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#smalto latte
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CALENDARIO DELL'AVVENTO YVES ROCHER
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IL NATALE STA' ARRIVANDO
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Calendario dell'Avvento
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luposolitario00 · 3 years
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Il Senato blocca il Ddl Zan
Un’altra volta ha vinto la violenza e l’ignoranza.
Non ho mai capito il motivo di tutto questo odio verso la comunità lgbt. Il ddl zan avrebbe dato voce a tutte le persone discriminate per genere, orientamento sessuale, etnia, disabilità …
Perché ancora oggi nel 2021, in Italia, non si riescono a seguire i diritti umani. Pensateci due volte prima di dire che siamo liberi. Perché non lo siamo.
Ogni giorno una persona rischia di essere picchiata perché tiene per mano o bacia una persona dello sesso. O anche solo perché porta una borsa lgbt. Ma che c’è di male? Sono persone che si amano. Cosa c’è di tanto sbagliato nell’amore ? Bisognerebbe condannare l’odio e la violenza e non l’amore.
Ogni giorno una donna rischia di essere violentata per strada con la scusa del “ma come eri vestita?”. Quando sappiamo benissimo che i porci se ne approfittano a prescindere. Non è il vestiario la colpa ma l’aggressore.
Ogni giorno nel mondo una persona con disabilità viene discriminata, giudicata stupida, esclusa e derisa. Insultata e ancora peggio picchiata.
Ogni giorno una persona viene discriminata e giudicata per la sua nazione d’origine. O addirittura picchiata e guadata in modo sospetto. O magari rischia che non le affittano.
Ogni giorno un uomo rischia di venire deriso o discriminato se mette lo smalto o se si mostra più vulnerabile. O magari se non è in grado fare il super man della situazione. E tanto altro ancora ...
Ma perché continuare a fare differenze?
Ma lo sapete che in alcuni paesi vieni ucciso se sei gay? Lo sapete che in alcuni paesi le donne non possono rispondere ad un uomo? Non possono opporsi.
In Italia è già meglio si, non si rischia di essere uccisi dallo stato per l’orientamento sessuale.
Ma si rischia di essere uccisi di botte. O anche di essere uccisi dentro perché magari si fa fatica a fare coming out, per la paura di essere cacciati di casa ed essere picchiati. Ci si sente uccisi dentro perché si fa poco e nulla contro l’omofobia e la violenza.
L’Italia è davvero una nazione formata da buffoni. Qua le leggi le dovrebbe decidere il popolo e non le scimmie che abbiamo al governo. Abbiamo un sistema politico che fa venire il latte alle orecchie. Speriamo che un giorno tutto questo possa finire. Sono stanco di essere circondato di ignoranti e di non poter esprimere la mia fuori da Tumblr. Perché se dico che sono pro al ddl zan la gente mi aggredisce e insulta. E parlo proprio delle persone a me più vicine. Che mi darebbero solo dello stupido dopo aver letto questo mio post. E io non mi sento libero di avere un opinione diversa dagli ignoranti che mi circondano. Senza essere offeso, insultato, deriso e guardato male. Solo perché voglio un mondo più libero. Solo perché preferisco la pace alla guerra.
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LupoSolitario00 🐺
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svevascoulture · 4 years
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Ripasso e ritorno.
Le cose che conosco sono le stesse che non conosco:
-il ricominciare
-i ricordi e le sinestesie, quelle proustiane
-la voglia di dolci
-la nausea
-il disgusto
-quel sentore che prelude al disastro
-tutti coloro che si chiamano Valmont
-Chat Baker
-il profumo del forno sfornato
-la routine
-le nike zoom fly sp
-le sneaker di tela bianca, quelle che non si devono mai lavare
-Loewe fall20
-Bernardo Soares
-le frasi apparentemente sconnesse di Guido Anselmi
-le mie bugie
-le altrui bugie
-il sorriso che ride altrove
-Dickie Greenleaf
-l’alba, in tutte le stagioni
-la pienezza, quella che porta saggezza
-la pienezza, quella che mi annulla
-la depersonalizzazione
-le nike zoom fly 3
-i pantaloni grigio melange di Fruit of the Loom
-le perle
-la circolarità
-l’accumulo
-i gesti iniziatici
-le epifanie
-i gesti meccanici
-le conferme
-l’attesa
-lo stare con me stessa
-la solitudine
-l’autonomia
-la dipendenza
-winston blue morbide
-marlboro touch
-marlboro light
-la sigaretta elettronica come supplettivo del tutto inutile
-l’inutilità che mi da gioia
-l’utilità che mi spaventa
-l’ansia
-l’angoscia
-il controllo
-l’improvvisa perdita di controllo
-il comprendere
-il sentire
-la gestione emotiva
-i suoni oltre le 10.45 pm
-gli scoiattoli che albeggiano
-i morsi sul naso di Neo, quando la mattina passo a salutarlo
-gli occhi calmi e malinconici di Rasti
-il pronto soccorso
-la stanza n°6 al secondo piano
-l’autobus n°35
-Panino Giusto
-Zlè e ogni suo gusto
-le noccioline, salate
-un calice di bolle, ghiacciato
-una tazza di caffelatte, rovente
-lo smalto sulle unghie, quello che dura solo una giornata
-correre, con regolarità
-la tendinite
-il latte dell’albero di fico
-i latinismi
-le gambe di Alexa Chung
-le mani di Francesca
-lo sguardo felice di Marta
-le lentiggini di Benedetta
-la bontà distaccata di Lisa
-la pelle incredibilmente morbida di Matilde
-la saggezza silenziosa di Simone
-mia sorella e Davide, ieri, passeggiando a braccetto
-i saluti cortesi del ragazzo della profumeria
-lo xanax
-i “nini”
-l’overpricing del bar della stazione
-la golf 
-la mini
-la fessura tra i denti di Olivia
-il coppino paffuto di Edoardo
-aspettare
-le chiamate senza risposta
-la modalità silenziosa
-il viso di Nonna Giovanna e il suo profumo di YSL
-le mani lunghe e delicate di nonno Enzo, quando mi preparava la ricotta con lo zucchero
-la verticalità
-il cielo visto dalla mia terrazza
-i bambù incolti
-Arturo, semplicemente Arturo
-la convinzione che esista un cane (Baloo) che non mi appartiene, ma che sono certa voglia stare insieme a me 
-Via delle Americhe
-quel non luogo di Punta Marina
-le passaggiate, a due
-Saint Nicolas Avenue
-Nicolas
-la capacità di accettarsi
-la sana volontà di migliorarsi
-la fede
-casa mia
-vicolo Brullo
-la discesa, velocissima
-le pause
-il ritornare
-la voglia di eclissarsi
-i rimpianti
-il non detto
-Instagram
-il gelsomino che sta prematuramente sbocciando
-asanisimasa
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ilmitodiclizia · 4 years
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Dopo il disastro di oggi, si ricomincia...da adesso
Domani
Colazione: caffelatte (con latte scremato)
Pranzo: 50 gr di riso
Cena: insalata/minestra di verdure
Per non pensare al cibo metterò lo smalto, studierò e vedremo poi cos'altro.
Finger crossed
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corallorosso · 5 years
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Amy Winehouse, la cattiva ragazza con la voce nera che ancora ci manca di Daniela Amenta Deve essere stato facile chiuderla nella sacca rossa, l'ultima concessione glam. Un metro e 59 centimetri per 45 chilogrammi appena. Facile tirarla su, portarla via, sotto il cielo color latte di Londra. Quarantacinque chilogrammi appena sconquassati da droghe, draghi e tatuaggi da pirata. Amy Winehouse sette anni fa usciva di scena dal palchetto privato, numero 30 di Camden, e suo malgrado entrava nella storia. Lei che proprio non aveva voglia di finire nell'almanacco del rock'n'roll, immortalata nel memorabilia dei fan affranti, sfruttata dai parenti/familiari squalo, dai manager pronti a riciclare anche l'ultimo nastro. Sette anni dopo non ci resta che quest'ultima immagine, la più vivida. Un sacco della polizia mortuaria. E due dischi. Che Amy sarebbe morta giovane lo sapevano tutti. Tutti quelli che l'avevano ascoltata con un po' di cuore, oltre che con le orecchie. Il testamento era lì, a portata di mano, nota dopo nota. Ma a ognuno i suoi demoni, il proprio destino. Lei li aveva incisi tra l'eye liner e le corde vocali. Una voce magniloquente nonostante lo sterno minuscolo. Fragile come una meringa. Eppure quando cantava, la signorina Winehouse pareva una potente, solidissima ragazza nera. La reginetta sboccata che intonava melodie antiche, complesse. Perché Amy amava il jazz, il soul, il r'n'b, il blues. E soprattutto conosceva quei suoni che sono graffi dell'anima e dolori: Carole King, Donny Hathaway, Sarah Vaughan. Di lei il Guardian scrisse: "La musica di Amy Winehouse è da qualche parte tra Nina Simone e Erykah Badu". E' vero. Pile di dischi importanti, cruciali divorati dalla piccola ragazza con il seno da pin-up che usciva in vestaglia a buttare l'immondizia, rilasciava interviste al citofono, s'invaghiva di brutti ceffi. Perennemente in bilico tra scarpe troppo alte e roba troppo forte. Per questo, per questo suo ondeggiare infinito tra il culto e la mestizia dell'esistere, tra lo sguaiato e la nobiltà di uno sguardo disperato, per questo, per tutte le note stonate che non avrebbe dovuto prendere, l'amavamo. Noi amavamo la ragazza che si sentiva la meno amata. Lo scarto tra l'aspetto e la voce l'aveva resa star, dilatandone la solitudine, la fatica di stare al mondo. Talento ne aveva. Tanto quanto ne buttava via. Lo sapevamo noi, lo sapeva benissimo lei, che gli dava il valore di un dono temporale, fugace. “Ho fatto un disco, ma in fondo è solo un disco”. “Canto, certo canto. Ma potrei fare anche la brava moglie”. Una cattiva ragazza che diceva parolacce, si faceva, collezionava storie sbagliate. E ora, a proposito di errori, il gioco dei rimandi e delle citazioni pare fuori luogo. Come un sacco mortuario rosso. Rosso come uno smalto sfacciato, un rossetto vistoso. L'ultimo paradosso. Inutile paragonarla a Janis Joplin che sapeva stare dritta sul palco, anche dopo una pera, e aveva voce di catrame fuso. Billie Holiday, invece, le avrebbe regalato una gardenia bianca e magari avrebbero fatto a botte. La parabola di Amy nasce e finisce con lei, nell'arco di 27 fottuti anni. Lei, unica diva improbabile. Unica. Dunque questa storia si conclude con una sacca rossa, con la faccia triste di Reg Traviss tra i fiori di girasole, tra le banalità di mamma, papà e Circo Barnum discografico, resi celebri da una signorina bellissima e spigolosa. Non ne nasceranno altre come lei. Per questo ci mancherà. Ognuno ha un blues da piangere. Talvolta è alcolico, sbilenco e pazzo. Talvolta il blues è una donna. Con gli occhi tristi. Di foglia.
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comeperlealsole · 5 years
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È l'alba di un ordinario giovedì di inizio febbraio. Il cielo si tinge di rosa e indaco per rendere giustizia al sole che sta per nascere, ancora una volta. Non fa freddo, si sta bene con un maglioncino e il parka addosso, ma Anna ha le mani rosse e screpolate. In mezzo alle dita, soprattutto. Le succede ogni inverno.
Lorenzo tira su col naso, poi espira con la bocca facendo uscire l'aria, che si condensa. Stanno in silenzio, ancora troppo stanchi, troppo assonnati, con le borse sotto gli occhi e i capelli inumiditi.
Anna scatta una foto col cellulare. Viene sgranata, con in risalto la luce accecante di un lampione, che proprio non dovrebbe stare lì in quel momento. Eppure c'è, e la sua presenza infastidisce, rendendo insignificante qualcosa che potrebbe essere magnifico.
Non si tengono più per mano da troppo tempo. Non si toccano più, nemmeno di notte, nemmeno al buio, e faticano a guardarsi negli occhi. Lorenzo fuma una sigaretta dietro l'altra. Accende, consuma, spegne. Poi ripete tutto da capo. Le mette in bocca come fossero caramelle per la gola e lui avesse il fuoco in bocca.
Litigano per scemenze, proprio come stanno facendo adesso, in quel posto in cui si sono sorrisi così tante volte da perderne il conto.
Anna quando si arrabbia ha un'espressione terribile. La faccia è tesa, le labbra sembrano rimpicciolirsi e smettono di emettere suoni o parole. Rimane così finché non le passa del tutto. Non bastano più le scuse, i tentativi di rimettere insieme i pezzi e i “mi dispiace”. Prima deve esaurirsi tutta la rabbia che porta in corpo, come quando si rimane a piedi con la macchina o si spegne il telefono, arrivato ormai allo zero per cento di batteria.
In quel preciso istante, lì, alla stazione, aveva esattamente quel broncio. Non sapevano neanche perché stessero litigando. Forse una risposta data con un tono sbagliato, o al contrario una risposta mancata. Certe volte si discute senza neanche essere arrabbiati per davvero. Si litiga per gusto, per orgoglio, per noia. Ma non loro due.
Anna era nervosa già da prima di uscire da casa. Aveva messo su cinque chili da quando stava con lui, e quasi quasi credeva fosse colpa sua. Si sentì terribile dopo averlo pensato.
Lo amava, più di quanto avesse mai fatto, cosa che riteneva impossibile. Essere capace di amare, per intendersi. Eppure era tutto reale, vero, concreto. Ricorda ancora il fiato corto ogni volta che scorgeva la sua presenza su quell'autobus, e come persino un suo sguardo le facesse quasi fermare il cuore.
Però era complicato stare con lui. No, era complicato stare con chiunque. Mettere d'accordo tutte le versioni di Anna con la realtà là fuori. La vita vera.
Ora quel ragazzo le stava davanti, in piedi, con le bracia conserte e la testa girata altrove. Lei immobile, con le braccia penzoloni e la sua solita aria sgomentata. Sentiva tutti i nervi del viso tirati come fili usati per stendere i panni. Come le corde di una chitarra mai consumate, toccate, usate.
Aveva paura di perderlo. Credeva che lui potesse stancarsi di lei. Non era cambiato niente sotto questo punto di vista. Come esattamente prima di sapere il suo nome, credeva di non meritare né lui né tanto meno le sue attenzioni. Rimbombava nella testa quel pensiero lancinante, capace di bruciare i neuroni come uno spinello.
Sapeva di amarlo, ma era convinta che non potesse in alcun modo e per nessuna ragione al mondo essere, anche solo lontanamente, abbastanza.
Era passata poco meno di un'ora quando cominciò a piovere. Dopo il litigio con Lorenzo, Anna era scappata via dalla stazione, per finire a vagare sotto la pioggia. Non tornò a casa, né tanto meno telefonò a qualcuno. Si mise a piangere, dopo un'eternità di tempo trascorso ad illudersi che tutto fosse perfetto.
Ricorda di una volta, poco prima di partire per Venezia, in cui ammise la propria fragilità a voce alta, come una confessione.
Mi sto sgretolando davanti ai tuoi occhi, disse a sua madre. Stava succedendo di nuovo. Stava andando in frantumi come i biscotti inzuppati nel latte per troppo tempo. Alla fine si spezzano e cadono. È inevitabile.
Sente il telefono vibrare nella tasca del giubbotto, lo prende e legge sulla schermata il nome di Lorenzo. Mi dispiace così tanto, pensa, e butta giù. Ma lui ci riprova, non si sa bene quante volte, ma sufficienti abbastanza da farle rispondere.
“Dove sei?”, le domanda, con un tono di voce talmente furioso da metterle paura.
“Non lo so, Lore, in giro”
“Perché sei andata via in quel modo? Cazzo Anna possiamo risolvere, basta parlarne un attimo”
Perché. Che ne so, avrebbe voluto dirgli. Non era arrabbiata, non con lui, almeno.
Quando tutto si fa troppo pesante, Anna scappa e si va a nascondere. Tiene le parole serrate in gola finché non diventano un grumo di frasi mai dette che non riesce più a muoversi. Anna, Anna, Anna. Lorenzo ripete il suo nome, vorrebbe baciarla, pensa.
“Mi rispondi?”
“Senti..” si mette le mani nei capelli, li tira fino ad aver paura di se stessa “non lo so, non..sto bene”
“Dimmi dove sei”
“Dove ci siamo baciati la prima volta”
Inconsapevolmente era finita nel loro posto. Un parco minuscolo con solo un paio di panchine e qualche gioco per bambini. Si erano dati il primo bacio seduti, un po' impacciati, quasi goffi. Nessuno dei due era abituato a sentirsi amato, evidentemente. Si erano messi a ridere subito dopo.
Adesso Anna stava immobile, seduta sulla stessa panchina, mentre aspettava Lorenzo. Si era calmata, non sentiva più il cuore palpitare fino a quasi scoppiarle nel petto. Non aveva più paura, né tanto meno sentiva le gambe venire meno. Le era rimasta una sorta di amara tranquillità.
Lorenzo arrivò correndo, le si inginocchiò davanti e prese il viso di lei tra le mani. Aveva l'aria estremamente preoccupata, mentre Anna sembrava rassegnata, quasi passiva, dinnanzi a qualcosa di terribile e che non aveva mai provato prima d'ora.
“Come stai?”
“Ora sto meglio, siediti qua”, e indicò l'altra parte della panchina.
“Mi hai fatto perdere dieci anni di vita, lo sai questo?”
“Scusa, la prossima volta non scapperò più in quel modo”
Lorenzo si accese una sigaretta, fece qualche tiro, poi, non riuscendo più a contenersi, scoppiò come una pentola a pressione. Dolcemente, però.
“Io ti amo, Anna. Ti amo nonostante tutti i tuoi spigoli, che sono innumerevoli, lo ammetto, e alle volte è così difficile riuscire a capirti che avrei voglia di mollare tutto e andarmene. Ma non lo faccio, e non perché tu sia qualcuno da dover sopportare, ma perché ti amo e accetto che dietro questa ragazza meravigliosa si nasconde anche una bambina che ha paura del mondo, e per questo dice di odiarlo. Io lo so, che tu pensi ancora di non meritare niente, e alle volte ho il terrore che per questa tua stupida e bastarda convinzione tu decida di non continuare a vivere, o almeno non assieme a me. Non voglio perderti, Anna.”
Fece una pausa, spense la sigaretta che ormai aveva letteralmente sprecato, e ne accese una seconda.
“È curioso, sai. Ogni giorno ci imbattiamo in persone così diverse tra loro ma allo stesso tempo così incredibilmente identiche. Donne, uomini, anziani, ragazzi. Tutti con un'espressione particolarmente stanca sulla faccia. Le sopracciglia sempre corrucciate, la fronte tesa, le labbra serrate. Ovunque ci si giri c'è qualcuno con il broncio e l'aria infastidita. Le rughe spuntano prima nonostante le mille creme in commercio e si spengono i sogni a pari passo con lo smalto bianco dei denti. Però c'è un momento. Un momento. In quell'istante tutta la stanchezza sembra svanire. Non è un'emozione ben precisa, definita, quantificata. Non ha neanche un nome.
Stare nelle braccia della persona amata, è questo che fa stare bene. Lo si capisce da come il viso si distende, gli occhi si chiudono e non c'è più traccia di dolore su quei volti. Non si è più esausti, oppressi, rinchiusi della gabbia invisibile della routine, che obbliga a dover sopravvivere ai mille impegni, tra una pioggia improvvisa e l'autobus che passa in ritardo e per cui si è costretti ad aspettare. Ecco perché non ho intenzione di darti ragione, Anna. Tu sei convinta di essere un pezzo di quella quotidianità, un qualcuno o qualcosa a cui da dover sopportare pur di stare meglio. Ma non è così. Tu sei l'attesa alla fermata dell'autobus, quando c'è silenzio e puoi avere un po' di tempo solo per te e la canzone che stai ascoltando nelle cuffiette. Anna non sei sola, lo vuoi capire? Tu ne vali la pena. Potrebbe anche finire il mondo, mi basteresti tu.”
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clorophillarium · 5 years
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Sudore
La prima volta che sono morto avevo sei anni o forse sette, ma ricordo che il mese era quello di Giugno. Giugno è da sempre così gonfio di luce, così tanto da esplodere, ed è il mese in cui devo per forza correrci dentro parecchio per capirlo un po’ meglio. Non che correre risolva qualcosa ma spesso mi aiuta ad osservare con più attenzione che cosa succede a tutta quella luce.
Credo sia importante provare a capire che cosa ci sia lá in mezzo, intendo dire tra la luce e il tempo, perché forse potremmo trovare il nostro posto, se mai ne esista uno solo o si travesta invece da dolce illusione, come in un miraggio.
Quella volta non sapevo molto più di adesso ma avevo compreso in parte l’importanza di stare fuori il più possibile.
C’era una panchina di legno verde, con la vernice grattata come lo smalto delle signore di campagna quando si fanno belle per andare dal dottore o alla fiera in città ma subito dopo tornano a lavorare in cucina, negli orti e dentro alle stalle.
Le unghie si sfaldano e le dita hanno i solchi di centinaia di deserti lontani, perché la terra, che è sempre terra ovunque, entra sotto, fino a toccare il sangue di ogni persona.
Mi sono sempre piaciute le dita con la terra sotto le unghie perché c’è onestà negli opposti e nella fatica.
Il giorno di quella panchina fu determinante per me perché compresi due cose; una è che ognuno di noi si taglia una fetta di nulla, abbacinante e irrevocabile, con un senso di imminenza pronto a seppellirti, anche se non tutti se ne accorgono.
Ma la seconda cosa importante è che se il tempo tende a definirci e decide molto di quello che possiamo fare, allora il tempo ha davvero senso se lo vivo attraverso la mia fatica.
Per andare incontro alla terra con mezzi leali occorre impegnarsi individualmente perché senza gesti che non raschino le ossa non si può comprendere il proprio essenziale sapore di essere umano.
In quasi tutte le circostanze della vita possiamo barare e fingere, presentarci al meglio e venderci nella scatola migliore, anzi in realtà potremmo farlo anche in montagna e nella corsa visto che le scorciatoie esistono pure qui.
Ma se decidiamo di giocare pulito con noi stessi allora sappiamo che possiamo contare solo su chi siamo davvero.
Quanto sei in giro sotto ad ogni cosa che viene giù, a piedi e da solo, magari da tante ore o forse da giorni interi e non hai nulla con te, né acqua né altro, allora comprendi il tuo sapore, quello più intimo.
Spesso sa di denti, di ferro, di ruggine, di pietra, di acido, di disperazione.
Conosci a memoria ogni buco che hai in bocca perché hai contato tutte le stelle con la lingua e hai immaginato di tirarci fuori una costellazione sconosciuta.
Probabilmente l’hai anche vista da qualche parte, in un cielo diverso.
Il tuo sapore sa di puntine che saltano dentro gli occhi, di spille nelle giunture, di segatura nei polmoni e di mosche in fondo al cuore.
Senti il gusto dei tuoi piedi aperti, riconosci l’usura delle unghie che saltano come latte schiacciate.
Senti la pelle in faccia che tira sempre di più e che forse ti rende ancora più brutto ed essenziale, ma probabilmente e finalmente, vero.
Il tuo viso diventa una vela piena di tagli ma anche colma di vento che spinge.
Sai di erba, di fieno e di foglie ma solo alla fine saprai di neve.
Il tuo sapore è quello della luna imperturbabile mentre tu corri ancora perché è nella notte che resistono sempre i segreti.
Per fortuna ci sono ancora i segreti.
Il tuo sapore è come la saliva degli animali, che è fatta di attese, di rinunce e di ricompense.
La tua fatica è fatta della stessa aria che in quel momento esce dalle narici di ogni albero.
Sai che puoi solo correre e rimanere concentrato perché nessuno farà qualcosa per te ed è giusto che sia così perché la tua fatica è una responsabilità personale.
Nessuno è al tuo posto.
La fatica è la tua direzione.
Ognuno di noi deve saper tornare a casa da solo, sempre.
E se qualcuno decide di non tornare a casa allora deve continuare a correre.
Così, per quello che può contare, ma adesso per te conta qualcosa, ti guardi di nuovo dentro ad una pozza scura, ma non così torbida da non riuscire a capire.
Non sei quello che sembri ma sei chi volevi essere.
Sei tu.
Sei tu, sei lo stesso della panchina.
E sei diventato il tuo sudore.
——
ravanare issue s, nov 2018
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skiinggame99 · 2 years
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Piattino Dessert Rosenthal
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whenitisallover · 3 years
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L’ho riconosciuta salendo le scale, l’ho riconosciuta dalla sua postura, dallo smalto leggermente scorticato, dalla sigaretta tra le dita, riconosciuta da come teneva quel libro in mano, da quegli occhiali scuri che non gli appartenevano ma avevano l’aria di cambiamento. Riconosciuta dai capelli ricci e folti, del suo modo di giocarci, e mentre mi avvicinavo, camminando, ho notato il latte caldo, il caffè vicino, cenere sparsa un po’ sul tavolo, il borsellino lì accanto al pacchetto di Camel blu, lo odiavo quel tabacco e quando me la volevi girare con il tuo non te lo permetterò mai. Ti ho riconosciuta da quando hai alzato lo sguardo a causa del casino dei miei amici, anche se spero che tu abbia spostato l’attenzione dal libro perché il mio profumo ti è ancora un richiamo familiare, i tuoi occhi scuri, sicuri si sono incrociati con i miei a pochi metri da te. Mi hai resistito, come decidevi, chissà se sei crollata.
Le stesse scarpe ai piedi ti guidavano tra le debolezze e le dolcezze di Neruda, chissà se hai pensato che anch’io fossi una visione, un’immagine, un desiderio apposto lì vicino, dove per la seconda volta c’eravamo baciate, dove per la prima volta mi hai costretto a farci quella foto, ce l’ho ancora; stringo tutto, sempre.
Chissà come procede la tua vita ora che io non ne faccio parte, se ti fai sempre rispettare come ti ho insegnato, e se te lo dicessi mi risponderesti che non sono io ad averlo fatto, che non servivo io per farti imparare. Chissà come vanno i tuoi nuovi amori, se ti tieni a distanza da ragazzi che ti sorridono per strada ora che non ci sono io a guardarli male, chissà quante volte hai scopato e se poi rimani sempre tra le loro braccia, se ci dormi, ma girata di spalle all’angolo del letto, o se scappi via subito dopo.
Che bella che eri quando hai tolto gli occhiali scavallando le gambe e mi hai sorriso, che cazzona io quando ho ricambiato ma mi sono girata dall’altro lato andando via senza dirti nulla.
Non provo rabbia, solo confusione, voglio staccarmi da tutto, che ancora non mi sono trovata, che ancora non mi capisco e tu continui ad essere bellissima nella tua apparente determinazione.
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puntodebole · 3 years
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ho perso proprio la mia voce in altre parole ho passato un weekend pazzesco. sesso, amici, cibo, casa di carta, sole, sigarette, caffè, festa, vodka shots, gin lemon, negroni, labbra rosse e un lipgloss, carthart jeans, doccia fredda, doccia calda, caffè, un compleanno, una torta quasi finita da sola con banane datteri burro zucchero farina e latte, delle foto polaroid, mercato con le cose vintage, una coca zero, una cena con pollo e peperoni, le patatine in busta, il vino rosso e meno 70 franchi sul conto, i genitori che non mi rompono, la mia stanza come un bordello, le unghie scarse con lo smalto nero, le unghie clean, la skincare routine con la figa e le gambe lisce, le foto delle serate, un pullover della mia amica. che bella vita. il weekend in poche parole. l’unica cosa che mancava erano i selfie e le foto fighe che non ho fatto.
-e
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edsitalia · 3 years
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EDS6 VENTO D'ESTATE
RITMO NEL SANGUE
Ho conosciuto Ombretta a Sa Caleta, una delle spiagge più suggestive di Ibiza. Era il 1998. Lì la terra crea una specie di connubio porno con il mare e il rosso della pietra cola a picco nei verdi delle acque, che sfoggiano una quantità di sfumature illegale. L’ho incrociata in un angolo di spiaggia in cui tutte le tinte possibili si danno appuntamento per esplodere in un arcobaleno mediterraneo, saranno state le tre. Il bar smerciava bevande ghiacciate e ghiaccioli multiformi e lei ha comprato una granita che, in un colpo di coraggio, le ho offerto io.
“Grazieah.” Ha sussurrato con una voce inaspettatamente italiana e perfino un po’ zarra, tipo la Gerini in Viaggi di Nozze. Masticava una gomma che prima di baciarmi a fondo mi ha sputato in mano, un’altra sottile citazione da film. Che notevole accozzaglia di big bubble, ho pensato, mentre le prendevo la chiappa destra tra le dita, un raro connubio di tonicità e morbidezza.
Abbiamo passato due settimane a nasconderci dietro ogni caseggiato utile ai nostri reciproci scopi, per imprimere l’impronta del nostro mescolarci contro mura straniere, sperando di non essere visti. L’abbiamo fatto in un angolo cieco dietro al castello di Eivissa, circondati da una tifoseria di falene da fare invidia ai falò salentini. L’ho sbattuta a fondo contro le mura bianco latte della chiesa di Sant Charles, accanto ad un antico frantoio romano che in un altro contesto avrei magari pure visitato. Invece nel buio non si vedeva un cazzo, ma mi è comunque piaciuto molto. L’ho presa per i capelli in un anfratto oscuro di Cala Comte, mentre la luna gravida di mistero si specchiava in un mare liscio come seta e dio quanto le è garbato. “Romanticoah che seih.” Ha mormorato: mai che alzasse la voce una volta, che femmina.
Il letto invece l’abbiamo sempre skippato, io dividevo la stanza con un tizio di Genova che non ho mai più rivisto e lei con due sue amiche bresciane più interessate a fumarsi l’intero Marocco che altro. Stavano sempre a casa, ste disperate, con gli occhi fuori dalle orbite e una pentola di acqua lì lì per bollire, in caso di fame chimica. Lei le chiamava le ciavatte. “Vanno in coppia e non escono mai”, diceva, e porco cane se aveva ragione.
Poi una sera, dopo l’ennesimo hamburger + patatine a portar via in riva al mare, Ombretta si è alzata in piedi in piedi e mi ha intimato: “Andiamoah al Pacha.”
Io quei posti non li avevo mai frequentati, preferendo altre forme di distrazione. E poi suonavo la chitarra, avventurarmi in discoteca mi pareva una bestemmia. Invece, come un salame risposi di sì. Perché non sapevo dirle di no, mi ero trasformato in una specie di ameba rincoglionita incapace di un’opinione propria. Ombretta mi piaceva, cristo, fin troppo per essere una semplice storia estiva.
La coda per entrare aveva del fantascientifico. Passammo una delle due ore di attesa a limonare duro contro il muro, l’altra a fantasticare sulla prossima vacanza insieme, “Potremmoh adare a Barcellonah.” Diceva lei, e io annuivo impotente, c’aveva certi occhi blu che assomigliavano a due zirconi, brillavano di una vita antica, cangiante, un dedalo di possibilità. Le aveva tutte dentro lei le migliori alternative di futuro, e io gliele volevo scippare, per quello la possedevo in continuazione: per significare qualcosa. Stavo conciato male, a 27 anni non sapevo ancora che volevo fare della mia vita e sarei finito a vendere polizze assicurative come un imbecille inutile della Milano Bene se non fosse stato per quella sera.
Una volta dentro Massi, il mio compagno di stanza, ci offrì da bere, poi ballammo Restless di Neja al rallentatore e dopo non ricordo nulla fino a quando andai al cesso.
Mi ci portò Ombretta, diceva che vedermi così senza freni la arrapava. “Forzah, vienih. Prendimi al bagnoh.”
Ok, prendiamola, mi dissi, mentre ci chiudevo la porta dietro le spalle. Le afferrai i capelli con forza e mi misi in posizione, aveva un culo del tutto identico all’idea di pesca che si può fare un uomo adulto di città. Lo violai, con suo sommo piacere. Le sue carni erano velluto e il suo sangue mi pulsava in fondo al cervello ogni volta che la sfioravo, volevo appartenerle quindi premevo ma non bastava, non sapevo come fare per tatuarmela sul corpo, bermela viva, nutrirmene a morsi.
In pista suonavano King of My Castle e il beat ci solleticava i vestiti arrotolati alle ginocchia perfino lì, dietro due porte di cui una chiusa a chiave. Le strattonai i capelli più forte, mentre lei spalancava le gambe al massimo per accogliermi tutto: assomigliava ad un ragno violino. Dio quanto mi piaceva. Presi a scuoterle la coda di cavallo a ritmo di musica. Lì per lì mi venne naturale. Chissà che ci avevano messo nel drink, quei coglioni dei miei compagni di appartamento. Mi sentivo da dio, mannaggia a loro, e non era normale.
Il mio prof delle medie diceva che avevo il beat nel sangue. Come abbia fatto a desumerlo da due noticine in croce soffiate in un flauto dolce poi non me lo sono mai spiegato. Mentre mi sfrecciava in mente questo pensiero Ombretta allungò un braccio all’indietro e parve quasi confermare. Che ritmo. Bum Bum Bum, sbattevo la sua testa accanto alla tazza e lei stringeva forte le gambe, il paradiso. Bum. Bum. Bum.
Ricordo che ad un certo punto le sollevai il mento per chiederle se andava tutto bene ma aveva gli occhi chiusi, quindi la rimisi in posizione e ripresi. Evidentemente le piaceva parecchio perché pareva essersi rilassata di brutto. Bum, bum. Bum. Avrei dovuto studiare percussioni, mi dissi a quel punto, e proprio allora la testa di Ombretta mi scivolò dalle dita e piovve - letteralmente piovve – contro la tazza. Stunf, un colpo sordo da film horror.
Il sangue iniziò a spandersi attorno al suo orecchio come una macchia di caffè da una moka rotta, lentamente ma secondo uno schema spaventosamente razionale, che in quel momento mi sfuggiva.
Quando arrivarono le forze dell’ordine le aspettavo con le braccia conserte. Le manette, vi prego, mettetemi in manette continuavo a ripetermi in silenzio, sperando che in qualche modo mi capissero.
Credevo di averla uccisa io.
“Che le avete dato?” Chiese il capitano della polizia, con un forte accento spagnolo. “Que puta mierda le avete dato?” Ripetè, afferrandomi le guance con la mano piena.
“Io non, io. Io non so.” Volevo morire. Ombretta non c’era più, mi era morta addosso. Ombretta, con i capelli castani profumati di cocco e il rossetto sempre impiastricciato, Ombretta, la mia Ombretta. Con i piedi piccoli e lo smalto rovinato sull’alluce. Non esisteva più.
“Lei cosa?”
“Io l’ho uccisa.” Dissi meccanicamente, come se a pronunciarlo fosse qualcun altro. La mia voce non mi apparteneva più, che cazzo mi avevano messo nel drink?
Inaspettatamente però, il gendarme sorrise bonario e in quel momento mi chiesi se non si trattasse di una stupida candid camera di TeleBerlusconi. Non c’era nulla da ridere. “Io l’ho uccisa, io, capisce? Sono stato io, cristo, io. Con queste mani. Scopavamo e poi…”
“E poi ha avuto un’overdose, coglione.” Rispose il capitano, alzando le spalle. “Solo che siccome sei fatto anche tu non lo hai capito da solo.”
Subito dopo si voltò verso gli altri poliziotti, ognuno preso da una faccenda diversa. “Llévense el cuerpo, nos vemos en la estación de policía.” Disse, poi mi passò una mano sulla spalla. “Vai a casa, hombre. Con la prossima andrà meglio.” Mormorò infine, cacciandomi via con un gesto secco.
“Hai il ritmo nel sangue.” Esclamava ogni giovedì il mio professore delle medie. Io soffiavo in un tubo e lui si complimentava puntualmente con me. “Hai il ritmo nel sangue.” Quando lo diceva sorrideva sempre. Magari scherzava. Eppure: non sapeva quanto aveva ragione.
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aurorabeautyb · 3 years
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ma-pi-ma · 6 years
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Che belle quando fanno spiraline di capelli, assorte nelle loro pagine, quando sono innamorate e ridono di più anche con gli occhi.
Certi gesti come passare un dito sotto il colletto di una camicia, mettersi due mani dietro al collo, sfiorarsi il profilo delle labbra mentre pensano al computer, accavallare le gambe, togliersi i grilli dalla testa e rimetterceli di corsa.
Amare i loro figli, dimenticarsi le merende e ricordarsi di comprare il latte una volta a casa.
Che belle quando si mettono lo smalto o quando si mangiano le unghie, quando dicono ora vado e restano ancora un poco,quando decidono di restare ed invece vanno via.
Come mi piacciono i loro capelli veri, tinti, lisci, mossi, stirati, phonati, legati, corti, lunghi, spettinati. I profumi che si portano dietro, le loro scarpe.
Le ciglia pesanti di mascara e il kajal colato dal freddo, senza trucco, poco trucco e molto truccate.
Che belle quando inseguono un ideale e lo raggiungono, quando lottano per le cose, le cause, il giusto.
Quando trovano il tempo di combattere e non si arrendono nemmeno all’evidenza.
Quando leggono i messaggi dei loro telefoni e sorridono al display, quando si arrabbiano e gridano soprane, sovrane e sbagliano i respiri, quando credono alle parole minuscole dei foglietti delle creme antirughe, quando mangiano il pollo con le mani e bevono vodka nei bicchieri di carta e vino e cocktail alla frutta.
Quando piangono rigando le guance, quando sono stanche e si addormentano nel metro, quando baciano con gli occhi aperti, quando cominciano una dieta, un libro, un discorso.
Che belle che sono quando minacciano cento volte di lasciarlo e lo lasciano per sempre in una volta sola, quando perdono il filo del discorsoe lo ritrovano dove non pensavano di averlo lasciato.
Che belle che sono le donne, coi loro gesti e il loro camminare.
Cecilia Resio
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ginnyoceane · 3 years
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¦ Daisy and Ginny - 24.O1.2O21 - Morning - Raven's Cafè - #Ravenfirerpg ¦ Scenario: La Scott si reca al Raven's per colazione, come quasi ogni domenica. Arrivata al locale prende posto a uno degli sgabelli posti vicino al bancone e iniziare a pensare a quale brioches abbinare al suo Pumpkin Spice Latte. Una voce familiare la distrae, è Ginny, una vecchia conoscenza, definita amica per qualche tempo anni prima. ・« Le cose non cambiano: siamo noi a cambiare. » «E' per caso un riferimento al mio, anzi nostro, temperamento del passato?»
Ginny R. Océane Lagarce
Era mattina quando la veggente varcò la soglia di quel locale che aveva il profumo di casa. Trascorreva più ore lì dentro in compagnia di un buon caffè mentre studiava o durante una chiaccherata con le amiche rispetto a qualsiasi altro luogo. Non vi era biblioteca, parco o qualunque altro posto che avesse lo stesso sapore per la Lagarce che, incurante di chi si potesse trovare accanto a lei, parlava ad alta voce pronunciando le stesse parole che stava scrivendo sul proprio diario. Alzò il capo di scatto quando una voce, che non udiva da fin troppo tempo, le rispose. « Daisy. » Pronunciò il nome della giovane senza alcuna sorpresa, con un tono di voce che era del tutto privo di astio, almeno per il momento. Un debole sorriso cominciò a sorgere così sulle labbra della bionda per rispondere alla sua stessa affermazione. « Ti sei forse sentita presa in considerazione? E potrebbe essere, a dire il vero. »
Daisy Dove Scott
*Dai inarcò un sopracciglio, con fare sospettoso. Da che ne avesse memoria Ginny era tutto, fuorché stupida. Le parole che uscivano dalla bocca della giovane nascondevano quindi una certa premeditazione, e la Scott non si sarebbe certo tenuta dal farglielo notare.* «Da quando, Ginny, dici cose senza un perché? Ti ricordavo abbastanza sagace e tagliente. Motivo per cui, con il tempo, ho smesso di avere a che fare con te. È sempre sembrato tutto una sfida tra noi, alle superiori. Non credi?»
Ginny R. Océane Lagarce
Un sorriso che assomigliò più a un ghigno aleggiò sulle di lei labbra nell'udire quella replica piccata. In passato avrebbe impiegato non più che quatto secondi prima di rispondere a modo, ora, invece, lo faceva ancora tuttavia sapeva quando evitare semplicemente il colpo. Posò successivamente lo sguardo sulla figura femminile di Daisy, sempre perfetta, e sempre con quell'atteggiamento di superiorità che in parte aveva sempre condiviso. « Ho scelto quali battaglie combattere, dovresti imparare a farlo anche tu, sai? Credimi, non ho perso il mio smalto ed è sempre stata una sfida perché a nessuna delle due piace perdere, o meglio non è nemmeno un'opzione. Non è così? »
Daisy Dove Scott
*La lingua di Ginny era sempre stata tagliente e rapida, un po' come quella della Scott. Un sorriso compiaciuto accese l'espressione della giovane, mentre gli occhi scrutavano la sua compagnia. L'accenno alle battaglie da combattere fece nascere una spontanea risata divertita in Daisy. Se solo la gente avesse saputo le battaglie che gli Scott, come altre famiglie, lottavano strenuamente e senza possibilità di scelta. Daisy Dove scosse la testa, continuando a sorridere fra sé e sé.* «Oh, Ginny, credimi, non hai nemmeno idea. Ma su una cosa non hai sbagliato, non mi piace perdere, tanto meno perdere tempo.» *Asserí gelida la Scott. Addolcí l'espressione con un fugace sorriso.* «Non sei una battaglia, per me. Non più. Potrei anche offrirti un caffè, in segno di... Pace.»
Ginny R. Océane Lagarce
Tagliente era la voce della veggente quando si sentiva sfidata, ma era una caratteristica presente anche in talune occasioni, in cui sapeva far emergere il proprio temperamento. Osservò con sguardo attento la figura dell'amica con cui aveva un trascorso decisamente intenso. Amiche fin dai tempi del liceo, le giovani avevano discusso su ogni possibile cosa nel corso del tempo, dimostrando entrambe di possedere un carattere dominante, eppure ora, a distanza di tempo, si presupponeva una tregua. « Questa sì che sarebbe bella, ma perché no... Che caffè sia! » Commentò la veggente ostentando sicurezza. In passato si sarebbe comportata decisamente in modo diverso, ma ora, tutto era cambiato, lei era cambiata. « Mi sento quasi onorata da questo tuo gesto. Possiamo dunque deporre l'ascia di guerra? Devo ammetterlo, abbiamo sempre litigato perché fondamentalmente su molte cose la pensavamo uguale. »
Daisy Dove Scott
«Deponila, ma non seppellirla, hai pur sempre a che fare con Daisy Dove Scott.» *Didi non riuscì a trattenere un sorriso, che diede alla sua espressione solitamente dura un'aria decisamente più amichevole. Le parole di Ginny avevano un fondo di verità anche per la cacciatrice: erano due personalità abbastanza forti, che probabilmente in futuro si sarebbero scontrate ancora. La Scott ordinò due caffè prima di tornare a rivolgere le sue attenzioni alla bionda che aveva seduta affianco.* «Non ci parliamo da quando ho lasciato il Liceo, quindi quattro anni, circa. Cosa fai nella vita, Ginny?» *Non c'era malizia, né scherno, nella voce della cacciatrice. Per una volta, Daisy, stava semplicemente facendo quattro chiacchiere con una vecchia conoscenza, per il puro gusto di farlo.*
Ginny R. Océane Lagarce
Sedersi al tavolo con chi aveva sempre considerato come un nemico era strano perfino per la veggente, ma credeva davvero nelle parole dette poc'anzi. E tutto sommato era realmente curiosa di sapere che cosa stesse combinando la Scott. Un debole sorriso era comparso sulle di lei labbra, un ghigno che difficilmente avrebbe abbandonato le stesse, ma che davano l'impressione che la Lagarce la sapesse decisamente lunga. « Diciamo che son qui e là. Ho scelto giornalismo, ma questa non è una vera e propria novità dato che il mio blog ha sempre creato qualche scandalo al tempo. »
Commentò la giovane con una leggera scrollata di spalle. Sapeva che in molti parlavano di ciò che scriveva, ma non le era mai interessato. Avevano la loro opinione, ma Ginny era sempre andata avanti in un modo o nell'altro. « Mi divido tra il college, la redazione e lo studio fotografico... E tu, invece? »
Daisy Dove Scott
*Daisy ascoltò le parole della giovane con spiccato interesse, forse anche dovuto al fatto che si stava impegnando a non essere la solita stronza indifferente e tagliente. Mentre Ginny parlava, terminò il suo caffè.* «Sí, ricordo la tua impertinenza nella scrittura. Sei sempre stata portata, non mi stupisce che tu abbia scelto quella come strada.» *Nonostante la velata critica, quello della Scott voleva essere un complimento.* «Io sono al terzo anno di legge, e poi, beh nulla di particolare.» *Didi si frenò, non sarebbe stato saggio parlare di allenamenti, tiro con l'arco e argomenti simili. Con un cenno, simile a un sorriso, lasciò al bancone del locale i soldi necessari al saldo del conto.* «Ora, essendo io in ritardo e non volendo sfidare oltre questa tregua che si è venuta a creare, ti saluto. Ti direi che è stato un piacere, ma non sarebbe nel /nostro\ stile. Spero però di poter approfondire la conversazione, in un futuro non troppo lontano.» *Quello di Daisy era un passo nella direzione di una tregua duratura. Con un cenno della mano salutò la giovane e si avviò all'uscita del locale.*
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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monnalisa1979 · 4 years
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Quando c’è una pandemia mondiale, ma tu hai lo Smalto Semipermanente messo dall’estetista che l’ultimo DPCM ha chiuso e hai bisogno di trovare un modo per toglierlo. Cerchi di comprare una fresa per le unghie mentre fai la spesa, come fortuna vuole, ti accorgi che sono terminate, allora ti ingegni e trovi #MetodiAlternativi visto che sei cresciuta a latte e #MacGyver!! 😂 (presso Grosseto, Italy) https://www.instagram.com/p/CH5zdg2Ai4Z/?igshid=291u940zwfnf
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MILKY NAILS
UNGHIE BIANCO LATTE: UN TREND MOLTO CHIC PER MANICURE ELEGANTI (1017) Pinterest(1017) Pinterest Molte fashioniste amano le manicure eleganti e alla moda e una di queste è sicuramente quella delle Milk Nails, che si abbina molto bene ad ogni stile di outfit e si inserisce perfettamente in qualsiasi stagione dell’anno. Perfette per questo 2021, anno in cui vige il diktat del candido e del…
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