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susieporta · 17 hours
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susieporta · 21 hours
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Non scrivo con l’inchiostro. Scrivo con la mia leggerezza. Non so se riesco a farmi capire: l’inchiostro, lo compro; ma non esiste un negozio per la leggerezza. Viene, oppure no: dipende. Quando non viene è già presente. Mi capite? È ovunque, la leggerezza: nella freschezza insolente delle piogge estive, sulle ali di un libro abbandonato ai piedi del letto, nel suono delle campane del monastero all’ora delle funzioni, un vociare infantile e vibrante, in un nome mille e mille volte sussurrato come quando si mastica un filo d’erba, nella fata che è la luce alle svolte delle strade serpeggianti del Jura, nella povertà esitante delle sonate di Schubert, nel rito di chiudere lentamente le imposte sul far della sera, nel tocco sottile di blu, blu pallido, quasi viola, sulle palpebre di un neonato, nella dolcezza di aprire una lettera attesa, prolungando di un secondo l’istante di leggerla, nel rumore delle castagne che si schiantano al suolo e nella goffaggine di un cane che scivola su di uno stagno ghiacciato, mi fermo qui, la leggerezza, lo vedete, è donata ovunque. Se allo stesso tempo è rara, di una rarità incredibile, è perchè ci manca l’arte di ricevere, semplicemente ricevere ciò che ci è donato ovunque.”
Christian Bobin, dal libro “FOLLI I MIEI PASSI”
#animamundiedizioni traduzione di Maddalena Cavalleri
Link al libro: https://www.animamundiedizioni.com/prodotto/folli-i-miei-passi/
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susieporta · 23 hours
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Quando proviamo un'emozione siamo spesso convinti del fatto che basta averne la sensazione interna per "provare" quell'emozione.
In realtà l'emozione è data dal sentimento interiore, e dall'espressione emotiva di tale sentimento all'esterno.
È ciò che sento e ciò che esprimo ad essere "emozione".
Se non riesco ad esprimere fisicamente in modo congruo a ciò che sento un'emozione, significa che sto inibendo quello che provo, insieme al bisogno sottostante.
Infatti, ogni emozione implica un bisogno sottostante il quale si dirige, se vogliamo soddisfarlo, verso l'esterno, attraverso l'espressione di quella emozione che lo riveste.
Se ad esempio io provo rabbia, il bisogno sottostante è quello di cambiare una situazione che non mi sta bene e che provoca in me un senso di ingiustizia, cui reagisco provando rabbia, appunto.
L'espressione fisica della rabbia può prendere la forma dell'aggressività.
Quindi la rabbia è quello che provo.
Ma è anche, come si dice in Gestalt, una funzione di contatto.
Cioè mi serve per manipolare l'ambiente in funzione di ciò di cui ho bisogno.
Se l'ambiente viene percepito come pericoloso rispetto alla espressione della mia rabbia, oppure non adeguato a contenerla o ad accettarla come un elemento naturale del mio sentire, oppure io ho incamerato in me la convinzione di non poter esprimere la rabbia, io inibirò tale sentimento attraverso una tensione muscolare o respiratoria di qualche tipo.
Tale tensione si rivelerà mediante una contrazione corporea di qualche genere, la quale mi impedirà di esprimere ciò che sento in modo congruo.
Questa incongruità tra sentire ed espressione del sentire, genera a sua volta una reazione inadeguata da parte dell'altro.
Ad esempio, se io inibisco l'espressione della rabbia all'esterno essa verrà percepita come semplice frustrazione, oppure addirittura paura, vulnerabilità, sottomissione o remissione.
Ci sono persone che esprimono la rabbia ridendo, cioè mediante una espressione frustrata della rabbia la quale diventa nella sua espressione fisica sarcasmo, ironia o autoironia.
Pur di non ferire l'altro inibiscono ciò che provano, veicolando a questo punto un'altra informazione.
L'altro non potrà che reagire a sua volta in modo blando, o diverso da come ci aspettavamo.
Nel caso della tristezza, ad esempio, per qualcosa che ci ha ferito, se non riusciamo a esprimere pienamente tale emozione a qualcuno da cui vogliamo essere ascoltati, probabilmente egli reagirà con uno scarso sostegno, empatia, calore umano.
Questo perché la nostra espressione della tristezza non comunica pienamente quanto era importante per noi quel fatto che ci ha ferito al punto tale da voler condividere il nostro dolore con qualcuno.
Ma l'azione coerente con il sentire ci connette anche con noi stessi.
Non posso sentirmi debole se agisco nel mondo con forza.
Così come se esprimo debolmente la rabbia, viceversa, mi sentirò debole.
Se esprimo la tristezza inibendola, contraendo il diagramma e la faccia per non piangere, non posso sperimentare realmente le profondità del mio dolore.
E quindi paradossalmente non posso liberarmene.
Conosco persone che non riescono a piangere veramente o esprimere in modo totalmente pieno la rabbia, e quindi sono intrappolati in questi sentimenti frustrati da anni.
Sto parlando di comportamento motorio puro e semplice: di muscoli, nervi e ossa.
Questa inibizione può essere funzionale all'autoregolazione.
Ma se diventa cronica, cioè inconscia, reattiva e difensiva, rappresenta un problema.
L'inibizione delle emozioni spinge tali elementi a circolare in modo tossico nel nostro corpo, sottopelle.
L'espressione piena, totale, di un'emozione, viceversa, implica una scarica altrettanto piena e quindi uno svuotamento di quell'emozione dal nostro corpo.
È così per tutti, perché il sistema nervoso è uguale per tutti nei suoi aspetti funzionali.
È difficile che ci siano eccezioni in quanto si tratta di canali energetici, e di dinamiche di carica e scarica.
Prima cominciate a esprimere realmente e pienamente ciò che provate, prima vi ricontatterete, prima vi libererete delle vostre scorie tossiche.
Conosco persone che prima di esprimere la rabbia erano paradossalmente scariche, e si sentivano svuotate.
Questo perché inibivano la rabbia dentro di sé.
Una volta espressa pienamente la rabbia si sono sentite piene di energia, vitali, forti.
Il problema, come sempre, non sono le emozioni in sé, ma come le gestiamo.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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susieporta · 2 days
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susieporta · 2 days
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"Per gli esseri umani ci sono delle chiavi per comprendere il mondo e orientarsi nella vita: una si chiama sentire e una si chiama pensare.
La cosa importante da tenere presente è che temporalmente prima viene il sentire e poi il pensare, cioè per orientarsi bisogna pensare su quello che si sente. Si sente quello che appare nei sensi, e si pensa quello che potrebbe significare quello che si sente, ma che non è detto che lo significhi davvero:
cioè il sentire è certo, il pensare è nel migliore dei casi plausibile.
il sentire è lo strumento animale della sopravvivenza: se senti male, non c'è niente che ti può convincere che hai sentito bene (e se per caso ti fai convincere, allora vuol dire che sei pronto per il manicomio!).
Se si segue quello che si pensa che sia giusto buono e bello, novanta su cento si va dove ci hanno insegnato ad andare, che è l'inferno di altri: se invece si ascolta quello che si sente, si va a finire dove responsabilmente si indirizza il proprio cammino.
Il proprio sentire va preso responsabilmente: non mi piace, non sono contento ecc. è soggettivo, ma la soggettività è quella che ripara dal disastro."
G. Paolo Quattrini: quantità e qualità nella psicoterapia, in: INformazione psicoterapia counselling fenomenologia, nn. 38-39, p. 123
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susieporta · 2 days
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susieporta · 2 days
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susieporta · 3 days
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susieporta · 4 days
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Alice Baley
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susieporta · 4 days
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"L'amore non può essere
imparato o insegnato.
L'amore viene come grazia."
Jalal Ad-Din Rumi
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susieporta · 4 days
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La rabbia è la guardia del corpo del dolore.
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susieporta · 4 days
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DAL BUIO ALLA LUCE
Accetta quel che ancora è irrisolto nel tuo cuore
Accetta quel che per ora non riesci a cambiare
Quel che ami anche se ti fa male.
Accetta che ci sono rami troppo alti su cui salire e che ancora non hai messo le ali.
Accetta che non riesci a perdonare
Che non riesci a mantenere la parola, l’impegno e la promessa, perché ancora la sofferenza digita i tasti della tua direzione e ti porta spesso fuori strada.
Accetta la tua indifferenza verso il dolore altrui
La tua incoerenza
La tua egocentrica vanità
Accetta che lo stare male è per te l’unico modo per comunicare che qualcosa non va
Accetta che non sai ancora comunicare senza inventare o senza fare del male.
Prima di riscoprire il divino accetta di dover imparare da zero ad essere Umano, perché ancora non lo sei.
Ne sei la recita, la locandina, il copione imparato a memoria ma che come un pessimo attore si vede che reciti.
Accetta fino in fondo tutte le tue parti oscure, senza adagiarti, nè giustificarti, stando presente e attento come un equilibrista che sa che un solo respiro lo spingerà nel vuoto.
Non perdere tempo a giudicarti, lo hai già fatto e non porta a niente
Solo la presenza porta guarigione, quindi osserva senza pietà ne finto sentimentalismo, come farebbe uno scienziato.
E dopo che avrai davvero visto e accettato, la luce inizierà ad insinuarsi negli anfratti più bui, lenta ma inesorabile.
Ma prima accetta la distanza che ti separa da te stesso: solo così potrai allenarti a colmarla.
ClaudiaCrispolti
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susieporta · 5 days
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Allard Ward Architects, Nashville, TN. Wiff Harmer photo.
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susieporta · 5 days
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Girano molti post sull'empatia.
Quello che noto è che ricorre spesso il significato negativo, rischioso, che tale skill avrebbe.
L'essere troppo empatici ci farebbe entrare in risonanza con il dolore dell'altro, o con le sue esigenze e sommovimenti emotivi, al punto tale da perdere di vista noi stessi.
Ma questa non è empatia: è contagio emotivo.
Nell'empatia io mi metto nei panni dell'altro, seppur rimanendo me stesso, affinché possa comprendere, attraverso il sentire, che cosa l'altro prova.
Tuttavia questo non pregiudica la mia capacità di discernimento, di radicamento in me stesso, o il fatto di poter dissentire e mettere un confine tra me e la persona che ho di fronte.
L'empatia mi aiuta a entrare in connessione, comprendendo pienamente il suo punto di vista.
Mi fa uscire dal mio ego e dalle sue attivazioni difensive.
Questo può permettermi di accedere a una prospettiva più ampia e veritiera dell'altro.
Posso usare questa comprensione come voglio, in realtà.
Anche per scopi egoistici, paradossalmente.
Se ad esempio empatizzo con qualcuno e grazie a questo sento che egli mi sta manipolando, posso utilizzare tale informazione per andarmene o per dire di no.
Se sento che quello che dice non mi appartiene, e provoca in me un senso di ingiustizia, posso dissentire ed esprimere la mia opinione la quale è contraria alla sua.
Ma questo lo posso fare se sono consapevole della mia tendenza a empatizzare, o della mia capacità di essere empatico.
Nel vero processo empatico io sono cosciente di essere me stesso, seppure per un attimo posso sbilanciarmi e mettere un piede nei panni dell'altro, per poi tornare nei miei vestiti completamente.
Ma, se il sentire l'altro genera una con-fusione tra me e lui, cioè una dissoluzione permanente e completa di confini, rischio di non sapere più né cosa provo io, né quali bisogni ho, né chi sono.
La mia sensibilità si perde nella sua, e io non trovo più la strada per tornare a casa.
Mi perdo nella sua interiorità come quando si cade in un pozzo oscuro.
In questo caso non si può parlare di empatia, ma appunto di contagio emotivo.
Il contagio emotivo è inconscio, meccanico, e si basa su 3 possibili cause.
1) O c'è una dipendenza in atto te me e l'altro, completa o parziale, e già solo questo indica una mancanza interiore, e quindi esteriore, di confini.
2) Una ipersensibilità, e quindi una accentuata reazione alla presenza dell'altro o di qualsiasi altro stimolo, la quale mi fa sconfinare nelle emozioni altrui fino a non riuscire più a tornare indietro.
3) Oppure una mancanza di confini stabili nell'io, il quale è frammentato, sconnesso dal corpo, oppure troppo poroso.
Può esserci anche un mix più o meno variabile di questi tre elementi.
Quello che si può fare in questi casi è lavorare sui confini, sia interni che esterni, sul grounding, ma anche sulla propria sensibilità, o sul rapporto che abbiamo con essa.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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susieporta · 6 days
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Trova un posto dove sdraiarti
un prato per recuperare energie
un giardino affine
un campo emotivo disteso
e metti da parte
tutte le liste delle frette da fare
lascia un'ombra in eredità
pianta un albero,
prova a trovare un punto d'incontro
con il linguaggio delle piante,
ricorda che ogni cosa parla
non fermarti mai
alla forma delle tue parole
frequenta persone
che ti tolgono il respiro
ma trova un posto che te lo ridia,
non urlarti addosso
il bosco sente benissimo
anche i tuoi silenzi
non trascurare la montagna,
abitua il cuore alle vette
che sono i posti più in alto
che ci fanno diventare intelligenti,
dopo due ore di passeggiata in salita
nessuno ha voglia di dire scemenze.
[gio evan]
dise fb o xuanxuan
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susieporta · 6 days
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susieporta · 6 days
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