali e sintetici e ospitata a Venezia, a Palazzo Grassi, dal Centro internazionale delle arti e del costume, la mostra del tessuto «I tessili dell’avvenire»: la collezione di Schuberth di quell’anno spaziava dai rasi ai modernissimi tessuti Rhodiatoce,
fondata – sottolineava Gianna Manzini, Vanessa per i lettori – sul presupposto di conciliare l’inconciliabile e cioè il desiderio di novità ad oltranza che rende temerarie le donne e il desiderio».
In quegli anni si dedicò anche all’insegnamento presso l’Accademia Koefia di Roma, fondata nel 1951 dalla contessa Toni Alba Koefia.
Nel 1953 Schuberth, insieme alle sorelle Fontana, Ferdinandi, Fabiani, Giovannelli-Sciarra, Mingolini-Gugenheim, Garnett e Simonetta, fondò a Roma il Sindacato italiano dell’alta moda (SIAM), sancendo la centralità di Roma in questo ambito. Dopo un tentativo non andato a buon fine, nel 1954, il SIAM organizzò la prima Rassegna di alta moda italiana nella cornice di Castel Sant’Angelo. Schuberth fu accolto come il ‘re dei re’ per la linea Fanfara e per i suoi cinque abiti da sera di morbidissima seta, denominati Porcellane di Sassonia.
Nel 1955 Schuberth fece produrre da Adam, ditta parmense produttrice di essenze, il profumo Schu Schu, il primo di una serie; Tale profumazione fu suggellata anche dalla collaborazione tra Schuberth e René Gruau. L’immagine pubblicitaria ritraeva, sotto al titolo del profumo in alto a sinistra, l’araldica aquila schuberthiana, e l’indicazione della internazionalizzazione del prodotto, New York, Roma, Berlino. Seguiranno poi le fragranze Coquillages e Taffetas. 
Durante una tournée in Germania, sempre nel 1955, fu padrino di Arwa Stretch, marca tedesca di calze estensibili che, dopo aver entusiasmato il pubblico berlinese, conquistò le donne italiane. Nel campo delle calze per signora, collaborò poi negli anni Sessanta anche con il Calzificio del Mezzogiorno di Latina. Nel settembre del 1957 Schuberth si recò in Germania, prima a Düsseldorf poi a Wiesbaden, per una sfilata di modelli per l’inverno e per definire il piano produttivo e distributivo dei modelli di pronto moda con la ditta Italmodell GmbH: per il suo arrivo inventò un evento mediatico, lanciando la promessa di regalare un abito della nuova collezione alle cacciatrici di autografi. All’alta moda affiancò, dal 1957, alcune linee di moda pronta – Miss Schuberth, e in seguito, Lady X, Signorinella – stringendo un accordo con Delia Soldaini Biagiotti, per l’esportazione negli Stati Uniti e in Germania.
Nel 1958 prese parte – insieme a numerose altre case di moda – alla costituzione a Roma della Camera sindacale della moda italiana, di cui fu nominato presidente del collegio dei revisori; nel 1962 tale Camera fu ribattezzata con il nome di Camera nazionale della moda italiana. Nel gennaio 1960, per il XIX compleanno della moda a Palazzo Pitti, la collezione di Schuberth, battezzata International look e dedicata alle donne di tutto il mondo, provocò scalpore nel pubblico e nella stampa: le indossatrici sfilarono con i capelli rasati. A marzo dello stesso anno inaugurò una nuova boutique nel prestigioso palazzo Torlonia di via Condotti, destinata anche a una clientela medio-borghese che poteva scegliere capi ideati da Schuberth e confezionati dalla ditta di confezioni Stylbert di Arezzo.
Molto noto negli anni ’60 per il suo stile stravagante e onirico, è considerato come colui che ha rivoluzionato, grazie alla spettacolarizzazione della moda, il ruolo del “sarto“, pressoché invisibile, trasformandolo nella figura dello “stilista” odierno. Maestro indiscusso della moda italiana.
Oltre che su occhiali, biancheria intima, biancheria da tavolo, cravatte, costumi da bagno, nel 1965 il suo nome apparve legato alla bambola Jenni, realizzata dalla Italo Cremona, ambasciatrice del made in Italy. Nell’aprile 1967 all’Esposizione universale di Montréal fu allestita una sezione ‘costumi’ in cui, insieme a creazioni di note case di moda, vi erano anche modelli Schuberth.
Durante la sua carriera, furono tanti i riconoscimenti conferitigli. Nei primi anni Settanta, con il declino dell’alta moda, Schuberth aveva cominciato a produrre prêt-à-porter «ma era stato il suo dolore più grande, assicurano i suoi collaboratori». Nel 1967 partecipò al filmato promozionale, Vedette 444, per il battesimo della prima locomotiva del gruppo E.444 delle Ferrovie dello Stato, avvalorando un curioso parallelismo: la costruzione meccanica della locomotiva venne paragonata alla creazione di una vedette della moda nell’atelier di Schuberth.
Schuberth è stato “personaggio“, oltre che sarto famoso, capace di recitare una parte istrionica nella società dello spettacolo dell’epoca. Fu il primo stilista a partecipare a programmi televisivi come La via del successo (1958) e Il Musichiere (1959) non soltanto da costumista, ma anche esibendosi come cantante, e ad aprire le porte del suo atelier alle cineprese per diversi film, tra cui Margherita fra i tre (1942)  e Femmina incatenata (1949). Come maestro della moda italiana, i suoi studenti includevano Valentino e Roberto Capucci. Fu maestro di Laura Biagiotti.
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Schuberth si spense a Roma il 4 gennaio 1972 a causa di un collasso cardiocircolatorio. Le figlie, Annalise e Gretel, hanno donato l’archivio paterno all’Università di Parma.
La sua moda ha irrorato la contemporaneità
per contrasto – come lui affermò – creando un mondo fittizio, in opposizione alla realtà: un mondo basato sull’illusione che alimenta le illusioni di tutti i poeti: quella della dolcezza e della grazia femminile. Anche se fosse una leggenda, non sarebbe del tutto inutile a temperare la brutalità della vita odierna. Considerate dunque la mia moda come un contro-veleno e sarete nel vero.
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Nel 2007 un gruppo di imprenditori napoletani ha deciso di dare nuova vita alla maison Emilio Schuberth, ma sempre tenendo fede all’identità originale del brand.
Non c’ è lo stilista di grido al timone creativo, non c’ è il grande gruppo, ma la volontà di riproporre al mercato l’ essenza ed il valore di un marchio che fatto la storia del made in Italy, riproponendo quel lifestyle capace di far sognare. E’ questo l’ intento con cui la E.M.I. Italia (che sta per Emilio Moda Italia) capitanata da Elena Perrella, docente di comunicazione della moda all’ Università di Napoli ma soprattutto grande appassionata di moda, ne ha rilevato il marchio. La sfida della Perrella è la collezione battezzata Emilio Schuberth Couture, presente da qualche stagione soprattutto su alcuni mercati esteri, Russia e Paesi Arabi in testa, debutta ora una linea di prêtà-porter, chiamata semplicemente Schuberth, che unisce artigianale e contemporaneo, prodotta dall’azienda napoletana F.F.C con uno stile dalle radici ben salde e una creatività che parte da un grande studio anatomico per pezzi.
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Nuova revisione del marchio a partire dai tre profumi, rieditati con un packaging tutto nuovo, Schu, Taffetà e Coquillage, con la Extraordinary Fragrance di Napoli, sino al tessile casa, collezione autunno/inverno 2011/12 realizzata dalla fiorentina Annamaria Biancheria, per arrivare alle borse prodotte su licenza dalla Garis di Varese.
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aggiornato al 4 gennaio 2020
Autore: Lynda Di Natale Fonte: treccani.it, emilioschuberth.it, repubblica.it, wikipedia.org, web
Emilio Schuberth #emilioschuberth #schuberth #creatoridellostile #creatoridellamoda #perfettamentechic #felicementechic Emilio Schuberth, Federico Emilio (Emilio Federico). – Nacque l’8 giugno 1904 a Napoli, figlio di Gotthelf e di Fortura Vittozzi.
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giancarlonicoli · 5 years
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5 SET 2019 12:13
“PANORAMA” INTERVISTA DAGO – “NON SOLO PER CONTE, SARÀ UN BUON ANNO ANCHE PER NOI. ORA CHE SALVINI NON C’È PIÙ, NEL GIRO DI TRE GIORNI, DAL RISCHIO DI ESSERE COME LA GRECIA, SIAMO DIVENTATI LA SVIZZERA PER MERKEL, MACRON, TRUMP E VATICANO. E NON SI PARLA PIÙ DEI 40 MILIARDI NECESSARI PER L’AUMENTO DELL’IVA E LA LEGGE DI BILANCIO. SI PUÒ ARRIVARE AL 3% DI RAPPORTO PIL/DEFICIT E MAGARI ANCHE OLTRE – SALVINI NON HA CAPITO CHE CONTANO GLI EQUILIBRI INTERNAZIONALI, ALTRO CHE UBRIACARSI DI MOJITO AL PAPEETE DI MILANO MARITTIMA…”
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Maurizio Caverzan per Panorama
La crisi italiana, l’elevazione di Giuseppe Conte a statista, la riabilitazione del nostro Paese. Sono novità derivate tutte dal contesto internazionale. «Me lo fece capire una volta Francesco Cossiga», racconta Roberto D’Agostino, fondatore proprietario e direttore di Dagospia, il sito di anticipazioni, inchieste e scenari che Politico.eu, la testata online di analisi politica più compulsata a Washington e Bruxelles, ritiene «una lettura obbligata per le élite».
«Cossiga mi disse che contano gli equilibri internazionali. E che dobbiamo ricordarci di essere un Paese sconfitto della Seconda guerra mondiale. All’estero non si dimentica tanto in fretta. Invece la nostra stampa non sa guardare fuori dai confini. Alberto Arbasino suggeriva ironicamente di fare una gita oltre Chiasso. Magari potremmo riuscire a capire perché, nel giro di tre giorni, dal rischio di essere come la Grecia, improvvisamente siamo diventati la nuova Svizzera».
Con le dita cerchiate da anelli, i tatuaggi che ricoprono gran parte del corpo, la barba mefistofelica sebbene si dichiari credente, il sulfureo blogger autore dell’imprescindibile Dago in the Skyora viene invitato a parlare nelle università, non solo italiane. Panoramagli ha chiesto di essere lo storyteller della crisi appena conclusa.
Quanto durerà il Conte bis?
«Quanto decideranno i poteri internazionali che lo hanno voluto. In Italia pochi hanno notato un fatto rilevante. Il 23 agosto scorso, davanti ai colleghi delle banche centrali, Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, portando le prove del rallentamento dell’economia globale, dopo aver citato la recessione in Germania, le difficoltà della Cina, le tensioni a Hong Kong e il rischio di una hard Brexit, ha parlato della dissoluzione del governo italiano. Perché, mi sono chiesto, con quello che accade in Iran e la guerra dei dazi, il più potente banchiere del mondo parla della crisi del governo italiano?».
E come si è risposto?
«Mi sono risposto che il caso italiano ha un’influenza notevole nello scacchiere globale con i suoi precari equilibri. La nostra stampa però, sempre ripiegata sui due Mattei, Di Maio e Zingaretti, non se n’è accorta. Ma il mondo non è su Rete4 e su La7».
Tutti hanno voluto Conte, Angela Merkel, Emmanuel Macron, Donald Trump: se l’aspettava?
«Anche Bill Gates».
Persino lui. E poi gli euroburocrati, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, le borse, la sinistra post-blairiana, i gesuiti, la Cei, la Cgil, senza parlare di Renzi e Beppe Grillo…
«Già, abbiamo trovato una sorta di Garibaldi che si chiama Giuseppe Conte».
Un salvatore, uno statista.
«Risulta un gigante perché si contrappone a uno che faceva il dj al Papeete di Milano Marittima. Negli ultimi tempi Salvini le ha sbagliate tutte».
Spicca per contrasto. Ma le sue doti personali quali sono?
«Conte non nasce per caso. La prima spia mi si è accesa quando da avvocato del popolo, formula inventata da Rocco Casalino, ha voluto tenersi le deleghe sui servizi segreti. Come mai? Perché voleva mantenere il collegamento con il Deep State e le burocrazie? La seconda spia si è illuminata quando ho visto che frequentava il cardinale Achille Silvestrini, pace all’anima sua, il segretario di Stato Pietro Parolin, ed è stato ricevuto in pompa magna da Bergoglio che invece non ha mai voluto vedere Salvini nonostante le richieste. E qui c’è un’altra scelta sbagliata del Capitone, come lo chiamo io: schierarsi con la curia romana in guerra con il Papa».
Anche il rapporto con Mattarella si dice sia contato parecchio.
«Fino a un certo punto Mattarella non sapeva nulla di Conte. Al Quirinale ha molta influenza Ugo Zampetti, colui che ha svezzato Di Maio quando, ignaro di tutto, è diventato vicepresidente della Camera. Tra i due è sbocciato un gran rapporto. Già dopo il voto del 2018 Zampetti spingeva per il governo giallorosso. Era tutto fatto. Poi Maria Elena Boschi, sulla quale c’era il veto del M5s per le inchieste su Banca Etruria, s’impuntò: voleva esserci anche lei. E Renzi, ospite di Fabio Fazio, disse che mai si sarebbe alleato con i grillini».
Tornando a Mattarella e Conte?
«È la filiera dei figli a spiegare al Capo dello Stato chi è questo sconosciuto avvocato e a garantire per lui. Suo figlio, Bernardo Giorgio Mattarella, docente di diritto amministrativo alla Luiss, e il figlio di Napolitano, Giulio, professore della stessa materia a Roma Tre, con il suo socio, il potente avvocato Andrea Zoppini. Oltre che dal Vaticano e dai figli professori, Conte è spinto dal mondo forense con il suo coté massonico. Il suo maestro Guido Alpa, nello studio del quale ha iniziato la carriera, sta ovunque. All’università di Firenze, dove insegna, Conte conosce anche la Boschi».
Ancora lei?
«Lavora nello studio dell’avvocato Tombari e fa da tramite per un incontro a tre: Alpa, Conte e Renzi. Ma il futuro premier non s’innamora dell’avvocaticchio. Allora, fallito il tentativo di entrare nel giglio magico, Conte incontra Alfonso Bonafede, anche lui con studio a Firenze, che lo porta da Di Maio. Il resto è storia dell’ultimo anno. Un avvocato anonimo, perciò manipolabile, diventa il possibile successore di Mattarella al Quirinale, come l’altro giorno ha ipotizzato un articolo della Stampa».
Sembra la trama di un film: tutto grazie solo ad alcune buone relazioni?
«E, come dice suo padre, a una straordinaria ambizione che trasforma “Giuseppi” in un abile tessitore di rapporti internazionali, il vero trampolino. A cosa sono serviti i viaggi in Europa e al G7? Agendo da regista del voto in favore di Ursula von der Leyen, l’avatar della Merkel, Conte ha superato l’esame di affidabilità. È diventato organico all’establishment. Ricordiamoci cos’era il movimento di Grillo un anno fa sull’euro e sull’Europa. Il voto pro-Ursula è stato il motivo dello scontro finale fra il M5s e la Lega».
Che invece ha sempre sottovalutato i rapporti con Bruxelles?
«Basta dire che non si era accorta che gli altri partiti sovranisti erano nel raggruppamento del Ppe della Merkel. Salvini invece è andato ad allearsi con Marine Le Pen, la spina nel fianco di Macron. A quel punto le perplessità si sono moltiplicate: questo Masaniello con il rosario minaccia di scassare l’euro. Missione compiuta: appena Salvini cade, lo spread rincula e la borsa decolla».
E adesso inizia la «ricompensa»?
«Certo. Non si parla più dei 40 miliardi necessari per l’aumento dell’Iva e la legge di bilancio. L’Italia che sembrava come la Grecia, diventa la nuova Svizzera. Ora che l’uomo nero non c’è più si può arrivare al 3% di rapporto Pil/deficit e magari anche oltre, come ha detto Von der Leyen, nel caso si facciano investimenti verdi».
Morale della favola?
«Non si può avere la siringa piena e la moglie drogata. L’Europa è come un club, un minimo di regole devi rispettarle. Altrimenti puoi solo uscire, come ha fatto la Gran Bretagna. Non puoi stare un po’ con la Russia, un po’ con l’America, un po’ con la Cina e fare la Via della seta. Le superpotenze non perdonano. Quando Putin ha incontrato a Roma Conte, Di Maio e Salvini chiedendo impegno contro le sanzioni gli è stato risposto di alleggerire la posizione sulla Crimea. Due giorni dopo è uscita la storia dell’hotel Metropol di Mosca e dei finanziamenti russi alla Lega».
Non sarà una lettura troppo complottarda?
«Ma no, i complotti escono dopo, soprattutto se cominci a fare i giochini tra Putin e Trump. Com’è possibile che il presidente americano sponsorizzi il governo più a sinistra della storia italiana? Sovranista grande mangia sovranista piccolo. La storia del Metropol è stata ferma cinque mesi prima di spuntare da un sito americano. Possibile che i servizi segreti, quelli su cui aveva le deleghe Conte non avvisino Salvini? Vuol dire che li aveva contro, era uno zombie che camminava. Siamo sempre lì, il Deep State è decisivo. Citofonare a Berlusconi: anche lui era anomalo, nemico dell’establishment e gliel’hanno fatta pagare. Lo hanno chiamato e gli hanno detto: con lo spread a 500 le tue aziende vanno al macero. E lui è andato a casa».
Così sono stati addomesticati anche i propositi e le promesse di Nicola Zingaretti di puntare al voto?
«La promessa c’era stata, ma le pressioni sono state più forti. Sarà arrivata la telefonata dell’ambasciatore americano o la spinta di qualche alto prelato».
Il Pd torna in campo, ma perde la faccia andando al governo ancora senza passare dalle elezioni.
«E chissà quando ci si ripasserà. Adesso devono tagliare 345 parlamentari, poi fare il referendum e la nuova legge elettorale. Si voterà nel 2022, con un nuovo Capo dello Stato».
Che sarà Romano Prodi?
«Non credo, troppo filocinese».
Il M5s che doveva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno è rimasto inscatolato?
«Il M5s è diventato il tonno, il movimento è diventato partito. Quella era la propaganda di Grillo. Ricordiamoci che Gianroberto Casaleggio andava alle convention di Cernobbio».
Conte è una figura doubleface? Quando ha detto che il 2019 sarebbe stato un anno bellissimo ha omesso di dire che si riferiva a sé stesso?
«Già, non ha finito la dichiarazione. Ma, tutto sommato, forse sarà un buon anno anche per noi. Meno tensioni, meno incubo migranti, meno social sobillatori».
Di sicuro più tasse. Grillo che propone ministri tecnici di alto profilo dà ragione a Salvini che vede nel Conte bis la riedizione del governo Monti deciso a Bruxelles?
«Dopo i Vaffa è arrivato il nuovo Coniglio mannaro di forlaniana memoria. È entrato in scena il giorno delle dimissioni al Senato. Casaleggio voleva conquistare il potere attraverso Grillo. Ma quando prendi il 33% devi metterti in una prospettiva governativa. Conte dà questa prospettiva. L’errore di Salvini è stato puntare sull’uomo solo al comando (“Voglio pieni poteri”). È sempre andata così: Berlusconi, Renzi, adesso lui. La politica è fatta di relazioni. A Roma ci si “attovaglia” per fare le strategie. Magari la si pensa in modo diverso, ma a tavola si fanno le parti. E ce n’è un po’ per tutti».
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