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#convenzioni sociali
gregor-samsung · 4 months
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“ Gli uomini tutti d'un pezzo dove li aveva mai visti?, insistevo. Erano quelli capaci di vere inclinazioni, rispose. Proprio il contrario dei personaggi, che avevano sempre bisogno di decidersi per fare qualcosa, e quando poi la facevano non era per farla ma per fare come gli altri... Se neppure io lo sapevo qual era l'idea che avevo di me stesso! Si, doveva esserci una smagliatura, tra me e me, di cui bisognava pur venissi a capo. Mi pareva di non sentire amore o anche rallegrarmi come immaginavo accadesse agli altri, con naturale abbandono. Glielo avevo confidato io una volta! E poi per orgoglio e necessità me l'ero accollata questa supposta diversità, l'avevo costruita, difesa, mi ci ero adattato, ostinato, barricato dentro, e avevo finito per preferirla. Ma era forse solo una maschera che col tempo sarebbe caduta, o una mia ipotesi tutta ancora da accertare nei fatti. Come poteva lui ritenermi incapace di vere inclinazioni, e io stesso crederlo, se non avevo mai avuto fino ad oggi una qualsiasi esperienza che me lo confermasse? E oggi, ecco, l'occasione si presentava. Oggi alle sei. Dovevo rifiutarla per rimanere nel vago, oppure dovevo approfittare e farla con Mira l'esperienza — oggi — alle sei — per saperne di più su me stesso? In fondo era lui a spingermi a questo, a provocarmi ritorcendo contro di me quanto gli avevo confidato. Solo se lo avessi smentito, mi dicevo, avrei potuto riconquistare la sua ammirazione e fors'anche la sua amicizia, sì solo così sarei passato nella prima categoria, quella degli uomini, che lui rispettava... L'occhio nel labile specchio del finestrino mi stava guardando carico d'apprensività — non erano i miei, per l'appunto, i pensieri di un personaggio? — e già mi comunicava il solito disagio quando di colpo l'immagine sparì insieme con gli alberi della Villa Comunale. “
Raffaele La Capria, Un giorno d'impazienza, Bompiani, 1976, pp. 17-18.
 NOTA: L’edizione del 1976 è una riscrittura dell'opera prima dell’autore pubblicata nel 1952.
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Una favola
Certamente la tua vita è stata una tragedia, caro Giacomo. A me però sembra anche una favola, di quelle che non ti stanchi mai di riascoltare, e che lascia una speranza dentro, perché ha una morale. Apro il pesante libro che va sotto il titolo di Puerili e abbozzi vari, ne scorro le prime pagine fino ad arrivare alle date del 1810, quando avevi 12 anni: vengo attratta dal nome di Paolina, tua sorella, che ricorre in più d'un componimento poetico scherzoso.
Vostro padre, oltre a fornirvi di una palestra in casa e di attrezzi per la ginnastica in giardino, vi fornì anche di una palestra per la mente, la famosa biblioteca, aperta anche ai concittadini. E, per motivarvi nello studio, fondò un'accademia in cui, fin da bambini, poteste fare sfoggio dei vostri progressi, ricevendo il plauso di precettori, sacerdoti e letterati. Da bambino, non soffrivi di ansia: al contrario, era gratificante per te essere riconosciuto, piuttosto facilmente e senza che lo sforzo dello studio ti sottraesse ai giochi, come un prodigio di capacità d'apprendimento e di memoria, guardato con ammirazione dagli uomini e vezzeggiato dalle signore.
Il primo componimento dedicato a Paolina, è un'istantanea della situazione in cui tu le facesti da esaminatore, sotto la supervisione di altri due personaggi, perché ella entrasse a far parte dell'accademia. Tu le rivolgi parole di elogio e incoraggiamento, con una venerazione e una delicatezza, un senso di protezione, che troverò anche in seguito, in alcune lettere che le indirizzasti da adulto. In una poesia, prendi le sue vesti e la impersoni, esprimendo la sua preoccupazione per l'esame e la sua manifesta umiltà, che è come una richiesta di clemenza. In un'altra poesia rendi, pur in tono scherzoso, il rimpianto per la sua trasformazione da bambina, con cui si può giocare spensieratamente, a signorina, che monta sulle ire per uno scherzo che passi anche di poco il segno della sua nuova suscettibilità.
Paolina, lo dicono tutti, non era bella, però era ben istruita e molto intelligente, e queste erano qualità che tu le riconoscevi, e forse enfatizzavi, proprio allo scopo di proteggerla e farla soffrire meno per quella inquieta sensibilità che la contraddistingueva. Forse sapevi che ella stessa non si riteneva bella, così, ad esempio, quando per lettera ti chiede conferma della rinomata bellezza delle contadine toscane, tu le dici che non te n'è sembrato nulla di speciale. Anche quando le descrivi la principessa Charlotte Bonaparte, da poco conosciuta, specifichi subito che non è bella, ma che è versata nelle lettere e nel disegno, e ciò la rende affascinante, suggerendo che in una donna ciò che conta non è la mera avvenenza fisica. Non le fai menzione della bellissima Fanny Targioni-Tozzetti, che in realtà è la donna che adori, al punto da ingenerare in Paolina e in tuo fratello Carlo, l'equivoco che tu sia innamorato di Charlotte. Tu sai bene chi dovresti amare per le sue intrinseche qualità, e forse ti vergogni persino un po' di amare, invece, quella donna che a Firenze è famosa per la sua bellezza e per i suoi presunti amanti. Scrivi infatti in un tuo pensiero che amare un oggetto non degno, arreca mestizia e disprezzo di sé, e biasimo altrui.
Paolina desiderava sposarsi, ma non trovò mai chi la volle. Gli uomini incostanti la delusero. Fu due volte sul punto di combinare un matrimonio e una volta persino di sposarsi, ma il tutto naufragò, e tu la consolasti con la tua filosofia, cercando di equilibrare la sua calda sensibilità con la tua freddezza stoica. Al calore del camino, nelle sere invernali, le raccontavi della gente che avevi conosciuto in quel "mondo" che "non è bello se non veduto da lontano". Ella, per effetto delle tue narrazioni e considerazioni, che assorbiva come una spugna, divenne sprezzatrice degli uomini. Ma in cuor suo dovette pensare più volte che un uomo, fra tutti, si salvava, ed eri tu, suo fratello Giacomo: avesse trovato uno come te!… Avessi tu potuto amare una come lei, una ragazza che fosse solo "d'ingegno", e non ammantata di "pericolose" bellezza e fama!…
Mi perdonino i leopardisti se nella mia narrazione non vi è la loro esattezza e citazione documentale. Non ho riaperto nessun libro per scrivere le mie poche righe: mi sono affidata soltanto alle suggestioni e al "sapore" che molte letture casuali e fatte in vari periodi mi hanno lasciato…il sapore di una favola, malinconica e perfetta, da narrare sotto altre prospettive e ricombinando elementi reali, altre centinaia di volte.
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ross-nekochan · 1 year
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Oggi anche se era Natale, era pure domenica per cui sono uscita a fare la mia solita passeggiata, in cui do sfogo massimo a pensieri di ogni tipo. Erano le 15 passate, pochissime auto in giro e si sentivano ancora i piatti che si muovevano dalle cucine.
Ho letto di molti anche qui che sono tornati dalle proprie famiglie facendo viaggi della speranza per festeggiare Natale assieme. E lo capisco, perché l'ho fatto anche io per vari anni e forse dovrò farlo ancora in futuro. Addirittura un Natale l'ho passato in un paese dove non esiste per niente, se non come festa commerciale come se fosse una sorta di Carnevale/Halloween diverso, e la sensazione che si prova in questi casi è davvero deprimente.
Tuttavia quest'anno, come spesso mi è capitato, non sono riuscita a fare a meno di pensare agli aspetti negativi della faccenda. Sentiamo forte l'esigenza di unirci in famiglia, ma che cosa rappresenta veramente? L'ho già detto, ma io trovo falso questo concetto. Anzi, i familiari sono sempre più spesso le persone da cui devi aspettarti le più grosse inculate della tua vita. Ma quale famiglia? Ma quale serenità e convivialità?
Lo sappiamo benissimo che è tutta una farsa e lo dimostrano i continui post su Instagram sulle domande di merda dei parenti a cui tutti vorremmo rispondere:"ma perché non ti fai i cazzi tuoi?", eppure non ce la facciamo proprio ad estrometterci, a mandare veramente a fanculo questi consanguinei falsi e opportunisti, preferendo soffrire momenti di merda pur di farne parte o perché ci sentiamo costretti dalle circostanze.
Ma se la nazione è un costrutto sociale, come può la famiglia, che è una nazione in piccolissimo, non essere la stessa cosa? Cosa cambia nella relazione tra familiari e non familiari? Il sangue? E cosa cambia il sangue se ci sono madri e padri che ripudiano i propri figli e se persino nella Bibbia abbiamo Caino e Abele? La famiglia è solo l'ennesima farsa a cui spesso non vogliamo rinunciare perché abbiamo bisogno di sentirci parte di un gruppo e sentirci in qualche modo amati, desiderati. In sostanza, lo facciamo per noi stessi, prendendoci per il culo da soli.
Ed è inutile che nonni, genitori e zii sventolino la carta del "ai miei tempi non era così, ci si voleva bene e la famiglia era un valore". Cazzate. Il valore della famiglia non è mai esistito e se prima c'era questa parvenza è perché il vero valore perseguito era quello della rispettabilità sociale. Era una vergogna, piuttosto, non prendere parte a queste farse e non aver niente da raccontare alla domanda "dove sei andato a Natale?". Se c'erano screzi, in base alla tua posizione della scacchiera, eri condannato a ingoiare il boccone o ad avere la ragione dalla tua parte. Sei un uomo che ha messo le corna a tua moglie? Ebbene, lei ti perdona per "il bene della famiglia". Sei il figlio più piccolo e i tuoi genitori ti hanno lasciato un cazzo dell'eredità? Ebbene, se arrivato dopo, i primi hanno sempre la meglio quindi zitto. Ovviamente c'era chi zitto non si stava e quei pochi coraggiosi anche in passato hanno diviso famiglie. Ma ovviamente a guardare indietro si fa presto a coprire i ricordi della solita patina d'oro.
Eppure non riusciamo a non fare parte della recita. Non riusciamo a rimanere soli, perché la solitudine è spesso un fardello pesante in situazioni del genere, dove la compagnia sembra dover essere di default. L'ho vissuto, lo so. Però allo stesso tempo non posso non essere rivoltata da questo disgustoso spettacolo che si ripete puntualmente ogni anno, sempre peggio del precendente.
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medicomunicare · 2 months
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Lavoro giovanile oggi: un veloce excursus culturale dai sacrifici passati alle incertezze sociali odierne
La questione del lavoro per i giovani di oggi non è affatto sovrapponibile a quella dei loro genitori, anzi la si può considerare diametralmente opposta.La maggior parte dei ragazzi oggi resta più a lungo con le famiglie, può permettersi di studiare oltre le suole superiori ed anche l’università, anchegrazie al sostegno familiare. Sono sempre di più i ragazzi che arrivano alla laurea o che…
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tuportamiviareturn · 11 months
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Il vero male, l'unico male, sono le convenzioni e le finzioni sociali, che si sovrappongono alle realtà naturali – tutto, dalla famiglia al denaro, dalla religione allo stato.
Fernando Pessoa - Il banchiere anarchico
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syntonylife · 2 months
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Caccia alle Idee Impreviste: Come Trasformare Momenti Casuali in Fonti di Creatività!
Ho preso la fantastica abitudine di scrivere non appena metto piede nella metropolitana. Non so perché, ma sembra sempre essere il momento sbagliato per avere un’idea. Mi trovo circondata da persone cariche di borse della spesa e, nonostante mi isoli con la mia musica, qualcuno mi chiede qualcosa e mi impedisce di concentrarmi su ciò che vorrei. Poi arrivo a casa e improvvisamente tutto…
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mezzopieno-news · 2 months
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UN’ORCHESTRA DI DONNE STA RIBALTANDO GLI STEREOTIPI
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Se non ci viene in mente il nome di una direttrice d’orchestra o di una compositrice, è perché fino a pochi decenni fa, per fattori principalmente culturali, le donne sono state quasi escluse dallo studio e dai mestieri della musica. L’Orchestra Olimpia, collettivo di musiciste nato nel 2018 da un’idea di Roberta Pandolfi e Francesca Perrotta ribalta questo paradigma promuovendo il ruolo femminile nella musica. L’orchestra, costituita interamente da donne, in diverse parti del mondo porta avanti progetti a tutela della parità di genere. Tra questi, il sostegno agli studi e alla professione delle musiciste afghane di Ensemble Zohra, unica orchestra femminile del mondo islamico, e l’organizzazione del Musicfor Freedom con il primo concerto italiano dell’orchestra giovanile dell’Afghanistan, ora esiliata in Portogallo, poiché con il ritorno dei talebani a Kabul fare musica è diventato un crimine perseguibile con la galera e la morte.
L’ultimo progetto è il podcast DiClassica, un racconto in 8 puntate della vita e dell’opera di musiciste che, scardinando le convenzioni sociali e culturali, hanno dato un contributo importante all’evoluzione del pensiero musicale, senza trovare il giusto spazio nella memoria collettiva, come Sofja Gubaidulina, compositrice russa durante il periodo stalinista, o Chen Yi che ha vissuto l’era della Rivoluzione culturale di Mao, Julia Wolf che ha influenzato il post-minimalismo newyorkese, il prodigio americano Amy Beach, o Sylvia Caduff, pioniera come direttrice – non direttore – d’orchestra. Con la voce di Valentina Lo Surdo, è stato lanciato l’8 marzo per Pesaro 2024 – Capitale italiana della cultura.
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Fonte: Orchestra Olimpia; foto di Francesco Ammendola
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telefonamitra20anni · 1 month
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Esistenzialismo, alienazione, incongruenza.
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Lo straniero.
Meursault è un uomo apatico e distaccato, un antieroe sociale, incapace di provare emozioni genuinamente profonde o di conformarsi a schemi dogmatici e labili consuetudini sociali. La sua indifferenza nei confronti degli eventi più cruciali della sua vita lo lascia inerme, inetto, conducendolo a compiere scelte del tutto discutibili, culminando nella sua condanna a morte per omicidio.
Marcello cattura in modo straordinario e fervente l'essenza di questo personaggio così complesso e controverso trasmettendo al pubblico la sua apatica freddezza, adornata da un' inquietante calma, anche dinnanzi alla tragedia e all'ingiustizia, contribuisce al dono di un contrasto acceso, sottolineando un tratto di fatua e delicata sensibilità.
Lo straniero è un excursus esplorativo attraverso temi profondi come l'alienazione, l'assurdità distopica della vita e la mancanza di senso nell'esistenza umana e delle sue discutibili convenzioni sociali, nei suoi confini emarginati in regole da perseguire, per porsi il "dovere di essere" perfino quello che non si sente di essere. Mersault, resta ben lontano da tutto questo, scegliendo distintamente di camminare controcorrente, trascinato, emarginato, inetto, a suo modo elucubrante di un concetto ben più semplice, più asciutto, avulso da ogni sovrastruttura esistenziale, del tutto conscio di non essere l'unico a permeare il ruolo di un uomo alienato in una convenzione sociale e morale.
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antod0 · 14 days
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Ogni volta che leggo un "quanto sei bello/bella" sotto una foto penso al concetto di merito. Essere belli non è una cosa per cui essere lodati, non è un merito. Penso a quanto spesso desidero allontanarmi dal materiale per essere più spirito possibile.
Ma poi, chiamale convenzioni sociali, regole di interesse o quello che vi pare, ma compro la cazzo della crema viso energizzante per i miei 40 anni
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gregor-samsung · 2 years
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“ Chi lui fosse veramente, non m'interessava, e poi ci voleva poco a capirlo. Ma chi era lui per Mira, ecco, solo questo lo faceva esistere per me. Tanto nessuno esiste per sé, mi dicevo, ognuno è inventato dall'altro. Mira non è stata inventata da me giorno per giorno? E io non sono per lei una persona a me stesso sconosciuta? Ciò vale dunque anche per Walter, per tutti, e non ci vuole poco a capirlo. Perché siamo forse soltanto proiezioni altrui, quasi sempre incapaci di stabilire una connessione tra ciò che si è per sé e ciò che si è per l'altro, o ciò che un altro è per gli altri, e così via... Nella piazza, davanti all'edicola, c'era un gruppetto di persone ferme a curiosare, attratte dai titoli dell'ultima edizione. Grandi titoli neri che annunciavano una guerra sul 38° Parallelo. Mi avvicinai anch'io per leggere. Mi domandai dove si trovava il 38° Parallelo, quale rapporto mai ci fosse tra le private mie vicende, i problemi veri o falsi inseguiti tutt'oggi, e la vicenda che si svolgeva in quell'estrema parte del globo, laggiù. Il 38° Parallelo rappresentava per ora solo un'espressione geografica, un punto di riferimento convenzionale. Ma mentre leggevo quei titoli minacciosi su otto colonne fui preso da una inquietudine strana, diversa da quella provata oggi. Mi vidi di nuovo sfollato nel triste e solitario paesino di montagna, di lì la guerra pareva lontana, lontanissima, e d'improvviso una sera il giornale arrivò con la notizia che il fronte avanzava, si spostava verso di noi, e la guerra ci avrebbe travolto tra poco, senza tanti riguardi, ci sarebbe passata addosso... Un rapporto si stabilisce sempre, prima o poi, non c'è scampo. Stavo indugiando su queste ed altre analoghe considerazioni, quando una mano mi toccò sulla spalla. “
Raffaele La Capria, Un giorno d'impazienza, Bompiani, 1976 (riscrittura dell'opera prima dell’autore, pubblicata nel 1952); pp. 77-78.
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altrovemanonqui · 4 months
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Questo libro è di terza, forse quarta mano. L’ho cercato per molto tempo. L’ho atteso. Come si fa con le cose che ci sono sconosciute.
Melampus. È la storia di un intellettuale italiano a New York per lavoro. Ma è anche il racconto di una grande città, di una cultura o più culture che si mescolano, sicuramente di più vite. E di una storia d’amore. L’amore inteso come dedizione assoluta. Melampus è la fotografia di una deriva. Una disgregazione, raccontata con eleganza, delle convenzioni sociali e sessuali in un rapporto di coppia. Flaiano racconta con una favola un po’ surreale (facile riconoscere il segno dello sceneggiatore che affiancò Fellini!) l’irrazionalità assoluta dello stato amoroso, incluse le dinamiche di dominio e possesso che ne rappresentano il lato oscuro e allo stesso tempo quello che più incuriosisce e attrae. Forse una rinuncia alla razionalità, in favore di un certo istinto, quasi animalesco. Una metamorfosi che è umana e “disumana” allo stesso tempo, un “gioco” su una giostra spietata e bellissima, a cui tutti apparteniamo. Come qualcuno disse: “il primo atto umano e forse l’ultimo vero atto politico”. Amare.
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"Così sono nella vita reale e se non ti piace.
Non lo voglio sapere perché
vivo la vita a modo mio."
21 ottobre 1969: muore prematuramente Jean-Louis Lebris de Kérouac, meglio conosciuto come Jack Kerouac; è stato uno scrittore, poeta e pittore statunitense.
È considerato uno dei maggiori e più importanti scrittori statunitensi del XX secolo, nonché "padre del movimento beat", perché nei suoi scritti esplicitò le idee di liberazione, di approfondimento della propria coscienza e di realizzazione alternativa della propria personalità relative a un gruppo di poeti statunitensi che venne chiamato Beat Generation. Fu Kerouac a coniare il termine beat (come contrazione dal termine "beatific"), con intento religioso e non politico-contestatario, come lo fu invece per la maggior parte degli scrittori legati al movimento beat.
Il suo stile ritmato e immediato ha ispirato numerosi artisti e scrittori della Beat Generation e musicisti come il cantautore statunitense Bob Dylan. Le opere più conosciute sono Sulla strada, considerata il manifesto della Beat Generation, I sotterranei, I vagabondi del Dharma e Big Sur, che narrano dei suoi viaggi attraverso gli Stati Uniti d'America e delle brevi permanenze in qualche località.
I suoi scritti riflettono la volontà di liberarsi dalle soffocanti convenzioni sociali e dalle forme dell'epoca e dare un senso liberatorio alla propria esistenza, un approfondimento della coscienza cercato nelle droghe (come la benzedrina e la marijuana), nella religione, cattolica e buddhista (con una forte tendenza al sincretismo e ad un cristianesimo caratterizzato da un forte slancio vitale). Kerouac nei suoi frenetici viaggi, sembrava essere alla ricerca di un luogo che gli desse stabilità interiore e riempisse quella deprimente sensazione di vuoto, simboleggiata dalla morte del fratello maggiore, Gerard, all'età di quattro anni e poi del padre, oltre che di una risposta al mistero della vita; affrontare l'enigmaticità dell'esistenza è considerata dallo scrittore la sola attività importante a questo mondo.
Morì a 47 anni per conseguenze di cirrosi epatica, provocata dall'alcolismo che lo aveva tormentato per gran parte della sua vita.
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nineteeneighty4 · 14 days
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"Chi te lo fa fare?"
Nessuno. È proprio questo il punto. È una cosa spontanea, sentita in un mondo in cui si ragiona per stereotipi e convenzioni sociali. Un barlume di lucidità, di pensiero critico e autonomo che sfugge al controllo altrui. Qualcosa di cui si ha paura, perché si crede che i mostri, i veri mostri, non seguano le leggi universali, quando è esattamente il contrario. Quando bisognerebbe aver paura di tutto ciò che è troppo standard, ovvio, scontato, troppo plastico come i finali della Disney : osceni, ridicoli. Finti, fintissimi proprio come vuole la società. Vi invito veramente a ragionare sulle cazzate che dice la gente, a fare caso a quanto le persone-la maggior parte delle volte- siano stupide.
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yugen3 · 9 months
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Ma se invito due miei amici al mare dovrei almeno fare il gesto di invitare anche la compagna di uno dei due o non serve? Come funzionano queste convenzioni sociali aiutatemi
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syntonylife · 2 months
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Caccia alle Idee Impreviste: Come Trasformare Momenti Casuali in Fonti di Creatività!
Ho preso la fantastica abitudine di scrivere non appena metto piede nella metropolitana. Non so perché, ma sembra sempre essere il momento sbagliato per avere un’idea. Mi trovo circondata da persone cariche di borse della spesa e, nonostante mi isoli con la mia musica, qualcuno mi chiede qualcosa e mi impedisce di concentrarmi su ciò che vorrei. Poi arrivo a casa e improvvisamente tutto…
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bicheco · 1 month
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La sola cosa che mi lusingo di aver capito molto presto, prima dei vent'anni, è che non si deve procreare. Il mio orrore per il matrimonio, la famiglia e tutte le convenzioni sociali viene da lì. È un delitto trasmettere le proprie tare a una progenie e obbligarla così a passare per le vostre stesse vicissitudini, per un calvario forse peggiore del vostro. Non ho mai potuto accettare di dare la vita a uno che avrebbe ereditato le mie sventure e i miei mali. I genitori sono tutti irresponsabili o assassini. Solo i bruti dovrebbero dedicarsi alla riproduzione. Pietà non vuole che si diventi «genitori». La parola più atroce che io conosca.
Emil Cioran - Quaderni
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