Tumgik
#parole reali
catsloverword · 5 months
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La ricchezza in Tumblr
Devo ricordarmi di ringraziare chi mi ha portato in Tumblr.
In questa città virtuale ho trovato, e continuo a trovare ogni giorno, persone meravigliose ed uniche, che mi stanno dando un pezzetto di loro: stima ed affetto genuini, che ricambio con altrettanta umiltà e disinteresse.
E niente volevo dirvelo.
Grazie Amici di Tumblr, state diventando tanti e preziosi 💓
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ricordisfumati · 5 days
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sarei voluta nascere in un’altra epoca, dove le ragazze venivano corteggiate, aspettate, amate non per il loro corpo ma per la loro intelligenza, per la bellezza della loro mente. questo non vuol dire che adesso non ci sono ragazzi che fanno tutto ciò ma con l’invenzione dell’ internet si è abituati ad avere tutto e subito, a vedere subito le cose più intime di una persona, ad avere subito rimpiazzi e a non dare più valore alle parole, alle letterine, ai fiori raccolti e regalati con cura. siamo abituati in un mondo in cui online siamo in un modo e di presenza in un’altro. siamo prigionieri di un epoca maniacale dove anche le persone finte vengono scambiate per persone reali.
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situazionespinoza · 4 months
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Voci
Da quando ho avuto la diagnosi di OCD e depressione, cioè da 1 anno e mezzo a questa parte, il mio ragazzo ha iniziato ad attribuire a suoi comportamenti normalissimi l'etichetta di ossessioni.
Se si soffia il naso due volte di fila non è perché è raffreddato, ma perché ha "l'ossessione del muco".
Se fuma una canna e gli viene una paranoia non è perché la marijuana l'ha preso male, ma perché ha "l'ossessione del fumo".
Se conta il numero di pagine che mancano alla fine del capitolo che sta studiando non è perché vuole semplicemente sapere quanto ancora deve stare seduto alla scrivania, ma perché ha "l'ossessione di sapere".
Io non gli dico nulla, mi limito a sorridergli e a cambiare discorso. Non provo sinceramente alcun fastidio quando lui o altre persone attribuiscono la definizione di una patologia a loro azioni e reazioni perfettamente nella norma. Piuttosto, mi fa ridere la loro ingenuità.
Il mio ragazzo non sa - e mi auguro che non sappia mai - che il problema non sono tanto le ossessioni quanto le compulsioni.
Lui e tutte quelli che credono fermamente che essere fissati con l'ordine e la pulizia sia disturbo ossessivo compulsivo, non sanno che il vero problema non è il disordine ma le azioni più semplici.
Per un anno ho avuto paura di tenere in mano i coltelli da cucina, perché ogni volta che ne afferravo uno immaginavo di piantarmelo nei polsi.
E visto che in quello stesso anno lavoravo nella cucina di un pub, quindi non c'era modo di fuggire alla persecuzione dei coltelli, la soluzione che avevo escogitato era quella di indossare sempre i guanti in nitrile. "Così c'è una distanza tra me e i coltelli", mi dicevo.
Per le stesse ragioni mi viene da ridere quando sento una persona triste definirsi depressa.
Darei volentieri via l'anima per potermi sentire semplicemente triste per qualcosa, piuttosto che sprofondare in un baratro nero ogni due settimane senza uno straccio di ragione reale.
La mia mente non è fatta come quella della maggior parte delle persone. Per accettarlo ci ho messo più di vent'anni.
E' come se dentro di me abitassero delle Voci che ogni tanto iniziano conversazioni tra loro stesse, fregandosene di quelli che sono i miei bisogni e i miei impegni reali.
Queste Voci spesso ripetono frasi sentite dalla mia famiglia. "Non vali un cazzo". "Sei una puttana." "Sei disgustosa". "La tua laurea è inutile." "Hai sprecato la tua intelligenza". "Statti zitta che non capisci un cazzo". "Che cazzo piangi, non hai problemi".
Altre volte tirano fuori le parole delle persone con cui ho lavorato. "Come fai a non capirlo?" "Ma ci sei o ci fai?" "Tu non hai idea di cosa sia il burnout".
E per funzionare a dispetto di queste voci, mi trovo costretta a fare delle cose che sono oggettivamente strane.
Controllare le posate prima di mangiare. Sistemare le scarpe in un dato modo. Grattarmi fino a scorticare la pelle. Trascorrere ore e ore e ore con le cuffie addosso anche senza ascoltare niente. Lavare il bagno tante di quelle volte da consumare le piastrelle.
Non sono cose che voglio fare. Si tratta di azioni che devo svolgere per far stare in silenzio le Voci.
La cosa più esilarante è che se io spiegassi al mio ragazzo o alle altre persone che nella mia testa abitano queste voci, finirei per essere etichettata definitivamente come pazza da TSO.
Quindi mi rassegno ad ascoltare la loro "depressione" e le loro "ossessioni" con un sorriso sulle labbra e un sospiro nel cuore.
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der-papero · 8 months
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Ciao Papero. Sono appena stata al sud in quel che era casa mia, un paese di campagna, con l'abuso edilizio di fianco alle vecchie case di tufo con il portone ad arco. I miei genitori pure sono emigrati e giù mi sono rimasti pochi parenti, al nord ho un buon lavoro e una casa. Ma non ho le montagne a circondare la vallata, non ci sono le terre con le pecore a pascolare, non c'è l'arte di arrangiarsi. Faccio l'orto e le conserve come faceva mia nonna ma non ho nessuno con cui parlarne, con cui scambiare questo sapere che si va perdendo. Sono stata definita una risorsa fondamentale nella mia azienda, mi stanno facendo proposte ma tutto quel che vorrei è tornarmene in una casa che ormai non c'è più, a vivere di ricordi, dove mi basta pochi minuti per arrivare al mare, per arrivare sotto al nostro vulcano, per arrivare forse alla serenità.
Ne stai parlando con me, cosa della quale ti ringrazio profondamente. Magari puoi considerarlo un inizio, anche infinitamente piccolo rispetto a quel vuoto che provi, e che capisco più di tante altre cose.
Tanti anni fa, una blogger che io ammiro tanto, @vesna-vulovic (la cosa diciamo "buffa" è che ho dovuto smettere di essere un imbecille per poter apprezzare quello che scriveva), quando ancora aveva il vecchio blog, scrisse una frase che non dimenticherò mai, ovvero che quello che manca della nostra casa (nel caso del suo post era l'Italia) è una idea di casa che è tutta nella nostra testa, ci manca un qualcosa che da un lato ci è stato tolto con la mancanza di scelta, e dall'altro forse non esiste più, se non in pochi pezzi di spazio e tempo, che proviamo a costruire con una vagonata di pazienza e con la forza della disperazione.
A me fa male leggerle queste parole, ma non perché non siano belle o sincere, ma perché spero sempre di essere il solo a sentirle e di non vivere con l'idea che un'altra persona possa sentirsi "straniero nella sua nuova casa", ma mi accorgo che siamo un popolo importante e silenzioso, un popolo che avrebbe potuto tranquillamente buttare merda sui luoghi da dove proviene, come fanno tanti per giustificare la loro partenza, forse anche con delle ragioni reali, ma non è di ragione che stiam parlando, e invece vive costantemente in quell'amore silenzioso, tipo quello che potresti provare per i tuoi figli, anche se sono le peggiori creature di questo pianeta, perché sono il legame più forte che hai, ma poi la vita ti mette davanti a delle scelte, e da quelle non si scappa.
A me fa male anche non poterti dare alcun consiglio o soluzione, credimi, se li avessi, egoisticamente li userei per me. Non saprei cosa consigliarti sul tuo lavoro, se accettare o meno tutto quello che l'azienda meritatamente ti offre, o mandare tutto al diavolo e tornare alla tua vera casa. Se non lo facessi non mi azzarderei minimamente a puntare il dito o a rinfacciarti qualche numero da busta paga, giusto per motivare la mia miopia.
Posso solo inviarti un abbraccio fortissimo, per il resto so già che farai ciò che è giusto per te.
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abatelunare · 8 months
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Purtroppo non sono mai stato bravo in matematica; i numeri non mi interessano, non mi sembrano reali quanto le parole (Peter Cameron, Un giorno questo dolore ti sarà utile).
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falcemartello · 1 year
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L'esistenza è azione e si concretizza nello sperimentare intensamente quante più esperienze possibili.
La digitalizzazione, invece, oltre a preludere alla molto prossima ibridazione uomo- macchina, induce al malessere esistenziale perché sottende una vita vissuta da remoto.
La digitalizzazione induce al regresso dell'intelligenza umana ed è speculare allo sviluppo dell'intelligenza artificiale.
Una prova? Appuntatevi le vostre giornate su un diario e poi fate lo stesso ma al pc.
Nel 1° caso svilupperete il vostro pensiero e ricorderete tutto meglio.
È conseguente quindi che la digitalizzazione (cioè sostituire esperienze reali a esperienze virtuali) abbassa drasticamente le capacità intellettive.
Ci venderanno il transumanesimo come "medicina" alla malattia che hanno indotto attraverso la digitalizzazione.
La digitalizzazione di ogni processo umano vanifica l'apprendimento derivante dall' esperienza fisica e dunque provoca l'abbassamento dell' intelligenza umana.
Questo fenomeno parrebbe oggettivamente funzionale al progressivo sviluppo di nanotecnologie che mirano dichiaratamente ad ibridare l'uomo alla macchina per potenziare i processi cognitivi umani.
In altre parole, ci "instupidiscono" per poi venderci microchip nel cervello che ci renderanno "di nuovo" intelligenti.
hidekitojo
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Ci venderanno il transumanesimo.
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klimt7 · 4 months
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È tempo di iniziare un progetto. Fine gennaio forse è il periodo giusto.
Un pò come seminare in un vaso, dentro casa, il basilico. Quello che poi a maggio ti stupirà col suo verde brillante e le foglie folte e quasi lucide.
Parlo dello scrivere.
È parecchio che non mi dedico a qualcosa di più organico. Un progetto appunto. Una storia articolata. Dare uno sviluppo, cercare un narrare, più che un semplice catturare dettagli, e scattare dei flash alla materia viva e incandescente che solo gli altri da noi.
Forse è il momento di superare la dimensione del testo-frammento che riempie di norma, il Blog-dario e cominciare a impegnarsi sul livello di un racconto-lungo, magari.
Il titolo che mi frulla in testa, ruota attorno a un concetto. "LE VITE DEGLI ALTRI".
La curiosità sempre avuta fin da bambino per le "vite degli altri". Per lo spazio individuale in cui si fanno scelte. In cui accadono fatti che poi decidono il destino di quella particolare persona .
Il brillare di questa materia così speciale, che sono le vite che ci passano accanto. Che intravediamo per strada o che ci pare di intuire facendo foto mentali o reali, quando usciamo.
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In quei momenti ci piace catturare quel frammento di luce, che percepiamo nei gesti, negli sguardi, nelle battute, nei dialoghi o perfino nella postura o nel bagliore di un viso.
Le vite degli altri, mischiate alla nostra. Ogni volta che dialoghiamo e bussiamo alla porta di un altro individuo ascoltiamo un rumore di passi o un'incertezza, una pausa fra le parole o una esitazione. Un ritegno che di per se stesso è comunicazione, è messaggio e alfabeto
E saper ascoltare senza un atteggiamento giudicante è importante. È fondamentale.
E in fondo è ciò che ho deciso di fare nella vita. Incontrare persone e ascoltarne la storia, tracciarne i contorni. Imparare i limiti. Auscultare le debolezze, le pause o le esitazioni, che dicono più della intonazione della voce. Non saremo mai monadi o torri d'avorio chiusi in noi stessi.
Siamo tutti interdipendenti, per questo la curiosità umana è lo strumento essenziale per affacciarsi con rispetto e delicatezza sull'abisso che sono le vite degli altri. Quelle che poi finiscono per insegnarci lo spazio e la dimensione della nostra, attraverso un gioco di specchi e riflessi. E allora nasce il bisogno di trovare la giusta distanza per permettere lo scambio e l'empatia. Il comune esercizio della "simpatia" : il sentire condiviso.
Da domani comincerò a "disegnare", per così dire, a organizzare, e poi a raccogliere spunti e dettagli, oltre alle idee base che ruotano attorno a questo progetto.
Ciò che mi spinge forse è il desiderio di superare il livello e la dimensione del "frammentarismo" nello scrivere, per dare inizio a qualcosa di più organico e strutturato.
E stanotte, l'immagine che sento meglio rappresentare questo tipo di argomento è il mare, la traversata di un mare palpitante e vivo.
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scorcidipoesia · 5 months
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Un treno corre nella notte. Attraversa un paese, lo unisce, lo compagina. Dalle mura di antichi castelli circondati di uliveti, fonti e scalinate, a una città del nord fredda, con pochi colori e molte persone che camminano su marciapiedi disegnando mondi ed etnie. Il treno attraversa colli, città, profumi nell’aria, venti. Una foglia lotta sulla rotaia e si stacca a metà viaggio finendo al centro, il treno continua a correre perché c’è una stazione che lo aspetta. Una stazione molto bella. Antica. Bianca. I grattacieli della città fredda si affacciano sui passeggeri che scendono, si alzano il bavero del giubbotto e si sistemano la sciarpa. Salgono sui taxi e vanno verso i loro appuntamenti, impegni di lavoro, riunioni. Sono già parte della città appena arrivano.
Una donna in auto cerca di districarsi nella circonvallazione. Nel freddo ha abbondato di rossetto e di profumo, perché attende un uomo che arrivi a portarle il mondo. Nei palmi delle mani , un tripudio di colori. Nella voce, un mappamondo di parole.
Si è alzato un vento di inverno sulla città, ha spazzato le nuvole e un azzurro insolito fa capolino sopra i monumenti che finalmente brillano, svelandosi maestosi anche agli abitanti.
È l’inverno che si annuncia, è l’inizio di una settimana importante in cui le sue sorti cambieranno, le sue radici saranno spazzate via e le occorrerà cercarne altre . Perché ‘il luogo migliore è quello in cui devi ancora andare’.
Ha passato tutta la notte a tremare, con le dita dentro la barba di lui in allucinazioni reali, si è sentita viva e con il cuore impazzito. La mente ha iniziato un viaggio, quell’uomo è sceso dal treno, ci sarà uno sguardo, e da quello sguardo potrà nascere un’opera d’arte. Qualsiasi forma avrà quell’opera, sarà un regalo, sarà una forma di gratitudine che lei terrà nel cuore per molto tempo e lui sorriderà, risalendo sul suo treno, verso la sua città tra gli ulivi, tra le sue opere e i profumi della terra. Tatiana Andena
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ama-god · 1 year
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Primo Levi
La tregua
La Liberazione di Auschwitz da parte dei soldati dell’Armata Rossa sovietica
27 gennaio 1945
Nei primi giorni del gennaio 1945, sotto la spinta dell’Armata Rossa ormai vicina, i tedeschi avevano evacuato in tutta fretta il bacino minerario slesiano. Mentre altrove, in analoghe condizioni, non avevano esitato a distruggere col fuoco o con le armi i Lager insieme con i loro occupanti, nel distretto di Auschwitz agirono diversamente: ordini superiori (a quanto pare dettati personalmente da Hitler) imponevano di «recuperare», a qualunque costo, ogni uomo abile al lavoro. Perciò tutti i prigionieri sani furono evacuati, in condizioni spaventose, su Buchenwald e su Mauthausen, mentre i malati furono abbandonati a loro stessi. Da vari indizi è lecito dedurre la originaria intenzione tedesca di non lasciare nei campi di concentramento nessun uomo vivo; ma un violento attacco aereo notturno, e la rapidità dell’avanzata russa, indussero i tedeschi a mutare pensiero, e a prendere la fuga lasciando incompiuto il loro dovere e la loro opera. Nell’infermeria del Lager di Buna-Monowitz eravamo rimasti in ottocento. Di questi, circa cinquecento morirono delle loro malattie, di freddo e di fame prima che arrivassero i russi, ed altri duecento, malgrado i soccorsi, nei giorni immediatamente successivi.
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Sómogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera. Rovesciammo la barella sulla neve corrotta, ché la fossa era ormai piena, ed altra sepoltura non si dava: Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi e i morti. Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi. A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era piú alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo. Ci pareva, e cosí era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo. Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. Così per noi anche l’ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso di pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai piú sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti. Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell’offesa, che dilaga come un contagio. È stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia. Queste cose, allora mal distinte, e avvertite dai più solo come una improvvisa ondata di fatica mortale, accompagnarono per noi la gioia della liberazione. Perciò pochi fra noi corsero incontro ai salvatori, pochi caddero in preghiera. Charles ed io sostammo in piedi presso la buca ricolma di membra livide, mentre altri abbattevano il reticolato; poi rientrammo con la barella vuota, a portare la notizia ai compagni. Per tutto il resto della giornata non avvenne nulla, cosa che non ci sorprese ed a cui eravamo da molto tempo avvezzi.
Il comandante sovietico Georgj Elisavetskj ricorda così quel 27 Gennaio 1945
“Ancora oggi, il sangue mi si gela nelle vene quando nomino Auschwitz; Quando sono entrato nella baracca ho visto degli scheletri viventi che giacevano sui letti a castello a tre piani. Come in una nebbia, ho sentito i miei soldati dire: «Siete liberi, compagni!» Ho la sensazione che non capiscano e comincio a parlargli in russo, polacco, tedesco, nei dialetti ucraini. Mi sbottono il giubbotto di pelle e mostro loro le mie medaglie … Poi ricorro allo yiddish. La loro reazione ha dell’incredibile. Pensano che stia provocandoli; poi cominciano a nascondersi. E solamente quando dissi: «Non abbiate paura, sono un colonnello dell’Esercito sovietico e un ebreo. Siamo venuti a liberarvi» […] Finalmente, come se fosse crollata una barriera … ci corsero incontro urlando, si buttarono alle nostre ginocchia, baciarono i risvolti dei nostri cappotti e ci abbracciarono le gambe. E noi non potevamo muoverci; stavamo lì, impalati, mentre lacrime impreviste colavano sulle nostre guance”
29 gennaio 1945 - Telegramma del Generale dell'Armata Rossa Konstatin Vasilevich Krainiukov a Georgij Maksimilianovič Malenkov, membro del Comitato di difesa dell'URSS: "Liberata la regione dei campi di concentramento di Osvenzim (Auschwitz-Birkenau). Orribile campo di morte. A Osvenzim ci sono 5 campi. In 4 erano tenute persone di tutti i paesi d'Europa, il 5° era un carcere. Ogni campo è composto da un terreno enorme,circondato da diverse linee di filo spinato, su cui passa alta tensione elettrica. Dietro si trovano innumerevoli baracche di legno. Tra i sopravvissuti di questo campo di morte ci sono ungheresi, italiani, francesi, cecoslovacchi, greci, romeni, danesi, belgi, iugoslavi. Tutti sono in stato pietoso,ci sono vecchi giovani e bambini, quasi tutti sono seminudi. Ci sono molti cittadini sovietici, da Leningrado, Tula, regione di Kalinin, Mosca, da tutte le regioni dell'ucraina sovietica. Molti sono mutilati, hanno segni di torture, segni di bestialità nazifascista. Dalle prime testimonianze dei prigionieri in questo posto sono state torturate,bruciate,fucilate centinaia di migliaia di persone. Chiedo l'invio della Commissione Speciale Governativa per le indagini sulla bestialità nazifascista."
NELLA FOTOGRAFIA
Soldati dell’Armata Rossa liberano e curano i sopravvissuti di Auschwitz
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susieporta · 2 months
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All’improvviso, come se un destino chirurgo mi avesse operato per una cecità antica ottenendo un grande successo immediato, alzo la testa dalla mia vita anonima verso la chiara conoscenza del come esisto. E vedo che tutto quanto ho fatto, tutto quanto ho pensato, tutto quanto sono stato, è una specie di inganno e di follia. Mi stupisco di quello che non sono riuscito a vedere. Mi sorprendo di quanto sono stato accorgendomi che in fin dei conti non sono.
Guardo, come in una distesa al sole che rompe le nuvole, la mia vita passata; e mi accorgo, con uno stupore metafisico, di come tutti i miei gesti più sicuri, le mie idee più chiare e i miei propositi più logici non siano stati altro che un’ebbrezza congenita, una pazzia naturale, una grande ignoranza. Non ho neppure recitato. Sono stato recitato. Non sono stato l’attore, ma i suoi gesti.
Tutto quanto ho fatto, ho pensato e sono stato, è una somma di subordinazioni, sia a un ente falso che ho creduto mio perché ho agito partendo da lui, sia di un peso di circostanze che ho scambiato per l’aria che respiravo. In questo momento del vedere, sono un solitario immediato che si riconosce esiliato nel luogo in cui si è sempre creduto cittadino. Nel più intimo di ciò che ho pensato non sono stato io.
Mi sopravviene allora un terrore sarcastico della vita, uno sconforto che va oltre i limiti della mia individualità cosciente. So che sono stato errore e traviamento, che non ho mai vissuto, che sono esistito soltanto perché ho riempito tempo con coscienza e pensiero. E la mia sensazione di me è quella di chi si sveglia dopo un sonno pieno di sogni reali, o quella di chi è liberato, grazie a un terremoto, dalla poca luce del carcere a cui si era abituato.
Mi pesa, mi pesa veramente, come una condanna a conoscere, questa nozione improvvisa della mia vera individualità, di quella che ha sempre viaggiato in modo sonnolento fra ciò che sente e ciò che vede.
È così difficile descrivere ciò che si sente quando si sente che si esiste veramente, e che l’anima è un’entità reale, che non so quali sono le parole umane con cui si possa definirlo. Non so se ho la febbre, come sento, se ho smesso di avere la febbre di essere dormitore della vita. Sì, lo ripeto, sono come un viaggiatore che all’improvviso si trovi in una città estranea senza sapere come vi è arrivato; e mi vengono in mente i casi di coloro che perdono la memoria, e sono altri per molto tempo. Sono stato un altro per molto tempo (dalla nascita e dalla coscienza), e mi sveglio ora in mezzo al ponte, affacciato sul fiume, sapendo che esisto più stabilmente di colui che sono stato finora. Ma la città mi è sconosciuta, le strade nuove, e la malattia senza rimedio. Aspetto dunque affacciato al ponte, che passi la verità, e che io mi ristabilisca nullo e fittizio, intelligente e naturale.
È stato un attimo, ed è già passato. Vedo ormai i mobili che mi circondano, il disegno della vecchia carta alle pareti, il sole attraverso i vetri polverosi. Ho visto la verità per un attimo. Sono stato per un attimo, coscientemente, ciò che i grandi uomini sono verso la vita. Ricordo i loro atti e le loro parole, e non so se non sono stati anche loro tentati vittoriosamente dal Demone della Realtà. Non sapere di sé vuol dire vivere. Sapere poco di sé vuol dire pensare. Sapere di sé, all’improvviso, come in questo momento lustrale, vuol dire avere subitamente la nozione della monade intima, della parola magica dell’anima. Ma una luce improvvisa brucia tutto, consuma tutto. Ci lascia nudi perfino di noi stessi.
È stato solo un attimo e mi sono visto. Poi, non so più dire ciò che sono stato. E, alla fine, ho sonno, perché, non so perché, penso che il senso è dormire.
Fernando Pessoa
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amadello · 1 year
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@xyrnys ti rispondo così, perché ho tanto da dire sulla faccenda e le risposte non me lo permettono.
Se troppo lungo, ti lascio subito qui il riassuntino: concordo, e Rosa Chemical merita di meglio del trattamento che sta ricevendo, anche perché c'è tanta ipocrisia. Parlo anche un po' di queerbaiting, queerphobia e consenso.
Versione integrale:
Prima di tutto, concordo. Una qualche mancanza di comunicazione c'è stata sicuro, vista la reazione della Ferragni.
Non so se Fedez non si aspettasse la lingua o meno, ha effettivamente detto lui a Muschio Selvaggio che Rosa avrebbe potuto baciarlo con la lingua.
Magari era una battuta, Rosa l'ha preso seriamente, fraintendimento, ci sta.
Quello che mi sembra più plausibile, è che si fossero messi d'accordo loro senza avvisare Chiara o troppe altre persone, per fare più sorpresa, e che Fedez si sia preso il cazziatone (in quel caso meritato, perché un'esibizione del genere andrebbe discussa con lə propriə partner, sempre).
Quello che mi fa assolutamente ribrezzo, è l'ipocrisia e la malafede che vedo qui su tumblr. Perché se dalla destra estrema che ci governa non mi aspettavo di meglio, dalla gente comune sì.
C'è stato proprio un partito preso iniziale, "Rosa Chemical mi sta antipatico", e ho visto gente piano piano cercare col lanternino ragioni per distruggere questo cristiano (anche se non è cristiano).
"Fa queerbaiting", quando NON ESISTE queerbaiting fatto da persone reali. Il queerbaiting esiste solo nei media, se gli scrittori volontariamente introducono temi che attirino un pubblico LGBTQ+, senza poi portare contenuto effettivamente queer.
Le persone reali non sono obbligate a fare coming out per potere esprimere il proprio essere e la loro arte, e imporre questo standard è dannoso (ci ricordiamo Kit Connor di Heartstopper, sì?).
La cosa ridicola, è che Rosa non è cishet manco per scherzo, e lo dice apertamente:
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Essere "genderless", come si definisce, ricade nella nonbinarietà di genere, e non escludere rapporti con più di un genere (oltre che comunque essere poliamoroso) rientra come minimo nel "questioning", che indovinate un po'? È essere queer!
Non esistono solo le persone gay nella comunità.
Anzi, un sacco di persone etero ne fanno parte, nonostante siano etero, perché sono la T in LGBTQ+!
E l'ostinazione nel chiamarlo "uomo etero" è una riconferma che le persone AMAB non vengano prese sul serio quando dichiaratamente non uomini.
E dopo il queerbaiting, le accuse di molestia.
In uno skit chiaramente programmato.
E questo mi manda in bestia come poche cose, perché non c'è una spiegazione non queerphobic per questo.
Perché il polverone per Rocío Muñoz che bacia Amadeus di fronte a moglie e figlio non lo hanno alzato.
Il polverone per Fiorello che baciò Tiziano Ferro (tanto sposato quanto Fedez), effettivamente e dichiaratamente senza che fosse programmato, non c'è stato.
Ma per Rosa Chemical, ovviamente, sì. Perché Rosa non è una donna, Rosa non è un uomo etero (quello lo è solo quando fa comodo per le accuse di queerbaiting).
Rosa è una persona queer, e sex positive, e kink positive, e innesca la reazione queerfobica per la quale ci vedono come predatorə, e chiamano il nostro esistere apertamente, "ostentazione".
Ci siamo sorbiti 20 anni almeno di Boldi e De Sica che facevano film la cui morale è: "Viva la figa!", ma quella non è ostentazione dell'eterosessualità e della mascolinità tossica, l'ostentazione la vedono solo quando si parla di qualsiasi cosa queer-related.
Ovviamente, potevano mancare le accuse di razzismo, misoginia e omofobia per il testo di Polka? No, ovvio che no.
Premettendo che comprendo chi non apprezza gli slur neanche nel contesto (sacrosanto), il contesto va sempre tenuto in conto.
Perché Polka non è una canzone "seria", ma allo stesso tempo lo è.
Parodizza la scena trap, e chi certe parole e certi concetti li esprime per effettiva convinzione. Usa un tono goliardico e provocatorio, per farci riflettere su quello che ascoltiamo.
Qualsiasi intervista, qualsiasi interazione con i fan, dimostra che Rosa è una persona assolutamente intelligente, fine, e veramente intento a sdoganare pregiudizi.
Ma si attaccano all'utilizzo della parola con la N in un testo ironico (ma la gente che protestava Ariel nera stava solo "esprimendo un'opinione"), alla parola "puttana" (letteralmente calco dei testi rap/trap americani che sta parodizzando), al "non sono frocio lo amo davvero", quando abbiamo tuttə passato la settimana di Sanremo ad utilizzare qualche variazione della parola o la parola stessa, entusiasticamente, definendoci "fennels".
"È reclamare uno slur, ne abbiamo diritto" - allo stesso modo in cui ne ha diritto Rosa, genderless e poly, che in un'intervista delle Iene ha pure dichiarato che gli slur che usa gli sono stati usati contro, che è uno dei criteri per poterli reclamare. (Vi cercherò poi il link con calma).
Stessa cosa successe per Junior Cally nel 2020, quando la gente ripescò il testo di Strega e decise di applicare tutto l'analfabetismo funzionale possibile nella lettura del testo.
Tutto rimanda alla mia frase iniziale: hanno deciso che Rosa gli è antipatico, e hanno trovato ragioni per distruggerlo in seguito.
E l'unica ragione possibile per questa antipatia "a pelle" è la queerphobia, conscia o no, che scatta quando vedono una persona queer che non rispetta i loro canoni di cosa è "perbene" e "accettabile".
"Sii queer, ma a casa tua", insomma.
Ok, ho finito, e ho lo schifo.
Grazie a chi è arrivatə alla fine del papiro!
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xennnnnnnn · 6 months
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il momento maledetto dannato sventurato di un paio di settimane fa e così via in cui mi sono accorta che scrivere mi piace amo giocare con le parole metterle in fila smontare la sintassi e la semantica creare immagini che esistono solo nella mia mente e in chi legge ciò che metto per iscritto [e che, in realtà, la parola scritta è l'unico mezzo che ho per farmi capire dove tutto il resto viene meno, e forse solo la musica e l'arte ma è sempre di altri] — creare mondi, arabeschi, finzioni reali, dire così la verità che non può essere detta in altro modo. che in questi anni ho lasciato che tutto questo sparisse per pudore o vergogna o stanchezza e non so dove girarmi, come se non avessi mai imparato nulla e fossi in grado di agire solo nel senso dell'esaustione di sé. non voglio più mutilarmi
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elperegrinodedios · 2 years
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L'amore non vuole il possesso, cerca solo la condivisione. Lui non ha limiti, non conosce confini, è libero e non ha misura. L'amore non fa distinzioni, nè guarda il colore, non la razza, nè religione. Non ha passaporto e parla sempre lo stesso idioma che, capiscono in tanti perchè si parla con il cuore. L'amore quello vero, non cerca insegnanti ma soltanto donatori. E non vuole solo dolcissime parole ma si rallegra ancora di più con opere reali. È spirituale, è carnale, è poesia, è passione, è la fiamma che arde, è un fuoco, che brucia e consuma se a guidarlo è la mente, che diventa estasi, se a dirigerlo ci si abbandona al cuore.
lan ✍️ 🤍
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bombawife · 10 months
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❛ don’t shut me out like this. ❜
"munk, talk to me"
tugger watch his brother while he looked over the junkyard. it have been three days since old deuteronomy have been murderd by macavity. the whole tribe was mouring but munk have took it realy badly.
he have been constant on parols non stop. he barly eat, he didn't sleep. their dad's death have hurt him
"munk, please"
munkustrap didn't answer.
" DAMIT MUNK." scream tugger. "DONT SHUT ME OUT LIKE THIS"
he start to cry
"dont shut anyone out like this"
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dottssapatrizia · 1 year
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Dicono che quello che scrivo ha una vena di malinconia e che a volte volo troppo di fantasia. E' vero. Dicono anche che sono erotica nello scrivere e se lo dicono, forse non sbagliano. Ciò che s'immagina - per me - rimane il vero veduto, il vero erotismo. L'immaginato è sempre un bel vedere. L’immaginato è qualcosa di non vissuto - ancora - è l'idea che rimane dentro qualcosa che sta fuori, oltre. Attraverso l'idea s’ipotizzano cose - quelle che si vorrebbero vedere – e forse, un domani - toccare - Invece nella realtà esistono solitudini reali. Ci sono litigi che attanagliano e sono indecenti più del pensato, più del lussurioso, più del carnale. Ci sono negligenze, mancanze di rispetto, sopportazioni, non amore. Spesso c’imbarazziamo di uno scritto o di un pensiero indecente ma non ci vergogniamo mai delle brutte parole che ci diciamo……………
Tumblr media
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odioilvento · 9 months
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noi: KFC
auto: sono un assistente virtuale, ma le tue parole sono reali, sceglile con attenzione.
noi: assistente, abbassa livello di permalosità a tre.
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