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#pensieri che invadono la mente
giardino-dei-sogni · 24 days
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Mi piace il tuo coraggio che guida la mia mano e quel caldo brivido che scorre nelle mie vene trasmettono desideri e pensieri, le mie dita soldati al comando della tua mente ti invadono avanzando con furore.
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il-gualty1 · 1 year
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Ci sono quei pensieri che invadono sia la mente che il corpo…
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occhidelmondo · 2 months
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Sensazioni
In questi giorni sento tutto amplificato. Sento una forza attrattiva che mi fa percepire cosa le persone vogliono da me.
Io amo essere libera, poter baciare chi voglio e far l'amore con chi voglio. Mi ero dimenticata cosa fosse la libertà e il sentirmi desiderata. Lo adoro. Mi piace tantissimo essere guardata e occupare la mente per qualche secondo di una persona. Mi mancava questo senso di libertà, di non pensiero e di staccare da tutto e tutti. Lasciare la testa scivolare via e far parlare il mio corpo.
Bene, tutto molto bello, ma c'è un problema: sto cercando di infognare le mie ombre. Non mi sento amata e, soprattutto, mi sento sola. Ci lavoro ogni singolo giorno, ma non è facile ricostruire piano piano dei pezzi di me e incollarli nella speranza che non si stacchi di nuovo qualche frammento. Mi sento come una funambula che cerca di rimanere sul filo durante un terremoto. Il contatto con le persone continua a far vacillare la mia interiorità. Mi preoccupa e mi destabilizza quello che sento. Vorrei tanto non aver percepito il desiderio di alcune persone su di me, ma purtroppo, l'ho sentito e tutto questo mi disgusta.
Questo punto ci ricollega a una serie di eventi che mi fanno sostare su l'ironia della vita e sulla speranza che quello che ho percepito sia una falsa pista: due mesi fa un mio amico mi chiese se tra me e il mio migliore amico ci fosse qualcosa, o meglio se lui fosse innamorato di me, io gli ho risposto di no perché c'è un amore fraterno. Tutto calmo fin quando ieri mia madre mi chiese: "Perché voi due non avete mai provato a stare insieme?", io le risposi per il nostro legame fraterno e il fatto che siamo due persone che non starebbero mai bene insieme. Giugiamo ad oggi: io e il mio migliore amico siamo con il nostro gruppo di amici, la sua ragazza mi fa spazio tra lui e lei. A un certo punto mentre stavamo parlando lui inizia a coccolarmi e ad abbracciarmi. Niente di strano, se non fosse per la sensazione che ho sentito: il suo desiderio su di me. Non so perché ho sentito questo, forse per il modo in cui mi ha accarezzata? Non lo so, ma questo mi ha molto angosciata. Non tanto per i suoi sentimenti, ma per tutta una serie di cose da dover gestire e che io in questo momento non voglio.
Mille pensieri, stupidi e inutili invadono la mia psiche, mi soffoca le energie e mi spegne. Dovrei semplicemente godere di più della vita, senza l'ansia del futuro.
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silviascorcella · 6 months
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Marco De Vincenzo p/e 2018: stile libero dentro un’estate siciliana
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È questione di caparbietà a sapersi divertire con l’equilibrismo perfetto come fosse un piacevole trastullo giocoso: è una dote, semplicemente, quella di reggersi gloriosamente in bilico tra l’istinto puro che dalla profondità del cuore, come fosse un’incantevole voce di sirena, richiama alla necessità irrinunciabile di raccontare la propria creatività con l’arte della stoffa e dei materiali pregiati, e la contemporaneità del mondo fuori che esige sempre nuove forme di bellezza frettolosa. 
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{photo backstage © shotbygio e Elle}
È questione di talento: intenso e caleidoscopico, sincero e per questo sempre più applaudito. Questa è la mischia caratteristica e imprescindibile di Marco De Vincenzo: che dalla sua vocazione sartoriale passa attraverso l’instancabile mente creativa e si trasferisce in forme d’eleganza sempre nuove, eppur sempre mirabilmente riconoscibili.
Forse forse…si potrebbe sospettare un lieve penchant squisitamente personale nella penna che sta tracciando questo ritratto: ed in parte è vero, grazie ad in incontro in un’esordiente intervista di svariati anni fa che, oltre ad essere un ricordo prezioso, è una riconferma felice di come l’essenza estetica e stilosa di Marco De Vincenzo muti nel tempo in nuovi racconti, senza mai osare diventare altro dalla fedeltà alle proprie passioni e al desiderio di sorprendersi. E di sorprendere: come accade felicemente nella collezione Primavera-Estate 2018!
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Un carosello di creazioni sartoriali che nascono da un’ispirazione solo in apparenza rischiosa, ma che nella sostanza si è rivelata… una bellissima sorpresa, per l’appunto. La collezione sorge da un viaggio di ritorno a casa, in quella terra sicula che di Marco De Vincenzo è terra natìa, ma che nella moda è spesso fonte di citazionismi perigliosi: ma eccola la cifra stilistica che lo contraddistingue, qui la Sicilia non è macchietta da tour turistico pregno di folklore, bensì è la delicatezza di una miscela sensuale, di ricordi e piacevolezze intime, personalissime, che diventano una sorta di storia di un’estate siciliana trasognata e vissuta nelle percezioni piene, libera nei pensieri e nelle non-regole d’abbigliarsi, attraversata da guizzi per nulla retrogradi di memorie pop.
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 Il tipico piglio colto, però, resta: nel pretesto che dà il titolo alla collezione, ovvero due fra i numerosi antichi nomi che l’isola ha ricevuto lungo la storia, Ultrapharum e Triskelion. 
Cosa farne? Di certo non c’è bisogno di accorrere a tomi antichi per approfondire le conoscenze storiografiche e mitologiche racchiuse nell’etimologia: bensì, basta divertirsi a vederli tramutarsi in caratteri pop assai vivaci che invadono le t-shirt, stampe dalle tinte psichedeliche che a loro volta diventano motivi grafici che sanno di clubbing e anche un po’ di Seventies, patch con l’emblema della Trinacria immerso nel glitter e applicato a mo’ di decoro sulla giacchetta in scuba o moltiplicato in sequenze optical. 
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La collezione è dunque un omaggio alla sua Sicilia interiore, ai contrasti intensi che la rendono unica, a quegli stessi contrasti che della poetica stilistica di Marco De Vincenzo sono il segreto della sua sofisticata, perfetta imperfezione.
La cornice estiva che rievoca lunghe feste e nonchalance di guardaroba giustifica la levità dei tessuti fluidi, la camicia maschile sbottonata, i pantaloni che rivelano la caviglia e quelli che terminano in un’ampia corolla mentre scoprono l’ombelico: poi arriva l’amore per l’ornamentalismo, che arricchisce tale semplicità con dorsi di macramé, con ruches che profilano i cardigan morbidi e diventano balze nell’abito lungo, con quelle sue frange sottili e brevi, fitte fitte a pennellare gonne e abiti di tinte degradé e per questo assai chic proprio come i sandali -da quelli flat agli stiletto vertiginosi- che ne sono percorsi, con i bagliori del lurex per le maglie a mo’ di vestito e con la rete per i top. 
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La dote dell’equilibrismo vien fuori anche nel saper bilanciare quel sentimento del colore, che Marco De Vincenzo usa come fosse un vero maestro d’arte, con un gesto d’affettività semplice condivisa: guardatele bene quelle borsette a mano, guardate l’immagine creata dai ricami, e divertitevi tutte con i richiami ai manifesti cinematografici dei grandi classici sempre imperdibili, da guardare nei cinema locali in una stellata notte d’estate siciliana.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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pu-ni · 7 months
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Immagino quanto tu possa essere stanco a fare mattina e pomeriggio. Non riposi mai. Eppure almeno tieni la mente sempre impegnata.
Così almeno tu non hai pensieri in testa che ti invadono
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blanche30leroy · 2 years
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#day 3
Ma allora ero davvero sempre e solo io? Sono davvero un soggetto paranoico? Già solo questa premessa non sembra lasciare spazio a molte altre possibilità. No, non è vero, so di non potermi diagnosticare da sola un disturbo paranoide e so che potrebbe essere solo un periodo oppure le ferite del passato oppure l'ansia della cosa nuova e ancora in parte sconosciuta... eppure eccole qua, di nuovo, le mie vecchie e ben conosciute sensazioni. Mi invadono il cervello, non lasciano spazio a nient'altro, non mi permettono in prendere in considerazione nessun'altra interpretazione se non la peggiore immaginabile. Basta una minima variazione su ciò che sono abituata a vedere o leggere ed ecco che mi chiedo se abbia fatto qualcosa che non va, se la persona che ho di fronte non si sia segretamente stancata di me, se ha cambiato idea sui suoi sentimenti, se c'è qualcosa che non vuole dirmi per qualsivoglia motivo. Non è salutare ma soprattutto non ha senso. La razionalità è l'unico strumento di cui dispongo ma non funziona sempre. Non sempre è convincente abbastanza. Non sempre sono in grado di interrompere il flusso di pensieri, smettere di alimentare la valanga di domande che vede come unica risposta possibile la peggiore di tutte. E magari invece basterebbe "spegnere" tutto, distrarmi, non alimentare i pensieri perché questi passino via da soli e torni tutto alla serena normalità in cui ero solo io a farmi film e nella realtà stava andando tutto bene. Non posso tornare a chiedere un sollievo momentaneo esternando effettivamente queste domande all'altro, non posso e non voglio tornare ad essere dipendente da qualcuno.
Anche agli altri succede? È normale o sono malata? Dovrei farmi visitare per scoprirlo, chiedere a qualcuno di aiutarmi a capire cosa c'è che non va ma soprattutto fornirmi dei mezzi per riuscire a interrompere il tutto quando comincia. Leggevo su un libro che la nostra mente è come una stazione ferroviaria e ogni pensiero è come un treno: noi siamo lì, nella stazione, ma non dobbiamo necessariamente salire su ogni treno che arriva. Possiamo semplicemente guardarli arrivare, fare la loro fermata e aspettare che ripartano senza che noi ci siamo sopra.
Devo solo allenarmi, la quotidianità mi fornisce sufficienti sfide per potermi fare le ossa.
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im-perfect-wonder · 4 years
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Ci sono cose che
non si possono spiegare,
sensazioni che abbiamo vissuto
che risultano belle solo se
raccontate tra noi due.
Sensazioni dettate
da attimi di passione,
come quando prima di addormentarci,
finiamo per fare l'amore fino a tardi
senza preoccuparci di chi possa sentirci.
Certe cose non le puoi spiegare,
un cuore che batte all’impazzata,
o perdere la facoltà di parlare
perché troppo concentrata
a fissarti mentre parli,
nessuno capirebbe ciò che
mi accade dentro al petto.
“È l’amore”, così motiverebbero
il mio attenzionarti troppo,
ma credo sia più una dipendenza,
perché anche quando passiamo
giornate intere insieme
per me non è mai abbastanza
perché sto bene in ogni posto
ma non sono al posto giusto
se non ci sei tu.
Vorrei saperti ogni sera nel mio letto,
io che ti racconto la mia giornata
e ascolto la tua,
e poi ci addormentiamo
l’uno abbracciato all’altra.
Ed il fatto è che,
hai la capacità di svegliarmi felice
ogni volta che dormiamo insieme,
mi prendi la mano nella notte
e ti giri avvolgendo le braccia
intorno a me:
questo è il posto più sicuro
che io abbia mai conosciuto.
Ti vorrei nel mio futuro,
e forse perché non riesco più
a fare a meno di te.
Non posso lasciarti andare,
non voglio, perché sai come diventare
il più grande bambino imbronciato
che conosco e poi perché
mi fai ridere e mi rendi felice.
Resta con me,
facciamo le pazzie più pazze che conosci,
resta con me anche quando mi odierai,
quando diventerò insopportabile
o arrogante.
Resta quando starò male,
o quando sarò io ad odiare te,
perché sarà il momento in cui
avrò più bisogno di te.
Resta e fai di noi la tua quotidianità,
io lo sto già facendo,
perché tu per me sei
l’inconfondibile odore di casa.
Buon Natale amore mio. ❤️🎄
@im-perfect-wonder
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Ci sono dei momenti in cui i pensieri invadono così tanto la mia mente che comincio a perdere le parole. Letteralmente. Parlo con le persone e mi blocco, rimanendo in silenzio a cercare quella parola che non ricordo nemmeno più come suoni o con che lettera inizi. Sento i pensieri affollarsi e fatico a decifrarli. Mi sento come un foglio scritto e accartocciato, gettato poi in un secchio o forse per terra. Sono così confusa che mi sento stanca, ma proprio stanca nel corpo e non solo nell’animo. Ho bisogno di rallentare, di riposare, di fermarmi. Quanta fatica le parole, quanta fatica i pensieri. 
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hellangels · 2 years
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Lacrime mi rigano il viso, scendendo giù per le guance fino alle labbra.
Sensazioni che si fondono, fra dolore, insicurezze e tristezza, si contorciono nello stomaco.
Tante brutte parole e pensieri invadono la mia mente e autolesionismo vuole il mio cuore.
Agli occhi degli altri mostro esagerazione verso le cose.
Mostro esagerazione verso un gesto.
Come se non sapessi esprimermi.
Mi chiedo perché c'è sempre una critica di giudizio di un comportamento invece che chiedersi il perché esso ci sia.
Perché le persone non si chiedono il perché di un gesto anziché puntare il dito contro?
La vita a volte mi sembra un processo all'intenzione.
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abr · 3 years
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(...) mi ritrovo, vergognandomi, a pensare che è stata la Boccassini a dare la stura alla faccenda, non io, e che obbiettivamente e indubbiamente la scena fa ridere, no dico, fa ridere molto (...), lei con tutta quella capigliatura riccia sull’aereo per l’Argentina, in quel “lusso rilassante” - lo ha detto la Boccassini, mica io, “lusso rilassante”, che poi fa rima con “cena elegante” (...) appoggiata per tutto il tempo (...) sulla spalla di Giovanni Falcone, ascoltando Gianna Nannini, che uno si immagina Falcone, “per tutto il tempo”, con Gianna Nannini nell’orecchio e i capelli ricci della Boccassini nel naso che gli prudono, col braccio addormentato e la Boccassini che si struscia e canticchia. Dico, già questi pensieri non andrebbero fatti su due magistrati, impegnati nella lotta alla mafia, uno dei due ucciso anche dalla mafia, insieme alla scorta e alla moglie (...).  Perché la domanda che mi gira in mente da due giorni, è molto peggio di questi pensieri assurdi e malati che mi invadono il cervello, e mentre sono ancora cosciente mi dico “no, quella domanda, cioè quella battuta, no, non puoi farla, te ne pentiresti”. E infatti non la faccio e me la tengo per me. (Ma quella sera, sull’aereo, il GHB chi l’ha portato?).
via https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/ldquo-lusso-rilassante-rdquo-che-fa-rima-ldquo-cena-elegante-quot-285523.htm
Credere ai magistrati semidei esenti da li peccata carnali, quindi esecrar la Magistrata rossa di pelo e di idee per aver osato “sputtanare” un mito col ricordo: questo è il risultato dell’antimafia mitizzata dai pupari, dell’anti berlusconismo dei puttanieri da nigeriane che stigmatizzano le “cene eleganti”. Così Ilda la rossa impara a non credersi esente dai demoni che ha cavalcato per decenni, verrebbe da dire. 
Noi che polentoni siamo, la debolezza della nostra carne conosciamo e contezza da territori occupati purtroppo abbiamo pure di quella dei buromagistrati con l’acciento, la cosa non ci cambia affatto l’immagine che abbiamo dei Falcone e Borsellino - e del Berlusca.   
Ottavio Cappellani invece è intellettuale della Magna Grecia; se fosse un polentone grezzo come noi, il pensiero conclusivo da reprimere a ogni costo sarebbe il popolano, naturale non artificiale, definitivo:  ROXA DE PELO, MATA PAR L’OSELO. 
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patriziacavalleri · 3 years
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I miei figli sono bellissimi. Cresciuti, il tempo ha macinato stagioni, le loro e le mie, li osservo da questo angolo di tempo e li ammiro. Ho perduto i bambini che erano, quelli che gettavano le braccia al mio collo, quelli che si fidavano ciecamente di me. Quei figli di una volta non esistono più, o vivono sepolti nei miei ricordi, il germoglio è diventato fiore, frutto, albero rigoglioso. Ma quando i miei figli ridono accade un piccolo miracolo, la voce, il viso, lo sguardo ritornano a essere quelli di allora, in loro riemergono i bambini di un tempo, indifesi eppure fortissimi, quelli che dipendevano da me e consideravo come una parte inscindibile, come un braccio, una gamba, come un pezzo di cuore. I bambini ringraziano per ogni cosa, non con la voce ma con lo sguardo. Sorridono con gli occhi e con le labbra, alzano le braccia al cielo e benedicono la gioia. È il loro modo di dire grazie, e ci riempie il cuore. Poi, crescendo, il tempo getta addosso le maschere più cupe. Impariamo presto a ingannare noi stessi, tradendo l’essenza più vera di quello che siamo, e involontariamente vestiamo panni che non ci appartengono, recitando la parte di chi ormai non attende nulla, di chi ha appeso l’anima al chiodo. Si rischia di diventare adulti così, perdendo l’istinto del sogno e l’umiltà di ringraziare con naturalezza, come l’erba è grata alla pioggia, o la nuvola alla tramontana. Eppure la gratitudine è benzina preziosa, funziona e spinge avanti il motore della vita. Si può credere in Dio, oppure non crederci e pensare all’esistenza come a un accidentale gioco d’incastri. Si può ringraziare la sorte, la vita, qualunque cosa ci venga in mente. Viviamo, respiriamo, sorridiamo e piangiamo. Ogni istante accade irripetibile, dobbiamo soltanto accorgercene. Ho avuto cielo sulla testa e terra sotto i piedi, aria nei polmoni e acqua da bere, cibo in tavola e due figli che aspettavano il mio ritorno. Ho avuto una famiglia, una madre e un padre, un gatto, un libro di poesie da scrivere e musica da suonare. Tutto intorno a me è stato fonte di bellezza intangibile, bastava solo riflettere, guardare oltre, esserne consapevoli. Penso ai miei figli, e penso al dono. Non a quello guadagnato col sudore, al dono e basta, quello capitato senza cercarlo o meritarlo. Quello che succede al di là dei meriti o degli sforzi. Mi concentro sul regalo e gioisco. Grato di essere grato. Non è facile essere padre, non lo è mai stato. Difficile scardinare alcuni pregiudizi, preconcetti, pensieri che invadono le coscienze. Ho sempre cercato di essere un punto di riferimento, precario, a volte instabile, ma comunque un punto fermo, qualcosa di cui i miei figli avrebbero potuto fidarsi. Non ho mai voluto essergli “amico”, la mia generazione ha respirato quella psicologia un po’ squallida che suggeriva di abbandonare l’autorità del genitore per abbracciare il ruolo di “compagno”, più comodo e meno impegnativo. Ma i figli hanno bisogno di un padre, non di un amico. Il ruolo di amico è destinato ad altri, non a chi li ha messi al mondo. Perché il punto cruciale è proprio questo, mettere al mondo significa fornire i mezzi per vivere e affrontare il viaggio, le scarpe più adatte, i vestiti pesanti per le stagioni fredde, un cervello agile e un cuore largo. Guardo con orgoglio i miei figli e credo di aver fatto un buon lavoro. Hanno preso in mano il timone della vita, ognuno con i propri tempi e i propri mezzi, navigando futuri che nemmeno riesco a immaginare. Cerco sempre di essere quel punto di riferimento sbiadito, mescolo in parti uguali cinismo e follia, a volte comprensivo e a volte incomprensibile, sputo sentenze e consigli non richiesti. Loro mi ascoltano e nemmeno ci fanno caso. È un buon segno, vuol dire che camminano con le proprie gambe, che pensano con la propria testa. E va bene così.
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il-gualty1 · 1 year
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Ci sono quei pensieri che invadono sia la mente che il corpo …
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Dimmi che hai voluto farmi vivere, Dimostrarmi che in amore non c’è limite✨ Più si avvicina l’inizio del concorso, più sento l’adrenalina impossessarsi di me🙈 Preparare tutto l’occorrente cercando di non dimenticare a casa nulla, svolgere gli ultimi allenamenti con Crak per arrivare in campo gara pronti per dare il massimo e fare bene, sono solo alcuni dei pensieri che invadono la mia mente💆🏻‍♀️ In concorso cerco sempre di ridurre al minimo situazioni che potrebbero mettermi in agitazione: devo avere a portata di mano sempre TUTTO, devo preparare il cavallo in leggero anticipo per non arrivare in campo prova in ritardo... In poche parole: devo avere tutto sotto controllo😅 •Voi come vi comportate in concorso? Siete agitati/e?✨ (presso Società Ippica Franciacorta) https://www.instagram.com/p/CPEO0WNA0fw/?utm_medium=tumblr
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complicatedword · 3 years
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Diario imperfetto
23/12/2020   03:32
Seduta sul divano osservo la stanza con attenzione. Sto sorseggiando la camomilla. Mi rilassa. Sono visivamente tranquilla. E’ la mia mente il problema.
Ho acceso una candela. La fiamma è ferma, immobile. Rifletto sulla credenza che mi è stata trasmessa da mia madre: se esprimo un desiderio si avvererà?
Continuo a guardarmi intorno, domandandomi se sento ancora questo luogo come casa mia. Non lo so. Non ne sono sicura. Mi da, però, un senso di accoglienza e di tranquillità fisica.
Rifletto sulle giornate appena passate. Giornate di stress, di pensieri senza un freno, di paure talvolta insensate e di un senso di solitudine che sovrasta i miei sentimenti. Sono davvero così sola come suggerisce la mia mente? Da cos’è data questa sensazione che mi fa stare così poco bene con me stessa?
La candela è ancora ferma, immobile, mentre i pensieri aumentano facendo un gran chiasso nonostante il silenzio della notte.
Mi domando cosa manca nella mia vita.  Perché mi sento così incasinata e sconvolta? Di cosa ho bisogno?
La testa inizia a girare, troppo rumore. Inizio a respirare.  Devo buttare fuori tutti i pensieri che invadono la mia mente. In questo momento scrivere di getto mi sembra la cosa più giusta da fare. 
La camomilla è finita, la candela è ancora accesa ed io sono ancora in cerca di risposte che nessuno può darmi se non il tempo e la mia stessa, incasinata, mente.
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maybeweexisttobleed · 4 years
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Carnage
Avevano dovuto lasciare la camionetta della scientifica vicino all'imbocco del vicolo stretto, proseguendo a piedi, in fila indiana, per raggiungere il Basket Court nella South Side. Era una zona rischiosa quella, soprattutto quando ci si trova a dover svolgere un lavoro in divisa. Quella stessa divisa che, alle volte, può trasformare un poliziotto in un bersaglio mobile. Qualcuno aveva ben deciso di farsi giustizia da solo e ora, il cadavere impiccato e appeso alla recinzione del campetto da basket, nel suo silenzio, chiedeva solo di essere rimosso da lì. Dell'incarico se ne stava occupando il Capitano Kris Nguyen, un giovane ragazzo venuto dalla miseria di Haiti. Possedeva quei classici modi schietti e ruvidi della strada tipica dei ragazzi della South, con la differenza che aveva deciso di entrare nel reparto della S.W.A.T. della Polizia di Philadelphia. Chiamava Alexandra senza la rigida compostezza degli altri Capitani, ma d'altronde quando entri in un reparto votato all'azione e alla soluzione di situazioni ad alto rischio, certe etichette diventano superflue e il pragmatismo è fondamentale. 
« Dove sono cresciuto io ti chiamavano con il nome del ferro che ti portavi dietro. Poi ognuno fa come vuole, ma per quanto mi riguarda... »  nello spazio della pausa indicò l'imbocco del vicolo con il mento « tengo a mente che c'è una discreta possibilità che qualcuno compaia per spararci addosso: non c'è tempo per queste cazzate »  
La rimozione del cadavere sarebbe stata una mansione ben poco edificante e, con ogni probabilità, del tutto inutile, ma andava comunque fatto. Trasportarono la barella con sopra un borsone della scientifica, all'interno di esso avevano tutto il materiale necessario per il recupero del corpo e per i primi rilievi. L'area era stata circoscritta, oltrepassarono i divieti e si recarono dritti alla recinzione dove trovarono Carnage.
« Well, Carnage: ecco il tuo uber.  »
Il black humor del Capitano non sembrava disturbare Alexandra. Durante il suo primo anno in polizia, la giovane donna aveva avuto modo di incontrare altri cadaveri: alle volte erano persone anziane e abbandonate, altre erano vittime di incidenti o violenze. Aveva visto corpi dilaniati da feroci assassini così come quelli provati dallo stato di decomposizione. Dopo tre anni di servizio aveva superato il blocco psicologico. Ogni salma aveva un nome e una storia da raccontare, non di rado i poliziotti si trovavano a conversare tra loro e a rivolgersi, direttamente, al cadavere che avevano sotto gli occhi come se si trattasse di un caro amico ancora vivo.
Stavolta il cadavere era stato pubblicamente esposto da circa ventiquattro ore, lasciato a torso nudo, un cappio alla gola e un foro di proiettile alla tempia. Come se ciò non fosse abbastanza, gli avevano messo un cartello appeso al collo:
"Carnage ed il gruppo chiamato Prison Break ricattavano poveri innocenti e li costringevano a combattere per il divertimento di anonimi spettatori. Carnage ora è davanti a voi, con un cappio alla gola. Perché è questo ciò che merita la feccia."
Era stato marchiato a fuoco con il logo dei Night Soldiers, un'organizzazione illegale che come dei Giustizieri della Notte andavano a "ripulire" le strade sostituendosi a polizia, tribunali e carceri. Non avrebbero trovato tracce evidenti, quella scena era stata architettata ad arte per inviare un messaggio diretto alla “feccia”. Il Capitano e l’agente di polizia indossarono i guanti, iniziando una fitta conversazione: parlarono di morte, di vita, giustizia e soprattutto di ingiustizia. 
Alexandra mise da parte le formalità « Ora che abbiamo abbracciato un cadavere possiamo anche scambiarci queste confidenze, a quanto pare  »  quando voleva sapeva anche tirare fuori qualche battuta.  
« Ce lo porteremo dentro la tomba, right, Carnage? » fu la risposta del Capitano.
Spostarono - con non poca fatica - quel cadavere per adagiarlo nel sacco della scientifica e una volta raggiunto il camioncino, il Capitano si fece più serio e le chiese se volesse una sua opinione sulle relazioni tra colleghi. Per Alexandra, il Dipartimento di Philadelphia sembrava un posto più tollerante verso i rapporti sentimentali nati tra quelle mura e non riusciva a concepirlo, era sempre rimasta ligia all'etica professionale e alle indicazioni del Sergente NYPD che l’aveva seguita. Lei non se lo fece ripetere due volte, voleva davvero conoscere il pensiero del collega. Kris era giovane, ma sembrava aver già vissuto tre vite, nonostante lui stesso avesse riconosciuto, in Alexandra, quella pelle dura che hanno tutti quelli che hanno sofferto molto e altrettante volte si sono dovuti rialzare per non soccombere. 
« Philadelphia è l'inferno. Non importa quanto tu abbia sofferto, questa città troverà il modo di peggiorare il tuo dolore fino a spezzarti. Arriverà un momento - tra un mese, tra cinque - in cui dimenticherai che forma ha il tuo appartamento, cosa mangia di solito il tuo gatto, che roba seguivi su Instagram. Un momento in cui non sarai più un poliziotto, ma una donna in guerra. In quel momento, proprio in quel momento... l'unica cosa che ti impedirà di soffocare, è avere qualcuno o qualcosa lì fuori. » il viso di lui insegue il vento, il profilo dei palazzi, della città. « Qualcuno che non sia parte di questa guerra, che ti ricordi che c'è ancora un mondo reale. Una birra, una scopata o quello che ti piace fare nel tempo libero. Quindi non farlo: non ti condannare a non avere più una via di fuga. »
Lei non poteva capire. Veniva da una metropoli dove il crimine delle maschere era insidioso, ma il tasso di violenza seppur notevole non era alle stelle come quello di Philadelphia. « Mi sento ancora un'estranea. Puzzo ancora di New York, di caffè stantio, di casi da scrivere a penna e di serate a bere birra in bottiglia facendo un brindisi a chi ha chiuso un caso. La divisa, il distintivo, per me hanno ancora un valore... di una famiglia, di fratelli e sorelle. » raccontava quello che sentiva e viveva, concedendo un'occhiata cupa alla strada stretta della South « Forse arriverà quel giorno, ma quando succederà... lo capirò...» ma era così scettica, come se in fondo, quella prospettiva fosse davvero così remota, lontano da lei.
Salirono a bordo del mezzo della scientifica, avevano un cadavere da consegnare, dovevano bloccare quel processo di deperimento e sapevano che molti fenomeni cadaverici erano scomparsi a favore d’altri. Così come sapevano di essersi esposti, di aver parlato dei loro morti, quelli più cari che ancora invadono sogni e pensieri, loro che non lasciano in pace i vivi.
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Detesto il traffico .. ed ora ne ho troppo che gironzola per la mente ed i pensieri belli fanno a cazzotti con le terribili sensazioni che invadono le emozioni .. datemi un telepass !
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