Tumgik
#naufrago tra petali e spine
princessofmistake · 2 months
Text
Tumblr media
Di me vorrei che avessi un unico ricordo: la delicatezza e la devozione delle mie dita nell'accarezzarti.
396 notes · View notes
io-rimango · 1 year
Text
Ti riconosco anima ferita troppe volte ricucita con lacrime e tristi bugie Tu più di tutte sai che il cuore non si nutre di promesse e soffri perché pensi di dovere al mondo nient'altro che il sorriso I tuoi occhi parlano ti sono stretti colmi di un amore che mai nessuno ha saputo custodire.
Teo Caraiman, Naufrago tra petali e spine
77 notes · View notes
blooming-around · 1 year
Text
Tumblr media
— Teo Caraiman, Naufrago tra petali e spine
111 notes · View notes
fragilityisavirtue · 1 year
Text
Tumblr media
Teo Caraiman, Naufrago tra petali e spine.
8 notes · View notes
myeclipsedmoon · 6 years
Text
Caro Luglio,
mi trovo a scriverti di nuovo. Ho sperato per un anno intero di potermi rivolgere a te con parole dolci e leggere come petali, ma le spine di questa mia vita hanno il sopravvento su di me pure oggi. Non smetti di stupirmi con la tua capacità di disattendere ogni mia più sperata aspettativa. Sì, sono nato nei tuoi giorni, ma perché la tua non è un’accoglienza materna, familiare? Perché mi trovo sempre in un angolo buio a chiederti le ragioni della tua ingiustizia?
Sei un mese caldo, ma neanche troppo rispetto ad Agosto, e tra le tue folate di calore sono iniziate le tue prime ore. Come una lancetta incessantemente in movimento mi hai ricordato dell’incedere delle settimane, così io ho iniziato a scarcerare le ansie dei miei doveri, scolastici in particolar modo. E che lo dico a fare che nemmeno uno di questi è stato adempiuto? Tra le tue braccia ritrovo sempre una certa incapacità nel soddisfare ciò che è da soddisfare, in primis me stesso, gravato delle mie aspettative e delle mie speranze. Insomma, sulla carta tutto mi ricollega a te, ma nelle gallerie del mio sangue non riesco a estrarre neanche un quarzo grezzo della tua familiarità, della tua accoglienza, di un tuo abbraccio, di casa.
Se devo pensare a una metafora che ti battezzi quest’anno, mi viene in mente un orizzonte che traccia il sottile confine tra i due firmamenti terresti, quello marino e quello celeste. Il primo intorpidito nelle viscere dei propri flutti, grigi come la roccia e freddi come il ghiaccio, il secondo smunto e patinato da un triste filtro polveroso. Delle nuvole si muovono in una lenta marcia a passo funebre sull’invisibile pavimento d’aria, abbandonando a un mare di sale timide e deboli gocce; sembrano stanche pure di sollevarsi di quel piccolo peso; ma non sono restie dal tempestare, diluviare o grandinare per paura di dissolversi una volta scaricatesi, piuttosto sono stanche di essere sempre le solite vittime di quel ciclo idrico perpetuo e ingiusto. Nuvole stanche su un mare piatto, pianto e investito da piccoli cerchi tracciati su un cielo riflesso. Triste come immagine? Be’, non potrebbe essere altrimenti. Caro Luglio, quello triste sei tu, ora, oggi, per me.
Il 12 Luglio è stato un illusorio raggio di sole. Apprezzare il volto di una stella spesso lontana in quel giorno mi ha rinvigorito il battito cardiaco. A seguito mi sono direzionato da due cari alberi macchiati da rughe di vita, che, in una dolce e tranquilla conversazione mi hanno ripotato a una condizione bambinesca, ma gioiosa. E la sera, coronato da un binomio confidenziale, mi sono addormentato convinto che quello sarebbe stato solo l’inizio. Ma, ora, oggi, per me, quello era solo la fine. Fine di una piccola parentesi di sorrisi vissuti.
Non sto a ritracciare con il pensiero le profonde e infette ferite incisemi nel tempo dal Mar Ligure. Resta di fatto che, evaporate una serie infinita di scontentezze e rancori, sono rimasto carico più che mai di tuoni e fulmini inesprimibili. E questa inespressività ha dettato, come una legge celeste, decisa da uno Zeus fastidioso e a me ostile, che io non potessi scaricarmi in folgore e in sfogo, ma che dovessi fagocitarmi e, in uno stato di forte dolore, metabolizzare tutta quella carica di rabbia e tristezza. Armato di parole e proposizioni, con le quali ti sto scrivendo, sono ancora una nube nera e ottenebrante, oltre che ottenebrata. Il minimo sfiorarsi di nembi crea in me un’irritante folgore che spesso è attirata dalle pelli dei poveri innocenti che mi sono a tiro. Ma che mese è mai questo? Caldo in quali termini? Io non riesco che a vederti e vedermi burrascoso, sempre in cerca di una maledetta procella da infierirmi.
 Ad essere sincero quel giorno (5 Agosto), alla fine, le parole mi sono mancate. Sai, a non parlare che con sé stessi per manciate di settimane si iniziano a risentire delle profonde deficienze sul fronte comunicativo. Già non posso considerarmi un baluardo dell’espressività in questo mio piccolo medioevo, ma se pure le sillabe mi rifuggono… sono stato molti giorni a riflettere sul fatto che sostanzialmente il problema si sta rivelando essere l’estate di per sé. A ripensare alla sua gemella dell’anno passato, non riesco a non notare e patire certe congruenze. Certo che non c’è paragone fra queste due esperienze temporalmente lontane, ma infierire alle mie papille un sapore già saputo e sperimentato amarissimo non mi pare certo una grande rivoluzione. Come quando, ancora cullati dall’innocenza fanciullesca, i piccoli bambini decidono di valutare l’effetto rovente del fuoco con il quale si sono già scottati. Una tentazione che non riesce ad astenersi dal riammaliarmi e sedurmi con quelle sue danze concupiscenti e conosciute sbagliate. Eppure sembra che un sentimento intimo e magnetico non faccia che portarmi a una crasi dolorosissima, ogni volta, con questa ballerina dal ventre così sterile. È la Tristezza che balla? O forse la Noia? Se fosse invece la Solitudine? Sarà mai possibile incantarsi alle flessioni sensuali di una ballerina senza nemmeno riuscirne e codificarne i tratti somatici?
Caro Luglio, mi verrebbe ora da denominarti mese funesto, col tuo funesto vento e le tue funeste notti passate a cullarsi nel nulla, mi riduci ogni sera a soffrire del mio operato incompiuto, non perfettamente azzeccato. In molti credono in me e in quel giardino potenzialmente fiorito di fiordalisi spensierati e gioiosi. Quel potenziale, quel maledetto potenziale! Rimane sempre nella sua concezione astrale ma non formata; che potesse cadere tutta quella concezione di stelle e realizzarsi in me, così da realizzarmi! Rimango sempre come un gran scultore che vede in una grezza roccia marmorea le turgidità umane e millimetricamente azzeccate, in realismo ed emozione provocata, di un eroe proveniente dai più lontani anfratti mitologici, vestito con la sua perfetta nudità e le sue gesta eroiche, ma che in fin dei conti si stanca di reggere il peso che si accumula nello scalpello e lo getta via. Quante statue avrebbero potuto decorarti, Luglio! Quanti movimenti eroici si sarebbero potuti incanalare nella galleria dei tuoi trentun giorni! Eppure…
Percepisco sempre più pesantemente la mia mutevolezza. Inaspettata e, più di tutto, sempre lenta nell’accordarsi con la mia consapevolezza. Starò forse sprecando ore della mia vita irrisolta e irrisoluta nello scriverti questa lettera; starei potendo fare qualcosa: una scossa tellurica a questa landa piatta di noia e sterrata di spleen. Però le parole sono davvero gli unici fiori che sembrano disseminabili in questo mio tragitto estivo; gli unici fiumi che riescono a sgorgare dalla mia sagoma. Quello che mi chiedo, però, è perché tu, detto e considerato il mese ornato  dall’aura luminosa della LUNA, non abbia in qualche modo cercando anche solo di sollevare una marea impertinente e rinvigorente che potesse smuovermi e smussare quegli angoli che non stanno poi solo scomodi a chi ci si taglia; un mulinello che mi trascinasse vorticosamente nelle viscere di questo marasma e che, facendomi capire la bellezza del respiro solo in quella situazione in cui proprio respirare è impossibile, provocandomi crampi e contorsioni ai muscoli, mi caricasse di una forte e impellente necessità di capire, capirli (gli altri) e capirmi. Perché, caro Luglio, non mi hai travolto e mi hai, invece, lasciato stagnante in quella situazione da amareggiato naufrago insolato?
Caro Luglio, non smetterai mai di essermi padre e madre e, anche se so che non sarà questa mia supplica e estorcerti un’accoglienza e un vigore nuovi e finalmente sazianti, non ripresentarti armato di una verga di tristezza e una frusta di noia, coprendomi con una volta celeste di solitudine; presentati con il tuo manto stellare, sì, capitanato dalla tua sovrana, monarca delle notti, e stupiscimi, però, con la tua bellezza, con la tua ricchezza, con la tua rigogliosità, con la tua essenza. Con la tua e quindi mia felicità.
Caro Luglio, t’amo e ti lascio al tempo. Ritorna forestiero di occasioni e persuadimi, come sai tu, a divenire pellegrino di vita degnamente vissuta.
5 e 10 Agosto 2018
0 notes
io-rimango · 10 months
Text
Sul tuo volto ho colto una lacrima
mi hai detto «non è niente»
non volevi che io mi preoccupassi
Hai sempre nascosto le tue lacrime
dietro una corazza
perché nessuno ti vedesse fragile
In cuor tuo hai sempre saputo
non essere di tutti
non essere per tutti
Tu sei al mondo una nuvola ferita
nascosta agli occhi indiscreti
che contiene al suo interno
la forza di un intero temporale.
(Teo Caraiman, Naufrago tra petali e spine)
13 notes · View notes