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#RivoluzDigitale
sportdigitale · 4 years
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DISABILITA’ E SPORT: all is possible!
L’argomento che tratterò oggi è inerente all’uso della tecnologia nello sport ed entrando nel dettaglio, parlerò delle innovazioni e soprattutto delle grandi possibilità che sono state offerte con l’introduzione delle protesi sportive.
Lo sport è e deve essere accessibile a tutti: sia normodotati che persone con handicap fisici o altri tipi di disabilità. Tutti abbiamo dei diritti e dei doveri nei confronti della società e tra i vari diritti vi è anche quello alla pratica sportiva. Dobbiamo ricordarci , però, che anni fa tutto ciò non era possibile e questo era dovuto principalmente al tipo di tecnologia che si aveva a disposizione. Ovviamente un secolo fa non si poteva parlare dello stesso progresso tecnologico di cui parliamo oggi.
Negli ultimi 50 anni il mondo intero ha cominciato ad investire in diversi progetti aventi come obiettivo l’integrazione delle persone portatrici di handicap. Un esempio è il progetto Leonardo “SPORT PER LE PERSONE DISABILI” dove risulta essere chiaro il bisogno di un’istruzione riguardante la conoscenza basilare dello sport per persone disabili ; sia a livello competitivo che amatoriale. Chiaramente per poter praticare alcuni sport, queste persone hanno bisogno di “piccoli aiuti” e questi possono essere offerti, ad esempio, da protesi e altri presidi ortopedici.
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Oscar Pistorius prima di stabilire il nuovo record mondiale nei 200 m (giochi Paralimpici di Londra 2012). Le protesi, denominate cheetah (ghepardo), sono in fibra di carbonio. Foto scattata da [email protected] il 01/09/2012 con una Canon EOS 40D. Fonte: flickr
Oggi, possiamo affermare con piena certezza che gli atleti con disabilità fisiche, grazie all'innovazione tecnologica, hanno la possibilità di cimentarsi con successo in quasi tutte le gare sportive, con prestazioni sempre più vicine a quelle degli atleti normodotati. 
Fondamentale è stata l'introduzione di materiali provenienti soprattutto dall'industria aerospaziale, come fibre di carbonio, kevlar, leghe di titanio, leghe di alluminio ad alta resistenza, combinata alla ricerca nel settore della biomeccanica. Ciò ha  permesso di affrontare le  problematiche legate alla disabilità rivoluzionando il mondo dello sport paralimpico. 
Fortunatamente al giorno d’oggi esiste una protesi per lo svolgimento di ogni sport. In base alla tipologia dell’attività sportiva scelta e in base al peso dell’atleta, si scelgono i materiali e il tipo di assemblaggio adeguati. Con le tecnologie attuali è possibile trovare una soluzione per qualsiasi sport: atletica, scherma, sci di fondo, sci alpino, snowboard, sport acquatici, ecc…
Ad esempio, in atletica vi sono le handbike: carrozzine dotate di “pedali a mano” collegati con un sistema a catena alla ruota anteriore. Queste sono utilizzate soprattutto nelle gare di resistenza su strada. Invece, per le gare su pista, vengono utilizzate soprattutto carrozzine a tre ruote, due più grandi posteriori e una anteriore più piccola, dotate anche di un piccolo manubrio che serve a regolare l’angolo di sterzata.
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Atleta che usa una handbike alla “Handbike Marathon” di Utrecht (2017). Foto scattata da Handbiken .nl il 11/06/2017 con una Canon EOS 5D Mark III.
Fonte: flickr
Ovviamente ci sono sport dove servono delle protesi di arti che siano in grado di restituire l’energia prodotta. Il risultato sorprendente è che questo tipo di tecnologia basata sulla fibra di carbonio e su particolari design, restituisce più energia rispetto agli arti di un normodotato (90-95% contro il 60%).
Tra i migliori atleti che utilizzano protesi ricordiamo Alex Zanardi (automobilismo), Oscar Pistorius (atletica) e Beatrice Vio (scherma).
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Il due volte campione paralimpico Alex Zanardi con colui che ha pubblicato la foto: Ade Adepitan. Foto scattata il 06/09/2012 con un iPhone 4S. Fonte: flickr
La scienza ed il suo progresso stanno lavorando ancora su questo fronte e probabilmente in un futuro prossimo vi saranno tecnologie ancora più sviluppate che potranno imitare qualsiasi parte del corpo umano. Ormai la concezione di sport è lontana dai canoni di Pierre De Coubertin che seppur sia riuscito a reintrodurre le Olimpiadi facendo gareggiare atleti di diverse nazionalità, era contrario alla partecipazione di donne e persone disabili. Oggi, possiamo affermare, invece, che la parola d'ordine è sicuramente "UGUAGLIANZA" e non "pregiudizio".
A cura di Paolo Nello Trupia.
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webmarketing20 · 4 years
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test A/B, cosa sono e come hanno cambiato il mondo del marketing?
un test A/B è un esperimento controllato su due singole variabili A e B. 
lo scopo principale per il quale vengono usati su internet è verificare come singole variazioni di fattori, agiscano sull'utente.
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esempio di test A/B con una semplice variazione di colore di un banner, immagine di regione Veneto Informazione, creative Commons
testare solo due valori a volta, nonostante abbia dei tempi di analisi molto ampi e richieda dei numeri di soggetti campione altrettanto grandi, ad oggi rimane uno dei metodi più utilizzati per andare ad analizzare in profondità il comportamento dell’utente medio difronte a dei cambiamenti, che seppure impercettibili talvolta sono risultati significativi.
un’azienda che ha fatto di questi test la loro filosofia è la multinazionale Amazon che ogni giorno testa migliaia di variabili differenti sui suoi utenti, al fine di garantire la migliore efficienza possibile su ogni componente dell’e-commerce.
è interessante notare che nel momento in cui un prodotto viene messo in vendita, la stessa azienda si domanda quale sia la frase più efficace per quel singolo articolo, ad esempio: sarà più funzionale scrivere “compra subito” o “compra ora”?
questo è un classico, seppure banale, esempio di ciò che è stato illustrato.
inoltre si nota che la possibilità, sempre più concreta, da parte di queste aziende di avere dati specifici sull'utente campione, permettono che ai risultati di questi test venga associato un target sempre più specifico selezionandolo in base all'età, la lingua, l’identità di genere, la regione.
si conferma sempre di più la direzione, che già era stata esplicata nei precedenti articoli del blog, verso la creazione di un rapporto intimo tra l'utente e l’azienda, dove anche le singole parole cercano di mettere a proprio agio il consumatore.
Post a cura di: Oliver Howard Glanville
fonti:
-Wikipedia,creative commons
-Veneto informazione
-semrush
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culturadigitale · 4 years
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La “Coffin Dance”
L’ormai famosissimo meme della “Coffin Dance” rimarrà per sempre nella storia dei social network come il meme simbolo dell’emergenza pandemica causata dal nuovo virus Sars-Cov-2, tanto che in Brasile è stato usato come “incentivo” a restare a casa per evitare il contagio.
Ma cosa ha lo ha reso simbolo di questo difficile periodo? E cosa è cambiato dopo che il meme è spopolato?Procediamo con ordine.
Il meme conosciuto come “Coffin Dance meme” o “Ghana says goodbye”, come è stato soprannominato su Reddit, è un video diviso in due parti, di cui quella finale è sempre la stessa: un gruppo di sei uomini che balla portando sulle spalle una bara durante un funerale, presumibilmente contenente il cadavere del protagonista della prima parte del video, che ha compiuto una papera che ne ha provocato la (presunta) morte. La canzone di sottofondo è “Astronomia”, di Vicetone & Tony Igy, pubblicata nel 2010. Il video su YouTube della canzone attualmente ha ricevuto più di 78 milioni di visualizzazioni e circa 1,8 milioni di “Mi piace”.
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 Vicetone in concerto. Fonte: Wikipedia
Il primo video che ha usato questa danza come meme, caricato sulla piattaforma Tik Tok da @lawyer_ggmu, raffigura uno sciatore che prova a saltare da un trampolino, senza successo. L’immagine della caduta è sostituita dalla danza funebre. Il post, diventato virale, ha scatenato la pubblicazione di una valanga di video che utilizzano la medesima danza, facendo diventare la “Coffin dance” il meme simbolo della pandemia del 2020.
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Estratto del video della “Coffin dance”. Fonte: Youtube
Questa particolarissima coreografia funebre, diventata famosa in Ghana, è diventata nel tempo parte integrante nel rito del funerale, evento sociale di assoluta rilevanza nei paesi africani. Tutto nasce da Benjamin Aidoo, semplice porta bare di Prampram, città del Ghana meridionale, il quale, a seguito di numerose richieste dei suoi clienti, che chiedevano “qualcosa di più movimentato per dare l’addio ai propri cari”, decise di unire questa coreografia festaiola alle danze propizie per il defunto e per i suoi parenti, in uso nelle popolazioni africane. Queste coreografie, che costavano alla famiglia circa 2000€ prima che il fenomeno spopolasse a livello mondiale, hanno visto aumentare significativamente il loro prezzo sia a causa della pandemia, che ha reso impossibile festeggiare i funerali, sia a causa della fama che hanno ottenuto nel mondo.
Antonio Mazzotta
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saveyourdata · 4 years
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Password: quando i videogiochi possono insegnare qualcosa...
Niente di che, solo un cellulare in mano con cui hackerare altri cellulari (per rubare soldi dai conti correnti e accedere a chat private), ponti levatoi (per bloccare le navi), semafori (per farli diventare rossi o verdi a tua discrezione) e causare un black-out in tutta la città. Va bhe non esageriamo, forse tutte queste cose sono possibili solo su "Watch Dog" (il gioco dove impersoni un hacker compiendo azioni criminose, simile al più noto GTA per intenderci).
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Immagine del gioco della ubisoft, sopra citato. Fonte: Flickr, autore: TNS Sofres.
Cosa centra con la protezione dei dati voi direte: semplice. Siete sicuri che sia solo fantascienza? Capiamoci, forse con un cellulare sarebbe al quanto difficile provocare un black-out all’intera città. Cosa più semplice, o per meglio dire, “possibile”, è che qualcuno possa passarci vicino e “hackerare” il nostro dispositivo mentre siamo connessi, ancor più semplice se connessi alla stessa rete privata (quella del bar ad esempio). Parliamo sempre di professionisti molto esperti di informatica che difficilmente potremmo trovare nel bar sotto casa, ma la precauzione non è mai troppa.
Come prevenire queste frodi: innanzi tutto è importante non usare la stessa password più volte in app/siti differenti, ma cambiarla tutte le volte, anche solo qualche lettera (sito 1. “Trilly Amo”, sito 2. “Trilli @mo). In questo modo i malintenzionati faticheranno a trovarne una, ma fossimo cosi sfortunati da far trovare a un programma quella password, per il sito dopo sarebbero al punto di partenza. Molto importante secondo me è anche segnare le password su un post-it e tenerlo a casa: la vedo dura per l’hacker “crackare” un foglio di carta, non trovi? (per saperne di più: “CRACKERS: OLTRE LA PRIVACY” di Luca Nepote)
Se proprio sei uno smemorato allora il mio consiglio è di segnartele sugli appunti del cellulare, ma con una tua criptazione personale (tipo aggiungere lettere, parole o numeri che non fanno parte della password) (es. TrillyAmo - fataTrillyAmore). Io ritengo, anche se è una pratica molto usata, che non sia buona cosa segnarle nella rubrica come fosse un finto contatto telefonico “per confondere i mal intenzionati”. Questo perché alcune applicazioni chiedono il consenso per “accedere alla rubrica”: è sempre consigliabile non acconsentire (anche perché cosa se ne fa un’app, ad esempio la torcia, della nostra rubrica??? consiglio un post di Fastweb per chiarimenti) ma se per sbaglio diamo il consenso, stiamo dando nelle mani di qualcuno i nostri account con le password. Non dimentichiamo i servizi che numerosi siti ci possono fornire, come il “salva password” (che ci permette di immettere la password al primo accesso e di non doverla riinserire una volta rientrati sullo stesso dispositivo) e la “sicurezza a due fattori” (per saperne di più vi consiglio di leggere il mio precedente post).
Sono procedure molto semplici che la maggior parte di noi conosce e già usa, ma parlando di dati personali non potevo non accennarlo: e se te che leggi non hai ancora messo al sicuro le tue password, non aspettare il prossimo Black-Out… potrebbe essere troppo tardi.
Autore: Pixterix
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GEORGE HOTZ: IL POSSIBILE “ELON MUSK” DEGLI HACKER?
George Francis Hotz, più noto come “geohot” nella comunità hacker, è uno dei personaggi che più fa discutere dell’intera scena informatica, nonostante sia un personaggio molto più underrated (così lo definiscono oltreoceano) rispetto a figure di spicco come Snowden.
Nato in America, New Jersey, nel 1989, frequenta un articolato percorso di studi che arricchisce le sue conoscenze in campi ingegneristici (soprattutto nell’ambito della sicurezza informatica).
Mostrando fin dalla giovane età una fervorante passione per l’hacking e tutte le sfide che esso comporta, a solamente 20 anni rilascia una versione del primissimo software in assoluto in grado di “rimuovere le restrizioni imposte da Apple su tutti i suoi dispositivi”, in gergo chiamato jailbreak. Ma che tipo di restrizioni, vi starete chiedendo voi? In sostanza, Apple (diversamente da Android, che invece è un sistema aperto) non permette di installare sul proprio dispositivo contenuti che non siano autorizzati da essa; grazie tuttavia a questo jailbreak, è possibile installare store alternativi sul proprio telefono che permettono di effettuare acquisti di applicazioni ufficiali e microtransazioni in-app in maniera completamente gratuita.
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Geohot con in mano un iPhone 3G jailbreakato, fonte
Non accontentandosi di infierire questo grave colpo alla famosa industria di Cupertino, “geohot” torna all’azione poco meno di un anno dopo, questa volta con un nuovo bersaglio nel mirino: Sony e la sua PlayStation 3. Nel 2010 annuncia infatti di essere riuscito a “exploitare” i sistemi di scrittura e lettura della memoria della console, e, non soddisfatto, pochi mesi dopo rende il tutto di dominio pubblico. Ovviamente la casa nipponica prese le dovute contromisure, sia software che legali, obbligando di fatto il nostro hacker a rinunciare alla sua “nobile” causa.
Hotz di “nobili” cause ne inseguirà altre, che lo porteranno a lavorare per due multinazionali abbastanza conosciute oggi, Facebook e Microsoft. Piccola parentesi piuttosto interessante, è stato assunto da Google quando, per sfida personale, decise di hackerare il loro browser Chrome. Ovviamente, come se non bastasse, la Google donò all’allora ventiquattrenne hacker la bellezza di 150.000 dollari per “ringraziarlo della segnalazione”.
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George Hotz alla SHARE Conference, fonte
Nonostante negli ultimi anni non abbia più fatto parlare di sé per merito delle sue bravate, l’ha fatto fare per le sue dichiarazioni: egli è convinto che l’intera umanità sia sotto scacco di una simulazione da parte di esseri più intelligenti di noi, che stanno giocando con le nostre vite come fossero pedine senza che noi ce ne possiamo rendere conto.Ora, per quanto possa sembrare strampalata come idea ad un primo ascolto/lettura, vorrei sottolineare il fatto che questa teoria non sia affatto nuova ed inventata da lui, ma che anzi è supportata da numerosi esponenti di spicco nel campo filosofico come Yuval Noah Harari e Nick Bostrom (oltre all’onnipresente Elon Musk, il quale non si fa mai mancare di appoggiare questo tipo di ideologie).Sempre secondo Hotz, l’unico metodo per sfuggire alla dittature di macchine e intelligenze artificiali sarebbe quello di fondare una nuova Chiesa, le quali sarebbero molto più indicate rispetto alle aziende per convogliare gli sforzi di tutti atti a sfuggire alla simulazione.
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George Hotz durante la TechCrunch Disrupt, fonte
Personalmente, credo che l’inserzione di elementi mistici all’interno della sua teoria sia ciò che gli faccia perdere ogni pizzico di credibilità; tuttavia, mi trovo a condividere la sua linea di pensiero riguardante il libero arbitrio, da sempre un argomento che mi “turba”: “se l'essere umano non saprà riconoscere i suoi limiti nel libero arbitrio non capirà come superarli e non riuscirà ad adeguarsi a una nuova realtà in cui inevitabilmente dipenderà sempre più dalle intelligenze artificiali.”
Bene, spero di essere riuscito a rendere onore alla figura fin troppo sovente sottovalutata di Geohot, al prossimo post!
Gianmarco Bachiorrini
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theinnovationquest · 4 years
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Per non essere dimenticati
Nell’ultimo decennio c’è un argomento che ha di fatto monopolizzato le varie discussioni nel settore informatico: l’intelligenza artificiale. Non sarò qui a tediarvi con un’ulteriore possibile applicazione della suddetta tecnologia, che sicuramente non scarseggia.
Bensì vorrei portare alla luce un pattern che ho notato nelle discussioni sull’AI o più specificatamente di una AGI (Artificial General Intelligence).
Ovvero un fallimento di intuizione, una mancata risposta emotiva rispetto ad un particolare tipo di pericolo. Probabilmente dovuto ad una sorta di selection shadow, una capacità che l’evoluzione non ci ha potuto dare. Infatti, tra le più svariate reazioni manca la paura.
 Ma partiamo dal principio, senza entrare troppo nei dettagli. Cos’è l’intelligenza artificiale? Secondo la definizione dell’ingegnere Marco Somalvico sono “[le metodologie e tecniche] che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana.”
Quindi ci troviamo di fronte ad uno strumento il quale, nel presente o nel prossimo futuro, possiede delle abilità che per tutta la storia umana sono state considerate come esclusive alla nostra specie. Dall’intuizione, riconoscimento di pattern e consequenzialmente immagini, passando per l’apprendimento.
L’utilizzo attuale di questa tecnologia è abbastanza eterogeneo, si parte da macchine a guida automatica, domotica, riconoscimento vocale, fino ad argomenti controversi come l’associare ad una persona un “livello di rischio” sul quale basare la pena oppure se concedere o negare la libertà vigilata, ignorando volutamente o meno i bias del database su cui si è allenata l’AI. 
 Adesso che sappiamo grossolanamente cosa sia un’intelligenza artificiale, posso trattare il perché dell’atteggiamento apparentemente allarmistico e pessimistico.
In questo preciso momento storico ci troviamo di fronte a due scelte, entrambe egualmente terrificanti:
1. L’innovazione si ferma.
Trovare un motivo sul perché un progresso tecnologico di qualunque tipo possa fermarsi è davvero arduo. Infatti, anche durante un conflitto mondiale, l’innovazione è sempre aumentata, soprattutto se quest’ultima può essere impiegata in uno scontro, cosa che l’AI sicuramente può.
La seconda obiezione che ci tengo a muovere è la seguente: ci troviamo in un sistema mondiale molto competitivo, impedire l’innovazione in un dato campo in una specifica nazione, o addirittura in un continente, non impedirà a quella tecnologia di espandersi ma implicherà soltanto che quei succitati stati rimarranno indietro.
Mi sento, quindi, abbastanza fiducioso da bollare questo scenario come il meno probabile.
 2. Si ha una “esplosione di intelligenza”
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Fonte: wikimedia
Si parla dello scenario più pessimistico e probabile, due terminologie che non dovrebbero mai viaggiare nella stessa locuzione. Parliamo di una sorta di technological singularity. Ci tengo a precisare che non stiamo parlando di un’utopia, di una rivoluzione delle macchine contro la razza umana, bensì di un livello di un’intelligenza così avanzata (cosciente o meno) che una minima dissonanza tra i suoi obbiettivi e i nostri possa portare alla distruzione della nostra specie. La suddetta non deve avvenire poiché questa (creatura?) è intrinsecamente malevola, ma semplicemente poiché ha un livello di capacità ‘celebrale’ così avanzata che potrebbe avere la stessa considerazione di noi come abbiamo rispetto ad un gruppo di formiche.
Mi rendo conto come possa sembrare assurdo uno scenario di questo tipo, ma se lo si considerasse tale allora dovreste obbiettare con almeno una delle seguenti assunzioni proposte da Sam Harris:
1.      L’intelligenza è il prodotto dell’elaborazione delle informazioni.
a.      Questa è un po’ di più di un’assunzione, prima di tutto perché abbiamo già costruito programmi che superano l’intelligenza umana su temi specifici. Seconda osservazione è che abbiamo un esempio tangibile di come un sistema fisico materiale possa sviluppare un’intelligenza generale: il cervello umano.
2.      Continueremo a migliorare le nostre macchine intelligenti.
3.      Non siamo vicini ad una possibile vetta di intelligenza. 
a.      La succitata vetta è un certo limite fisico che non permette, per qualche motivo, il superamento di una certa soglia di intelligenza. Però c’è da notare che il livello di intelligenza, essendo elaborazione di informazione, dipende anche dalla velocità. I circuiti elettronici funzionano circa un milione di volte più velocemente rispetto a quelli biochimici. Consequenzialmente anche consideriamo un’intelligenza artificiale che non superi l’arguzia della persona media essa è capace di fare ventiduemila anni di progresso umano in una sola settimana.
Sempre seguendo la linea di pensiero proposta da Harris, consideriamo (per assurdo) che riuscissimo a contenere questa AGI, quali sarebbero le implicazioni sociopolitiche di possedere uno strumento, o essere se mai dovesse diventare cosciente, con le capacità di un dio?
Partendo da quelle sociali vedremmo un incremento di inegualità mai visto fino ad ora, si dovranno gestire una “useless class of humans’, una classe di umani che non potrà contribuire in nessun modo alla società, senza pensare alle ripercussioni psicologiche.
Avremmo invece conseguenze decisamente più tragiche per quando riguarda una reazione politica: quale sarebbe l’azione più sensata per il governo Russo oppure Cinese, dopo che arriva la notizia che una qualche azienda della Silicon Valley ha creato un dio capace di ottenere tutto nelle limitazioni della fisica? Questo è un ‘winner-take-all scenario’ una simile notizia implicherebbe che le succitate potenze si troverebbero difronte alla loro dipartita. Non trovo improbabile quindi che una simile innovazione potrebbe scatenare un conflitto in larga scala.
 Una questione di tempo
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Foto di Samer Daboul da Pexels
Anche se posso aver convinto alcuni dei mei lettori del pericolo dietro l’intelligenza artificiale, altrettanti staranno pensando che sto dipingendo uno scenario che non si realizzerà nell’immediato futuro e quindi non c’è fretta.
Nonostante le stime ci dicano che uno scenario del genere potrebbe presentarsi negli anni 40-50 del ventunesimo secolo, la verità è che non abbiamo nessuna idea di quanto tempo ci voglia in modo da creare le condizioni per gestire una super-intelligenza in modo sicuro.
Proprio qui ricade la mancata risposta emotiva di cui parlavo all’inizio. Non siamo pronti e non sentiamo la necessità di prepararci, io stesso non sento questa viscerale risposta di cui tanto millanto.
La luce in fondo al tunnel
Il metodo più “sicuro” di implementare una super-intelligenza è probabilmente crearla in simbiosi con il nostro organismo, progetti tipo neuralink. Questa tipo di tecnologia ha anch’essa i suoi inconvenienti, il più ovvio è la possibilità di creare una piccola cerchia di umani i quali possono avere accesso alla succitata, creando un livello di inegualità assimilabile a quello tra Inner Party e Prolet.
Per giunta questo tipo di implementazione è per sua stessa natura più prolissa e complessa, e quindi meno appetibili per gli stati che si sentono inseriti in una corsa agli armamenti.
 Non ho la verità in tasca, non ho una soluzione, l’unica cosa che posso fare è cercare di portare consapevolezza sull’argomento e sul futuro che ci troviamo dinanzi.
   - Nicola Crisci
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simonetelesca-blog · 4 years
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Internet: un mondo in continua evoluzione
Mi chiamo Simone Telesca, sono uno studente del politecnico di Torino iscritto al corso di laurea di ingegneria elettronica, che afferisce al dipartimento di elettronica e telecomunicazioni.
in questo blog parlerò di come il web e internet sono entrati nelle nostre vite e di come si stanno evolvendo. Inoltre analizzerò alcuni aspetti, sia positivi che negativi, dell’utilizzo di questo ormai vecchio mondo ma che non tutti conosciamo a pieno.
Simone Telesca 
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realta-aumentata · 4 years
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Video di presentazione per il corso di Rivoluzione Digitale
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3dfuturerivoluzione · 4 years
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LA MIA PRIMA ESPERIENZA CON INTERNET
Il mio approccio ad internet risale più o meno al 2010 quando, per molti, il web era un luogo oscuro e sconosciuto. Nonostante questo, i miei genitori decisero che era arrivato il momento di avere un computer portatile solo mio. Decisero di comprarmi un piccolo Acer, bianco e nero, che ricordo con grande affetto.
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Acer Aspire One; Fonte: Wikipedia Commons.
Ero molto legata a questo oggetto, dapprima molto sconosciuto, ma che mi ha aperto un mondo. Forse ero più affezionata all’idea di avere una cosa così personale e che fosse solo mia però con il tempo ne scoprì il vero valore.
In realtà, alle elementari, non serviva poi così tanto avere un computer a scopo didattico poiché le ricerche erano brevi e le informazioni erano reperibili sui comuni libri di testo.
Sicuramente la sua necessità era più legata allo svago, infatti si poteva giocare a fantastici giochi come solitario e “Purble Place”. Nulla a confronto con i sofisticati giochi odierni, infatti erano semplici e spesso noiosi . Infatti ciò che più mi interessava era MSN e il suo famoso “trillo”.
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Windows live Messenger;  Fonte: Wikipedia Commons.
Questa strana piattaforma è sconosciuta a molti poiché con gli anni è stata eclissata da Facebook e successivamente da Whatsapp. Io però la ricordo molto bene e quando spesso ci si chiede “ma come facevamo in assenza di Whatsapp?” Beh, per la mia generazione si può dire che MSN era la risposta.
Era la piattaforma di ritrovo con amici e compagni, si organizzavano le uscite e si parlava di pettegolezzi. Insomma, il Whatsapp dei “dinosauri”.
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Noi utilizzatori di MSN rappresentati in grafica "prato fiorito" nel 2010;  Fonte: Pixabay.
Quando avevo circa 14 anni, mi sono affacciata al mondo di Facebook, dopo molteplici raccomandazioni da parte dei miei genitori. Questa novità risultò ancora più interessante di MSN poiché ricco di foto, video, pensieri di sconosciuti.
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Facebook;  Fonte: Wikipedia Commons.
Il cellulare è arrivato con l’arrivo alle medie ma era assolutamente “vietato” connettersi a internet. Il divieto derivava dal fatto che l’unico modo per accedere al web era premere un tastino. In pochi secondi si prosciugava il credito, poiché le offerte non includevano la navigazione, e ogni istante era molto prezioso.
Per avere un cellulare e soprattutto un’offerta che permettessero l’accesso al web ho dovuto attendere qualche anno. Questo lusso arrivò assieme a Whatsapp e il totale abbandono di MSN, cambiò il mio mondo e quotidianità.
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Whatsapp;   Fonte: Wikipedia Commons.
Poco a poco ho scordato il valore del mio Acer e ho sempre più apprezzato il mio Samsung. Ad ogni novità scoperta sullo smartphone mi allontanavo sempre più dal mio fedele compagno fino al completo abbandono. Solo anni dopo, mettendo in ordine la soffitta, ho ritrovato la sua “carcassa” impolverata.
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Computer triste;  Fonte: Pixabay.
Insomma, penso che questo approccio graduale al mondo digitale mi abbia insegnato ad essere responsabile e cauta in tutto ciò che riguarda il mondo del web. Riesco a cogliere i suoi benefici ma anche i suoi difetti in quanto conosco un po’ la quotidianità senza di esso.
-Miriam Carenzo
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Ciao, mi chiamo Federica Aimone e questo è il mio video di presentazione!
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I miei primi passi digitali
Avevo 10 anni quando i miei genitori mi parlarono per la prima volta del mondo di internet, esibendomi la pagina di accesso del social network Facebook. Mi incuriosì molto l’idea di questo servizio, così mi iscrissi.
Fu abbastanza immediato l’apprendimento di questo social, ed era forse questo il motivo per cui iniziai a passare gran parte del mio tempo a curiosare sul sito e di tanto in tanto curiosarne su altri. Infatti, una applicazione, questa messaggistica, che avrei scoperto poco più tardi fu Live Messenger, chiamato comunemente MSN. Mi divertiva poter messaggiare con amici con le Emoji che davano un tono e un colore alla conversazione. Oggi sarebbe impensabile non trovarle in una qualsiasi applicazione messaggistica, se non addirittura trovarle direttamente installate nella tastiera dello smartphone, però non ero abituata ad esse, perciò mi esaltava la loro presenza.  
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  Immagine della pagina di accesso di Facebook. Fonte:Wikimedia Commons 
  Mi piaceva girare nel web, benché non fossi opportunamente informata sui pericoli di questo mondo. I miei genitori mi dissero di fare attenzione, ma personalmente non sapevo a cosa porre attenzione. In ogni caso, iniziai ad usarlo in maniera più frequente quando iniziai a fare le ricerche scolastiche o altre personali. Grazie ad esse scoprì la pagina di Wikipedia, l’enciclopedia digitale. Sono sempre stata affascinata dalla esistenza di questo sito, l’idea di imparare in modo facile e veloce in qualsiasi ambito mi entusiasmava. 
Raggiunta una certa confidenza con il dispositivo e Internet, realizzai il valore di ciò che avevo tra le mani. Ciò che qualche anno prima non era nient’altro che un dispositivo di puro divertimento e svago, era diventato una fonte di apprendimento e conoscenza. Ne fui estasiata.
Iniziai così anche a concretizzare l’enormità di informazioni che si trovavano all’interno di una scatola così piccola. Le cose che più mi colpirono di Internet furono la velocità della rete e la quantità di informazioni per ogni ricerca. Infatti, dopo le ricerche su Google mi piaceva guardare il numero di risultati trovati e il tempo impiegato ad ottenerli, trovavo sconvolgente il fatto di poter trovare milioni di ricerche in meno di un minuto!
Coloro che sono nati “nella tecnologia”, i cosiddetti nativi digitali, danno per scontato il fatto di avere la possibilità di connettersi al web in ogni momento. Ritengo che un mondo digitale non sia da considerarsi scontato e che, più di tutto, non vada trascurato, ma che vada compreso per essere sempre al corrente di aspetti positivi e negativi di esso.
Anastasia Costanza Aiassa
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sportdigitale · 4 years
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SPORT-”R”evolution
Nuove scoperte scientifiche e tecnologie di ultimissima generazione hanno sicuramente portato un vento di novità che ha investito una grande varietà di campi: dal sanitario al domestico, all'aerospaziale, dal marketing al pubblico-amministrativo, dal bellico a quello sportivo. Sebbene distanti fra  loro, tutti gli ambiti sono accomunati da un’unica parola: RIVOLUZIONE. Ma in che senso rivoluzione? Di che rivoluzione si parla? Naturalmente quella a cui ci stiamo riferendo è una rivoluzione di tipo digitale. In questo blog-post analizzeremo e tratteremo principalmente gli effetti che questa ha avuto nel mondo dello sport.
Negli ultimi anni il progresso è stato al servizio degli sportivi. Ma come  interviene la tecnologia nello sport? In generale, si parla di novità legate sia all'ambito della scelta di nuovi materiali, sia all'utilizzo di strumenti di verifica di un corretto training. Si parla quindi dei dispositivi wearable e dei sensori portatili come il fitness watch, i GPS, i smart cloth e le Smart shoes, oppure del sistema di telecamere utilizzato per riprendere individualmente tutti i giocatori nel corso di una partita.  Ma questi dispositivi non sono gli unici. Infatti possiamo parlare di novità anche nell'ambito dell'Anti-doping, dove le tecniche dei Drug test sono state raffinate nel corso degli anni proprio grazie allo sviluppo tecnologico. Quest'ultimo, ovviamente, ha a che fare anche con i materiali utilizzati nella costruzione degli "attrezzi" per sportivi. Un esempio è quello legato all'uso di protesi e presidi ortopedici personalizzati. 
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Corridore con protesi sostituenti gli arti inferiori ( Paralimpiadi). Foto scattata da Pexels Fonte: pixabay
Chiaramente, vi sono sport che hanno tratto un maggiore beneficio da tutto ciò e questo è dovuto anche alle caratteristiche proprie di ogni disciplina. Pensiamo al tennis, beneficiario sicuramente di nuovi materiali neanche lontanamente paragonabili a quelli usati in passato. Quindi addio ai racchettoni di legno e un benvenuto, invece, alla fibra di vetro, a quella di carbonio e  naturalmente al più economico alluminio. 
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Racchette da tennis in grafite. Foto scattata da Francesco Dini. Fonte: flickr
Altre innovazioni le troviamo nel nuoto: dalle palette tecnologiche che misurano la forza esercitata durante le bracciate e l'ingresso in acqua , al velocimetro che si fissa sui blocchi di partenza e che serve a rilevare la velocità del nuotatore dalla partenza alla virata. 
Ovviamente la tecnologia ha influenzato anche sport collettivi come la pallacanestro ed il calcio. Nel primo, fondamentale è stata l'introduzione del cronometro e delle tecnologie video che gli arbitri possono usare nell'immediato per valutare le azioni di gioco dubbie e correggere, se necessario, le proprie decisioni. Altro tipo di tecnologia usata in questo sport è quella basata sull'uso di software e hardware utili a raccogliere, gestire e rielaborare i dati prelevati. Un discorso analogo può essere fatto per il calcio, dove ha provocato non poche polemiche l'introduzione della Goal-line Technology e del VAR e, quindi, della moviola in campo. 
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Uso della Goal-Line Technology durante Italia-Costa Rica (FIFA World Cup 2014). Foto scattata da Operation Gadget . Fonte: flickr
Insomma, queste sono solo poche delle moltissime novità introdotte nello sport grazie alla tecnologia e i suoi nuovi sviluppi. Tutto ciò può farci capire come ormai la direzione intrapresa sia quella della digitalizzazione globale  attraverso uno sviluppo che, però, non si limita solo ad apportare delle migliorie nel gioco, ma diviene fondamentale anche nel “gioco” economico. 
La parola rivoluzione è connessa anche ad un altro concetto molto importante, quello di limite. Un grande errore è pensare che esistano dei limiti che l'uomo non sia capace di superare. E se crediamo che questi limiti esistano, allo stesso modo dobbiamo "lottare" per infrangerli. In questo, fondamentale è la tecnologia che oggi mette a disposizione degli atleti degli strumenti utili ed in grado di mantenere accese le proprie speranze e i propri sogni. 
Non c'è futuro senza rivoluzione. Non c'è storia senza rivoluzione. E lo sport, anche se nel suo piccolo, ne è una valida dimostrazione.
A cura di Paolo Nello Trupia.
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webmarketing20 · 4 years
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Fonte:https://www.webagencyrighetti.it/blog/2018/08/24/cos-e-web-marketing/
Tommaso Luzzati
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culturadigitale · 4 years
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Imparare a Camminare
La vita è ricca di prime volte, quei momenti che rimangono sempre impressi nella nostra memoria. Ovviamente con il passare del tempo questi cambiano, i nostri nonni di sicuro ne avevano di diversi. Personalmente appartengo alla Generazione Z e come tale vivo il mondo dell’internet fin dalla mia nascita.
Non ho un vero e proprio ricordo preciso, da quando sono bambino reputo il computer ed internet ovvi, banali, non potrei immaginarmi una vita senza di essi. Ma se proprio devo sforzarmi, penso alle prime ricerche che ho dovuto scrivere per la scuola, trovando le informazioni sulla rete. Rispetto ai nostri genitori, per me ed i miei coetanei grazie all’esistenza di siti come Wikipedia questo lavoro è risultato molto più semplice.
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Logo Wikipedia, Fonte Wikipedia
Posso dire che la mia passione per Internet e tutto ciò che lo riguarda sia nata nella scuola primaria, dove per fortuna avevo due ore d’informatica settimanali. Questo mi ha permesso di trovarmi più a mio agio navigando nel web, mi ha insegnato fin dove potevo spingermi e da cosa riguardarmi. Infatti, per quanto Internet sia uno strumento favoloso, si può parlare di un’arma a doppio taglio, che se usata male può causare notevoli danni.
Devo ammettere che finora sembra che lo abbia utilizzato solo a scopi scolastici ed impegnati. In realtà una buona fetta del tempo passato al pc da bambino è composta dai giochi flash molto comuni all’epoca. Nel link collegato vi propongo una lista di siti che ancora adesso offrono questo tipo di passatempi. Sono giochi che non necessitano un download o un’iscrizione quindi molto comodi per un bambino.
Se penso a come io vedevo Internet da piccolo, qualcosa che permetteva l’impossibile, e lo rapporto alle possibiltà attuali mi fa un certo effetto. Nel 2009 ho aperto per la prima volta YouTube , piattaforma di condivisione video che immagino tutti conoscano, e mi sembrava quasi una magia, così tante canzoni e video racchiusi in un unico posto a portata di un click. Paragonato alla sua versione attuale, lo fa sembrare quasi un lavoro fatto da un bambino, come confrontare le pitture rupestri alla Gioconda.
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Logo YouTube, Fonte Wikipedia
Così è come il mio viaggio in questo fantastico mondo è iniziato con la speranza che continui e che mi aiuti a migliorare.
- Edoardo Esposito
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saveyourdata · 4 years
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LA POTENZA DI INTERNET
Internet è uno strumento utilissimo: oggi lo usiamo per comunicare in modo facile e soprattutto veloce. Possiamo dire che ha cambiato la nostra vita, infatti lo utilizziamo quotidianamente attraverso i nostri dispositivi elettronici.
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I Social Network: un esempio di utilizzo di Internet. Fonte: Wikimedia Commons Autore: Gerd Altmann
La prima volta che feci uso di Internet fu all’età di 8-9 anni, frequentavo la quarta elementare e la maestra di geografia aveva chiesto alla classe di fare una ricerca sulle fonti di energia rinnovabili. Inizialmente provai a rivolgermi a qualche enciclopedia, cercando tra i libri che possedevo. Fu molto difficile, infatti non riuscivo a trovare nozioni specifiche dettagliate e recenti sull’argomento.
Pertanto, su consiglio dei miei genitori, mi rivolsi a Internet, che era sufficientemente ricco di informazioni. Scoprii quindi per la prima volta questo strumento incredibilmente potente: grazie a Google, l’ormai famoso motore di ricerca, confrontai diversi siti web, tra cui Wikipedia (che già allora era uno dei siti più visitati di sempre) e riuscii con estrema facilità ad apprendere nuovi concetti e ad informarmi sugli avvenimenti più recenti nel campo dell’energia. Non mi ci volle molto a capire quanto fosse utile il web, infatti da quel giorno iniziai a cercare le risposte alle mie domande su Internet.
Fino all’età di 11 anni ero convinto che Internet fosse semplicemente un mezzo per trovare informazioni utili in breve tempo. Possedevo un telefono cellulare con il quale ero solito scambiare SMS con una mia compagna di classe. Un giorno lei mi chiese di trovare un modo per comunicare senza pagare per ogni messaggio inviato, e così decidemmo di affidarci a Windows Live Messenger, un client per Windows di messaggistica istantanea di proprietà di Microsoft.
Usare Internet per mandarsi messaggi di testo era già allora più conveniente rispetto agli SMS, in quanto il costo della linea fissa non teneva conto del numero di messaggi scambiati. Scoprii successivamente Skype, e ne rimasi colpito: era incredibile poter avere conversazioni guardandosi uno di fronte all’altro quando in realtà ci si trovava a chilometri di distanza.
Oggi Internet è ancora più evoluto, e ci rende la vita molto più semplice. Tuttavia, dato che è uno strumento molto potente, bisogna saperlo usare bene e con consapevolezza.
Lorenzo Bertetto
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My First Time On Web
Mi  chiamo Luca Barotto e sono un studente di Ingegneria Fisica al Politecnico di Torino. 
Nel blog, aperto da me e altri tre miei compagni del corso di Rivoluzione Digitale, si parlerà di cybersecurity e hacking.
Però, in questo post ho deciso di darvi una sorta di piccolo flashback su come mi sono avvicinato al mondo virtuale.
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Fonte: immagini Stock.
La prima volta che ho navigato su internet è stata in terza media (anno accademico 2013-14) in seguito alla richiesta della professoressa di scienze di svolgere una relazione riguardante i moti della terra.
L’argomento che scelsi di trattare fu: il ciclo vitale dei vulcani.
Per cercare le informazioni, che mi avrebbero aiutato a stendere al meglio la relazione, iniziai dalle enciclopedie e dai libri di testo; anche perché allora non possedevo né un computer e né uno smartphone.
Però, siccome la ricerca sui libri richiedeva molto tempo, decisi di chiedere un aiuto a mio padre. Così, sotto la sua supervisione (era la prima volta che usavo un computer quindi non sapevo bene come destreggiarmi) continuai la mia ricerca su internet.
Mi ricordo che rimasi impressionato dalla velocità con cui riuscivo a trovare le informazioni e , in particolare, mi colpì il fatto che bastava digitare poche parole nella barra delle ricerche per generare un’ “infinità” di pagine web inerenti a all’ argomento in oggetto.
Ero entusiasta della quantità di materiale che avevo generato che non sapevo da dove cominciare.
Iniziai dai primi siti che il motore di ricerca (Yahoo) mi presentava e continuai, così, la mia relazione.
Mi ricordo che mi colpì non solo dalla facilità con cui trovavo le informazioni che mi servivano, ma anche la possibilità di collegarmi ad altre pagine web tramite dei link presenti nel sito. Ciò agevolò ulteriormente la mia ricerca perché mi permise di approfondire qualsiasi argomento semplicemente con un “click”.
Rimasi così affascinato che decisi che, per tutte le relazioni future, avrei fatto affidamento su quello strumento potentissimo chiamato : Internet 
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Collegamenti mondo virtuale-Fonte : Wired (Google immagini) 
Barotto Luca
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