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silviascorcella · 5 months
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Rahul Mishra, Butterfly People: gli artigiani sono farfalle che ricamano il giardino della vita
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“Vivere non è abbastanza" disse la farfalla, “uno deve avere il sole, la libertà e un piccolo fiore”: l’essenza del racconto prezioso che si dipana nella collezione Couture a/i 2020-21 Rahul Mishra la incastona qui, in queste parole che hanno la semplicità della realtà e la suggestione della fantasia. Sono, infatti, parole prese in prestito da una fiaba di Hans Christian Andersen, opera, come lo sono tutte le fiabe, di sincerità e poesia: ovvero un’alchimia narrativa creata con minuzia e dedizione generosa, per intessere nelle trame surreali composte di parole e immaginari gli insegnamenti universali che compongono la grande trama della vita vera.
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L’antica fiaba in questione s’intitola “il farfallone”: narra le vicende di una farfalla che spreca la giovinezza sua e della primavera rigogliosa scartando la bellezza peculiare di ogni fiore in virtù della ricerca di una egoistica perfezione, finché giunto l’inverno che spegne la natura e con essa anche la gioventù, il farfallone si ritrova invecchiato e imprigionato nel compromesso di sopravvivere chiuso dentro una casa, appuntato con uno spillo dentro una teca, privato della bellezza essenziale della vita di cui ha scoperto e rimpianto ormai troppo tardi il sentimento.
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Ecco, come fosse un gesto di ribaltamento al contempo romantico ed eroico, Rahul Mishra ha creato la collezione Couture a/i 2020  su quello che il farfallone della fiaba aveva dato per scontato: il valore vitale della bellezza della natura che va difesa e celebrata. Ma anche, e soprattutto il valore etico della condivisione umana che tale bellezza la crea ogni giorno nell’armonia del lavoro da cui sbocciano i capolavori couture, così come le farfalle nutrono ogni giorno la linfa vitale della natura.
La fiaba contemporanea narrata da Rahul Mishra s’intitola per l’appunto “Butterfly People”: ed è un gesto di celebrazione e ringraziamento alle “sue” farfalle, ovvero i Karigar, gli artigiani ricamatori e sarti indiani che con le loro mani abili e le conoscenze sapienti danno forma e vita alla meraviglia delle creazioni. Ed è anche un gesto di profonda consapevolezza che dalla dimensione personale abbraccia con gentilezza anche quella universale: la forza dell’ispirazione e del messaggio della collezione si rinsaldano con la violenza della pandemia che si è abbattuta in India infliggendo al suo popolo una crisi devastante, in cui migliaia di lavoratori migranti si sono ritrovati chiusi in casa, privati del lavoro, a lottare per sopravvivere. Rahul Mishra, infatti, che sin dall’inizio ha fondato l’essenza del  brand sull’etica della “migrazione inversa”, cioè valorizzando il lavoro artigiano dislocato nei villaggi indiani d’appartenenza anziché convogliare gli artigiani in massa nella capitale dove sono gli headquarter, non solo è riuscito a realizzare la collezione Couture a/i 2020 ma l’ha trasformata in un diario interiore, e al contempo in una grande metafora di umanità che in ogni ricamo narra e celebra l’importanza della partecipazione collettiva alla co-creazione della vita.
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Un’allegoria dell’animo che si dipana sui tessuti diafani: nel cuore dell’immaginario c’è il giardino, quello che in natura riprende a fiorire rigoglioso grazie al lock-down che blocca l’intervento infestante dell’uomo, e quello metaforico della couture, in cui Rahul Mishra è il couturier-giardiniere che solo grazie alla sinergia con i suoi artigiani-farfalla può ricreare a distanza l’ecosistema dell’atelier e realizzare la meraviglia rigogliosa delle creazioni, facendo fronte al lock-down con un’azione collettiva in cui in brevissimo tempo son stati recuperati ricami e stoffe dall’archivio di collezioni precedenti, e in sei settimane son stati plasmati gli abiti, una paillette alla volta, una perlina alla volta.
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Una storia ricamata che narra il ritorno alla vita: le gru e gli uccelli migratori che sono tornati a volare nei cieli di Delhi che nel frattempo si sono tinti di sfumature di un blu mai stato così intenso, la leggerezza poetica delle libellule che sono tornate a brillare sui fiumi, la magnificenza dei fiori di loto che celebrano la rinascita di una vita purificata, i fondali marini con le barriere coralline guarite dall’inquinamento e dallo sfruttamento.
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Una storia che con i ricami sartoriali narra l’importanza vitale del lavoro che nobilita l’animo degli artigiani eccellenti che la allestiscono: artigiani che di solito esprimono la propria preziosa impressione sulle opere attraverso le espressioni delle labbra, ma che ora per via delle mascherine hanno trasferito la loro validazione nell’espressione degli occhi, sfumature di linguaggio che Rahul Mishra per primo ha imparato a decodificare, un cambiamento piccolo eppur epocale che ha riportato nelle mascherine in collezione, che sembrano sculture, ma che nella bellezza racchiudono il valore del monito sociale, e nessun intento commerciale.
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La collezione Couture a/i 20-21 è stata presentata alla Paris Couture Week nella sua edizione digitale: tutte le suggestioni, e la bellezza della realizzazione delle creazioni ad opera delle Butterfly People sono narrate in un bellissimo fashion film realizzato in collaborazione con il fotografo e film-maker Hormis Anthony Tharkan.
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Giuliana Mancinelli Bonafaccia: Dihedra e Fine, la bellezza è purezza
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Ogni nuova collezione nata dalla bravura preziosa di Giuliana Mancinelli Bonafaccia è una nuova occasione di esplorazione di quella peculiare suggestione in cui la poesia della ricerca si allaccia alla concretezza. Le sue sono opere di fashion jewelry pregiate nella sostanza orafa artigiana, e felicemente riconoscibili nell’apparenza d’ispirazione al contempo potentemente essenziale, eppur profondamente sofisticata: creazioni che mostrano la bellezza con un gesto ribelle di semplificazione meticolosa, che plasmano la forma con un gesto di design che è un progetto sempre rinnovato di sinfonia tra funzione decorativa ed estetica stilosa.
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Quella di Giuliana Mancinelli Bonafaccia è un’intenzione creativa che, nel caso delle collezioni più recenti, si aggancia ancor più forte al desiderio di purezza: che non è il minimalismo spoglio, bensì è la consapevolezza di concedere alla geometria l’autorevolezza affascinante di portare in superficie i suoi significati più autentici, concentrandoli in una manciata di creazioni dal gusto pulito perfettamente contemporaneo, squisitamente personale, immancabilmente originale.
Architettura e natura: ecco il binomio alla base dell’indole creativa di Giuliana Mancinelli Bonafaccia, che guida alla collezione ultima, ribattezzata Dihendra: un nome che a scomporlo nei suoi strati linguistici svela l’appartenenza al lessico della geometria, esattamente come accade per il simbolo che, in qualità di logo del brand, da icona rappresentativa del mondo di Giuliana Mancinelli Bonafaccia diviene anche fil-rouge della collezione. Ovvero: l’icosaedro.
La vedete, dunque, quella che a un primo sguardo sembra una borchia, un bullone plasmato nella materia preziosa, e che si sposta lungo le linee di orecchini, anelli, bracciali e pendenti, per andarsi ad incastonare in punti sempre diversi?
Ecco, la sua origine ha per l’appunto a che fare con l’icosaedro: parola complessa, che rievoca il suono antico della lingua greca che gli ha dato il nome tecnico. Ma anche un significato che dal pratico sfuma nel mistico, ad opera soprattutto di Platone, il quale l’ha inserito tra i cinque poliedri regolari, figure che nella loro simmetria perfetta sono gli elementi fondanti della geometria, ma anche della natura del mondo di cui siamo parte integrante. Per indagare più nel profondo bisogna leggere il dialogo intitolato “Tmeo”, l’opera scritta in cui Platone illustra l’opera di generazione dell’universo da parte del Demiurgo che assume i cinque poliedri in virtù delle loro proprietà associandoli ai cinque elementi della natura: «alla terra diamo la figura cubica, perché delle quattro specie la terra è la più immobile, e dei corpi il più plasmabile […] e poi all’acqua la forma meno mobile delle altre (icosaedro), al fuoco la più mobile (tetraedro), e all’aria l’intermedia (ottaedro): e così il corpo più piccolo al fuoco, il più grande all’acqua, e l’intermedio all’aria […] Restava una quinta combinazione e il Demiurgo se ne giovò per decorare l’universo (dodecaedro)» Perfette sono le figure geometriche dei poliedri regolari, perfetta è la natura: ecco il principio di totale, perfetta armonia che li unisce.
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Nel cuore di Dihendra c’è un elemento essenziale di tutto questo, ovvero l’angolo diedro: concetto tecnico ben comprensibile a chi l’architettura e le sue discipline tecniche le pratica con saggezza, ma per noi tutti ci basti immaginarlo come l’estensione del concetto di angolo nello spazio. Ed in effetti, come fosse un gioco di affinità, i gioielli della collezione sembrano essere l’estensione nello spazio del concetto di bellezza espressa nella purezza geometrica e nella fattura preziosa dei dettagli: linee asciutte che abitano lo spazio intorno al corpo costruendo forme tridimensionali, così nascono gli orecchini chandelier, e quelli curvilinei che si appigliano a uncino, le maxi-creole impreziosite da perle e cristalli, i cuff che si arrampicano grintosi sul bordo dell’orecchio.
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E ancora: i bracciali a forma di scudo, i pendenti e gli anelli che sembrano sospesi sulle dita, tutti realizzati in ottone placcato oro 18kt, rodio e rutenio ultrablack La ricerca di purezza s’impreziosisce nella linea Fine: sembra quasi fluttuare e brillare nell’aria la sfera che pende dalla collana e dagli orecchino sottili, che culmina sull’anello sottile affianco alle fedine preziose. Creazioni plasmate in oro  9kt, 14kt e 18kt e arricchite dai bagliori della lavorazione a diamantatura fatta a mano.
E mentre lo stesso Platone, nel Timeo, a proposito dei suoi poliedri conferma che è inutile impiegare tempo a cercarne altri perché "non accorderemo a nessuno che vi siano corpi visibili più belli di questi”: Giuliana Mancinelli Bonafaccia restituisce un simile valore di unicità alla bellezza, sostituendo l’inutilità del tempo scandito dalla stagionalità alla buona pratica della rivisitazione dei pezzi migliori natai dalla buona creatività.
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Cettina Bucca a/i 20-21,“Fiabe”: narrate dagli abiti, narratrici di emozioni
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"Io credo questo: le fiabe sono vere.
Ora il viaggio tra le fiabe è finito, il libro è fatto, scrivo questa prefazione e ne son fuori: riuscirò a rimettere i piedi sulla terra? Per due anni ho vissuto in mezzo ai boschi e palazzi incantati […] E per questi due anni a poco a poco il mondo intorno a me veniva atteggiandosi a quel clima, a quella logica, ogni fatto si prestava a essere interpretato e risolto in termini di metamorfosi e incantesimo […] Ogni poco mi pareva che dalla scatola magica che avevo aperto, la perduta logica che governa il mondo delle fiabe si fosse scatenata, ritornando a dominare sulla terra. Ora che il libro è finito, posso dire che questa non è stata un'allucinazione, una sorta di malattia professionale. È stata piuttosto una conferma di qualcosa che già sapevo in partenza, quel qualcosa cui prima accennavo, quell'unica convinzione mia che mi spingeva al viaggio tra le fiabe; ed è che io credo questo: le fiabe sono vere. Le fiabe sono nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte della vita che appunto è il farsi di un destino”.
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Così testimoniava la scrittura gentile di Italo Calvino ad introduzione di quella sua sorprendente avventura letteraria che compì con “Fiabe Italiane”, la raccolta pubblicata nel 1956: e questa lunga introduzione non è affatto una mera citazione intellettuale. Bensì una benevola dimostrazione felice di come quella certezza meravigliata che di Calvino sigillava il termine del viaggio interiore, oggi sia il punto d’avvio meraviglioso di un viaggio esteriore che prosegue in modo simile ma squisitamente personale, e per questo speciale, nelle creazioni che Cettina Bucca ha raccolto per l’a/i 2020-21: e ha intitolato “Fiabe”.
“Siamo partiti dalle fiabe e dalla loro grande importanza dal punto di vista esoterico, spirituale e simbolico: leggendo tra le righe si trovano in esse soluzioni alternative per il proprio percorso di vita”. Così narra, infatti, la voce gentile di Cettina Bucca ad introduzione della collezione: per chi ha già avuto la gioia di imbattersi in lei e nel suo itinerario biografico caleidoscopico, che da biologa l’ha riallacciata al sogno realizzato di stilista di couture emozionale in cui ogni capo nasce come via d’espressione sincera e sartoriale per la femminilità, ecco non c’è stupore che la cura profonda che Cettina ripone in ogni scelta d’ispirazione, in ogni gesto di creazione e in ogni selezione di materiale e decorazione sia approdata al valore prezioso e senza tempo che le fiabe ci riservano, sempre.
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Bensì c’è la fiducia confermata nella generosità entusiasta di Cettina e nella sua conoscenza stratificata dell’animo umano, grazie anche all’antroposofia che ha saldato in lei la dote d’interprete saggia e delicata di desideri e necessità che nascosti dentro l’animo giungono fuori a vestire il corpo. Or dunque, Cettina Bucca, come Italo Calvino, è giunta alla certezza che sì, le fiabe sono vere: sono l’occasione pregiata per scoprire la nostra identità, decifrare gli indizi che i mondi di fantasia ci offrono per superare le prove che il mondo reale ci presenta, e così per abbracciare il nostro destino con consapevolezza. E bellezza: sempre.  
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La collezione “Fiabe”, dunque, offre la possibilità di vestirci di questa stessa certezza e di gustarne i benefici dalla pelle alle emozioni: iniziando dal sollazzo delle illustrazioni, nate da disegni e pitture originali perché ideati nel mondo di Cettina Bucca, divenute stampe che ritraggono animali ed oggetti fiabeschi, scarpette cenerentolesche, il grillo parlante e l’oca, specchi magici e piante fatate, e li distribuiscono su abiti morbidi che scendono fin quasi alla caviglia. Il Bianconiglio si tramuta nel pattern protagonista sull’abito chemisier, stesso destino spetta alla volpe ritratta come miniatura giocosa, mentre l’happy ending d’amore del principe che salva la principessa cavalcando il bianco destriero si svolge sul nero velluto elegante.
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Sempre loro, i grandi protagonisti delle fiabe e innanzitutto delle nostre vicende interiori, tornano sui pullover realizzati a mano: la principessa, specchio delle emozioni bramose che prendono il sopravvento e conducono nei guai, e lil principe, ovvero l’io che si ricongiunge alle emozioni per salvare l’armonia.
È una storia di armonia anche la scelta della palette: che per la prima volta accoglie il nero a simbolo del buio malefico e il bianco segno di luce benefica, messi a contrasto reciproco e orchestrati col rosso luminoso della gioia di vivere, il verde brillante e il turchese del cielo, il rosa e il violetto genziana che son i gusti tocchi fatati.
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Le stoffe continuano a raccontare una storia di naturalezza sostenibile: velluti lisci e a coste, viscose, sete, lane mohair e alpaca, cotoni invernali, insieme alle palette luccicanti come bagliori di magia. Le silhouette continuano a narrare una storia di sincerità verso la ricca complessità della personalità femminile: abiti dagli ampi volumi, dalle strutture consistenti o arricchite di tulle e balze per chi ama sentirsi principessa, capi più asciutti e brevi per chi desidera un’altra fiaba, e per tutte la sveltezza dei pantaloni dritti, e la morbida avvolgenza nei capispalla esatti ma col piccolo vezzo delle tasche staccabili.
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Tra le Fiabe narrate nella collezione a/i 20-21 compaiono due nuove, bellissime storie: i foulard in pura seta che raccontano fiabe uniche attraverso stampe originali e ricche di colori brillanti, e le calzature realizzate in armonia bellissima con Sergio Amaranti, anch’esso marchio d’eccellenza e mondo di stile generoso verso la femminilità. Una sinergia da cui han preso vita stivaletti e décolleté dal tacco ricurvo, slip on e ballerine, in pelle e nello stesso velluto stampato degli abiti, con lo stesso stupore fantastico dei particolari unici e mai uguali.
Se il viaggio di Calvino nelle fiabe era terminato con la compiutezza del libro, il nostro grazie alle Fiabe di Cettina Bucca è appena iniziato: buon viaggio fiabesco a tutte!
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Bona Calvi: l’orafa che narra il fascino del quotidiano in miniature
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Accarezzano il sentimento della meraviglia con dolcezza e giocosità i gioielli nati dalle mani felicemente operose e dall’innamoramento per l’arte orafa di Bona Calvi: già solo a guardarli regalano il sorriso desideroso di indossarli. Ma regalano anche la conferma rassicurante che riporre la fiducia nell’artigianato come maestro di tecniche antiche e come mestiere da modellare a misura della vita contemporanea, è ancora e sempre una scelta buona e giusta.
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Ecco, Bona Calvi racchiude nella bellezza speciale dei suoi piccoli capolavori preziosi proprio queste virtù: il talento sorprendente di saper lavorare la materia metallica con finezza certosina, e con il desiderio di dare vita a creazioni che compongono un racconto semplice, popolato da forme ordinarie, animali, piante, fiori e oggetti, che abitano il nostro mondo quotidiano. Ma che Bona Calvi tramuta in miniature straordinarie che affascinano il nostro gusto in un baleno!
La storia di Bona Calvi è breve ma intensa, perché giovane ma densa di concretezza determinata e rivelazioni che hanno il sapore della fiaba: a Milano, Bona nasce nel 1989 e resta, in una sorta di fedeltà che le dà piena ragione. Perché è all’Accademia delle Belle Arti di Brera che studia scenografia per poi accorgersi, grazie al lavoro in un laboratorio specializzato in conservazione e restauro di antichi strumenti scientifici, che la dimensione vera che la anima di soddisfazione ha a che fare con le mani che lavorano i metalli e con l’intenzione di vivere del suo saper fare.
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Ed è quindi alla scuola orafa ambrosiana che salda, letteralmente, questa predilezione e vive una seconda, fondamentale illuminazione: è la tecnica antica della cera persa lo strumento ideale che le consente di modellare le sue ispirazioni in forme plastiche sospese tra sogno e realtà. Ed è nel cuore di Milano che Bona Calvi stabilisce il cuore della sua attività: nel laboratorio di di via Stampa 8, dove accade ogni fase del percorso di creazione, dal disegno del bozzetto alla modellazione paziente di ogni dettaglio anche il più sottile e minuscolo, che dalla cera si trasferisce su oro, argento e bronzo e s’impreziosisce di pietre e perle. 
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Perché quelle di Bona Calvi son autentiche micro-sculture delle realtà: o meglio, son miniature fedeli all’apparenza oggettiva, e al contempo leali all’immaginazione di Bona stessa e alla sua sensibilità generosa a soddisfare i desideri della sua clientela.
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La sua è dunque una collezione che pian piano si popola di nuovi protagonisti: che dal mare esotico, dalla lontana savana o dal parco vicino a casa diventano anelli, orecchini e ciondoli, come accade per le alici dagli occhi di pietre brillanti, la balena, il polpo e il granchio, la giraffa e l’elefante, il serpente che può abbracciare le dita o cingere il polso, il bradipo e l’orso, la rana che stringe tra le zampe una perla, il coccodrillo che la rincorre lungo la catena, le coccinelle dal corpicino di pietra colorata, i pesciolini appesi ai cerchietti degli orecchini.
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Ci sono anche gli inseparabili, come i pappagallini che si guardano vis-à-vis nell’anello aperto, o come gli oggetti che nel quotidiano funzionano a coppia: teiera e tazzina, e la bottiglia di vino col suo calice. Quelli di Bona Calvi son micro-mondi pregiati: sono gioielli che come un lessico familiare raccontano storie, quelle dell’orafa che a loro da vita, e quelle personali di coloro che li scelgono per affinità elettiva.
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Loredana Roccasalva p/e 20: tutte le donne son “Santuzze” da celebrare
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C’è qualcosa che brilla immediato nelle creazioni di Loredana Roccasalva: e tal bagliore arriva prima del suo talento sartoriale custodito sin dalla giovane età, nutrito dalla formazione eccellente, e maturato nel tempo con la cura profonda della costanza artigiana e della passione sempre vigorosa verso la manualità sartoriale allacciata alla ricerca del nuovo. Arriva ancor prima anche della sua abilità di conciliare gli amati contrasti con la stessa leggiadria sapiente di un gesto di giocoleria: come quando fa decantare l’amore sconfinato per la sua terra siciliana per distillarlo nel gusto della contemporaneità, o ancora come quando sa far risplendere tesori di tradizioni e decori dal passato incastonandoli perfettamente nel nostro presente più minimale.
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Ecco, quel che più brilla immediato dai suoi abiti è il dono di Loredana Roccasalva per la sensibilità. Ogni nuova collezione, infatti, è una nuova occasione felice di ricevere una storia tra cultura antica e attualità narrata in ogni dettaglio delle creazioni, ma non solo: perché intessuto nelle trame aggraziate della stoffa, Loredana aggiunge sempre un messaggio di grande forza rivolto a migliorare con grinta realista la nostra quotidianità.
Quella di Loredana Roccasalva è un’ispirazione creativa che diventa l’intenzione concreta di restituire bellezza autentica laddove rischia di venir deturpata.
La p/e 2020 rinnova quest’attitudine nobile, non in senso d’opulenza naturalmente, bensì di nobiltà di cuore, proprio come fosse un rito: e a ben vedere tale definizione rituale si rivelerebbe ideale, dato che il tema fondamentale della collezione aggancia le radici nelle figure iconiche delle tre “Santuzze” siciliane, e da lì sboccia e fiorisce in una dedica alle donne tutte.
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S’intitola proprio così, “Santuzze”, prendendo in prestito l’appellativo affettuoso con cui il popolo siciliano onora da secoli le sue tre icone protettrici: Sant’Agata, patrona di Catania, Santa Lucia patrona di Siracusa, e Santa Rosalia patrona di Palermo. Ma attenzione, please, perché è qui che il rischio di un’appiattita celebrazione folkloristica si scioglie, invece, nell’intuizione accogliente: oltre la santità gloriosa che le ammanta, le tre icone custodiscono anche l’identità umana di tre giovanissime donne che hanno subìto e affrontato le asperità di un terra storicamente non propensa ad esaltare la figura femminile, una terra verso la quale hanno comunque riversato la loro bontà miracolosa.
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Ebbene, la femminilità tutta è fatta di quella stessa sostanza delle “Santuzze”: donne che quotidianamente affrontano la matassa di difficoltà e sacrifici per compiere il miracolo di essere se stesse, nella veste sociale di professioniste, di figlie, di madri e di sorelle, ma anche e soprattutto nella veste personale della propria unicità. Ecco, dunque, che la celebrazione di Loredana Roccasalva inizia proprio dalle Santuzze: delle quali riporta l’effigie sulle magliette, ma a modo squisitamente suo, naturalmente! Ovvero, grazie alla collaborazione pregiata con Rosa Cerruto, illustratrice e architetto, che le ha ritratte nel suo stile distintivo deliziosamente pop: nella loro nuova versione, i ritratti delle Santuzze son stati riportati sulle  T-shirt in cotone biologico.
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La celebrazione, naturalmente, prosegue e abbraccia tutte le donne, vestendole di capi che son una versione rinnovata dei capisaldi classici prét à couture firmati Loredana Roccasalva: le gonne ampie che racchiudono la figura come fosse raccolta in una corolla; i giochi di volumi che se nel minidress e nei pantaloni son asciutti e netti, nelle spalle si compongono in strutture geometriche e poetiche come origami; l’abito fluente e fiorito fatto di un tessuto innovativo realizzato in tulle e fiori sagomati con taglio laser e cuciti a mano; le stolkap, l’ibrido di stola e cappa, che sono un capolavoro di combinazione tra la geometria giapponese, l’indossabilità multipla e la ricchezza materica, i colletti che son veri gioielli, i guanti senza dita ricamati e i cerchietti arricchiti dai bottoni antichi.
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Il racconto della storia siciliana scorre anche attraverso i materiali splendidi: il cotone biologico, genuino come l’artigianalità isolana, le tele di cotone corposo, la seta pregiata, il tulle ricamato che sembra provenire dalle velette di donne le cui storie di vita ed eleganza quotidiana son state racchiuse per lungo tempo dentro ad un baule, finché la loro bellezza non è stata nuovamente indossata. Anche la palette colori partecipa al racconto: pochi cenni vividi di giallo lime, dell’arancio caldo del sole al tramonto e del turchese delle acque brillano sulla coppia del bianco e nero, fatta del bianco delle spiagge assolate, e del nero grafico delle tappezzerie di antichi divani decadenti, delle geometrie dei pavimenti in pietra pece, della materia lavica.
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Ad onor di cronaca, la sensibilità di Loredana Roccasalva non si chiude nella poesia della collezione, ma in questo momento storico di grave difficoltà sociale collettiva, ha confermato la sua forza solidale: e quelle mani, assieme alle macchine, che han realizzato abiti e accessori, hanno subito convertito la produzione per sopperire alla mancanza di mascherine d’uso quotidiano, e per supportare la lotta al coronavirus dell’Ospedale Centrale di Modica, città d’appartenenza dell’atelier e della sua amorevole titolare.
Voilà: il bello e il buono della creatività!
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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atelier 7|12: gioielli unici fatti di semplicità, cuore e magia
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“I miei gioielli sono nati con l’idea di essere scelti e indossati come porte-bonheur: offrono positività, bellezza e semplicità. Li indossano donne con gusti diversi, e tutte dicono di sentire un legame speciale con loro: spero che un po’ di magia ci sia davvero!“
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Questa che narra è la voce di Annalisa Morzone: probabilmente non siete avvezzi a riconoscerne l’identità, ma di certo sapreste riconoscere quando il suono della sua voce di giovane designer si trasforma in messaggi incisi su gioielli di grande semplicità, proprio come fossero essenziali supporti preziosi, la cui missione è condensata in quelle parole scritte per essere indossate anche con l’anima.
Annalisa è colei che forgia con mani allacciate alla passione questi gioielli, nel del suo piccolo mondo ribattezzato con un nome che suona come un codice, proprio per accarezzare la curiosità con la suggestione del pizzico magico del mistero: atelier 7|12.
Et voilà il segreto racchiuso nel nome: conoscerlo è l’opportunità di godere di una guida gentile per scoprire le sfumature celate nel fascino autentico delle creazioni, e nelle ispirazioni narrate dalle incisioni: “Ho pensato all’atelier come a un luogo in cui creare e sperimentare: il luogo della libertà di espressione. Il 7 e il 12 due numeri fortunati: mi piace dire che sono due numeri su cui puntare, su cui io ho scommesso e nei quali ho creduto.
La buona sorte, la fortuna, quel sapore di magia che vorrei che trasmettessero i miei gioielli volevo fossero presenti già nel nome un po’ misterioso”. Il brand 7|12 è la meta felice di un percorso che inizia con la laurea in Disegno Industriale alla facoltà di Architettura, prosegue con lo studio in comunicazione per l’arte contemporanea a Brera, compie i primi passi professionali tra case editrici e gallerie d’arte, e poi vira accogliendo il richiamo autentico della creatività, e il desiderio di un progetto personale che la esprimesse, e facesse tesoro delle esperienze in progettazione e scrittura acquisite.
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“Ho semplicemente assecondato la mia vena creativa: fin da bambina sono stata attratta dai bijoux, dagli amuleti luccicanti dei marchés aux puces, ho sempre disegnato molto e creato con le mani. Non sono orafa di formazione: non è stato facile ma ho approcciato questo lavoro con la testa di chi ha avuto esperienze in settori diversi, senza troppe conoscenze tecniche ma con un senso del progetto e del lavoro che mi ha aiutato ad avere uno sguardo lungimirante e ambizioso. Ci sono molte persone che mi hanno aiutata e che devo ringraziare: io ci ho messo il cuore e tutta me stessa. Questo significa che la leggerezza con cui mi esprimo attraverso i miei gioielli è una scelta ben consapevole, e che la mia idea di bello ha radici apparentemente lontane”.
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Se la chiamate ‘artigiana’, Annalisa vi risponderà con la sua umiltà generosa che no, “io ho una visione molto alta dell’essere artigiano e non mi corrisponde. Mi sento sicuramente una designer, perché il design fa parte del mio percorso, e la parte creativa e di progetto mi danno più soddisfazione”. Ma, come per gli artigiani, sono le sue mani a creare ogni gioiello, alcuni con la tecnica della cera persa, altri, quelli che son forieri di messaggi scritti e simboli brillanti, tramite l’incisione dalla lastra, che sia d’ottone, in oro o argento: “qui il lavoro è più semplice, vincono la semplicità e l’idea”.
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Quella praticata da Annalisa è la semplicità come la intenderebbe il grande Bruno Munari, ovvero: “complicare è facile, semplificare é difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare. Per semplificare bisogna togliere, e per togliere bisogna sapere che cosa togliere […] Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità”.
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Ed ecco, infatti, che anche le collezioni si sviluppano con lentezza saggia: non si rinnovano del tutto, ma mantengono l’essenzialità e la evolvono con nuovi messaggi e nuove forme, con lo splendore dei diamanti e la luce dell’argento, con le pietre colorate, corallo, turchesi, agata, ametista, pirite, quarzi, le medagliette da appendere al collo e ai lobi, i bracciali che avvolgono il polso, le stelline che  guidano il cammino. Assieme alla semplicità, vince di certo, anche quella lieve sensazione di magia che nei gioielli 7|12 ti fa sentire accarezzata dall’intento buono di trasmettere la positività porta-fortuna attraverso la bellezza preziosa. Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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PLV Milano: i bijoux con dentro messaggi da custodire
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Basta nominarlo, e ancor prima di indossarlo il cuore si scioglie in gioia. Suona come una ricetta per la felicità, ed in effetti nella sua sostanza più preziosa, ovvero il messaggio che custodisce nel cuore di metallo pregiato, lo è davvero. Invece è un bijoux: quello più iconico tra le collezioni, quello più rappresentativo di questa che è una storia bella di imprenditoria giovane, femminile e italiana, fatta con la giusta combinazione delle dosi di ingredienti complementari per dare concretezza efficace ad un progetto nato da un’illuminazione improvvisa e semplicissima: passione vera, intuito saggio, genuinità costruttiva, competenze lungimiranti, generosità accogliente.
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Ogni dose ben precisa, soprattutto quella che riguarda l’ingrediente dell’amore, il motore dell’abilità di trasformare i sogni in realtà: di amore, nel fare e vivere le cose, ne son necessari almeno 10 grammi al giorno. Gli indizi sparpagliati in quest’introduzione dovrebbero aver già guidato l’intuito verso la soluzione: questa infatti è la storia di PLV Milano, il brand che innanzitutto è le due giovani donne, le cugine Laura e Veronica, che lo hanno fondato e che oggi continuano a condurlo sulla strada del successo conquistato.
E che è la sua creazione più celebrata: i “10 grammi d’amore”, assieme a tutte le persone che dal primo giorno in cui avvenne la folgorazione creativa, continuano ad innamorarsi delle collezioni e a lasciarsi ispirare dalle storie che ci sono allacciate dentro.
Un brand che è l’acronimo di tutto ciò che racchiude: “in realtà è nato per caso, urgeva darci un nome, ci piaceva l’idea che all’interno ci fossero le nostre iniziai, L e V, poi un’amica ci suggerì la parola Pulse intesa come forte passione e ci è piaciuto, per racchiudere la nostra passione per il bello e il mondo della moda e dei bijoux. Milano è per ringraziare la città in cui siamo nate e che ogni giorno ci mette di fronte a sfide ed opportunità nuove”. 
Anche i bijoux nascono in modo inaspettato, come tutte le cose semplici che hanno il guizzo dell’intuizione brillante: “PLV Milano è nato nel 2012 con l’aiuto un ingrediente fondamentale, la fortuna. Laura era in maternità e io lavoravo da poco, ma per quanto mi appassionasse mi sentivo oppressa dall’entrare in ufficio la mattina ed uscirne la sera, sentivo il bisogno di fare qualcosa di manuale e creativo, cosa che mi ha sempre accompagnata. Mi iscrissi ad un corso serale di sartoria alla Naba, dove ho imparato a creare cartamodelli, tagliare tessuti e cucire, tra cui una gonna a ruota per l’esame finale: ricordo che corsi in merceria ad acquistare del gros grain ricamato per il cinturino e lì mi innamorai di alcune “code di topo” (dei cordini in seta) e di una catena di cristalli luminosissima. Feci così il primo bracciale, che ho ancora, base arancio e filo in cotone viola, la sera lo indossai e uscii con delle amiche: spopolò, si sparse la voce fino ad ottenere talmente tanti ordini da chiamare Laura e chiederle se le andava di aiutarmi a far crescere questa piccola idea. Da lì è stato un susseguirsi di casualità bellissime e fortunate, in breve tre negozi ci contattarono per avere i nostri bracciali, aprimmo la partita iva per far diventare più concreto il nostro sogno, e poi la magia vera: Chiara Ferragni ci indossò in vari scatti tra Milano e Barcellona, e da lì fu il boom!”.
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La nascita del pesetto pieno d’amore è altrettanto spontanea: “per dare più concretezza al nostro progetto decisi di fare il corso di oreficeria professionale alla Scuola Orafa Ambrosiana, sempre a Milano. Stava arrivando il periodo natalizio e io dovevo portare dei pezzi in cera a fondere in argento: la forma del pesino della bilancia da orafo mi aveva sempre colpita, lo trovavo molto buffo, e decisi di fonderlo in bronzo. Trovai la frangia di una borsa che si era staccata e la accostai al pesino, mi piacque un sacco. Chiamai Laura per parlargliene dopo averle mandato la foto via messaggio: non fu convintissima dell’accostamento ma le venne la geniale idea di chiamarlo “10 grammi d’amore” e che dovevamo unirci una storia, qualcosa che desse un significato a quella forma. Io le suggerii l’idea del bugiardino e  lei durante la notte ‘partorì’ le frasi -cioè la ricetta con le indicazioni terapeutiche e il dosaggio amorevole- del nostro cartoncino. Fu un successo!”
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E lo è ancora un grande successo, quel pesetto protagonista di collane, bracciali e orecchini, accompagnato da piccole frange soffici che son tocchi di allegria colorata, infilato in una provetta da laboratorio farmaceutico a ricordare la storia vera di Veronica, laureata in farmacia e che negli anni si è occupata di sperimentazione in una grande multinazionale prima di scoprire che il suo destino, insieme a Laura, laureata in economia e con una grande esperienza nel trade marketing di multinazionali, fosse quello di creare bijoux che raccontano storie e diffondono messaggi di positività gentile.
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Et voilà la formula segreta di PLV Milano: ogni creazione è completamente made in Italy, come l’artigianato autentico insegna, ed ogni collezione custodisce storie ed immagini dedicate ad inebriare d’ispirazione chi le sceglie. Come “Io So Volare”, il motto inciso sulla medaglietta che accompagna il ciondolo a forma di aeroplanino di carta e la frangina in cotone thailandese, a decorare collane e bracciali in argento 925 bagnato in oro rosa o bronzo rosa, che raccomanda di non dimenticare mai che “solo chi sogna può volare”; e per suggellare ulteriormente l’appello c’è anche la collezione “Sogno”, dove appesa ad una catena sottile brilla una stella che si appaia ad un ciondolo unico creato con i vetrini di mare sabbiati e una piastrina anch’essa cosparsa di stelline, quelle da impugnare per disegnarci sopra i propri sogni e farli brillare. Grazie PLV Milano della vostra generosità preziosa!
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Bav Tailor: Vikasa, la vita è evoluzione, la bellezza è sostenibile
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L’incontro con Bav Tailor è una di quelle occasioni rare e pregiate in cui la moda compie un piccolo autentico miracolo concreto: condensare in un progetto di stile la bellezza caleidoscopica che ha che fare con l’eleganza dell’apparenza e il lusso materiale della sostanza, ça va sans dire, con ma anche con l’etica generosa e profondamente consapevole rivolta a preservare il benessere della natura del mondo e delle creature tutte, animali e umane.
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E, dettaglio che in questo caleidoscopio s’incastona come una pietra preziosa: ci condensa dentro anche il percorso di vita, di spirito e di creatività ricca della sua fondatrice. In una parola, evoluzione: e la collezione p/e 2020 “Vikasa” ne è la sua celebrazione.
Un viaggio costante, profondo, sorprendente, felice: un destino, quello della moda consapevole, che in Bav Tailor nasce già nel suo cognome, quel “tailor” che in inglese ha a che fare con la sartoria, il mestiere esercitato con passione e saggezza anche dai suoi nonni, si aggancia alla sua biografia di londinese con le radici innestate nella cultura indiana così sensibile alla connessione con la Terra, si nutre di uno spirito nomade che grazie ai viaggi tra terre e genti differenti la rende così sensibile all’umanità intera, e si afferma nella scelta rigorosa di un progetto strutturato a 360° nella sostenibilità.
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Bav Tailor il brand è un inno concreto all’importanza essenziale del benessere inteso come armonia, che nel linguaggio della moda diventa cura profondissima della relazione virtuosa tra la persona e l’abito che indossa: i materiali che fondono la migliore naturalezza certificata all’avanguardia della ricerca e all’eccellenza della sartorialità, linee e forme studiate per rispettare la libertà del corpo e valorizzare il piacere profondo della sensorialità.
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Bav Tailor la giovane e talentuosa fondatrice è colei che con il suo viaggio di vita scandisce i capitoli della sua moda rappresentati nelle collezioni: e con la p/e 2020 celebra con gentilezza e condivisione il valore del ciclo perpetuo di nascita e crescita, di quel concetto a tratti insondabile eppur imprescindibile che è l’evoluzione individuale.
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In sanscrito “Vijkasa”: traduzione di “evoluzione”, che è anche il titolo della collezione in cui l’omaggio grato al rituale di venire al mondo e fiorire, di affidarsi con amore e pazienza al proprio destino ascoltandosi dentro e fidandosi delle leggi della natura è narrato attraverso capi che già nei nomi portano con sé il valore materiale e spirituale di cui son plasmati.
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Nell’incanto morbido e nella leggerezza fluttuante dei capi fa il suo ingresso il Dvaita Leaf Top: “Dvaita” a significare il concetto di dualismo, che qui diventa la versatilità d’uso, e “leaf” come la foglia che ricorda nella forma, ma anche le foglie vegan ed eco-compatibili, raccolte in aree sostenibili e derivate da fonti rinnovabili di cui si compone l'innovativo materiale Green Leaf di cui è fatto. Dalle foglie ai petali, quelli delicatissimi della rosa di cui è composto il morbido cotone organico della Lokya Cube Shirt, che nel nome promette il regalo prezioso della libertà del corpo che lo abita e della mente che lo percepisce.
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L’eccellenza del lusso sostenibile è la sostanza di cui è composta il must-have, la tuta Shakti Leaf, impreziosita da un foulard in foglia 3D sperimentale: l’apparenza eterea proviene dalle sete riciclate italiane e rifinite con seta giapponese Garza o eco-piume e seta certificata Wastemark, e di cui è fatto il Lokya Bloom Dress in cotone biologico in appaiata al Prana Bloom Coat, che attraverso l’ispirazione alla decostruzione giapponese dona un’interpretazione tridimensionale della fioritura. La palette colori è uno straordinario amplificatore della dedizione al benessere: le sfumature acquamarina, malachite verde, ematite grigia e giallo sole provengono dai cristalli  e dai materiali della terra. La collezione si completa con il debutto delle calzature: il sandalo Vikasa realizzato da artigiani toscani.
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Un’alchimia di design contemporaneo e devozione alla sostenibilità virtuosa che ha accolto Bav Tailor tra i brand finalisti della rassegna Who’s On Next? 2019 all’appena trascorsa edizione estiva di AltaRoma: congratulazioni Bav! Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Montegallo a/i 19-20: il cappello, questione di ragione e sentimento
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“Tutti vanno a cavallo o usano il treno, ma il modo assolutamente migliore di viaggiare è a cappello”, disse il Cappellaio Matto all’Alice immersa nella Wonderland immaginata da Tim Burton: e queste parole, che sembrano poggiate qui come citazione comoda ad introdurre un racconto di cappelli, in realtà intrecciano al loro interno una combinazione di coincidenze sorprendenti!
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Anche in questa nostra storia c’è una protagonista di nome Alice, che del cappellaio ne ha fatto il mestiere posto al centro del cuore suo e del brand, e che dell’azzardo matto a scriversi le proprie regole ne ha fatto il motore appassionato del successo del suo Montegallo: un marchio, certo, ma soprattutto un mondo che a sua volta dischiude mondi storici, geografici, artigiani, di stile e di sentimenti. Ed anche di viaggi, tanti e suggestivi: tutti racchiusi nei modelli della collezione a/i 2019-20!
Quella di Montegallo, il paesino marchigiano, è una storia che inizia secoli fa: nelle mani contadine, che allora intrecciavano gli steli di grano scrivendo tra i gesti delle dita le regole dell’arte antica di forgiare cappelli da indossare nei campi per ripararsi dal sole. Quella del brand Montegallo, di storia, nasce solo tre anni fa, nel 2016, quando la sua fondatrice, Alice Catena, scopre quest’arte antica, se ne innamora e al contempo intuisce bene che è il momento di riportare il cappello di paglia protagonista dello stile contemporaneo: sì, proprio il cappello di paglia classico, realizzato rigorosamente da maestri cappellai in ogni sua fase, dalla raccolta degli steli del grano Jervicella all’intreccio, fino alla cucitura e alle decorazioni.
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Dopotutto, il cappello è già dentro la storia di Alice Catena sin dall’infanzia incastonata in quel paesino bucolico che condivide il nome con il suo marchio, Montegallo: era una necessità per la salute, come il buonsenso insegna, ma anche un accessorio di bellezza fondamentale. Oggi il cappello, per Alice Catena, è ancora un accessorio che soddisfa la ragione che richiede protezione per la testa, ma è ancora e sarà sempre una questione di sentimento, che ha preso la dimensione di collezioni composte da cappelli pregiati che intrecciano la tradizione artigiana e il gusto contemporaneo stiloso, eclettico, appassionato, affascinante e sorprendente.
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La collezione a/i 2019-20 ne è una nuova felice conferma: ogni modello è un invito suggestivo al viaggio,  dal sogno californiano con lo stile cowboy al Messico con indosso un sombrero, dalle pampas in groppa al cavallo con su un modello da gaucho, allo chic dell’intramontabile Fedora, allo charme del feltro romantico, all’eleganza intensa del modello Pamela alla novità delle trecce di lana pura che formano il berretto e la cuffia-sciarpa da indossare da sola o sotto il cappello, per aumentare la protezione, ma anche il fascino.
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A proposito di materiali: assieme alla lana ci sono i pregiati lapin, gli Harris Tweed… e l’immancabile paglia, perfetta anche per l’inverno dato che mantiene il calore del corpo, nonostante l’immaginazione la allacci frettolosa all’estate. A proposito di modelli, assieme ai cappelli ci sono anche le borse: meravigliose, nel senso letterale del termine, perché la loro foggia inaspettata tondeggiante eppur così elegante, dove la paglia intrecciata si appaia con il montone, la lana e la pelle, meravigliano il gusto e nutrono il desiderio.
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Cettina Bucca a/i 19-20: “Liber”, i libri liberano le emozioni 
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L’incontro con Cettina Bucca e le sue collezioni è un appuntamento, sempre felice e sempre sorprendente, con la gioia generosa: la gioia del sorriso di una stilista che è innanzitutto una donna con una mente colta e un cuore ricco spalancato sul mondo, e che per questo è una stilista che ha cucito, con la stessa cura d’artista sartoriale che dedica agli abiti, l’amore per la moda sulla sua anima. E su quella dei capi a cui da vita. E sull’anima delle donne che con la sua moda veste.
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Et voilà, che ogni nuovo incontro con le collezioni di Cettina Bucca è un appuntamento sempre inaspettato con un’ispirazione che non proviene da una caccia affannosa nei labirinti della creatività esibita, ma giunge dalla semplicità preziosa della vita quotidiana, anzi delle piccole gioie inestimabili della vita quotidiana.
Ecco spiegata la gioia generosa della sorpresa, come accade nella collezione a/i 2019-20.
Che è un invito ad un viaggio speciale, quello a riscoprire l’amore per la lettura dei libri (nell’era della moltiplicazione delle specie dei contenuti è meglio specificarlo). Quali? Beh, la collezione s’intitola “Liber”: e se anche non è letteralmente una raccolta di tomi rilegati, è di certo una raccolta di spunti narrata in stoffe, stampe e colori!
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Qui, nei capi, in ogni minuzioso dettaglio sartoriale che li plasma, dentro alle trame dei tessuti pregiati, sempre eccellenti, sempre speciali perché organici e lavorati attraverso una filiera virtuosa, si dispiegano anche le trame delle storie che gli abiti narrano. Le creazioni di Cettina Bucca sono storie di femminilità che si scrivono sul corpo che l’indossa, canovacci di vite intrise di emozioni intense, vive, poetiche, testardamente allacciate alla realtà concreta vissuta ogni giorno, ma anche libere di innalzarsi nel cielo limpido dell’immaginazione che accoglie i sogni fatti della stessa sostanza della bellezza.
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La bellezza consapevole: la donna di Cettina Bucca non è racchiusa in un modello, ma è aperta ad accogliere qualsiasi animo femminile desideri innamorarsi dell’abito che, a sua volta, l’accompagna ad innamorarsi di se stessa, e da lì a scrivere la sua storia. 
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Nella “Liber collection” al posto di carta e penna ci sono le stoffe, che disegnano modelli su cui creano giochi di pesi e consistenze: le lane pure e i velluti, di soprabiti e abiti che avvolgono morbidi la figura richiamano suggestioni dagli anni ’50 e ’60, per poi piombare a terra scorrendo sulle linee del corpo con la sveltezza tipica degli anni ’70, gli stessi da cui proviene la memoria dei pattern a grandi quadrati, che esaltano la leggerezza delle sete e degli chiffon degli abiti che proteggono, anch’essi spesso lunghi, così delicati eppur assertive della femminilità che li veste.
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Le storie si dipanano via via nei colori: caldi come le copertine collezionate in schiera su scaffali affettuosi, quindi color marrone, ruggine, cammello, rosso intenso e giallo luminoso, ma anche freddi, pur sempre accoglienti, blu e azzurri che rispecchiano il mare e il cielo della Sicilia da cui provengono, il rosa della tenerezza e il viola deciso. E il mélange delle tinte a comporre la stampa che l’ispirazione la racchiude tutta: quella che tratteggia un’infinità di libri, infiniti come le storie di femminilità gioiosa delle donne abbracciate dalla creatività appassionata di Cettina Bucca.
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Loredana Roccasalva: gli abiti sono occasioni sartoriali d’incontro
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“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso: ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto”: il grande poeta inglese John Donne perdonerà l’azzardo del prestito di queste sue parole che scrisse una buona manciata di secoli fa, ma mai affermazione fu più adeguata per accompagnarci a conoscere il pregio generoso dell’intenzione che s’intreccia alla materia eccellente della nuova collezione di Loredana Roccasalva per la prossima stagione Autunno-Inverno 2019-20!
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Affinità elettive non solo poetiche, ma innanzitutto biografiche: per Loredana Roccasalva, fondatrice e cuore stilistico del brand con cui condivide il nome di battesimo, l’isola in questione non è solo un’immagine metaforica, ma è anche quella che accoglie le radici della sua identità, di donna e di stilista, ovvero la terra siciliana, modicana per l’esattezza.
Ma anche se le radici sono infilate letteralmente sull’isola, le fronde della creatività di Loredana crescono, si espandono determinate e curiose a osservare cosa accade oltre l’orizzonte conosciuto della tradizione locale: l’arte stilosa che nutre l’anima talentuosa e le mani sagge di Loredana Roccasalva, infatti, da sempre posa il suo sguardo sul continente vasto della società, delle persone variegate che la abitano, dei loro guardaroba che necessitano meno vestiti standardizzati e più abiti allacciati all’animo oltre che al corpo che li indossa.
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E la collezione Autunno-Inverno 2018-19 è una celebrazione rinnovata a questa dedizione sociale attraverso l’arte sartoriale! Le creazioni della collezione sono infatti una declinazione felicemente personale dell’arte relazionale: come fossero degli itinerari sensoriali, i capi sono pensati per vestire, certo, ma anche per essere un invito a superare l’isolamento e a riscoprire la meraviglia spontanea dell’incontro. Come? 
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Osservateli bene: gustate pure la piacevolezza ricca della manifattura eccellente, che della sartorialità artigianale di Loredana Roccasalva è la cifra distintiva. Ed ora lasciate che alla contemplazione dell’esattezza si aggiunga il gusto curioso della scoperta imprevista dell’imperfezione: li vedete quei fili che sembrano lasciati lì per distrazione sugli orli delle gonne e sui perimetri degli abiti? Non sono errori, bensì sono le strade sulle quali incamminarsi per andare alla scoperta dell’altro, pretesti sartoriali per innescare il dialogo, geografie sul tessuto che tracciano la via dell’incontro.
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Gli abiti della collezione Autunno-Inverno 2019-20 di Loredana Roccasalva, infatti, chiedono di essere avvicinati: invitano con garbo e familiarità ad essere esplorati su quegli orli vivi e vitali, a soffermarsi per far giocare i fili tra le dita che pendono dalle lane lavorate a telaio, per coccolare tra le mani le protuberanze soffici del macro-cardigan, a tirar fuori la gentilezza sorridente e attenta anziché la sveltezza superficiale della fretta, per chiedere a voce curiosa come mai sono stati lasciati liberi di fluttuare nell’aria sul confine di un abito di qualità palesemente sartoriale.
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O come ci sono finiti tutti quei pannelli di tessuti diversi a formare un cappotto che sia lui che lei può indossare? Il regalo che quest’invito a varcare il confine dell’isolamento frettoloso riserva a chi lo, accoglie indossando gli abiti o incontrandoli, è di certo assai sorprendente: la rivelazione dell’incontro spontaneo.  L’incrocio possibile di storie di vita: è la scoperta che la bellezza si accoccola nell’imperfezione, smussa gli spigoli respingenti dell’esattezza eccessiva e apre lo spazio per la conoscenza reciproca.
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Per concludere, potremmo chiedere un ulteriore prestito poetico e allacciare letteralmente il filo con un’artista che ha abitato l’ispirazione di Loredana Roccasalva per questa collezione, ovvero Maria Lai. In occasione del suo intervento ambientale “Legarsi alla montagna” (Ulassai, 1981), sovvenendo alla richiesta di un monumento da parte del sindaco, l’artista parte da una leggenda locale e unisce, insieme ai suoi concittadini, una con l’altra tutte le case, e allaccia le case alla montagna franosa che incombe, con 26 chilometri di nastro azzurro: «Lasciai a ciascuno la scelta di come legarsi al proprio vicino.
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E così dove non c’era amicizia il nastro passava teso e dritto, dove l’amicizia c’era invece si faceva un nodo simbolico. Dove c’era l’amore veniva fatto un fiocco.» Complimenti dunque a Loredana Roccasalva, e al suo invito sartoriale ad allacciare fiocchi spontanei laddove il perimetro dell’isolamento sarebbe attraversato da un filo dritto e solitario.
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Caterina Moro: gli abiti sono una musica che suona per chi li indossa 
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Incontrare Caterina Moro la fashion designer, talentuosa ed entusiasta, ed incontrare le creazioni del brand che porta impresso il suo stesso nome e la sua stessa gioia creativa generosa e talentuosa, ecco: è un’occasione davvero speciale. Speciale perché intrisa di autenticità: nei vari veri sensi felici della parola!
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Per immergersi al meglio con tutta la piacevolezza consapevole in questo nostro incontro condiviso è necessaria una doverosa presentazione, ça va sans dire: Caterina Moro, la stilista, è la giovane donna fondatrice, anima creativa, cuore appassionato e mente brillante del marchio omonimo, altrettanto giovane nel fashion world, nel quale ha fatto il suo ingresso con grazia e grinta solo una manciata di mesi fa. Ma all’interno del quale sta pavimentando la sua personalissima strada di successo non solo con le leggendarie buone intenzioni, ma anche con creazioni che agguantano con applaudita concretezza il gusto e il desiderio.
L’autenticità inizia già nella storia creativa personale: apriamo il bagaglio di esperienze di Caterina e troviamo un background inusuale, se comparato ad un’eventuale carriera tipica nella moda, ma la cui essenza atipica è proprio la forza che ne rende la sostanza unica. Tradotto in termini più immediati: nella formazione di Caterina c’è una densa presenza di musica classica. Et voilà l’ingrediente diverso, e per lungo tempo anche sofferto: una laurea in Musicologia, e un diploma di secondo livello in canto lirico presso il conservatorio di Santa Cecilia di Roma.
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Eppure, è proprio quest’educazione al bello musicale, all’armonia propria della musica classica che ha plasmato in Caterina un senso della misura peculiare, una spinta costante a sperimentare andando al fondo delle cose, per risalirne ad un ritmo che suona sulle note di Mozart ed Handel mentre la mente cerca l’ispirazione e la traduce in collezioni d’abbigliamento e accessori.
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Un’alchimia creativa speciale miscelata alla passione per la moda: ecco l’essenza alla base di una carriera inaugurata all’Accademia di Costume e Moda con un master in Haute Couture, e concretizzata in una dimensione costruita davvero su di sé, sulla visione personalissima, nuova e indipendente di uno stile sartoriale che non è né couture né industria, bensì è eccellenza di forma e sostanza applicata alla quotidianità femminile, e sublimata con il gusto per la sperimentazione.
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La collezione del prossimo Autunno-Inverno 2019-20 è una conferma rinnovata delle virtù dell’universo fashion di Caterina Moro: abiti e accessori ideati per nobilitare la vita quotidiana, per accompagnare le donne in ogni momento della giornata e in ogni variante di occasioni, per impreziosire la propria vita e la propria persona con una nuova visione di bellezza, dove la sofisticatezza è libertà dagli orpelli e dalle forzature, per divenire un inno felice al minimalismo.
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Le creazioni sono un gioco di equilibrismo tra semplicità delle linee e sofisticatezza dei dettagli, grazie anche e tantissimo alla sinergia con le aziende del Made in Italy, che per Caterina sono un valore nel quale ripone la sua fiducia appassionata e pienamente ricambiata.
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È grazie alla collaborazione con aziende come Imago Rola, che ha creato per lei il macro pied de poule della collezione, e Omnia Piega, eccellenza per la plissettatura in Italia, che si è offerta di sponsorizzare tutti i plissettati della nuova collezione, ed ha anche messo a disposizione i suoi bellissimi tessuti, studiati appositamente per la plissettatura, che Caterina ha ottenuto quei risultati straordinari che caratterizzano la collezione, come le gonne in denim plissettato, il check in 3D sull’ecopelle, il tacco in nappa plissettata del suo iconico tronchetto.
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A proposito di autenticità, lasciamo alla voce di Caterina Moro la bellezza di raccontare la sua moda: “immagino i miei abiti come una musica che solo chi li indossa possa sentire, e che costituisca un’armatura nei confronti delle bruttezze del mondo: non disegno per rendere le donne sexy, disegno per farle sentire speciali, e per metterle in condizione di fare cose speciali.  
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Progetto Quid s/s 2018: tutta la bellezza della moda buona
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A proposito di quel rapporto raro eppur così profondo che accade quando la moda abbraccia valori che sembrano quasi svanire all’orizzonte della frenesia contemporanea: quei valori antichi che abbiamo ereditato da generazioni così lontane nelle epoche storiche, eppure così preziosi ancora oggi che non li dovremmo abbandonare mai. Quei valori che, come fosse uno scrigno, sono racchiusi in un’accoppiata trionfante, da sempre: bello e ben fatto.
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Ecco, quando la moda ha la stessa sostanza di questo binomio eccellente, conoscerla, parteciparla, acquistarla, diventa un’occasione d’intensa importanza: e questa occasione ha un nome, Progetto Quid!
Ed ha una missione, che sembra quasi un azzardo, e per questo la sua presenza si fa ancor più intrigante e importante: dare forma al bello a partire dal buono.
Una prova del nove non da poco: scambiare gli addendi e ottenere un risultato di successo non è da tutti. È materia per pochi coraggiosi che assieme alla determinazione impugnano la passione testarda, e il desiderio imperterrito di far sì che un’idea imprenditoriale sia anche un gesto generoso nei confronti della comunità.
E la moda? Beh, in una storia di questo calibro la moda è lo strumento ideale: perché la moda è ricerca costante di bellezza esteriore, ma anche di ricchezza interiore quando è fatta con le mani che imparano il mestiere e lo applicano su tessuti di grande qualità, raccolti e salvati dalle eccedenze di produzione delle grandi aziende.
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Quella di Progetto Quid è una storia all’italiana, potremmo dire, ma in senso anch’esso buonissimo, un progetto nato dall’ingegno di Anna Fiscale, e subito condiviso con i suoi compagni di viaggio: creare collezioni di moda, sì, ma con quel “quid”, quel guizzo di diversità, che per loro significa fare del bene.
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Ovvero, significa fare del bene abbracciando i valori sociali: Progetto Quid, infatti, è nato per coinvolgere al suo interno persone messe in difficoltà dalla vita, ma che grazie a questa realtà entrano in un circolo virtuoso che nel frattempo le accompagna, con gli strumenti del mestiere e la serietà imprenditoriale, a riprendere il loro posto nella  società.
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E significa fare del bene all’ambiente: Progetto Quid è nato nel 2012, e durante gli inizi ridava valore e rivendeva i capi finiti ma invenduti di grandi aziende del territorio, mentre oggi assieme alla dimensione dell’azienda è cresciuta anche l’eccellenza del lavoro, e la creatività del team di Progetto Quid parte direttamente dai tessuti di rimanenza del miglior Made in Italy. Un impegno etico che, tra i vari riconoscimenti, ha anche ottenuto il Premio per lo Sviluppo Sostenibile 2017 promosso da Legambiente e da Ecomondo.
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Dove trovarlo? Oggi Progetto Quid è presente con cinque negozi monomarca sul territorio italiano, col proprio e-commerce e in numerosi negozi multi-brand che decidono di supportare il progetto e i suoi valori; inoltre, Progetto Quid crea anche capi e accessori per i partner, che solitamente sono venduti con doppia etichetta presso i loro punti vendita.
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Cosa scegliere? Beh, la bellezza dei capi di Progetto Quid è unica, nel vero senso della parola: essendo frutto di tessuti di recupero da eccedenze di produzione, le collezioni sono limited.
Intanto, immergetevi nella collezione s/s 2018: s’intitola “Stardust Collection” ed è un invito sartoriale a guardare il cielo e a trovare la nostra unicità che brilla in una stella, lassù, nell’alto della bellezza misteriosa e vasta; mentre quaggiù il clima mite ispira capi gentili con il corpo, esatti nella sartorialità delle linee, deliziosamente intriganti grazie ai tagli inaspettati che disegnano nuove geometrie delle forme, graziosi nelle stampe delicate che decorano le stoffe, pratici nella jumpsuit che è eletta il cuore della collezione.
Grazie Progetto Quid: c’è davvero bisogno di bontà nella bellezza!
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Giuliana Mancinelli Bonafaccia a/i 2018: i gioielli raccontano il jazz
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C’è la gioia dell’alchimia nelle creazioni preziose firmate da Giuliana Mancinelli Bonafaccia: sì, quella forma rara di talento mescolato alla passione instancabile che orienta la mente a compiere viaggi inaspettati lungo le strade tortuose dell’ispirazione mai scontata, ma anzi, sempre affascinata da quel che si nasconde sotto la superficie volatile dell’apparenza, e che quindi serba in sé storie intriganti con le radici in luoghi lontani nella geografia dello spazio, del tempo, e della varietà culturale.
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Ed una volta che la mente è tornata dal viaggio, s’adopera ad accompagnare la mano d’artista del gioiello a tradurre la suggestione in materie ricercate e forme altrettanto inaspettate, felicemente contemporanee, puntualmente ineguagliabili perché intrise dell’unicità di essere un gioco d’equilibrio tra design eclettico e arte orafa eseguito con la maestria artigiana e l’entusiasmo della creatività saggia.
Ecco, ogni collezione allestita da Giuliana Mancinelli Bonafaccia è un viaggio nuovo da cui tornare arricchite: nell’immaginario, certo, ma anche nella propria bellezza decorata dalle sue storie interpretate in opere di fashion jewelry e accessory. Sarà che l’indole professionale stessa di Giuliana si è formata lungo un percorso ibrido, dove la razionalità del progetto donata dalla formazione in architettura ha trovato la sua realizzazione migliore unendosi al penchant per l’accessorio prezioso, sia esso un bijoux o una borsa gioiello: eccola di nuovo, l’alchimia, che si rivela e si rinnova ad ogni nuova avventura raccolta all’interno della collezione.
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Quella dedicata alla prossima stagione a/i 2018 è infatti un nuovo capitolo che si aggiunge all’antologia di storie narrate attraverso le creazioni: stavolta l’ispirazione s’immerge in una distanza di tempo e spazio che quasi sfiora la magia, e arriva nella New Orleans dell’inizio del secolo scorso per abbandonarsi ai ritmi energici, coinvolgenti, originariamente affollati di note, strumenti ed emergenza d’esprimersi che è la musica jazz, in particolare quella impersonata dal suo padre fondatore, o almeno così fieramente sedicente, ovvero Jelly Roll Morton.
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I suoi virtuosismi tra i tasti del pianoforte, il resto degli strumenti musicali dei quali scriveva ossessivamente le partiture, il suo talento che lo ha posizionato saldamente nella storia della musica, ed anche i rituali voodoo rappresentati dai vevè, disegni delle divinità serbati dai jazzisti per assicurarsi la fortuna, eccoli gli ingredienti dell’ispirazione che Giuliana Mancinelli Bonafaccia ha tradotto in forme che si attorcigliano a spirale come danzassero vorticosamente sulle note suonate dai dischi, e coinvolgono i bangle, gli anelli mini, i choker in ottone bagnato nell’oro, nel reutenio e nel rodio e impreziositi da swarowski e cromature scure.
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Gli orecchini creola fanno il loro ingresso da new entry, e incantano con il loro modo unconventional di arrampicarsi sul lobo, mentre il ciondolo della lunga collana può scegliere di scendere anche lungo la schiena, e gli anelli sembrano sospesi sulle dita: il segreto delle forme è nella vestibilità confortevole che regalano mentre decorano il corpo, ed anche i capelli con gli headpieces preziosi della stessa linea creativa. 
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Ma il gioiello per Giuliana Mancinelli Bonafaccia è questione da sperimentare con successo anche nelle borse: che siano in pelle, e segnino il ritorno stiloso del marsupio, o che siano clutch in plexiglass così incantevoli da sembrare il gesto di un illusionista della materia stilosa preziosa.
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Poculum: l’unico papillon in vetro vuole la sua nuova Poculum Shirt
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“Oramai sono passati quasi quattro anni dal giorno in cui Poculum è entrato a far parte della mia vita. Il giorno più folle che io abbia mai vissuto finora, e che certo non dimenticherò facilmente. In quel pomeriggio, tra slanci di incosciente coraggio e il baratro dei timori più neri, avevo deciso che la mia idea doveva essere in qualche modo mostrata al mondo. Ma come? Non avevo niente, solamente un pezzo di vetro, le mie mani e un'idea che mi scoppiava in testa… Sono stati quelli i momenti in cui la mia vita è cambiata.”
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Potrebbe sembrare il trailer di un ottimo film d’autore in uscita nei migliori cinema, o l’assaggio di un romanzo in arrivo negli scaffali riservati ai Best Seller, e invece no: sono le parole vive, vibranti, appassionanti e intrise di sincerità di un Artigiano Sognatore.
“Sapevo che la mia creatività, con un pizzico di follia, sarebbe potuta realmente arrivare al cuore della gente: e così, a piccoli passi, ho intrapreso questo viaggio fantastico”: sì, è davvero un autentico Artigiano Sognatore! Ma appartenente alla rarissima specie di coloro che hanno i piedi ben piantati nel terreno della concretezza, con lo sguardo attento spalancato sul mondo per cogliere ogni sfumatura utile, con l’immaginazione sempre pronta ad assemblare idee impensate e quindi vincenti, con il coraggio sempre disposto a mettersi in gioco su percorsi inesplorati, ma che per questo si rivelano la retta via diretta verso l'originalità esaltante e la ricerca della meraviglia.
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Lui è Umberto Tofoni e questo è il nuovo racconto di Poculum, o meglio: della nuova avventura dell’unico papillon in vetro temperato e della camicia nata apposta per ospitarlo!
Ribadiamolo bene, perché è davvero la base da cui s’innalza ogni pezzo che compone il progetto di Umberto: “Artigiano” in quanto italiano, meglio ancora marchigiano, quindi nato già immerso nel mestiere della vetreria di famiglia a Porto Sant’Elpidio, in cui le mani eseguono quel che la mente e il cuore comandano, fino a creare opere uniche nell’idea ed eccellenti nella qualità; “Sognatore” perché, come ama narrare di sé “amo i percorsi nuovi, a volte insidiosi, ma quasi sempre stupefacenti. Non voglio fissare una meta, voglio solo scegliere la maniera di fare la mia strada. Non mi sono mai fatto passare per la testa i grandi numeri, ma ho sempre preferito la qualità, voglio emozionare, voglio che le persone che indossano Poculum conoscano tutto di me e di come svolgo il mio lavoro. Devono essere felici di poter aver addosso un'opera autentica creata con il cuore.”
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Dalla vetreria di famiglia nel cuore delle Marche alla settimana della moda Canadese: ecco il passaggio da applauso che accompagna Poculum e  noi tutti nel nuovo capitolo di questa storia, ovvero la Poculum Shirt!
Or dunque, andiam con ordine: era il 2014 quando l’intuizione di Umberto diventa un’invenzione concreta, nuova e innovativa, sorprendente eppur indossabilissima, cioè quel papillon in vetro temperato creato rigorosamente a mano e dedicato sia a lui che a lei, dopotutto un vezzo così delizioso può decorare il collo di chiunque abbia buon gusto e curiosità vispa. Lo scorso Ottobre 2017, Poculum e Umberto con lui volano in Canada: lì, li attende la conferma che il papillon in vetro temperato, primo al mondo nel suo genere, è un gioco serissimo. Tale conferma ha la forma, anzi l’identità, dell’esordiente e molto promettente fashion designer Trist Licud: è grazie al loro sodalizio artistico che Poculum varca ufficialmente la soglia del fashion world internazionale, allacciato alle creazioni che sfilano sulla passerella della Toronto Men’s Fashion Week, a York Ville nel centro di Toronto. 
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Et voilà, il terreno è pronto per la novità: la camicia pensata e realizzata per essere indossata con il suo farfallino  Poculum, anch’essa rigorosamente made in Italy, essenziale nella forma lineare del collo alla coreana e delle due sole versioni total black o total white, ma speciale perché fornita di una clip cucita a mano pronta ad accogliere la decorazione del Poculum in qualsivoglia versione. 
È la Poculum Shirt ed è gia acquistabile online, come anche tutte le immaginifiche versioni del suo papillon!
Silvia Scorcella
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silviascorcella · 5 months
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Caftanii Firenze: il caftano, una nuova storia di charme senza tempo
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È anch’essa una forma d’arte, un talento silente, una dote sofisticata, quella di saper godere appieno dell’inconsapevole amore per la bellezza come i classici, i nostri intramontabili antenati, ce l’hanno illustrata: il bello che appaga il desiderio di armonia estetica, mentre soddisfa i sensi tutti con l’alta qualità della sua fattura, così da attraversare indenne e intrigante lo scorrere implacabile del tempo. Tale dote sofisticata può cogliere chiunque abbia l’animo pronto ad accoglierla, e a farne uno strumento per plasmare ancora bellezza, nuova bellezza ben fatta: magari nella forma di un capo iconico, simbolo di raffinata confortevolezza, ma al contempo tela grezza su cui scrivere una nuova storia di stile con l’allure della contemporaneità elegante.
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Ecco, questa è l’arte pregiata, il talento quieto allacciato a Ginevra e Ludovica Fagioli: le menti curiose, gli animi leggeri e charmant, i cuori appassionati che fondano il marchio, tutto orgogliosamente italiano, ribattezzato Caftanii Firenze.
Guardate quelle due gocce nel logo: son simbolo del loro legame di gemelle all’apparenza identiche, eppur così diverse ma profondamente complementari nella sostanza personale e artistica. Giovani sì, ma portatrici di quel prezioso bagaglio d’arte e consapevolezza cui s’accennava sopra: il brand lo svela, la terra a cui appartengono non a caso è denominata “la culla del Rinascimento”, Firenze, la città dove fiorirono le arti più eccellenti, quel groviglio di strade dove la bellezza e la maestria artigiana ancora suscitano meraviglia.
Ebbene, in quel logo resta una parola da illustrare, che rivela il cuore creativo attorno al quale  ruota tutta la realtà di vita e mestiere di Ginevra e Ludovica: il caftano.
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Quella di Caftanii Firenze è dunque una storia recente, ma allo stesso tempo sospesa nel tempo: Ludovica e Ginevra accolgono sin da piccole l’amore per la bellezza con cui la famiglia le attornia, fanno tesoro di quei caftani che la madre raccoglie numerosi nell’armadio e indossa con classe e nonchalance, lo riscoprono il capo prediletto per accompagnare i viaggi innumerevoli in giro per il mondo, ma anche il capo perfetto per riscrivere una storia di eccellenza materiale e di suggestioni sensoriali. Nonché il capo d’abbigliamento che libera lo spirito femminile dai capricci estetici dei trend rapidi: mentre, invece, lui, il caftano, può abitare il guardaroba di qualsiasi donna, durante qualsiasi epoca, appartenente a qualsivoglia area geografica. La sua bellezza non ha confini, ha solo il potere di restituire valore alla bellezza di chi l’indossa.
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La collezione Primavera-Estate 2018 è un delicato racconto estivo: il caftano s’indossa in purezza, nella sua forma gentile con il profilo del corpo, morbida eppur così netta, allacciata in vita con una fusciacca mentre ricorda il rigore affascinante del kimono orientale, diventa uno chemisier lieve e candido che accompagna la passeggiata sulla battigia, un abito lungo che scopre le spalle mentre i raggi caldi del sole le accarezzano, s’allunga nella gonna le cui balze racchiudono la forza dei colori estivi, bianco, ocra e blu intenso, come quelle onde da cui vengono le goccioline che danno sollievo alla pelle scoperta dall’abitino corto e dalle bretelle infiocchettate. 
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I tessuti sono puri come la natura nel pieno rigoglio estivo: lino opulento che restituisce purezza, cotone strutturato ed essenziale, la seta ricca di luce e morbidezza pregiata. Anche i dettagli sono scelti con lo stesso amore per la bellezza autentica: pietre e tessuti per i bottoncini, mani artigiane che ricamano i decori, altrettanto sapienti come le mani delle sarte fiorentine che assemblano ogni abito firmato Caftanii Firenze. Italianità allo stato puro: caratteristica di ogni tessuto scelto, riprodotta con amore come solo il vero, riscoperto made in Italy sa fare.
Silvia Scorcella
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