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#furbo sans
sanssupremacy · 2 years
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The three short boys
Furbo got a new hairstyle.
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rencoons-trashcan · 2 months
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Forgot to share it before, but I got another blorbo plushieee- aaaaaaaaa!!!!!!! ( o >w<)o <3<3<3<3
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(yes, I give my plushies goodnight kisses, they deserve it ò///ó)
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Finally, I have at least one piece of merch of my main blorbos! :,D (Mike plushie is not official but who cares, he's perfect anyways <3)
Also random storytime moment: when my dad saw me with marketable plushie Mike he was cooking some kind of bread (питка/ pita) and said that he would try to draw him on the bread and he actually did it! (he said that he gave him one antenna because he thinks that Mike is an alien). In the meantime, when my mother saw him she couldn't stop laughing saying “His face, he just looks so silly” X,D
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intotheclash · 3 months
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Capitolo 3 (seconda parte)
Si rivestì con calma, scelse con cura abiti comodi ed anonimi, niente scritte, niente colori sgargianti, niente che, di per se, potesse attirare l’attenzione. L’unico vezzo che si concesse, del quale non voleva saperne di fare a meno, erano le sue Adidas gialle; scarpe nate per correre, anche senza piedi dentro. Terminata l’operazione, mise il coltello in tasca e uscì di casa. Buongiorno Roma, il lupo si confonderà nel gregge travestito da agnello.
Per le scale incrociò la signora Rosa, l’inquilina del piano superiore. Sapeva tutto di lei: divorziata, due figli maschi studenti in un liceo classico del centro; lei lavorava alle poste e faceva sempre il turno di mattina, otto e trenta, quattordici. Nessuna frequentazione con l’altro sesso. L’informazione è potere. Anche quella apparentemente trascurabile.
La salutò come sempre, con cordialità e distacco, lei ricambiò alla stessa maniera. A volte si fermavano anche a scambiarsi banalità ed a sciorinare luoghi comuni sul tempo, o sui giovani d’oggi, o sul governo, come da buon vicinato; poi ognuno per la propria strada, azzerando completamente le frasi pronunciate appena un attimo prima. Era così che si viveva tra la gente. E già, la gente: un’enorme massa microcefala che si nutriva di vuoto.
Decise che poteva permettersi di perdersi un po’ tra le vecchie strade del centro storico. Era una festa per gli occhi. Ad ogni angolo una sorpresa. Duemila anni di storia e di architettura proiettati a tempo pieno nel più grande drive in di tutti i tempi. Forse non aveva tutti i torti chi sosteneva che Roma fosse la città più bella del mondo. Lui comunque era d’accordo.
Anche gli indigeni, i romani, lo incuriosivano e, nel suo vasto peregrinare per il globo, aveva constatato che, ovunque se ne incontrasse uno, lo si riconosceva immediatamente, ancor prima che aprisse bocca. Dopo era troppo facile. Secondo il suo modesto parere, racchiudevano in maniera perfetta il meglio ed il peggio dello stereotipo italico. Aver respirato tutta quella storia doveva aver fatto il suo effetto, non poteva essere diversamente. Era una sorta di prolungata esposizione a radiazioni similnucleari; un effetto c’era sempre.
“La via è la meta”. Certo, lo sapeva, non era li per le architetture e, tanto meno, per la gente. Aveva scelto la capitale per due motivi precisi: il primo era che, quando non vuoi essere visto, né trovato, meglio la compagnia di milioni di persone, che il luogo più remoto della terra.
“Esporsi e sottrarsi ad ogni svolta della strada. Non fa nessuna differenza nascondersi, se tutti sanno che ti stai nascondendo.”
Doveva dargliene atto, era stato il libro ad influenzare questa sua decisione.
Un buon motivo quindi, ma il principale era, senza ombra di dubbio, l’altro: aveva scelto Roma perché era il centro del potere. Il potere comunemente inteso. E ne conosceva anche le origini precise e a chi farle risalire: Costantino. La storia era chiara nella sua linearità, occorreva soltanto averla letta. Tutto ebbe inizio nel 312, quando, dopo aver sconfitto il suo rivale Massenzio, Costantino ebbe l’illuminazione che riscrisse la storia moderna d’Occidente. Forse, visto che lui altri non era che un furbo politicante ed un feroce guerriero, sarebbe più opportuno attribuire l’idea al suo “intellettuale” di fiducia, tal Eusebio di Cesarea, consigliere di guerra, poi vescovo e falsificatore coi fiocchi. L’idea fu questa: costruire il primo Stato assolutamente totalitario dell’epoca. Come fare? Semplice, sposando in pieno le farneticanti teorie di Paolo di Tarso, San Paolo per gli amici, uno dei personaggi più torbidi della cristianità antica. Costantino tirò fuori i cristiani dalle catacombe e, nonostante si fosse macchiato di crimini orrendi come l’assassinio del figlio e della seconda moglie, con una lunga serie di favori, quali l’esenzione dalle imposte, generose sovvenzioni, la costruzione di nuovi luoghi di culto, riuscì ad ingraziarsi il clero che, al Concilio di Nicea del 325, gli affidò pieni poteri. Tanto è vero che Costantino si autoproclamò tredicesimo apostolo. La frittata era fatta. Il potere spirituale ed il potere temporale si unirono in matrimonio e fu benedetto nel sangue. Sangue di milioni di persone ben spalmato su ogni angolo della Terra nei secoli a venire.
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donaruz · 11 months
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La grande occasione.
È sbagliata la data di quasi dieci anni, come un candeggio impreciso sul colore dei panni,
No, non era a dicembre di un anno maldestro ma in un giorno preciso di quest’anno funesto.
Lo dicevano i Maya che il tempo è rotondo e domenica sera c’è la fine del mondo.
Sarà un botto improvviso? sarà un urlo di vita? Io spero soltanto non ci sia la partita
Che sarebbe un peccato non vederla finire, con il triplice fischio non possiamo morire.
Vorrei guardare lo show ma seduto là in fondo, quanto costa il biglietto per la fine del mondo?
Ci dobbiamo sbrigare, annullare gli impegni, son saltati i discorsi, i comizi e i convegni,
è l’evento assoluto, questo è l’atto finale, molto più di Sanremo e di Babbo Natale,
il mio bar sotto casa non ha perso un secondo e prepara i mojto per la fine del mondo.
C’è chi ha già pagato per poterla vedere, la diretta su facebook mentre tutto succede,
gli influencer su instagram hanno ore contate, ma col pianeta che esplode fanno soldi a palate
e su Twitter da mesi hanno l’hastag già pronto, questa sera in tendenza c’è la fine del mondo.
E ne parlano tutti, anche in televisione, sarà l’apocalisse ma in mondovisione
E c’è un telefono nuovo con i pixel a milioni, è uscito a febbraio in duemila versioni,
ci faremo le foto, sceglieremo lo sfondo, testimoni oculari della fine del mondo
Ci saranno concerti in qualunque nazione, paghi solo l’ingresso senza consumazione,
sulla muraglia cinese c’è una gran fiaccolata e una messa a San Pietro per Maria immacolata
l’indulgenza plenaria è al 50 di sconto, c’è il black friday in Paradiso per la fine del mondo.
Ci son già le magliette con la scritta “È la fine” te le vende Versace per seimila sterline,
E se indossi le Geox l’universo ti ammira, morirai rilassato mentre il piede respira,
non vestirti di stracci tu non sei un vagabondo, va di moda il griffato per la fine del mondo.
I mercati globali han subito flessioni, l’armageddon in borsa fa crollare le azioni
Mentre gli economisti ribadiscono in coro, con l’estinzione totale sale il prezzo dell’oro
Se sei furbo puoi farci un miliardo rotondo, non è che capita spesso una fine del mondo.
Ma c’è chi non si rassegna e rovina la festa, tutta gente frustrata e anche fuori di testa
Questi vivono ancora con principi e ideali, che non hanno tik tok o altri canali,
l’onestà per ‘sti stronzi è un valore profondo, sono i rompicoglioni della fine del mondo.
Francesco Lollerini 🖋
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acuorleggero · 5 months
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Guardi una figurina dell'epoca e noti tratti quasi da indio, con quel taglio di occhi, con quel cipiglio, con quel sorriso appena accennato. A dargli l'italianità, se così vogliamo dire, ci pensa il nome che leggi sotto: Antonio Juliano (a volte scritto con due I). A dargli, invece, patente di piena appartenenza è il soprannome con cui era conosciuto: Totonno. Dici Totonno e sai che non parli di uno nato a Brembate. Antonio Totonno Juliano è stato calciatore, capitano, dirigente e anche bandiera del Napoli. Era Napoletano ma non aveva quelle caratteristiche della personalità che il luogo comune impone di avere a chiunque sia di Napoli e dintorni. Era taciturno, era deciso, era testardo ed era pronto allo scontro. Era anche furbo (per la gioia del topos) e lo abbiamo scoperto tutti nell'estate del 1984. Tra i tutti, anche Josep Lluís Núñez, presidente del Barcellona. Era soprattutto un hombre vertical e questo lo abbiamo capito in seguito, non ai tempi di quel "Ferlaino Via! Juliano torna!" che si lesse su di uno striscione attaccato a un Cessna volteggiante sopra il San Paolo in un amaro pomeriggio del 1982. Antonio Juliano, partite tante, compromessi pochi.
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diceriadelluntore · 2 years
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Storia Di Musica #229 - Liberato, Liberato, 2019
Ho pensato moltissimo a come chiudere il mese di storie di musica dedicate a Napoli. Avevo diverse opzioni: la più facile, era affidarmi ad una delle centinaia di antologie del repertorio classico napoletano cantate dai più grandi artisti del mondo; oppure avrei potuto parlare del fervore che tra fine anni ‘80 e inizi anni ‘90 attraversò la musica napoletana, sempre aperta alle contaminazioni per cercare una soluzione meticcia e fieramente napoletana alla questione (penso a quel capolavoro di commistioni musicali che è stato Sanacore degli Almamegretta); avrei anche potuto, con una scelta davvero singolare, scegliere una sceneggiata napoletana: nata dopo la prima Guerra Mondiale, era una sorta di protomusical che legava alcune canzoni molto famose e momenti di cabaret recitato. Questo perchè dopo la disfatta di Caporetto fu applicata una tassa sugli spettacoli di varietà, giudicati frivoli e degradati, stimolando gli autori, per aggirare le tasse, ad ideare uno spettacolo "misto". Il periodo d’oro arriva agli anni ‘50, ma da metà anni ‘70 c’è stata una totale riscoperta del genere, anche grazie alle riproposizioni cinematografiche con personaggi come Mario Merola prima, e Nino D’Angelo dopo, che ha fatto arrivare la sceneggiata napoletana in tutto il mondo, e basta andare su Youtube per vedere, ad esempio, versioni di Zappatore in arabo, turco e tedesco. Ma alla fine ho scelto una vicenda recentissima che, più che per l’aspetto musicale, per quanto importante, mi affascina per questioni socio-antrolopogiche, nel senso più ampio. La storia di oggi parte il 14 febbraio 2017 quando su YouTube appare un video di una canzone, Nove Maggio a nome Liberato. Di questo artista non si sa nulla, non si conosce il viso, né una parziale biografia. È una canzone dai ritmi dell’imperante rap e del r&b mondiale, ma con le meraviglie linguistiche del napoletano, mischiando il gergo giovanile contemporaneo con espressioni del napoletano delle passate generazioni con frasi intere in inglese, in una sorta di meravigliosa nuova lingua interessantissima e perfettamente musicale. Il video della canzone, abbastanza criptico, segue una giovane ragazza dedita a cantare la stessa per le vie dei quartieri popolari di Napoli e porta la firma del regista partenopeo Francesco Lettieri. Lettieri firmerà i seguenti video, che vengono usati quasi come fossero dei capitoli di un video racconto: Tu T'e Scurdat' 'E Me, su una storia d’amore che si sviluppa tra Mergellina, Forcella e Procida, con un crescendo della drum machine di respiro internazionale: nel videoclip due attori, Demetra Avincola ed Adam Jendoubi, diventeranno i protagonisti dei video successivi,  Intostreet e Je Te Voglio Bene Assaje. Nel primo “appare” anche Liberato, incappucciato di spalle e completamente vestito di nero e blu scuro, avendo però come tratto distintivo una felpa recante il suo nome. Il sistema continua così per mesi, fino a quando a pochi minuti dalla mezzanotte del 9 Maggio 2019 Liberato pubblica sulle piattaforme streaming un album, senza nome, ma comunemente indicato come Liberato: composto da undici brani di cui cinque inediti più Gaiola, rielaborazione in versione voce e pianoforte del brano Gaiola Portafortuna, uscita il 19 Settembre 2017 (giorno di San Gennaro).  Di tutti gli inediti Francesco Lettieri dirige dei video clip che uniti prendono il nome di CRV (Capri Rendez-Vous) e segue a più riprese, dal 1966 al 2019, lo nascita e lo sviluppo della tormentata storia d'amore fra l'attrice francese Marie (interpretata da Jessica Cressy e da Anna Rupe) e Carmine Vuotto (interpretato da Elvis Esposito), ambientata sullo sfondo dell'isola di Capri. Fin qui, il meraviglioso sistema di promozione, che fa di Liberato (che visivamente si scrive in maiuscolo, LIBERATO) un modello di uso innovativo e furbo delle piattaforme digitali rispetto a tutto il resto, con l’inevitabile aura misteriosa su chi sia davvero il cantante. C’è poi la questione musicale, che a 40 anni di distanza dai successi del primo Pino Daniele porta una generazione di ragazzi e ragazze a cantare in napoletano: non è aggressivo come certo trap moderno, si apre a ritmi musicali sudamericani, molto famosi a Napoli (il reggaeton di Oi Marì), ha come modelli personaggi di grande appeal come Childish Gambino, il trap & bass, con una produzione levigata e dal fortissimo sapore internazionale. C’è poi la questione, interessantissima, della lingua: alcuni la considerano una sorta di pigdin, che mischia la musicalità del napoletano (le parole tronche, la possibilità di alternare rima fonetica, assonanze e consonanze in maniera più facile che nell’italiano) con l’inglese, e altre lingue, tra cui il francese e lo spagnolo: sempre da Oi’ Marì, Chist' uocchie nun ponn' sgarrà\Ramm' 'na possibilità\Tu labios c'a' luce ro' mare\No puedo dejar de mirar, oppure da Tu Me Faje Ascì Pazz’ : Tell me that you love me, that you really want it\Faje cartin' e filter, I told you that I'm sorry\Tu me faje ascì pazz'\Piccere' me faje ascì pazz'. A ciò si aggiungono espressioni tipiche del napoletano “antico”: scart' frusc' e po' piglie primera (dal gergo dei giochi di carte, che vuol dire pressappoco “dalla padella alla brace”), oppure il guappo e’ cartone (guappo, dallo spagnolo guapo, in senso letterale un “figo”, ma per estensione un tipo violento e poco raccomandabile, in questo caso di cartone, cioè finto), dalla apucundria di Guagliò, per non dire del testo di Niente, che sembra davvero un omaggio alla canzone classica napoletana: Quann t'agg incuntrat\Faciv a sciantosa\Nun o sapiv maje vuo' truvann coccos\Nu cor nu vestit na not nu ciore\ Quann t agg incutrat nun sapiv l'ammore. In effetti tutto il disco è un omaggio alla napoletanità, dalla questione amorosa, tipica della canzone classica, a quelle di un senso di appartenenza alla dimensione più ampia del napoletano, la Gaiola che parla della comunità africana di Castel Volturno, in una dimensione culturale che sembra equidistante da Un Posto Al Sole e da Gomorra. D’altronde, come canta Liberato, Si nun c appiccicamm io nun pareo\Cca dint scorr o sang r'Odisseo\So fatt accussì, so partenopeo. I singoli del disco sono tutti disco di oro, addirittura di platino Tu T’e Scurdat' 'E Me, e solo il COVID ha impedito i primi storici concerti il 25 e il 26 aprile 2020 a Milano, che si svolgeranno riprogrammati a San Siro il 22 Settembre 2022. Nella precedente esperienza dal vivo, il 9 Maggio 2018, in un concerto gratuito sul Lungomare di Napoli, sul palco c’erano sosia, ballerini incappucciati, messi lì per straniare ancora di più e confondere le acque su questo misterioso personaggio, che da poche settimane ha pubblicato un nuovo disco, Liberato II,  uscito, guarda caso, il 9 Maggio 2022. 
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innoia · 1 year
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*Tanto pe favvi capire*
1. Sei fiorentino se critichi Firenze con altri fiorentini, ma poi fuori, GUAI a chi te la tocca.
2. Sei fiorentino se sai cosa vuol dire ganzo, toni, bailame, cencio, bociare, diaccio e ignudo.
3. Sei fiorentino se i fochi di San Giovanni, belli si ma gli eran meglio l’anno scorso.
4. Sei fiorentino se il buontalenti è solo da i’Badiani e la crema da i’ Vivoli.
5. Sei fiorentino se hai sempre la battuta pronta
6. Sei fiorentino se tu usi la granata
7. Sei fiorentino se sai le battute de Il Ciclone a memoria 8. Sei fiorentino se tarapia tapioco come se fosse ant'anni con la supercazzola prematurata, con lo scappellamento a destra. 9. Sei fiorentino se tuo padre è i’ Babbo 10. Sei fiorentino se esclami “SIEEE!” quando non ci pensi nemmeno a fare quella cosa 11. Sei fiorentino se "da Firenze in un'ora si va dappertutto, mare, montagna, colline"... 12. Sei fiorentino se la Fiorentina è il tuo unico credo 13. Sei fiorentino se la bistecca alla fiorentina è solo al sangue e alta 3 dita. 14. Sei fiorentino se la polemica fa parte del tuo DNA. 15. Sei fiorentino se “a Firenze è nato e si parla il vero italiano”. 16. Sei fiorentino se buona parte dei tuoi amici sono gli stessi del liceo. 17. Sei fiorentino se spesso sei visto come uno snob. 18. Sei fiorentino se ti piace il panino con il lampredotto o con la trippa. 19. Sei fiorentino se rimpiangi le serate all’Universale. 20. Sei fiorentino se a uno poco furbo gli dici “O’bischero”! 21. Sei fiorentino se quando saluti dici “Faccio come il Baglioni… 22. Sei fiorentino se il primo maggio vai alla Mostra dei fiori all’Orticoltura.
23. Sei fiorentino se dici "ma che ssei grullo! 24. Sei fiorentino se facevi "forca" e andavi a Boboli. 25. Sei fiorentino se pensi che la tua sia la città più bella del mondo
26. Sei fiorentino se tu sei stato alla festa dì grillo
27. Sei fiorentino se tu sai icché vuol dir aver 6 palle
28. Sei fiorentino se … “te e la maiala di to mà”
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calyentee · 2 years
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Descrizione fisica
Vestito nei panni d'adolescente cresce a vista d'occhio, guadagnando centimetri giorno per  giorno, totalizzandone ad oggi ben centosettantacinque. Tuttavia, anche se la chioma di riccioli corvini si è fatta riconoscibile in giro per i corridoi di Hogwarts, la stazza non è cambiata molto. Ha il solito fisico slanciato, dal torace asciutto e le spalle che vanno allargandosi, la voce ruvida. Lips red as the rose, hair black as ebony and skin white as snow lo rendono un'eccellente versione maschile della Biancaneve babbana che non desidera conoscere, solo più affine allo spettro emotivo della matrigna cattiva, tra sogghigni smorfiosi e i lumicini sinistri che animano le iridi d'ossidiana. Tempera nera su una tela di puro alabastro, come i geni made in France and Russia che giocano a fare la guerra sul volto da sedicenne.
Temperamento
Ficcanaso, dispettoso e maligno, sia lodato Salazar per averlo fatto nascere almeno furbo abbastanza da continuare il suo lavoro di spiritello infestante senza cadere vittima delle stesse mirabolanti trovate che pesca dal cilindro — una bolidata al giorno toglie il San Mungo di torno, o così dicono. Però non è per questo che è finito negli inferi, no, è più merito della lingua biforcuta che si ritrova e, infatti, nel suo inventare mille e uno modi per rompere le social norms gli piace includere l'ironia sottile con cui stila giudizi, ma soprattutto pensare di non essere noioso. I don't take orders, I barely take suggestions è quella regola che non ha letto sul manuale del perfetto messere purosangue, ma che, nonostante questo, ha preso a cuore.
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AGGIORNIAMO LA SCENEGGIATURA
Faccio un lavoro del cazzo, mi fermo a volte e guardo il materiale, ripenso a come parlo con sicurezza e CAZZO QUANTO FA RIDERE: il mio lavoro è far ridere la gente. Io. Fare ridere.
Vabè però faccio le magie, facce con stupore e l'attimo dopo taste chine sul tavolo a pippare. Amo la luce dei led, casa ne è una centrale elettrica e l'auto fa luci verdi piuttosto che gialle o bianche. Se una jeep verde ti sfanala col verde sono io. Quindi? Che fine hai fatto? Non ti smentisci mai; sei sempre la stessa crema, parole, parole, parole e fatti zero. Ho capito crescendo che preferisco valere che prevalere, capire piuttosto che spiegare, essere libero piuttosto che furbo. Ho capito che non voglio più nulla di inutilmente complesso, nulla che non sia pari ad un movimento di un vettore A verso un vettore B, una linea dritta senza utilizzare mezzi e strumenti a caso.
Scivolare la penna da A a B. Fine.
San Valentino l'hai passato bene? Io da solo,
i messaggi cancellati sono la novità che denuncerei, hanno sputtanato queste cose come "VOCE DELLA DIFFICOLTÀ DI ESSERE DONNA"
Ahahahahahaha, quante stronzate.
VABE COMUNQUE ti ho pensata, ho sognato mi parlassero di te come una te messa male all'angolo e ho pregato a chi mi stava parlando di non scoparti. Ti diceva di doverti innamorare in fretta, di sbrigarti, di smetterla di uscire senza mai concludere niente. Ho comprato dei giocattoli simpatici da usare in due, che ne dici di provarli?
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sanssupremacy · 2 years
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Synth is a bad influence for those three
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Also if you sent a request lately, just know I deleted it :)
Read the fucking end of the posts, and my bio, is literally in your face before you go to the ask box. No i don't care if it sounds rude it's your problem for not reading.
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rencoons-trashcan · 2 months
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I'm late as always but still wanted to do something for Valentine's day (⁠人⁠ ⁠•͈⁠ᴗ⁠•͈⁠)
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giancarlonicoli · 11 months
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12 giu 2023 19:44
1. IL FENOMENO B. VISTO DA DAGO - PERCHÉ UN PAESE CHE SI SBATTE PER ARRIVARE ALLA FINE DEL MESE, DA OLTRE VENT’ANNI HA PERSO LA TESTA PER UN MILIARDARIO DONNAIOLO CHE ALL’ETICA DELLE ISTITUZIONI HA SEMPRE PREFERITA LA COTICA DEI PROPRI AFFARI? PERCHÉ INCARNA L’ARCI-ITALIANO (E GABER: “NON TEMO BERLUSCONI IN SÉ. TEMO BERLUSCONI IN ME”) 2. MASSÌ: COME IL CAVALIER POMPETTA, OGNI ITALIANO SEMBRA ESSERE TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO: FURBO E FESSO, MAMMONE E MASCHILISTA, DRAMMATICO E MELODRAMMATICO, GENIALE E PASTICCIONE, CORAGGIOSO E VIGLIACCO, RAZZISTA E TOLLERANTE, CREDENTE E MISCREDENTE, COLTO E IGNORANTE, VITALE E CIALTRONE, DI DESTRA E DI SINISTRA. UN TIPINO CHE, QUANDO GLI CHIEDONO QUAL È IL COMPLIMENTO PIÙ BELLO CHE ABBIA MAI RICEVUTO, RISPONDE RADIOSO: “LA VOLTA CHE, ALL’USCITA DA SAN SIRO, UN ULTRÀ SI GETTÒ CONTRO IL PARABREZZA DELLA MIA AUTO GRIDANDO: SEI UNA BELLA FIGA!” - I DUE INCONTRI CON B. - LA BARZELLETTA COME MEZZO DI SEDUZIONE - IL FALLIMENTO POLITICO E L'ARRIVO DI MELONI
DAGOREPORT
Certo che è dura. Durissima dover ammettere che un Peron con i tacchetti, uno Stalin mediatico, un Silvio Bellico a rotelle, un fabbricante di miliardi col volto perennemente grigliato come un pollo dai raggi Uva, un bignè in doppiopetto sempre truccato e tricologicamente trapiantato, un seduttore tradito dalla prostata, con cinque figli e due mogli, sgradevolmente donnaiolo, che ne ha combinate di cotte e di crude, è stato e rimarrà, per chissà quanto tempo, l’incarnazione dell’Arci-italiano.
La grande Natalia Aspesi non si fa troppi problemi ad ammetterlo: "Sono terrorizzata dagli italiani. Più il Paese corre verso l'autodistruzione, più loro adorano i propri carnefici - tuona la giornalista - è come se si fossero trasformati in tanti piccoli lemuri che si precipitano entusiasti in fondo al burrone".
Ma la domanda, a questo punto di non ritorno, è un’altra ed è terribile: come mai una tale moltitudine di italiani, tra Destra e Sinistra, si è gettata gettarsi sul "Centro-frivolo" del berlusconismo senza limitismo? Perché un paese che si sbatte dalla mattina alla sera per arrivare alla fine del mese, da oltre vent’anni ha perso la testa per un miliardario donnaiolo che all’etica delle istituzioni ha sempre preferita la cotica dei propri affari?
Perché dentro di noi c’è il folle e sovente inconfessabile desiderio di essere un Berlusconi. Come canta Giorgio Gaber: “Non temo Berlusconi in sé. Temo Berlusconi in me”. Massì: come il Cavalier Pompetta, ogni italiano sembra essere tutto e il contrario di tutto: furbo e fesso, mammone e maschilista, drammatico e melodrammatico, geniale e pasticcione, coraggioso e vigliacco, razzista e tollerante, credente e miscredente, colto e ignorante, vitale e cialtrone, di destra e di sinistra. Un Berluscone che, quando gli chiedono qual è il complimento più bello che abbia mai ricevuto, risponde radioso: “La volta che, all’uscita da San Siro, un ultrà si gettò contro il parabrezza della mia auto gridando: sei una bella figa!”.
Sondare l’anima di Berlusconi è peggio che difficile. E’ inutile. Simpaticissimo come tutti i mascalzoni, implacabile negli affari come un rullo compressore (”Una volta per riagganciare un cliente gli ho anche tolto la forfora dalla giacca”, professionalmente così frenetico che faceva apparire un battaglione di marines come un gruppo di perdigiorno (“Una volta all’Edilnord ho disegnato persino le fogne. Pensavo: se ho sbagliato le pendenze si sveglieranno tutti nella cacca”), narci-effervescente naturale fino alle bollicine (“E’ importantissimo la mattina guardarsi allo specchio e piacersi, piacersi, piacersi”), Berlusconi ha intuito fin dall’inizio che il vero mistero del mondo è ciò che si vede, non l’invisibile.
A mo’ di lezione, aggiunge: “Ricordiamoci che il nostro pubblico ha fatto la terza media e non era neanche fra i primi della classe”. La mejo, da incorniciare: “Gli sfigati non esistono. Esistono solo dei diseducati al benessere”. Da qui i suoi modi da piazzista che sa mettere insieme cose dissimili, incongrue, se non addirittura incompatibili: come trasformare una azienda in un centro di potere, una cena in una congresso elettorale, un partito in un party, un contratto in una fregatura.
Come quella volta che, giovane editore in ascesa, firmò di venerdì un accordo per dividersi gli spazi pubblicitari con la Rai che sarebbe scattato dal lunedì successivo. Subito dopo riunì in ufficio i suoi agenti di Publitalia: “Avete sabato e domenica per acchiappare tutta la pubblicità che potete”. E quando il lunedì l’accordo entrò in vigore, non c’era più niente su cui accordarsi.
Quante gliene hanno dette in questi anni, giudici e giornalisti, a quest’uomo unico al mondo (noi italiani, si sa, non ci facciamo mai mancare niente). Da “Psico-nano” (Beppe Grillo) a “Caimano” (Nanni Moretti), da “Banana” (Altan) a “Al Tappone” (Travaglio). Ma la miglior descrizione del fenomeno appartiene ad Aldo Busi: "Tutti dicono che se non ci fosse stato Craxi non ci sarebbe stato Berlusconi, ma questo si può dire di qualsiasi imprenditore italiano. Nessun imprenditore di fama ha la coscienza a posto con lo Stato italiano. Sono tutti dei criminali. E allora perché criminalizzare solo Berlusconi? Pensiamo al Banco Ambrosiano. Io non credo che Berlusconi abbia lo zampino nella più grande catastrofe che sia successa in Italia e che ancora è irrisolta, cioè piazza Fontana. Come si può demonizzare Berlusconi quando ci sono molti altri demoni prima di lui che devono prendere corpo?".  
Verità o leggenda? Con Berlusconi la verità è leggenda e viceversa, lui stesso non è che le distingua sempre bene. “Da giovane dicevo: pensa quante donne al mondo vorrebbero venire a letto con me e non lo sanno. La vita è un problema di comunicazione”. Ecco perché, già prima del Biscione, era presente come comparsa in un Carosello. Quando nel novembre del '79 un colpo di fulmine scoccato da Cupido lo trafisse era seduto al teatro Manzoni di Milano: Veronica Lario, 23 anni, era protagonista  della commedia di Crommelynck "Il magnifico cornuto". Impazzito d’amore Silvio fece interrompere le repliche della commedia. Come? Comperando il Manzoni.
Ah, la vanità. "Raccontano i collaboratori che è un terribile accentratore: se avesse una puntina di seno, sarebbe anche tentato di sostituire l'annunciatrice", scrive Enzo Biagi. D'altra parte, visto dall'alto, la Natura è stata davvero taccagna. Quando scoprì che il centravanti Galderisi era alto come lui proibì ai collaboratori di chiamarlo "nanu". Lui si gonfia così: "Ho fatto l'Italia un po' più bella". Oppure: "Vedo tutto d'istinto, come ha detto una volta la mia mamma. Sono una specie di strega". Ancora: "Io sono come quel gran condottiero rinascimentale di Bergamo. Sì, come quel Bartolomeo Colleoni che da madre natura ne ebbe tre e non due".
Troppo testosterone. Avido di donne, di divertimento, di strapazzi mondani, perennemente avvolto dal consenso femminile, non si chiude in Parlamento ma in Camera (da letto). Polaroid '99 della prima volta di Silvio nel salottificio capitolino dell'avvocato Giuseppe Consolo. Eccolo che parlotta al telefonino, quindi lo passa a Gianfranco Fini che fa: "Veronica, stai tranquilla. Silvio sta con me".
Ah, la fregola del cavaliere... Racconta Enzo Mirigliani, patron di Miss Italia: "Nel '79 appare per la prima volta al concorso anche Silvio Berlusconi, in maglietta e bermuda, accompagnato da Giorgio Medail e alla guida di una piccola troupe della neonata Telemilano".
Cerca la risata altrui. Sempre. Ovunque. Senza temere di esserne seppellito. E’ più forte di lui: abbia di fronte Clinton, i suoi apostoli di Forza Italia o il temibile comunista di turno, Silvio Berlusconi quando ce l’ha-ce l’ha (la barzelletta), la deve sparare. Ne ha un repertorio vastissimo. Che modella, personalizza, strumentalizza. Ricicla, se necessario. A volte oscilla pericolosamente tra il cattivo gusto e la gaffe: e allora sono smentite, sottili distinguo.
Non esistono colonne d’Ercole che la vena barzellettiera del Cavaliere non oltrepassi. A suo rischio, naturalmente. Come nell’agosto del ’94 quando, da pochi mesi a palazzo Chigi, sentendosi perseguitato dai giornalisti, sfogò così la sua insofferenza: “Al Pontefice cade il breviario in acqua e il premier, camminando sulle acque, glielo va a prendere. Titoli dei quotidiani: "Il presidente del Consiglio non sa nemmeno nuotare". Il Vaticano tacque per qualche giorno poi, con tono vagamente piccato, fece sapere che il Papa l’aveva già sentita nell’83 quella barzelletta, in Polonia, dopo il colpo di Stato: al posto di Berlusconi c’era il generale Jaruzelski.
Con quel gaudente di Clinton, invece, il Cavaliere è sempre andato a nozze. Come quando, in pieno caso Lewinsky, non esitò a raccontargli di quello che si era fatto disegnare un neo sul pene: “L’ho fatto perché così, quando mi eccito, il neo diventa un moscone”. E l’altro: “Io invece mi sono fatto tatuare le lettere "So": così, quando mi eccito, compare la scritta "Saluti da San Benedetto del Tronto".
La controffensiva della barzelletta fu affidata al Manifesto: “Berlusconi muore e va in Paradiso. C’è una lunga coda, il Cavaliere pretende da San Pietro una corsia preferenziale. San Pietro telefona al Padreterno: "C’è uno che vuole passare davanti agli altri. Dice di chiamarsi Berlusconi". E Dio: "E’ un impostore. Berlusconi sono io".
I guai maggiori il Cavaliere li ebbe con quella dei banditi che entrano nell’ufficio, gridano “questa è una rapina» e un impiegato risponde: "Meno male, credevo fosse la Guardia di Finanza”: si beccò una querela dalla Fiamme Gialle. O quando sciorinò la storia del malato di Aids al quale il medico aveva consigliato di fare le sabbiature "così si abituerà a stare sotto terra”: insorse mezza Italia.
Era fatto così. Ho avuto occasione di incontrarlo due volte. La prima, nel ’92, a casa di Mario Cecchi Gori, con il quale Berlusconi aveva fondato la Penta Cinematografica, come autore di un filmetto, “Mutande Pazze”. C’era mezzo cinema italico, da Benigni a Verdone. Quando ci incrociammo parlammo di “Quelli della notte”, di Arbore che mai avrebbe lasciato la Rai per Mediaset, poi sparò due convenevoli con Chiara, la mia compagna di allora, infine ci chiese: “siete innamorati?”, ricevuto l’inevitabile risposta affermativa congiunse le nostre mani e ci dichiarò marito e moglie, tra un calicino e una pizzetta…
La seconda volta, quindici anni dopo, a casa di Sandra Carraro. Dopo i soliti convenevoli, mi prese da parte e mi chiese, serie serio: “Hai tatuato anche il tuo pisello?”. Al telefono, vista la grande schiera di ottimi imitatori della sua cadenza brianzola, non sapevo mai se avevo come interlocutore davvero “il presidente”, come veniva annunciato.
Politicamente, lo stregone del Bunga Bunga, egocentrico in stile "Dall'Io all'eternit", ha fallito. Cannibalizzando delfini e pretendenti al trono, per ritrovarsi oggi con un partito nanizzato all’8 per cento. Se esiste uno spostamento a destra anche dell’elettorato democristo-conservatore, specie al Nord, egli ne porta la responsabilità. Per circa venticinque anni ha occupato il palcoscenico e non è riuscito o non ha voluto costruire un vero partito di centro, con una struttura organizzativa e una classe dirigente. In fondo Giorgia Meloni ha occupato un vuoto. Il suo vuoto.
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haven-collins · 1 year
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« Sono Giunchiglie ehm.. » ridacchia, dovendo mettere in mostra le sue conoscenze erbologiche « Giunchiglie Strombazzanti ehm, è una pianta da rimedio. Non credo che ti serva, cioè, è contro i danni all’udito ma.. » ... « Sono anche molto carine a vedersi, no? » quindi. La guarda mentre muove la mano verso la pianta e si mordicchia le labbra « Fanno solo un casino assurdo quando provi a toglierne le radici, a volte nemmeno i paraorecchi aiutano. » sbuffettando una risatina; non proprio il caso di sradicarla mentre si è in un luogo come il San Mungo, per dire.
« Strombazzanti? » ripete con tono inquisitorio per poi rivolgere un’occhiata divertita al cubicolo accanto. « Beitriss ne sarà felicissima » lo informa, parlando più con sé stessa. Capisce perfettamente di essere osservata con più attenzione e curiosità, ma rimane immobile senza farlo presente. Abituarsi agli sguardi intrusivi sarà qualcosa con cui dovrà fare i conti per il resto della vita, probabilmente, tanto vale abituarsi.
« Giunchiglie Strombazzanti, ay. » ... « Ay ma, se ci pensi, sei realmente una Giunchiglia. » fa notare. « Il tuo problema sta alle radici, no? » arriccia il naso, e quel sorrisetto furbo cerca di stare sulla faccia dello Scozzese quanto può, ma nemmeno troppo perché questa potrebbe essere una delle trollate che potrebbe non dire. E sul filo di un incantesimo sottile, preferisce andarci piano.
« Hai ragione » gli concede, è lui quello che ne sa di più « Ma la radice me l’han già tolta, non dovrei star urlando da tipo una settimana? » domanda a sua volta. E ha urlato, sì, tanto, insultando tutto e tutti, ma questo per orgoglio non l’ammetterà mai neanche sotto tortura. « O anche lei dopo un po’ sta zitta? » e se ne fa una ragione della sfiga del gramo che le è capitata?
« Avrai urlato, però. » facendo spallucce. « Poi dopo un po’ sta zitta, non può strombazzare per sempre. » tipo fin tanto che poi le radici vengono tolte e fine della storia.
« Non. Ho. Urlato. » a proposito di trollate da non dirle, per esempio, anche se vi è più di qualche spezzaincantesimi e guaritore che giurerebbe il contrario. « Ho perso il piede, non la mano destra, Cisco » quella che usa per castare gli incantesimi. E lo dice con un tono vanitoso sollevando il mento risentita, con teatralità, ma non è una messinscena che sembra avere vita lunga. « Mi son persa, stiamo ancora parlando della Giunchiglia Strombazzante? » domanda offrendogli quasi un appiglio per passare indenne dall’orgoglio ferito di una grifondoro allettata e annoiata da all’incirca una settimana.
« Okay, ma non darmici uno schiaffo, né uno schiantesimo. » tante volte volesse usare la mano destra che è risultata illesa da quella spaccatura dovuta alla smaterializzazione, si sa mai: ma è pronto ad accogliere anche l’eventualità di una manata sul muso. « Mh. » e la guarda con un sorrisetto un po’ divertito « Hai detto che non hai urlato, no?! » un colpetto di tosse quasi a schiarire la voce, la lingua che umetta le labbra e le sopracciglia fanno un cenno verso l’alto che Haven potrebbe vedere chiaramente, ma forse nemmeno.
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sancane · 3 years
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Nicolas Ferrial, detto Le Févrial o Triboulet (1479–1536)
Barattiere vagabondo, furbo e scostumato.
Favellando per derisione, fu romanziere, scherzatore, suonator di cembali e giullare di corte dei Re Luigi XII e Francesco I di Francia.
Tra poesia mordace e giostra grande, ebbe come professione il trattenere altrui con buffonerie, e cose da ridere.
Talvolta eccessivo e di soverchio ardire, durante un giuoco amaro, diede un colpo a mano aperta sulle terga del Re.
Costui, ferito in grande orgoglio, saggiamente comandò che il Triboulet fosse in carcere messo.
Incalzato dai gendarmi, convinti nel tradurlo in ceppi, si giustificò: "Scusate, Re, vi avevo scambiato per la Regina". Ogni troppo è troppo, ed ogni troppo dà il suo prezzo.
Il Re, stritolando coi denti le falde del cappello, volle subitaneo gastigarlo, sentenziandolo a morte. Addio insolenze e beffare ingegnato, oltraggi e riso smodato, Triboulet, raccomandato alle beate forche, solo col danno si trovò cacciato.
Ma il buon Re, noto per aver compassion degli afflitti, concesse al gaglioffo un'ultima ambizione: Che egli scegliesse per istesso la maniera di dover trapassare. "Come scegli di morire, Triboulet?" E il briccone rispose: "Di vecchiaia, mio Sire" Il riso ebbe ragion dell'appetito di vendetta, e, per giubilo ed allegrezza, il sovrano sciolse l'amabile canaglia, libero di far scandalo e baccano, forse, ma così lieto e spassoso, in gran pompa apparecchio a buona festa.
"Bon sire, par sainte Nitouche et saint Pansard, patrons de la folie, je demande à mourir de vieillesse" ("Buon sire, per amore di Saint Nitouche e San Pansard, patroni della pazzia, scelgo di morire di vecchiaia")
Onore
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padrepiopietr · 3 years
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Padre Pio di nuovo sotto inchiesta
Era il 22 febbraio 1961. La missione segretissima di P. Paul Philippe.
Il 22 febbraio 1961, il domenicano P. Paul Philippe, consultore del Sant’Uffizio, giunse a San Giovanni Rotondo con l’incarico di interrogare Padre Pio per contestargli le “accuse che gravano su di lui presso il Sant’Officio” e “di fargli capire che la sua situazione era tale da mettere in pericolo la sua anima“. Si trattava di una “missione segretissima“.
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Il futuro cardinale contestò le accuse contenute nella relazione Maccari, comprese quelle di immoralità. “È falso, falsissimo”, fu la risposta ricorrente. E, sulla questione più spinosa, Padre Pio precisò: “Mai ho baciato una donna, padre. Anzi, le dico davanti al Signore – egli alzò la mano – neppure volevo dare baci alla mamma: la facevo piangere perché non le scambiavo i suoi baci, ma avrei creduto far male”. Non bastò all’accusato e non servì neanche spiegare la ragione “del suo modo di sbattere lo sportello del confessionale o di rifiutarsi di sentire certi penitenti, con aspri rimbrotti: io faccio così in coscienza quando vedo delle anime che non vengono per confessarsi ma per parlarmi di tante altre cose”.
Non fu utile neppure la rassicurazione di P. Rosario da Aliminusa fornita all’inviato della Santa Sede che contestava la negligenza di Padre Pio nel non impedire il “culto” della sua persona: “P. Pio è semplice, non è furbo, non gli piace essere così considerato come un santo, è piuttosto indifferente a questo 'culto'. È vero che si lascia baciare la mano, ma la gente usa farlo con tutti i sacerdoti. Poi egli stesso bacia volentieri la mano dei sacerdoti”.
P. Philippe tornò a Roma “con l’intima convinzione” di non essere riuscito a convincere il Frate sotto inchiesta “dello sbaglio della sua condotta e della necessità di cambiare”.
La conclusione fu un giudizio di condanna: “P. Pio mi è apparso come un uomo di intelligenza limitata, ma molto astuto e ostinato, un contadino furbo che cammina perla sua strada senza urtare i Superiori di fronte, ma che non ha alcuna voglia di cambiare, egli non è e non può essere un santo” e “neppure un degno sacerdote.”
Senza interrogare testimoni, senza neppure incontrarli, solo sulla base della documentazione esistente al Sant’Uffizio, il domenicano giunse a sentenziare: «P. Pio non è solo un falso mistico, che è consapevole che le sue stigmate non sono da Dio, e ciò nonostante lascia costruire tutta la sua “fama sanctitatis” su di esse, ma, peggio ancora, egli è un disgraziato sacerdote, che approfitta della sua reputazione di santo per ingannare le sue vittime», per cui, da «ex professore di storia della mistica», definiva «il caso di P. Pio la più colossale truffa che si possa trovare nella storia della chiesa». Neppure mons. Maccari aveva osato tanto nei suoi giudizi.
Drastica la cura suggerita:
1) Sospensione dalle confessioni dei fedeli;
2) Sospensione dalla S. Messa, finché lasci S. Giovanni Rotondo;
3) Trasferimento al più presto possibile in un convento lontano.
Francesco Bosco
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chez-mimich · 5 years
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FOLON Á LA CÔTE. 12 luglio. È difficile raccontare un luogo tanto suggestivo come la Chapelle des Penitents Blancs di Saint Paul de Vence, dove Folon ha indubbiamente messo in scena il “Sacro” come meglio non avrebbe potuto fare un artista e illustratore come lui. Qui c’è la spiritualità che si respira solo in certi luoghi; non commetto certo un azzardo se dico che è una spiritualità simile a quella della Basilica Superiore di San Francesco di Assisi. Prima che, tromboni, leoni da tastiera, a altra fauna mi coprano di insulti, mi limiterò ad invitarli a farci un giretto con lo spirito leggero che richiede ogni attività dell’anima. Da qualche settimana la Ville de Saint Tropez espone alcune sculture del grande artista belga. A Saint Tropez si respira a pieni polmoni quella deferenza all’arte di cui sono capaci solo i francesi, una deferenza non declamatoria ma consolatoria, sincera e non di maniera. Certo Saint Tropez è anche il regno di Gerard Le Roux, l’artista più inutile e furbo del mondo, che ha riempito gli yacht e le case milionarie del borgo di opere vistose, pacchiane delle quali si può benissimo fare a meno, anzi si deve. Sulla sua scorta sono nate decine di gallerie del superfluo ad uso e consumo di nababbi ricchi e ricchissimi che soddisfano il loro bisogno di “spiritualità” acquistando porcherie più o meno à-la-page. Ma Saint-Tropez ha un’anima raffinata e l’uomo con cappotto e cappello di Folon con i pescioloni in mano dai quali zampilla acqua sono quanto di più leggiadro potesse essere installato davanti al Musée de l’Annonciade all’ingresso del porto. Così come il misterioso visitatore diviso a metà che volta le spalle, quasi infastidito, alla ostentata allegria del popolo di Senequier, sembra voler far riflettere su mondanità, sull’allegrezza e anche sul senso della vita. Ma è nella Place de l’Ormeau su verso la Citadelle, che “l’homus folonianus” appare in tutta la sua enigmatica essenza: seduto per terra come un bambino, vestito di tutto punto di fronte ad una bouganville prorompente sulla malinconica piazzetta circolare sulla quale insistono gallerie di gran lusso. Lui è lì, riflette o ci fa riflettere su ciò che è davvero importante oppure su niente, possiamo scegliere. È una presenza importante, non là si può ignorare. È vestito da belga: coperto da cappotto e cappello, come a difendersi da un mondo ostile o magari solo indifferente. Lo fa qui, dove tutti si sforzano di non pensare, magari non pensano davvero, lui è lì a ricordarcelo, come un Pinocchio in un mondo che si prende sempre troppo sul serio.
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