Tumgik
#la terra guastata
yourtrashcollector · 10 months
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18 giugno 1922, T S Eliot a casa di Virginia Woolf per la lettura del The waste land
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abatelunare · 7 years
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Cronaca di tre incazzature pomeridiane
Mentre ero in pieno centro storico, sotto la pioggia ma con l'ombrello, sono stato soggetto di tre discrete incazzature, due delle quali dovute al fatto che in certi momenti sono proprio un coglione cosmico.
Prima incazzatura Come sempre, avevo con me la mia fedele macchinetta digitale. Così mi sono messo a scattare qualche foto. A un certo punto, riguardando gli scatti, mi accorgo che negli ultimi c'è come una zona sfocata. Ecco, penso sacramentando copiosamente, mi si è già guastata. Poi, però, la mia parte razionale ha il sopravvento su quella bestemmiante. Guardo bene l'obiettivo. C'era una microscopica e bastarda goccia d'acqua. Tolta quella, la zona sfocata è scomparsa. (Ovviamente ho rifatto le foto fallate)-
Seconda incazzatura Stavo per uscire da un negozio gestito da una persona che conosco. Oddio dove cazzo è la macchina fotografica. Ecco, lo sapevo: l'ho persa. Guardami un attimo lo zaino. Esco in strada per vedere se l'ho posata da qualche par... Ce l'avevo a tracolla. Lei ride. Io mica tanto.
Terza incazzatura Sono andato alla fermata dell'autobus. Per prendere quello che mi avrebbe portato a casa. Il passaggio era ogni quindici minuti. Finalmente lo intravedo all'orizzonte. Mi sporgo dal marciapiede. Facendo il gesto di chiudere l'ombrello. L'autista non mi caga neanche per sbaglio. Tira diritto senza nemmeno accennare a fermarsi. Gliene ho dette dietro così tante che se una sola l'avesse sfiorato, come minimo gli sarebbero cadute le orecchie per terra.
Per oggi sono a posto. Vediamo poi domani.
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italianaradio · 5 years
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Calcio: Roma giostra del gol. Milan, il massimo col minimo sforzo. Ribaltone Spal, Lazio Beffata
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Calcio: Roma giostra del gol. Milan, il massimo col minimo sforzo. Ribaltone Spal, Lazio Beffata
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Calcio: Roma giostra del gol. Milan, il massimo col minimo sforzo. Ribaltone Spal, Lazio Beffata
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In Serie A, è stata un’altra domenica caratterizzata dalla giostra del gol: ben 24 in 6 partite. A questo punto, dopo tre turni, la domanda è d’uopo: il nostro campionato sta diventando come la Bundesliga tedesca, la Ligue 1 francese, la Eredivisie olandese o altri tornei europei in cui la fase difensiva non esiste o quasi? Ovviamente, siamo solo all’inizio della stagione 2019-2020 e molte squadre devono ancora carburare o assimilare bene gli schemi dei nuovi tecnici. Però, si segna tanto: colpa delle difese che non difendono o merito degli attaccanti bravi a segnare? A breve avremo conferme o smentite in tal senso.
La squadra del giorno è senza dubbio il Bologna di Sinisa Mihajlovic, secondo in classifica a 7 punti come la Juventus campione d’Italia in carica e a -2 dall’Inter capolista. Il Bologna, una squadra che non molla mai come il suo allenatore guerriero. A Brescia l’ennesima dimostrazione: la compagine rossoblu è passata in men che non si dica dall’1-3 al 4-3 finale. Un successo favorito anche dall’espulsione per doppio giallo di Dessena, calciatore delle “Rondinelle” lombarde. Dopo la vittoria tutti a trovare mister Miha in ospedale che a un certo punto invita i suoi ragazzi ad andare a ninna. Tutto molto bello e commovente. E domenica prossima al Dall’Ara arriva la Roma: un buon esame per continuare a sognare in grande all’ombra delle Torri degli Asinelli.
Roma champagne all’Olimpico. In attesa della difficile trasferta in terra d’Emilia, i giallorossi centrano la prima vittoria ufficiale della stagione: 4-2 a un Sassuolo più che morbido in difesa. La squadra di Fonseca si conferma forte e bella da vedere dal centrocampo in su, ma, ancora acerba in fase difensiva. A tratti, il potenziale offensivo romanista è debordante per gli avversari, con il nuovo innesto Mkhitaryan subito nel vivo della manovra e subito a segno all’esordio. Per molti addetti ai lavori, quando è in forma, il primo armeno della Serie A, è un vero e proprio “top player”. L’inizio promette bene. Strepitosi anche il nazionale azzurro Lorenzo Pellegrini (autore di 3 assist) e Dzeko. Bene Cristante e il neoacquisto Veretout. Ma ribadiamo, il tecnico portoghese deve ancora lavorare molto sulla fase di non possesso e sulla fase difensiva in generale.
Piange la sponda biancoceleste del Tevere. A Ferrara è andata in scena la solita Lazio dai due volti, autentico tallone d’Achille della formazione guidata da Simone Inzaghi. Nel primo tempo ha annichilito la Spal senza darle però il colpo di grazia dopo l’1-0 di Immobile su rigore; nella ripresa è crollata favorendo il ribaltone firmato Petagna e Kurtic. La Lazio è forte ma manca di continuità e paga una rosa corta soprattutto in difesa e in attacco: negli ultimi anni, ai capitolini è capitato spesso di perdersi sul più bello. Non a caso non accede alla Champions League da molto tempo. Insomma, è da un po’ che la Lazio non è una squadra da torneo lungo ma da coppa. E i risultati storici sono sotto gli occhi di tutti.
Gli episodi regalano la seconda vittoria di fila a un Diavolo piccolo piccolo. Il Milan del nuovo allenatore Giampaolo resta un cantiere aperto e sconclusionato: i rossoneri non hanno ancora un gioco ben definito e soprattutto ci sono molti giocatori fuori ruolo. Però, l’espulsione di Stepinski nel primo tempo e il rigore per fallo di mano consentono a Piatek e compagni di espugnare per 1-0 il Bentegodi di Verona, sponda Hellas. A proposito, l’attaccante polacco, in astinenza da tempo è tornato a fare “pum pum” anche se solo dal dischetto. Insomma, un copione molto simile a quello del Meazza per Inter-Udinese.
Colpo corsaro anche per l’Atalanta. I bergamaschi a pochi giorni dall’esordio in Champions, vincono a Marassi contro il Genoa e si riportano a ridosso delle prime posizioni. Decide una perla di Zapata: centravanti forte ma chissà perchè snobbato dai grandi club. Tre centri in tre partite per il colombiano. Curiosità: al Ferraris si è guastata la Var e l’arbitro ha concesso un rigore inesistente al Genoa: il momentaneo pareggio di Criscito. Ennesima dimostrazione che gli arbitri in tempi di Var sono di gran lunga più scarsi di prima. Vedono falli inesistenti e non vedono falli clamorosi. Senza il sostegno del monitor ormai vanno in crisi.
Tris del Cagliari, Parma ko. I ducali si confermano squadra da trasferta visto il gioco fatto di ripartenze voluto da mister D’Aversa, che può contare su contropiedisti efficaci. Ma al Tardini i sardi passano in scioltezza per 3-1 confermando di avere ottime individualità. Altra aberrazione in era di Var: ben 12 minuti di recupero a Parma. Con la moviola in campo non è più calcio, ma un altro sport. La cosa più brutta di questa giornata resta comunque la maglia della Juventus in versione Polonia al Mundial di Spagna ’82: maglia bianca e pantaloncini rossi. Alla faccia della tradizione bianconera. Ennesima mostruosità di questo calcio moderno, privo di romanticismo perchè comandato da freddi sponsor e tv.
In Serie A, è stata un’altra domenica caratterizzata dalla giostra del gol: ben 24 in 6 partite. A questo punto, dopo tre turni, la domanda è d’uopo: il nostro campionato sta diventando come la Bundesliga tedesca, la Ligue 1 francese, la Eredivisie olandese o altri tornei europei in cui la fase dife…
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Fabio Camillacci
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marellagiovannelli · 3 years
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Pomeriggio in compagnia dell'ultima raccolta di poesie di Giuseppina Carta. Il titolo è "A piedi nudi sull'erba" (Kubera Edizioni); contiene cinquantanove liriche tutte vibranti di passione, impegno, ascolto e attenzione. Nella mia introduzione di un'altra sua silloge avevo scritto che "il non distacco della poetessa Giuseppina Carta dagli affanni e dalle miserie del mondo, è in perfetta coerenza con la personalità di una donna di rara sensibilità, un’anima pura, non guastata dal cancro dell’indifferenza.” Oggi, leggendo le nuove liriche della Carta, che è anche una talentuosa pittrice, resto colpita dalla forza dei suoi versi. Sono "quadri di parole" che rispecchiano e raccontano, senza alcun filtro, le emozioni, i turbamenti, il legame intenso con la sua terra, la Sardegna, e il profondo disagio dell'Autrice davanti alla violenza. Il linguaggio di Giuseppina Carta arriva al cuore dei lettori per la sua autenticità; nessuna forzatura ma la libera espressione del proprio sentire che si fa poesia come per grazia ricevuta; un dono prezioso e sorprendente che regala incanto dalla prima all'ultima pagina. #marellagiovannelli #giuseppinacarta #poesia #poetry #consigliodilettura @giusy.carta (presso Olbia, Italy) https://www.instagram.com/p/CQOhaj4prHt/?utm_medium=tumblr
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claudiocisco · 4 years
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    DI NOTTE, IN UN CIMITERO DESERTO, MI      
    PARLA UNO GNOMO…
 “Ascolta…solitario mortale fantasma, appaio solo ogni mille anni per volere del nulla, venendo da notti antiche. Prediligo i silenzi di luoghi insoliti e le solitudini di anime sconosciute a sè stesse. Ora anche tu sai che mille anni sono come un batter di ciglia e in questa fugace notte tu sei per non essere mai più.”
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                                                                LA MIA TOMBA
 Oggi sono felice: si è avverato un sogno!  Mi sono fatto una tomba tutta mia, col mio nome e cognome, la mia data di nascita, tranne quella di morte, ovviamente. C’è la mia foto scelta da me stesso, di quand’ero ragazzo. Ho inserito una mia frase molto significativa e ho scritto che sono scrittore e poeta. Ho messo inoltre tante statuine di angioletti, oltre ad una di Gesù risorto e della Madonna. Così lascio qualcosa di me ai posteri, oltre ai miei libri. Vado spessissimo a visitarla e porto solo fiori finti, immaginando con curiosità cosa potrà provare quel passante occasionale che transiterà da qui, più avanti nel tempo quando io avrò lasciato questa terra. Questo mio sogno un po’ strano ha le sue origini nella mia adolescenza, quando, attratto dai cimiteri e da tutto ciò che è sepolcrale, andavo a trovare la tomba di Marietta. Ma ora che ho fede, ho chiesto perdono a Dio e a lei stessa per averla sentita così forte, come fosse parte di me, fino a dedicarle un libro e 3 poesie. Ho promesso ad entrambi di non recarmi mai più sulla lapide di Marietta e di pregare ogni tanto per la sua anima. Ormai esiste solo la mia tomba!
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             LA LEGGE DEL SERPENTE
 “Amatevi, gente del mondo intero, amatevi sempre ed in qualunque modo; l’amore, qualsiasi forma assuma, è sempre benedetto ed è sinonimo di felicità. Non bisogna mai aver paura di amare ma di odiare. Credete nell’amore universale, quello vero, incondizionato che non ha sesso né differenze d’età. E’ questa la vera libertà da difendere a tutti i costi e non esiste cosa più bella al mondo di sentirsi veramente liberi di amare chiunque: maschi con maschi, donne con donne, vecchi con giovani, ciascuno libero di tirare fuori la propria sessualità con le sue forme, inclinazioni e gusti. Un rapporto affettivo anche al di fuori del matrimonio che in fondo è solo un contratto che non può legare o sostituire un sogno. Non esiste ciò che chiamano <<perversione sessuale>>, è un inganno inventato dai falsi moralisti e soprattutto dalla chiesa che giudica senza conoscere l’amore fisico, un artificio creato per anestetizzare le coscienze e neutralizzate l’istinto sessuale che invece è un meraviglioso dono che la natura ha regalato agli uomini, non solo per procreare: un piacere naturale che annulla il dolore e attenua lo stress psicofisico. L’unica devianza sessuale semmai è la castità, non vi è infatti nessun motivo per praticarla restando puri, lasciamola ai preti e alla suore, contenti loro!
In fondo se due esseri umani si amano o fanno sesso consapevolmente e volontariamente, che male fanno? Dov’è il peccato? Che bigottismo parlare di fornicazione, sostenere con presunzione di verità e senza alcuna prova o fondamento che l’arte erotica è demoniaca, procurando così assurdi sensi di colpa, tabù, complessi, frustrazioni e a volte persino impotenza o frigidità. Perché tornare indietro al Medioevo, alla caccia alle streghe, a bruciare nel rogo o a lapidare, secondo antiche tradizioni contenute in delle scritture definite sacre dagli uomini, scritte da loro stessi ed attribuite a Dio? Gli esseri umani per trovare uno scopo alla propria esistenza e per vincere ancestrali paure hanno creato Dio e non viceversa. Evviva quindi i matrimoni gay e le unioni civili, simboli di emancipazione e di civiltà, del resto si può essere credenti e praticare l’omosessualità, le due cose non sono incompatibili, l’amore non può essere colpevolizzato perché è “amore”, la parola più importante che esista. Se un uomo sente di sposare un altro uomo ed è felice così, perché non concretizzare questo desiderio? Lo Stato dovrebbe mantenersi laico rispettando anche chi eventualmente non crede e si professa ateo, non si può imporre a nessuno di avere fede seguendo le regole della chiesa. E poi ognuno è diverso da un altro, è unico, con i suoi propri gusti. La diversità è un valore da tutelare e difendere, è una vera ricchezza perché rende la vita più varia e colorata, meno scontata e massificante. La nostra esistenza è così breve, la morte arriverà prima di quanto ci si aspetti, annientando definitivamente tutto. Allora perché non vivere intensamente anche la propria sessualita?”
 Così ragiona e parla il diavolo, il più grande, intelligente, furbo, abile mistificatore, menzognero di tutti i tempi. E’ proprio lui il più grande credente perché sa bene dell’esistenza di Dio e conosce a  memoria le Sacre Scritture manipolandole nelle menti degli uomini secondo il proprio interesse, usando come pretesto una falsa libertà capace di renderci inconsapevolmente gli ultimi degli schiavi. Una libertà lontanissima mille anni luce dalla libertà autentica che porta pace nel cuore.  Quella libertà pura perchè preziosa che ci fa sentire figli di Dio, creati per amare ed essere amati ma d’un amore vero che viene dal Padre e che è dono di sé. Ma soprattutto un modo di essere liberi che scaturisce dall’osservanza della Sua Parola e che risulta conforme alla Sua volontà.
   ELEMENTARE SAGGIO SULLE DEVIANZE       SESSUALI
 Premetto di non essere un sessuologo né uno psicanalista, non sono neanche laureato, quindi, non avrei nessun titolo o qualifica per potermi esprimere. Non mi ritengo neppure un saggista per crearmi eventualmente un alibi. Ciò non mi impedisce però, di scrivere con sincerità e nella massima umiltà, il mio pensiero. Lungi da me l’idea di voler imporre verità o dogmi, o di ergermi a giudice. Sono piuttosto spinto, come sempre del resto, dalla mia creatività irrefrenabile, che ormai reclama spazi in qualunque direzione o competenza. Non ho pretese di nessun tipo, tento solo di tirare fuori la mia idea in merito, ciascuno è libero di condividerla o meno. Il tema che sto per trattare è delicato, è riguarda nello specifico le inclinazioni sessuali, fuori dalla norma. Non mi riferisco alle “perversioni sessuali” (sadismo, masochismo, feticismo, scambismo ecc…); suddette patologie richiederebbero infatti un’attenzione particolare vista la loro stretta correlazione con i demoni d’impurità.  Ma piuttosto prendo in considerazione quelle inclinazioni sessuali assai diffuse e che coinvolgono parecchi soggetti (omosessuali, pedofili, gerontofili). Io ne parlo per esperienza e per conoscenza diretta, e non, lo sottolineo ancora, per preparazione scientifica. Comincio col dirvi che la radice, almeno all’inizio, non è diabolica, cioè i demoni d’impurità non sono la causa che spinge l’uomo verso l’uomo, la donna verso la donna, il giovane verso il vecchio, l’adulto sull’adolescente o il bambino. Ma allora perché esistono questi gusti particolari? Cercherò di spiegarlo in maniera semplice, direi elementare. L’uomo è stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza e il suo spirito ha in sé l’essenza dell’immortalità. Ma, per adattarsi a questa valle di lacrime che è la terra, è costretto a chiudere la sua spiritualità dentro un involucro di carne che è la materia. Quindi la fisicità corporea è soggetta ad imperfezioni e difetti. Dio ha creato il corpo umano con minuziosa attenzione, ogni organo ha la sua specifica funzione, una vera opera d’arte. Ma la natura umana, in quanto fragile, può sin dalla nascita essere guastata. Così c’è chi nasce con un lieve difetto, chi con un altro più accentuato, chi, per fortuna, nasce sano, ed è la maggioranza. Non voglio essere frainteso. Sgombro subito il campo dall’idea che chi ha orientamenti sessuali non conformi alla norma, sia secondo me, malato o patologico. Non si tratta di una malattia fisica, il soggetto deviato è sano come tutti. Il problema è genetico, nasce con la venuta al mondo, cioè omosessuali, pedofili, gerontofili si nasce e non ci si diventa e, al 99 per cento dei casi, ci si rimani fino alla morte. Ma cercherò di essere più chiaro, permettetemi però di farvi un esempio tanto banale, quanto efficace. Immaginate una autovettura che esce dalla fabbrica con i fari obliqui, orientati in maniera direi schizofrenica, in varie direzioni. La macchina è perfettamene funzionante, basta girare la chiave e si mette in moto. Solo che il guidatore, senza avere colpa, vedrà illuminate determinate visuali, mentre le altre rimarranno buie. Questa situazione è la stessa che accade a chi ha una devianza sessuale. La sfera relativa all’istinto sessuale del soggetto, che fisicamente è perfettamente sano come la macchina, è orientata esclusivamente verso persone dello stesso sesso o di età differente a secondo dell’inclinazione. Cioè nella mente del soggetto deviato, il gusto sessuale va esclusivamente verso l’oggetto desiderato, escludendo qualunque altro, proprio come il faro che illumina una zona e lascia buia un’altra. La cosa grave consiste nel fatto che l’intensità sessuale del deviato non è simile a quella che scatta tra uomo e donna, ma molto più forte, a volte perfino incontrollabile. Ora, se il corpo umano fosse una macchina, basterebbe andare dall’elettrauto per risolvere il problema. Purtroppo non è così per l’essere umano che è molto più complsso. E’ chiaro che i soggetti che nascono così, saranno i primi ad essere attaccati dai demoni d’impurità che, svolgendo il loro compito specifico, li spingono a non credere in Dio, ad allontanarsi dalla chiesa, ad accettarsi per come sono quasi con orgoglio, a non seguire la Parola di Dio che santifica solo l’amore tra uomo e donna, coronandolo con la  procreazione. Senza l’aiuto di Dio e senza la presenza dello Spirito Santo, per i demoni sarà vittoria. Io lo so che dal punto di vista legale non si possono mettere sullo stesso piano omosessualità e pedofilia ma la radice è uguale, cambia solo la direzione del faro, per tornare alla macchina. Il soggetto deviato è talmente affascinato dall’oggetto desiderato, da giustificarne perfino di esserne innamorato, considerandolo normale, perché qualunque cosa piaccia assai, uno se ne innamora. Questa è la folle logica di chi reputa normale ciò che non lo è né per Dio né per la natura. Del resto basta guardare l’anatomia dell’uomo e della donna per comprendere che sono stati creati per stare insieme. Auguro di cuore a tutti questi soggetti di pregare moltissimo e di mettere le proprie vite nelle mani di Dio che li ama tantissimo e sa bene i loro problemi. Sarà Lui a guidare la vostra vita anche se non avverrà il miracolo.
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                           ALTI E BASSI
  Nella pace di questa sera attendo la tempesta.
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                                              UNO STRANO INCONTRO
 Mi successe quando ero ancora ragazzo. Mi trovavo sul treno che mi portava a Trento in visita da mia sorella. Per vincere la monotonia del viaggio, leggevo un libro di mie poesie quasi in atmosfera con quello scorrere sulle rotaie. Di colpo, senza chiedere permesso, entrò lei, 16 anni a prima vista, trascurata e con l'aria assente. I suoi lunghi capelli neri e sporchi, il trucco sfatto che le colava sul viso, i lineamenti straordinariamente delicati. Era bella quella ragazza, il ritratto d'un angelo col volto della sofferenza, il male nascosto in lei, non appariva in grado di deturpare quell'adolescenziale fascino innato che possedeva. Ma aveva la paura dentro quegli occhi ancora di bambina, come fosse vittima di qualcuno o qualcosa a cui non poteva o sapeva ribellarsi.
Mi prende di scatto il libro dalle mani, mi si siede accanto, lo sfoglia. La vedevo leggere attentamente:
"E' bella questa poesia" mi dice di colpo "anzi bellissima, come la mia vita quando era tutto un bel sogno e molto di più". In quell'istante, avrei voluto passarle la mano in mezzo ai capelli, accarezzarle il viso, stringerla forte a me per proteggerla, ma non dissi e feci nulla. Era assorta nella lettura di quei versi, non alzava minimamente lo sguardo, era bellissima, molto di più della poesia che leggeva. Arrivammo in fretta senza che me ne accorgessi ad una stazione, la ragazza si svegliò d'improvviso da quell'incantesimo e sempre col libro tenuto strettamente nella mano:
"Me lo regali, posso tenerlo con me?" mi chiese.
"E' tuo, puoi prenderlo" fu l'unica cosa che seppi risponderle. La vidi sorridere per la prima volta, mi commossi, riuscii a stento a non piangere. Quel sorriso come un fiore germogliato inaspettatamente dalla terra arida, era spuntato per magia come un ruscelletto di gioia dal suo dolore. Mi disse infine: "Grazie" e se ne andò via di corsa. Dal finestrino, mentre il treno lentamente ripartiva, la vidi prendere del denaro da un tizio poco raccomandabile, poi sparì man mano che m'allontanavo sulle rotaie. Chi era quella ragazza? Il mio libro le è servito a qualcosa? Perchè il destino me l'ha fatta incontrare per un attimo? Tutte domande senza risposte. Da quel giorno e dopo quell'incontro, io non ho più avuto pace, per molto tempo ho pensato a lei, l'ho incitata nei miei pensieri ad avere cura di se' stessa, ho pregato Dio notte e giorno per lei. Non so dove, non so come, non so quando ma sono sicuro che la rivedrò, sì, io la rivedrò.
Lei mi ha insegnato se non altro, a non consumarmi nella mia tristezza perchè al mondo c'è anche chi sta peggio di me, che forse, non sono poi così sfortunato.
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                                                IO E LA MORTE
  E' un paese morto. Strade malinconicamente deserte, aria pesante, spaventosamente tetra. Furtive ombre si sparpagliano e si riuniscono subito dopo, quasi per sentirsi meno sole. Silenzio assoluto interrotto soltanto da voli di pipistrelli, da rintocchi lugubri di campane. Porte chiuse, finestre sbarrate, occhi atterriti ed impotenti che, dagli usci delle case, spiano lei, signora e sovrana, padrona di tutti noi. Lungo mantello nero, teschio in faccia, bastone per reggersi, curva lei cammina zoppicando e lentamente, sola ed indisturbata. Nessun muro potrà fermare la sua falce. Ha in mano un taccuino verde speranza dove vi sono annotati i nomi e le ore di coloro i quali deve ancora chiamare ed uno nero morte con i nomi di chi ha già rapito con sè. Bambini, continuate il vostro girotondo e ridete di lei che vi sembra così buffa e troppo lontana. Ragazzi innamorati, stringetevi forte l'uno all'altra, tra sogni e amore, lei non si commuoverà e verrà a prendervi lo stesso.
Uomini e donne, accumulate glorie e tesori, lei non si farà comprare e alla sua venuta tutto dovrete lasciare. Vecchi, raccomandate le vostre anime a Dio, lei non avrà paura e sarà molto più vicina di quanto possiate pensare. Gente chiusa nelle vostre case, cos'è questo silenzio? Musica! e ridete forte, e scherzate forte, continuate il vostro ballo in maschera, recitate la commedia della vita, ma sul più bello tu sentirai bussare alla tua porta. Inutile ogni tentativo di fuga o di gridare aiuto, interromperai la danza, toglierai la maschera, abbandonerai la tua dama e le tue damigelle e andrai nostalgicamente deluso con lei, più non tornerai; un istante di silenzio in casa tua insufficiente anche per piangere e poi, immediatamente, lei rialzerà il sipario e riaccenderà le luci e la musica e la danza, imperterrite, ricominceranno senza più una maschera: la tua. Sì, lei porterà anche te in quel malinconico recinto di foglie morte ed alberi spogli e stecchiti
e il tuo corpo straccio, sdraiato si confonderà tra quelli che lì ci son già da tempo. Io, di colpo, evito le braccia di chi vuol fermarmi e scappo giù in strada da solo e le corro dietro: "Perchè?" le grido con disperazione, "perche devo morire? Che male ho fatto per non poter vivere per sempre? Dimmi che ho un'anima, un respiro che vivrà in eterno. Dimmi che il mio sangue non è il liquido d'un automa, che il mio cuore non è un motore, i miei nervi non sono fili sottili uniti tra di loro fatalmente,la mia mente non è un computer. Vedi io ti parlo, ti sento, sono felice, sono triste, ho paura, so scrivere una poesia. Ti prego signora sovrana, tu che sei l'unica che puoi, risparmiami, non farmi morire. Io amo un fiore, una coccinella, un bimbo, amo la vita". Lei si ferma e mi guarda in faccia. E' strano ma di colpo non ho più paura. E' così naturale osservarla in volto, come se si trattasse di un incontro indispensabile, sembra quasi una figura viva, e pensare che la immaginavo diversa e cattiva. Lei mi risponde: "Va' via ragazzo, tua madre t'aspetta a casa, e ricorda sempre, tu potrai anche essere come me per un solo istante morendo, ma io non potrò mai essere come te quando risusciterai in eterno“. Poi mi volta le spalle e girando l'angolo scompare. Io rimango confuso, triste e felice nello stesso istante e piangendo divertito, correndo, torno a casa.
                                         (Racconto tratto dal libro ANIMA SEPOLTA)
"ANIMA SEPOLTA"
Un’espressione poetica d’avanguardia, alternativa, dove fobie ossessive e fantasmi interiori, esternandosi, si tramutano con sepolcralità in energie negative lugubri e macabre, segni indelebili d’una morte interiore eternamente rassegnata nel misterioso mondo della follia e dell’inconscio. È la fine vitale d’un’anima sepolta. L’autore sente dentro di essere ormai un’ombra che ha paura perfino di rivedere la luce e come unico rimedio, non ha altra speranza che la morte.
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                                       PROSTITUTA SCONOSCIUTA
 Ti vedo tutte le sere al solito posto sopra gli sterili binari d'un tram. Se hai freddo strofini le mani per scaldarti, se non passano macchine continui a guardarti intorno. Gli stivali neri di cuoio sempre gli stessi, la borsetta a volte rossa altre nera, la minigonna, il solito trucco vistoso: questa sera però mi sembri più bella! sexy più che mai. Chissà se sei sola nella vita
o se qualcuno ti ama! Chissà perchè lo fai! Forse avrai un romanzo dentro da raccontare, testimonianza di un'esistenza non bella come avrebbe dovuto essere. Vorrei poterti aiutare, amarti, stare un pò con te! per la prima volta ti vedo con occhi diversi, non mi interessa affatto il sesso. Non ho mai avuto il coraggio di avvicinarmi a te, mi blocco ogni volta che provo, mi sembri quasi irraggiungibile ma poi per dirti cosa? In fondo ho paura di fare tutto. Ti scongiuro, fuggi con me prostituta sconosciuta! Ricominciamo insieme una nuova vita, non consumarti più così! ti stai buttando via da sola! continui a farti del male. Ti desiderano tutti ma quando torni a casa, non ti rimane niente. Ma ora basta: devi cambiare la tua vita, è tempo di riscossa.
Non riesco nemmeno a terminare questi pensieri che ti vedo salire già su una macchina sportiva. Addio mia prostituta sconosciuta! sicuramente domani verrò ancora a vederti e a tenerti compagnia in segreto e a distanza, forse mi sono innamorato di te o forse abbiamo qualcosa in comune che ci unisce: siamo entrambi soli, che il Signore ci aiuti!
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                                  IL VUOTO DI UN PAGLIACCIO
  Ti aspettiamo e ora che entri in scena, indossa la tua maschera, con quel grosso sorriso stampato sul viso ed il trucco che ormai fa parte di te. Nella voce e nei gesti, un po' mimo e un po' attore, sai far tacere il tuo cuore, t'illudi di tornare bambino, dimentichi in quegl'istanti la tua tristezza. Cadi, rialzati, ubriacati, balla, grida, scherza e noi saremo lì, a guardarti, a ridere, ad applaudirti: sei un attore e come tale devi essere trattato. Nessuno di noi in platea si domanderà chi sei, proprio nessuno si preoccuperà delle tue sofferenze, per noi sei solo un pagliaccio, una maschera e nulla più! Ci interessi per come appari, non per quello che sei. Quando le luci del palco si spegneranno, tu ti troverai solo con te stesso, come sempre del resto. E l’immagine tua vera riflessa, non potrà più far ridere. Non sarai in grado di mentire, e quel grosso sorriso si trasformerà in lacrima, una lacrima amara che scenderà sul tuo viso fino a scioglierne il trucco. Ti auguro, caro pagliaccio, che la tua vita sia come la scena, felice e divertente, e che tolta quella maschera, non ci sia più il vuoto.
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                                                      MARIONETTE
 Cantavo il mio romantico sogno nella notte davanti al palcoscenico buio di un teatro dove piccole marionette allibite mi guardavano. Tutto intorno il vuoto più assoluto, non percepivo umana presenza all’infuori di quei ridicoli pupazzi colorati: “Solo noi possiamo comprenderti, sappiamo ascoltarti, abbandona gli umani e salta qui sul palco da noi” mi dissero in coro. Così feci e diventai burattino tra i burattini, rinunciai alla solitudine d’essere uomo, scelsi i colori, il teatro, le marionette, diventai uno di loro. Su quel palcoscenico recuperai la mia vera dimensione, mi ritrovai folle e disperato ma libero e felice.
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                                              I BURATTINI UMANI
 Sono vivo o sono morto da secoli? Sono libero o qualcuno mi guida? La via che seguo l'ho scelta io o è stata già scritta? Questa mia storia buffa morirà con me o si perderà nell'enciclopedia del tempo? Mi hai acceso la corrente ed il mio sangue ha cominciato a scorrere. Mi hai caricato l'orologio e la mia pressione segna 80, 90,100. Mi hai dato la corda ed il pupazzo si sta muovendo ma la chiave che mi dice chi sono perché non me l'hai data mai? Ti faccio ridere lo so ma io non so chi sono. Allo specchio vedo la mia maschera. Mi guardo intorno ed ecco tanti burattini come me: chi è bello, chi è corto, chi ha gli occhi verdi, chi sta morendo e chi sta per nascere ma tutti con lo stesso sconosciuto destino. Mio Dio, quanto sono stupidi i burattini umani! hanno un'anima ma non lo sanno. Sono monotoni, tutti cronometrati: 99 centesimi di secondo ad un secondo e corrono in ufficio. Si sposano per avere figli che a loro volta faranno altri figli: che noia! che sciocchi mortali! che guadagno hanno a non lasciar estinguere la razza umana? Tutti si chiedono di capire ma nessuno di loro ha mai capito un bel niente. Tutti pronti ad insegnare ma insegnare cosa se neanche loro non sanno nulla? Ognuno dice la sua, ognuno crede che abbia ragione lui. E' un teatro folle e buffo pieno di burattini colorati, un enorme carrozzone di maschere e coriandoli e anch'io, senza sapere come, mi ritrovo in mezzo senza averlo minimamente voluto. Se guardi attentamente fra tutti questi pupazzi che si muovono puoi vedere anche me: Vedi sono quello laggiù vestito d'Arlecchino con i capelli lunghi e che sta sempre da solo, anch'io come gli altri sto recitando la commedia della vita nel carnevale dell'incomprensibile esistenza umana. Ti prego riconoscimi se puoi, distinguimi da tutti questi burattini, dai un senso alla mia vita perché io non mi sento uno di loro, perché io non sono fatto di bottoni e tasti e non voglio fili che mi muovono. Vedi io piango e rido, so dare amore, sento di essere immortale e originale. Sin da piccolo mi hanno programmato come un computer contro la mia volontà. Mi hanno costretto a recitare in un palcoscenico che io ho sempre odiato e che non mi appartiene. Mi hanno fischiato e applaudito mentre in realtà io piangevo perduto tra tutti questi burattini in cerca d'allegria che compravano e vendevano questa pelle mia. Mi hanno dato un nome che non è quello mio. Mi hanno voluto per come io non sono: io angelo travestito da manichino. Ti prego portami via e salvami, dimmi chi sono, io non mi conosco. Per questo ora dico basta! non voglio più obbedire a regole e dogmi o a una falsa morale come gli altri burattini. Preferisco sentirmi libero all'inferno che schiavo in paradiso, padrone di niente, servo di nessuno. Meglio essere un uomo vero, solo ed incompreso che uno dei tanti burattini umani.
                                                  (Racconto tratto dal libro APOCALISSE MENTALE)
  "APOCALISSE MENTALE"
Monologo in prosa surrealista, cerebrale e filosofica. L’autore medita sul senso della propria esistenza e sul destino universale di tutti gli esseri viventi. Si rivolge alla natura affinché possa svelargli il mistero che circonda tutte le cose ma l’interrogazione risulterà dolorosamente vana, non rivelerà nessuna verità e porterà la sua mente sino al delirio. La natura continuerà ad apparirgli bella e spietata, fino al punto di trasformare in poesia e vita, proprio come la bellezza d’un tramonto, persino il doloroso momento d’un addio o della morte stessa. La vita vana e fugace, è allettante e ingannevole come il canto delle sirene, l’autore ne è consapevole ma, proprio per questo, sente di amarla ancora di più e di non potersi più staccare da essa.
Seguendo la strada della follia, si lascerà annientare in tutto il suo essere e in questa sua apocalisse, troverà conforto in un poetico abbandono.
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                                Fantasmi nella notte
 Ascolta.... ragazza sperduta in quest'infinito.
E' notte, ogni cosa intorno è spenta e tace. Nel silenzio, dolcissimo, altre sensazioni di un mondo totalmente sconosciuto ma intrinseco con i nostri giovani spiriti, vivono con suoni e colori in dimensioni parallele e niente è ciò che sembra. Attimo fugace, come un fiore che sbocciando muore, in questa notte t'amo per non amarti più.
Noi due siamo come fantasmi nella notte, anime vaganti in cerca d'amore, muovendoci insieme, in trasparenza, candidamente invisibili, ci avviciniamo piano per non aver paura nell'oscurità.
Noi due fantasmi nella notte, solitari astri dispersi nel grande firmamento lassù, senza tempo e senza storia, rapiti dall'oblio, misteriosamente avvolti dalle tenebre, angeli di questa giovinezza. Magicamente lontani dal flusso impetuoso della multanime esistenza, noi due non avvertiamo più il battito sconfinato dell'infinito come orrenda solitudine e mistero interminabile. La realtà ci appare come un susseguirsi di fantasmi vuoti e meccanici ed ogni residuo di tristezza si smarrisce del tutto o vibra remoto in un placamento soave.
Ragazza sconosciuta! sei bella tra le ombre, sei più bianca della luna, il tuo viso brilla come una candela..
Lascia questa mia mano che hai stretto così fugacemente questa notte.
Alle prime luci dell'alba le nostre strade si divideranno per non ritrovarsi mai più.
Abbiamo acceso un fuoco in noi che il vento della vita che fugge spegnerà presto. Non dimenticarmi ovunque sarai, io non ti dimenticherò ovunque sarò anche se resteremo per sempre fantasmi nella notte.
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                           STORIA D'UN VECCHIO EREMITA
 Vivo quassù tra le montagne, rifugiandomi nel mio nido silenzioso, in un lungo e solitario esilio. Ho abbandonato il mondo con il suo grigiore per osservare felice i colori dell'arcobaleno ed ogni volta scoppio a piangere di gioia mentre la mia anima si purifica nella luce del sole.
Non ho incubi che mi svegliano di soprassalto, non vedo più quei mille volti della gente pronti a sommergermi, è lo sguardo magico della natura che m'incanta e mi protegge nel buio come una madre schiude le ali sul suo piccolo, sento la rugiada gocciolare sulla mia barba.
La scala dei miei giorni, di gradino in gradino, sta salendo sin lassù, per questo veglio paziente ogni alba che nasce, così giorno dopo giorno m'avvicino al cielo e non ho paura di volare via nell'ora del tramonto, so che rinascerò in primavera per non essere mai più solo.
La morte mi aprirà le porte alla vita eterna e gli occhi della natura, che sono stati la luce della mia terrena esistenza, diverranno gli occhi di Dio lassù. Attendo la pace della sera per addormentarmi in un lungo sonno, stelle d'argento e cori di uccelli, porteranno lontano oltre le montagne l'eco della mia solitudine ed i miei sogni fragili saranno foglie verdi d'un albero solitario che la collera del vento non potrà mai spazzare.
Un freddo e misterioso inverno, busserai alla mia porta frustata solo dal vento, e addentrandoti nel mio nido, troverai quel panno che mi asciugava il sudore, il bastone che aggrappava la mia fatica, una candela che non si consuma. E quando sarai al sicuro, rivivrai i ricordi di quello che sono stato, ammirerai la statua di quello che sono adesso.
In un angolo buio, impolverato da tele, scoprirai il mio diario segreto, frammenti d'una vita mai vissuta, povera fuori, ricca dentro: Non bruciarlo ma fanne tesoro. E' la memoria che infrange i secoli e vince il silenzio dell'universo, il buio della morte.
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                            APRITI CON ME
 Non puoi fuggire da te stessa, non devi nasconderti anche da me. Ormai io ti conosco sai, è come se leggessi dentro i tuoi pensieri. Nei tuoi occhi da troppo tempo spenti ma bellissimi e di straordinario colore, vedo riflessa chiaramente come per magia la tua anima. Il tuo sguardo avvilente, etereo, quasi lunare smaschera questo tuo essere creatura persa, come chi è presente solamente col corpo ed è lontana mille anni luce con la mente Ma io provo ad immaginare il fascino di quel tuo viso che sarebbe capace di ipnotizzare chiunque se solo potesse ritrovare la bellezza e la spensieratezza del suo sorriso. Ti prego: apriti con me! Non chiuderti tenendoti tutto dentro, forse non trovi le parole, non sai da dove cominciare. Parlami del malessere che ti opprime  e dal quale credi di non poterti liberare. Ci sono segreti, esistono paure in te, lo sento. La tua vita è un mare in tempesta ed il tuo futuro lo vedi annebbiato, hai già pianto parecchio fino a prosciugare ogni lacrima ma dall'amarezza e lo sconforto di questo tuo dolore, ne uscirai fuori e per sempre, se lo vorrai veramente. La mente mia ora precipita in fondo alla tua, e in simbiosi con i tuoi stessi tormenti scopre un'ombra, intravede una solitudine profondissima, si perde nel labirinto del tuo mistero lasciandosi del tutto rapire dalla angoscia che ti possiede. Come fari abbaglianti nel buio, i tuoi pensieri negativi sparano su me ma non mi uccidono, mi danno più forza. Ti scongiuro: apriti con me! Io ti ascolterò con attenzione e pazienza senza giudicarti affatto ma cercando di comprenderti, calandomi al tuo posto. Ora dimmi perchè ti consumi così, cosa c'è che mi nascondi, c'è un pericolo che incombe o un demone alle tue spalle. Dimmi tutto ciò che vuoi,  qualsiasi cosa o confidenza, fammi partecipe di ogni tua sensazione, io sono pronto a seguirti con cura, ovunque ed a qualunque costo, finchè mi permetterai di farlo, amica mia! Non odiarti in questo modo ma rendi il bene per il male, prova finalmente ad amarti un pò, scaccia via dalla tua vita la tristezza, i fantasmi della notte, distruggi definitivamente la disperazione. Sento che un sogno, una speranza sopravvivono ancora sepolti dentro il tuo io, ti chiedono luce, entusiasmo, poesia, invocano tenerezza. Ti supplicano soltanto di non arrenderti al male ma di lottare, di non perdere la fiducia in te stessa, sanno che se vuoi ce la fai, puoi riscattarti aprendo gli occhi che tieni bendati. Insegui quel sogno e quella speranza, fallo con volontà e coraggio, credendoci fino in fondo, ti accorgerai che sono più vicini e raggiungibili di quanto tu possa pensare. Fai piovere amore su di te, apri la porta del cuore, quanto c'è di puro, di meraviglioso tu l'avrai. Coltiva e lascia germogliare quegli amori trascurati ed abbandonati in fondo al tuo cuore, sai bene che ci sono ancora, ti stupirai piangendo di gioia nell'osservarli fiorire nella tua  giovane vita. Credimi, ti prego ascolta queste mie parole: apriti con me! Io sono qui con te per aiutarti. Non c'è sbaglio o colpa alla quale non si possa rimediare, non esiste sconfitta in grado di annullarti e non è mai troppo tardi per riemergere. Adesso sei solo caduta ma ti giuro e sono certo che presto ti rialzerai e rinascerai con più forza e più amore di prima. Credici, credici, credici!
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                                                    "RIFLESSIONI"
 A dispetto del tempo che inesorabile scivola sui miei anni, son rimasto quel bambino sperduto di ieri con lo stesso terrore di crescere, solo ed incompreso tra mille paure. Ho ancora voglia di sognare, illudermi, fantasticare. Vorrei rifugiarmi in un mondo solo mio, ricco di colori e d’ingenuità, dove poter finalmente tornare bambino senza crescere più, allontanando le terribili ombre della solitudine, della vecchiaia, della morte stessa, ma è un mondo fragile spezzato crudelmente dalla nuda realtà. Così, ogni volta che provo a volare in alto, una forza sconosciuta ed impietosa, mi taglia le ali ed io precipito giù più triste che mai, come un gabbiano che non vola più, mentre le mie lacrime, quelle stesse che percorrevan lente il mio viso pulito di bambino, continuano a non sapere quel che loro stesse vogliono e a non trovare quel fazzoletto che le possa asciugare per sempre. In esse, vedo riflessi i miei sogni, li vedo morire uno dopo l’altro sciogliendosi come gocce di pioggia disposte in fila, sospese alla ringhiera.
Continuo ad osservare con occhi limpidi e stranieri, l’immenso mare della vita ma è sempre inutile sforzarsi nel tentativo d’immergersi. Vedo lontano quel veliero che da piccolo chiamavo col nome di speranza e che non è partito mai. Eppure m’accorgo che dentro e fuori di me, v’è ancora tutto da scoprire e da imparare. Sento in me una grande energia vitale, creativa ed artistica. C’è in me una sensibilità profondissima, spaventosamente grande a confronto del mio fragilissimo essere che più s’ingrandisce e più resta isolata, soffocata dentro come un vulcano che dorme. Vorrebbe esplodere e sommergermi come un fiume in piena ma non può farlo, come una bottiglia smossa dalla quale non è possibile togliere il tappo. Forse sono troppo diverso da tutti perché possa essere capito, o forse è solo colpa mia se non riesco a esternare quello che ho dentro. Comincio a credere di essere un folle, quasi un alieno, così almeno mi creo un alibi per giustificare questo mio giovane vivere, terribilmente e prematuramente invecchiato.
Ho un disperato bisogno di vita, di giovinezza, di entusiasmo, d’amore. Con chi potrò aprirmi manifestando come sono dentro? Chi potrà veramente capirmi? Vorrei trovarti e finalmente gridarti con tutto il fiato che ho: “Ispirami, sconvolgimi, amami”. E intanto cresce il terrore d’invecchiare e il desiderio di morire ancor prima di vedere il mio corpo mortificarsi con le prime rughe. Non potrei mai sopportare il tremendo contrasto tra l’immortalità del mio spirito che, nonostante tutto sembra che esista, e la debolezza del mio corpo in declino. Sono sicuro che dentro, resterò sempre un bambino mai cresciuto anche se avrò i capelli bianchi e conserverò intatta nelle pupille degli occhi, la stessa luce ch’emanavo da piccolo. Amo troppo la giovinezza e non posso fare a meno di sognare per potermene fare una ragione sulla vecchiaia che è uno stato del tutto naturale e, di conseguenza, accettarla con rassegnazione o addirittura giustificarla. Per me la vecchiaia resta il più grave e doloroso castigo che la natura scagli contro gli uomini. È più malvagia e terrificante persino della morte. Eppure devo ammettere che la mia solitudine e la mia tristezza, sono nate con me, le ho conosciute da giovane, almeno in questo, la vecchiaia non c’entra. Estraniato da sempre dalla vita, non avendo niente ed essendo di nessuno, ho scoperto man mano me stesso. La mia solitudine è simile ad un messaggio chiuso in una bottiglia e gettato in mare. Forse un giorno, quando non ci sarò più, leggendo queste mie accorate riflessioni, mi capirai e, scoprendo che valevo qualcosa, piangerai per me.
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                                                    "SOLO NEL BUIO"
 È notte fonda ed io sono ancora sveglio con lo sguardo assente nella mia camera silenziosa, unica mia compagna, testimone di tanta solitudine. Senza chiudere occhio, penso a tutto e a niente. I vecchi soliti dubbi mi si accavallano in mente: come posso dormirci sopra? Sì, lo so! Fermarsi qui a pensare non si può, farla finita neanche. È solo mia la tristezza, la fine. Non ho più la forza di lottare ormai. Un altro inverno è in me, non devo crollare proprio adesso buttandomi via, devo trovare il coraggio di andare avanti da solo: Dove siete amici miei che avevo? Anche tu mi hai detto infine addio voltandomi le spalle, non sono più niente per nessuno ormai. Mi guardo intorno e vedo solo il vuoto. Grida la voce del mio cuore, spenta dal dolore che nessuno ascolta più. Vorrei non essere mai nato, chiudere gli occhi e scomparire in un attimo. Non so che sarà di me, sono confuso, disorientato, mentre gli anni passano veloci. Fuori è buio ed io tremo, comincio ad aver paura. Mi rigiro nel letto, grido nel sonno, ho incubi, sto male, piango e non ce la faccio più. Ho vissuto una vita che non è mai stata vita.
Dove fuggire un’altra volta? Come placare questa mia ansia fortissima? Ormai le ho già provate tutte, ogni tipo d’evasione, non è servito a niente! Ora mi ritrovo solo, nel buio, con i fantasmi della notte che m’inseguono molto più di prima. Sono nato solo. E solo morirò.
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                                         "LA MIA ESISTENZA SOLITARIA"
 La mia vita è una strana vita, solitaria, incomprensibile, senza senso. Continue rievocazioni della mia adolescenza, sogni irrealizzabili, emozioni intensissime, una impressionante anche per me creatività che mi spinge a scrivere sempre, e poi amori platonici ed immaginari verso ragazze giovanissime, forse per illudermi pateticamente di ringiovanire. Chimere di eternità le mie, che non hanno nessun riscontro pratico destinate a morire e a dissolversi nel nulla. Su tutto questo sfacelo regna sovrana la signora Solitudine, è sempre e solo lei a starmi accanto fedele, fino ad incitarmi a dialogare con me stesso, parlando naturalmente e tranquillamente da solo, io con me stesso e nessun altro, in fondo sto bene col mio io e mi amo, forse questo è anche un bene che mi permette di tirare avanti senza deprimermi. Non ho una compagna che mi ami e mi dia calore dormendo al mio fianco, non ho figli da educare e crescere, né soldi per campare, niente lavoro per realizzarmi e rendermi utile, nemmeno amici per scambiare quattro chiacchiere, niente di tutto questo: sono il chiaro esempio di come non si dovrebbe mai vivere. Sono anche ossessionato dal continuo timore d’invecchiare e di morire o di essere preda di malattie corporali e questa specie di nevrosi mi perseguita da sempre, giorno per giorno, ora per ora, attimo per attimo. Temo la vecchiaia e la morte perché paradossalmente amo fortemente la vita anche se nella maggior parte dei miei scritti, trasmetto tristezza. Possiedo però una grande virtù che non tutti hanno la fortuna di avere: sono tremendamente sincero nell’arte come nella vita. Le ragioni di questo mio non fare, sono da ricercarsi nel fatto che mi son convinto ormai da tempo che non vale la pena impegnarsi nella vita pratica di tutti i giorni perché la morte arriverà prima o poi per tutti e saremo costretti ad abbandonare ogni cosa di questa terra quindi non ha senso impegnarsi in nulla di materiale, e mi ritorna in mente a tal proposito la famosa frase “gli ultimi saranno i primi” ed io mi sento orientato proprio verso gli ultimi della scala sociale, mai verso coloro che osservano dall’alto. Lo so, davanti ai tuoi occhi, caro lettore che mi leggi in questo momento, sembrerò pazzo, tanto da aver bisogno di mille psicologi ma ti prego rifletti per un attimo prima di giudicarmi e almeno sforzati di comprendermi. Durante questa mia assurda e solitaria esistenza non ho costruito proprio nulla di pratico e nulla ho intenzione di creare per il mio futuro. Preferisco rimanere immerso fino al collo in questo personalissimo mare di inguaribile monotonia e piattezza con una sola ma importante novità: sto cercando Dio con tutto me stesso, forse per riempire quell’enorme vuoto che ho dentro, chiedendo a Lui e solo a Lui tutto quell’amore che ho sempre cercato e non ho mai avuto. Non so spiegare nemmeno a me stesso il perché debba vivere così, forse è stata una mia libera scelta in sintonia con la mia anima inquieta e tormentata, o forse i continui e micidiali attacchi d’ansia sempre presenti sin da piccolo in me, hanno inevitabilmente condizionato tutta la mia esistenza, rendendomi totalmente schiavo di paure ed inibizioni. Ma non ho alibi adesso e non cerco giustificazioni di nessun tipo, sono così e basta e forse, paradossalmente e consapevole di una lucida follia, sono anche felice e orgoglioso di esserlo. Io sono questo, sono fatto così ormai e non mi piango addosso ma, al contrario, mi accetto e mi amo per quello che sono. Ho però dentro di me quell’inquietudine, quell’eterna immotivata per certi versi insoddisfazione che sarebbe giusto chiamare angoscia, che mi rende scrittore, artista, creativo e senza la quale non potrei mai esserlo. Non so se sono davvero un poeta nonostante abbia scritto un’infinità di versi ma non m’importa affatto di saperlo, lo sento dentro di me e non devo dimostrare a nessuno di esserlo. L’unica cosa che so di certo è che scrivere mi fa sentire veramente bene, mi trasporta in alto, liberandomi dall’ansia e dalla materialità di questo mondo. È difficile spiegare, anche per me che mi reputo uno scrittore, quello che provo nell’intimo tutte le volte che ho una penna in mano: è una sensazione di forza, potenza, libertà, eternità mischiate tutte insieme e mi lascio trascinare via dalle parole che scrivo e che mi sommergono come un fiume in piena, incontrollabile, inarrestabile che vuole straripare. Credo che solo quando scrivo riesco ad essere veramente realizzato: sono me stesso, libero! L’arte eleva l’uomo rendendolo immortale. Quando creo una storia arrivo a sentirmi addirittura Dio nel far vivere e morire a mio piacimento i personaggi che invento.
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violet-d-enfer · 6 years
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Pénélopes usées, Juliettes avachies
La neve è, per sua natura, generatrice di meditazione. Facile a dirsi, che subito arrivano i problemi dietro la fronte di Giulia, appoggiata sul freddo del vetro, a guardare il piccolo lembo di mondo cambiare in bianco, le mani a scaldarsi sul termosifone. Esiste il ‘per natura’? Beh, anche no. Come sintetizzare ‘generatrice di meditazione’ in una sola parola? Qualche tentativo, incerto e cacofonico, di neologismo usando gli arcaismi del greco. Poi, una resa, piccata: troppa meditazione, troppo logos. Sta così.
In fondo alla testa, le sussurra una poesia, che lì per lì le sembra adatta, se la segna mentalmente: dopo, andrà a ricercarla per leggersela e assaporarla. Evidentemente la poesia non era così importante, perché ‘dopo’ non riuscirà davvero a ricordarsi quale fosse. Con suo sommo fastidio.
Il gioco mentale cambia, sulle note e sulle parole, riadattate al suo caso, di una canzone in sottofondo. “Tornano sempre” e il più delle volte mentre io me ne sto andando via. “Tornano e tornano a tornare. Dagli amanti amati e da quelli trascurati.” Vorrebbe, e chi non lo vorrebbe, essere della prima risma. La vocina stridula e cattiva le ricorda di essere della seconda. E non è neanche detto. E aggiunge, con (im)pertinente e quasi compiaciuta precisione: neanche una Penelope consumata o trasfigurata. Solo una Giulia, Giulietta per gli affetti, estenuata sul ciglio tremolante dell’abbandono.
Il pensiero si disperde in rivoli che scendono in basso, profondi, e riemergono, subdoli, carsici, a tradimento a volte piacevole a volte no.
La fronte ormai ghiacciata le devia alcuni rigagnoli, da periferici a centrali. Con passo disordinato, nell’assenza irreale di rumori del piccolo appartamento, Giulia si muove verso il disordine della libreria. Il disordine le ricorda tutte le volte quante volte si sia ripromessa di scacciarlo, e sta lì beffardo, con aria di sfida. Lei finge di non notarlo, ma quando afferra, sicura della posizione, il libro dallo scaffale fa una piccola linguaccia mentale al suo nemico-amico. Il libro è un vecchio ricordo dell’infanzia, un’edizione per bambini dell’Odissea. Quando le capita di ripensarci da lontano, si ricorda i toni dei colori: i blu scuri declinanti verso il nero, il bianco della veste di Nausicaa, la luce di Atena, lo sguardo nero di Penelope. Sfoglia il libro sorridendo e indugiando sulle pagine dedicate a lei. E le immagini del profilo perfetto, irresistibile di Irene Papas si sovrappongono a quelle del libro.
Chi sa lo sforzo che faceva Penelope per nascondere alla luce i suoi pensieri. Chi sa le parole amare che giravano in vortice nella sua testa, mentre sfidava la tela, e le parole di odio, mentre la disfaceva. Quando malediceva Troia “odiata dalle donne greche”, quando lanciava strali contro il colpevole di quella guerra, di quella lontananza.
“Oh se allora, quando con la nave si dirigeva verso Lacedemone, l'adultero fosse stato sommerso dal furore delle acque! Io non sarei rimasta nel gelo di un letto vuoto e, abbandonata, non mi sarei lamentata dell'interminabile trascorrere dei giorni, né, mentre cercavo di ingannare il grande spazio della notte, la tela ricadente avrebbe stancato le mie mani, prive di te. Quando non ebbi a temere pericoli più spaventosi di quelli reali? L'amore è un sentimento permeato di paure angosciose.”
E il terrore, scacciato con un gesto della mano, ma misurato ché nulla deve trapelare attraverso la compostezza, ché nessuna breccia deve aprirsi sul gorgo, anche se un assalto, un’imboscata, la fierezza dei Troiani possono, da un momento all’altro, scagliarsi contro Ulisse.
“Alla fine, chiunque venisse sgozzato in campo Acheo, il mio cuore di innamorata diventava più freddo del ghiaccio”.
E il ristoro delle notizie che leniscono.
“Troia è ridotta in cenere, nuda terra quello che prima era muro”.
E il rimbrotto dell’amante che trema.
“Hai avuto il coraggio, troppo, troppo dimentico dei tuoi, di entrare nell'accampamento dei Traci con un agguato notturno e, di trucidare con l'aiuto di un solo compagno tanti guerrieri. Eri davvero prudente e ti preoccupavi anzitutto di me! Per la paura il cuore mi palpitava di continuo finché si seppe che, vittorioso, avevi attraversato il campo alleato sui destrieri traci.”
Il tempo scorre, lungo le recriminazioni.
“Distrutta per gli altri, per me sola resti ancora in piedi, Pergamo che, il colono vincitore ara con i buoi catturati. Dove una volta sorgeva Troia, ora c'è il grano e il terreno da mietere con la falce è in pieno rigoglio, reso fecondo dal sangue troiano; le ossa affioranti dei guerrieri sono colpite dalle lame ricurve degli aratri, l'erba ricopre le rovine delle case.”
Il tempo corre lungo due dimensioni, quella del lampo che muggisce, quella delle sabbie mobili che inghiottono.
Il tempo pulsa e diventa una bocca aperta a voragine, nera, muta, in cui i rigagnoli delle angosce si buttano a capofitto, penetrano e squassano, beffardi, dalle radici.
“Tu, che pure sei vincitore, te ne stai lontano e non mi è dato sapere quale sia la causa del ritardo o in quale parte del mondo tu, crudele, te ne stia nascosto. In quali terre vivi, o dove indugi lontano? Sarebbe meglio che fossero ancora in piedi le mura di Febo - mi adiro, ahimè, incoerente, contro i miei stessi desideri! -: saprei dove combatti e avrei timore solo della guerra ed il mio lamento si unirebbe a molti altri. Non so di cosa ho paura, ma, da insensata, ho paura di tutto e vasto spazio si offre alle mie angosce. Qualunque pericolo del mare e della terra sospetto che sia la causa di un ritardo così prolungato. Mentre sono in preda a sciocchi timori, tu puoi essere preso dall'amore per una straniera - tale è l'indole vogliosa di voi uomini! Forse le racconti anche quanto è zotica tua moglie, buona soltanto a cardare la lana. Possa io ingannarmi e questo sospetto svanisca nell'aria leggera, e non avvenga che tu, libero di tornare, voglia restare lontano!"
La promessa a blandire il ritorno, a scongiurare la separazione insopportabile. La devozione senza condizioni.
“Il padre Icario mi spinge ad abbandonare il letto vuoto e continua a rimproverare la mia interminabile attesa. Continui pure a rimproverare! Sono tua, devo essere considerata tua: io, Penelope, sarò sempre la sposa di Ulisse.”
Il rimpianto, quasi una scusa per quando gli occhi dai suoi occhi scenderanno quasi involontariamente lungo il suo corpo, quando la volontà negherà quel lampo di delusione negli altri occhi e lei lo vedrà, senza poter credere alle parole, senza poter fare a meno di sentire una lama affondare e rigirarsi, scardinando quello che resta del suo spirito.
“Io, che alla tua partenza ero una giovane donna, per quanto presto tu possa tornare, di certo ti sembrerò diventata una vecchia.”
Giulia chiude il libro, con un sospiro che non avrebbe voluto sospirare. Perché se fosse Penelope tesserebbe quella odiosa tela con mani sicure, dita sapienti, lo sguardo concentrato, sicuro di sé e della sua arte, quasi di sfida. Sì, potrebbe essere una maschera, ma senza la minima crepa. L’ultima maschera, definitiva. E, invece, da Penelope consumata, da Giulietta guastata, la scelta, inconscia e per questo più dura da scardinare, è un vigliacco, lento procrastinare.
Uno stillicidio.
Il pensiero si raggruma, inizia a girare su se stesso e avviluppato alle immagini troppo vivide dei ricordi. Le viene l’idea di restare lì, sul divano, a vedere quanto a lungo e quanto dentro arriva a torturarsi. Qualcosa oppone un muro, ribatte con un’altra idea, più salubre. Fuori c’è un mondo bianco, abbacinante. Si alza, infila in ordine sparso papala, guanti, piumino, sciarpa a tre giri di collo, prende le cuffie, le spinge nelle orecchie, prende le chiavi, spegne la luce. Che la neve riesca ad abbacinare anche i suoi pensieri, li scartavetri, li levighi e infine ne lasci solo uno netto, il pensiero che dà un taglio deciso, un dolore appuntito, preciso, fulmineo e poi la ferita da leccare.
Sulla soglia di casa, sulle labbra fa il verso alla musica.
Flicka flicka flicka.
Here you are.
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pensieri di mezzanotte.
Iniziai a sentire all'inizio una debolezza, come se il mio corpo volesse accasciarsi lì per terra e non alzarsi più, fregandosene dell'ambiente e delle persone che avrebbero potuto calpestarlo; poi iniziai a sentire degli scricchiolii, come una crepa nel freddo e congelato cielo terreno che pian piano va allargandosi, e poi, CRACK. Mi mancò il fiato, strinsi il mio petto, che invece bruciava ardentemente fiamme d'oro e rosse, incendiandomi le ossa rendendole ormai solo della penosa e futile cenere. Mi stavo spezzando, tutto dentro di me lo stava facendo. Lui mi stava spezzando, ma in realtà questa fu solo una conseguenza a ciò che avevo rimandato in passato, accantonandolo in un angolino del mio corpo. La verità era che mi aveva graffiato violentemente giorno dopo giorno, facendomi sanguinare l'anima pura. La verità era che ero già spezzata da un pezzo, ma i pezzi di scotch non riparano una cosa guastata.
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