Tumgik
#è così divertente vedere tutti parlare la propria lingua
charliecuntcicle · 3 months
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è così bello poter parlare in italiano anche se non è una lingua ufficiale di qsmp. ho visto usare così tante lingue oggi e sono così orgogliosa della nostra piccola comunità <3
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ame-r-chaucer · 6 years
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Metamoro Yacht!AU
Chi non muore si rivede!! Ebbene no, non ho abbandonato questa cosina a se stessa senza una fine né un minimo di gioie per Ermal che è stato mollato a sbavare senza ritegno sul culo di Fabrizio. Ebbene sì, in questo aggiornamento non succede assolutamente nulla, ma avevo il timore che risultasse troppo lungo e noioso quindi ho deciso di spezzarlo dalla scena successiva.
E niente, vi mollo qui la parte uno e qui la parte due!
-Si ringrazia sempre @generaleferri per l’aiuto e il supporto. <3-
Buona lettura!
E così iniziano a conoscersi.
E quindi, seduti in quel pub, Ermal e Fabrizio parlano.
Parlano tantissimo.
Parlano di tutto.
Parlano del tempo, del mare, del lavoro di Fabrizio, della vita a bordo di Ermal.
Parlano di musica.
Parlano del fatto che Fabrizio suona la chitarra, scrive canzoni e ogni tanto, per sbarcare il lunario, si esibisce nei locali meno turistici, quelli nascosti tra le vie inerpicate della città.
Ermal tiene per se il desiderio di sentire qualcosa di suo un giorno, ma è Fabrizio a proporsi di fargli sentire qualcosa, se mani ne avrà voglia.
Ed Ermal gli risponde che gli piacerebbe molto. Insomma, come non potrebbe?
E poi è il suo turno ed è lui a raccontare delle lezioni di pianoforte, delle canzoni scritte di notte, quando la Luna fa brillare il mare scuro e tutta la nave dorme.
Probabilmente avrebbe continuato a parlare per ore se solo Fabrizio non avesse scoperto che Ermal non ha mai provato “l'Innominato”.
E, insomma, non puoi dire di aver vissuto veramente se non ne hai mai provato uno.
“Nessuno ha mai trovato il coraggio di dargli un nome. La prima volta che l'ho bevuto ho dormito per tre giorni.” esordisce Andrea, mentre Fabrizio torna al tavolo con un bicchiere ricolmo di un liquido ambrato in una mano e un bicchierino di sciroppo rosso scuro (amarena forse?) nell'altra.
Ed il sorriso che ha dipinto sulle labbra non è per nulla promettente.
“Mi raccomando, bevi prima questo e poi buttaci dietro l’altro. E, soprattutto, prima soffia”.
E come se niente fosse tira fuori un accendino dalla tasca dietro dei pantaloni e da fuoco al liquido.
Ermal sa che bere sarebbe davvero una pessima idea, lui che l'alcool lo regge davvero molto male.
Allora guarda Marco che, dall'altro lato del tavolo, gli lancia uno sguardo eloquente del tipo “Se muori abbandono qui il tuo cadavere”, ed è davvero tentato di rifiutare la proposta.
Ma poi si volta e incontra lo sguardo di Fabrizio che lo osserva incoraggiante con annesso enorme sorriso dipinto sulle labbra.
Come fa a non bere?
Infatti non fa e, senza indugiare oltre afferra il bicchiere che ancora sta bruciando, ci soffia sopra e beve tutto d'un sorso tra le urla festanti dell'intero tavolo -tranne quelle di Marco che già sa come andrà a finire la serata-.
E mentre beve gli viene l'atroce dubbio di averlo spento male perché non crede che sia normale che la sua gola bruci in quel modo.
Non appena il liquido ambrato finisce, Ermal appoggia il bicchiere sul tavolo con un rumore sordo e va alla ricerca del bicchierino con lo sciroppo, sperando che almeno quello gli dia un po' di sollievo alla scia di fuoco che ha nello stomaco.
Glielo porge Fabrizio, mentre lo incita a bere anche quello tutto d'un fiato.
Ed Ermal può forse dirgli di no?
Ma figurarsi!
E se solo avesse immaginato che quello non è proprio per il cazzo uno sciroppo di amarene ma tabasco mischiato ad altro alcool di cui davvero non vuole scoprire il nome, con il grande e possente membro di Rocco che l'avrebbe bevuto.
Ma ormai è tardi e il suo Grisù interiore si sta risvegliando dal coma etilico.
“Allora? Com'è?” gli domanda Fabrizio, facendoglisi vicino.
Ad Ermal ci vuole giusto qualche secondo per riuscire a riprendere coscienza da quel momento di morte.
E davvero non sa come faccia a sorridere e ad alzare il pugno in segno di vittoria senza vomitare il pranzo di Natale dell'anno passato.
Quello che sa è che Fabrizio gli ha passato un braccio intorno alle spalle e quindi il suo stomaco che sta cercando di digerire le fiamme dell'inferno può anche fottersi.
“Per ora sono vivo, spero di rimanerlo ancora per qualche anno”.
“ 'O so è forte, ma ora puoi dì d'esse' n'uomo vero! “
Ed è la risata di Fabrizio dopo quella frase l'ultima cosa che si ricorda di quella serata.
*
Ermal si sveglia di soprassalto, lo stomaco che brucia come la faccia di un demone a contatto con l'acqua santa, la lingua impastata e la testa che pulsa in maniera così dolorosa che l'istinto di sbatterla prepotentemente contro un muro è davvero forte.
Si guarda intorno, sperando che il collo regga e non si stacchi dalle sue spalle, giusto per rendersi conto dove diamine si fosse addormentato la sera prima.
Apparentemente al suo letto c'è arrivato.
E, sempre apparentemente, non è morto soffocato nel sonno dal suo stesso vomito.
Anche se il tremendo sapore che ha in bocca sembra dirgli l'esatto contrario.
Non ricorda niente, assolutamente niente di niente.
O per meglio dire, ricorda di aver bevuto quell'intruglio del demonio.
Ricorda di aver riso davvero tanto.
Ricorda pure Fabrizio costantemente al suo fianco e il rumore della sua risata.
E ricorda forse di aver lanciato una scarpa da qualche parte?
Effettivamente in fondo al suo letto di stivaletto ce n'è solo uno.
Oddio, che cazzo ha fatto.
Ci impiega circa cinque minuti ad alzarsi da letto e mettersi un qualcosa addosso.
Dovrà ricordarsi di ringraziare Montanari per avergli almeno tolto la maglietta prima di lanciarlo sul letto.
… Perchè è stato lui a lanciarlo sul letto, vero?
Non ha idea se ha ancora qualcosa nello stomaco -e soprattutto se ha ancora uno stomaco-, ma la nausea che il dondolio costante della nave non aiuta a placare non lo sta agevolando nel compito di uscire dalla propria camera.
Appellandosi a qualche santo che decide di miracolarlo, riesce ad arrivare sul ponte dove c'è il suo salvatore Marco che sta parlando al telefono.
“No sta ancora dormendo. Non mi sembra proprio il caso di ripetere stasera Francesco.”
Origlia Ermal, prima di andare a sbattere contro il tavolino e attirare così l'attenzione dell'amico.
“S'è svegliato, sembra vivo. Ti chiamo dopo” detto ciò chiude la chiamata e Ermal davvero spera che quello sguardo severo sia solo uno scherzo che Marco ha premeditato prima di dirgli di stare tranquillo che non è successo niente.
“Buongiorno, Ermal. O forse dovrei dire buon pomeriggio visto che sono le tre.”
No, non è uno scherzo. Dio santo che cazzo ha fatto.
“Marco, ti prego, evitata. È stato così tremendo?” Domanda, lasciandosi cadere a peso morto su un divanetto.
“Allora, vediamo, sei stato stranamente divertente per le prime ore quando in circolo nel corpo avevi solamente quell'intruglio che ti hanno propinato, ma poi hai avuto la brillante idea di assaggiare il cocktail di Fabrizio e te lo sei scolato, quindi  hai iniziato a raccontare qualche aneddoto divertente.”
“Ti prego, dimmi che non ho raccontato di Praga”
“Oh, sì che hai raccontato di Praga. Sei anche salito sul tavolo per essere sicuro che quelli del bar accanto fossero abbastanza fortunati da sentire.”
Ermal inizia a sperare che un enorme buco nero si apra sotto i suoi piedi e lo inghiottisca.
“Che altro ho fatto, Marco”.
“Hai continuato a bere, mandandomi coloritamente a fanculo quando ti ho consigliato di darti una regolata, hai fatto una scommessa con Andrea, che era circa ubriaco quanto te, che grazie a Dio nessuno ha vinto perchè sarebbe stato complicato spiegare a tua madre il perchè di un tatuaggio ambiguo sulla faccia, poi ti sei aggrappato a Fabrizio iniziando a parlare in albanese, e meno male che nessuno ti ha capito perchè ho come l'impressione che gli stessi dicendo cose non adatte ai minori, ed infine, oltre ad avermi fatto vivere un incubo per riportarti qui sullo yacht, e per questo devi ringraziare quel santo di Fabrizio perchè se non fosse stato per lui saresti a correre nudo su qualche spiaggia, ti sei strappato la camicia sfidandolo a fare lo stesso intimandolo con un, cito testuale, “Ma solo perchè voglio vederti nudo”, inoltre hai gettato una scarpa in mare solo perchè volevi vedere se era capace di nuotare. Per la cronaca no, non è capace.”
Ermal, dopo vent'anni di vita, ha capito cosa vuol dire perdere la dignità.
“Dovevi uccidermi, che razza di amico sei Montanari.”
“Non volevo infierire ulteriormente.”
E Marco un po' di pena per Ermal la prova in quel momento, nel vederlo ridotto uno straccio, con le occhiaie che gli accarezzano le ginocchia, la consapevolezza di essersi comportato da completo coglione davanti al ragazzo per cui sbavi da settimane e un dopo -sbornia da paura.
“Se ti può consolare anche Fabrizio era un po' ubriaco” tenta, sentendosi forse un po' in colpa per aver esposto i fatti in maniera così dura e diretta.
Ma Ermal sembra intento a pensare ad un modo per uccidersi in maniera veloce e indolore per prestare realmente attenzone a quello che Marco sta aggiungendo per cercare di addolcirgli la pillola.
Quindi, non solo ha dato il peggio di se davanti ad un intero tavolo di sconosciuti, no, ha anche dichiarato a Fabrizio stesso di volerlo vedere nudo e chissà che altro gli ha detto nella sua lingua madre.
Dio, potrebbe andare peggio di così?
E noi tutti ci ricordiamo cosa abbiamo detto del karma nelle due puntate precedenti, vero?  
Esatto, il karma è una puttana quindi ovviamente può andare peggio di così.
“Ao Marco, ciao! Com'è? S'è svegliato Ermal?”
Ermal vede chiaramente Marco, poco distante da lui, lanciargli un'occhiata veloce prima di spostarsi verso il parapetto dello yacth e rispondere al saluto di Fabrizio con un cenno della mano.
“Io sto bene, lo stesso non si può dire di Ermal che si è svegliato ora e sembra finito sotto uno schiacciasassi”.
E probabilmente è il suono della risata di Fabrizio che lo fa alzare dal divanetto e lo porta ad affiancare Marco.
“Non sto messo così male. Ho solo una nausea tremenda e la testa che scoppia.”
E una profonda vergogna che gli divora l'anima,
“Già che sei riuscito a metterti 'n piedi dopo tutto quello che te sei scolato ieri sera me pare 'n ottimo risultato!”
“Aspetta che scendo”
E senza aggiungere altro, senza nemmeno preoccuparsi di rendersi un minimo più presentabile, Ermal scende di due piani, attraversa la passerella e raggiunge la terraferma.
Il tutto senza cadere in acqua.
Bene, e ora?
“C'hai na faccia pallida da spavento, sei sicuro di star bene?”
“Ho avuto giornate migliori, ma almeno sto in piedi”.
Ermal si incanta a guardare Fabrizio sorridere e si domanda come faccia ad essere sempre così bello.
Cioè,da vicino è ancora più bello che visto dall'alto del suo yacht.
Poi si rende conto che magari dovrebbe anche cercare di dire qualcosa invece che fissarlo come un coglione.
Anche perchè non è che la sera precedente ha fatto poi una figura con i fiocchi.
“Senti... Mi scuso per il mio comportamento di ieri sera. Mi ha detto Marco che ho un po', ecco, esagerato”.
E davvero vorrebbe che il pavimento lo inglobasse e lo liberasse da questa situazione ignobile, ma la risata a cui si abbandona Fabrizio è decisamente il motivo per cui ritrova il coraggio di alzare lo sguardo, che prontamente aveva abbassato sulle sue ciabatte con la vergogna nell'anima.
Cioè, lui si sta scusando per essersi comportato come un coglione Fabrizio ride.
Al che la domanda sorge spontanea: ride di lui o ride con lui?
“Ma sta tranquillo! Ho capito che nun sei sempre così,  s'è visto che nun sei per niente abituato a bere tutta 'a roba forte che t'avemo propinato”.
E in una condizione normale, Ermal si sarebbe scansato con ribrezzo, nell'esatto momento in cui vede la mano di Fabrizio alzarsi e puntare alla sua testa.
Sono poche -davvero davvero poche- le persone che possono osare toccargli i capelli.
E di solito devono avere sulle spalle almeno tre anni di conoscenza.
Ma, insomma, Fabrizio è Fabrizio ed è normale non battere ciglio nemmeno quando quella mano finisce dritta tra i suoi capelli, scompigliandogli maggiormente i ricci che, in post-sbornia, è già tanto che siano ancora attaccati alla sua testa.
Può chiaramente sentire il “GASP” di Marco che, lo sa, li sta spiando dal piano superiore dello yacht.
Ma al momento Ermal si sta elevando fino in paradiso nel percepire il calore di Fabrizio così vicino alla sua pelle, il tocco gentile sulla sua nuca e quel sorriso a pochi centimetri di distanza.
E nonostante la nausea persistente, il mal di testa lancinante, l'equilibrio più che precario, Ermal ha deciso che quella giornata è cominciata proprio bene.
Ed è lo stesso Fabrizio a riportarlo con i piedi per terra.
“Ma senti ‘n po’, tra du’ giorni c’ho la serata libera e vado a suona’ ‘n pochetto in un posto. Magari se nun c’hai nulla da fare, me farebbe piacere se venissi.”
Ermal può quasi giurare di aver visto le sue guance colorarsi appena, ma è stato un momento troppo breve per esserne certo visto che Fabrizio si è premurato di voltare la testa e abbassare lo sguardo.
Sicuramente lui è arrossito.
Insomma, fino a ieri lo stava fissando dall’alto dei cieli e adesso Fabrizio lo ha invitato ad uscire e, cosa non meno importante, ha ancora la mano affondata nei suoi ricci.
Forse se l’è dimenticata.
Come se ad Ermal dispiaccia.
“Cioè, se c’hai da fare ‘n fa niente, n’te perdi nulla!” e come se gli avesse letto nel pensiero sfila la mano da quell’intreccio di capelli per passarla nei propri.
Ed Ermal si chiede se davvero Fabrizio sia in imbarazzo per avergli fatto quella proposta o se è la sua mente che gli sta giocando brutti scherzi facendogli vedere cose che in realtà non stanno accadendo.
“Vengo molto volentieri, Fabbrì” risponde forse un po’ troppo velocemente.
Ma lo farebbe di nuovo un miliardo di volte se questo vuol dire poter godere di quel sorriso luminoso che è andato a dipingersi sulle labbra di Fabrizio.
“Bene, perfetto, allora te faccio tenè ‘n posto! Ovviamente è invitato anche Marco.”
“Sono sicuro che verrà con piacere anche lui.”
E per un momento Ermal spera che tutto il gruppo gli dia buca così da poter godere di una serata da solo in compagnia di Fabrizio, ma il suo buon senso gli ha saggiamente suggerito di portare pazienza.
E si sa che la pazienza premia i pazienti.
Forse non è così il proverbio.
In ogni caso, quella giornata ha davvero preso una piega decisamente più che piacevole.
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edenlyeden · 3 years
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.       📽️  𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐯𝐞           𝗁𝗈𝗀𝗐𝖺𝗋𝗍𝗌           𝗇𝗈𝗏𝖾𝗆𝖻𝖾𝗋 𝟢𝟣, 𝟤𝟢𝟤𝟥           #𝖽𝖺𝗇𝗀𝖾𝗋𝗈𝗎𝗌𝗁𝗉𝗋𝗉𝗀                     ⤸    « Hei, sono qui. »  Pur sapendo che sarebbe arrivata, la voce di Lysistrate (ovattata dalla pesante porta che le divide) fa sobbalzare la serpeverde, intenta ad annusare i detersivi di scorta appartenenti a Gazza, forse con la speranza di perdere quell'olfatto messo a dura prova dall'olezzo dello stretto sgabuzzino.  « Hai seguito la mia scia fino ad arrivare a me? »  «Ho chiesto al tuo perfetto migliore amico, che a quanto pare sa della mia licantropia, dove tu fossi, molto più semplice e meno dispendioso di energie, sarebbe stato un guaio se mi avessi percepita stanca e svilita, no? »  𝘍𝘰𝘳𝘴𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘷𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘥𝘰𝘷𝘶𝘵𝘰 𝘥𝘪𝘳𝘨𝘭𝘪𝘦𝘭𝘰, 𝘰𝘱𝘴.  « Quante parole in pochi secondi, stai cercando di farmi concorrenza? »  « No, la lingua la muovi più velocemente tu e di questo sono molto grata a Salazar e anche ai tuoi genitori, sempre che sia genetico. »  « È tutta abilità mia, frutto di fortuna, talento e profondo esercizio. Mi dispiace per la storia della licantropia, comunque. » ed è sincera, ché per qualche strana ragione era convinta fosse di dominio pubblico. Probabilmente a Lorcan lo avrebbe detto comunque, ma questa è un'altra storia.  « Non importa, potevo immaginarlo. Lo vuoi il muffin? »  « Il giorno in cui rifiuterò del cibo, dovrai farmi ricoverare. »  « Apri, io mi sposto. »  « Il muffin me lo lanci? »  « Lo appoggio a terra, è incartato. »  « Peccato, sarebbe stato divertente. Non essere troppo bella oppure ho la tentazione di avvicinarmi, ok? »  « Ma io sono bellissima sempre, Octavia. »  « Oh no, hai usato / il / nome. » ha aperto la porta, per ora è solo un occhietto verde quello che sbuca. « E hai proprio ragione. »  « Ciao. », sussurra appena, il tono tremendamente dolce alla sola vista dello spiraglio aperto.  « Ciao. » ha aperto totalmente la porta e le ha rivelato così un brillante sorriso, tuttavia bloccato pochi secondi dopo da un leggero capogiro. « Tu hai mangiato? »  La osserva e vorrebbe correre verso di lei, Lysistrate, ma si limita ad allungare lievemente una mano e ritrarla subito. « Ho mangiato. » mente con il sorriso sulle labbra. « Sei proprio in condizioni pessime, ma sei carina, sai? », ché se qualcuno qualche mese prima le avesse raccontato quella scena mai avrebbe creduto alla dolcezza delle parole appena utilizzate.  « Guarda che la percepisco la "paura" che io scopra che stai mentendo. » percepisce pure la voglia di avvicinarsi e toccarsi, pur senza capire dove finiscano i sentimenti di Lysistrate e dove inizino i propri. Si china e scarta il muffin, che divide in due esatte metà: diventa difficile incartare quella rimanente con quella destinata a se stessa in mano, ma riesce e poco dopo è di nuovo in piedi, soltanto mangiucchiante. « La senti la puzza di Gazza? Non me la toglierò mai di dosso. Ho trovato una cosa interessante, però. »  La guarda, la grifondoro, e riesce solo a pensare a quanto sia bella e quanta voglia abbia di proteggerla dal mondo intero e, forse, anche da se stessa. « Ho altri due muffin qui, mangerò anche quello di Lorcan, magari così mi starà più simpatico. », perché tanto non ha senso mentire. « Sì, maledetto fiuto da lupo, te la sentirò addosso per giorni interi. Uh, cos'hai trovato? » Senza rendersene conto un passo verso di lei lo fa, poi si blocca, tremendamente spaventata dall'idea di aver esagerato.  « Mi vuoi dire che io ho compiuto la missione impossibile di dividere il muffin a metà e tu ne avevi altri due a portata di mano? I miei talenti impiegati per l'inutilità. » passa il dito sull'angolo delle labbra per togliere di lì qualche briciola birichina. Nota il passo avanti e resta ferma, nonostante il capogiro venga enfatizzato da quel gesto. « Un tamburello. » il tono le esce appena provato, sebbene abbia cercato in tutti i modi di concentrarsi soltanto su se stessa e di respirare profondamente. « Credo che lo ruberò. »  « Te l'ho anche detto prima, non mi presti abbastanza attenzione, signorina. » ride e non può fare a meno di restare incantata dal movimento delle sue falangi sulle labbra. Nota la fatica di Eden e si allontana ancora. « Scusami, non volevo, dimmi ─ dimmi cosa posso ─ cosa devo fare. »  « Veramente me lo hai detto prima? » è sconvolta, sul serio non ricorda niente e per una che ama vantarsi della propria memoria è, beh, terribile. Ma mai quanto la sensazione che sta provando. « Temo di dover chiudere nuovamente la porta. » e sbuffa, arrabbiata con se stessa e l'incapacità del momento.  « Veramente. », le risponde con tono morbido e si allontana ancora. Una volta che la porta si richiude Lysistrate si allontana ancora, quanto le basta per odiarsi per qualche secondo, riprendere a respirare piano e poi tornare verso la porta. Si siede con la schiena aderente al legno. « Sei la creatura più forte che io conosca e io credo di 𝐚𝐦𝐚𝐫𝐭𝐢 con tutta me stessa e te lo dico dietro una porta, da codarda, perché è inutile che stia zitta, tanto te ne accorgeresti lo stesso e ─ giuro che se lo userai contro di me dirò a tutti che sei una finta bionda.» e si lascia scappare una risatina di liberazione.  Poggiata al legno spesso con la nuca, Eden si concede di chiudere gli occhi, ché magari così regolarizzare il respiro sarebbe risultato un po' più semplice e utile al fine di tranquillizzarsi. Di norma gestire le emozioni di una sola persona sarebbe stato spontaneo, eppure il 𝘣𝘰𝘰𝘮 improvviso del pomeriggio l'ha devastata al punto di compromettere pure quella gestione tanto semplice. Spera che il tutto si risolva quanto prima, altrimenti sì che sarebbero stati giancarli senza zucchero. Sente il rumore di Lysistrate che si siede, allora la imita e pian piano scivola col sedere sul pavimento inquietante, le gambe necessariamente piegate in una posizione scomoda a causa del poco spazio. Se lo sarebbe dovuta scegliere decisamente meglio, il nascondiglio. Così come avrebbe voluto ribattere che no, lei non è forte nemmeno la metà della Tsopei (lo pensa davvero, non è per cortesia!), se soltanto la ragazza non avesse poi continuato a parlare. Buffo modo di dichiarare il proprio amore, senza ombra di dubbio. « Però hai detto "credo". » puntualizza, un sorriso che un tempo sarebbe stata una smorfia di terrore subito seguita da una fuga (chissà dove, poi, intrappolata come un sorcio com'è). Ha ancora un po' il terrore di tali parole e dichiarazioni importanti, ma sta scendendo sempre più a patti con la consapevolezza che, beh, Lysistrate valga il rischio e l'impegno, addirittura qualche attimo melenso. « E ti devi trovare un'altra minaccia, ormai tutti lo sanno. »  Sorride chiudendo gli occhi contro la porta e sentendo le parole della maggiore. Il cuore le batte in una maniera spropositata, che non serve nemmeno l'abilità di Eden o l'udito da lupo per percepirlo in quel momento. « Sei una cretina. » e ride, spontaneamente ed in modo così sincero che nemmeno lei ci crede. « Sai, esimia testa di cazzo, non ho mai avuto idea di cosa fosse l'amore, poi c'è stata Thus, lei ha curato le mie ferite, mi ha amata, non ha mai avuto paura di me. Mai. Mi ha insegnato cosa sia l'amore di una famiglia e a fidarmi, per la prima volta, di qualcuno. Però, prima di te, non avevo idea di cosa fosse l'amore romantico, che forse alla nostra età è anche giusto che sia così, ma tu hai stravolto tutto. E ti odio. E mi fai essere così gelosa e poi melensa e ─ mi sento ridicola e a volte ho paura, ma quello che provo per te abbatte tutto. E, credimi, quando ti dico che tu sei la creatura più forte che io conosca, credimi, Eden, ti prego. » Una mano sul pavimento, che si attacca alla porta, perché vorrebbe solo sfiorare la sua.  « Se mi dici che sono una cretina in questo modo, mi viene difficile crederci. » le fanno male le guance per quanto sia prolungato il sorriso, ma non per questo smette: ascolta il suo monologo senza interromperla (ed è molto difficile, considerato quanto le prema sulla lingua il desiderio di una qualsiasi battuta in merito a Dario Cassini, un comico che ha per intercalare proprio 𝘦𝘴𝘪𝘮𝘪𝘢 𝘵𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘥𝘪 𝘤𝘢𝘻𝘻𝘰 che le ha attribuito), le dita che alla fine, da sole e inconsapevoli di essere specchio di quelle di Lysistrate, seguono l'istinto di attaccarsi alla porta. « E comunque lo sei davvero. Ridicola, intendo. » il tono non riesce a celare la tenerezza che prova, forse il primo sentimento totalmente suo che percepisce dal 𝘵𝘦𝘳𝘳𝘪𝘣𝘪𝘭𝘦 𝘣𝘰𝘰𝘮. « Perché adesso questo momento non sarà coronato da un super bacio come accade nelle migliori commedie adolescenziali. Ti sembra giusto? » scherza, uno sbuffo di risata a riempire l'attimo di pausa che prende. « 𝐆𝐫𝐚𝐳𝐢𝐞. Potrebbe sembrare il remake della dichiarazione di Marissa a Ryan, ma in realtà sento di dovertelo dire perché so quanto sia difficile per te ammettere queste cose a voce alta e già soltanto questa intenzione mi fa capire quanto ciò che dici sia vero. » Segue un po' di silenzio, il rumore del corpo di Eden che prova a girarsi affinché adesso sia la bocca vicina al legno, quasi come volesse confidare un segreto nell'orecchio di Lysistrate. « Appena recupero la barriera, ti faccio vedere io quanta forza ho. » tono marcatamente sensuale, forse persino seguito da un piccolo ringhio: non ce la fa mai ad essere seria per troppo, del resto.  «D'accordo, d'accordo, studierò attentamente altri modi per dirtelo, mia cara.», una live inflessione sul "mia cara", ride, anche se potrà sembrare un'idiota a ridere e dichiararsi da sola in un corridoio, ma da quando in questa relazione vi è qualcosa di convenzionale? Muove la mano sul legno, Merlino solo sa quanto vorrebbe sfiorarla e accarezzarla in quel momento, un po' si odia per non essere in grado di proteggerla. Il tono tenero con cui Eden le si rivolge la fa sorridere ancora, teme in una futura paralisi facciale di questo passo. « Me ne rendo conto, ci lavorerò su, prometto.» Rimane in silenzio, poi, non si aspetta una dichiarazione a sua volta, da Eden, non è per questo che ha detto ciò che ha detto, ma solo perché si sentiva di farlo. « Beh, ricordiamoci la fine che ha fatto Marissa, vorrei evitare di essere totalmente il suo remake, grazie.» ride e scuote il capo, ché Eden lo sa che quelle parole in realtà hanno tutt'altro valore. Ascolta i rumori dietro la porta e si gira anche lei, come se volesse passare attraverso il legno e andare a baciarla e stringerla a sè. « Ouch, dovrò aspettare molto? Sai la tua audacia mi eccita molto, ora sono curiosa di sapere che effetto avrà su di me tutta questa tua forza. »    Non ha dovuto aspettare molto, 𝘮𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 è 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘢 𝘶𝘯'𝘢𝘭𝘵𝘳𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘱𝘶ò 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘲𝘶𝘪 𝘳𝘢𝘤𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘵𝘢.
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              📍 hogwarts               📅 nov. 01, 2023               🔗 #𝖽𝖺𝗇𝗀𝖾𝗋𝗈𝗎𝗌𝗁𝗉𝗋𝗉𝗀                         ・・・    « Hei, sono qui. »  Pur sapendo che sarebbe arrivata, la voce di Lysistrate (ovattata dalla pesante porta che le divide) fa sobbalzare la serpeverde, intenta ad annusare i detersivi di scorta appartenenti a Gazza, forse con la speranza di perdere quell'olfatto messo a dura prova dall'olezzo dello stretto sgabuzzino.  « Hai seguito la mia scia fino ad arrivare a me? »  «Ho chiesto al tuo perfetto migliore amico, che a quanto pare sa della mia licantropia, dove tu fossi, molto più semplice e meno dispendioso di energie, sarebbe stato un guaio se mi avessi percepita stanca e svilita, no? »  𝘍𝘰𝘳𝘴𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘷𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘥𝘰𝘷𝘶𝘵𝘰 𝘥𝘪𝘳𝘨𝘭𝘪𝘦𝘭𝘰, 𝘰𝘱𝘴.  « Quante parole in pochi secondi, stai cercando di farmi concorrenza? »  « No, la lingua la muovi più velocemente tu e di questo sono molto grata a Salazar e anche ai tuoi genitori, sempre che sia genetico. »  « È tutta abilità mia, frutto di fortuna, talento e profondo esercizio. Mi dispiace per la storia della licantropia, comunque. » ed è sincera, ché per qualche strana ragione era convinta fosse di dominio pubblico. Probabilmente a Lorcan lo avrebbe detto comunque, ma questa è un'altra storia.  « Non importa, potevo immaginarlo. Lo vuoi il muffin? »  « Il giorno in cui rifiuterò del cibo, dovrai farmi ricoverare. »  « Apri, io mi sposto. »  « Il muffin me lo lanci? »  « Lo appoggio a terra, è incartato. »  « Peccato, sarebbe stato divertente. Non essere troppo bella oppure ho la tentazione di avvicinarmi, ok? »  « Ma io sono bellissima sempre, Octavia. »  « Oh no, hai usato / il / nome. » ha aperto la porta, per ora è solo un occhietto verde quello che sbuca. « E hai proprio ragione. »  « Ciao. », sussurra appena, il tono tremendamente dolce alla sola vista dello spiraglio aperto.  « Ciao. » ha aperto totalmente la porta e le ha rivelato così un brillante sorriso, tuttavia bloccato pochi secondi dopo da un leggero capogiro. « Tu hai mangiato? »  La osserva e vorrebbe correre verso di lei, Lysistrate, ma si limita ad allungare lievemente una mano e ritrarla subito. « Ho mangiato. » mente con il sorriso sulle labbra. « Sei proprio in condizioni pessime, ma sei carina, sai? », ché se qualcuno qualche mese prima le avesse raccontato quella scena mai avrebbe creduto alla dolcezza delle parole appena utilizzate.  « Guarda che la percepisco la "paura" che io scopra che stai mentendo. » percepisce pure la voglia di avvicinarsi e toccarsi, pur senza capire dove finiscano i sentimenti di Lysistrate e dove inizino i propri. Si china e scarta il muffin, che divide in due esatte metà: diventa difficile incartare quella rimanente con quella destinata a se stessa in mano, ma riesce e poco dopo è di nuovo in piedi, soltanto mangiucchiante. « La senti la puzza di Gazza? Non me la toglierò mai di dosso. Ho trovato una cosa interessante, però. »  La guarda, la grifondoro, e riesce solo a pensare a quanto sia bella e quanta voglia abbia di proteggerla dal mondo intero e, forse, anche da se stessa. « Ho altri due muffin qui, mangerò anche quello di Lorcan, magari così mi starà più simpatico. », perché tanto non ha senso mentire. « Sì, maledetto fiuto da lupo, te la sentirò addosso per giorni interi. Uh, cos'hai trovato? » Senza rendersene conto un passo verso di lei lo fa, poi si blocca, tremendamente spaventata dall'idea di aver esagerato.  « Mi vuoi dire che io ho compiuto la missione impossibile di dividere il muffin a metà e tu ne avevi altri due a portata di mano? I miei talenti impiegati per l'inutilità. » passa il dito sull'angolo delle labbra per togliere di lì qualche briciola birichina. Nota il passo avanti e resta ferma, nonostante il capogiro venga enfatizzato da quel gesto. « Un tamburello. » il tono le esce appena provato, sebbene abbia cercato in tutti i modi di concentrarsi soltanto su se stessa e di respirare profondamente. « Credo che lo ruberò. »  « Te l'ho anche detto prima, non mi presti abbastanza attenzione, signorina. » ride e non può fare a meno di restare incantata dal movimento delle sue falangi sulle labbra. Nota la fatica di Eden e si allontana ancora. « Scusami, non volevo, dimmi ─ dimmi cosa posso ─ cosa devo fare. »  « Veramente me lo hai detto prima? » è sconvolta, sul serio non ricorda niente e per una che ama vantarsi della propria memoria è, beh, terribile. Ma mai quanto la sensazione che sta provando. « Temo di dover chiudere nuovamente la porta. » e sbuffa, arrabbiata con se stessa e l'incapacità del momento.  « Veramente. », le risponde con tono morbido e si allontana ancora. Una volta che la porta si richiude Lysistrate si allontana ancora, quanto le basta per odiarsi per qualche secondo, riprendere a respirare piano e poi tornare verso la porta. Si siede con la schiena aderente al legno. « Sei la creatura più forte che io conosca e io credo di 𝐚𝐦𝐚𝐫𝐭𝐢 con tutta me stessa e te lo dico dietro una porta, da codarda, perché è inutile che stia zitta, tanto te ne accorgeresti lo stesso e ─ giuro che se lo userai contro di me dirò a tutti che sei una finta bionda.» e si lascia scappare una risatina di liberazione.  Poggiata al legno spesso con la nuca, Eden si concede di chiudere gli occhi, ché magari così regolarizzare il respiro sarebbe risultato un po' più semplice e utile al fine di tranquillizzarsi. Di norma gestire le emozioni di una sola persona sarebbe stato spontaneo, eppure il 𝘣𝘰𝘰𝘮 improvviso del pomeriggio l'ha devastata al punto di compromettere pure quella gestione tanto semplice. Spera che il tutto si risolva quanto prima, altrimenti sì che sarebbero stati giancarli senza zucchero. Sente il rumore di Lysistrate che si siede, allora la imita e pian piano scivola col sedere sul pavimento inquietante, le gambe necessariamente piegate in una posizione scomoda a causa del poco spazio. Se lo sarebbe dovuta scegliere decisamente meglio, il nascondiglio. Così come avrebbe voluto ribattere che no, lei non è forte nemmeno la metà della Tsopei (lo pensa davvero, non è per cortesia!), se soltanto la ragazza non avesse poi continuato a parlare. Buffo modo di dichiarare il proprio amore, senza ombra di dubbio. « Però hai detto "credo". » puntualizza, un sorriso che un tempo sarebbe stata una smorfia di terrore subito seguita da una fuga (chissà dove, poi, intrappolata come un sorcio com'è). Ha ancora un po' il terrore di tali parole e dichiarazioni importanti, ma sta scendendo sempre più a patti con la consapevolezza che, beh, Lysistrate valga il rischio e l'impegno, addirittura qualche attimo melenso. « E ti devi trovare un'altra minaccia, ormai tutti lo sanno. »  Sorride chiudendo gli occhi contro la porta e sentendo le parole della maggiore. Il cuore le batte in una maniera spropositata, che non serve nemmeno l'abilità di Eden o l'udito da lupo per percepirlo in quel momento. « Sei una cretina. » e ride, spontaneamente ed in modo così sincero che nemmeno lei ci crede. « Sai, esimia testa di cazzo, non ho mai avuto idea di cosa fosse l'amore, poi c'è stata Thus, lei ha curato le mie ferite, mi ha amata, non ha mai avuto paura di me. Mai. Mi ha insegnato cosa sia l'amore di una famiglia e a fidarmi, per la prima volta, di qualcuno. Però, prima di te, non avevo idea di cosa fosse l'amore romantico, che forse alla nostra età è anche giusto che sia così, ma tu hai stravolto tutto. E ti odio. E mi fai essere così gelosa e poi melensa e ─ mi sento ridicola e a volte ho paura, ma quello che provo per te abbatte tutto. E, credimi, quando ti dico che tu sei la creatura più forte che io conosca, credimi, Eden, ti prego. » Una mano sul pavimento, che si attacca alla porta, perché vorrebbe solo sfiorare la sua.  « Se mi dici che sono una cretina in questo modo, mi viene difficile crederci. » le fanno male le guance per quanto sia prolungato il sorriso, ma non per questo smette: ascolta il suo monologo senza interromperla (ed è molto difficile, considerato quanto le prema sulla lingua il desiderio di una qualsiasi battuta in merito a Dario Cassini, un comico che ha per intercalare proprio 𝘦𝘴𝘪𝘮𝘪𝘢 𝘵𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘥𝘪 𝘤𝘢𝘻𝘻𝘰 che le ha attribuito), le dita che alla fine, da sole e inconsapevoli di essere specchio di quelle di Lysistrate, seguono l'istinto di attaccarsi alla porta. « E comunque lo sei davvero. Ridicola, intendo. » il tono non riesce a celare la tenerezza che prova, forse il primo sentimento totalmente suo che percepisce dal 𝘵𝘦𝘳𝘳𝘪𝘣𝘪𝘭𝘦 𝘣𝘰𝘰𝘮. « Perché adesso questo momento non sarà coronato da un super bacio come accade nelle migliori commedie adolescenziali. Ti sembra giusto? » scherza, uno sbuffo di risata a riempire l'attimo di pausa che prende. « 𝐆𝐫𝐚𝐳𝐢𝐞. Potrebbe sembrare il remake della dichiarazione di Marissa a Ryan, ma in realtà sento di dovertelo dire perché so quanto sia difficile per te ammettere queste cose a voce alta e già soltanto questa intenzione mi fa capire quanto ciò che dici sia vero. » Segue un po' di silenzio, il rumore del corpo di Eden che prova a girarsi affinché adesso sia la bocca vicina al legno, quasi come volesse confidare un segreto nell'orecchio di Lysistrate. « Appena recupero la barriera, ti faccio vedere io quanta forza ho. » tono marcatamente sensuale, forse persino seguito da un piccolo ringhio: non ce la fa mai ad essere seria per troppo, del resto.  «D'accordo, d'accordo, studierò attentamente altri modi per dirtelo, mia cara.», una live inflessione sul "mia cara", ride, anche se potrà sembrare un'idiota a ridere e dichiararsi da sola in un corridoio, ma da quando in questa relazione vi è qualcosa di convenzionale? Muove la mano sul legno, Merlino solo sa quanto vorrebbe sfiorarla e accarezzarla in quel momento, un po' si odia per non essere in grado di proteggerla. Il tono tenero con cui Eden le si rivolge la fa sorridere ancora, teme in una futura paralisi facciale di questo passo. « Me ne rendo conto, ci lavorerò su, prometto.» Rimane in silenzio, poi, non si aspetta una dichiarazione a sua volta, da Eden, non è per questo che ha detto ciò che ha detto, ma solo perché si sentiva di farlo. « Beh, ricordiamoci la fine che ha fatto Marissa, vorrei evitare di essere totalmente il suo remake, grazie.» ride e scuote il capo, ché Eden lo sa che quelle parole in realtà hanno tutt'altro valore. Ascolta i rumori dietro la porta e si gira anche lei, come se volesse passare attraverso il legno e andare a baciarla e stringerla a sè. « Ouch, dovrò aspettare molto? Sai la tua audacia mi eccita molto, ora sono curiosa di sapere che effetto avrà su di me tutta questa tua forza. »    Non ha dovuto aspettare molto, 𝘮𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 è 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘢 𝘶𝘯'𝘢𝘭𝘵𝘳𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘱𝘶ò 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘲𝘶𝘪 𝘳𝘢𝘤𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘵𝘢.
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flotillasreview · 6 years
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Recensione: Love me if you dare
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Attenzione: la recensione contiene numerosi e consistenti spoiler, doramista avvisato mezzo salvato. Si tratta esclusivamente della mia opinione personale sull'opera in sé e nient'altro, se siete fan della serie o degli attori e non la condividete non ritenetela un’offesa ma cercate di coglierne l’ironia e la leggerezza.
Da grande ammiratrice di Wallace, avevo messo questo drama nella lista delle mie visioni doramiche da un pezzo. Finora lo avevo visto recitare solo in ruoli storici, in cui mi aveva colpito più per la bellezza fisica che per le capacità recitative. Intendiamoci, non era un cane, anzi, mi piacque molto in quelle parti. Ma forse i ruoli recitati non gli offrivano la possibilità di esplorare le sue capacità interpretative. Sono molto contenta di aver scelto di vedere questo drama, non mi ha affatto delusa. È un ottimo investigativo thriller, le indagini, i casi, i criminali, gli sviluppi di trama seguono tutti un filo logico, a volte visibile, a volte meno, ma non per dimenticanze del regista, o dello sceneggiatore ma per una scelta ponderata che svelerà i suoi motivi con l'andare della storia. Non solo, verranno dati allo spettatore diversi indizi, durante la narrazione dei casi, che gli permetteranno di fare diverse ipotesi e congetture sullo sviluppo della trama e che avranno conferma a tempo debito. Il ritmo di narrazione infatti non cede mai, se non in un singolo momento per via della romance che segna comunque un cambiamento di rotta.
Simon Bo/Bo Jin Yan
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 All'inizio avevo dei dubbi, devo esser sincera, temevo che sarebbe stato il solito personaggio dipinto come un genio, che se la tira ma che per amore della tipa di turno diventa il re degli idioti, o si ritrova a fare scelte insensate solo per essere sempre al di sopra del nemico. Invece il personaggio di Simon racchiude molto di più, è viene man mano snocciolato nel corso del drama. Poliedrico è il termine che mi viene in mente. Se all'inizio ha una figura un po' inquietante, cupa, tenebrosa, che di sicuro nasconde molti segreti, lo si vedrà evolversi e mostrarci tutte le sue facce. Sarà attivamente protagonista  anche delle scene più divertenti del drama perché, sì, ce ne sono, e aggiunte in maniera così delicata che non daranno alcun disturbo al mood. Se infatti da una parte Simon è intelligente, astuto, stratega e freddo analizzatore della realtà, dall'altra è molto puerile, privo di tatto e di esperienza, un principiante dei sentimenti. E se questo poteva renderlo banale, dato che è uno stereotipo fisso dei drama, lo renderà invece molto divertente e interessante. Mi è piaciuta molto poi la dualità con Allen. Credo che in parte Simon abbia mentito dicendo di esserselo inventato. Allen è la sua parte oscura, quella che riesce a comprendere ed analizzare l'anima diabolica e velenosa dei criminali che solo lui può catturare. Non ha ucciso quelle donne, non è un assassino ma in fondo ricostruendo e analizzando quei crimini è come se vi avesse assistito. Allen fa parte di lui, sempre. Credo che il finale ce lo confermi. Simon risulta vincente, inoltre, come personaggio perché finalmente vediamo un uomo che non perde la lucidità delle proprie azioni ed idee quando la propria donna viene rapita e picchiata o perde il senno. Non usa la forza, non dà di matto compiendo solo errori che peggioreranno le cose. Usa la testa. Non c'è nulla di più affascinante dell'intelligenza. Wallace è riuscito a dipingere un personaggio così complesso, di così tante sfaccettature che mi ha lasciata basita. Non me lo aspettavo e spero continui con ruoli simili. Dopo averlo doverosamente lodato per le sue doti, non posso non dire quanto lo abbia trovato affascinante e sensuale. A bellezza ha oscurato tutti gli altri protagonisti che non sono mica dei bruttoni! Ma proprio non c'era storia. Complimenti ad hairstyler e stilista. Raramente nei drama beccano gli outfit, gli fanno indossare delle robacce che nemmeno certi pagliacci. Wallace è stato impeccabile in tutto.
Jin Yao/Jenny
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È la prima volta che vedo Sandra all'opera. L'ho trovata molto brava, ha un bel viso, un bel sorriso, poco credibile in alcune scene di pianto forse perché troppo forzate, non so. Ma di sicuro, una cosa che devo additarle è la voce. Ha recitato 24 puntate bisbigliando e sussurrando. Questa "modalità sussurro" l'ho notata anche in The Disguiser. Non so se sia una scelta del regista, o di chi per lui, ma a parer mio, toglie effetto ad altre scene in cui magari il bisbiglio sarebbe stato opportuno. Riguardo al personaggio, mi è piaciuto molto all'inizio, una ragazza intelligente, sveglia, capace, che sa quel vuole, e a volte finge di non saperlo, ma comunque molto naturale e di carattere. Una bella protagonista, insomma. Peccato però che nella seconda metà perda il carattere per strada e piagnucoli per ogni cosa, costringendo il povero Simon a raccogliere i vari pezzi in cui si sfracella. Per fortuna, oltre al piagnucolio continuo non combina stupidaggini e se ne sta buona dove le viene ordinato evitando ulteriori casini.
Fu Zi
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Fu Zi L'amico, fratello, anche un po' maggiordomo, L'Alfred della situazione. Ha un ruolo fondamentale, conosce Simon, il suo passato, le sue capacità, cosa prova e cosa teme. In molte situazioni si rivelerà "risolutivo".
XuRan
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Ovvero un second lead disoccupato. Non si comporta nemmeno da second lead, è talmente consapevole del fatto che Jenny non provi nulla per lui che si tira fuori dai giochi da solo e anzi aiuta la coppietta di incapaci a quagliare. Anche il suo personaggio nella prima parte mi è piaciuto tanto, un poliziotto con un carattere forte, intelligente e onesto, vorrebbe essere come Simon, ma in fondo anche lui sa fare bene il suo lavoro, solo che usa metodi diversi dal professore. Peccato, che nella seconda parte gliene accadano di ogni e passi poi in secondo piano, avrei preferito una sua partecipazione più attiva, un po' come Fu Zi.
Antagonista
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Il cattivone artefice di tutto che ha avuto ben tre ruoli: Tommy, Xie Han, e “il fidanzato della sorella di Simon”. Mi pare evidente che Tommy avesse tanti problemi, non solo mangiava carne umana ma non capiva nemmeno cosa gli stesse accadendo attorno. Usato da tutti è morto come un idiota. Nel caso di Xie Han, i problemi erano già evidenti nel modo di vestire. Psicopatico e megalomane fino in fondo, si credeva un dio ed ha scoperto di essere un pupazzo di terracotta. Bravo comunque l'attore che lo ha reso abbastanza psicolabile e fastidioso. Nonostante fosse solo una marionetta è un personaggio molto più complesso di chi lo controlla. La sua ossessione per Simon, il suo passato, il modo in cui opera, dà struttura al suo ruolo. Il fidanzato della sorella di cui non ricordo il nome, che è a capo di tutto risulta alquanto spoglio. Perché ha fatto tutto questo? Perché Simon lo guardava dall'alto in basso?! C'aveva ragione! È così idiota che lo aveva già scoperto dall'inizio ed è così stupido che ha fatto tutti questi casini perché ha i complessi di inferiorità. Che ha problemi mi pare ovvio ma la cosa non viene analizzata più di tanto.
E poi per ultimo ma assolutamente non meno importante il mio personaggio preferito. Andy! Se esiste un'auto così la voglio! Andy è un amore, la miglior auto di sempre! <3
Oh sì, Cheng Mo, povera! Nessuno la considera più dopo un po'. Su, ragazzi compriamo un terrario a quella povera tartaruga!
Mi è piaciuto l'uso poco convenzionale delle telecamere posizionate sugli oggetti, un po' strano all'inizio ma dopo un po' ti abitui e non lo noti. Per la prima vedo un cast misto in un drama, con attori occidentali che parlano la loro lingua madre. E non ho trovato per nulla strano vederli parlare due lingue diverse contemporanemente. Parliamo di agenti federali e laureati con duemila master, livello agenti 007 insomma, cinese e inglese sono poi le lingue più diffuse e studiate in questi ultimi anni, logicamente parlando, non trovo strafalcioni. La più brava è stata l'attrice che ha interpretato Susan.
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La romance è stata introdotta e sviluppata in molto carino, non è smielata nè pesante o onnipresente. Non toglie alla trama bensì aggiunge una parte più leggera e divertente che smorza un po' il resto. La carinissima scena della prima notte insieme mi ha divertito molto, sia per l'impacciataggine di lui, che è comunque anni luce rispetto ad altri, sia perché finalmente è stata descritta in maniera realistica. Nessuna coppia di trentenni che si sfiorano le mani ed entrano in iperventilazione con consecutive pippe mentali. Io ringrazio vivamente. Stessa cosa per i baci, senza troppe moine e giri mentali che nemmeno i cavalieri dello zodiaco. - Vuoi baciarmi? - Tanto. Così si parla, Simon! Grazie.
Avrei solo reso meno lunga la scena in cui lei rapita dal fanboy di Simon gli dice addio. Troppo piagnucolosa da sembrare forzata. Ci sono sciocchezze che chi lo ha realizzato ha lasciato correre ma niente che incida sulla bellezza del drama. In una scena Jenny viene colpita al collo, sviene e viene presa in spalla da un omone nero. Ma una persona svenuta può tenere le gambe piegate in aria? xD MAH In una scena Allen spara a Jenny, poco prima la bacia. Nella prima parte del drama Jenny aveva confutato la teoria di Simon per cui un bacio può essere camuffato, spiegandogli che lui ha una certa abitudine quando la bacia che ripete incosciamente. Ergo Jenny sapeva che Allen era in realtà Simon. Perché piagnucola?
Il Finale
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Il finale lascia intendere che potrebbe esserci una seconda stagione come no. Ma i sequel sono pericolosissimi, quindi meglio tenersene uno ed evitare che venga deturpato.
Voto: 8,5/10 Consigliatissimo se piace il genere. Le puntate scorrono via veloci. Per le donzelle una sola ulteriore motivazione: Wallace in forma raggiante.
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eleanordahlia · 5 years
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.     👑     —    𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄       𝐞𝐥𝐞𝐚𝐧𝐨𝐫 𝐝𝐚𝐡𝐥𝐢𝐚   &   𝐞𝐜𝐭𝐨𝐫 𝐚𝐭𝐥𝐚𝐬       ❪    ↷↷     mini role ❫       r  a  v   e   n   f   i   r   e       22.04.2019  —  #ravenfirerpg       #fitzgeraldevent #aliceinwonderland
Partecipare ad eventi del genere faceva decisamente parte della vecchia vita di Eleanor, quella fatta di pose e lustrini, di luci della ribalta e soprattutto di gossip. Ma perché non avrebbe dovuto ripercorrere un po' di quella frenesia? Era giunto a casa quell'invito così particolare, e non appena aveva intravisto il dress code, Eleanor aveva sorriso sorniona. Sapeva esattamente che cosa avrebbe indossato. Ella si prese il suo tempo, acconciò i capelli in morbide onde che le cadevano sulla schiena, si truccò con una profonda linea di eyeliner che le valorizzava lo sguardo e indossò quell'abito color carta da zucchero che le stava d'incanto. Ricordava vagamente i colori di Alice, la protagonista del famoso cartone animato degli anni cinquanta, tema centrale della serata. Elegante in quel suo abito lungo, la Janssen avrebbe attirato tutti gli sguardi su di sé, e di fatto ella non aspettava altro. Solo quando l'esperimento arrivò dinnanzi alla magione dove si teneva il party, si concesse un sorriso ed un lieve sospiro. Le labbra color nudo, stranamente, erano increspate, affascinata dai particolari e mentre osservava ogni dettaglio accuratamente studiato. Non si poteva dire altrimenti, i Fitzgerald avevano pensato davvero a tutto. La Janssen rimase colpita da tanto sfarzo una volta entrata all'interno della residenza, osservò i camerieri come fossero finemente coordinati nel portamento ma anche nei colori e solo quando l'occhio di Eleanor cadde sul programma, il suo sorriso divenne più ampio. Sarebbe stata una serata davvero d'effetto. [...] La serata sembrava evolversi seguendo quel fitto programma che immancabilmente portò il bell'esperimento nella parte esterna ad osservare il caleidoscopio di colori che si vedeva in cielo. I fuochi d'artificio scoppiavano, uno dopo l'altro, quando una presenza si fece insistente alle sue spalle. Un sorriso sornione si dipinse sulle di lei labbra mentre parlò.
« A quanto pare mi hai trovato... ancora una volta. »
Ector Atlas Kelley
Ector si muove tra la folla con grazia e con un sorriso tanto falso quanto ammaliante che, a volte, sembra essere lui il proprietario di casa dato che si diletta nell’intrattenere quasi tutti gli ospiti con piccoli aneddoti sulla propria vita o con qualche storiella interessate e divertente avvenuta presso l’officina meccanica. Si sa vendere bene il giovane Kelley che, in quella serata, ha probabilmente accaparrato qualche cliente in più e qualche donna per passare in compagnia le notti future. Nel suo abito che ricorda il cappellaio matto si dirige ora verso l’esterno per osservare quei fuochi d’artificio che segnano la fine della serata sfarzosa dei Fitzgerald, serata che qualcuno si è divertito a rovinare correggendo le bevande. Beh, rovinate.... Ector l’ha trovata un’idea geniale movimentare in quel modo una festa del genere ma ha preferito tener per Se questa sua visione dell’accaduto. « Io trovo sempre chi voglio. »
Eleanor Dahlia H. Janssen
La Janssen aveva lasciato che il suo tono di voce scivolasse lento nel buio della sera, rischiarata solamente dai fuochi d'artificio che danzavano nel cielo. Un tono roco, ma qualcosa nella presenza di Ector alle sue spalle faceva sì che l'esperimento si sentisse quasi scombussolata. Un angolo delle di lei labbra si alzò formando così un sorriso sornione, come se quel gioco che avevano cominciato fosse più di quanto non volesse ammettere. Ricordava perfettamente ogni momento trascorso dentro a quel locale, il loro primo incontro, sentiva quella sete farsi più avida, la gola diventare improvvisamente secca e un calore addensarsi alla bocca della stomaco. « Ci siamo dati alla caccia, Ector? » Assaporò nuovamente il gusto di pronunciare il suo nome, prima di alzare lo sguardo verso quel caleidoscopio di colori. La serata era trascorsa fin troppo velocemente, aveva osservato come gli invitati si fossero lasciati andare dopo aver bevuto troppo, ma sapeva perfettamente che quel giochetto di correggere i drink sarebbe potuto costare molto caro.
Ector Atlas Kelley
« Nessuna caccia per questa serata se non quella di nuovi possibili clienti per il mio lavoro.... » Non avrebbe mai potuto rovinare la festa dei Fitzgerald, in primis Alyssa l’avrebbe certamente scuoiato vivo e poi non sarebbe stato così stupido da farsi scoprire in mezzo a tutta quella folla. « .... quello vero, ovviamente. Sai, la mia officina ha sempre bisogno di migliorie e questi ricconi sono degli ottimi polli da spennare. » Sorride ad Eleanor e lo sguardo si sposta ad intermittenza dal volto della Janssen al cielo che assume miriadi di colori diversi. Gli sono sempre piaciuti i fuochi d’artificio e anche da bambino si perdeva ad osservarli seppur non ha mai frequentato in prima Linea nessuna di quelle feste che da sempre sembrano voler rallegrare quella strana cittadina. « E se te lo stai chiedendo non è opera mia. » Sa bene che molti drink sono stati corretti e, seppur sia un’idea folle e geniale è ben consapevole che non porterà a nulla di buono.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Un sorriso furbo aleggiò sulle labbra della Janssen che volgeva lo sguardo verso il cielo. Quando le era giunto per posta l'invito a quella festa, Eleanor non ci aveva pensato due volte a presenziare, le ricordava così tanto la sua vita a New York, ma una parte dentro di sé sperava di vedere anche colui che tanto l'aveva colpita. « A quanto pare sembra che tu abbia pensato proprio a tutto... Chissà, magari se qui per lo stesso motivo. » Volse lo sguardo nella sua direzione, incrociando così lo sguardo con quello di lui mentre quella sensazione di calore sembrava non darle scampo. Sapeva esattamente che lei rientrava nei ricconi come lui li aveva definiti, ma sapeva anche che v'era un altro motivo per cui si trovassero l'uno davanti all'altra. Ammiccò, lo stuzzicò con quelle stesse parole, umettando poi le labbra con la punta della lingua e il ricordo del loro banchetto condiviso la colpì con quelle immagini nella mente, ma con assoluto controllo non lasciò trasparire alcunché. « Ne ero certa che non fosse opera tua, ma quella probabilmente di un dilettante. Chiunque l'abbia fatto, lo ha fatto spinto dal desiderio di movimentare le cose ma non sono certa che sia stata la scelta più saggia... »
Ector Atlas Kelley
Ricorda molto bene la serata passata in compagnia di Eleanor, il loro continuo stuzzicarsi, quell’alchimia che si è creata in pochi secondi e quella caccia che ha sfamato entrambi. Rimembra gli scambi di sguardi carichi di eccitazione e follia che li hanno accompagnati per tutta la durata di quel incontro casuale per lei ma probabilmente programmato e voluto da lui. Sorride quando alcuni fuochi di un color rosso vivido illumina i loro volti e si lascia andare ad una breve risata forse anche nata per colpa di tutto l’alcol che ha in corpo. « Il me dilettante di qualche anno fa avrebbe molto apprezzato ma ora ho un’immagine da difendere. » Annuisce poi perfettamente d’accordo con lei, scelta folle ma per nulla saggia. « Noto con piacere che non sei stata vittima di questo dilettante. »
Eleanor Dahlia H. Janssen
Senza accorgersene la Janssen si ritrovò a socchiudere appena le palpebre mentre ricordava con piacere quell'alchimia che s'era creata dal nulla. Era bastato uno sguardo, un drink piuttosto forte e avevano terminato con un banchetto che aveva messo in luce le mostruosità di cui erano capaci. Osservò il gioco di colori dei fuochi d'artificio, gioco che creava ombre sui loro stessi volti, mentre un senso di tensione si annidò nell'esperimento. Affondò i denti nel suo stesso labbro prima di lanciargli un lungo sguardo. « Mi sarebbe piaciuto incontrare il te dilettante, chissà se avrei avuto la stessa verve che possiedi ora... » Sussurrò Eleanor dopo essersi avvicinata in modo da potergli parlare sottovoce. Solo concedendosi quella boccata del suo profumo, nascose poi il sorriso sbarazzino che le era comparso. « Vorrai scherzare... Mantenere le apparenze è sempre stato il mio mantra, e questa sera non è diversa, tuttavia la tua presenza qui fa acquistare alla sera mille punti... » Il tono di voce basso di Eleanor accarezzava le loro stesse orecchie mentre una di lei mano venne allungata per accarezzare il bavero della sua giacca. Lo stava stuzzicando, ma chissà fino a quando sarebbero durati i giochi.
Ector Atlas Kelley
« Oh no, il me dilettante aveva solo tanta voglia di fare casino e di spassarsela in qualsiasi modo possibile. » Si sistema il cilindro che porta sulla testa pensando già a come si sentirà libera non appena potrà toglierlo. « Ero comunque molto bello anche senza barba. » Aggiunge poco dopo con una nota di malizia ed ironia nella voce, dopotutto è sempre riuscito ad avere successo con le ragazze grazie alla bellezza che ha sempre posseduto. « Non è esattamente il mio di mantra, era più del mio patrigno, è grazie a lui se adesso sono qui. » Probabilmente ci sarebbe stato comunque, probabilmente si sarebbe imbucato o avrebbe pregato Alyssa per fargli recapitare un invito ma a lui piace pensare che grazie ad Harrison è davvero una persona migliore.... all’apparenza. Lo sguardo di Ector si abbassa e segue i movimenti delle dita di Eleanor, a quella ragazza piace giocare con il fuoco ed è certo che prima o poi si scotterà. « Sono certo che la serata è così apprezzata grazie alla mia presenza. » Sorride e si sporge verso di lei per poterle sussurrare all’orecchio. « Ti svelo un segreto... sono l’ospite d’onore. »
Eleanor Dahlia H. Janssen
Un sorriso accattivante aleggiò sulle labbra di Eleanor al pensiero del giovane Ector, a come sarebbe stato e a come, nel frattempo, è diventato. Affondò i denti nel labbro inferiore come se dovesse trattenere un gemito, ma lo sguardo attento scivolò sulla sua figura. Il ragazzo era misterioso, audace, ma nascondeva anche una brutalità da cui la Janssen ne era profondamente affascinata. Tamburellò le dita sul suo petto forte, compatto, e quando sentì la sua flebile risposta all'orecchio, il sorriso divenne più sfacciato, ma quelle parole tradivano una certa serietà. « Sembra che tu non ti riconosca alcun merito, ma se sei qui è merito tuo, diversamente di sarebbe tuo padre, no? Ad ogni modo... » Giocò ancora qualche istante con le dita sul suo petto e dovette perfino lasciare andare il labbro inferiore in quella presa per riuscire a parlare. Umettò le labbra e lo stuzzicò ancora una volta. « Mi piacciono i segreti... Sono proprio una donna fortunata, allora. »
Ector Atlas Kelley
« Merito mio, certo, ma è solo grazie ad Harrison se ho imparato le “ buone maniere. “ Qui mima con indice e medio di entrambe le mani le virgolette, sa bene di non essere un perfetto ed elegante signorino di alto borgo, quei posti non sono adatti a lui ma è riuscito a farseli propri grazie alla sua grande voglia di emerge, di diventare ricco e potente. « Avrei tanto voluto averlo come padre ma mi ha solo assunto nella sua officina quando avevo 18 anni. Mi ha cresciuto, mi ha educato e mi ha fatto diventare un uomo. » Ha sempre una buona parola da spendere per Harrison, parole che stranamente gli vengono dal cuore e che non sono intrise di falsità e menzogne. Non sono i soliti falsi complimenti che sparge a destra e a sinistra per acquistare punti dinnanzi a qualsiasi persona e di questo Harrison dovrebbe esserne onorato. « Sarai ancora più fortunata quando scoprirai dei segreti ancora più gustosi. »
Eleanor Dahlia H. Janssen
Eleanor Janssen era da sempre una provocatrice, una ragazza a cui piaceva stuzzicare, soprattutto quando trovava pane per i propri denti e sembrava davvero che l'avesse fatto. I capelli ricci, il colore di quegli occhi che la studiavano e rimanevano in attesa di una sua mossa avevano colpito l'esperimento che tuttavia ora si chiedeva che cosa sapesse davvero di lei. Un pensiero attraversò la sua mente in quel momento di gioco: e se non fosse stato realmente una coincidenza? Scosse dapprima il capo Eleanor, per allontanare quell'assurdo pensiero, picchiettò un paio di volte il petto del dooddrear ed ammiccò. « Un uomo che, a quanto pare, sa che cosa vuole. Ad ogni modo, non ho fretta... la pazienza non mi manca, e quando lo farò, mi leccherò le dita. » Lanciò uno sguardo più che eloquente al giovane, prima di allontanarsi e smettere quel contatto fisico. Affondò i denti nel labbro inferiore e diede ancora uno sguardo prima al cielo e successivamente a Ector. « Ci vediamo... Ector. »
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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isabelamethyst · 5 years
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    📎 ❪ MEMES ROLE 29 ╱ 12 ╱18 ❫          ɢɪғ ʀᴏʟᴇ #ʀᴀᴠᴇɴғɪʀᴇ        ⋰ logan  &&  isabel ⋰       ►   ❛ Dovresti rendere le tue storie più interessanti di un "" bla bla, bla "" ❜
  Inclina leggermente il capo verso sinistra e passa rapidamente la lingua sulle labbra lasciando che un piccolo sorriso si dipinga poco a poco sul volto del giovane Prince. ‹ ‹   ━━ potrei ma non voglio, non con te sai, è divertente quando fai quelle espressioni annoiate dove hai scritto praticamente in fronte "" sto per buttarmi dal balcone pur di non starti a sentire "" e, se questo è un modo per infastidirti be', continuo a fare il bla, bla, bla.  › › Scrolla le spalle mantenendo il sorriso dipinto sulle labbra ed appoggiando la propria schiena alla parete, con le braccia incrociate. Nulla di più e, nulla di meno.
Isabel Amethyst M. Hughes
Conosceva il giovane Price, esattamente come conosceva la sorellina minore Allison, ex compagna di liceo, ma il battibeccarsi con il maggiore era sempre all'ordine del giorno. Ciò che aveva detto la Hughes era un semplice consiglio, sempre con quella punta di sarcasmo che impregnava ogni sua affermazione, ma senza alcun tipo di accusa. La giovane si ritrovò ad alzare un sopracciglio con fare stranito, prima di rotearli ed assumere un'espressione quasi scocciata, ma sempre divertita. « Fammi pensare... Potresti avere un futuro come comico, sai? E comunque il mio era solo un consiglio, Price. Piuttosto sono settimane che non ti fai vedere in giro. »
Logan Julian Price
‹ ‹ Comico? › › domanda fingendosi interessato. Nah, Logan può essere / t \ u / t \ t / o \ tranne che comico e questo? Ne è più che consapevole lui stesso. ‹ ‹ Nah! › › muove la mano come per dare più enfasi a quella piccola e semplice parolina. ‹ ‹ Anche se, te mi fai da assistente, potrei farlo. Solo per te. › › Ammicca nella sua direzione. Si,okay, la sta / leggermente \ prendendo in giro ma, hey! È più forte di lui. ‹ ‹ Già, ho avuto anche io i miei """ problemi """, per così dire. E poi, domani parto con mia sorella. A te invece, come va la vita? A parte essere l'assistente di un comico bellissimo, simpaticissimo ed intelligentissimo? › ›
Isabel Amethyst M. Hughes
Era divertente Logan Price, tuttavia qualche suo atteggiamento sembrava essere addirittura forzato, quasi come se fosse un Fonzie dei giorni nostri. Senza nemmeno accorgersene la Hughes si ritrovò a scuotere appena il capo in modo divertito, nonostante la presa in giro dell'amico. Isabel era infatti piuttosto permalosa caratterialmente, eppure Logan non era stato in alcun modo sopra le righe. Conosceva ormai da tempo la famiglia, e nonostante il rapporto più forte fosse con la sorella minore Allison, Logan era un po' il pilastro dei Price. « Non fare il furbo, Price... » Nella sua voce vi era divertimento e quella punta di ammonimento fu ben presto spazzata via dalla sua successiva battuta. « Modesto, eh? Comunque direi bene... Non voglio immaginare come sarà questo nuovo anno! E dove ve ne andate? Viaggio di capodanno? O inizi il tour, perché in quel caso dovresti portare anche la sua assistente strabiliante, sai?! »
Logan Julian Price
Passa appena la lingua sul labbro superiore e sghignazza divertitoquando sente quelle prime parole da parte della giovane. Aveva appena chiesto di fare il furbo. Insomma...ha chiesto l'impossibile. È come chiedergli di smettere ad essere così perfetto ( secondo il punto di vista di Logan, ovviamente ) quindi, impossibile. ‹ ‹ Chiedi troppo dolcezza. › › risponde a sua volta ammiccando nella sua direzione. ‹ ‹ Abbastanza modesto, si. › › annuisce appena con il capo per poi concentrarsi ( seriamente ) sulla ragazza. ‹ ‹ ---- non vuoi immaginarlo per la speri in qualcosa di positivo o...negativo? › › domanda passando una mano tra i capelli biondi, mentre appoggia la schiena contro lo schienale della sedia. ‹ ‹ aha ---- ehm, onestamente non lo ricordo. Ha scelto Allison la destinazione, io ho solo prenotato. › › ricorda bene che è un luogo con mare, spiaggia e taaaanto sole. Ma ora? Gli sfugge seriamente il nome. ‹ ‹ Niente tour, niente tour, è una vacanza ma questo mi fa pensare che tu, voglia venire o, forse è solo una scusa per starmi accanto. › ›
Isabel Amethyst M. Hughes
La Hughes sapeva esattamente che dire di non fare qualcosa ad un tipo come Price era come invitarlo a nozze nel compiere quell'esatta cosa, ma in quel momento fu più forte di lei. Ridacchiò divertita per quell'ammiccamento in cui, tuttavia, non vide nulla di serio. Quante volte si era ritrovata in situazioni come quelle, in cui era lei stessa a giocare con il sesso opposto? Ogni atteggiamento o movimento del biondo sembrava essere studiato, una posa per voler conquistare, e la Hughes ne era quasi divertita. « Spero in qualcosa di positivo... Chi non lo farebbe? Ma sono sempre pronta ad aspettarmi il peggio. Ad ogni modo... » Confessò mantenendosi però seria in quel momento. Ma quell'istante sembrò durare una frazione di secondo, perché alla successiva battuta Isabel non riuscì a trattenersi. « Certo, perché ora che sono accanto a te, come posso vivere dopo aver visto cotanta bellezza? —— Ma smettila, quindi parti per una destinazione misteriosa, ti senti il Dio sceso in terra e poi che altro? Aggiorna questa piccola curiosa... »
Logan Julian Price
Lancia un rapido sguardo alla ragazza mentre ascolta le parole di ella. Sì be', ha capito il suo punto di vista e sì ( ancora una volta ) , lo condivide. ‹ ‹   ━━ almeno parti preparata.  › › scrolla le spalle mentre pronuncia quelle parole e passa rapidamente una mano tra i capelli biondi, mentre incrocia le braccia al petto. ‹ ‹   Esatto, oh guarda! Pulisciti qui ━━   › › e sì, fa una piccola pausa mentre indica il lato destro delle labbra di lei per poi riprendere a parlare. ‹ ‹   Stai sbavando. Piccola curiosa? Aha, un ottimo soprannome per te.   › › il che è vero, in un certo senso, no? ‹ ‹   Ho detto anche troppo in teoria, adesso, tocca a te. Avanti, ti ascolto Miss " Sono Curiosa Ed Innamorata Follemente Di Logan Price "" .   › ›
Isabel Amethyst M. Hughes
L'atteggiamento del giovane era divertente, al limite quasi del saccente, ma non che desse sui nervi, anzi. Lo osservò passarsi una mano tra i folti capelli biondi, e un poco la newyorchese doveva ammettere che tra Logan e Allison vi fosse una straordinaria somiglianza. Inclinò di poco il capo ma quando lo sentì parlare scosse la testa con un sorriso sulle labbra che ora tratteneva a stento. « Molto divertente, playboy dei giorni nostri... » Lo prese in giro ma questa volta Isabel sembrò avere una luce diversa negli occhi, quella dell'inguaribile curiosità che in lei faceva sempre capolino. Fin da quando era piccola, la giovane Hughes sembrava avere una predilezione per quanto riguardava la curiosità, una ricerca costante immancabile nella sua quotidianità. Il tono di voce, in quella circostanza, si fece appena più roco, immedesimandosi completamente nella situazione. Accavallò le gambe, e si avvicinò al biondo. « Io, sbavare? Tesoro, sei tu che non sei mai stato al cospetto di una vera reginetta, ma non ti preoccupare ti concedo essere il mio umile servo... E potrei dire lo stesso di te, sai? Vedo già la fila di donne che vorrebbero cavarmi gli occhi... Mmh, Logan Price che perde la testa per una compagna di liceo di sua sorella... Potrebbe essere quasi il titolo della sezione gossip del Raven's News... »
Logan Julian Price
Sì, Logan si ritrova ad osservare ogni singolo movimento da parte della giovane che si trova di fronte ai propri occhi. Inclina il capo verso destra e passa lentamente ( ma anche / fin troppo, forse \ sensualmente ) la lingua sulle labbra mentre mantiene il contatto visivo con la Isabel. ‹ ‹   ━━ lo so, ho un ottimo spirito dell'umorismo e sai la cosa assurda?  › › domanda, fingendosi sconcertato ‹ ‹   che la mia sorellina non sempre capisce le mie battute dici che, dovrei ritenermi offeso o, è colpa sua?  › › ed eccolo lì, un mezzo sorriso che si dipinge sul volto del giovane Price. Non appena Isabel si avvicina appena in direzione del ragazzo, Logan non può fare a meno di svolgere la stessa azione e, di conseguenza, si avvicina a sua volta. Solleva il sopracciglio sinistro non appena sente le parole di lei e no, non osa proferire parola. Le scappa una ( okay, più di una ) risata. ‹ ‹   ━━ non vedo nessuna reginetta.  › › e sì, pronuncia quelle parole tra una risata e, un'altra ma sì, decide comunque di stare al suo gioco. Si inginocchia a terra e, strisciando con le ginocchia ( sorpassando il tavolo ) si avvicina completamente a lei portando le mani sulle gambe di Isabel come per avere un appoggio e non perdere quindi, l'equilibrio. ‹ ‹   ━━ sì mi reina ( aveva questa pronuncia? Anch'io ho la memoria corta, ogni tanto ) , sono il suo umile servo innamorato follemente di lei! Fate di me ciò che volete, non mi interessa!  › › eee sì, Logan stava recitando ( anche fin troppo bene ) la scena ma, poco dopo, torna serio. ‹ ‹   sto' scomodo, basta.  › › e si alza da terra tornando al proprio posto, pulendo i propri pantaloni con le mani, con gesti..eleganti. ‹ ‹   Sì, perché no?! Magari ci facciamo scattare una foto / o forse, è meglio un video? \ mentre ti chiedo di sposarmi.  › ›
Isabel Amethyst M. Hughes
Lo sguardo di Logan sembrò indagare, studiare ogni mossa della Hughes, quasi come se fosse sotto la sua lente di ingrandimento. Tale atteggiamento, tuttavia, era lo stesso che la newyorchese gli stava letteralmente riservando, e di certo non passò inosservata ai suoi occhi il movimento con la lingua. Mantenendo lo stesso contatto visivo, ella mosse appena il capo, facendo poi roteare gli occhi, ma senza riuscire a trattenere quel sorriso che le partiva dalla parte più profonda di sé. Era bello poter ridere di cuore, essere spensierata, e quel mezzo sorriso sulle di lui labbra, che avrebbe potuto far sciogliere il cuore di mille ragazze, non fece altro che stimolare la giovane a stuzzicarlo maggiormente. « Ehi, probabilmente non tutti hanno la capacità di cogliere la tua ironia, io ne sarei quasi soddisfatta. » Ora avvicinata al biondo, ella seguì il suo movimento ma solo quando affermò quell'eresia, la mora fece un cenno della mano, come ad allontanare un qualsiasi suddito diventato ora di troppo. Poggiò nuovamente la schiena allo schienale della sedia, voltò il capo di lato allungando perfettamente il collo come una qualsiasi regina e tese la mano, recitando a perfezione quella sceneggiata in cui si stavano divertendo entrambi un mondo. « Cavaliere, questo amore è dannato, voi non potete avermi, né ora ne mai... Mi struggerò d'amore per voi, sarò sempre la vostra reina, la reina del vostro corazon... » Portò l'altra mano sulla fronte recitando egregiamente la parte della regina addolorata di fronte ad un amore impossibile, prima di scoppiare a ridere a crepapelle. Non riuscì più a trattenersi e quando lo osservò sedersi nuovamente di fronte a lei, ella s'avvicinò nuovamente ridendo ancora. « Te l'hai mai detto nessuno che sei davvero buffo, a volte? Ad ogni modo se mai uscisse / davvero / un video di te che mi chiedi la mano, come minimo dovrei scappare da Ravenfire... E hai tempi nostri, dovremmo fare un pubblicato su Twitter, un post su Facebook e mettere una diretta su Istagram! »
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pangeanews · 4 years
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In onore di Alasdair Gray. “In Paradiso sarò una pantera, voglio questo epitaffio: non ho nulla, devo tutto e lascio il resto ai poveri”
Se ne è andato domenica 29 dicembre lo scrittore e cantore della Scozia contemporanea. È morto a 85 anni Alasdair Gray. Il lettore italiano legge il suo Lanark (1981) in quattro volumi grazie a Safarà e scopre scenari distopici all’insegna della critica sociale. L’opera prese a Gray una trentina d’anni di lavorazione perché voleva letteralmente conoscere quello di cui scriveva. Il tutto si chiude con un repertorio di voci critiche, un “indice plagiario” dove indica al lettore fatuo le sue possibili fonti di ispirazione letteraria. La cosa divertente è che Gray sputacchia così alla voce “Burns, Robert”: “Il suo razionalismo umano e lirico non ha avuto alcun impatto sulla formazione del presente libro. Il fatto è molto più sinistro così che non se si fosse trattato di una fonte acclarata. Vedere Emerson al riguardo”.
*
Pausa. Robert Burns (1759-96) è il santo patrono, insieme ad Andrea, della Scozia. Anche oggi, anno di grazia 2020, la festa nazionale cade il 25 gennaio in onore del bardo Robert Burns. Di lui è a disposizione, giusto nelle biblioteche, la traduzione nella ‘bianca’ di Masolino d’Amico. A parte questo, va notato che gli scozzesi non vanno per il sottile – il 25 gennaio si festeggia portando al tavolo in pompa magna, su vassoio, un fegato di pecora. Poi si scaglia al soffitto una parte della poesia di Burns sul fegato, si estrae dall’ugola il barbarical yawp e si affonda il coltello nella carne di bestia.
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Che uno scrittore dichiari di non aver nulla da spartire con l’eroe nazionale la dice lunga sull’orgoglio scozzese. Alasdair Gray ha ribadito sino alla fine sul The Herald scozzese di continuare a sostenere il partito indipendentista. “Nel passato ho scritto molti pamphlet per loro e lo farei anche adesso, e certamente avrebbero una carica critica enorme nei loro confronti”. Anche da questo si riconosce un vero scozzese, da una carica vitale quasi esplosiva. Per dire, sino alla fine Gray ha continuato a dipingere murales pur stando in carrozzella. Questo a lato della grande opera: “Mi interessano storie e leggende, da sempre voglio creare un’epica nuova e sì, Lanark dovrebbe essere un’epica scozzese. I vari riferimenti che sono stati fatti con Finnegan’s wake sono sorprendenti ma io non ci vedo bene al riguardo, quella è un’opera di Joyce che non ho letto con la dovuta attenzione ma che mi ha attratto, di tanto in tanto, e mi ha enormemente divertito”.
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Secondo i suoi estimatori sulla Paris Review del 2016, “Lanark è probabilmente quel che si avvicina di più a Ulisse dal fronte scozzese. Gray è un maledetto e dannatissimo grande scrittore. Visto di persona, è sempre digressivo e tratta tutti gli argomenti possibili”. Insomma i complimenti sono volati, l’importante è che ora non subentri il silenzio assordante, il rispetto parlamentare per il caro estinto… Il fatto è però che Gray un po’ se la tirava addosso. Dava spago a chi indicava nella sua frustrazione sessuale giovanile le origini della creatura mostruosa, Lanark. Così sempre sulla rivista fighetta Paris Review: “I primi versi che scrivevo risultavano da frustrazione sessuale o adolescenziale, erano scritti che uscivano dal foro che mi avevano creato le persone che amavo e non c’erano più, se n’erano andate o magari erano morte. Poi ho avuto voglia di scrivere un libro enorme con tutta la mia poesia, qualcosa di sinistro che contenesse un po’ tutta la mia arte”.
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Di nuovo. Che Gray si sentisse estraneo all’influenza del bardo nazionale Burns è tutto sommato una panzana. Lui era, al contrario, in competizione serrata col santo poeta scozzese: l’ultimo lavoro è stata una versificazione della Divina commedia. Dopo i romanzi fiume al modo novecentesco, insomma, Gray voleva afferrare la voce profonda della Scozia, sciogliere la lingua in canto. Intendeva dare forma al suo popolo come Burns fece prima di lui, riuscendovi ad ampio raggio. È impressionante vedere che Steinbeck prese un verso di Burns facendone il titolo di libro su topi e umani e che Salinger ne scelse un altro sul campo di segale creando il titolo The catcher in the rye. Se questo succedeva è perché Burns costruiva versi epici, popolari. Al punto da arrivare fino a Brodskij. Quando stava per volare via dalla Russia con un amico si trovava sopra gli Urali. Non si lasciava dietro mogli o fidanzate, solo i genitori e ripensando ai versi di Burns sulla natura decise che non ce la faceva, voleva tornare indietro. Finì a processo. La poesia impegna a seguire rotte strane.
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Tutto questo per dire che nel silenzio dei media italiani (quando va bene ci sono stati paragrafi battuti con due occhi su wikipedia) se n’è andato un cantore che di qui a cent’anni parlerà ancora a chi è sperduto. Chi è il cantore? Uno come Burns che capisce l’andazzo del mondo e crea poesie di fiamma – Nonostante tutto e tutto:
“Lo vedi quello lì, che chiamano signore, Che incede impettito, guarda dall’alto e via dicendo? Magari a centinaia penderanno dalle sue labbra, Ma lui non è che un pagliaccio, nonostante tutto. Nonostante tutti e tutto, Nastri, decorazioni e via dicendo, L’uomo di mente indipendente Guarda e ride di tutto ciò”
Il cantore è uno che come Stevenson sta seduto sul cocuzzolo della brughiera, si fa accarezzare dal vento e ti dice: “Cos’è la vita? / Sedere in cima a una brughiera / per vedere l’amore arrivare / e vedere l’amore partire”. Un cantore, in fin dei conti, è uno come Gray che quando gli facevano il questionario ultraterreno aveva la risposta facile.
Cosa si sente in paradiso? “Vento, acqua, canto di uccelli, musica suonata da uomini e conversazioni”.
Quali fantasie diventano vere lassù? “Sarò una pantera ben pasciuta e ci sarà qualcuno al posto mio a dipingere”.
Se ne avessi la possibilità, torneresti tra noi? “Sì, per curiosità. Voglio questo epitaffio: non ho nulla, devo tutto e lascio il resto ai poveri”.
*
“Erano i primi anni Sessanta e davo qualche lezione al dipartimento d’arte dell’università di Glasgow. Mi trovavo a dormire in questi alberghi dove la clientela nella hall non era granché interessante e io non ero incline a parlare perché loro non stavano a lungo a sentirmi discorrere di van Gogh e Gauguin. Perciò me ne stavo in camera. Pensavo: “siccome non parlo con loro, non sanno nulla di me, non sono nessuno. Presi a immaginarmi un uomo che fosse più grande di tutti gli altri, un alcolizzato che rifiutava di pensare alla propria vita. Però non capivo nulla del lavoro, della vita sessuale di questo mio personaggio. Importava solo quel suo potenziale che il mondo non avrebbe mai conosciuto. Di qui provai col monologo tenendomi vicino a quel che dice Joyce – la grande arte rimane ferma, solo le arti improprie (propaganda e pornografia) ci scuotono. La vera arte ci fa fermare davanti alla bellezza eterna, alla verità, decidete voi. Però il guaio era che avevo cominciato a scrivere un libro di cose improprie per Joyce: fantasie sessuali e diatribe politiche, quindi doveva rimanere tutto confinato nella testa del mio personaggio. (…) Alla fine questi divenne quanto di più opposto da me per credenze politiche e sessuali. L’avevo fatto diventare uomo al momento migliore della sua vita sessuale, della sua realizzazione sociale, i suoi piaceri si allungavano sempre di più. Per me le cose erano andate al contrario. Ne venne fuori un autoritratto in negativo” (1986)
*
Sembra che Gray, sotto la scorza, avesse qualcosa di più morbido da dire. Era della stessa stoffa dei suoi antenati, di Stevenson, di Robert Burns. Qui sotto, per capire il tipo umano scozzese, leggete un medaglione sbalzato con la mano rapida di Stevenson. Il saggio originale è lunghetto e inesistente in italiano, risale al 1879 e finì in Ritratti familiari di uomini e libri. Qui trovate le fughe romantiche di Burns. (Andrea Bianchi)
***
Robert Louis Stevenson, Aspetti di Robert Burns
Nelle notti del 1785 si ritrovavano a Mauchline gli uomini e le donne giovani del posto per fare, secondo tradizione, le loro corse inseguendo una penny ball. In uno di quei gruppi danzava Jane Armour, figlia del proprietario della magione, e il nostro don Giovanni dagli occhi scuri. Il suo cane, all’apparenza sensibile come il suo padrone, lo seguiva qui e là nella confusione delle danze. Vi furono chiaramente dei commenti salaci; e Jane sentì il poeta dire al suo compagno – o almeno dovrei immaginare che le cose siano andate così, col lancio di un commento da far ridere tutta la compagnia – insomma lei sentì dire che lui sperava che una delle ragazze lo avrebbe amato così come lui stava lì a coccolarsi il cane.
Qualche tempo dopo, mentre la ragazza stava a stendere i panni sul verde di Mauchline, Robert si avventurò in quella direzione, sempre accompagnato dal cane e questi, stanco della lunga escursione, scorrazzava con tutte le sue zampette nere sui panni appena lavati. Dopodiché i due furono portati ad attaccare bottone; sino al punto che Jane, con un’avance da maschiaccio, domandò se lui avesse poi trovato qualcuna che lo accarezzasse come facevano col suo cane.
È una delle sfortune del don Giovanni di professione che il suo onore gli proibisca di rifiutare la battaglia; sta in battaglia come il soldato romano col suo dovere, o come il medico temprato a tutte le sfide impossibili. Burns raccolse la provocazione; una speranza affamata risvegliò il suo cuore; stava lì una ragazza – carina, semplice per lo meno, se non onestamente sciocchina, e in fondo non contraria alle sue attenzioni: gli sembrava ancora una volta che l’amore stesse lì ad aspettarlo. Avesse saputo la verità! ché questa ragazza facile e col capo scarico non aveva altro in mente che il flirt, il suo cuore dall’inizio alla fine era impegnato con un altro uomo. Una volta di più Burns incominciò quel ben noto processo che porta tutti a buttarsi nella tempesta con caldo affetto. E le prove del suo successo vanno ricercate nei molti versi di quel periodo.
La sua fortuna non era personale; Jane, il cui cuore stava ancora da un’altra parte, cadde davanti a questa fascinazione e presto nel giro di un anno se ne videro le conseguenze. Fu un colpo pesante per questa coppia sfortunata. Stavano a gingillarsi e ora si ricordarono in modo rude dei temi seri di una vita. Jane si riprese e scoprì il disastro delle sue speranze; il meglio che si potesse aspettare era un matrimonio con un uomo estraneo ai suoi pù cari pensieri. Ora poteva esser contenta di ottenere quel che prima non avrebbe scelto. Quanto a Burns, nell’imminenza del casino riconobbe che il suo viaggio di scoperta l’aveva portato nell’emisfero sbagliato – non era, non era mai stato, realmente innamorato di Jane.
Sentitelo: “Contro due cose – scrive – mi fisso come fossero fatali: rimanere addomesticato, e averla come coniuge. La prima, grazie al cielo, non accadrà mai! L’altra, dannazione, mai la compirò!” E poi aggiunge, forse più accomodante: “Se vedi Jane, dille che la incontrerò, che Dio mi aiuti nella mia ora di bisogno”. Si trovarono come d’accordo; e Burns, colpito dalla miseria di lei, se ne venne giù dalle sue altezze di testa indipendente e le diede un’ammissione per iscritto di matrimonio. Punizione del dongiovannismo è creare continuamente false posizioni – tutte relazioni nella vita sbagliate in se stesse, altrettanto sbagliato a rompersi o perpetuare. Questo era un caso del genere.
Un uomo saggio e di parola si sarebbe fatto una risata e avrebbe tirato dritto; stiamo contenti che Burns si fece consigliare meglio dal suo cuore. Quando scopriamo di non poter essere a lungo veri, la cosa migliore è di farsi onesti. Oso dire che uscì da quel rendez vous non molto contento, ma con la coscienza glorificata; e mentre se ne tornava a casa avrebbe cantato il suo pezzo migliore, la nota poesia Come i tuoi servi sono benedetti, Signore! E Jane, d’altro canto, rientrò nei ranghi confidando la sua situazione alla coppia di coniugi a capo del villaggio. Burns e suo fratello stavano intanto mandando in fallimento la fattoria. Il poeta era un pessimo partito per tutte le ragazze di campagna.
Almeno lui non si incensava da solo al modo di don Giovanni perché era stata lei a deviare per lui, era lei la libertina che con un nuovo matrimonio doveva andare a coprire tutto il suo passato. Di questo Burns non  avrebbe sentito una parola. Jane aveva cercato un riconoscimento solo per la buona pace dei genitori e non per un’inclinazione decisa verso il poeta, e presto si mise a distruggere quel foglio; tutti credettero, sbagliando, che così il matrimonio fosse dissolto. Per un uomo orgoglioso come Burns questo fu un colpo d’arresto. La concessione estorta dalla sua pietà gli veniva ribattuta sui denti. La famiglia Armour preferiva andare in disgrazia piuttosto che legarsi a lui. Dal tempo della promessa, peraltro, lui si era affaccendato per ritrovare l’affetto per la ragazza; questa situazione non lo toccava solo nella sua vanità, ma lo feriva al cuore. (…)
Penso che possiamo guardare a Robert Burns in questi suoi primi anni, in quella terra di ruvide brughiere, come al povero tra i poveri con le sue sette sterline l’anno che viene squadrato con fare dubbioso dalle famiglie rispettabili. Però era lui il miglior conversatore, il più celebre amatore e confidente, il poeta laureato. Ed era l’unico che sapesse pettinarsi a modo.
Robert L. Stevenson
*traduzione di Andrea Bianchi
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andreasiobhan · 6 years
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⤹ 𝐦𝐲 𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐫, 𝐦𝐲 𝐫𝐞𝐬𝐩𝐨𝐧𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐲. ; 𝖺𝗇𝖽𝗋𝖾𝖺 & 𝗋𝗂𝗅𝖾𝗒 / 𝗉𝖺𝗋𝗍 𝗍𝗐𝗈. 🗯️
Tumblr media
Vi è sempre un capitolo, nel libro di ciascuno di noi, incomprensibile a quegli individui limitati dalla propria ignoranza e dal proprio ego. Incomprensibile a quegli individui incapaci di andare oltre, incapaci di immedesimarsi in altri o, mediante il processo di introiezione, di inglobare e assorbire in sé pensieri, sentimenti e aspetti esterni al proprio essere che appartengono, dunque, a terzi. Un capitolo che equivale ad una lingua straniera mai studiata a quegli individui incapaci di spendere almeno una piccola parte del loro tempo per riflettere e capire che la diversità è un'idea basata sul nulla, in quanto frutto di un'incosciente ed inspiegata paura della novità. Ogni persona con un capitolo, o un'intera storia, delicato tende a nascondersi e ad impedire agli altri di aprire il loro libro. Affidano la propria vita privata ad un lucchetto con una sola chiave dispersa nel cuore di qualche sconosciuto, che se lo si incontra ad una giovane età bisogna ritenersi estremamente fortunati. Molti aspettano tutta una vita prima di sentirsi capiti da un altro essere umano. Alcuni rimangono soli nella loro testa fino alla fine. Ci son cose nella vita di ognuno di noi che vorremmo nascondere - non custodire - perché impossibili da spiegare, spaventose da mostrare in quanto un'esposizione pubblica può avere varie conseguenze: si può trovare un amico sincero; si può trovare l'amore della propria vita; si possono trovare persone meschine pronte a ridere, a sghignazzare, a prendere in giro. A prendere in giro, perché ribadisco, il “diverso”, anzi, la novità è sempre un concetto vittima di giudizi spesso negativi e la mia scelta nel sottolineare il non voler 𝘤𝘶𝘴𝘵𝘰𝘥𝘪𝘳𝘦 fatti personali è una pura e semplice dimostrazione di quanto, a volte, laddove viene partorito un sentimento di vergogna interiore alimentato da voci esterne, si finisce per odiare se stessi, la propria natura, fino a rinnegarla, fino, per l'appunto, a 𝘯𝘢𝘴𝘤𝘰𝘯𝘥𝘦𝘳𝘭𝘢.
Il sorriso di Riley non si affievoliva facilmente, era una ragazzina così dolce e affettuosa, cresciuta in una famiglia con il sangue diverso dal suo, ma che poteva dire di amare con tutta se stessa poiché le aveva donato un tetto sotto cui vivere e caldi abbracci da quando era diventata parte di essa. Non si sentiva esclusa, non si sentiva meno “O'Kelly” degli altri, perché lo era a tutti gli effetti, sapeva bene - o così si sperava - che non era un legame sanguigno a decretare la sua appartenenza a quel nucleo familiare. Quando chiamò Maire “mamma” per la prima volta aveva tirato fuori quella parola dalla sua bocca spontaneamente, le era venuto così naturale rivolgersi a lei con quell'appellativo, perché era il solo unico modo in cui la vedeva. La vedeva come la sua mamma, quella che la sera le rimboccava le coperte nonostante la stanchezza; quella che la mattina a volte era assente per gli orari scomodi lavorativi e si faceva perdonare cucinandole il suo piatto preferito a pranzo o a cena. Anche con Aedan fu naturale, non sapeva come o perché, ma lo aveva considerato il suo papà fin dal primo istante in cui lo vide. Ogni volta che raccontava delle sue prime impressioni riguardo i genitori diceva sempre che il padre non gli era mai sembrato un estraneo, aveva sentito fin dal primo momento una familiarità e una certa affinità con lui. Riley era serena in quella famiglia, perché era la sua famiglia sul serio. La sua felicità era arrivata al culmine il giorno in cui conobbe Andrea, il rapporto maturato con quest'ultima le aveva fatto conoscere un altro tipo di amore oltre a quello per i genitori: l'amore fraterno. C'era complicità tra loro, c'era rispetto e non si era mai presentato un momento in cui una delle due avesse dubitato del loro rapporto. Avevano un legame indissolubile, fatto di comprensioni, segreti, risate, pianti, insicurezze. Le braccia di Andrea erano il rifugio di Riley e senza ombra di dubbio questa frase si potrebbe capovolgere mantenendo lo stesso significato, come in matematica: cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia. Cambiando ordine di nomi, l'amore fraterno rimane invariabile.
Ogni nuovo capitolo del libro di Riley era un traguardo per chiunque. Ogni nuovo inizio, ogni nuova esperienza veniva condivisa e supportata dal resto della famiglia. Quell'anno il nuovo capitolo si intitolava “Primo anno di scuola superiore” e non tutti ne escono con esperienze gioiose da lì. Andrea durante la prima settimana era sempre pronta ad accogliere Riley di ritorno da scuola con un gran sorriso e con la voglia di sapere qualsiasi cosa delle sue giornate da liceale. Sembrava quasi più emozionata della sorella a tal punto da sovrastarla inconsciamente: ogni volta ricordava e raccontava del suo primo giorno nella nuova scuola, ricordava quanto fosse emozionata e come a fine giornata si sentisse incredibilmente felice per aver finalmente trovato un luogo che le piacesse davvero. Non che le elementari e le medie fossero stati periodi bui per lei, ma il liceo era tutt'altro fatto: amava la struttura, i professori le stavano simpatici (non tutti, quello di ginnastica le stava antipatico) e i compagni di classe l'avevano accolta in maniera amorevole. In tre anni non aveva litigato con nessuno di loro, aveva stretto amicizie che con il tempo erano diventate sempre più importanti e sapeva che sarebbe perdurata a lungo quella sensazione di serenità e tranquillità all'interno di quell'edificio. Andrea non concepiva come altri ragazzi potessero trovare brutta e noiosa la scuola, per lei era divertente, era un posto accogliente, era un luogo di ritrovo. Questa positività la portava a studiare e ad apprezzare qualsiasi materia, nutriva un interesse particolare per la sezione scientifica: amava la matematica, la biologia, la fisica e la chimica. Chimica era la meno gettonata, biologia la prediletta. Non era un genio, non era una di quelle persone alle quali studiare risultava facile quanto bere un bicchiere d'acqua, quindi passava ore sui libri per poter raggiungere ottimi risultati. Era dedita allo studio e l'ambiente gioviale la invogliava a fare sempre di più. Aveva sedici anni l'anno in cui la sorella iniziava le superiori, era ormai abituata ed immersa in quel mondo che forse aveva dimenticato come fosse vivere il primo anno, come fosse viverlo senza conoscere nessuno, quanto fosse spaventoso essere soli. Non poteva sapere come fosse vivere con un capitolo della propria vita da voler nascondere a tutti i costi per non sentire bisbigli dietro le spalle e per prevenire eventuali prese in giro. Aveva dimenticato l'ansia del primo giorno, perché i ricordi felici avvenuti successivamente, le avevano distorto la realtà cambiandole i ricordi e cambiando le percezioni e sensazioni vissute. Aveva dimenticato il passato per dar spazio al presente ed inspiegabilmente, in quel preciso istante, perse ogni traccia di empatia che risiedeva in lei, perché non poteva capire quanto fosse angosciante per una ragazzina di quattordici anni doversi presentare a nuove persone e voler tenere per sé di essere stata adottata all'età di cinque anni. Riley sapeva benissimo che nelle altre scuole le persone si erano sempre riferite a lei dicendo “𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘢𝘥𝘰𝘵𝘵𝘢𝘵𝘢”, lo sapeva che i bambini andavano dalle loro madri a dire “𝘭𝘰 𝘴𝘢𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘶𝘯𝘢 𝘮𝘪𝘢 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘢𝘨𝘯𝘢 𝘥𝘪 𝘤𝘭𝘢𝘴𝘴𝘦 è 𝘴𝘵𝘢𝘵𝘢 𝘢𝘥𝘰𝘵𝘵𝘢𝘵𝘢?” e per quanto lei amasse i suoi genitori e sua sorella, ogni tanto cedeva e le capitava di guardare la sua famiglia e pensare “Non abbiamo lo stesso sangue, non sono una di voi”. Cercava di scacciare questo pensiero terribile dalla sua testa, ma quei sussurri - seppur detti senza cattiveria - le ricordavano costantemente che era stata adottata e che il suo cognome, in realtà, non sarebbe dovuto essere “O'Kelly”.
Andrea era in cucina quel pomeriggio di settembre, con un libro di lettura in una mano e uno spicchio di mela nell'altra. La scuola era iniziata da un paio di settimane o forse qualche giorno di più. Gli unici commenti e pareri espressi da parte di Riley erano sempre e solo riguardanti l'ambiente scolastico inteso come struttura, non parlava mai dei compagni con cui seguiva le lezioni. Nessuno in famiglia faceva domande fin troppo specifiche per evitare di metterla sotto pressione, tra l'altro credevano tutti che le servisse semplicemente un po' più di tempo per socializzare. Con questa convinzione vivevano senza alcuna preoccupazione, ad esempio i genitori erano entrambi presenti quel pomeriggio e canticchiavano e scherzavano mentre riordinavano la spesa. Quando sentì la chiave infilarsi nella fessura della porta e girare, Andrea si voltò per poter osservare la sorella entrare così da salutarla e porle le solite domande per sapere come fosse andata la giornata, ma quando Riley entrò non guardò in faccia nessuno, pronunciò un frettoloso “Ciao” e salì le scale per andare al piano superiore.
𝑨𝒆𝒅𝒂𝒏: “ Riley? ”
I tre si guardarono confusi, realizzando che qualcosa non andasse poiché era strano da parte della ragazzina entrare in casa senza proferire parola. Non era da Riley rimanere in silenzio e fuggire in camera. Non era semplicemente da Riley essere così cupa. Anche le giornate “no” venivano condivise in quella casa, quindi vedere la quattordicenne così restia dal parlare aveva spiazzato la famiglia.
𝑨𝒏𝒅𝒓𝒆𝒂: ❛ Vado io, aspettate. ❜
Si alzò dalla sedia pensando che in quanto sorella maggiore uno dei suoi compiti fosse aiutare la sorella minore. Pensava che con lei Riley avrebbe parlato, si sarebbe sfogata come alla fin fine aveva sempre fatto. Le due si parlavano costantemente, erano migliori amiche oltre che sorelle. Non avevano segreti, erano l'una la roccia dell'altra. Non era importante se Riley fosse più piccola, non era importante se fosse priva di esperienze per darle consigli, Andrea adorava renderla partecipe di ogni cosa, il suo punto di vista aveva un valore inestimabile. Forse era per questo che Riley voleva così tanto bene ad Andrea: non la trattava come una bambina come tutti gli altri. La trattava come sua coetanea e la faceva sentire importante.
𝑨𝒏𝒅𝒓𝒆𝒂: ❛ Riri? – Disse salendo le scale dietro sua sorella, ma quest'ultima non si voltò o fermò. – Hey, Riley, aspetta! ❜ Continuò cercando di velocizzare il passo.
𝑹𝒊𝒍𝒆𝒚: « Lasciami stare, Andrea. » Tono freddo e distaccato.
𝑨𝒏𝒅𝒓𝒆𝒂: ❛ No, Riley, sul serio.. Asc- ❜
𝑹𝒊𝒍𝒆𝒚: « Andrea, puoi lasciarmi da sola? »
Stava per entrare in camera, ma Andrea le bloccò un braccio per trattenerla.
𝑨𝒏𝒅𝒓𝒆𝒂: ❛ Lo sai che puoi parlare con me, no? ❜
𝑹𝒊𝒍𝒆𝒚: « OH MIO DIO, ANDREA, MI LASCI STARE? VOGLIO STARE DA SOLA. POSSO STARE DA SOLA? NON VOGLIO PARLARE CON TE Né ORA, Né DOPO, Né DOMANI. VAI VIA, 𝑵𝑶𝑵 𝑺𝑬𝑰 𝑴𝑰𝑨 𝑺𝑶𝑹𝑬𝑳𝑳𝑨. » Sbottò Riley piangendo disperatamente e tirando via il braccio dalla presa con una manovra un po' brusca. Entrò in camera sbattendo la porta in faccia ad Andrea, ma quel gesto fu meno doloroso delle parole taglienti appena utilizzate dalla ragazza nei confronti di quella che, in teoria, aveva sempre definito 'sorella maggiore' senza esitazioni o timori.
Calò il silenzio.
Un silenzio scomodo, costituito semplicemente da occhi lucidi e singhiozzi soffocati da un cuscino. Andrea rimase immobile davanti alla porta con il viso paonazzo e imbarazzato, era appena stata investita da un'ondata di tristezza mai provata prima e che non pensava avrebbe mai provato, o perlomeno non pensava che Riley potesse mai ferirla in quella maniera. Era spiazzata, non riusciva a capire cosa fosse appena successo e per quale motivo sua sorella le si fosse rivoltata contro in quel modo inconcepibile e maleducato. Non capiva cosa avesse fatto di sbagliato per averla portata a dire una frase così crudele, così cattiva. Le aveva fatto male e non aveva alcuna intenzione di provare a capirla, non avrebbe bussato alla porta, non sarebbe entrata in camera, non si sarebbe avvicinata con dolcezza superando il male che le aveva inflitto senza minimamente pensare. I genitori avevano ascoltato tutto ed erano saliti al piano superiore, Andrea li guardò per un secondo senza dire nulla. Lei aveva ancora gli occhi lucidi e un'espressione triste, loro erano visibilmente sconvolti. Non parlò, non ne aveva voglia, quindi si voltò e si chiuse in camera. In quel momento di mancata empatia, ignorò che in realtà, Riley, stesse 𝘯𝘢𝘴𝘤𝘰𝘯𝘥𝘦𝘯𝘥𝘰 qualcosa e aveva bisogno di lei più che mai.
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historicaleye · 6 years
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Un iscritto mi ha chiesto chiarimenti sulla guerra di secessione Americana e nel rispondergli la mia mente malata ha iniziato a viaggiare creando uno scenario di attualità, ambientato in italia che ha un non so che di inquietante, probabilmente perché è uno scenario plausibile. Faccio una premessa assolutamente non necessaria e decisamente superflua, ma meglio evitare fraintendimenti. Non voglio far politica, non mi interessa trattare su questa pagina l’attualità politica, quella che andrò a scrivere è un "ucronia", è un gioco, la scrivo qui perché è divertente, mi ha divertito scriverla e credo possa divertire anche voi, di solito le ucronie che scrivo vengono pubblicate solo per chi mi supporta su Tipeee, ma questa è troppo divertente per lasciarla ad un pubblico “esclusivo”. Faccio in fine presente che alla base di questa ucronia c’è un voluta esasperazione della realtà, proprio perché il mio intento è quello di creare qualcosa che sia divertente da leggere e da amante della commedia dell’assurdo, trovo l’esasperazione della realtà e del verosimile qualcosa di meraviglioso, detto questo, possiamo cominciare. È il 27 Marzo 2018, il presidente Mattarella affida un mandato esplorativo a Luigi di Maio, leader del primo partito italiano, questa notizia manda su tutte le furie il leader della prima coalizione italiana, Matteo Salvini. I militanti della lega nord scendono in piazza per manifestare contro la decisione del presidente e Salvini lancia un segnale forte alla repubblica, un segnale estremo, si autoproclama Presidente sociale di Padania, perché Salò suonava male. La parola Nord torna sui vessilli della lega e i nostalgici del partito di Umberto Bossi esultano in un idioma misterioso che gli studiosi di linguistica di tutto il mondo cercano in vano di decifrare da quasi trent’anni. La lingua sembra un incrocio tra alcuni dialetti del lombardo veneto e della Calabria meridionale, abilmente camuffato da lingua germanica. In meno di una settimana l’Italia è nel caos, il presidente della repubblica richiama all’ordine e all’unità della nazione, ma la parola Unità risuona come cryptonite alle orecchie degli indipendentisti del lombardo-veneto, quella parola oscena, dichiara salvini su Twitter, “è un chiaro richiamo al quotidiano rosso”, queste parole sono sufficienti per dipingere Mattarella come un novello Stalin o Tito e su facebook inizia a teoria secondo cui l’incarico di governo sarebbe andato a di Maio perché Meridionale come Mattarella. Questa voce diventa presto virale, al punto da arrivare anche alle orecchie dello stesso di Maio che, tra una Partita a Candy Crash e un corso serale di “italiano for dummies”, ha scoperto che la carica di Presidente del Consiglio in realtà non conta un cazzo in una repubblica parlamentare. Sembra che la pulce nell’orecchio di Giggino sia stata messa da Rocco Buttiglione, il cui nome non compariva in un pezzo di satira almeno dal 2009, indicativamente lo stesso periodo in cui si dice abbia acquistato l’ultima confezione di sciampo. Berlusconi per non correre rischi ha chiesto alle Iene di indagare su queste fantomatiche pulci di Buttiglione, vuole capire se sono tipo le zecche comuniste o sono pulci vere e proprie, e per non correre rischi ha messo il collare antipulci sia a Dudù che La Russa. Giorgia Meloni vede Ignazio col collare e lo trova inspiegabilmente sexy, ma questo è un altra storia che racconteremo un altra volta. Tornando alle sorti del paese. Nelle strade italiane ritornano le barricate, al nord viene imposta la Flat Tax che sposta il carico fiscale dalle imprese ai lavoratori e in meridione vista l’assenza di una vera opposizione, viene approvato il reddito di cittadinanza il cui peso sulle casse dello stato sembra essere attenuato dal sequestro preventivo dei beni di tutti gli indagati, indipendentemente dal presunto reato commesso. Ancora da verificare il drammatico racconto di Pier Luigi Bersani a cui sembra sia stata sequestrata Birba in seguito ad una denuncia di molestie avanzata da Puffetta (o brunetta, non ero molto attento). Nella repubblica sociale di Padania Salvini organizza un piccolo esercito volontario e nel paese iniziano a circolare Panda da combattimento, sono dei bizzarri veicoli artigianali a metà tra una Ruspa e una Panda 4x4. I consiglieri di Salvini gli spiegano che sarebbe più utile utilizzare dei veri mezzi da combattimento o al massimo dei veicolo più performanti di una panda, ma il fhurer è intransigente, e ordina che tutto ciò che non è rigorosamente made in Italy (l’italia meridionale non conta come italy) deve essere fuso e convertito in Tombini di Ghisa, ovvero la nuova moneta provocatoria coniata a Pavia. Giggione non sa come rispondere al riarmo dell’italia settentrionale, vorrebbe schierare le proprie forze armate, ma il suo cuore da Ultrà tifoso del Napoli glielo impedisce, e giustifica il tutto citando l’articolo 11 della costituzione. Pietro Grasso che si trovava ancora a Roma fa una chiamata a Giggione per dirgli che in questo caso l’articolo 11 non gli impedisce di intervenire ma dopo mezz’ora di monologo si rende conto che il numero salvato come “giggione a 5 stelle” non è quello di luigi di Maio, ma quello di una Pizzeria molto carina all’incrocio tra Via Giustiniani e Via delal dogana vecchia.. Dopo due mesi di guerra urbana il paese è in ginocchio, Francia e Germania offrono il proprio aiuto, in nome della comunità europea al legittimo governo italiano, ma di Maio rifiuta, nel frattempo Putin continua a finanziare il governo secessionista di salvini. L’eco di quel che sta succedendo in Italia si riflette su tutta europa, l’Austria proclama l’anschluss del Sud Tirol e della Croazia, Salvini esulta, poi si rende conto che l’ha preso proprio lì dove non batte il sole perché quest’annessione gli ha sottratto dei territori. Contemporaneamente all’Austria anche la Francia prova a fregare dei territori rivendicando la sovranità francese sulle provincie piemontesi di Cuneo ed Ivrea. Approfittando del caos uno squadrone di fedelissimi di Casapound e Leghisti della prima ora si imbarca su un barcone e fanno rotta verso la Libia, ma una tempesta li fa naufragare a Lampedusa con grande confusione per Salvini che da capo di stato della RSP pretende il rispetto dei diritti civili per i suoi concittadini presentati come “prigionieri politici” e dall’altra istiga il popolo meridionale a schierarsi con la RSP per contrastare questa ennesima invasione. Passa altro tempo, siamo a fine luglio, inizia a fare caldo, Salvini vorrebbe andare al mare, ma non può, la villa in Calabria è in territorio nemico, e quella in Sardegna è stata occupata da un gruppo di nazionalisti sardi che un sabato sera non sapevano cosa fare. Nel mese di settembre la guerra civile italiana sembra essere destinata a non finire ma proprio nel momento più scuro ecco che ritorna dalle vacanze Antonio Razzi che si immola a mediatore tra le due italie, Indice quindi un vertice tra Salvini e di Maio e inizia a parlare in Koreano (o almeno così dice), per la prima volta dall’inizio della crisi i due leader politici sono d’accordo su qualcosa, nessuno dei due ha capito un cazzo di quello che usciva dalla bocca di Razzi, decidono quindi, su proposta di di Maio, di affidare la mediazione a Maduro, ma il risultato non cambia, nessuno dei due parla Spagnolo, a questo punto Salvini propone di affidare la mediazione Putin, amico fidato di entrambi, di Maio accetta, ma ad un unica condizione, cito direttamente dal suo twitter “facciamo l’incontro, le bibite le porto io”. Alla seconda bottiglia di Aglianico Salvini e Putin iniziano a vedere i Puffi, ed proprio a quel punto che Bersani irrompe nella sala riunione urlando “vi mangerà tutti”, ma viene allontanato dalla security di Putin e deportato non si sa bene dove. Mattarella che da mesi provava ad appianare la situazione e organizzare un incontro manda a fanculo entrambi, ma viene querelato da grillo per violazione di copyright. Alla fine, con l’arrivo delle prime piogge autunnali e la riapertura del campionato di calcio le strade si spopolano, i militanti tornano alle proprie case perché col cazzo che si perdono una partita e nel paese tornò una pace illusoria fatta di odio razziale, omofobia e intolleranza nei confronti di Berlusconi e Andreotti che è sempre presente nei nostri cuori. p.s. Ci sono innumerevoli errori di battitura, grammaticali, refusi e dio solo sa cos’altro. Cambio tempi verbali tra una frase e l’altra e probabilmente alcuni periodi non hanno mai visto la propria conclusione, e questo perché non ho letto e non ho intenzione di rileggere le mille stronzate che ho scritto in questo post, che ripeto, è un post ironico, satirico, fatto di grottesche esagerazioni. Nessuno si senta offeso se al contrario l’ho citato, nessuno si senta escluso, se non l’ho citato, ma volevo incentrare il grottesco racconto sui due protagonisti, i personaggi minori non mi interessano. http://ift.tt/2txFlv8
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rainsonmadness · 7 years
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T e n .
Prevedo già che questo sarà il post più lungo che avrò mai scritto. Sarà impossibile raccontare tutto, ho così tanto che vorrei scrivere per potermelo ricordare per sempre. 
Iniziamo con le cose semplici. Ovviamente sto per raccontare della mia esperienza Erasmus, ovvero dei 6 (okay, 5) mesi più straordinari della mia vita. E non sto esagerando minimamente. Non sono mai stata così felice come fino a un mese fa. 
Il primo giorno è stato strano. Ho pianto in aeroporto, abbracciando i miei (anche mio padre!). Avevo tanta paura. Per un attimo ho pensato di abbandonare tutto e non partire. Ma ho preso un respiro profondo e sono andata. E cazzo, è stata la decisione migliore di sempre.
Ricordo ancora il viaggio in autobus, tutti i campi con le pecore, mia sorella che mi scriveva su Whatsapp per assicurarsi che stesse procedendo tutto bene. E poi l’arrivo al B&B. La strada per arrivarci era terribile. Sentivo un odore diffuso di McDonald’s e KFC, e mi chiedevo dove diamine fossi capitata. Era molto presto quindi il centro aveva un ché di spettrale, completamente diverso da quello che avrei imparato a conoscere nei mesi successivi. L’alberghetto era molto carino, la stanza confortevole. Ero rilassata, mi sentivo a mio agio nonostante stessi per iniziare un’avventura incredibile. L’ansia sarebbe arrivata una volta trasferita nella casa vera e propria. Mi ricordo il viaggio in taxi e l’incontro con Mike. Era stato gentile con me, mi aveva mostrato tutto e poi mi aveva presentato la mia coinquilina (che sarebbe diventata una persona molto speciale per me). All’inizio pensavo di starle antipatica, o che mi ritenesse stupida. Mi ha accompagnato a prendere lenzuola, cuscini e tutto il resto. In realtà questi acquisti sarebbero andati avanti ancora per quasi un mese. 
E poi ricordo l’orientamento i primi giorni. Tutte le persone che ho conosciuto nel giro di pochissimo tempo, e con cui mi sono subito sentita a mio agio. Ricordo il primo caffè che ho preso con le ragazze nel Costa dell’unione studentesca, la prima foto che abbiamo fatto insieme. Molte di loro non le ho quasi più riviste in realtà. E poi due giorni dopo l’incontro con J, la mia prima “crush”, che qualche ora dopo avermi conosciuto mi sussurra all’orecchio: “A birdie told me it’s your birthday tomorrow”. “It’s not a big deal,” gli ho risposto. “Do you wanna make it a big deal?”. E questo si è trasformato nella mia prima vera e propria uscita. In realtà prima di questo sono andata a mangiare il sushi con due ragazze che sarebbero diventate tra le mie migliori amiche. Abbastanza brille ci siamo spostate all’unione, dove abbiamo incontrato J che poi ci ha invitato a casa sua. Mi ha presa in braccio e fatto saltare tante volte cantandomi “happy bday”. E poi siamo tornati alla discoteca, ho bevuto gratis tutta la sera. Se ripenso a tutti quegli shot gratis mi commuovo. E poi una sorpresa, mentre ballavo, questo ragazzo inizia a darmi corda finché non siamo uno attaccato all’altra. Ci muoviamo insieme, poi iniziamo a baciarci. Il mio primo bacio. Devo dire che è stato piuttosto disgustoso, mi ha ficcato subito la lingua in bocca e non sapevo veramente cosa farci. “You’re a great kisser,” mi ripeteva. Non so ancora se stesse mentendo o se lo pensasse davvero. Sta di fatto che bidono tutti e torno a casa con lui, mano nella mano. Ci baciamo ancora davanti a casa mia, ci scambiamo i numeri e poi lo saluto, più felice che mai. Dormo beata per la prima volta dopo mesi. 
In realtà con lui non ho concluso nulla: nei giorni successivi abbiamo messaggiato ma ero troppo agitata per portare a termine la cosa. Non mi piaceva abbastanza, alla fine ci avevo a malapena parlato. E quindi l’Erasmus continua così, tra viaggi e gite fantastiche, nuovi amici, cibo, alcohol, musica, pre-drinks etc etc. Intanto inizio a prendermi una cotta piuttosto seria per J, che continuerà fino a dopo pasqua. In realtà lui mi dava motivo di credere che ci fosse qualcosa: era sempre molto fisico con me, sia quando ballavamo che no. E mi scriveva sempre se ero tornata a casa sana e salva, cosa che ho sempre considerato molto dolce e mi faceva sciogliere. Una notte sono rimasta con N e altri due ragazzi a casa sua fino alle 5, a giocare a questo gioco alcolico molto divertente e imbarazzante. La ricordo ancora come una delle serate più belle. 
Da lì in poi è stato tutto “normale” (per quanto fantastico) fino a due giorni prima di tornare a casa per pasqua. Quella sera ero triste perché continuavo a pensare a J ma lui ultimamente sembrava non ricambiarmi molto. Pensavo troppo a lui e mi dava fastidio. Sono uscita con N, eravamo un po’ depresse perché all’unione non c’era nessuno a ballare. Allora lei invita il suo coinquilino, e l’avesse mai fatto. Non è successo niente quella notte: abbiamo parlato tanto, riso tanto, ballato insieme. Come pesce d’aprile lo abbiamo aggiunto alla nostra chat del gruppo internazionale, mentre lui mi ha aggiunto a quella del suo appartamento. Ricordo che volevamo farci una foto e io mi sono tolta gli occhiali. Lui mi chiese perché, io gli confessai che non mi piacevo con quelli addosso. Lui mi disse che stavo bene così com’ero. La trovai una cosa dolcissima da dire, ma non vi lessi più di tanto. Due giorni dopo invitai N a casa mia per un tè, e mi confessò che a lui piacevo. Ero un po’ stranita, non avevo pensato a lui in quella luce, ma più ci pensavo più l’idea mi piaceva. Passai le vacanze di pasqua a rimuginarci sopra, anche se ero ancora presa da J e pensavo principalmente a lui.
Una volta tornati dalle vacanze pasquali organizzammo una mega uscita, e venne anche W. Ero nervosa al pensiero che anche lui fosse lì. La serata non andò come previsto in realtà. Lui era meraviglioso come me lo immaginavo, e più passavo del tempo con lui e le altre più mi piaceva. Ma poi iniziò a fare l’idiota con L, e io ci rimasi veramente di merda. A lui non piacevo più, pensavo. Avevo perso la mia occasione.
Due giorni dopo trovo il coraggio di scrivergli con il pretesto di mandargli delle foto dalla sera quando eravamo usciti. Iniziamo a parlare su Whatsapp, ma niente di serio. Provo a buttare lì che il giorno dopo sarei uscita con quelli del gruppo e lui avrebbe potuto fingersi americano, come stava facendo già su Whatsapp. Accettò. In realtà arrivammo al pub e non c’era nessuno, quindi rimanemmo da soli a parlare per più di un’ora. Mi piaceva tantissimo. Aveva un carattere meraviglioso e più mi parlava della sua famiglia più mi innamoravo. Alla fine arrivarono tutti gli altri e ci perdemmo un po’ di vista. Io iniziavo ad essere piuttosto ubriaca quindi decisi di andare a casa. Glielo dissi e me ne andai, pentendomi di aver bevuto così tanto e di dover andare a casa prima mentre gli altri erano ancora tutti lì. N mi chiese se volevo che mi accompagnasse, le dissi di no, ero abituata a tornare da sola. A mia insaputa lei lo chiese a lui, che mi inseguì e mi raggiunse, per poi accompagnarmi. Eravamo aggrappati l’uno all’altra, lui brillo e io completamente ubriaca. Una volta di fronte a casa mia non volevo che il momento finisse, quindi lo invitai a bere un po’ di gin. Dopo due shot disgustosi ci buttammo a peso morto sul divano. Eravamo vicinissimi, la testa non mi reggeva più quindi mi appoggiai a lui, e lui poggiò la sua testa sulla mia. Mi girai e mi trovai a due millimetri da lui. Iniziammo a baciarci. Dissi tante cose che non ricordo, probabilmente imbarazzanti. Tra queste sono sicura di avergli confessato che pensavo gli piacesse L, mentre lui mi disse che gli piacevo da un bel po’ di tempo. Gli dissi che poteva rimanere a casa mia così non doveva tornare a casa ubriaco, e dormimmo insieme. In realtà dormimmo poco, anche se non facemmo sesso subito quella notte. 
E’ stata una storia stupenda. Non ricordo nulla in maniera negativa. Ricordo tutte le notti a vedere film horror, la nostra prima uscita in riva all’oceano, tutte le passeggiate al faro, le notti abbracciati, le notti (e mattine) più intense in cui non dormivamo neanche un’ora e non ci stufavamo di stare appiccicati per ore e ore. Ricordo quando ero triste per la partenza della mia coinquilina e mi comprò una bottiglia del mio vino preferito, una selezione dei miei tè preferiti, la pizza e mi fece scegliere un film da vedere. Ricordo la prima volta al cinema a vedere Guardians of the Galaxy 2. Ricordo quella dolorosa conversazione mentre tornavamo da una passeggiata, dalla quale capii che lui non avrebbe sostenuto una relazione a distanza, ma che decisi di ignorare momentaneamente. Ricordo la Flavor Fest, camminare tra la gente mano nella mano, o rimanere abbracciati a vedere lo spettacolo culinario. Ricordo quando andammo a casa di J e lui si ubriacò, e praticamente mi si accoccolò addosso tutta la sera sul divano, di fronte a tutti che ci guardavano di sottecchi perché ancora non sapevano. Ricordo quando J lo chiamò “your boyfriend”, mentre io non avevo ancora avuto il coraggio di chiamarlo così. Ricordo l’ultima sera, a fare l’amore in tutti i letti di casa mia perché i coinquilini se n’erano già andati. E poi una maschera color puffo. La mia playlist preferita. Tante lacrime. Una conversazione in cui decidemmo di provarci, anche se durò due settimane prima che mi spezzasse il cuore. Sono ancora a pezzi per quel “I don’t feel romantically connected anymore”. Diventa un po’ più facile ogni giorno, ma ci penso ancora costantemente. Spesso non posso fare a meno di piangere, come in questo momento. Ripenso a tutte le volte che mi ha detto di volermi vedere felice, che per lui era la cosa più importante, e mi rendo conto che non mentiva, anche se ha dovuto prendere la decisione più dolorosa. La verità è che prima o poi sarebbe stato inevitabile, ma io non avrei mai avuto il coraggio di rompere. Ricordo Bristol, l’ultima nostra gita. Il ponte, il museo-nave, il planetario in 3D, guardare le stelle mano nella mano. E poi riguardarle due giorni dopo, lui che mi abbracciava da dietro, dalla finestra di camera mia. La consapevolezza che il giorno dopo saremmo stati sotto lo stesso cielo ma così lontani. L’ultimo bacio, l’ultimo saluto dall’autobus. Il viaggio di ritorno, in cui ho pianto molto meno del previsto, perché avevo già dato nei giorni precedenti. 
Ho un vuoto dentro adesso. Questo post non ha molto senso ma finalmente ho trovato il coraggio di scriverlo. E’ quasi catartico. C’è ancora così tanto che manca da scrivere, ma non riuscirò mai a fissare tutto. Per adesso la mia mente è affollata da ricordi di lui, e penso sarà così ancora per un po’.
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web-coaching · 7 years
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Millennial, la generazione tra multitasking e cibo biologico spiegata in un post
La terza tappa del nostro viaggio intergenerazionale ci ha portati a visitare una meta ambita da molti viaggiatori del mondo del marketing. Si tratta di una meta di cui molti hanno sentito parlare, di cui conoscono qualcosa, ma che non riescono a visitare o conoscere fino in fondo.
Insomma, per dirla brevemente, è arrivato il momento di parlare della generazione più studiata della storia, quella che, per un motivo o per un altro, tutti vorrebbero farsi amica e conquistare. Signore e signori, oggi parliamo di loro, degli unici, inimitabili Millennial.
Chi sono? Cosa fanno?
I Millennial (noti anche come Generazione Y, Net Generation o Next Generation) sono tutti coloro nati tra gli anni ’80 e i primi anni del nuovo millennio e sono il 24% della popolazione mondiale. Un range abbastanza ampio che mette insieme tante persone di età diverse, influenzate da mode diverse, ma unite da un’unica grande caratteristica: essere la prima generazione della storia che riesce ad avere un elevato livello di dimestichezza con la tecnologia digitale e che ne conosce regole e codici di uso. Niente male per chi, comunque non è un nativo digitale duro e puro, no?
Insomma, pensate a quante volte avete chiesto a vostro figlio/nipote di “sistemarvi Google” o di “aggiustarvi Internet”!
Nonostante i tempi bizzarri che hanno segnato la loro gioventù/infanzia (vedi Guerra Fredda, vedi 11 settembre, vedi crisi economica del 2009) gli esponenti della generazione dei Millennial sembrano essere piuttosto ottimisti verso il futuro, sono ambiziosi, competitivi, sono aperti a tutte le novità che il mondo porta e questo non fa che svilupparne la creatività. Messa così, però, sembrerebbe una generazione di santi. Ovviamente anche i Millennial hanno i loro punti deboli: sono testardi e sono narcisisti. Inoltre, date le condizioni sociali ed economiche in cui si ritrovano incastrati, i Millennial sembrerebbero ritardare alcune “transizioni”: vivono più a lungo con i genitori, si ritrovano a essere studenti per molto più tempo, entrano nel mercato del lavoro più tardi e, di conseguenza, si sposano e hanno figli a età più avanzate rispetto alle altre generazioni. Sono attenti alla salvaguardia del pianeta (mangiano bio e usano Uber) e vogliono sentirsi speciali a ogni costo (ecco perché il fenomeno “hipster” fatica a morire).
Millennial e Internet: una storia d’amore
Tra i vari cambiamenti ed eventi importanti che i Millennial hanno vissuto in prima persona vi è sicuramente il poderoso avvento di Internet come strumento rivoluzionario nelle nostre vite. Possiamo definire questa generazione come gli “early adopters” del web: sono stati i primi ad aver scoperto la potenza comunicativa dei social (Myspace, tra tutti) e i vantaggi che la connessione perenne poteva dare, come la condivisione di file in tempo reale (Napster docet). Grazie a questa meravigliosa forza telematica che avvicina tutti, anche coloro distanti geograficamente, i Millennial sono presto diventati la generazione del “noi”, tanto che è grazie a loro che il fenomeno della sharing economy è stato possibile. Internet ha fatto in modo che il loro lato narcisista/inclusivo trovasse la propria, personale declinazione.
Parlando in cifre, quindi, il 97% di loro possiede un computer proprio, il 94% ha il proprio cellulare; da qui, il 76% dei Millennial usa servizi di messaggistica istantanea (Whatsapp), è dedita al multitasking e, soprattutto, spende 4 ore al giorno sui social. Amanti dello shopping online, essendo la generazione dell’ora e subito, sono disposti a spendere per servizi di consegna e servizi on demand.
Quello che i Millennial non fanno troppo spesso? Guardare la TV. Perché? Perché il Millennial, dedito appunto al multitasking, cerca informazioni sul mondo, cerca intrattenimento e cerca di risolvere i problemi della vita quotidiana in un solo posto: internet. La TV viene considerato un medium “vecchio” che non riesce a stare al passo con le esigenze di queste generazione: 7,4 milioni di Millennials utilizzano Internet mentre 7,1 milioni guardano la televisione.
I Millennial, infine, adorano, e dico ADORANO, il loro smartphone. Il 76% del tempo che viene speso su Internet non è da computer desktop, ma proprio da device mobili. Abili scaricatori di app, sono proprio loro il motivo per cui ogni contenuto ora è mobile friend.
Millennial e brand: la fedeltà viene prima di tutto
I Millennials sono gente fedele. Una volta che ci si conquista il loro affetto e la loro stima è impossibile perderlo. Come ce lo si può guadagnare? Prima di tutto facendo un prodotto/servizio di qualità (e che sia in target), poi, facendo in modo che esso non solo parli di loro, ma parli proprio a loro. Questa è la generazione che si conquista a suon di content marketing ed engagement, non con i cartelloni pubblicitari! Il rapporto tra Millennial e brand in cifre è questo: il 33% dei Millennial si informa sui prodotti/servizi che compra su blog e sui siti vari; il 57% di loro non ha intenzione di modificare le sue abitudini d’acquisto; 62% pensa che sia necessario avere un dialogo con i brand sui social network; non disdegnano il coinvolgimento dei clienti per la creazione di prodotti nuovi da parte del brand; credono che i contenuti sponsorizzati debbano essere non solo accattivanti, ma anche veritieri.
Detto questo, come possiamo pensare a modi efficaci per guadagnarci la stima di tutte queste esigentissime persone?
Netflix, lo stai facendo bene!
In questo articolo andiamo a vedere la gestione della pagina Facebook di Netflix, ovvero una delle realtà più in voga e in crescita del momento. Nel caso non lo conoscessi si tratta di un servizio che offre lo streaming a pagamento di miliardi di serie TV, film e documentari e che non si guarda da TV tradizionali, ma soltanto da computer o mobile (o da smart TV, certo). Piuttosto in target, non credi?
Netflix, presente in 190 paesi, ha 75 milioni di iscritti in tutto il mondo e l’81% di questi si trova nella fascia d’età tra i 18 e i 35 (quindi Millennial) e la sua pagina italiana conta 30.410.651 persone.
Come è riuscita Netflix a fidelizzare così tante persone ed evitare che passassero a realtà simili come Mediaset Premium o Sky On Demand?
Con una gestione social spregiudicata, divertente, autoreferenziale e dritta nel segno.
Vediamo 3 esempi.
La comunicazione di Netflix passa esclusivamente per immagini, che siano infografiche o video, cosa che per chi è abituato al multitasking è perfetta poiché molto più immediata. In queste si trattano temi vicini alle serie presenti nel loro catalogo o temi generici che strizzano l’occhio alla vita quotidiana del millennial medio. In questa infografica, per esempio, viene proposto il kit per affrontare qualsiasi maratona TV: divano + copertina. Si tratta di un esempio di content marketing assolutamente ben riuscito e che parla il linguaggio del suo target.
Anche le comunicazioni di servizio risultano divertenti e coinvolgenti: in questa gif, per esempio, si rende noto che con il nuovo aggiornamento sarà possibile scaricare i contenuti su mobile. Mossa intelligente per due motivi: i video prendono tanta connessione dati e, dato l’uso da mobile che fanno gli utenti, è meglio andargli incontro e fargli risparmiare giga piuttosto che perderli (cosa che denota grandissima attenzione al cliente e che non può che andare ad accentuare la sua fedeltà); si pubblicizza una delle serie di punta del catalogo usando un abile stratagemma e creando comunque un contenuto interessante.
Interessante è vedere come Netflix riesca ad avere una grandissima forza virale giocando sui pilastri che hanno accomunato l’infanzia di ogni Millennail. Per esempio, in questo video, altro non fanno che riprendere il concept di Art Attack, programma cult degli anni 2000, e riadattarlo ai paradigmi di una delle sue ultime serie. Cerca, quindi, di solleticare quell’animo nostalgico/narcisista tipico della generazione.
Infine, quello che Netflix fa benissimo è l’interazione con gli utenti: commenti, like, risposte sagaci e “sul pezzo” che parlano la loro lingua: sono spesso frasi/gif/immagini tipiche dei meme dell’ultimo momento e che creano una discreta vicinanza generazionale con i follower.
Tu che approccio avevi in mente per relazionarti a questa impegnativa generazione?
Se il tuo target sono i Millennial, queste sono le regole.
Se vuoi saperne di più, questo è il form dei contatti.
Se vuoi dirmi la tua, lo spazio dei commenti è proprio qui sotto.
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jamariyanews · 7 years
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Le fake news come arma al servizio del potere
5 gennaio 2017 da Zenit L’anno nuovo sembra essersi aperto con una sindrome che sta contagiando diversi ambienti, quella delle cosiddette “fake news”, le notizie false. Il leader del M5S, Beppe Grillo, invoca la necessità di formare improbabili giurie popolari con il compito di controllare la veridicità delle notizie diffuse da stampa e tv. Facebook ha elaborato un software che avrebbe la capacità di segnalare agli utenti le notizie ritenute inattendibili. C’è poi chi, come il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, propone un’agenzia statale di vigilanza. Quest’ultima idea ha suscitato diverse critiche. Molti la paragonano a quegli uffici statali, tipici dei totalitarismi, che hanno il compito di controllare ogni pubblicazione e sequestrare quelle potenzialmente pericolose o esplicitamente ostili al potere. Altri ancora, più in vena letteraria, agitano l’accostamento con il ministero della Verità del libro 1984, di George Orwell. Tra questi c’è Vladimiro Giacchè, economista e filosofo, presidente del Centro Europa Ricerche, autore de La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea (nuova ed. aggiornata 2016). ZENIT lo ha intervistato. *** Cosa non la convince della proposta di Pitruzzella? Mi sembra una proposta sbagliata e pericolosa. Sbagliata per molti motivi. Perché oggi le fake news non passano soltanto attraverso la rete ma anche attraverso i media tradizionali. Perché la menzogna veramente pericolosa non è il singolo enunciato falso, ma la falsa cornice interpretativa generale che viene offerta per certi fatti. E perché spesso la menzogna non si presenta come tale: pensiamo alle mezze verità (per cui ti parlo degli atti di violenza dell’aggredito, ma non ti dico che si sta difendendo da un aggressore), a quello che non ci viene detto (pochi giorni fa un rapporto sulla povertà in Germania è stato depurato dal governo di alcune frasi “spiacevoli”), agli eufemismi che consentono di rendere la verità meno brutta (“uso della forza” per parlare della guerra, “interrogatori rafforzati” al posto di “tortura”, e così via). Ma è anche una proposta pericolosa, perché adombra una sorta di controllo governativo o paragovernativo sulla rete, che può facilmente tradursi nella chiusura di siti non graditi a chi è al potere. Qualcuno sta coniando un nuovo termine per indicare la nostra epoca: post-verità. Di orwelliano c’è anche la neo-lingua? Quanto è importante il potere delle parole? Le parole sono importantissime. Harold Pinter diceva che “il linguaggio viene adoperato per tenere a distanza il pensiero”. Questo avviene tutti i giorni, e proprio attraverso i termini chiave del nostro lessico politico. Basti pensare alla metamorfosi che hanno conosciuto parole come democrazia o riforma. Quanti ancora associano al termine democrazia il concetto di “potere del popolo”, che poi dovrebbe essere il suo significato letterale? Angelo Panebianco ha denunciato anni fa che la stessa “democrazia rappresentativa” (concetto comunque già più ristretto di quello di democrazia) “a voler essere realisti, è poco più di un sistema di oligarchie in competizione”. Ancora più clamoroso il caso di una parola come “riforma”. Un tempo le “riforme” indicavano provvedimenti di legge per migliorare la condizione delle persone. Oggi le “riforme” indicano tagli allo Stato sociale e alle pensioni. Anche complottista è un termine coniato in modo artificiale? Magari per screditare chi la pensa in modo non allineato… I complottisti ci sono davvero, e ci sono sempre stati. Ma spesso hanno lavorato al servizio del potere: ad esempio i Protocolli dei savi di Sion, un documento falso costruito per dimostrare un presunto complotto degli ebrei, fu opera della polizia segreta zarista. Oggi spesso si usa il termine contro chi mette in dubbio che alcune “verità” del potere siano realmente tali. Anni fa si diede del complottista a chi sosteneva che la famosa fialetta con le armi chimiche di Saddam agitata da Powell all’assemblea dell’Onu fosse una messinscena. All’epoca tutti i principali giornali, anche in Italia, presero per buono quel falso vergognoso. È chiaro che in rete girano molte notizie inventate di sana pianta, ma in genere si attirano il discredito che meritano. E comunque la pericolosità delle sciocchezze sulle scie chimiche è ben diversa da quella delle menzogne sulle armi di distruzione di massa di Saddam, che sono servite a scatenare una guerra in cui sono morte centinaia di migliaia di persone. Nel libro “La fabbrica del falso” afferma che “la menzogna è il grande protagonista del discorso pubblico contemporaneo”. Lei ha citato le fialette di antrace agitate da Colin Powell. Qualche altro eclatante esempio? C’è l’imbarazzo della scelta. Praticamente tutte le più recenti guerre sono state giustificate e vendute all’opinione pubblica attraverso la costruzione di fake news e la loro diffusione attraverso i grandi media. A sostegno della prima guerra in Iraq si disse che i soldati di Saddam aveva staccato la corrente alle incubatrici degli ospedali di Kuwait City, per giustificare la seconda – come abbiamo detto – si tirarono fuori le armi di distruzione di massa, in Libia ci hanno fatto vedere fosse comuni che erano normali cimiteri, per di più fotografati mesi prima. È importante capire che in tutti questi casi la falsa notizia è funzionale a costruire una cornice interpretativa (il dittatore cattivo, pericolo per l’umanità, ecc.): una volta recepita questa interpretazione, le persone collocheranno entro di essa le altre notizie che ricevono, dando meno importanza – o non prendendo in considerazione – quelle che la contraddicono. Ad esempio, nel caso della Siria, i monasteri e le chiese distrutti dai cosiddetti “ribelli” e non dalle truppe governative. Facebook ha elaborato un software per individuare e segnalare agli utenti le notizie inattendibili. Questo lavoro di vigilanza è affidato alla Poynter Institute, società finanziata dalla fondazione Open Society di George Soros. C’è il rischio che il controllore non sia propriamente super partes… Sarebbe divertente applicare il software alla notizia che Facebook ha elaborato un software per segnalare le notizie inattendibili: se il software è ben fatto, dovrebbe segnalarla come inattendibile. Scherzi a parte, trovo molto significativo che fondazioni nate (a loro dire) per diffondere gli ideali delle “società aperte” contro i “totalitarismi” finiscano poi per farsi promotrici… della chiusura delle società aperte. E per di più facendo uso di algoritmi e altri strumenti automatici. Non mi sembra un passo avanti. Più in generale, credo che lo stato di salute dei paesi del “libero Occidente” sia ben definito dal ruolo conferito a uno speculatore di borsa che, dopo aver tratto profitto per decenni dalla destabilizzazione dei mercati finanziari, ora con i soldi così guadagnati si dedica a destabilizzare regimi che non gli piacciono e a promuovere “rivoluzioni colorate”. Eppure fino a ieri ci era stato insegnato che la verità non esiste, che è un retaggio oscurantista medievale, che tutte le opinioni sono uguali e relative. Non evince anche Lei una contraddizione? La contraddizione c’è eccome. Ma entrambi gli atteggiamenti rappresentano una scorciatoia. Quando si è in difficoltà perché non si riesce a confutare le argomentazioni di qualcuno, spesso si gioca la carta del relativismo, mettendo sullo stesso piano tutte le opinioni (la propria, infondata, e quella altrui, più fondata). Ma anche l’accusa di costruire fake news o di credere ad esse è una via di fuga: in questo caso, dal fatto che non si riesce ad imporre il proprio punto di vista, pur avendo dalla propria parte tutti o quasi gli organi di informazione “ufficiali”. Questo apre un problema gigantesco: chi è legittimato a decidere se una notizia è vera o falsa, e a comminare sanzioni su questa base? In realtà, il fatto di ritenere che non esista qualcosa come la Verità assoluta non impedisce di demistificare un enunciato falso. Ma a mio giudizio questo può e deve emergere dal libero confronto delle opinioni. E deve riguardare tutti i media. Chi può decidere quando una notizia è falsa? Ciascuno di noi, se è posto in condizione di esercitare il ragionamento e di verificare contenuti e contesto della presunta notizia. Però, per chi non si occupa professionalmente di queste cose, la possibilità di ragionare è resa complicata dalla velocità con cui le notizie si susseguono e la verifica dei contenuti dalla difficoltà di accesso alle fonti. Precisamente a questo dovrebbero servire i professionisti dell’informazione: a renderci disponibili notizie quanto più possibili verificate, basate su fonti attendibili e riferite con onestà. Come sappiamo, purtroppo le cose spesso non vanno così. È per questo che occorre che ciascuno di noi eserciti in prima persona il proprio senso critico. Nella “Fabbrica del falso” parlo di “strategie di resistenza”, che vanno dalle demistificazione del linguaggio usato per dare certe notizie all’utilizzo delle incongruenze presenti nel discorso ufficiale. Meglio adoperare queste strategie che far decidere a un’agenzia statale se una notizia è vera o falsa. Preso da: http://ift.tt/2ic6rC0 http://ift.tt/2j0t6yj
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pangeanews · 5 years
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“Il linguaggio statalista, censurato, censurante, sancisce l’ignoranza, è violento, beve sangue”: in memoria di Toni Morrison
Quando Toni Morrison ottiene il Nobel per la letteratura è stato da poco eletto Bill Clinton come Presidente degli Stati Uniti d’America. Tra le rare donne insignite dell’ambito alloro, la Morrison è la prima afroamericana a vincere il Nobel. L’anno prima, in una specie di atto preparatorio, il Nobel era andato a Derek Walcott, sopraffino poeta in lingua inglese, eppure caraibico, deflagrante incrocio di culture. In Walcott, per così dire, il ‘riscatto’ è pienamente estetico – in “Omeros” rifà l’Odissea, di fatto lui, Derek, è l’Omero dei Caraibi, l’Omero oceanico. In Toni Morrison l’energia politica – è stata, tra le tante cose, la scrittrice della presidenza Obama – si coniuga all’altezza lirica. Non a caso, il suo discorso di accettazione del Nobel comincia con una storia, molto intensa, che è una riflessione sulla saggezza del linguaggio e sulla sua menzogna. In una bella intervista sulla “Paris Review” (che leggete qui), realizzata da Elissa Schappell nel 1993, la Morrison racconta la necessità di leggere, il fascino della lettura (“Non volevo diventare scrittrice. Mi piaceva leggere. Pensavo che tutto ciò che doveva essere scritto, fosse stato già scritto… Sono un buon lettore. Adoro leggere… Quando insegno scrittura creativa, parlo sempre della necessità di leggere il proprio lavoro”), la difficoltà di essere una donna scrittrice (“Lo è stato. Difficile. Per una donna della mia generazione, della mia classe sociale, della mia razza. Non dici che sei madre e moglie. O che sei un insegnante, una lavoratrice, un editor. Scrivi. Ma… è un lavoro? Come fai a guadagnarti da vivere? All’epoca, non conoscevo nessuna donna scrittrice di successo: il successo sembrava arridere solo ai maschi”), l’amore per Joyce (“Il suo umorismo è incredibile. Joyce è divertente. Ho letto ‘Finnegans Wake’ dopo gli studi, senza alcun apparato critico, per fortuna. Beh, è divertente! Ho riso spesso. Capivo poco, ma non era importante, perché quella scrittura mi trascinava”). Muore a 88 anni, Toni Morrison, i suoi “Romanzi” sono radunati in un ‘Meridiano’ Mondadori, nel 2018, i suoi libri sono editi da Frassinelli e Sperling & Kupfer.  
***
“C’era una volta una vecchia, cieca ma saggia”. O era un vecchio? Forse era un guru. O un griot che calmava i bambini irrequieti. Ho sentito questa storia, o una esattamente uguale, nella tradizione di diverse culture. “C’era una volta una vecchia. Cieca. Saggia”. Nella versione che conosco, la donna è figlia di schiavi, nera, americana, e vive da sola in una piccola casa fuori mano. La sua reputazione di saggia è senza pari e fuori questione. Tra la sua gente, la vecchia è sia la legge che la trasgressione della legge. Il grande rispetto in cui è tenuta e il timore reverenziale che suscita si estendono ben oltre il circondario, raggiungendo luoghi remoti, arrivando fino alla città dove l’intelligenza dei profeti rurali è fonte di divertimento.
Un giorno la donna riceve la visita di tre giovani che sembrano determinati a sbugiardare la sua chiaroveggenza e a smascherarla come una ciarlatana. Il loro piano è semplice: entrare in casa sua e porle la sola domanda la cui risposta dipende esclusivamente da ciò che la rende diversa da loro, una differenza che considerano una profonda mancanza: il suo essere cieca. Stanno in piedi davanti a lei e uno dei tre dice: “Vecchia, ho un uccello nella mia mano. Dimmi se è vivo o se è morto”. La donna non risponde e la domanda viene ripetuta: “L’uccello che ho in mano è vivo o morto?” Ancora non risponde. È cieca e non può vedere i suoi visitatori, figurarsi quel che hanno in mano. Non sa il loro colore, il loro sesso, la loro provenienza. Sa solo qual è il loro intento. Il silenzio della vecchia si protrae così a lungo che i tre giovani stentano a trattenere le risa. Poi finalmente ella parla, e la sua voce è sommessa ma severa. “Non lo so” dice. “Non so se l’uccello che tieni in mano sia vivo o morto, so però che è nelle tue mani. È nelle tue mani”. La sua risposta può significare: “se è morto, potresti averlo trovato così, o potresti averlo ucciso; se è vivo, puoi ancora ucciderlo. Sta a te decidere se continuerà a vivere. In ogni caso, ne sei responsabile”.
Per aver ostentato il proprio potere di fronte alla sua impotenza, i giovani visitatori vengono redarguiti e messi di fronte alla responsabilità non solo dell’atto di scherno, ma della vita dell’esserino che hanno sacrificato al loro scopo. La vecchia cieca sposta l’attenzione dalle asserzioni di potere allo strumento tramite il quale quel potere viene esercitato. Le speculazioni su cosa (al di là del suo fragile corpo) quell’uccellino-nella-mano possa significare mi hanno sempre attratto, tanto più adesso che sto riflettendo sul lavoro che faccio e che mi ha condotto qui. Scelgo dunque di leggere l’uccello come il linguaggio, e la donna come una scrittrice di una certa esperienza. Ella è preoccupata di come la lingua in cui sogna, quella che ha avuto in dono alla nascita, sia manipolata, utilizzata, e le venga persino celata per qualche scopo nefando. Poiché è una scrittrice, pensa al linguaggio in parte come a un sistema, in parte come a una cosa viva sulla quale si ha il controllo, ma soprattutto come a un’azione che implica delle conseguenze. Allora la domanda che i ragazzi le pongono: “È vivo o è morto?” non è astrusa, giacché considera il linguaggio suscettibile di morte, di cancellazione; di certo in pericolo, e possibile da salvare solo tramite uno sforzo di volontà.
Ella ritiene che, se l’uccello nelle mani dei suoi visitatori è morto, i custodi siano responsabili del cadavere. Per lei una lingua morta non è soltanto una lingua non più parlata né scritta, ma una lingua che manca di flessibilità e che si accontenta di ammirare la propria paralisi. Come il linguaggio statalista, censurato e censurante. Senza scrupoli nelle sue funzioni di ordine pubblico, non ha desiderio o scopo che non consista nel mantenere campo libero al proprio narcisismo narcotico, alla sua stessa esclusività e predominio. Per quanto moribondo, non è privo di effetto, perché ostacola attivamente l’intelletto, tiene a bada la coscienza, sopprime il potenziale umano. Sordo a ogni interrogazione, non può formulare né tollerare nuove idee, sviluppare pensieri diversi, raccontare un’altra storia, colmare silenzi impenetrabili. Il linguaggio ufficiale, forgiato per sancire l’ignoranza e preservare il privilegio, è una corazza lustrata per abbagliare col suo luccichio, un guscio vuoto che il cavaliere ha già abbandonato da tempo. Eppure è lì: ottuso, predatorio, sentimentale. Pronto a sollecitare la reverenza degli scolari, a fornire riparo ai despoti, a evocare nel pubblico falsi ricordi di stabilità e armonia.
La donna è convinta che quando la lingua muore per incuria, disuso, indifferenza e mancanza di considerazione, o quando viene uccisa per decreto, non soltanto lei ma tutti coloro che la utilizzano siano responsabili della sua dipartita. Nel suo paese, i bambini si sono morsi via la lingua e usano proiettili piuttosto che ripetere la voce di una lingua ammutolita, disarmata e disarmante, di un linguaggio che gli adulti hanno del tutto abbandonato come mezzo per cogliere il significato, per fornire una guida o per esprimere amore. Ma la donna sa che il suicidio linguistico non è una scelta limitata ai bambini. È comune tra gli infantili capi di stato e i mercanti di potere il cui linguaggio svuotato li lascia privi di accesso a ciò che resta dei loro istinti umani, affinché possano parlare soltanto a chi obbedisce, o per imporre obbedienza. Il saccheggio sistematico del linguaggio può essere riconosciuto dalla tendenza di coloro che lo utilizzano a rinunciare, per intimidazione e soggiogamento, alle sue molteplici sfumature, alle sue complessità, alle sue proprietà ostetriche.
Il linguaggio oppressivo fa più che rappresentare la violenza: è violenza; fa più che rappresentare i limiti della conoscenza: limita la conoscenza. Che sia l’oscurante linguaggio di stato o il linguaggio fantoccio di media dementi; che sia l’orgoglioso ma calcificato linguaggio dell’accademia o il linguaggio della scienza guidato dal mercato; che sia il linguaggio maligno della legge senza etica o quello designato all’emarginazione delle minoranze, che nasconde il saccheggio razzista nella sua sfrontatezza letteraria: in ogni caso, deve essere respinto, castrato e smascherato. È il linguaggio che beve sangue, che affonda i denti nei punti vulnerabili, che nasconde i suoi stivali fascisti sotto crinoline di rispettabilità e patriottismo mentre avanza inesorabile verso la linea di fondo e le menti che hanno toccato il fondo. Linguaggio sessista, linguaggio razzista, linguaggio teistico: fanno tutti parte dei linguaggi della politica del dominio e non possono, e non intendono, permettere una nuova sapienza, né incoraggiare il reciproco scambio di idee.
Toni Morrison
*Si pubblica parte del discorso di accettazione del Nobel per la letteratura tenuto da Toni Morrison nel 1993. Il testo, tradotto in italiano da Alessandra Padoan, è pubblicato per esteso in “Per amore del mondo. I discorsi politici dei premi Nobel per la letteratura”, a cura di Daniela Padoan (Bompiani, 2018)
L'articolo “Il linguaggio statalista, censurato, censurante, sancisce l’ignoranza, è violento, beve sangue”: in memoria di Toni Morrison proviene da Pangea.
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