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#teatri di carta
schizografia · 1 year
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La guerra in Galizia
Vi erano al centro dell’Europa delle regioni che sono state cancellate dalla carta geografica. Una di queste – non è la sola – è la Galizia, che coincide oggi in buona parte con il territorio in cui da più di un anno si combatte una guerra sciagurata. Fino alla fine della Prima guerra mondiale, la Galizia era la provincia più lontana dell’Impero austro-ungarico, al confine con la Russia. Alla dissoluzione dell’impero asburgico, i vincitori, certo non meno iniqui dei vinti, l’assegnarono alla rinata Polonia, come la Bucovina, che con essa confinava, fu annessa altrettanto capricciosamente alla Romania. I confini, ogni volta ridisegnati con gomma e matita sulle carte geografiche dai potenti, lasciano il tempo che trovano, ma è probabile che la Galizia non riapparirà più sugli inventari della politica europea. Assai più della cartografia c’importa il mondo che in quella regione esisteva – cioè gli uomini che nel Königreich Galizien und Lodomerien (questo era il nome ufficiale della provincia) respiravano, amavano, si guadagnavano da vivere, piangevano, speravano e morivano. Per le strade di Lemberg, Tarnopol, Przemysl, Brody (patria di Joseph Roth), Rzeszow, Kolomea camminava un insieme variegato di ruteni (così allora si chiamavano gli Ucraini), polacchi, ebrei (in alcune città quasi metà della popolazione), rumeni, zingari, huzuli (che fra il 1918 e il 1919 costituirono una repubblica indipendente di breve durata). Ognuna di queste città aveva un nome diverso secondo la lingua degli abitanti che vi convivevano, in ognuna di esse le chiese cattoliche girato l’angolo si trasformavano in sinagoghe e queste in chiese ortodosse e uniate. Non era una regione ricca, anzi i funzionari della Kakania la consideravano la più povera e arretrata dell’impero; era tuttavia, proprio per la pluralità delle sue etnie, culturalmente viva e generosa, con teatri, giornali, scuole e università in più lingue e una fioritura di scrittori e musicisti che dobbiamo ancora imparare a conoscere. È questo mondo che si trovò nel 1919 da un giorno all’altro politicamente e giuridicamente annientato ed è a questa multiforme, intricata realtà che l’occupazione nazista (1941-1944) e poi quella sovietica diedero qualche decennio dopo il colpo di grazia. Ma ancor prima di diventar parte dell’Impero austro-ungarico, la terra che portava il nome di Halyč o Galizia (secondo alcuni di origine celtica, come la Galizia spagnola) e alla fine del medioevo era sotto il dominio ungherese col nome di principato di Galizia e Volinia, era stata contesa di volta in volta fra cosacchi, russi e polacchi, finché la granduchessa Maria Teresa d’Austria profittò della prima spartizione della Polonia nel 1772 per annetterlo al suo impero. Nel 1922 il territorio fu annesso all’Unione Sovietica, col nome di Repubblica socialista sovietica Ucraina, da cui si separò nel 1991 abbreviando il proprio nome in Repubblica Ucraina.
È tempo di cessare di credere ai nomi e ai confini segnati sulla carta e di chiedersi piuttosto che ne è stato, che ne è di quel mondo e di quelle forme di vita che abbiamo appena evocato. Come sopravvivono – se sopravvivono – al di là degli infami registri delle burocrazie statuali? E la guerra ora in corso non è ancora un volta il frutto dell’oblio di quelle forme di vita e l’odiosa, letale conseguenza di quei registri e di quei nomi?
24 aprile 2023
Giorgio Agamben
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pettirosso1959 · 1 year
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Al via firme contro l’invio di armi. Enzo Pennetta (Portavoce “Ripudia la guerra”): “Superare le distanze politiche. Lo chiede la maggioranza degli italiani”
Maurizio Blondet 21 Aprile 2023
Antonio Di Siena
Enzo Pennetta, saggista e docente di scienze naturali, è il portavoce di Ripudia la Guerra, comitato promotore della campagna referendaria contro l’invio di armi in Ucraina e negli altri teatri di guerra. L’Antidiplomatico l’ha intervistato alla vigilia dell’avvio, domani 22 aprile, della raccolta firma su tutto il territorio nazionale.
Come nasce il comitato Ripudia la Guerra?
Ripudia la Guerra nasce per volontà di un gruppo di giuristi che si interroga da tempo sul fenomeno dell’invio delle armi, una deroga a una norma generale. L’idea è intervenire sulla legge che consente l’eccezione. E il comitato ha precisamente questo compito: creare le condizioni per mettere in collegamento tutte le realtà interessate a sostenere la causa. Hanno avviato un meccanismo pensato per essere apartitico e rivolto ai cittadini, di cui io sono il semplice portavoce.
La legge che volete abrogare con il referendum – la 185/1990 che vieta “l’esportazione, il transito, il trasferimento di armi verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite” – non è già palesemente in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione?
Nel nostro nome c’è già un chiaro riferimento all’articolo 11, ma l’obiettivo non è certo una dichiarazione di incostituzionalità. Dal punto di vista giuridico siamo testimoni di come l’interpretazione giuridica della Costituzione possa essere molto varia. Il principio del ripudio della guerra è di carattere assoluto oppure è lecito contraddirlo perché l’Ucraina si sta difendendo? Dipende dall’interpretazione. La mia idea è che l’Italia ripudi la guerra in toto. A meno che non ci siano di mezzo i trattati internazionali. Ma è un punto discutibile. Ciò che sappiamo per certo, invece, è che possiamo salvaguardare il principio dell’art. 11 chiedendo l’abrogazione di una legge nazionale. Andando cioè a colpire un articolo di una legge nazionale che è svincolato da qualunque Trattato. Il popolo con un referendum può abrogare qualunque legge. Ci potranno bloccare lo stesso ma non per quel motivo. Non serve far leva sull’incostituzionalità – che probabilmente c’è pure – ma promuovere un atto più diretto: l’abrogazione della norma.
Qualcuno sostiene che un referendum di questo tipo è estremamente rischioso perché sussiste la possibilità che non si raggiunga il quorum. In questo caso il governo avrebbe sostanzialmente mano libera per agire indisturbato.
Inizierei col dire che il governo sta già facendo quello che vuole. Non mi piace scommettere ma raccoglieremo le firme necessarie. E quando 500.000 cittadini dicono “no” è già un segnale fortissimo, che obbliga chi vuole agire diversamente a farlo in maniera sfacciata. Il mancato raggiungimento del quorum è un rischio che possiamo correre, perché se invece lo raggiungiamo la vittoria sarà schiacciante.
Eppure, anche difronte a vittorie inequivocabili, la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria potrebbe essere comunque ignorata, disattesa o aggirata con nuovi provvedimenti di legge in nome della ragion di Stato. È già accaduto al referendum italiano sull’acqua pubblica o a quello greco contro la Troika. Ti sembra una valida ragione per non imbarcarsi in questa avventura?
La possibilità certamente esiste, ma dobbiamo guardare la cosa con altri occhi. L’unico risultato utile non è che il referendum passi e la legge venga abrogata, quello è il risultato massimo. Ce ne sono altri, altrettanto importanti, che si ottengono strada facendo. Già oggi abbiamo ottenuto un risultato: l’informazione è obbligata a occuparsi del tema che solleviamo. La dissonanza tra decisione del parlamento e volontà della maggioranza della popolazione è già posta alla loro attenzione, mentre magari sarebbe più comodo fare finta di niente. E sarà così per ogni fase successiva. I banchetti per strada sono una presenza fisica che infastidisce i media, specialmente se l’intenzione è condizionare l’opinione pubblica. E il referendum è uno strumento straordinario, perché anche le persone più distratte si accorgono che sta succedendo qualcosa. Per assurdo se anche ci fermassimo adesso – per il solo fatto che tanta gente ne sta parlando e ha iniziato ad aggregarsi in un corpo solo che non vorrebbero che ci fosse, perché scardina la propaganda e la manipolazione mediatica – ne sarebbe già valsa la pena.
Pochi giorni fa Michele Santoro ha fatto appello per una staffetta contro le armi. Quanto è importante allargare il più possibile il fronte contro la guerra?
Serve allargarlo il più possibile. Tutti possono sostenere Ripudia la guerra senza temere che qualcuno se ne intesti i meriti. Quindi non c’è motivo di valutare le opportunità o le alleanze. Certo, se si presentasse una formazione palesemente delinquenziale starebbe certamente fuori. Ma nell’ambito delle forze politiche, per quanto fra loro molto distanti, il problema non si pone. Restano eventualmente in conflitto ma convergono sulla questione specifica. La pluralità non può che essere un valore aggiunto, d’altronde ci serve il sostegno della maggioranza della popolazione italiana. Un risultato possibile solo coinvolgendo realtà molto differenti.
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lamilanomagazine · 5 months
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Città del Natale organizzato da Comune e Consorzio Turistico Città di Pistoia
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Città del Natale organizzato da Comune e Consorzio Turistico Città di Pistoia Proseguono gli appuntamenti del calendario di Pistoia Città del Natale, organizzato da Comune e Consorzio Turistico Città di Pistoia, mercoledì 13, giovedì 14 e venerdì 15 dicembre. Mercoledì 13 dicembre dalle 16.30 alle 18 nel centro storico, nel giorno più corto che ci sia, è previsto Piantastorie in città, iniziativa rivolta ai bambini di tra 5 e 8 anni. A cura delle AreeBambini Verde e Blu dei Servizi Educativi comunali. Info e prenotazioni: lun-ven ore 8-12 al numero 0573 452341. Gli appuntamenti di giovedì 14 dicembre. Dalle 8 alle 20 in via Roma la Fiera 900 in Via Roma e dintorni, a cura di Consorzio Ambulanti Toscana Info: [email protected] Alle 15.30 nello Spazio Incontri L'Argine a Bonelle è in programma Fiabesca, spettacolo di animazione teatrale per bambini, genitori e nonni con l' Associazione Zona Teatro Libero. A cura dell'Assessorato alle Politiche Sociali e delle associazioni del Progetto Socialmente Info: Auser Pistoia Tel. 3461821874 mail: [email protected]. L'evento è gratuito. Alle 16 nell'auditorium Terzani della Biblioteca San Giorgio - per il ciclo "La Forteguerriana racconta Pistoia" – la conferenza a cura di Alessandra Chirimischi Fili, filati e raccontati: la penna di Gianna Manzini negli atelier dell'alta moda. Info: [email protected]. Alle 20.45 nell'AreaBambini Gialla, Area notte. Vieni a dormire all'AreaBambini gialla: Favola della buona notte e dopo sogni fantastici. Evento per genitori e bambini di 5 anni. A cura delle AreeBambini dei Servizi Educativi del Comune di Pistoia. Info e prenotazioni: lun-ven ore 10-14 al numero 0573 32640, mail [email protected]. Alle 20.45 al Teatro Manzoni Inferno, spettacolo di danza con la coreografia, regia, progetto video Roberto Castello in collaborazione con Alessandra Moretti, danza Martina Auddino, Erica Bravini, Riccardo De Simone, Susannah Iheme, Michael Incarbone, Alessandra Moretti, Giselda Ranieri, musica di Marco Zanotti. In collaborazione con Andrea Taravelli ALDES. Premio Ubu 2022 Miglior Spettacolo di Danza. A cura di ATP Teatri di Pistoia Info: 0573 991609 – 27112 – 977225, al seguente link Ingresso a pagamento. Gli appuntamenti del 15 dicembre. Dalle 11 alle 24 nel Parco di Monteoliveto si svolgerà Montuliveto Markets & Experiences Christmas In Love, a cura di associazione Amici di Montuliveto. Info: [email protected] Alle 17.30 nel centro città Gospel A modo nostro, a cura della Associazione Centro Diurno Casa di Alice in collaborazione con la Banda Borgognoni. Info: [email protected] Alle 21 nel Teatro Mauro Bolognini si terrà Marcovaldo, letture musicate del libro di Italo Calvino con Alessio Vassallo, voce recitante e Mirco Ghirardini, clarinetto. A cura di Reggio Iniziative Culturali in collaborazione con il Comune di Pistoia. Info: [email protected]. Ingresso gratuito e libero fino ad esaurimento posti disponibili La Casa di Babbo Natale è allestita nelle Sale Affrescate del Palazzo comunale, in piazza Duomo ed è aperta venerdì 15 dicembre dalle 15.30 alle 19.30. Il prezzo di ingresso è di 6 euro acquistabile all'ingresso. Per i possessori di carta Conad Insieme l'ingresso è scontato di 1 euro mostrando la carta alla biglietteria. Inoltre, è possibile comprare i biglietti salta fila in prevendita tramite il sito web al seguente link al prezzo di 10 euro. La pista di pattinaggio su ghiaccio in piazza San Francesco è aperta fino al 31 gennaio nei giorni di sabato, domenica e festivi dalle 10.30 alle 1 e dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 13 e dalle 14.30 alle 24. Info: [email protected]. Ingresso a pagamento.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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parmenida · 7 months
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#IdentitàPartenopea
NAPOLI 💙⚜
Città bistrattata, sottovalutata e abbandonata al giogo della criminalità organizzata. Ma Napoli non è così e non fu così. Lo è diventata. Metropoli brillante, aristocratica e colta, luogo d’incontro di svago e del bel mondo, viva e felice sotto la dinastia dei Borbone che inizia nel 1734 quando Carlo di Spagna conquista i regni di Napoli e Sicilia sottraendoli alla dominazione austriaca. Incoronato nel 1735 re delle Due Sicilie a Palermo, sceglie Napoli, come capitale del regno. Considerata dalla corte di Vienna un regno lontano e poco degno di prestigio…quasi fossero “le Indie”, Napoli in realtà era una magnifica metropoli di arte e cultura del Sud, per il Sud, per l’Europa, per il mondo, intorno alla quale si raccoglieranno ben presto letterati, filosofi e architetti provenienti da tutta Italia.
Il “buon re”, così come veniva chiamato Carlo di Borbone, farà venire a Napoli il toscano e saggio Bernardino Tanucci a cui affiderà le sorti finanziarie del regno. Pittori e architetti come Fuga e Vanvitelli per dare vita a teatri, porti, fortificazioni e ospedali. E’ l’inizio del gran settecento dei Borbone a Napoli e dintorni. La prima fabbrica di locomotive a Portici, e la vicina reggia dove insieme a Maria Amalia, sua sposa e figlia del re di Sassonia, si darà vita ad un maestoso progetto residenziale con due grandi parchi, l’orto botanico e il real museo delle antichità con i reperti e le sculture provenienti dagli scavi archeologici di Ercolano. E ancora, il palazzo reale a Napoli, il tunnel borbonico come via di fuga, il real albergo dei poveri, il Teatro San Carlo, il golfo di Napoli con la più grande acciaieria e i più grandi arsenali d’Italia.
Costretto a lasciare Napoli per tornare in Spagna, dopo 25 anni di regno, a Carlo succederà il figlio di otto anni, Ferdinando, che passata la reggenza, vedrà una Napoli all’apice del suo splendore con la regina Maria Carolina, severa e austera per amore della sua città. Centro di cultura e svago, la città partenopea attrarrà le più grandi corti d’europa e dei lumi, fino a quando con l’annessione al Piemonte e la successiva unità d’Italia nel 1861 si passerà dall’epoca d’oro settecentesca ad un periodo di brigantaggio nato dalla reazioni sanguinose suscitate dalla politica repressiva dei piemontesi e parallelamente l’avanzare della criminalità organizzata che approfitterà “… per accamparsi sul deserto delle istituzioni.”
“La storia dei vinti è scritta dai vincitori… ci saranno verità che i conquistatori vorranno nascondere“. E così, prima dell’arrivo dei Savoia, Napoli godeva di un’ ottima consistenza finanziaria. Il banco di Napoli contava 443 milioni di lire rispetto ai 148 dei piemontesi; il 51 %degli operai italiani erano occupati nelle industrie del Sud, la pressione fiscale sui cittadini meridionali era la metà rispetto a quella esercitata sui piemontesi dai Savoia, le produzioni agricole detenevano il primato grazie alla fertilità delle terra, alla salubrità dell’acqua e al clima mite. Finirà lo splendore, famiglie costrette all’elemosina, il commercio quasi del tutto annullato; opifici privati costretti a chiudere a causa di insostenubli concorrenze: tutto proveniva dal Piemonte, dalla carta finanche alle cassette della posta, non vi era faccenda con non era disbrigata da uomini e donne piemontesi che si prenderanno cura dei trovatelli…”quasi neppur il sangue di questo popolo più fosse bello e salutevole.”
Lina Weertmuller
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puntoelineamagazine · 7 months
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APRIAMO LE GABBIE
Foto di scena: La carta da parati gialla© Compagnia Dunamis Al PACTA Salone di Milano dal 3 novembre la rassegna di danza alla sua terza edizione PACTA Salone Dal 3 al 12 novembre 2023 Danza APRIAMO LE GABBIE III edizione Rassegna di danza e arti a tecnica mista da un’idea di Patrizio Belloli – a cura di Annig Raimondi e Elisabetta Miracoli PACTA . dei Teatri in collaborazione con Compagnia Xe,…
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micro961 · 2 years
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Be Klaire, Train of silence
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l'artista presenta il nuovo singolo
Un suono coinvolgente fin dal primo ascolto, preciso nel ritmo ed interpretato con una voce piena e matura in perfetto inglese. Sono gli elementi che caratterizzano “Train of Silence”, nuovo singolo del giovanissimo ed eclettico Be Klaire, alias Gaetano De Caro, cantante quindicenne che abbiamo avuto modo di apprezzare e conoscere grazie al precedente successo “ Free Me Now“. L ́uscita ufficiale del brano il 19 Agosto sui principali circuiti radiofonici nazionali e sui piú accreditati digital stores. “Train of Silence” nasce in una sessione di scrittura, scaturita dalla necessitá di voler raccontare una storia, un viaggio di emozioni troppo grandi giunto ormai al termine, come al capolinea di un treno. Il fine del brano è liberarsi da queste enormi emozioni, spesso ingombranti e che ci condizionano, e portare "al centro" la propria personalitá, quasi egoisticamente il proprio “IO“ in maniera piú concreta. Oggi si dá molto spazio alle emozioni lasciando che siano proprio esse a prevalere nella nostra vita, ma non sempre é un bene. Imparare a non farsi troppo travolgere puó diventare uno scudo positivo verso gli accadimenti della vita. La produzione del brano é curata da Martino Schembri in arte Godo, sotto etichetta indipendente di Be Klaire, autore del brano, mentre il management é affidato alla MA Eventi di Cosimo Taurino.
Originario di Bari, Be Klaire inizia a suonare la chitarra all’età di 5 anni e successivamente studia canto, pianoforte e solfeggio. Ha partecipato a numerosi concorsi canori aggiudicandosi sempre ottimi consensi sia dalle varie giurie che dal pubblico, ma l ́esordio importante avviene nel 2017 quando si esibisce in “Si vede bene solo con il cuore”, spettacolo teatrale ispirato al romanzo “Il Piccolo Principe”, proposto in diversi teatri sia a Bari che a Roma. Approda infine alle selezioni per Sanremo.
Ammette di divertirsi in prima persona a raccontare le sue avventure attraverso le canzoni che scrive. I suoi gusti musicali spaziano da Lady Gaga (alla quale si ispira per i suoi ideali anticonformisti), passando per Lana Del Rey fino ad arrivare alla particolare musica di Marilyn Manson, che lo portano a sperimentare diverse sonoritá. In lui si mescolano originalitá e freschezza giovanile, unite ad una spiccata e ben definita espressivitá artistica, sopratutto per l ́impeccabile uso della lingua inglese, utilizzata fin dai primi singoli di successo come “ People's Eyes“ pubblicato nel dicembre 2020, e poi con “Free Me Now“ del luglio 2021, lingua che gli consente di esprimersi al meglio e che potrebbe diventare una carta vincente per emergere in futuro anche fuori Italia. L'unica cosa certa è che la musica e le sue canzoni non finiscono qui, anzi questo é solo il preludio di un futuro molto proficuo e pieno di progetti.
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«Viaggio a Roma per tutti i giovani a spese del Governo. Ma solo per i siti archeologici». La proposta di Renzi e Calenda per difendere il patrimonio culturale
Treno e «due notti in ostello» pagati dal Governo. L’idea si trova nel programma di Azione e Italia Viva «Vogliamo dare a tutti i giovani l’opportunità di recarsi nella Capitale con un viaggio sponsorizzato dal Governo», con tanto di «due notti in ostello». Sotto la voce “Cultura, turismo e sport”, tra un carnet con 10 ingressi gratuiti per teatri e mostre e un finanziamento alla carta stampata,…
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carmenvicinanza · 2 years
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Maria Carta. La voce della Sardegna
https://www.unadonnalgiorno.it/maria-carta-la-voce-della-sardegna/
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Da noi da sempre la gente vive di poco, quasi di niente. La nostra povertà è indicibile. Io da bambina andavo a piedi nudi in campagna a lavorare; canto perché mia nonna cantava, e sulle tanche l’uomo cantava contro la solitudine. Mio padre è morto di povertà e io sono salita sul palco in piazza a cantare, mi davano cento lire, cantavo davanti a folle di pastori, sul palco di cento paesi.
Maria Carta, cantautrice, attrice e politica è stata la voce della Sardegna.
Una voce grande e scura è stata l’ambasciatrice della canzone, della storia e del dolore dell’isola.
Durante la sua carriera ha ripercorso i molteplici aspetti della musica sarda, dal repertorio popolare ai canti gregoriani.
Ha fuso sapientemente la tradizione con arrangiamenti moderni e personali.
Nacque col nome di Maria Giovanna Agostina a Siligo, un piccolo paese della provincia di Sassari, il 24 giugno 1934. Aveva otto anni quando perse il padre, cosa che la costrinse a un’infanzia di stenti e fatiche, invece di studiare, era costretta a lavorare, in casa e nei campi.
Ancora bambina aveva iniziato a cantare in chiesa, suo nonno la accompagnava a esibirsi nei paesi durante le feste popolari, dove le piazze diventano teatri per le improvvisazioni poetiche.
Nel 1957 era una giovane molto bella e con tanta voglia di riscossa, vinse il concorso Miss Sardegna, partecipò a Miss Italia e recitò nel fotoromanzo Questo sangue sardo.
Ai suoi esordi, si è scontrata con la difficoltà di essere accettata come donna sul palcoscenico in Sardegna, perché, raccontava, allora il canto sardo era appannaggio esclusivo degli uomini. Anche dopo, quando ha portato la cultura sarda nel mondo, polemizzeranno contro di lei accusandola di aver “culturizzato” il canto sardo per renderlo più commerciale, e che quel suo modo di cantare non aveva nulla di genuino, perché in Sardegna le donne non cantavano. Non capivano che lei stava nobilitando quel canto, elevandolo a patrimonio nazionale. ma non si è mai arresa e ha continuato ad affermare la validità del suo lavoro.
In un periodo in cui le donne non potevano neppure uscire di casa da sole, prese la patente di guida e alla fine degli anni cinquanta si trasferì a Roma, dove fece ogni tipo di lavoro finché non conobbe lo sceneggiatore Salvatore Laurani, che poi sposò. Fu lui  a spingerla verso la carriera musicale.
Ha frequentato il centro studi di musica popolare dell’Accademia di Santa Cecilia e da lì ha iniziato a esplorare la sua terra per ricercare e registrare antichi canti salvandoli dall’oblio e dando loro la sua voce avvalendosi, col tempo, di importanti  collaborazioni e produzioni.
Nel 1971, dopo aver incontrato Ennio Morricone che la propose alla famosa casa discografica RCA, ha pubblicato ben due album: Sardegna canta e Paradiso in re. Nello stesso anno venne trasmesso dalla Rai il documentario Incontro con Maria Carta, nel quale cantava e recitava con Riccardo Cucciolla. Poco dopo venne registrato un altro documentario dal titolo Maria Carta. Sardegna, una voce.
Nel 1972 ha recitato nella Medea di Franco Enriquez al Teatro Argentina e ebbe l’occasione di fare un fortunato incontro con la più grande interprete di fado portoghese, Amália Rodrigues, con cui tenne un concerto al Teatro Sistina e una  tournée in Sardegna.
Nel 1974 ha partecipato a Canzonissima interpretando Deus ti salvet Maria classificandosi seconda in finale nel girone della musica folk con il brano Amore disisperadu.
Nel 1975 ha scritto un libro di poesie, intitolato Canto rituale che affida alla poesia la denuncia sociale. Racconta la sua infanzia di povertà e i miracoli quotidiani di quel mondo incantato immerso nella natura selvaggia. È una specie di Spoon River sarda, in cui si celebrano i rituali contadini, le festività, la memoria del territorio attraverso le storie di morti, uomini e donne che in questo luogo montuoso e scabro non vogliono che il loro ricordo resti sepolto.
In quel periodo si è esibita al Teatro Bol’šoj  di Mosca e dal 1976 al 1981 è stata nel consiglio comunale di Roma eletta per il Partito Comunista Italiano.
Anni dopo, nel 1988, in un concerto in occasione del IX centenario dell’Università di Bologna, presso la quale era stata nominata docente a contratto in antropologia culturale, dirà: «Io purtroppo non ho avuto la possibilità di trascorrere la mia giovinezza china sui libri, ma affaticando la schiena sul lavoro, essere qui oggi è molto importante per me, perché mi rendo conto che nella vita ciò che conta non è la fortuna che si ha in gioventù, ma quanto si riesce a costruire da soli».
Come attrice, è stata la protagonista di importanti film, ha interpretato il ruolo della madre di Vito Corleone ne Il padrino – Parte II di Francis Ford Coppola nel 1974 e di Marta nello sceneggiato Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, nel 1977.
Ha partecipato al Festival d’Avignone, è stata ospite in numerose trasmissioni televisive e si è esibita in prestigiosi spazi oltreoceano. Nel 1992 ha realizzato il musical teatrale A piedi verso Dio con brani composti da Franco Simone.
Il suo ultimo concerto è stato a Tolosa, in Francia, il 30 giugno 1993.
Ha lasciato la terra il 22 settembre 1994, nella sua casa di Roma, a causa di un tumore che la affliggeva da tempo, aveva 60 anni.
Maria Carta con la sua immagine ieratica è stata una sacerdotessa dalla voce miracolosa che commuove. Cantante, studiosa, ricercatrice di canti tradizionali che ha raccolto e studiato preservandoli dalla sparizione.
È riuscita a riscattare attraverso la cultura, un’infanzia di stenti vissuta tra la fatica del lavoro nei campi e la solitudine di un territorio selvaggio e isolato, che per molto tempo non ha avuto nulla da darle.
Dopo la sua morte, nel 1994 è stata istituita la Fondazione Maria Carta, per promuovere la cultura e la musica della Sardegna che, dal  2003  attribuisce ogni anno il Premio Maria Carta a chi contribuisce a promuovere l’immagine della cultura sarda in Italia e nel mondo.
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fashionbooksmilano · 4 years
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Papiertheater
Die Sammlung Anna Feja Seitler und Heino Seitler
Bearbeitet und herausgegeben von Norbert Donhofer
Franz Deuticke Verlag, Wien 1992, 219 S. mit 100 farbigen Tafeln,                ISBN  9783700546382
euro 120,00
email if you want to buy [email protected]
Wohl einer der umfangreichsten Kataloge über Papiertheater, Dekorationen, Figuren etc. aus Österreich (beginnend bei Trentsensky, Carl Fritz, Johan Neidl, Gustav Lewy u.a.), Deutschland (Gustav Kühn, Oehmigke und Riemschneider, Joseph Scholz, J.F. Schreiber), sowie Beispiele aus Dänemark, England, Frankreich u.a.
Dal Settecento in poi i teatrini hanno rappresentato “uno sguardo nella meraviglia”, una porta aperta sul fantastico, una sorta di Paese delle meraviglie dove si perde la dimensione del reale.Predecessori dei teatrini di carta furono i diorami, che mostravano un’immagine immobile, tridimensionale e prospettica di un determinato spazio; ricordiamo tra i più interessanti i prospetti e i diorami di Martin Engelbrecht,  creati in Germania attorno al 1760.Nello stesso periodo, in Europa iniziò la pubblicazione di stampe dedicate al teatro, prodotte a partire da un’incisione su rame e a volte colorate a mano: stampe che ritraevano attori in costume e in pose caratteristiche di un determinato evento teatrale.Dalla sintesi del diorama e delle figurine in atteggiamenti e costumi di scena si svilupperà il teatro di carta. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento si diffonde in Europa la produzione di teatrini e marionette stampati su fogli di carta poi incollati su cartone  o legno, intagliati e assemblati.
06/05/20
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lamilanomagazine · 2 years
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Trieste, nona edizione del Tact Festival a Roiano e Gretta
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Trieste, nona edizione del Tact Festival a Roiano e Gretta. E' giunto alla nona edizione il TACT, Festival internazionale di arti performative che si terrà da giovedì 23 a mercoledì 29 giugno a Roiano e Gretta, con una trentina di appuntamenti in sette giorni. Oggi (lunedì 20 giugno) nella sala Bobi Bazlen di palazzo Gopvecich, alla presenza dell'assessore comunale alla Cultura Giorgio Rossi e degli organizzatori, è stato presentato il programma della manifestazione promossa dal CUT di Trieste, in co-organizzazione con il Comune di Trieste, con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia, Giovani FVG e la Banca ZKB di Opicine e in collaborazione con Hangar Teatri. Il TACT Festival è un festival internazionale delle arti performative nato nel 2014 e che fino alla settima edizione è stato incentrato sul teatro (ogni anno dieci compagnie teatrali internazionali venivano invitate a esibirsi sul palco del Teatro Stabile Sloveno di Trieste). Dallo scorso anno il Festival ha cambiato veste e ha scelto un nuovo palcoscenico all'aperto e accessibile a tutti: dall'edizione 2021 il Festival è uscito sulle strade e sulle piazze dei rioni di Trieste, partendo da San Giacomo, e ha diversificato le tipologie di eventi proposti, includendo varie arti performative oltre al teatro, come musica e circo. "Scegliere la strada", è stato questo pensiero che ha portato gli organizzatori a cambiare il format del Festival, dove la strada viene intesa sia come luogo fisico che come luogo di esplorazione, scoperta e incontro. "Dallo scorso anno -ha spiegato l'organizzatore Marco Palazzoni - ci siamo trasferiti sulle strade di Trieste: l'obiettivo è stato quello di portare il teatro in luoghi non convenzionali, per rendere l'arte più accessibile a chiunque. A questo scopo, inoltre, tutti gli eventi del Festival sono a ingresso gratuito. In questo modo l'arte diventa uno strumento di rigenerazione urbana e un modo per coinvolgere attivamente le comunità locali." L'assessore Giorgio Rossi ha sottolineato il valore di "aver scelto la strada e di andare nei rioni", recuperando i rapporti con e tra le persone, dando un contributo alle realtà quotidiane di cui facciamo parte, in un lavoro e un impegno non solo culturale, ma che comprende anche molti aspetti legati ad una civiltà con la "c" maiuscola e al nostro costruttivo e intelligente stare insieme. La nona edizione del Festival avrà come palcoscenico le strade e le piazze dei rioni di Roiano e Gretta. L'intenzione, anche per le prossime edizioni, è quella di mantenere questo nuovo format e di portare il Festival ogni anno in un quartiere diverso della città, in modo da raggiungere attraverso l'espressione artistica ogni angolo di Trieste e i suoi abitanti. I veri protagonisti del festival saranno quindi il quartiere e la comunità, grazie a spettacoli e performance adattati agli spazi urbani dei rioni e a progetti creati ad hoc con associazioni e realtà rionali. I luoghi in cui si svolgerà il festival saranno principalmente Piazza Tra i Rivi, il Ricreatorio Brunner, Villa Cosulich, Villa Prinz e la microarea di Gretta. Il Festival vuole proporre un modo alternativo di vivere i luoghi cittadini e allo stesso tempo favorire un maggiore interesse per gli eventi culturali. Le attività e gli eventi proposti sono rivolti a un pubblico di tutte le età: dai più piccoli fino agli adulti. Ad integrare gli spettacoli, saranno proposte alcune attività di formazione volte a favorire il coinvolgimento attivo dei partecipanti, come workshop di giocoleria, di marionette di carta e laboratori musicali. Il programma propone appuntamento come spettacoli di circo, di fuoco e di narrazione, performance e concerti. Molti saranno gli artisti nazionali come la Compagnia O Thiasos, la Compagnia Piccolo Canto, la band Slavi - Bravissime Persone e il giocoliere Davide Visintini. Non mancheranno gli artisti internazionali come i circensi Double Take - Cinematic Circus dal Belgio, i giocolieri sloveni Čupakabra, e i 15Feet6, un gruppo di giovani acrobati dall'Inghilterra, dalla Spagna, dal Belgio e dalla Finlandia. Da oltre confine arriveranno i due famosi marionettisti sloveni Brane Solce e Matija Solce. Il programma, inoltre, prevede molti artisti locali come Massimo Serli, Marco Tortul, Giulia Binali, Diego Manna, l'Ableton User Group Trieste, Marco Rossignoli, Giulia Binali, Lisa Deiuri, Zufzone, gli Emanuele Grafitti Trio e tanti altri. Infine si rinnova la collaborazione con il Kino Šiška per la proposta musicale con il concerto di chiusura dei Jimmy Barka Experience. Tutti gli eventi sono a offerta libera. In caso di maltempo alcuni eventi si terranno presso Hangar Teatri con comunicazione e aggiornamenti sul sito del tactfestival.org.... Read the full article
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abr · 3 years
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(L)’ammissione finale, la confessione, la “pistola fumante” dell’inganno la fornisce lo Stato stesso. L’11 luglio del 2021, (...) in (una) nota, l’Avvocatura dello Stato afferma che (...) i numeri “classificano tra deceduti tutti coloro i quali avevano il virus al momento del decesso e non – come avvenuto da altri Paesi (…) – soltanto coloro i quali sono deceduti a causa del virus stesso”. (...) Una notizia (che) ribalta tutta la narrazione spaventosa del virus, smonta la legittimità e la logica di qualsiasi misura restrittiva e dell’obbligo strisciante di vaccinazione. Da marzo 2020, chiunque osi criticare la politica sanitaria e liberticida dei governi italiani viene accusato di complottismo e gli vengono gettate in faccia, come ricatto morale, le centinaia di migliaia di vittime. Ora, ciò che emerge avrebbe dovuto occupare le prime pagine e le aperture di tutti i telegiornali, ed invece nulla, il silenzio e la prosecuzione del terrore con lo spauracchio delle varianti del virus. D’altra parte, (...) in una mail del marzo 2020, Fauci affermava che il 99 per cento dei morti in Italia erano persone affette da altre gravi patologie (...). Anche in quel caso, silenzio pressoché assoluto dai media di regime. Nel frattempo (...) il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron (...) ha annunciato (...) misure draconiane verso chi non si sottopone al rito salvifico: in Francia viene introdotto l’obbligo di vaccinazione per i sanitari e il divieto di accesso ai locali pubblici come bar e ristoranti, ai cittadini non vaccinati. Non solo, senza il vaccino non si potrà accedere ai trasporti pubblici: niente treno, autobus o aereo. Divieto anche per cinema e teatri. Il generale Figliuolo ha subito applaudito e si è detto favorevole all’introduzione di certe misure anche in Italia (...). Addirittura Fabio Ciciliano, membro del Comitato Tecnico Scientifico, si spinge oltre: “Bisogna offrire vantaggi a chi si vaccina o agli immunizzati, ormai c’è da ragionare in termini di premialità. Non basta sbarrare la strada a teatri o cinema. Occorre fare indagini sociologiche per ogni fascia di età per capire le preferenze”. Indagare (...) per colpirli dove fa più male. Qui non solo è stata fatta carta straccia della Costituzione “più bella del mondo” e dello stato di diritto, ma pure di qualsiasi tipo di etica e di convivenza civile. La dittatura sanitaria si presenta ormai a volto scoperto. (...).
Davide Rossi, via http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/numeri-covid-gonfiati-ecco-la-pistola-fumante-e-piace-la-stretta-di-macron-sui-non-vaccinati/
Di che vi lamentate, v’han lasciato in pace per gli Europei, no? Vi han detto che L’ITALIA RIPARTE. Seee come no: si riparte dal via, di marzo 2021.
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corallorosso · 3 years
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SAN MARINO, LO "STATO CANAGLIA" Quell'indocile staterello grande poco più di Piazza Duomo, sta creando qualche grattacapo alla corazzata Italia e al di Lei Ministro degli Esteri. Oh Dio, per creare problemi a Di Maio basterebbe chiedergli la tabellina del 7 o molto più crudelmente la coniugazione di un qualsiasi verbo, senza infierire con gli irregolari. Fatto sta che San Marino é finita di fatto nella Lista dei Paesi nemici, altrimenti detti "canaglia" che non si inchinano alle Leggi dei Paesi evoluti, tra i quali ovviamente (nonostante Di Maio) figura anche l'Italia. Veniamo ai fatti. In un periodo di carenza vaccinale, mentre dagli schermi tv, più o meno improvvisati esperti, discutevano sulla bontà dei vaccini, La Repubblica dei Capitani, si era messa diligentemente in lista per vaccinare il suo Popolo. Dopo un incontro durato sei ore per spiegare a Di Maio dove si trovasse San Marino, perché era li' e che non era un quartiere di Riccione, la risposta fu di puro stampo leghista : Prima gli Italiani. I Sanmarinesi attesero pazientemente che i vaccini benedetti dall'UE, arrivassero sulle pendici del Monte Titano, in particolare il Pfizer, considerato "salvavita". Ma non arrivarono nemmeno le siringhe. Busso' alla porta del castello il Diavolo veste Putin, con la fialetta in mano dello Sputnik V, e come fa ancora Mastrotta, si mise a decantare l'improbabile bontà del prodotto. La Repubblica, stremata dall'attesa, accetto' il regalo russo. E vaccino' tutti i suoi Cittadini. Ma per l'UE, il vaccino non vale e quindi niente "green pass" a meno che il Popolo non si sottoponga ad un'altra dose di vaccino benedetto da Santa Madre Europa. Cosa che i Sanmarinesi non vogliono fare, preoccupati da quel "miscuglio vaccinale" nelle loro vene. Ma sappiamo che senza la Carta Verde non puoi nemmeno andare in toilette figuaratevi andare a lavorare in strutture scolastiche e sanitarie, o accedere a fiere, congressi, musei, teatri, cinema, piscine, parchi divertimento, centri termali, sale giochi in territorio italiano, né sedersi all’interno di bar e ristoranti se non entro il perimetro della loro Repubblica; ma nemmeno far visita ai parenti in ospedale e nelle residenze per anziani, prendere aerei o treni o imbarcarsi da qualche località italiana. Insomma saranno reclusi in pochi ettari di terra, sovrana ma isolata dagli altri. Ed ecco la genialata del Di Maio. Proroga fino a metà Ottobre dell'obbligo di presentare il Green Pass. Si va bene, ma dopo ? Dio vede e provvede. Le lamentele della piccola Repubblica sono giunte alle orecchie di Spock-Lavrov, Ministro degli Esteri russo. Incazzato é arrivato a Roma per chiedere all'amabile Ministro Di Maio, come mai i Sanmarinesi sono esenti ed i russi (vaccinati con il medesimo vaccino) invece NO. Voci di corridoio della Farnesina dicono che Giggetto s'é chiuso in bagno fino a quando il mastino russo non é tornato a Mosca. Ma poi, il 15/10, che succederà con San Marino ? L'ultima volta che abbiamo avuto un problemino con loro, abbiamo mandato l'Esercito a presidiare i confini. Era il lontano 1957 e la Repubblica dei Capitani si diede un Governo Social- Comunista. Apriti cielo. Mandammo i soldati a far la guerra ad uno dei pochi Paesi contro i quali probabilmente avremmo vinto. Era la "Notte di Rovereta". Il Governo dei mangia-bambini cadde e le truppe si ritirarono. Potremmo armare i soldati di siringhe e Pfizer e sterminarli, pardon vaccinarli, tutti, alla faccia dello Sputnik e dei Cremliniani. La pace sarebbe salva. L'Onore un po' meno. Claudio Khaled Ser
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Milano indaga
Si è appena conclusa l’iniziativa Milano in giallo e noi vogliamo tracciare una sintetica panoramica degli autori più noti. “Milano come Chicago“: titolava così il 29 novembre 1976 la prima pagina de «La Notte», storico giornale milanese poi chiuso negli anni Novanta. Ecco spiegata la moltiplicazione di libri (e film) gialli e, di conseguenza, di ispettori, detective, commissari che hanno popolato e tuttora investigano nella nostra città.
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In realtà la ‘predisposizione’ di Milano ad essere terreno fertile per indagini criminali risale più indietro nel tempo, a quello che è considerato il padre di questo genere letterario, Augusto de Angelis: noto antifascista e giallista in un’epoca in cui il Minculpop aveva disposto il sequestro “di tutti i romanzi gialli in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita”, innamorato di una donna ebrea, incarcerato e poi picchiato da un fascista: morì in seguito alle ferite riportate a soli 56 anni. Il suo eroe, il commissario De Vincenzi, egregiamente interpretato da Paolo Stoppa in una serie di sceneggiati Rai, opera prevalentemente nella nostra città. 
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Forse anche l’atmosfera, soprattutto invernale, fatta di nebbia e cieli plumbei, ha favorito lo sviluppo di questo tipo di letteratura: un misterioso delitto nella caligine notturna di Palestro apre le pagine di Motivo d’allarme di Eric Ambler, ambientato durante gli anni del ventennio. 
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Al dopoguerra si ispira Dario Crapanzano: “Mario Arrigoni, capocomissario di Porta Venezia (che è come dire arcimilanese, meneghino al quadrato), si muove in una Milano impegnata a ricostruire ma non ancora toccata dalla febbre dal boom, dove insieme a fabbriche e uffici riaprono anche i teatri, come il Piccolo di Strehler; dove le auto sono poche e ci si sposta in tramvai, tutt’al più in Vespa; dove brunch e happy hour non sono stati ancora inventati e al massimo nelle fumose osterie si può mangiare un panino, anzi, un ‘sanguis’, traslitterazione milanese della parola sandwich”. 
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Dal dopoguerra la città si è ingrandita a dismisura, la periferia “ha fagocitato cascine, campi coltivati e borghi storici, e si è ritrovata, senza rendersene conto, una metropoli” (così scrive Michele Turazzi nell’utile volumetto Milano di carta). Sono gli anni del boom economico “di una società approdata al consumismo senza aver davvero capito di essere uscita dalla povertà”, e l’equazione ricchezza = criminalità dà i suoi risultati nella cronaca nera come nelle pagine dei romanzi gialli. Dalla vecchia ligera locale “malavita estrosa e un po’ scalcagnata” che quasi mai uccideva (quella cantata da Jannacci e Gaber, per intenderci) si passa alla delinquenza efferata con cui si trova a combattere l’investigatore Duca Lamberti (protagonista anche di alcuni film) creato dalla veloce penna di Giorgio Scerbanenco. Sono gli anni della famigerata ‘banda Cavallero’ (che ha ispirato il film di Lizzani Banditi a Milano, con Gian Maria Volonté), di Francis Turatello e di Vallanzasca.
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La mala degli anni ’60-70 è descritta da Paolo Roversi in Milano criminale, prequel di Solo il tempo di morire, ambientato tra il 1972 e il 1984, ancora prima della cosiddetta ‘Milano da bere’.
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Al 1978 risale il l’esordio di Renato Olivieri. Ecco come Andrea Camilleri (nella prefazione di Il romanzo poliziesco di Yves Reuter) descrive il suo eroe: “Il commissario Giulio Ambrosio, innamorato stendhalianamente della sua Milano, è un uomo colto, dalle abitudini borghesi, sostanzialmente malinconico”. Ricordiamo anche il bellissimo film I giorni del commissario Ambrosio con Ugo Tognazzi.
“Ma l’eredità maggiore di Scerbanenco si ritrova in tutti quei commissari, vicequestori e detective improvvisati che hanno invaso gli scaffali delle librerie nell’ultimo mezzo secolo, rendendo Milano la città d’elezione per le indagini letterarie nel nostro Paese. Questi investigatori agiscono ovunque, in qualsiasi quartiere di una città che, dal punto di vista del crimine, non conosce pace”. 
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È la Milano degli anni Ottanta quella di Piero Colaprico, il giornalista che ha coniato il termine ‘tangentopoli’ (la sua esperienza in tema di criminalità milanese gli ha dettato il saggio di recente pubblicazione Manager calibro 9), nonché padre, insieme a Pietro Valpreda, del maresciallo Binda “un investigatore che si inserisce perfettamente nella tradizione del giallo. Classico per la meticolosità dei suoi ragionamenti, moderno per la sua abilità nel districarsi nei vari strati sociali di una Milano colma di divergenze, Binda risulta un personaggio con il quale non si può non simpatizzare. Padre e marito modello, imperturbabile, ma con un profondo lato malinconico, quasi dark, che bilancia una certa dose di sana ironia. Un anziano ex carabiniere che vive una seconda giovinezza proprio grazie all’attività di investigatore privato”. 
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Si tratta di un vero proliferare (cui si può offrire solo un rapido cenno), che non sembra attenuarsi, forse perché la narrativa è più vera e accattivante se agganciata al territorio, e la Milano buia, nebbiosa, tentacolare, sovrappopolata ben si presta ad un immaginario di tipo poliziesco. 
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I più recenti: Il mistero di Chinatown di Mario Mazzanti, la prima indagine dell’anatomopatologo Tommy Davis e dell’amico Gualtiero Abisso; La disciplina di Penelope di Gianrico Carofiglio: “La protagonista, brillante magistrato dei tempi che furono, è impegnata in un’investigazione tra le vie di Milano, avvolta nei ricordi e in un intrico da svelare”; a proposito di nebbia, è appena uscito Una giornata di nebbia a Milano di Enrico Vanzina: “È una giornata di nebbia a Milano, una di quelle che sembravano non esistere più, come se fosse uscita da un romanzo di un altro tempo, da una ballata di giorni lontani. Luca Restelli sta andando al giornale per cui lavora, per le pagine di cultura, quelle che non considera nessuno. Non ha ancora quarant’anni, ma anche i suoi gusti sono ‘passati’, come la nebbia di quella mattina: vive di riferimenti letterari e cinematografici, tra insicurezze e un po’ di superbo disprezzo per il mondo indolente e arrivista che lo circonda. All’improvviso arriva una notizia, un omicidio in Corso Vercelli, un uomo è stato ucciso con un colpo di pistola, è stata arrestata una donna. Restelli si propone, la cronaca nera gli è sempre piaciuta. Dopo aver raccontato la città eterna, Vanzina racconta l’altra capitale italiana. Il risultato è un giallo straordinario, elegante, irriverente, geniale e inaspettato”; Nella luce di un’alba più fredda di Hans Tuzzi: nuove indagini per il commissario Norberto Melis; Un colpo al cuore di Piergiorgio Pulixi, ambientato tra la Sardegna e Milano è la storia di “un serial killer che ha deciso di riparare i torti del sistema giudiziario”; e poi le indagini del commissario Caronte di Alessandro Reali. 
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Ambientato sempre a Milano (ma questa volta in estate!) l’ultimo bestseller di Alessandro Robecchi, Flora, di cui abbiamo già parlato: “Storia di un Pigmalione ai tempi della televisione che cerca di convertire la sua pupilla e le masse al culto della poesia, tramite il toccante esempio del surrealista Robert Desnos. Storia di un rapimento sui generis in cui il lettore è dalla parte dei malviventi, e ben presto lo sarà anche la vittima. Scritto in piena pandemia, ne riporta qualche velata eco”.
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Addirittura una magliaia è stata promossa all’invidiabile ruolo di investigatrice: si tratta di Delia, la protagonista dei gialli di Mauro Biagini.
Come dice Turazzi, “la lista è quasi inesauribile”. Per la fortuna di noi appassionati lettori, ci viene da aggiungere...
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filmetto · 3 years
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Ciao! Volevo chiederti una cosa. Mi pare di capire tu studi cinema guardando il tuo blog... Posso chiederti se hai per caso qualche consiglio da dare a una ragazza che vorrebbe imparare a creare film / serie tv / altro (aka me)? Faccio foto da molti anni quindi un minimo di esperienza con le fotocamere la ho, però di cinema non so praticamente niente ad ora... Sono davvero utili le università che insegnano queste cose? E, poi: come si capisce se si vuole davvero dedicare la propria vita al cinema oppure no? A me ha sempre attratto molto l'idea di dedicarmi a queste cose, ma al tempo stesso vorrei anche diventare psicoterapeuta. A me interessa lavorare con i sentimenti e le emozioni umane, con le storie delle persone... È questo che mi attrae di entrambi i lavori. E vorrei da sempre poter dare una mano agli altri, mi piace tantissimo ascoltare
Ciao a te! Ti correggo subito sulla prima assunzione, che mi lusinga ma purtroppo devo negare: non studio cinema, sono solo un’appassionata. Per questo probabilmente non sono la persona adatta per risponderti, ma posso comunque darti la mia opinione, per quanto la tua domanda sia complicata e la sua risposta dipenda da tantissime variabili.
Per prima cosa ti dico che non credo che studiare qualcosa possa mai essere inutile. Inoltre, dipende da cosa ritieni utile. Io studio filosofia, la più inutile di tutte le materie. Avrei potuto imparare le cose che so senza prendere una laurea in filosofia? Sicuramente. Will Hunting docet, quasi tutto si può imparare possedendo semplicemente una tessera della biblioteca (ai giorni d’oggi direi che basta e avanza una connessione internet). Tutti i più grandi sostenitori della tesi per cui è inutile studiare certe cose saranno più che felici di sciorinarti i nomi di Tarantino, Nolan, Spielberg, Kubrick, i due Anderson e il resto di quelli che non hanno mai frequentato una scuola di cinema. Di liste di grandi artisti che non hanno studiato in un’istituzione quello di cui poi sono diventati maestri ce ne sono a non finire. Molto spesso però vengono citate con una sorta di arroganza volta a provare che lo studio serve solo a quelli che non sono abbastanza creativi per cavarsela da soli. È vero che queste persone non hanno alcun pezzo di carta che attesta la loro formazione culturale, ma questo non significa che non abbiano mai studiato. Sono sicura che la maggior parte di loro ha visto più film, letto più libri, frequentato più teatri di molti degli studenti che hanno terminato i loro studi. Perdonami se la sto prendendo alla larga: quello che voglio dire è che l’università può essere inutile se senti di avere la disciplina e la passione necessarie per studiare da autodidatta, se non ti interessa entrare a far parte di una comunità accademica o se ritieni di saperne già tanto a proposito di quello che offre il corso di studi. Non mi sembra il tuo caso. Se parti da zero, una formazione di tipo universitario colmerà tante delle tue lacune e non può farti che bene. Allo stesso tempo, mi sembra che tu sia un po’ confusa rispetto a quello che ti piacerebbe fare in ambito cinematografico. Innanzitutto credo sia utile separare la tua passione per la fotografia da quella per il cinema (è vero che si parla sempre di immagini, ma sono due cose un po’ diverse). Mi pare di capire che principalmente vorresti girare video e ti interessa di meno l’aspetto storico e analitico della disciplina. Ti suggerirei allora di cominciare a girare qualcosa, con l’attrezzatura che possiedi (se hai una macchina fotografica molto probabilmente ha anche una funzione per girare video, ma alle brutte anche il tuo cellulare va bene). Decidi tu quanto impegnartici: su youtube puoi imparare tanto come mettere a fuoco quanto come ricreare il dolly zoom de Lo Squalo. Se non provi però non saprai mai se è una cosa che ti interessa davvero fare. Secondo appunto: è bellissimo e mi fa sorridere il fatto che consideri comune denominatore della psicoterapia e del cinema l’ascoltare gli altri. In certo senso è sicuramente così, ma esiste anche tanto cinema creato da persone che non hanno ascoltato nessuno e hanno solo parlato di sé. Penso che in questo senso il cinema sia leggermente più egoista. Per questo se credi di aver trovato la tua vocazione nell’ascoltare e aiutare, il mio consiglio spassionato è di scegliere psicoterapia. Mi chiedi come si fa a decidere di dedicare la propria vita al cinema e io ti rispondo che se ne fossi innamorata abbastanza da dedicarci una vita intera molto probabilmente te ne saresti già accorta, così come ti sei accorta col tempo, in modo naturale, di voler aiutare gli altri. La psicoterapia è sicuramente la strada giusta, ma questo non vuol dire che quella del cinema non sia più percorribile. Haneke ha studiato psicologia ed è diventato uno dei registi europei più acclamati dei nostri tempi. In più, tantissimi artisti non possono permettersi di campare solo di creatività e fanno spesso più di un lavoro. Di nuovo, il mio consiglio è di fare, fare più che puoi. Informati, guarda tanti film, scopri quali generi ti piacciono e quali detesti, concentrati sulle inquadrature e sulle riprese, sulle luci e i tagli, e poi prova a creare qualcosa di tuo. Se ti piace così tanto ascoltare potresti essere una brava documentarista: prova a intervistare qualcuno, chiedi a più persone cosa ne pensano del nuovo vaccino, chiedi a tua nonna di raccontarti la storia di come ha imparato a cucinare; se proprio non ti viene in mente niente puoi anche solo provare a ricreare la scena di un film che ti piace. Se è quello che vuoi fare nella vita sono abbastanza sicura che te ne accorgerai. Per quanto riguarda l’aspetto culturale della materia posso consigliarti caldamente di cominciare dalla serie di Cousins sulla storia del cinema, che non fa mai male, è divertente e appassionante, e potrebbe aiutarti a capire se ti interessa davvero lavorare in questo campo (qui trovi tutte le puntate in italiano).
Perdonami, ho scritto molto più di quello che volevo e probabilmente ho detto delle banalità, ma spero comunque di esserti stata utile. Peace out.
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girulicchio · 3 years
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Ritorno alle origini - vecchie abitudini
Uno dei vantaggi del non saper spegnere il cervello, probabilmente, è l’avere un pozzo inesauribile di idee. Non per questo buone, sia chiaro. Anzi, forse è proprio il fatto che sia un sistema in continuo, fuori controllo, a rendere così eterogenee e sfuggevoli le stesse. Ad esempio, ieri volevo scrivere qualcosa - due righe, abbozzare l’idea - e mi sono reso conto, nel frattempo che ci pensavo, che era un’idea ricorrente, quella che avevo in mente, un pensiero già fatto. Mentre ero lì lì per procurarmi il materiale per buttarla giù, per lasciarne finalmente una traccia indelebile, mi è passata di mente. E Dio solo sa quanta rabbia mi faccia questa cosa. Perché non sopporto, ancora oggi, la perdita del controllo. Tantomeno su me stesso, sulle cose e sui fatti che mi appartengono più intimamente. Sarà la lettura fresca di Dr. Jekyll e Mr. Hyde - o forse è un caso - a farmi pensare a quanto sia difficile controllare tutto e quanto sia innecessario. Perché una grossa parte di me sa che non si può e non si deve avere il controllo su tutto. Le cose accadono, i pensieri scappano, vanno e vengono. Tornerà. E come altre cose, tornerà nel momento più propizio. Quando avrò a portata di mano carta e penna, magari. O un computer. O un telefono. O qualsiasi altra cosa che mi permetta in modo celere di evitare che una nuova volta possa sfuggire. La vita, in effetti, è imprevedibile. Che senso ha progettarla in ogni dettaglio? I bambini lo fanno - grossomodo. Dicono che saranno astronauti, pittori, cantanti, pompieri, ballerini. Quanti, però, perseguono quella strada? E mano a mano che cresciamo, ci instillano - giustamente, per alcuni versi - l’idea che bisogna pensare al concreto, smettere di sognare. Allora chi si rende conto che per fare l’astronauta il percorso è lungo e tortuoso, chi capisce che per fare il pittore devi avere altro di cui mangiare perché l’arte non paga, un po’ alla volta tutti mollano i loro sogni.  Non è rose e fiori, la vita. Non sempre, perlomeno. E forse è giusto così. Un boccone amaro da mandar giù, ma prima lo si fa, meglio si sta. Bisogna saper vivere anche i momenti tristi. Bisogna saper accettare i no, i rifiuti, i cambi di programma. E tutto questo lo dico a me, in primis. Perché quando la parte più fanciullesca di me, quella che è cresciuta con la mania del controllo, vuole prendere il sopravvento e pensare a mille cose, dev’essere un’altra parte di me, coesistente e non meno importante, a metterla a tacere. A ricordarle - a ricordarci, a ricordarmi - che la vita va e il moto non si può fermare, è perpetuo e imprevedibile.  Tutto questo dovrebbe servire a calmare il flusso di pensieri che ondeggia tra i due emisferi, infrangendosi su qualche parete e facendosi spuma, leggera ma effimera. L’intento è quello. Funziona? No, assolutamente. Funziona tanto quanto svuotare il mare un secchiello alla volta. E se tutti i bambini del mondo lo svuotassero, un secchiello alla volta? Non funzionerebbe ugualmente. Non perché i bambini sono pochi, non perché le rive sono piccole. Perché il mare esiste ed è giusto che esista. Accettazione - detta così, sembra quasi una fase del lutto. È incredibile quanto si possa scrivere di getto in pochi minuti. È altrettanto incredibile quanto poi, a rileggere tutto, qualcosa sembri bello, a colpo d’occhio. Qualcos’altro sensato. Qualcos’altro ancora un incipit, per chissà cosa. E poi, ad una seconda rilettura, tutto si fa fuffa. Pensando all’acqua nel secchiello: ci entrano conchiglie, sassolini, alghe. Ma poi, a guardarli meglio, i sassolini sono deformi, le conchiglie spezzate e le alghe bucate. Non per questo meno belli, ma più difficili da apprezzare.  La natura è fatta di perfezione e imperfezione. Matematica e caos. Logica e illogicità.  Forse avevo proprio bisogno di scrivere un po’. Forse dovrei farlo più spesso. Forse dovrei riprendere l’abitudine di scrivere - non dico tanto - una volta a settimana. Per un paio d’ore, leggere e scrivere. Sperimentare, di nuovo, ancora. Ritrovare la passione per quella che è probabilmente stata l’unica costante nella mia vita finora. E coltivarla, come un bambino che non molla l’idea di spegnere incendi e salvare persone, salire su in cielo e nello spazio, dipingere quadri e mostrarli al mondo, danzare sui palchi dei teatri e per le strade, scrivere canzoni d’amore e della propria vita.  Non fate come me, non mollate. Prendete esempio da chi sbaglia per essere i migliori voi stessi. E approfittate degli attimi di coraggio per andare avanti.  Voi ed io, chiunque legga queste parole nel momento giusto. 
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chez-mimich · 3 years
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DIALOGHI DAL TERZO MILLENNIO: ZALA
Grande magazzino, mattina.
Mariulin: “Buongiorno”
Commessa: “Ciao, posso darti un help?”
Mariulin: “Prego?!”
Commessa: “Posso farti da assistance?”
Mariulin: “Cosa vuol dire?”
Commessa: “Eh cioè, insomma hai bisogno di una mano?”
Mariulin: “Ho bisogno di un paio di jeans…”
Commessa: “Ah ok, magnifico!”
Mariulin: “Magnifico cosa?”
Commessa: “Ah ok, magnifico che sei capitato nello store giusto e ci siamo beccati qui, perché ti posso aiutare nella tua scelta ok?”
Mariulin: “Desidererei un paio di jeans Lewis 501.”
Commessa: “Ah ok magnifico! Se ne compri tre il quarto è gratis…”
Mariulin: “Ne ho bisogno solo un paio.”
Commessa: “Ah ok magnifico! Se ci abbini una T-Shirt smanicata fucsia ti regaliamo una pashmina…”
Mariulin: “Voglio un paio di jeans e basta.”
Commessa: “Ah ok, magnifico, eccoli…”
Mariulin: “Grazie, posso provarli?”
Commessa: “Ah certo magnifico, hai prenotato on line?”
Mariulin: “Prenotato cosa scusi?”
Commessa: “Il box prova…”
Mariulin: “Mi scusi, se ho capito bene, avrei dovuto prenotare on-line la cabina per provare i pantaloni??”
Commessa: “Certo, corretto…”
Mariulin: “Di solito prenoto solo voli aerei, teatri, hotels… Secondo lei dovrei prenotare una cabina per provare un paio di jeans??”
Commessa: “No problem, possiamo prenotare insieme adesso dal mio tablet…”
Mariulin: “Va bene, se è proprio necessario…”
Commessa: “Ah ok magnifico…C’è posto mercoledì per le 17:50…”
Mariulin: “Sta scherzando? Oggi è lunedì!”
Commessa: “Ok boomer, posso farti venire per le 16:30…”
Mariulin: “Senta signorina, prima di tutto non ho mai avuto il piacere di cenare con lei quindi, se non le dispiace, manteniamo le distanze… Prendo questi jeans e mi dica quanto le devo.”
Commessa: “Niente box?”
Mariulin: “No.”
Commessa: “Niente offerta su tre jeans?”
Mariulin: “No.”
Commessa: “Niente T-Shirt smanicata?”
Mariulin: “No”
Commessa: “Ah ok fantastico! Mi dai la tessera?”
Mariulin: “Non ho tessere.”
Commessa: “La facciamo? Due minuti…mi serve solo mail, cellulare, codice fiscale, documento valido, mail di riserva, consenso privacy, piccolo sondaggio…”
Mariulin: “Senta signorina, voglio i jeans e basta!”
Commessa: “Concorso, vinci un auto e contribuisci a salvare il pianeta dal surriscaldamento?”
Mariulin: “Io vado a piedi.”
Commessa: “Ah ok fantastico in che senso?”
Mariulin: “Se mi lascia il suo cellulare glielo dico, ha la tessera? Ha firmato il trattamento dei dati? Ha lo Spid? Il Green Pass? La tessera Coop? Il foglio rosa? La carta verde? La carta igienica? La cartella della tombola? La ricetta della Pasqualina? L’indice di gradimento, il saturimetro? L’altimetro? La dichiarazione dei redditi? L’aceto balsamico? Lo zucchero a velo? La lista della spesa? Le ruote invernali? Il té con lo zenzero? La farina del suo sacco? La picozza?
Commessa: “Beh no…”
Mariulin: “Allora arrivederci.”
Commessa: “E i jeans?”
Mariulin: “Rammendo quelli che ho.”
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