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#scuola di notre-dame
lemandro-vive-qui · 2 years
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Pérotin [magister Perotinus magnus] (Parigi, 1160 circa – 1230 circa) - compositore francese, appartenente alla celebre Scuola di Notre-Dame a Parigi. Il musicologo inglese, noto solo come “Anonimo IV” (probabilmente uno studente inglese che lavorava presso Notre-Dame a partire dal 1270), menziona i compositori Pérotin e Léonin all’interno di un suo trattato musicale, assegnando quindi un nome ai maggiori esponenti della Scuola di Notre-Dame che sarebbero stati altrimenti anonimi. Pertanto Léonin e Pérotin sono tra i compositori più antichi di cui sia conosciuto il nome. Nonostante essi siano morti solo cinquant'anni prima che Anonimo IV scrivesse il suo trattato, egli li descrive come eminenti teorici e parte della tradizione della musica. Assieme ai lavori di Giovanni di Garlandia e Francone da Colonia, il trattato di Anonimo IV, è la principale fonte per capire la polifonia della Scuola di Notre-Dame. Una delle opere musicali attribuite a Pérotin è il “Viderunt Omnes” a quattro voci. Fu eseguito per la prima volta nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi il giorno di Natale del 1198 e questa è la prima data certa di tutta la storia della musica.
Latin
Vīdērunt omnēs fīnēs terræ salūtāre Deī nostrī. Jubilāte Deō, omnis terra. Notum fēcit Dominus salūtāre suum; ante conspectum gentium revelāvit justitiam suam.
English
All the ends of the earth have seen the prosperity of our God. Rejoice in the Lord, all lands. The Lord has made known his prosperity; in the sight of the nations he has revealed his righteousness.
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clamarcap · 11 months
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In stile antico - II
Carson Cooman (12 giugno 1982): Conductus per organo portativo op. 1066 (2014); dedicato a Ernst Stolz. Esegue l’autore. Il conductus è una delle forme caratteristiche della scuola polifonica cosiddetta «di Notre-Dame» (XII-XIII secolo). Il portativo è un piccolo organo trasportabile, in uso fra il XII e la fine del XV secolo, dotato di un mantice, che l’esecutore aziona con la mano sinistra, di…
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lamilanomagazine · 23 days
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Addio a Italo Rota, l'architetto del Museo del Novecento
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Addio a Italo Rota, l'architetto del Museo del Novecento. È morto a Milano, dove era nato nel 1953, l'architetto del museo del Novecento Italo Rota. Lo dice all'Ansa il presidente di Triennale Milano Stefano Boeri. Figura tra le più interessanti e poliedriche della scena architettonica italiana, Italo Rota si è laureato nel 1982 al Politecnico di Milano, formandosi prima presso lo studio di Franco Albini e in seguito in quello di Vittorio Gregotti. Alla fine degli anni ottanta, si trasferisce a Parigi, dove firma la ristrutturazione del Museo d'Arte Moderna al Centre Pompidou con Gae Aulenti, le nuove sale della scuola francese alla Cour Carré del Louvre, l'illuminazione della cattedrale Notre Dame e lungo Senna e la ristrutturazione del centro di Nantes. Torna in Italia a metà degli anni novanta e l'attività del suo nuovo studio milanese inizia a spaziare dal masterplan al product design, in progetti che si caratterizzano per la scelta di materiali innovativi, tecnologie all'avanguardia e approfondita ricerca sulla luce. Spiccano nella sua produzione la promenade del Foro Italico a Palermo (Medaglia d'Oro all'Architettura Italiana per gli Spazi Pubblici 2006) e il Museo del Novecento nel Palazzo dell'Arengario in Piazza Duomo a Milano (2010). Oltre alla Francia, sono numerose le opere realizzate in ambito internazionale, come la Casa Italiana alla Columbia University, New York (1997); il Tempio Indù a Mumbay (2009); il Chameleon Club al Byblos Hotel, Dubai (2011). «Con la scomparsa di Italo Rota perdiamo un maestro dell’architettura e del design italiano. Dalle scenografie teatrali alle realizzazioni di musei e spazi pubblici come il Museo del Novecento, Rota ha saputo coniugare bellezza e funzionalità, dando vita a opere innovative e di grande impatto emotivo, con una attenzione particolare alla valorizzazione del patrimonio culturale e alla creazione di spazi di incontro e di dialogo». Lo ha affermato il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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giuseppelaporta · 4 months
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Il Cristo Santissimo Salvatore, della Cattedrale di Termoli
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Come ho già potuto enunciare in varie occasioni, la storia dei nostri beni comuni è pregna di quegli accadimenti inaspettati, benefici e talvolta catastrofici, che plasmano le fondazioni della nostra cultura e della tradizione, locale e nazionale.
La figura del ricercatore quindi, in qualsivoglia ambito e grado, deve attenersi ad un codice morale ed etico ove al momento dell'analisi di un reperto, egli svanisce, mantenendo però un pensiero critico-storico, ottenuto dalla propria formazione e con la pratica sul luogo del mestiere, cercando di rimettere insieme le pagine che raccontano la vita di tali manufatti e di chi li ha ideati.
Sulla facciata principale della Basilica Cattedrale di Termoli, tra gli ordini arcuati è inserito il portale maggiore, che si presenta in un carme di cornici, girali a racemi, archivolti ornati, policromie e soprattutto icone, con la più celebre di questo insieme, che da i connotati identitari al tempio mariano di Termoli, ovvero la lunetta della Presentazione al Tempio, collegata all'agiografia cristica della reincarnazione, a sua volta identificabile a partire dalla bifora di sinistra detta "Dell'Annunciazione", e che un tempo doveva essere composta da una continuazione, riscontrabile facilmente in esempi bipartiti come quello del pulpito di Mastro Guglielmo nella Cattedrale di Cagliari, posizionato originariamente in quella di Pisa.
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Quanto alle statue di questo portale, senza nominare le altre del programma iconografico, possiamo elencare con certa facilità le due coppie di santi che posano ai lati dell'archivolto, su mensole recanti la committenza di queste opere, originaria della Repubblica Marinara di Amalfi.
Un tempo dette mensole dovevano essere sorrette da colonne tristili, di cui restano solo frammenti, in parte trafugati, e un capitello a colletto trilobato, capovolto e conservato nella prima stanza ipogea di Termoli Sotterranea, riconducibile ad una scuola artistica che tende a superare i caratteri del romanico pugliese arcaico e che tendono ad andare verso il gotico nascente, come si può notare anche nelle icone di cui si parlerà e in esempi di colonnati riscontrabili nelle opere di Nicola Pisano, ma anche dei cantieri federiciani del Castello di Siracusa, Castel Del Monte e riportando una sincronia schematica che troviamo anche nel Medio Oriente, come nelle nicchie della Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, e nel vicino pulpito Burhan Ad-Din Minbar, nel Monte del Tempio.
Le statue presenti in questo portale sono ad ora per la maggior parte anonime e oggetto di studio da parte di tanti eruditi, passati e presenti.
A sinistra abbiamo la prima statua di un uomo in abito episcopale, nell'atto benedicente e che poggia su di un uomo ormai distrutto dall'erosione, e tale figura sembra essere quella del proto-vescovo lucerino San Basso, patrono di Termoli, confermato dai caratteri incisi a piombo nella mitria, recanti "SCS BASS".
L'insieme è seguito da due statue purtroppo anonime, vestite anch'esse come vescovi, ma di cui purtroppo mancano i volti, tranne per la figura di destra, testimoniata da una fotografia scattata intorno agli anni 60 del '900, dove compare nella neo-cripta, un uomo barbuto con una aureola spaccata in due lati, purtroppo oggi scomparsa come tanti altri oggetti di questa veneranda basilica.
Ma se c'è una statua davvero singolare tra tutte, è di certo quella di destra, che si mostra con una postura sempre benedicente, ma con un panneggio diverso da quelle pre elencate, che ci indica la presenza di un personaggio biblico, con il suo pallio che copre metà busto e scende lungo la spalla destra, i legacci e le cinture, ma anche le striature del drappeggio che in tutto il programma della facciata, ci indicano bene la presenza di uno stile che non è per nulla simile al gotico fiammeggiante (es. Chartres) ma nemmeno ad un romanico borgognone come a Notre Dame La Grande, oppure anche un semplice romanico pugliese che si ferma alle strutture di Troia o anche Trani e Ruvo.
Questo stile presenta tutte le caratteristiche di una scuola di pensiero locale, che aveva a che fare con le caratteristiche iconografiche bizantine, pregne di simbolismi, colori e didascalie che determinavano una ferrea regola rappresentativa dell'icona, con un suo posto adeguato e una sua caratteristica evangelica, in gran parte apocrifa, ma che nell'esecuzione sembra comunque evolversi in uno stile sempre più plastico ed espressivo, o dinamico, che ci mostra una perfetta transizione stilistica nata probabilmente nel romanico della scuola di Foggia attorno alla figura del protomagister Bartholomeus e condotta in ogni dove, sino a raggiungere l'evoluzione più tarda e prettamente gotica, come nel caso del programma iconografico del duomo di Zara, e che nel caso di Termoli trova un suo uso contemporaneo nel cantiere tardo-romanico di San Giovanni in Venere a Fossacesia.
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Per poter parlare della statua anonima di Termoli, espongo qui i risultati di uno studio condotto negli anni con una vera e propria equipe di esperti se vogliamo, una confutazione di questo studio sviluppata per esempio con il prezioso parere del Professor Ivan Polverari di Roma, e in collaborazione anche con l'Iconografa Assunta Fraraccio , e molti altri che hanno voluto contribuire alla ricerca, che ben presto citerò in maniera dovuta in un saggio storico incentrato sulla figura in questione.
La statua purtroppo tra gli anni 30 e 40 del '900, cadde rovinosamente sul pavé della Cattedrale, poiché il suo cuore di piombo come anche asseriva Don Luigi Ragni, era ormai usurato e sarebbe bastato un non nulla per distruggerla, anche e soprattutto usandola come semplice appiglio per teli.
Per mezzo secolo era possibile visionare la statua solamente dalle fotografie del 1910 svolte dai fratelli Trombetta e ripubblicate dalla storica Ada e da colleghe come la celebre Maria Stella Calò Mariani, oggi rintracciabili facilmente negli archivi Alinari e in quello di Stato come nel caso delle frontali.
In questi decenni fortunatamente la statua venne ripresa in considerazione e, avendo anche io la possibilità di vederla in pezzi da vicino, ho potuto anche ammirarne la ri-apposizione sulla mensola, al seguito di restauri, però dove manca, ancora oggi, il volto perso di quest'uomo dalla barba appuntita e i capelli lunghi.
Nel corso del tempo è poi stata inserita in numerose ricerche ma che purtroppo hanno dato tutte esiti contrastanti, da chi avvalorava la credenza popolare secondo cui fosse San Sebastiano e anche da chi, senza una minima prova, ne asseriva di leggervi le sembianze di San Timoteo, co-patrono della città adriatica e discepolo prediletto di San Paolo Apostolo, presente nel celebre trittico con la presenza di Tito nella prima parasta a sinistra della facciata, e dove si evidenzia la caratteristica iconografica del discepolo, che appartiene alla più parte dello schema greco in cui è rappresentato questo santo, e le cui raffigurazioni anche più elaborate come nella vetrata del Musée De Cluny (XII sec.) e nel Codex Barberiniano, non sono minimamente rintracciabili nella statua senza volto del protiro termolese, sfatando definitivamente la teoria secondo cui ci troviamo davanti al co-patrono di Termoli.
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In accordo invece con ciò che resta del personaggio, e seguendone la simbologia, si può certo dire che non è un vescovo, a differenza dei precedenti tre, si mostra con una postura benedicente e con capelli e barba lunghi, uno sguardo severo, un uomo dormiente ai suoi piedi, che portano dei calzari e che nella mano sinistra doveva sorreggere un oggetto di non grandi dimensioni.
Per districarci in questo groviglio di fili, un notevole aiuto ci viene dato non solo dalle caratteristiche base dell'iconografia greco-ortodossa, ma ovviamente dalle tante modalità in cui esse sono create, dall'alto al basso medioevo, riuscendo finalmente a poter definire l'identità di quest'uomo, che altri non potrebbero essere se non il Cristo Pantocratore, venerato come Santissimo Salvatore in maniera massiccia negli antichi ducati e principati longobardi come quello di Salerno per fare esempi, e che a Termoli rappresenta uno dei culti più antichi della storiografia locale, più antico del culto bassiano, timoteano e persino dei santi minori come Biagio e Sebastiano, un culto che viene confermato esistere ancora nel 1700 dal vescovo Tommaso Giannelli, e che nei primi del '900 era rimasto solo come memoria storica della vecchia comunità cristiana termolese, dissolto nei secoli e dimenticato, probabilmente portando gli stessi analizzatori della statua ad essere influenzati dalla riscoperta di San Timoteo negli anni 40, e tralasciando totalmente la presenza del culto cristico, forse prima consacrazione della ecclesia esistente già nel VI secolo, soppiantata dalla seconda basilica bizantina del X-XI secolo.
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La rappresentazione del Cristo Pantokrator è quasi onnipresente nei programmi iconografici degli edifici di culto medievali, soprattutto in opere votive, manufatti liturgici e pareti musive o affrescate, tra i cui esempi più celebri troviamo le deesis della basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, ma anche negli esempi di architettura Arabo-normanna e bizantina dell'Italia insulare e continentale.
Preziosi sono anche i pendenti aurei bizantini e le placchette votive in avorio e steatite, che ad oggi costituiscono un patrimonio davvero inestimabile per l'iconografia storica, anche per l'analisi delle grandi variazioni che potevano essere osservate tra una bottega e l'altra in determinate epoche storiche della cristianità, anche nella nostra penisola, pur se in maniera molto ridotta e postuma.
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Particolarmente interessanti sono i bassorilievi che immortalano il Pantokrator eretto, singolo o nella deesis, dove, anche nelle icone pittoriche, la similitudine con la nostra statua è elevatissima.
Ma ci sono dei dettagli che portano la prova ufficiale di questa identità cristica nella sua esecuzione, ovvero la sua statua gemella, che si trova attualmente sulla già citata basilica di San Giovanni in Venere a Fossacesia, dove si riscontra la medesima mano scultorea, seppure in proporzioni differenti poiché inserite in una lunetta e non poste su dei piedistalli aggettanti, che dimostrerebbero grossomodo la presenza della stessa maestranza operante nel cantiere federiciano di Termoli nella metà del XIII secolo, intorno al 1230, proveniente da quella scuola romanica di ambito foggiano, ma lontana ancora molto da quella plasticità e delicatezza realistica tardo-duecentesca di Nicola Di Bartolomeo Da Foggia, il che ci porterebbe a pensare alla figura di un ulteriore magister formatosi nella scuola romanica di Foggia, che tutti noi conosciamo come Alfano Da Termoli, "figlio di Ysembardo", e la cui famiglia (gli Alfani) trae origine dall'antico Ducato longobardo di Salerno e nei territori stretti di Amalfi, Scala e Ravello.
La caratteristica iconografica delle due statue è prettamente la medesima, mostrandoci il volto purtroppo scomparso alla nostra, con la stessa lavorazione della capigliatura lunga e mossa nelle punte, che travalicano le orecchie, e nell'insieme simbologico del drappeggio e della benedicenza, conferma ancor di più i metodi e le proporzioni che contraddistinguono questo esecutore e ovviamente questa scuola di pensiero.
Altro dettaglio fondamentale di questo studio è capire gli elementi che tutt'ora mancano alla statua del Cristo di Termoli, e ci può venire in aiuto la stessa iconologia bizantina, che ricorda come nella figura del Pantokrator, egli sia raffigurato con il manoscritto nella mano sinistra e la mano destra nell'azione benedicente, ma è altresì vero che il Cristo in moltissime occasioni è ritratto o scolpito con la pergamena, nell'atto di cedere la sua parola ai discepoli affinché la promulgassero al prossimo, ed è un elemento fondamentale per capire la sua familiarità nel nostro territorio, non solo nel caso di Fossacesia, ma anche in quello di San Marco Evangelista nella Cattedrale di Zara, nello stesso San Timoteo del trittico di Termoli e così via, sino anche a giungere in pendenti di ambito votivo come il Cristo Pantocratore di Santa Maria di Trastevere, opera duecentesca di una bottega centro-meridionale del XIII secolo, ulteriore prova delle caratteristiche iconografiche di queste scuole di pensiero locali e delle influenze che esse hanno dato alla produzione artistica sacra.
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Seppure la figura del Cristo, per rango religioso viene vista come fuori posto in un contesto che non sia centrale nella facciata, non mancano quegli esempi in Europa, maggiormente gotici, di una variazione della sua posizione in base al lessico dell'intero schema, cosa che ci fa evincere come nel caso di Termoli anche questa ferrea regola scultorea sia stata ammorbidita, permettendoci anche di identificare come il portale rechi nei piedistalli le quattro figure principali venerate in questo luogo di culto, oltre alla presenza del patrono Timoteo in una zona alta, probabilmente di esecuzione variata dalla originale scelta "progettuale" dell'ordine superiore.
Tutte queste premesse mi hanno concesso di poter postulare una ipotesi di ricostruzione della modesta icona, partendo dai rimasugli strutturali del corpo, come i monconi delle mani, i cui resti dei ponti di giunzione con il busto, del pollice e del dito indice, sono rimasti fusi nel petto, mentre nel caso della gamba sinistra è riconoscibile la sbozzatura ammaccata del panneggio, scambiata in passato per la base di un bastone pastorale o da pellegrinaggio.
Quanto al retro del capo, dietro i capelli e il pallio, si può vedere in maniera chiara un bozzo a rilievo con leggera inclinazione, probabile riminescenza di una aureola scolpita con il busto superiore, elemento comune delle statue in rilievo dal romanico al gotico e anche in età rinascimentale, seppure poi venissero soppiantate dall'uso di aureole metalliche in epoche più prossime a noi.
Basandoci sugli stessi esempi locali, e sulle proporzioni del volto, nonché della durevolezza della pietra calcarea, si può dedurre la presenza di una modesta aureola come nel caso della statua scomparsa, con una fase centrale da cui partivano i bracci della croce, probabilmente patente, e le due scritte identificative del Cristo, come in Fossacesia e generalmente nelle icone; "IHS - XPS", con un bordo ornato dall'alternarsi di file forate.
Nella mano sinistra è plausibile che anche questa statua non recasse la presenza del manoscritto aperto, pensì di una modesta pergamena arrotolata, e per ultimare, sembrerebbe evidente dalle tracce di pigmento bruno in questa, e di foglie d'oro nella statua bassiana e nella lunetta, che le icone della facciata termolese, come anche altrove, fossero dipinte, forse solo negli indumenti e nei dettagli più minimi che la scultura non poteva essere in grado di ricreare per le modeste dimensioni e sottigliezza decorativa.
Una basilica che non smetterà mai di stupirci quella di Termoli, con dei misteri e derivanti elucubrazioni che ogni volta mi fanno girare la testa di fronte a cotanta bellezza, da preservare, ma soprattutto, da valorizzare.
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personal-reporter · 5 months
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A zonzo per la Francia: Gaston Lenotre
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Il maestro della pasticceria francese nel Novecento… Gaston Lenotre nacque il 28 maggio  1920 a Saint-Nicolas-du-Bosc  in Normandia, primogenito di due cuochi che fin dalla sua infanzia lo condussero nel meraviglioso mondo dell’arte della cucina francese. Poco più che ventenne Gaston dovette affrontare il terribile periodo della Seconda Guerra Mondiale, anni dove il settore gastronomico in gran parte del mondo crollò totalmente. Nell’immediato dopoguerra, il giovane cuoco dimostrò una grande forza d’animo e iniziò a girare Parigi con la bicicletta vendendo i suoi cioccolatini a chi incontrava per strada e nel 1947 riuscì, con la prima moglie Colette, ad aprire la sua prima pasticceria nel leggendario 16esimo arrondissement. Gaston si fece notare da subito, infatti nelle sue ricette ridusse le quantità di zucchero e farina, oltre a sostituire a classica crema pasticcera con una mousse aromatizzata anche con frutti tropicali come la guava, il lime e il mango. I suoi dolci erano  leggeri, freschi e il burro utilizzato era sempre il migliore sul mercato oltre ad aver portato, primo in Europa, la cultura culinaria giapponese soprattutto per l’arte dell’impiattamento, dove  il dolce deve apparire accattivante ed elegante nascondendo la tecnica e la precisione necessarie a realizzarlo. Tra le sue innovazioni tecniche ci furono il raffreddamento controllato veloce e l’utilizzo della gelatina nelle mousse, oggi usate dai più grandi pasticceri e che permettono una migliore conservazione del dolce. Dalla fine degli anni sessanta Gaston aprì una società di catering, oltre a diversi ristoranti che conquistano le tre stelle Michelin e una scuola di cucina a Parigi da dove sono usciti  fino ad oggi quasi tremila professionisti che sono ancora parte del mondo gastronomico francese. Amava spesso dire che  ���La pasticceria è il miglior allenamento anche per gli chef grazie alla precisione e alla perfezione necessarie; il pasticciere invece deve conoscere i sapori e giocare con gli abbinamenti andando anche oltre la classica dolcezza“ al punto che Paul Bocuse, suo grande  amico e collega, dopo aver assaggiato l’Operà, la torta di mandorle farcita con crema al caffè e glassata al cioccolato di sua invenzione, disse che “Gaston sorprende come Monsieur Dior nella moda“. Nel 1982 il pasticcere fondò, con  Bocuse e Roger Vergé, il Pavillon de France pressò il Walt Disney World Resort di Orlando, in Florida. Gaston Lenotre morì l'8 gennaio 2009 nella sua casa di Sennely ed è sepolto nella basilica di Notre-Dame-de-la-Couture, a Bernay e suo nipote Patrick continua la sua storia come rinomato chef e pasticcere. Read the full article
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amicidomenicani · 11 months
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Sacerdote (1832-1916) Enrico Cormier nacque l’8 dicembre 1832 ad Orléans, importante città della Francia settentrionale, e considerò sempre uno speciale favore della Provvidenza Divina l’essere nato e l’aver ricevuto il battesimo nel giorno dedicato alla Vergine Immacolata, la cui definizione dogmatica doveva avvenire quando il ventiduenne Enrico già pensava all’ideale domenicano come sua scelta di vita. La sua infanzia fu serena, immersa nella pietà cristiana che le famiglie cattoliche del XIX secolo vivevano come base naturale dell’esistenza. Di sua madre, Felicita Bracquemont, egli stesso disse: « La sua vita trascorse parte in campagna, parte negli affari di un umile commercio, parte nella cameretta dove morì dopo parecchi anni di malattia». Fu quindi una donna semplice, ma intelligente, accorta ed attiva, ed affrontò con coraggio l’avvenire della famiglia quando rimase vedova con i figli ancora piccoli. Di suo padre, Francesco, scrisse : «Era tanto pio e laborioso quanto poco ambizioso. La sua passione era la musica. Copiava il canto gregoriano su un quadernetto tascabile, di cui si serviva in chiesa. Il giovedì i tre fratelli organizzavano una specie di concerto e cantavano accompagnandosi ciascuno col suo violino».  Morì accidentalmente, in seguito alle ustioni riportate cadendo con una lampada accesa in mano. La mamma affidò la sua educazione ai Fratelli della Dottrina Cristiana , presso la scuola della parrocchia di S. Paolo, dove il bambino progredì nella formazione umana e religiosa. Quando lo zio Teofilo Cormier, prete e professore nel Seminario maggiore di Orléans, morì a trentasei anni di tisi, quasi naturalmente, Eugenio, il fratello maggiore di Enrico, volle prendere il suo posto entrando in seminario, mentre lui si accontentò di continuare a “giocare alla messa”, fino a quando, dopo aver ricevuto la prima Comunione e la Cresima, fu accolto nel Seminario minore La Chapelle: aveva tredici anni.  Si rivelò un ragazzo dolce e simpatico, dotato di una naturale propensione al canto, al disegno, alla poesia; più incline ad una certa spensieratezza che all’entusiasmo per lo studio. Ma la morte precoce del fratello seminarista, scomparso a 18 anni, indusse Enrico ad un serio ripensamento e formulò dei propositi così seri, che realizzò in quel momento un vero “distacco dal mondo”, come scriverà egli stesso vent’anni dopo. Tale “conversione” proseguì quando si iscrisse al Seminario maggiore nell’ottobre del 1851, mettendo per scritto un programma particolareggiato di vita con la decisione di custodire e salvaguardare i suoi impegni con la preghiera, «quell’orazione per la quale si dimora in una santa unione con Dio, si ascolta la sua parola, gli si parla a propria volta per domandarGli le sue grazie»: di questa intimità ininterrotta con Dio aveva sete l’animo generoso di Enrico.  Fu in questo periodo che maturò la sua decisione per una vita di più stretta imitazione di Gesù Cristo, prendendo in considerazione l’Ordine di S. Domenico, restaurato in Francia da pochi anni  ad opera del P. Henri-Dominique Lacordaire. Con lui ebbe anche un incontro, nel quale la sua vocazione domenicana fu giudicata “nulla o non matura” dall’illustre predicatore di Notre-Dame! Evidentemente, la voce interiore dello Spirito indicò con chiarezza al giovane seminarista la via da seguire e quella valutazione negativa non lo disarmò. Fece privatamente i tre voti e terminò i suoi studi conseguendo il grado di baccelliere in teologia. Quando fu ordinato sacerdote, il 17 maggio 1856, essendo già laico domenicano, annunciò anche che sarebbe presto entrato nel noviziato della Provincia francese dei Frati Predicatori, a Flavigny, dove ricevette l’abito insieme ad altri quattro giovani, il 29 giugno seguente, prendendo il nome di fra Giacinto Maria, per mettersi sotto la protezione del santo predicatore missionario polacco e della Vergine Immacolata. La sua vita di novizio, già sacerdote, fu pienamente
centrata in Cristo, pur affrontando le tentazioni e le difficoltà del tutto normali per un neofita. Ma una grande prova doveva ostacolare il suo cammino: la salute precaria preoccupava non poco i suoi superiori e lo stesso P. Vincenzo Jandel, Maestro Generale, cercò una soluzione prospettandogli di finire il noviziato in Italia, dove avrebbe trovato un clima migliore. La sua angoscia fu grande, quando anche sua mamma andò a trovarlo col preciso intento di portarselo via. «Gesù, cambiate il cuore di mia madre» - scrisse sul suo taccuino il 25 gennaio 1857. Alla fine venne deciso, con un procedimento insolito per l’epoca, che egli facesse la professione non in modo perpetuo e definitivo, ma temporaneo, per due anni : ciò avvenne il 29 giugno 1857. In seguito, il Maestro Generale ritenne opportuno condurlo con sé a Roma  nell’intento di giovare alla sua salute e per avere vicino quel giovane che si rivelava ricco di doti religiose ed umane. Gli affidò l’incarico di sotto-maestro dei novizi, dimostrando in lui il massimo della fiducia, tenuto conto che non era ancora professo solenne. La sua salute, purtroppo, non migliorò. Venne a trovarlo sua mamma, affrontando un viaggio lungo ed insolito per lei, manifestandogli forse ancora una volta il desiderio che ritornasse ad essere semplice sacerdote nella sua città, ma ripartì convinta della vocazione religiosa del figlio, il quale lasciò detto a questo proposito:« Mia madre fece il suo sacrificio». Allo scadere dei due anni il P. Jandel, preoccupato della situazione, ne parlò direttamente al Papa Pio IX, il quale risolse la questione dicendo: «Che abbia almeno la consolazione di morire professo!»  In questa decisione di umano buon senso non era certo assente lo Spirito Santo, che doveva servirsi dell’opera di quel frate dalla salute delicata per altri…57 anni! Fra Giacinto Maria fece la sua Professione solenne il 23 maggio 1859, nella sala capitolare di Santa Sabina, e si impegnò a cercare la propria perfezione nella manifestazione concreta della Volontà di Dio:«Osserverò la mia regola in tutti gli incarichi, in tutti i luoghi che il Signore mi assegnerà e che sono altrettanti portici della sua casa, cioè del cielo». Queste disposizioni interiori erano davvero necessarie ad un religioso come lui, che avrebbe trascorso la sua vita implicato in incarichi di governo. Ebbe infatti affidatigli una graduale successione di incombenze. Cominciò con l’essere nominato sottopriore a Santa Sabina, poi maestro dei novizi a Corbara, in Corsica, e quasi subito anche priore nella medesima comunità, dove le preoccupazioni erano molte, comprese quelle finanziarie : «Dopo la virtù, quello che manca è il denaro», ebbe a dire. A trentatré anni, fu nominato primo provinciale della Provincia di Tolosa e Marsiglia appena restaurata. La sua mamma, felice di rivederlo nella sua terra, lo incoraggiò: «Gli altri hanno imparato, imparerai anche tu!». In questo incarico si rese partecipe della fondazione di due istituti domenicani: Suore dell’Immacolata Concezione di Tolosa e di Santa Caterina da Siena di Auch. Egli pose a fondamento del suo programma due basi solidissime: l’umiltà e l’unione, poi si mise al lavoro per solidificare ed ingrandire la nuova provincia. A tale opera si dedicò dal 1865 al 1891, durante i ventisei anni in cui fu ininterrottamente superiore, o come provinciale o come priore in diversi conventi; ispirò ogni sua azione alla tradizione domenicana ed attinse a piene mani dalle memorie  storiche dell’Ordine, tutto riconducendo ai disegni di Dio. Mantenne sempre una profonda e filiale venerazione per il P. Jandel, di cui si considerò discepolo fedele e ne pianse la “morte preziosa”, come egli stesso la definì nella biografia che gli dedicò. Affrontò con prudenza e coraggio le difficoltà e le persecuzioni che provenivano dalla situazione politica dell’epoca, che aveva soppresso le congregazioni religiose e permetteva saccheggi e violenze nei conv
enti. Si adoperò per la costruzione di chiese e conventi, ma soprattutto si affaticò per riportare allo splendore primitivo lo spirito religioso dell’autentica vita domenicana, servendosi delle visite canoniche per incoraggiare nel cammino dell’osservanza fedele e insistendo sulla pratica delle virtù basilari, tutte riconducibili alla carità. Si prodigò con amorevole attenzione anche per il ramo femminile dell’ordine, sia per le suore di clausura che per le nascenti congregazioni di vita apostolica. Per le monache furono fondati i monasteri di Saint-Maximin  e di Prouille: quest’ultimo sorse sul luogo dello storico monastero fondato da S. Domenico, che era stato completamente distrutto durante la rivoluzione francese, e P. Cormier potè introdurvi nella clausura le prime nove monache. Numerose furono in questo periodo le religiose domenicane del Terz’Ordine Regolare che egli aiutò a sorgere o a consolidarsi come congregazioni di vita attiva, seguendole passo passo nel loro sviluppo, animandole con la direzione spirituale e con la predicazione di ritiri, consigliandole in modo concreto nei dubbi e nelle incertezze: nel 1880 si occupò in modo particolare delle Domenicane di Albi. Non esisteva ancora il nome di “famiglia domenicana”, ma P. Cormier ne viveva la realtà, unendo i vari aspetti nell’unico carisma di S. Domenico. Nel 1891 fu eletto Maestro Generale il P. Andrea Frühwirth e prese con sé come “socio” per le province di lingua francese il P. Cormier, il quale giunse a Roma il 1° ottobre. L’incarico di assistente è fatto soprattutto di lavoro nascosto, spesso ingrato, che richiede oculatezza per gli affari dell’Ordine e spirito di abnegazione. L’ex provinciale di Tolosa, ormai sessantenne, aveva le doti necessarie per espletarlo con competenza e la fede robusta per esercitare anche nelle riunioni ecclesiastiche, secondo un suo scritto, «ogni sorta di virtù: preghiera, umiltà, saggezza, fiducia, semplicità, sincerità…». Anche a Roma continuò il suo apostolato presso le comunità religiose e proprio nel 1892 fu per la prima volta presente in occasione di vestizioni e professioni nella nostra Cappella di Casa Madre, in via degli Artisti, presenza che si ripeterà per ben diciotto volte, comprendendo pure la celebrazione di alcune solennità, fino a due anni prima della sua morte. Nel 1896 venne nominato Procuratore Generale dell’Ordine, perciò incaricato di mantenere i rapporti con le Congregazioni della S. Sede e con il Papa stesso. Come  prevedeva la consuetudine del tempo, dovette scegliere uno stemma ed un motto. Allo scudo dell’Ordine, bianco e nero, aggiunse il pellicano che nutre i suoi piccoli, immagine di Cristo, ed il suo motto fu: ”Caritas veritatis”, che egli stesso commentò così: “Donare la verità è la più bella carità”.   Ebbe molte preoccupazioni in quegli anni a causa delle ostilità del governo francese che voleva separazione netta tra Stato e Chiesa e ostacolava le congregazioni religiose con leggi contrarie. Il 21 maggio 1904 il Capitolo Generale tenutosi nel convento di S. Maria della Quercia (Viterbo) lo elesse 76° successore di S. Domenico, contrariamente ad ogni previsione umana, data la sua salute sempre precaria e l’età avanzata. Dio voleva attuare i suoi disegni proprio servendosi di uno strumento fisicamente inadatto, ma ricco dell’ energia spirituale che deriva dall’umiltà e dalla fiducia in Lui. Il suo generalato si svolse in un periodo molto difficile per la Chiesa cattolica, segnata dalla crisi modernista, dalla rottura dei rapporti col governo francese e dalle gravi tensioni che portarono l’Europa allo scoppio della prima guerra mondiale. Fu anche grazie alla sua saggezza e alla stima che di lui ebbero i Papi Leone XIII,  Pio X  e  Benedetto XV se l’Ordine domenicano superò coraggiosamente questo grave momento storico. Egli portò a termine il suo mandato di dodici anni, adempiendo i suoi doveri con regolarità: presiedette i capitoli generali stabili
ti dalle Costituzioni, effettuò le visite canoniche, regolò gli affari dell’Ordine, continuò ad occuparsi delle congregazioni femminili che si rivolgevano a lui… Ma si dedicò anche ad opere di notevole impulso per la vita dell’Ordine: fondò il Pontificio Collegio Angelico, oggi Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino, comunemente chiamata l’Angelicum, sorvegliandone egli stesso la costruzione e cercando i fondi necessari; si occupò dell’Università di Friburgo, dove la Facoltà Teologica, affidata ai Domenicani, attraversava momenti difficili; protesse e sostenne col prestigio della sua insospettabile ortodossia la Scuola Biblica di Gerusalemme, che rischiava una condanna da parte della Chiesa; si adoperò molto perché  l’Università domenicana di Manila, dopo l’avvento del governo americano nelle Filippine, che fece costruire una Università laica,  mantenesse intatto il suo prestigio. Nel Capitolo tenutosi a Friburgo, il 3 agosto 1916  fu eletto suo successore l’olandese P. Theissling. Tornato a Roma, l’ottantaquattrenne P. Giacinto Maria si stabilì nel convento di S. Clemente, dove secondo lui era trattato in modo così confortevole, che sembrava gli si volesse « impedire di morire». Ma alla fine di novembre sopraggiunse una pleurite, alla quale il suo fisico non fu più in grado di reagire. Il 16 dicembre chiese che la comunità si radunasse intorno a lui per cantargli la Salve Regina, secondo la consuetudine domenicana. Disse con voce chiara:«Rinnovo i tre voti della mia professione e ringrazio Dio di avermi concesso di perseverare nella vita religiosa». Si spense il giorno dopo, mentre nella Chiesa della Minerva l’Ordine domenicano celebrava il settimo centenario della sua approvazione, alla cui commemorazione aveva contribuito con la sua ultima lettera ufficiale come Maestro dell’Ordine. Stimato ed amato da superiori e confratelli, P. Cormier morì lasciando in chi lo aveva avvicinato fama di santità: non una santità spettacolare, miracolistica, inimitabile, ma una santità del dovere quotidiano compiuto con amore e fedeltà , giorno per giorno, nell’eroicità di una vita silenziosa, attenta a non perdere le occasioni per i piccoli atti di virtù, pronta a donarsi per il bene degli altri con generosità, senza fuggire davanti alla croce e alle spine degli incarichi. Due caratteristiche, in particolare, vennero sottolineate da quanti lo conobbero: «Non aveva mai una parola cattiva o amara per nessuno» e «Non parlava mai di sé». Fu uomo di pace e di unità, perché profondamente umile, e seppe intervenire in ogni circostanza col dono della prudenza soprannaturale, tacendo o parlando nel modo giusto al momento opportuno, nella ricerca sincera e continua della Volontà di Dio su di sé e sugli altri. Fu beatificato da papa Giovanni Paolo II il 20 novembre 1994 ed il suo corpo riposa nella Chiesa dei Santi Domenico e Sisto, presso la quale si è trasferito l’Angelicum  nel 1931.
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chez-mimich · 2 years
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NU FESTIVAL 2022: SOFIA DONATO, ELISABETTA CONSONNI, MARIO MARIOTTI E JONAS MEKAS
Sopo gli echi ancora vivi dell’esibizione a Nòva dello ieratico Omar Spulyman con la sua originalissima disco-arabian-music, comincia alla domenica mattina la giornata finale del festival “Nu Arts and Community” con la performance singolare e suggestiva, di Elisabetta Consonni (coreografia) e Mario Mariotti (tromba), “Il secondo paradosso di Zenone”(che tutti ricorderanno dai tempi della scuola). Un astronauta e un trombettista, camminano (e suonano) con esasperante lentezza nel centro della città, tra passanti incuriositi e divertiti, come se esplorare e “sondare” il mondo fosse cosa ridicola. Mentre Elisabetta scruta da presso panchine, segnali stradali, muri, porte, la tromba di Massimo Mariotti si cimenta non solo con lo spazio-tempo, comune per un musicista, ma anche con lo spazio urbano fatto di barriere, passaggi, percorsi. La performance si conclude nel giardino del Museo Faraggiana dove ad aspettarli, per il secondo appuntamento della giornata, ci sono grandi pagine di Hayden, Chopin, Liszt, interpretati da una ultra-talentuosa diciassettenne bolognese, Sofia Donato che letteralmente incanta l’attento pubblico di Nu. Al pomeriggio presso Nòva è la volta di Jonas Mekas, “As I was moving ahead occasionally I saw brief glimpses of beauty”, titolo del chilometrico lungometraggio. Mekas è stato un artista che ha attraversato la vita con la macchina da presa in mano. Guardando il film di Jonas Mekas viene in mente un pensiero di un grandioso scrittore, Peter Handke, quando ne “Il peso del mondo” scrive “In un vecchio film di Renoir delle nuvole passavano dietro la cattedrale di Notre Dame ed io pensavo: dunque quelle nuvole sono passate di là.”
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Ecco c’è un pensiero in apertura di “As I was moving ahead occasionally I saw brief glimpses of beauty” che assomiglia molto al pensiero di Mekas: “Ci sono posti in cui siamo stati nella vita” ed proprio è in questo concetto che si può riassumere il colossale film presentato a Nòva in questo assolato pomeriggio d’autunno. Potremmo dire che sono frammenti di vita, come ricorda anche Andrea Lissoni in apertura del film che Mekas ha assemblati senza un preciso ordine cronologico e senza una logica concettuale. Mekas filmava tutto, come ha detto Corrado Beldì, che ricorda come l’artista avesse sempre la macchina da presa in mano o un aggeggio per filmare qualsiasi cosa vedesse. Non importa che cosa e, paradossalmente, nemmeno la qualità delle immagini, che sono per lo più “sporche”, per nulla “professionali”, spesso sgranate o sfuocate e che lasciano trasparire con un certo compiacimento anche il
trascorrere del tempo. Anzi è il trascorrere del tempo uno degli argomenti del film insieme alla vita. Lo dice chiaramente Andrea Lissoni in apertura: “senza la vita e la collettività dei viventi, e il loro vivere associati, questo monumento del cinema-realtà non sarebbe mai stato concepito. “La vita facile salverà solo la tua anima, quella difficile la tua e quella di qualcun altro”, scrive Mekas sotto ad immagini di struggente malinconia. Mekas non è un videomaker, ha solo dato un senso alla sua vita filmando qualsiasi cosa vedesse e consegnandoci questa pellicola enormemente lunga e fatta tutta di immagini non simboliche, ma solo reali e alle quali nemmeno Mekas sa dare un senso che sia diverso da quello di osservare le immagini della vita, poiché sono la vita stessa. È difficile districare il bandolo della matassa: immagini della famiglia girati in super 8, immagini di amici e conoscenti a New York o a Vienna, in campagna come in città, immagini che riguardano, le cose o gli spazi che non hanno apparentemente nessun senso, i pieni e i vuoti. Riguardano le cose come i sentimenti, i momenti belli, quelli brutti, riguardano l’indifferenza, come l’amicizia, alla quale Mekas dedica un pensiero speciale: “Ci sono momenti in cui eravamo sulla terra ma ci siamo sentiti in paradiso.” L’imponete mole di “girato” ha solo una suddivisione in capitoli, con un accompagnamento musicale variegato, qualche commmento dello stesso Mekas e numerose didascalie, ma film fatto anche di lunghi silenzi. Cosa succede durante i silenzi, si chiede l’autore nel “Chapter Three”. Più volte Mekas sottolinea che nel film non succede niente. Il film, presentato al London Film Festival nel 2000, oltre ad essere un capolavoro del cinema-realtà, è un gigantesco frammento di poesia visiva, assolutamente geniale. Come ricorda Mekas in uno dei suoi frammenti sonori, “Compito del poeta non è quello di parlare per categorie generali, ma per singoli frammenti fattuali”. Coraggiosi i curatori del Festival “Nu” a proporlo nella sua versione integrale. Questa sera i due ultimi appuntamenti con Ginevra Nervi e “Romeo e Giulietta. Opera Ibrida” di Cabiria Teatro.
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londranotizie24 · 2 years
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Il libro Nudity and Folly in Italian Literature presentato all’Iic
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Il libro Nudity and Folly in Italian Literature presentato all’Iic Di Simone Platania Il libro Nudity and Folly in Italian Literature from Dante to Leopardi, di Simon Gilson e Ambra Moroncini, presentato all’Iic di Londra il 30 settembre. Nudity and Folly in Italian Literature from Dante to Leopardi presentato all’Iic di Londra L’Istituto Italiano di Cultura a Londra ospita il 30 settembre la presentazione del libro Nudity and Folly in Italian Literature. Il libro, a cura di Simon Gilson e Ambra Moroncini, vede i curatori discutere del loro ultimo lavoro con il Prof. Brian Cummings e il Dr. Lorenzo Dell'Oso. L’evento è presieduto da Katia Pizzi ed è seguito da un Q&A con gli ospiti. Il libro e i suoi dodici capitoli vengono analizzati, spiegati e discussi. Il focus verte sul concetto primo dell’opera: fin dall'antichità, la follia, la nudità e la poesia sono state strettamente associate a concetti come la verità, la bontà e l'estasi divina.  Tenendo conto di queste considerazioni, il volume e la discussione mirano a presentare prospettive originali esplorando come la nudità e la follia sono state usate per affrontare discorsi storici che sono ancora molto rilevanti nel nostro mondo moderno e contemporaneo. Dall’antichità al moderno, da Dante a Leopardi questi concetti analizzati contemplano anche discorsi filosofici, politici, religiosi, scientifici e sociali. Gli autori e gli ospiti Simon Gilson è professore di Italiano presso l'Università di Oxford e Fellow del Madgalen College. È autore di Dante and Renaissance Florence e Reading Dante in Renaissance Italy. Tra i suoi libri più recenti coeditati: insieme a Zygmunt Barański, The Cambridge Companion to Dante's 'Commedia'; con Luca Bianchi e Jill Kraye, Vernacular Aristotelianism in Italy from the Fourteenth to the Seventeenth Century. Infine con Fabrizio De Donno, Beyond Catholicism: Religione, eresia e misticismo nella cultura italiana. Ambra Moroncini è docente senior di Studi italiani presso la Scuola di Media, Arti e Scienze umane dell'Università del Sussex. È autrice di Michelangelo's Poetry and Iconography in the Heart of the Reformation (Routledge, 2017) e coeditrice di Resistance in Italian Culture from Dante to the 21st Century. Ha anche pubblicato diversi articoli e capitoli di libri in relazione ai suoi campi di ricerca. Brian Cummings è professore di Letteratura Inglese e Affini presso l'Università di York. Dal 1988 al 2012 ha lavorato presso l'Università del Sussex, prima come Docente di Studi Europei e poi come Professore di Inglese. I suoi libri includono Bibliophobia, The End and the Beginning of the Book e molti altri. Lorenzo dell'Oso è un Alexander von Humboldt Postdoctoral Fellow in Letteratura Italiana Medievale presso l'Università di Göttingen. Ha conseguito un dottorato di ricerca in italiano presso l'Università di Notre Dame. La sua ricerca si concentra sul rapporto tra Dante e il pensiero medievale. Attualmente sta completando la sua prima monografia, intitolata Il Poeta e le 'Scuole degli Ordini Religiosi': La formazione scolastica di Dante a Firenze (1290-1302).   ... @ItalyinLDN Continua a leggere su Read the full article
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sciscianonotizie · 2 years
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Danza: cinque giorni di saggio spettacolo e 7 diplomande per il Professional Ballet di Pina Testa
PROFESSIONAL BALLET: 4 GIORNI DI SAGGIO SPETTACOLO Un sogno che si avvera per sette diplomande. Appuntamento il 31 maggio, 2, 3, 4 e 5 giugno al Teatro delle Arti
QUATTORDICI I BALLERINI OSPITI, OLTRE 20 I TITOLI IN SCALETTA «Le difficoltà non hanno rallentato la nostra corsa, ma rafforzato la consapevolezza che durante la tempesta bisogna scegliere di danzare» dicono le direttrici Pina Testa e Fortuna Capasso
  Salerno, 27 maggio 2022 ‘A noi il Covid porta bene’: così si era chiuso il saggio nel 2021 sugli applausi scroscianti e con l’incertezza di essere tornati sul palcoscenico dopo due anni di chiusura. Quest’anno c’è la gioia di chi raccoglie i frutti di un lavoro difficile ma continuo. Tutto pronto per il Saggio Spettacolo 2022 del Professional Ballet. Cinque date, sette diplomande, quattordici gli ospiti tra primi ballerini e professionisti, oltre venti i titoli musicali in scaletta che spaziano dal repertorio classico alla danza moderna. Si comincia martedì 31 maggio e si prosegue da giovedì 2 a domenica 5 giugno al Teatro delle Arti sempre alle 19.30. «Le difficoltà non hanno rallentato la nostra corsa, ma hanno invece rafforzato la consapevolezza che proprio durante la tempesta bisogna scegliere di danzare. Alla paura, al dolore, alla tristezza, noi rispondiamo con la bellezza di questa meravigliosa arte», dicono Pina Testa e Fortuna Capasso, infaticabili direttrici delle due accademie private. La prima nata 44 anni fa grazie alla tenacia di un etoile che non ha mai mollato, neanche quando la vita l’ha messa a dura prova stroncandole la carriera, la seconda messa in piedi nel 2013, con quella stessa tenacia tramandata di madre in figlia. I PAS DE DEUX Accompagnata da Marco Protano, Adriana Scapaticci si diploma con “Spartacus”, uno degli ultimi tra i grandi balletti sovietici, eredi della tradizione russa dell’ottocento. Lui sarà Spartacus, lei la sua compagna, Phrygia, che lo accompagna fino alla fine. Venduti a proprietari diversi, si riuniscono dopo la fuga e il loro amore è espressa da un passo a due di una bellezza straordinaria. Licia Pirolo conclude il suo ciclo di studi danzando “La Bella Addormentata” con Gaetano De Feo. In scena il secondo prodotto della fruttuosa collaborazione tra il grande coreografo francese Marius Petipa (1818 – 1910) e il compositore russo Piotr Ilyich Tchaikoskij e un tripudio d’amore tra Aurora e il giovane principe Florimund. Emanuela Cipriani danza in coppia con Simone Liguori “Lo Schiaccianoci”, uno dei balletti dell’ottocento più conosciuti al grande pubblico. Qui è immortale il sentimento che unisce la dolce Clara al suo soldatino. Nel segno del romanticismo più puro anche il pas de deux della licenzianda Francesca Avallone che interpreta “Romeo e Giulietta” accompagnata da Ferdinando De Filippo. Il loro amore unico e sofferente è entrato nella memoria di tutti: non esiste persona che non conosca almeno una scena della tragedia, pur senza aver letto il romanzo. Paola De Feo lascia la scuola interpretando “Serenade” con Davide Guzzo. Si tratta del primo balletto che Balanchine coreografò in America su musica di Pyotr Ilyich Tchaikovsky. Perfetto esempio dell’estetica balanchiniana contraddistinta da linee pure, è negli anni diventato uno dei balletti più rappresentati del repertorio. Carattere e tecnica emergono con Anna Varriale, protagonista di “La Esmeralda” con Giuseppe Protano. Tripudio di danza gitana, ispirato al romanzo Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, Esmeralda è la vittima di un barbaro intrigo al quale Quasimodo tenta di sottrarla con il rapimento. Infine Marisa De Vita si diploma con Don Quisciotte accompagnata da Marco Protano. La storia è quella tra Kitri e Basilio: i due s’incontrano nella piazza del villaggio. Le loro allegre danze si fermano improvvisamente all’apparire del padre di Kitri, che vuole costringerla a sposare il nobile e ricco Gamache. Nel mezzo le linee della danza contemporanea, una scandalosa video dance, l’energia dell’hip hop, la bellezza del modern, l’omaggio a Renato Carosone e l’incursione della Compagnia dell’Arte per una rilettura del film “Ballerina”. Gli insegnanti, coreografi e assistenti: Monica Micali, Sonia Saggese, Simona Dipierri, Annalisa Di Matteo, Davide Raimondo, Sara Forte, Axel Palombo, Maria Sansone. INFO UTILI Per tutte le date l’appuntamento è alle 19.30. L’ingresso è a invito. Presenta Gaetano Stella.
source https://www.ilmonito.it/danza-cinque-giorni-di-saggio-spettacolo-e-7-diplomande-per-il-professional-ballet-di-pina-testa/
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pantalaimon83 · 4 years
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Ogni viaggio che ho aspettato
Gli anni 2018 e 2019 sono tra i peggiori. Ma i viaggi che ho fatto sono stati dei momenti in cui ho veramente vissuto, fatto esperienze, provato emozioni. Sono stati belli e importanti. Non sempre sono stati entusiasmanti, non tutto è stato piacevole, non sempre mi sono sentito veramente nel luogo, però c’ero e ricordo con nostalgia.
Ho sempre avuto il desiderio di viaggiare e ben poche possibilità. La prima volta che ho varcato i confini è stato soltanto nel 2006, era più simbolico che altro perché il confine era quello con la Città del Vaticano in Piazza San Pietro. Non pensavo sinceramente che avrei viaggiato davvero, rimaneva tutto lontano dalla concretezza.
Sono passati altri cinque anni per un vero viaggio all’infuori dei confini, qualche giorno a Londra per l’università. Non vedrò quasi nulla di quello che volevo, mancava il tempo e ciò che volevo vedere io agli altri non interessava. Però è stato bello.
L’anno dopo in Spagna, a Madrid solo di passaggio. Si va a Burgos, sempre per l’università. Non sarà un bel viaggio, mi sentirò male e la compagnia non sarà piacevole. Ma riesco a trovarne qualcosa di positivo, Burgos è una bella città.
Arriviamo al 2018, finalmente posso decidere per conto mio, Nei limiti del non poter spendere più di tanto. Mi organizzo per Parigi e per Londra, pochi giorni, ma va bene così.
A Parigi capito nei giorni più freddi dell’anno, una perturbazione di origine artica porterà un gelo tremendo. Gran parte degli spostamenti sarà in metropolitana, a piedi farò il meno possibile. Vedrò alcuni dei musei più importanti e Notre-Dame prima dell’incendio. Scopro una cosa che reputavo superficiale e invece è importante: è bello scoprire la cucina del luogo. Per fortuna avevo studiato il francese a scuola, è stato veramente utile.
A Londra sarà già primavera, finalmente vedrò molte cose rimaste in sospeso dal viaggio precedente. Ho ancora tanto da vedere in realtà. Andrò pure a Oxford per vedere alcuni luoghi dei libri che ho apprezzato. Avevo timore che il mio pessimo inglese mi potesse creare problemi, me la caverò.
In autunno il viaggio più lungo e complesso che ho organizzato: Porto, Lisbona e ritorno da Madrid. La prima volta in un paese di cui non conosco la lingua e che lingua incomprensibile è il portoghese. È stato il viaggio più bello di tutti e non me l’aspettavo. Saranno state le belle giornate di sole, novembre è il mese più piovoso in Portogallo, sarà stata quell’atmosfera nostalgica che mi ricordava gli anni ‘90 che ho vissuto, sarà stata quella luce particolare di cui mi avevano parlato e che pensavo fosse solo la solita frase da emotività facile, ma è stato davvero molto bello. In Spagna la fine del viaggio, a Madrid vedrò le cose che mi interessavano, non molte. Un giorno l'ho passato a Toledo, una bellissima lunga passeggiata.
Nel 2019 il viaggio in Irlanda, una settimana complessa da organizzare perché le cose belle non stanno nelle città. È stato il viaggio in cui ho interagito di più con la gente del luogo, l’inglese che parlano è difficile da capire, ma ci si abitua.
Quell’anno anche due brevissimi viaggi in Italia, in primavera nelle tre V del Veneto e quasi a fine anno a Roma per un concorso, riesco a fare una breve passeggiata anche qui.
Sapevo che dopo questo non era detto che avrei fatto altri viaggi a breve, il problema è il solito: il lavoro. Il resto non potevo immaginarlo. Per cui si torna ai viaggi immaginari che aspetterò e desidererò, ma questa volta sono fiducioso di riuscire a farli, prima o poi.
https://www.youtube.com/watch?v=TVlMO-5TE9c
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spettriedemoni · 5 years
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Il mondo dell'assurdo
Mi guardo in giro e mi rendo conto che Flaiano aveva ragione: la situazione è grave ma non seria. Lo diceva per l'Italia ma in questi giorni lo si può estendere a tutto il mondo.
Si comincia con l'incendio di Notre-Dame a Parigi. Un tweet suggerisce di usare degli elicotteri per spegnere l'incendio. Una idiozia perché scaricare l'acqua dall'alto rischia di rovinare le poche cose sopravvissute all'incendio e dunque si farebbero solo più danni. La cosa curiosa è che a suggerire questa soluzione è Donald Trump il presidente degli USA. Questo non potrebbe fare il pompiere ma fa il presidente della prima potenza mondiale. Stanno messi bene, insomma, pure oltreoceano quanto a governanti.
Arriva la Pasqua e in Sri Lanka una serie di attentati dinamitardi coordinati fa strage di fedeli in chiese e in hotel. La preoccupazione maggiore per molti è che la Clinton e Obama usino Il termine "Easter worshipper" invece di "cristiani" per indicare le vittime. Questo testimonierebbe la loro adesione al progetto di sostituzione della popolazione occidentale perpetrato da Soros, Kalergi e non so chi altri. Uno di questi è un giornalista che si occupa di cronaca estera su RAI 2. Sì, un giornalista agli esteri della seconda testata nazionale se ne è uscito con questa idiozia. Usa Google Translate per l'inglese, insomma. Ovviamente viene sbugiardato da docenti d'inglese e da Paolo Attivissimo che, tra le altre cose, è di madre lingua inglese. Il problema non è l'ignoranza ma l'arroganza di chi è ignorante.
A Roma la sindaca Virginia Raggi è attaccata per via del suo pessimo lavoro. La attacca la Lega, che vuole conquistare la Capitale, pur essendo alleata al governo con i 5S. È isolata dal suo stesso partito, non proprio accorato nel difenderla, e domenica è uscito un articolo su L'Espresso che non le fa fare una bella figura, diciamo.
Il problema più grave di questo reportage, però, per molti grillini, è la foto di copertina. Sì, perché Virginia Raggi in copertina è ritratta in bianco e nero, con qualche ruga e un'aria stanca. La foto è semplicemente un po' più saturata, nulla più, come fecero a suo tempo con Berlusconi, nulla di che, fa solo vedere una persona in modo più veritiero, senza filtri o ritocchi.
L'Espresso si prende le accuse di sessismo. Avete capito bene: sessismo da quelli che offendevano la Boldrini, la Rita Levi Montalcini e che compilavano le liste di proscrizione dei giornalisti e che insultavano la Boschi. Loro. Faccia come il culo, insomma.
Poi però L'Espresso va bene se fa reportage contro la Lega con cui loro sono alleati al governo. Capolavoro.
A proposito di Governo, il Presidente del Consiglio dei Ministri Conte riesce a citare un grande scienziato in un suo discorso: Albert Astàin. Non so bene chi fosse ma ce l'aveva con i pesci e con l'acqua in cui nuotano, se ho capito bene.
Infine lo "spin doctor" (qualunque cosa significhi) di 5alvini pubblica su Facebook la foto del ministro dell'interno con un mitra in mano e dice che i legaioli sono "armati e con l'elmetto". Se segnalate questa foto allo staff di Facebook non viene rimossa perché non viola le linee guida della piattaforma. Fa più paura una tetta nuda che un mitra, insomma.
Un po' come in Texas dove puoi portare una pistola a scuola ma non un dildo.
Non è bellissimo tutto ciò?
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ilgrafico-2era · 5 years
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Сентябрь 2019
Il potere del Grafico è così immenso che raggiunge le porte del continente asiatico. Ebbene sì, il trash amore non si ferma, anzi, si moltiplica e per questa stagione 2019-2020 metterà le radici anche in quel di Ekaterinburg, nella fredda quanto piena di drammi Russia.
I drammi trash-amorosi seguono infatti Nora, membro conosciuto per non essere mai stato attivo se non nei primi grafici [quelli con ancora nessun’annotazione] per essere collegata a sé stessa [self love è comunque amore, dice la regia]; che per la prima volta, oltre che portar intrighi, ne prende anche parte.
Ma non perdiamoci in chiacchere, perché questo primo mese della quarta edizione versione russa è ricco di scoop. Iniziamo quindi con il primo scoop riguardante proprio Nora: la missione fetus-lover-boy; perché in un triste mondo dove gli sugar daddy non si riescono a trovare e in cui si è costretti a frequentare una classe 8, l'efebofilia acquista tutt’altro tono [DISCLAIMER: non c’è nessun reale caso di efebofilia o pedofilia reale, è solo per divertimento piccolo spocchioso agente FBI/polizia postale che sta leggendo questo post]. Il nome è Женя [jenia per voi comuni mortali che non leggete il cirillico] ed è un comune ragazzo della 8B che ama applaudire, potrebbe essere il nuovo Quasimodo nella prossima rappresentazione musicale di “Notre Dame de Paris” e che conosce solo la parola “boobs” in inglese.
Tutto iniziò quando Nora entrò in classe il primo giorno di scuola e non aveva idea di dove sedersi, ignorata da chiunque altro se non Жeня decise di sedersi nei banchi vuoti accanto al suo [seguendo il suo consiglio di sedersi dove avesse voluto]. Tristezza volle che lui le dicesse in quell’esatto momento: “Anche più in là se vuoi”, facendole “sciò-sciò” con la mano verso la parte opposta dell’aula. Da quel momento, l’orgoglio di Nora per essere stata schifata da un ragazzetto è entrato in gioco e si salvi chi può; la missione era quella di sedersi accanto a lui senza che si spostasse [cosa non riuscita] e di farlo parlare/salutare, cosa che invece è quasi riuscita. Con il passare del tempo ogni volta che i due incrociavano lo sguardo, il fetus-lover-boy prendeva sempre più spesso l’iniziativa di salutare con la mano o di sorridere. Il clue della vicenda inizia quando Nora si annoia del gioco e il FLB [fetus-lover-boy, il nome è troppo lungo] capisce che in realtà non sono solo le tette che importano. Durante le lezioni inizia a sedersi sempre più spesso vicino ai tavoli occupati dagli studenti AFS e le fonti dicono che a volte passa intere lezioni a lanciare occhiatine in direzione di Nora… Che si fosse realmente accorto di lei? Un giorno è anche più spavaldo del solito e intraprende una mini-conversazione incentrata su uno scambio di gomme da masticare. La vicenda pende, però, una piega inaspettata quando, ad una lezione, Nora e un altro personaggio su cui ci concentreremo dopo sono in ritardo. Nel tempo in cui non erano presenti il FLB continuava ad alternare sguardi fra il grupo di studenti AFS e la porta. Quando, finalmente, arriva a lezione, continua ad osservarla nonostante fosse stato beccato dalla diretta interessata più volte; si mette perfino a guardare il foglio che i due stavano scarabocchiando e a ridacchiare assieme a loro ogni tanto. Colpo di scena: quando l’altra persona, ovvero Nicolò, si alza per andare al gabinetto, FLB lo segue con lo sguardo e si sporge per GUARDARGLI IL SEDERE (?!?) Mi sa che Nora non riuscirà mai a combinare nulla con FLB, ogni cosa/essere/forza astrale “cockblock” her. Infatti, una volta, in corridoio, Nora era stata spintonata e stava per cadere fra le braccia proprio del suo FLB quando una professoressa spuntata dal nulla la ritrae e le dice: “Oh cara, sta’ attenta stavi per cadere”. Ma che gentile e premurosa guastafeste.
Ma ora passiamo ad altro. Voi fan e seguaci fedeli del Grafico vi ricorderete sicuramente di uno dei pilastri che hanno sorretto il Grafico per ben tre anni, Leshi, ed anche della sua versione tedesca, Leon. Bene, come in ogni formato del Grafico che si rispetti, anche nella versione russa esiste un ragazzo a cui mezzo mondo corre dietro senza un vero motivo, Nicolò. Il ragazzo, infatti solamente nel giro di tre giorni si è già trovato tre bimbette stalker [letteralmente] che gli vanno dietro e perfino una moglie, che il giorno in cui è arrivato a scuola con il completo si è sciolta completamente [e chi vuole intendere, intenda]. Ma, a parte le orde di fanciulle che ogni giorno gli si presentavano chiedendo l’Instagram e le chicche sopracitate, nulla di particolarmente degno di nota è ancora successo. Tranne per il fatto che la vita è severa e quindi la persona possibilmente più gelosa dell’intera città, nonché la sorella ospitante di Nora, Natsya, si è presa una mega cotta per lui. Non è nulla di confermato, ma anche sì. Nastya, infatti, ammette di avere una cotta per un ragazzo più grande, non russo e che la ignora per parlare con altre, quoto, “bitches”, parola solitamente accompagnata con un pugno tirato nell’aria. Oh, e ci siamo dimenticati di aggiungere che pensa Nora glielo stia rubando. Quanto profondo ancora sia l’interesse, non è stato appurato, ma per il momento sembra non essere ricambiato, ma anche sì. Fra battute e non, prima che si scoprisse la “parentela” e la data di nascita di Natsya [2004], Nicolò si poneva non particolarmente contrario al conoscerla meglio [e qui ancora, chi vuole intendere, intenda], ma evidentemente la regola “bros before bros’ underage host sisters” ha ancora un valore; al massimo, a detta sua, se Nastya insiste, si può fare una cosa a tre. Nora ora si trova divisa da una parte ad impedire che una qualsiasi cosa che possa rompere il delicato equilibrio esistente accada e dall’altra a dare consigli alla sorella su come conquistare il suo di lover-boy. Ma allo stesso tempo, chiunque la conosca, sa che c’è una terza parte che la osanna, ovvero quella del far continuare ad espandere il trash amore. Come si evolverà la faccenda, è un mistero che nemmeno il fedelissimo oroscopo mattutino di Elisa può predire.
Ultime annotazioni flash prima di chiudere. Paul, l’inquietante francese che prova a fare battute divertenti sconce ma risulta solamente come un bambino che prova ad imitare l’humor dei Griffin, attrae forse l’interesse di Agata, ragazza locale, che lo invita a prendere un caffè assieme separandosi dal resto del gruppo per quello che sembrava un appuntamento… Al momento di salutarsi, però, quando Agata si sporge per un abbraccio, Paul la rifiuta. Caro Paul, come farai a trovarti una fidanzata russa se non dai una chance all’unica interessata?
Inoltre, quello stesso giorno, un’altra ragazza russa si fa avanti senza troppi problemi, Lisa, la sorella ospitante di Elisa, che chiede di punto in bianco, non l’Instagram, ma il numero di telefono di Elias, un tedesco sempre del gruppo di AFS [che confusione di nomi praticamente tutti uguali se non per una lettera, eh?], ma per il resto non è più successo nulla. Si starà a vedere e lowkey si spera nulla si sviluppi, altrimenti trovare il nome per questa ship sarà un'impresa sofferta... Si conclude così questa prima parte del Grafico versione Русская [trovabile nei tag o con il mese e l'anno relativo con l'aggiunta di RU oppure con il tag #ural-trash], ricca di inizi promettenti per sviluppi sconvolgenti e che si prospetta non avrà mai delle entrate ridotte nel conteggio delle parole. Questo è tutto, Пoка Пока!!
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dreamers-queen · 5 years
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Valentine, sense, silk, gorgeous :)
best gift you’ve ever received?Due anni fa, i miei genitori mi regalarono, a sorpresa e mantenendo incredibilmente bene il segreto, un secondo biglietto per la tappa di Lecce di Notre Dame de Paris. Io già mi struggevo al pensiero di dover aspettare chissà quanto fino alla volta successiva, dopo averlo visto il 21 Luglio, invece all’ultimo minuto del 23 mi dissero “dai, vestiti, usciamo” e mi portarono la busta con dentro il biglietto. Fu magnifico, ovviamente ♥
best subject? favorite subject?A scuola, se ho capito bene? Beh, andavo forte in Arte e Letteratura, erano quelle le mie materie preferite. Al contrario, ero un disastro in matematica.
what outfit makes you feel confident?Quando mi vesto “elegante”, per così dire, quando metto su un vestito lungo. Probabilmente perché nella vita di tutti i giorni, ovviamente, non lo faccio mai XD
what do you like in a person?Boh, tante cose...mi piacciono le persone sicure di sé, probabilmente perché io non lo sono. Mi piace chi prende l’iniziativa. Mi piace chi ha spirito di sacrificio e non pensa solo a sé, mi piace chi non giudica senza conoscere ma nemmeno tratta tutto come fosse polvere da spazzare sotto il tappeto dicendo fesserie qualunquiste tipo “tutte le opinioni sono legittime” (no, alcune sono minchiate e basta ed altre sono proprio pericolose) oppure “il fine giustifica i mezzi” (è da vedersi pure questo, imho), insomma mi piacciono le persone che riescono ad essere tutto ciò che vorrei essere io :)
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“Chi può decidere un mostro cos'è?| Perché un uomo odia, perché un mostro ama?| Che cosa decide il perché?”
Buongiorno ragazzi,
oggi sara’ una giornata decisiva per me, che dovrebbe determinare il mio prossimo futuro. La profezia di Victor Hugo sembra cascare a pennello... Non voglio fare ironia su quanto e’ accaduto ieri alla magnifica Cattedrale di Notre Dame, un punto di riferimento nell’immaginario collettivo e simbolo di una delle citta’ piu belle al mondo.
Mi sento legata in qualche modo a quell’edificio, in particolare alla figura di Quasimodo (non che mi paragoni a lui dai, ho ancora un po’ di autostima) che e’ tornata periodicamente nella mia vita.
Oltre ad aver visto il cartone animato della Walt Disney almeno 100 volte - ero uscito pure uno di quei tristi sequel tipo ‘la Sirenetta 2″ o ‘Pocahontas 2″ - ho presentato il personaggio di Quasimodo nella tesi delle superiori, per letteratura francese. Il tema centrale era “il brutto” e la tesi era focalizzata su figure della letteratura, arte, filosofia che erano brutti di aspetto ma belli nell’animo. La tesi ebbe un grande successo - me ne chiesero adirittura una copia da conservare negli archivi per i futuri maturandi - e Victor Hugo e Quasimodo mi accompagnarono durante i lunghi mesi di agonia prima della prova orale. 
Altre tematiche che ricordo di aver riportato nella tesi furono:
- Letteratura italiana >> “Ode a Saffo” di Giacomino “Mai una gioia” Leopardi (ovviamente il mio autore preferito). E, ovviamente, la prof mi chiese di parlare di Foscolo che era argomento di quarta superiore. Era ossessionata da Foscolo. 
- Storia dell’arte >> ho trattato diversi temi - essendo forse la materia che piu’ si prestava - tra cui “L’antigrazioso” di Boccioni, una fase pre futurista che in pochi conoscono, “Le donne di Picasso”, “I ritratti di Francis Bacon”. E ricordo che il prof esterno di storia dell’arte mi chiese di parlare del “Brutalismo”, una corrente architettonica che ovviamente la prof aveva solo citato senza dargli peso...
- Filosofia >> non ricordo quale filosofo tedesco avesse trattato il tema della bruttezza esteriore, ahime’ e’ una materia che non ho mai amato, ma fortunatamente la prof ci aveva scritto prima della prova orale per domandarci di che argomento avremmo voluto parlare. Salva!
- In letteratura francese in realta’ non citai solo Victor Hugo e il suo antigrazioso personaggio piu famoso. Il gruppo di teatro della scuola aveva messo in scena Cyrano de Bergerac (come non citarlo tra i brutti?) e colsi l’occasione per andare a vedere lo spettacolo e parlare anche di lui, come tema extra legato al teatro (il mio corso di studi era molto incentrato sul teatro). 
Questi a grandi linee sono i punti che mi ricordo. Il mio primo elaborato, una delle prime prove della mia vita... chissa’ quante ce ne saranno ancora, ma la sensazione che provi dopo aver terminato l’orale - quando chiedi a tutti di restare fuori dall’aula e poi senti lo scroscio di applausi dietro di te - e’ indimenticabile. 
“Il Gobbo di Notre Dame” fu anche uno spettacolo teatrale che recitammo durante una settimana bianca in montagna con il mini club. E in quell’occasione ebbi una delle mie prime grandi delusioni. Diedero la parte di Esmeralda, che bravamo fin dall’inizio, alla mia amica - che tra l’altro si e’ sposata lo scorso anno e io ero la testimone - bionda che gia’ l’anno prima mi aveva soffiato la parte di Anastasia.In un primo momento mi offrirono la parte del Gobbo, e dissi di no, cosi mi misero tra le riserve a fare la zingarella. Niente, lacrime a dirotto. Fortunamente l’animatrice gia mi conosceva da diversi anni e sapeva che io ero destinata al palcoscenico, non a stare dietro le quinte. Cosi mi assegno’ la parte di uno dei Gargoyle. A parte una stupida caduta mentre tentavo di fare una ruota - dimenticandomi che stavo indossando una tunica stretta - la mia performance fu un successone. Anzi il pubblico penso’ che la caduta era fatta apposta!
In realta’ fare l’attrice e’ sempre stato un mio sogno nel cassetto. Ma sapendo in che misere condizioni vivono in Italia, ho abbandonato il progetto. Anche se penso faro’ presto un corso di teatro. Mia cugina si e’ scoperta attrice dopo i 60 anni, io ho ancora tempo per arrivarci. 
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inbaliaaporia · 5 years
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Mi innamorai di lui più volte e credo che sarebbe accaduto tante altre volte ancora. Mi innamorai di lui all'improvviso, da un minuto all'altro mi cambiò l'esistenza, il corso della sera, di quell'anno e probabilmente della vita intera. Mi innamorai di lui durante le prime liti in auto e nel sentirmi lacerata al pensiero di passare due giorni senza sfiorare le sue labbra. Mi innamorai di lui quando era con me in uno schermo mentre gli mostrava il fascino irresistibile di Piazza San Marco e quello macabro della laguna. Mi innamorai di lui nel Louvre a Parigi quando finalmente realizzò un mio sogno condividevo l'arte con l'amore. Mi innamorai di lui su un ponte, fuori dalla metro, nei pressi di Notre Dame. Era una giornata fredda, di pioggia e lacrime, il cielo grigio e l'anima la sentivo all'altezza della gola. Io solo so quanto mi innamorai di lui in quell'istante, mentre capii che il luogo in cui avevo sempre desiderato vivere cambiò tutto d'un tratto, diventando irresistibilmente le sue braccia. Fu il giorno in cui sentii il massimo dolore e quello che ha segnato il nostro amore per sempre, inevitabilmente. Mi sono innamorata di lui in una stanza d'hôtel e la disperazione che gocciolava dalle pareti, la notte blu di una notte riflessa tra quattro pareti, le lenzuola bianche disfatte e due corpi contorti, straziati e soli nello stesso letto a contemplare una vita senza l'altro abbandonati alle domande e all'esasperazione del saperne le risposte. Mi sono innamorata di lui ogni giorno. Mi sono innamorata di lui quando per settimane sceglievo sempre lui davanti a tutto e sembravo non accettarlo. Mi dicevo di essere egoista, di pensare al mio futuro, ai miei sogni. Ma come si dice ad una persona che vai via da lei per inseguire il suo sogno se è diventata lei stessa il tuo sogno? Come glielo spieghi a chi ami che devi andar via per costruirti un futuro se non lo vedi senza lui un futuro? Come glielo spieghi che il tuo egoismo è desiderarlo per la vita perché altro amore non vuoi conoscer al di fuori delle sue mani che ti sfiorano? Mi innamorai di lui ogni giorno, cambiando me stessa, le mie aspettative e cambiando i miei sogni ogni giorno. Mi innamorai di lui quando nonostante il deserto attorno e la difficoltà di vedere un'oasi nelle vicinanze, gli ammisi a voce alta che sarei andata ovunque, in giro per il mondo, ma solo restandogli accanto. Mi sono innamorata di lui nelle difficoltà. Mi sono innamorata delle sue parole, dei suoi gesti, dei cioccolatini inaspettatati e dei suoi occhi mentre facciamo l'amore. E poi mi sono innamorata consapevolmente. Quando ti accorgi che ami qualcuno, quando ti siedi e diventa razionale, quando avverti che è tutto più grande di ciò che immaginavi di provare e la paura si fa più densa. Mi sono innamorata di lui quando la voce color pece nella mia testa mi diceva che forse sono fatta per distruggere, e annientai anche tutto questo non dicendo a voce alta che sino ad allora tutto era solo per lui, per noi, per me e la mia felicità, ma solo con lui accanto. Divorai tutto il bene quando gli facevo credere che non fosse abbastanza e invece volevo solo farglielo capire in tutti i modi. Non ho mai avuto voti alti a scuola nel saper dimostrare, se ne accorse, di conseguenza nel distruggere si e lui non mi avrebbe mai più amata come su quel ponte a Parigi. Io invece non so quante altre volte ancora mi sarei innamorata di lui, probabilmente tante altre, probabilmente ogni giorno, probabilmente è già per sempre.
Farà spesso male, ma vi auguro di amare qualcuno così tanto. Così tanto da non respirare, da non aver fame e sonno, tanto da voler morire ma voler sopravvivere per continuare ad amare. Così tanto da star bene e star male. Un male dato sempre e solo dalla paura di perdersi. Vi auguro un amore così, può togliervi la vita e darvela ogni giorno che passa. Amate chi vi ama e il terrore di perdervi sarà il piacere più frustrante che desidererete.
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padrebaldo · 2 years
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🇫🇷 En retraite avec une trentaine de jeunes de l’école Notre Dame de Toulon en préparation pour la 1ere Communion à Cotignac lieu de l’apparition de la Vierge Marie et de st. Joseph 🇮🇹 In ritiro con trenta giovani della scuola Notre Dame de Toulon in preparazione alla 1a Comunione a Cotignac, luogo dell'apparizione della Vergine Maria e di S. Giuseppe (presso Église Notre-Dame-de-Grâces de Cotignac) https://www.instagram.com/p/Cc53S0TMiOP/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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