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#Quelle che mi appassionano
sofysta · 1 year
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L’assurda storia della Sepoltura negata a Niccolò Paganini
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"Abusa dei suoi poteri. Potrebbe suonare divinamente e a volte lo fa, per un paio di minuti. Ma poi se ne esce con trucchetti, sorprese, convulsioni dell’archetto. Ed enarmonici simili a miagolii di un gatto morente”. Dice di lui Thomas Moore, poeta e commediografo irlandese vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento. Ma voi non fatevi condizionare dalle parole di un impenitente consumatore di luppolo. La modalità giusta per ascoltare e comprendere questa storia – da sobri o anche no – richiede solo che alziate il volume al massimo, il resto poi verrà da sé. E adesso mettetevi comodi.
I fatti iniziano nel 1801, quando un giovane che aveva impressionato positivamente un alto funzionario del governo durante una festa di piazza, viene chiamato a suonare il violino a una messa pontificia nell’antica città di Lucca. L’avvenimento viene riportato negli Archivi di Stato della città dall’abate Jacopo Chelini che, si da il caso, sia anche uno dei membri dell’orchestra. Il protagonista delle cronache è un giacobino genovese di 19 anni, noto per essere un gran patriota ma, soprattutto, un prodigio dello strumento. La liturgia inizia e, da che il giovane doveva suonare soltanto un paio di sezioni, alla fine resta sul palco 28 minuti, un lasso di tempo impensabile per un semplice ospite. In quella mezz’ora ha modo di mostrare virtuosismi senza eguali nella tecnica, nell’interpretazione e nell’imitazione di suoni bizzarri, una delle sue specialità sulle quattro corde: il ragazzo riproduce alla perfezione il canto degli uccellini, il suono del flauto, del corno e della tromba.
Ci vuole un niente perché la messa finisca in caciara, con stupore misto a vergogna dei più alti esponenti del clero locale. Il resto dei presenti invece se la ride e se la canta, non curandosi minimamente del fatto di trovarsi in chiesa. L’evento avrebbe anticipato ciò che sarebbe avvenuto nei quasi quarant’anni successivi. Da quel momento ha inizio l’epopea a tinte fluo di uno dei personaggi più controversi che la musica classica abbia partorito.
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Niccolò nasce in Vico del Colle Gattamora, un caruggio di Genova, il 27 ottobre 1782. È papà Antonio, spedizioniere marittimo in fissa con la musica, a iniziare il bambino prima al mandolino e, successivamente, alla chitarra e al violino. Quando lo becca intento a fare qualcosa di diverso dai suoi esercizi l’uomo lo punisce severamente, prima picchiandolo poi lasciandolo nella sua stanza a digiuno. Il violinista affermerà in seguitò: “Sarebbe stato difficile immaginare un padre più severo”. Che poi, più che uno severo a me ricorda il Marchese de Sade ma si sa, i figli tendono spesso a liquidare l’operato dei genitori, soprattutto se tra i fatti e il ricordo è passato qualche anno a mitigare spiacevoli inconvenienti. Ad ogni modo sappiate che anche mamma Teresa vede in quel figlio dalla salute precaria un grande potenziale. Più che altro, la donna scorge un’opportunità di avanzamento sociale – la fissazione per il denaro è un’altra peculiarità che il bambino acquisirà dai suoi genitori e che si porterà dietro, assieme alla passione per il gioco d’azzardo – ma andiamo con ordine. C’è un fatto interessante, e certamente meno “venale” relativo a Teresa, che è assolutamente degno di nota; un fatto che condizionerà la vita di Niccolò rispetto alle illazioni sulla sua famigerata appartenenza al mondo esoterico.
Quando Niccolò ha cinque anni, una notte la donna sogna un teatro in fiamme con suo figlio in cima a un mucchio di macerie che è intento a suonare una musica trionfante, con il Tartini che lo dirige assistito da un demone rosso. Quando, all’improvviso, appare un angelo e la donna gli chiede di far diventare il ragazzo il più grande violinista di tutti i tempi, questo annuisce, promettendo che il suo nome avrebbe fatto parte dell’Olimpo degli uomini straordinari della storia per l’eternità. No, non penso avesse preso dell’assenzio. Dubito se ne facesse uso nelle umili case della Genova del 1787. Anche perché Paganini avrebbe raccontato questa stessa versione del sogno tutta la vita, garantendone la veridicità in prima persona. Sin dai tempi di Tartini, il violino era associato al demonio perchè era stato proprio il musicista veneziano a comporre una sonata ad esso dedicata, “Il trillo del diavolo”
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...ispirata, guarda caso, a un sogno molto simile a quello della signora Paganini.
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Madre e figlio, conoscendo la storia, se ne sarebbero serviti per alimentare la leggenda. Anche per questa ragione, in molti si convinceranno che Paganini avesse fatto un patto col diavolo.La fiducia del futuro maestro Paganini nel proprio destino, si basava fermamente su ciò che sapeva di saper fare col suo “Cannone” – come usava chiamare il suo violino – e sull’eccitazione, esagerata, che suscitava nel pubblico durante le sue esibizioni. Così esagerata che essi non potevano certo limitarsi al semplice apprezzamento della performance; chiunque volesse capire la natura del suo genio, doveva necessariamente appellarsi all’elemento sovrannaturale. D’altronde, anche nel suo aspetto c’era qualcosa di talmente sinistro da non passare inosservato.Per definizione, “demone” è uno spirito che assiste o dimora una persona o il suo genio, e ne rivela capacità o energie sovrumane. E Niccolò Paganini non sembra umano, ma proprio per niente: magrissimo, dinoccolato, capelli lunghi di un color castano cenere, incarnato ceruleo e lineamenti spigolosi, il maestro veste sempre e solo di nero.Non che fosse una novità all’epoca: la recente Rivoluzione Industriale avrebbe apportato una serie di cambiamenti, sia economici sia sociali, che avrebbero condizionato anche l’ “outfit” maschile, che man mano diventerà sempre più simile a quello di un soldato da parata. Tra i suoi obiettivi c’è quello di definire gli uomini all’interno di uno status, con la creazione di una vera e propria “divisa” quasi monocolore. Prediligerà le tinte neutre e il nero diventerà il colore prescelto dalla nascente classe borghese.Inoltre, il nostro Nosferatu indossa occhiali con piccole lenti tonde che vanno dall’azzurro pallido al viola intenso, il colore liturgico per eccellenza indossato dagli osservanti cattolici durante i lunghi periodi di penitenza. Una miscela di sacro&profano, giusto per restare in tema religioso. Più Gothic persino di Gary Oldman in Dracula di Frances Ford Coppola, e più spettinato. E con qualche dente in meno.
Comunque il ragazzo detta moda, come una qualsiasi influente rock star dei nostri giorni: con lui si inaugura la stagione degli “scialli alla Paganini”, dei “cappelli alla Paganini”, delle “pipe alla Paganini”. Ogni feticista d’Europa è presto accontentato e le botteghe dei sarti fanno “palanche” a sbafo. Le dita, affusolatissime, sembrano lunghi artigli che si gingillano su un corpo di donna a forma di grancassa, le cui corde paiono ricavate da intestini umani. Altro che abitato dal demone: il violinista genovese è Belzebù in persona!
In realtà, la ragione del suo aspetto va ricondotta alle sue diverse malattie. Perchè Paganini è messo maluccio sin dalla tenera età, e di cosa precisamente fosse affetto ancora oggi non ci è dato saperlo. In tempi moderni numerosi ricercatori hanno ipotizzato, proprio studiando il calco delle sue mani, che potesse soffrire della malattia di Marfan, che altera il tessuto connettivo e compromette, a lungo andare, vari apparati dell’organismo, tra cui lo scheletro. Non si escludono però nemmeno la tubercolosi e la sifilide; l’uomo è amato e adulato soprattutto dalle signore, che si battono a colpi di ombrellini pur di riuscire ad infilarsi nel suo letto.Le protezioni per evitare malattie sessualmente trasmissibili, o le gravidanze indesiderate, nei primi decenni del 1800 non erano granché efficaci, e le conseguenze arrivano insieme alla fama. Si dice fosse stato condannato a scontare una lunga detenzione per aver sedotto e ingravidato una minorenne, nel 1814. La ragazza darà poi alla luce una bambina morta.Nel 1826 diventa padre di Achille, l’unico vero amore della sua vita. La madre è Antonia Bianchi, una cantante che per anni lo accompagnerà sul palco e in camera da letto, e che finirà per diventare la sua donna fissa per qualche tempo. Accetterà una liquidazione di duemila scudi per rinunciare definitivamente a ogni rivendicazione sul bambino, di cui il musicista si curerà fino alla fine dei suoi giorni. Perchè Paganini è anche ricco, molto ricco. A furia di repliche alla Royal Opera House di Londra, arriverà a guadagnare oltre 6000 sterline in poche settimane che, riportate ai giorni nostri, sono quantificabili in circa 725 mila euro – ed è uno dei “tour” meno noti della sua carriera! – ma è anche uomo generoso e caritatevole: tiene diversi concerti di beneficenza e aiuta molti amici in difficoltà economiche. Certo, ama esibirsi al camposanto di fronte a un pubblico che siede su poltrone a forma di lapide, e usa frequentare gli ospedali – nello specifico il reparto dei colerosi – per prendere ispirazione dalla sofferenza umana ma, tutto sommato, è un brav’uomo.Ormai trentacinquenne, è deciso a godersi la vita ai limiti delle sue forze osservando, divertito, come il mondo inventi leggende sul suo conto. E qui ci avviciniamo alla fase finale, quella più assurda e paradossale, della parabola, prima ascendente poi letteralmente decadente, di quest’uomo delle stelle. Le condizioni di salute di Niccolò peggiorano intorno al 1820. L’uomo ha una tosse cronica, dimagrisce precipitosamente e la terapia che gli hanno prescritto, basata su lassativi e massicce dosi di mercurio – usato, all’epoca, per contrastare gli effetti della sifilide – lo stanno pian piano consumando. Un secondo medico gli suggerisce di fumare più oppio per calmare la tosse compulsiva; le mucose della bocca gli si infiammano, a stento riesce a parlare e le condizioni fisiche iniziano a creargli non pochi disagi psicologici, dettaglio che alimenta anche una certa tendenza all’ipocondria. The Starman è ormai sul viale del tramonto.
Gli anni passano, e le lugubri dicerie sul suo conto iniziano a palesarsi come l’altra faccia della medaglia su cui è affissa la sua intera esistenza. L’uomo ne diventa ossessionato. Perseguitato dalla sua stessa caricatura, cerca di dedicarsi all’unica cosa in cui si sente ancora invincibile: la musica. Finché l’avvelenamento da mercurio non porta a termine la sua missione: è il 1837, Paganini diventa completamente afono ed ha un colorito spettrale. Achille, che intanto è diventato adolescente, gli fa da interprete finché il musicista non riesce più nemmeno ad alzarsi dal letto, figuriamoci ad alzare l’archetto. Il 27 maggio del 1840, a Nizza, Niccolò Paganini muore. Ha 58 anni
Poco prima che il musicista spirò viene chiamato un prete perché ha voglia di confessarsi. Si perché, udite udite, Paganini era credente! Ma il chierico mandato per assolverlo resta non poco turbato da quell’essere tanto pastricciato che, per di più, non spiccica una parola. È segno inconfutabile di un rifiuto totale dei sacramenti! L’ arcivescovo di Nizza, monsignor Galvani, accoglie la denuncia del religioso – che intanto se l’è squagliata – esposto che, unito ad alcune testimonianze a sfavore tipo quella della domestica di casa Paganini, farà in modo che all’uomo venga negata una degna sepoltura. Il vescovo, infatti, lo definisce essere impuro dominato da uno spirito malvagio, tanto che alla stampa viene persino vietato di citarne il nome. Intanto il conte di Cessole, amico e tutore del figlio Achille, fa imbalsamare il cadavere, che rimane per due mesi nella stanza del decesso, salvo poi essere trasportato nelle cantine dell’abitazione del conte stesso. Qualcuno capita in visita a casa del Cessole e si offre per acquistare, a prezzo pieno, l’ingombrante cassone per poterci fare un altarino.Nel frattempo Achille Paganini, assieme a pochi volenterosi amici, cerca di ottenere la revoca del decreto del vescovo, inoltrando petizioni alle autorità genovesi e al Ministero degli Interni: niente da fare, le istituzioni sono irremovibili e la salma resta in Francia. Allora il ragazzo si rivolge direttamente al Papa, il quale scarica il barile all’arcivescovo di Torino.
La cassa comincia a essere scomoda, quindi si decide di trasferirla a Villefranche-sur-Mer, sempre in Costa Azzurra, in un lazzaretto/magazzino usato come deposito ittico. Intanto il maestro, con la sua dipartita, ha moltiplicato i suoi fans come Gesù Cristo con i pesci. Tanto per restare in tema; questi ultimi vi si recano in pellegrinaggio restando ore e ore in contemplazione, tra uno sguazzo di triglia e uno schiocco d’orata, vegliando sul suo cadavere. Il puzzo è nauseabondo ma Paganini è un vero e proprio Dio pagano, e il suo corpo è venerato come fosse una reliquia. A seguito delle denunce di alcuni pescatori, la salma viene spostata nuovamente e seppellita alla bell’e meglio in prossimità di un olificio. Ma la gente lì va a scaricarci la monnezza così, grazie all’interessamento di Carlo Alberto di Savoia nel 1844 – sono passati quattro anni dal decesso – viene finalmente concesso il nulla osta del trasporto della bara in Italia, a patto che il tutto avvenga discretamente e senza trambusto mediatico. Questa viene poi condotta nell’entroterra genovese, a San Biagio in Val Polcevera, e seppellita sotto un orto che un tempo era stato di proprietà dei Paganini.
Dopo ancora diversi anni di trattative e una richiesta in carta bollata a Maria Luisa d’Austria in persona, Achille ottiene il permesso di portare suo padre a Parma, dove intanto si era trasferito. Lì procedono a una sepoltura “provvisoria” presso il cimitero di Gallone che durerà, non ci crederete, ben trentadue anni! Finalmente, nel 1876 la Chiesa sancisce quel parziale annullamento del decreto originario, e autorizza il definitivo trasporto del feretro nella tomba di famiglia, questa volta al cimitero della Villetta, sempre a Parma, dove tutt’ora si trova.
Si vocifera che, nelle vicinanze del mausoleo, di notte si intravedano figure spettrali suonare e ballare motivetti lugubri. La maledizione di Paganini, un uomo costantemente in bilico tra sacralità e oscenità che non trova pace nemmeno da morto, vivrà in eterno e ci perseguiterà. Fino alla fine dei giorni!
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Interpretazione " Capriccio 24" di David Garret dal film omonimo " Niccolò Paganini il violinista del Diavolo"
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la-novellista · 1 year
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Molte le essenze che mi entusiasmano, rare quelle che mi appassionano.
Saperlo distinguere è fondamentale.
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ecoamerica · 2 months
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arte-miss7 · 3 years
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Io adoro tantissimo mia mamma e la amo e so che mi ama, ma davvero gliene può fregare poco dei gusti di sua figlia? Ce mai una volta che parliamo che ne so di musica, di film, di serie tv. Quelle volte che provo ad introdurre l’argomento viene subito chiuso perché ha altro da fare o perché i miei gusti sono troppo da persona della mia età ed era tutto meglio quello che facevano quando lei era più giovane. Ce ok ci sta però boh sarebbe carino condividere qualche passione, qualche hobby senza che a disturbarci ci siano Facebook, la tv o il lavoro. Boh non so mi sento un po’ polemichina stasera ma è perché mi dispiace davvero non poter condividere le cose che mi appassionano con una persona che rispetto e adoro come mia mamma, ce non capisco perché le interessi così poco. Quando siamo insieme io lei e mia sorella, nonostante io abbia ormai 21 anni, mi sento sempre tagliata fuori come quando ne avevo 5. Io capisco che per mia madre e mia sorella che sono quasi coetanee sia più facile avere interessi e argomenti comuni, però hey ci sono pure io, magari scoprire qualcosa di nuovo ed ampliare gli orizzonti non è poi così male…
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sillyqueenmaker · 3 years
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Buon 2021 a tutti!
Do ,ufficialmente,inizio a questo blog con un augurio per tutti. 😊
Ci lasciamo alle spalle un anno non proprio piacevole,sperando in un nuovo inizio carico di gioia e positività,quest’ultima non guasta mai. 😘
Il nome del blog è “Pazza per gli Otome Games” ma ero indecisa tra questo e “Pazzi per gli Otome Games”. 😂
Non so,per ora lo lascio così. 😆
Ma cosa sono gli Otome Games? 🤔
Sono in tanti a non saperlo e ci tengo a spiegarlo per chiunque possa domandarselo. 😉
Si tratta di un genere di videogame  dedicato principalmente ad un pubblico femminile, sono dei dating sim. (simulatori di appuntamenti) dedicati a quelle fanciulle che vogliono vivere l’emozione virtuale di una storia con il bello di turno 😍
Cioè, io sono fissata con questo genere di giochi già da qualche annetto. 😎
Ce ne sono moltissimi in inglese, raramente ne trovi qualcuno in italiano, recentemente ne ho scoperto qualcuno. 😁
Molti sono mobile game ma ci sono anche per console, computer ecc.. 📱
Ce ne sono moltissimi gratis e puoi fare tutto il gioco senza spendere un centesimo. 👍
A volte ci perdi qualche pezzo che può richiedere l’uso di soldi veri, magari per acquisrare avatar particolari o altro, spesso devi attendere un giorno per poter proseguire nella storia perchè si va avanti usando dei "tickets", 5 al giorno solitamente ...ma non è un dramma.
Io personalmente non ho mai speso nulla ,ma chiaramente ognuno gioca come preferisce ci mancherebbe.
Alcuni otome games hanno contenuti espliciti, non segnalati nelle varie descrizioni degli store, di solito non si vede niente perchè sono immagini fisse,ma i dialoghi sono inequivocabili…
In pratica gli otome games non sono giochi per bambini XD
I giochi che seguo sono veramente tantissimi, tutti mobile game per Android.
Li gioco per gran parte della giornata, sto attenta a non perdermi i premi giornalieri o i vari eventi, qualche volta capita per mancanza di tempo 😢
Mi piace l’idea che la storia prenda varie direzioni in base alle mie scelte, che possono portare ad un Happy Ending ma anche ad una Bad Ending.
Ammetto che alcuni giochi mi appassionano più di altri, ma ci può anche stare.
Uno dei miei preferiti ad esempio è Mystic Messenger che seguo dal luglio del 2016, cioè dal suo rilascio.
Un altro a cui mi sono appassionata moltissimo è A3 rilasciato in Giappone nel 2017 ma arrivato in Europa nel 2019, quindi è più recente.
Ci tengo a dire che io sono una semplice appassionata e l’idea di aprire questo blog , è semplicemente, per il piacere di condividerla con voi e con tanti altri appassionati 😉
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L'immagine è una screenshot presa dal mio cellulare, il videogioco è A3 ❤️
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ciò che è destinato a te troverà il modo di raggiungerti
(post lungo dove rifletto sul mio futuro)
Ieri stavo studiando per questo esame che non mi piace molto, e mentre studiavo ho pensato “caspita, non vedo l’ora di laurearmi per approfondire farmacologia e studiare psichiatria, dermatologia, pediatria” e tante altre materie che non sto qui ad elencare.
Allora mi sono fermata ed ho analizzato il mio pensiero. Io credevo di non aver più voglia di studiare, di essere stanca. Invece mi sono resa conto che sto studiando le cose sbagliate ed è la situazione in cui mi trovo a rendermi esausta, ma il mio desiderio di imparare è rimasto immutato.
Poi ho realizato che io volevo studiare Medicina per quelle materie, perché mi piacerebbe tanto avere quel genere di conoscenza... che però posso raggiungere anche autonomamente. Quando penso a Medicina non penso ai pazienti, o alle vite che vorrei salvare. Penso solo “ah, quanto mi piacerebbe sapere tutte quelle cose”. Volevo iscrivermi in quella facoltà per la mole di informazioni che avrei acquisito, non per aiutare il prossimo.
E da ultimo mi sono resa conto che tutte le materie che vorrei approfondire o studiare per la prima volta mi renderebbero una farmacista eccellente. Sarei veramente un pozzo di informazioni a disposizione di chiunque. 
Questo ragionamento mi ha spiazzato. Io sono finita in questa facoltà a caso, ho rifiutato l’idea di diventare farmacista per cinque lunghi anni... e adesso mi sto rendendo conto che effettivamente potrebbe essere un bel lavoro?
Potrei scegliere questa vita, la vita che mi è stata assegnata dal fato prima che io fossi in grado di decidere.
Potrei diventare una farmacista e fare una vita tranquilla, con orari definiti. La sera al posto di guardare la televisione potrei studiare le materie che mi appassionano, e diventare ogni giorno sempre più istruita e sempre più brava nel mio lavoro. Potrei studiare il tedesco nel tempo libero, e fare richiesta per trovare lavoro in germania dopo aver raggiunto il C1. Nel giro di sei anni dalla laurea potrei essere dietro il bancone di una farmacia a Monaco, a dare consigli ad un vecchietto parlando un tedesco perfetto e assolutamente sicura di quello che sto dicendo, forte della mia conoscenza teorica.
Sono entusiasta di questa immagine, di questo scenario idillaco che potrebbe diventare la mia vita. Ho passato cinque anni a vedere un buco nero al posto del mio futuro e ora finalmente riesco ad immaginarlo.
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cartofolo · 5 years
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Cartofolo, e tu come stai? Hai sempre una buona parola per tutti ma su di te sappiamo poco :)
La mia vita è stata particolare, Anon.  A parte un’infanzia difficile, tutto si è poi sviluppato su una storia d’amore. Quella con mia moglie è stata un'avventura della mente e del cuore, tanto particolare che un giornalista l'ha voluta descrivere sulla rivista "il Giornale dei Misteri" per quello che ha implicato nella storia della parapsicologia di cui, come ho già scritto, sono uno studioso. Spero che tu e altri lettori mi scuseranno se ne riporto solo uno stralcio omettendo i nomi che preferisco mantenere riservati in questo ambito.
"La prima volta che (Cartofolo) aveva visto (lei) aveva provato un’emozione potente. Erano ragazzi, neanche ventenni; domenica pomeriggio, sala da ballo, lei poco incline alle danze e in compagnia delle amiche che vogliono scuoterla da una cocente delusione amorosa; lui la vede lì, seduta, bellissima, e sente dentro di sé una cosa che è del tutto irrazionale, eppure è una certezza assoluta, tanto subitanea quanto indiscutibile: “Questa è la mia; questa me la voglio sposare!”. E per il giovane che aveva appena attraversato anni veramente difficili, vederla lì e sentire questo, era come venire salvato da un naufragio dello spirito. Perché proprio di questo si era trattato. Era stato cresciuto come un piccolo fervente cattolico, frequentava la chiesa, conversava volentieri con il suo parroco e con gli altri sacerdoti, e soprattutto aveva fede nella dottrina che gli era stata insegnata. Credere in Dio era per lui come stare al sicuro, al caldo, protetto da questo grande amorevole Padre. Ed era stato così per anni, fino all’adolescenza. Poi, allo scadere del quindicesimo, erano iniziati i dubbi ed erano venute le domande, quelle che un fervente cattolico non deve farsi. Sei di fede cattolica? Allora ti devi appunto “fidare” di quello che ti dicono! E i dogmi? Eh, i dogmi… i dogmi sono appunto dogmi. Vanno presi così, e non vanno discussi, altrimenti che dogmi sono?! Ma il giovane (Cartofolo) era di una pasta poco accomodante; spaccatore di capelli in 4 e poi in 8 e poi anche in 16. Aveva – ohibò che strana cosa! – una testa che voleva pensare, e certe domande gli venivano, non poteva farci niente. E cominciò a porle a chi – e chi altri? – sicuramente aveva le risposte. E quindi ai preti. Erano gli esperti, no?! Perché quel Dio era fatto come era fatto? Perché se la prendeva con questi e non con quelli? E che significa peccato? Peccato per chi, e secondo quale idea? E l’Inferno? Non era forse l’Inferno un’invenzione terribile? Chi l’aveva permessa? Lui? E tutta l’ingiustizia che vedeva intorno a sé?... Eh, i sé, i ma, i perché, i semmai, si affollavano nella sua testa, e più si affollavano e più cercava aiuto, e più cercava aiuto più trovava porte chiuse. Non che non lo volessero ascoltare, ma cercavano di riportarlo dentro l’ovile, fuori del quale aveva imprudentemente mosso qualche passo, senza però dargli spiegazioni che lo soddisfacessero. E non ci fu verso di trovare qualcuno in grado di dargliele, quelle spiegazioni. Furono anni penosi per (Cartofolo). Improvvisamente gli si era ribaltato dentro tutto ciò che lo aveva reso sicuro di sé e del mondo. Non aveva più né certezze né riferimenti, e cominciò a sentire che per lui tutte quelle cose che gli avevano insegnato su Dio erano assurde. Aveva grattato un poco la superficie dorata del suo credo e appena sotto aveva trovato incongruenze, confusione, fumo, nebbia fitta. Non si riconosceva più in niente, cercava intorno a sé, voleva trovare risposte, ma di sicuro non stavano nel recinto dentro al quale volevano ricondurlo. Finché un drammatico giorno prese la sua decisione: “Sono tutte storie! Non esiste niente. C’è solo quel c’è ora, in questo posto dove sono, e in questo tempo dove vivo. C’è solo questa mia vita!”. Da fervente cattolico era divenuto ateo. Ma non era stata una scampagnata, tutt’altro. Va anche detto che Umberto era uno di quegli atei che portano nella loro vita una definizione ulteriore del termine ateo, à-theos, che si traduce senza-Dio, ma anche a-Dio. E in genere quel “a” (privativo) è inteso nel suo significato di negazione. Ma c’è un altro verso di intenderlo: ovvero come “mancante di dio” e al tempo stesso “rivolto verso” quella mancanza, rivolto verso un dio che non si riesce a vedere al punto tale di pensare che non ci sia. Il senso più profondo di alcuni atei sta proprio in quel “a”, che in realtà più che una negazione indica una direzione; anche se la speranza che, da quella parte “a” cui sono rivolti, possa fare la sua comparsa un dio degno di questo nome è talmente nascosta che non sanno più di averla. Eppure ce l’hanno, e questo fa di loro degli agnostici. In (Cartofolo) questa speranza nascosta prendeva la forma del suo cercare, mentre la disperazione per la fede perduta e per il vuoto che sentiva dentro di sé rivelava la forza del suo contrario, ovvero quanto fosse grande in lui il bisogno di cercare (e qui va ricordato che si cerca per trovare!). Non potendo credere in un dio, poteva solo credere nel suo vivere quotidiano, e per questo motivo incontrare, proprio nel suo quotidiano, quel sole che (Lei) aveva immediatamente rappresentato per lui, era stato come venire letteralmente salvato dal buio che stava attraversando. Bagnino da qualche anno, quando fare il bagnino significava rastrellare a braccia vaste distese di spiaggia e spostare pesantissimi pattini con la sola forza dei bicipiti, e quindi fisichetto niente male, si avvicina alla ragazza seduta: - Balli? Lei secca secca: - No! Lui, sedendole accanto: - Neanche io. “E adesso?” si chiede (Cartofolo) “Che si fa? Siamo in una sala da ballo, dove di solito si viene per ballare. Ma, a quanto pare, con questa di ballare non se ne parla nemmeno. Uhm…”. Viene in suo soccorso un giovinastro, di quelli piuttosto entranti, che chiede alla giovane di far coppia con lui. Lei rifiuta, come ha appena fatto con Umberto, e distoglie lo sguardo. Ma il giovane è uno sicuro di sé, insiste, e poi insiste ancora, mentre si capisce bene come la ragazza sia infastidita dai modi del giovane. Ma lui niente, non molla, la prende addirittura per un polso e vuole trascinarla sulla pista. Umberto salta su e si mette fra di loro: - Ha detto che non vuole ballare! Il confronto dura un istante, l’altro si ritira. Ecco, è fatta, l’ha difesa, è stato il suo cavaliere. È così che comincia una storia d’amore che durerà per sempre. Escono insieme, si conoscono, a lui lei piace tantissimo, a lei lui inizia a interessare un poco per volta. Oltre alle attenzioni che le riserva, a (lei) piacciono i discorsi di questo giovane, ben diversi da quelli dei ragazzi di quell’età. Ha interesse per la psicologia e la filosofia e non è per niente superficiale. (Lei) viene da una famiglia che per tirare avanti ha avuto bisogno di lei fin da piccola; ma pur non avendo studiato è affascinata dai ragionamenti di (Cartofolo). Parlano molto della vita, del destino, degli stati d’animo, lui le racconta i suoi dilemmi esistenziali, le rivela le domande che lo assillano fin da giovane e Ines sente crescere il legame per questo giovane così profondo. Sente che di lui potrà fidarsi. Leggendo un libro di Jung prestatole da (Cartofolo) inizia a riflettere su di sé e sulla sua vita e comincia a rintracciare un significato nella concatenazione delle vicissitudini, molte delle quali dolorose, che ha vissuto dai 13 anni in poi. E forse intravede un senso anche in quel loro incontro. Si fidanzano e lui trova lavoro in una grossa compagnia di assicurazioni, ma lo mandano in Liguria. Così lei sta a Viareggio e lui su e giù da La Spezia e tutto sembra complicarsi. Ma quando la vita ti vuole condurre in un punto preciso, sa bene come intrecciare la corda del karma. Molte scoperte attendono i due giovani, e il nuovo corso per loro inizia incontrando uno strano libro che trovano sulle bancherelle di una fiera: “Rapporto dalla Dimensione X” . Vi si raccolgono, recita la scheda sul retro di copertina, le comunicazioni giunte per via medianica – per via medianica?! – dell’Entità A. In quelle pagine, si legge, viene proposta una teoria filosofico spirituale affascinante, e vi si dà una visione di Dio del tutto nuova. Che siano lì dentro le risposte alle domande di (Cartofolo)?    Lo acquistano e lui non se ne separa più, lo legge avidamente, anche in macchina, mentre aspetta di incontrare i clienti con i quali ha appuntamento. Lei vi si immerge nel fine settimana, quando lui glielo riporta. Sia lui che (Lei) rimangono colpiti da quello che vi trovano; sono pagine assolutamente pregevoli, e rispondono effettivamente a molti dei quesiti che si era posto il giovane. (Cartofolo) sente riaccendersi la speranza. Quelle pagine hanno il potere di convincerlo che forse è possibile tornare a credere. La prospettiva della prosecuzione di sé oltre la morte, consente a (Cartofolo) di concepire una vita che non sia fine a se stessa, che sia parte di un disegno, con un significato che travalichi le mete così ridotte e insensate che gli uomini si pongono. E tutto questo giungeva per via medianica? Attraverso… gli spiriti? Dapprima lui e (lei) ne sono incuriositi, anche se titubanti, ma poco a poco si appassionano alle letture che riguardano i fenomeni paranormali, la medianità, le sedute spiritiche. Iniziano a leggere le pubblicazioni specialistiche che in quegli anni già appaiono nelle edicole. E scoprono così che nella loro stessa regione esiste una rete sotterranea ma vitale di sensitivi, sperimentatori, seguaci dello spiritismo, e presto entrano in contatto con un gruppo viareggino, iniziando le loro prime esperienze medianiche. La corda del karma che intreccia le loro vite li sta portando sulla soglia di un mondo del tutto sconosciuto. ..."
Così la storia è continuata in un susseguirsi di esperienze straordinarie  completate dalla nascita di un figlio che ha allargato il nostro amore e reso forte di una responsabilità che alla fine, abbiamo capito, premia il dare, non l'avere. Di questo ne siamo certi.
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ecoamerica · 1 month
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Ah che bello, mi ero detta, un po’ a rilento ma sto facendo tutte le mie cose, anche quelle che non mi aspettavo di riuscire a intraprendere. che bello, sì soffro per carità di dio, sì sì, ma me la cavo. Finché gli impegni che ho si comportano bene e non vengono a mancare, finché posso rigare dritta con la mia routine e vedere gli amici e le amiche mi scopro forte, determinata, sospinta verso molte cose del mondo che mi appassionano. Passo la giornata in casa e aspetto di vedere qualcuno la sera, per confrontarmi, per confortarmi (ameno gioco di parole). 
Ma basta un nonnulla a farmi barcollare, e farmi andare col pensiero là. Là dove io inforco la bici e corro da lui per vederlo e parlargli, col cuore in gola e gli occhi arrossati dal vento, là dove i battiti si fanno impetuosi e il respiro esce smozzicato e rimane bloccato alla bocca dello stomaco, là dove le emozioni ci sono tutte, dalla migliore alla peggiore, ma almeno ci sono. e invece no, nella realtà in cui non corro da lui né niente ci sono solo qua io sul divano, triste di una mestizia inconsolabile, che aspetto di vedere qualcuno che se poi mi dà pacco mi uccide. sono molto fragile, non sono per un cazzo forte, determinata, sospinta verso un cazzo. stringo i denti e recupero lucidità, mangio una merendina scrausa che spero mi dia il mal di pancia e mi faccio un tè. 
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pasticciando · 6 years
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Si ti seguo da poco ma ho già notato che i tuoi dipinti sono bellissimi.. vorrei imparare anche io. Ho iniziato da poco e si fare cose astratte,nulla di eccezionale che suscita qualcosa.. tu come ci riesci? Disegni prima e poi dipingi? Consigliami pls 😶🙈
Credo che il trucco per imparare a disegnare bene sia l’esercizio. Supera il blocco del “non so disegnare” facendolo senza preoccuparti del risultato, anche perché è da quel risultato, che inizialmente vedrai pieno di errori, che imparerai. Come qualsiasi cosa, per imparare, va fatta, sbagliata, capita negli errori e fatta ancora e ancora e così di conseguenza migliori, per forza. Fai della matita o di una penna la tua amica, portala con te e cerca di disegnare cosa vedi attorno a te, qualsiasi cosa, persone oggetti ombre, tutto. Il talento non esiste, esiste la passione in ciò che fai, è quella che ti fa essere costante senza accorgertene, che ti fa pesare meno la fatica di esercitarti tanto. Se hai la passione del disegno fai tanto e di conseguenza arrivi alla bravura. Poi succederà che qualcuno ti dirà: si, vabbè, ma tu hai il talento, sei portato, io sono negato e tu sorriderai ricordando quel periodo in cui pensavi la stessa cosa. Per la pittura è la stessa cosa devi fare, buttarti, osservare le tecniche che usano i pittori, ce ne sono tantissime e tanti sono i materiali, ti ci puoi perdere. Sul web trovi molti artisti che fanno video e le illustrano le tecniche e i materiali usati. Prova, sbaglia, troverai quelle che ti piacciono maggiormente e scoprirai che alcune ti riescono meglio perché ti appassionano di più. La passione, è sempre quella che ci fa dare il meglio perché ci mettiamo l’amore per quello che stiamo facendo. A volte, anzi spesso, la passione nasce dopo aver provato a fare qualcosa di sconosciuto, quindi non pensare solamente “mi piacerebbe saper fare”, ma fai, sperimenta tutto anche quello che non ti attira molto. Questo è ciò che penso, spero di esserti stata di aiuto e grazie, sono tanto felice che tu veda bellezza nelle cose che faccio. @nobrokenhurts
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gustomela · 3 years
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Sto a rota! Oh le foglioline della fragolina di bosco (che bontà)! Ho pensato a quanto appreso stamattina sulle zigrinature delle foglie delle rosacee: “ma sembrano quelle delle rosacee come il prugnolo-biancospino... 🤔” Sissignori, Fragaria vesca L., fam. Rosaceae.
Taggato erbacce un po’ inappropriatamente. (nota tra parentesi: non ho mai spinto l’iPhone sul versante fotografico perché io proprio... non mi appassiona, mi appassionano solo le macro: ebbene il cinese che avevo prima, Xiaomi, faceva macro da paura rispetto a sto schifo)
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fuckingdiary · 3 years
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3 Dicembre 2020 - ore 00:50
Caro diario,
Siamo di nuovo in quarantena da circa due settimana, o forse di più, non lo so si certamente, ho perso il conto e la testa.
Dato che, a differenza della prima quarantena, siamo in inverno e fa freddo, ho deciso di passarla a casa con i miei invece che da nonna, tanto i miei amici non li riuscirei a vedere quindi tanto vale stare in famiglia a litigare un po'.
Sono una persona molto socievole e che ama la libertà in tutto e per tutto quindi puoi immaginare come sono messa, ho smesso di allenarmi, studio o aeno ci provo tutto il giorno piegata su una scrivania o sto sul divano a leggere un libro, nemmeno le serie TV mi appassionano ormai.
Cucino molto ma ultimamente non mi va nemmeno più quello. Ho fatto dei cupcake e li ho portati alle mie amiche (uno avanzava e l'ho dato a D ma niente da segnalare, come al solito). Prima provavo a fare qualcosa di diverso ogni giorno ma questo freddo, il virus, il 2020 in generale mi sta buttando a terra.
L'unica cosa positiva che ha portato questo anno sicuramente è il mio cambiamento. Ho cominciato ad amarmi di più, a volermi bene, ho capito che per quanto mi piaccia bere, fumare e qualsiasi altro vizio, devo regolarmi, "con moderazione" ho ripreso a fare i miei aperitivi ma ho eliminato gli alcolici in mezzo alla settimana e nelle serate tranquille (prima due tre birre per movimentarle non me le levava nessuno), e ultima novità del mese ho smesso di fumare tabacco e ho cominciato con l'iqos, non è facile dopo tanti anni rinunciare al sapore del tabacco però so che mi farà bene rinunciare anche questo vizio.
Insomma ce la sto mettendo tutta, nonostante in queste due settimane non sia proprio al meglio mi sono impegnata per non cadere in nessuna delle vecchie abitudini perché so che spesso lo faccio quando sto male e che poi sto ancora peggio.
Anzi ti dirò di più, domani mi alzerò come sempre e studierò ma nel primo pomeriggio andrò a farmi una di quelle camminate chilometriche per scaricarmi. Ho fatto tanta strada per crescere e migliorarmi e non mi farò rovinare da una pandemia mondiale.
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pleaseanotherbook · 4 years
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PREFERITI DEL MESE #9: Settembre
Ah settembre… settembre mi è sembrato di viverlo tutto in apnea, come non mi succedeva da un po’, un attimo ero in ferie, ho chiuso gli occhi, e l’attimo dopo ero immersa di nuovo in giornate lavorative tutte uguali. Ma non voglio lamentarmi. Avevo un disperato bisogno di staccare la spina, di non stare tutto il giorno attaccata al pc, di vivere la mia famiglia come non mi capitava da tempo. A inizio anno avevo programmato di stare almeno una settimana a Parigi per le ferie ma naturalmente la situazione attuale mi frena dall’andare a cacciarmi in situazioni non gestibili, quindi ho fatto una mega valigia piena di vestiti che non ho quasi usato e ho passato due settimane a Montelupone, a farmi coccolare dai miei dietro le proteste di mia sorella, ad uscire con i miei amici e in generale a rilassarmi, dormire, vegetare sul divano, rincorrere il gatto, non pensare per quanto me lo consente la mia mente sempre sull’orlo dell’ansia. È stato bello, è durato troppo poco. Ma settembre è stato anche un altro weekend insieme al Lachimolala team e devo dire che non mi aspettavo minimamente di poter ancora urlare di gioia, ballare davanti ad un laghetto di notte, mangiare in un ristorante coreano. Non dovrebbe stupirmi neanche più trovare così tanti posti in cui sentirmi a casa, eppure continuo a farlo perché non voglio dimenticare mai la meraviglia di rendermi conto di essere stata abbracciata piena di gioia da persone tanto speciali. Ma settembre è stato anche festeggiare compleanni in ritardo, ospitare nel mio monolocale una delle mie più care amiche e goderci un meraviglioso weekend insieme, e insomma, vivere.
Comunque, per cambiare le carte in tavola e dare una rinfrescata a questo blog, da inizio anno ho deciso di portare qui su questo spazio di web una delle rubriche che più mi piace guardare su Youtube e che sostanzialmente dimostra che non mi so inventare niente, ma che amo inglobare nel mio modo di essere espressioni, modi e idee che mi colpiscono l’immaginario. “I preferiti del mese” è un format che forse non si presta molto alla parola scritta ma ci proviamo, che tanto se non funziona lo facciamo funzionare a modo nostro.
Enjoy!
MUSICA
A settembre ho ripreso la mia playlist “L’indie è morto” e l’ho rivista completamente: ho eliminato un sacco di canzoni, l’ho riordinata, ho aggiunto una marea di canzoni (naturalmente le solite sono ancora lì in pole position, ma non ne parliamo). A settembre ho scovato Here I dreamnt I was an architect di The Decemberists una ballad dal mood molto malinconico che ben si associa a questo clima ormai perfettamente autunnale. Distant axis di Matt Berninger è un altro nuovo acquisto anche questo incredibilmente triste ma questo è il mood che di solito accompagna la musica che ascolto. Tra l’altro non avevo mai ascoltato Matt Berninger ma completamente innamorata della sua voca profonda. Terza e ultima canzone che vi consiglio è Non cambierà de I segreti, un gruppo indie di Parma che mi hanno conquistato con il loro ritornello. Ripescata per caso anche I like me better di Lauv che ho iniziato ad ascoltare solo di recente, ma questa canzone mi ha conquistata dal primo ascolto e mi mette un sacco di buon umore.
LIBRI
Ah…. La bellezza è che tornata dalla ferie ho ripreso a leggere e il libro di settembre (si ok, l’ho finito ad ottobre, ma chiudiamo un occhio) sarà sicuramente Il cuore di un ape di Helen Jukes. Si tratta di un viaggio alla scoperta del mondo delle api, ma soprattutto della propria vita, in un caleidoscopio di esperienze e suggestioni, che appassionano e mostrano una nuova prospettiva. Se le api sono in pericolo, vuol dire che tutta la Terra lo è, in fondo gli impollinatori sono le sentinelle del nostro ecosistema. La Jukes infatti racconta un intero anno passato a diventare apicoltrice di città, ma soprattutto racconta come si è avvicinata alle api e al loro mondo. Mi è piaciuto molto, ma come sapete io sono completamente fissata con le api. Per un po’ però ho deciso di darci un taglio e cambiare completamente genere.
FILM & SERIE TV
Con il Drama Club abbiamo finalmente finito di guardare Sky Castle e anche se l'ultimo episodio mi ha lasciato estremamente perplessa pure posso essere d'accordo con tutti quei coreani che lo hanno reso un record di ascolti. 
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E' la storia di un quartiere residenziale, lo Sky Castle, abitato da famiglie di medici che crescono figli destinati ad entrare all'Università di Medicina di Seoul per diventarlo a loro volta, per alzare lo status sociale e diventare i nuovi potenti di domani. Le madri hanno un solo obiettivo, far entrare i figli all'università e per farlo rinunciano a tutto: alla carriera, all'indipendenza, alla felicità. I figli diventano degli automi guidati da coordinatori scolastici interessati al denaro e investiti da un sistema scolastico colluso. Quattro sono le famiglie principali: la famiglia dell'Ortopedico Prof. Kang, quella del suo assistente il Prof Woo, quella del professore di Neurochirurgia Hwang e quella del professore di legge Cha. Ognuna di queste famiglie gestisce l'istruzione dei figli in maniera diversa, con obiettivi diversi, ma tutti dovranno fare i conti con le problematiche e le ribellioni dei figli adolescenti, che hanno delle aspirazioni che molto spesso sono lontane anni luce da quelle dei genitori. In mezzo un omicidio, tradimenti e scene comiche che lasciano lo spettatore incollato allo schermo. Il drama ha dei punti un po' morti, e a mio avviso poteva avere qualche episodio in meno ma da parte mia è stato illuminato da Kim Dong Hee (piccolo Jin), il protagonista di Extracurricular, che adoro profondamente e anche se il suo ruolo è estremamente marginale pure mi ha sempre impressionata. Menzione anche per la soundtrack molto bella.
BEAUTY
Il prodotto beauty di questo mese è una frivolezza immane, che francamente potevo evitare di acquistare perché veramente inutile. Sono mesi che non faccio un full face, perché francamente mi da fastidio imbrattare la mascherina di fondotinta, blush e rossetto, e quindi ormai trucco solo gli occhi. Per farlo ho comprato un eyeliner colorato fuchsia: il Matte Signature di L’Oréal che ha un bellissimo finish. Allego una foto di me che lo indosso anche se non SI VEDE NIENTE.
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CIBO
Mentre ero a casa dai miei mia madre mi ha coccolato non solo comprandomi tutte le mie cose preferite ma anche facendomi un timballo di pasta con le melanzane che ancora mi sogno la notte. Mi manca tantissimo la cucina di mia madre, vorrei stare lì adesso, anche se mi rendo conto che in questo momento della mia vita non sarebbe davvero concepibile.
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E… voglio citare anche questo straordinario dolce che abbiamo mangiato al Rock Burger qui a Torino dove sono stata a festeggiare con le mie amiche. Veramente veramente buono.
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RANDOM
Mentre avevo qui ospite la Chiara abbiamo partecipato insieme al tour della Torino Magica. Torino si trova ad uno dei vertici del triangolo della magia bianca con Lione e Praga e ad uno dei vertici del triangolo della magia nera con Londra e New York. Bene e male si sono sempre combattuti in questa città dai mille volti e le mille incongruenze, e da sempre è associata sia al maligno che alla purezza. Un sacco di palazzi storici della città nascondono segreti e allusioni e ogni punto cardinale ha qualcosa di speciale da scoprire.
A settembre ho comprato i packing cube e ho scoperto che sono davvero la svolta: sono una serie di sacchetti da utilizzare per organizzare al meglio la propria valigia. Sembra che da un momento all’altro possa entrare più roba del previsto. La mia valigia delle ferie al ritorno è riuscita a contenere molta più roba dell’andata. FANTASTICI!
Nell’atmosfera di Venere è stata rilevata una molecola di solito associata ai processi biologici che sembrerebbe apparentemente inconciliabile con tutto quello che sappiamo di questo pianeta. Forse quindi potrebbe esserci della vita su Venere. Naturalmente questi fatti mi affascinano incredibilmente.
E voi che avete combinato a settembre?
Raccontamelo in un commento.
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elinoe11 · 4 years
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Avete presente quelle giorno no, In cui avete mille cose da fare, Ma piuttosto che lavorare vi mettete a spazzare le foglie?? . 🍁🍂🍁🍂 Qualcuno dovrà pur farlo? . Ed e’ proprio questo il punto. . Non si può fare tutto nella vita, Dire sempre sì anche quando sarebbe opportuno dire NO. . Devo imparare a lasciare andare le cose che non mi appassionano più e mi fanno perdere solo tempo. ⏱⏰⏱⏰ Questo maledetto tempo che scorre così in fretta e mi sembra di non sfruttare mai abbastanza. . Arrivo a sera sfinita, e penso sempre che avrei potuto fare altro, che alla fine forse e’ arrivato il momento di fare delle scelte. . Chi di voi pensa la stessa cosa della propria vita ma non ha il coraggio di cambiare le cose? . Spesso l’abitudine e’ il porto sicuro che non ci permette di vivere appieno le nostre passioni e stiamo qua ad aspettare sperando che magicamente cambino da sole. . E intanto il tempo passa... 😩😩😩 #riflessioni #venerdi https://www.instagram.com/p/CGZalhGgxre/?igshid=n1ej3jlxidkf
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len-scrive · 6 years
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Pezzi di me
Ho una passione viscerale per il cinema, si sarà capito.
Potrei parlare per ore di film e telefilm e attori sfoderando una cultura su cose del tutto inutili di cui vado particolarmente fiera.
Ognuno ha le sue passioni.
Non sono ignorante sul resto, ma se devo essere sincera le storie mai accadute e l’immaginario mi appassionano più della realtà. Più facile coinvolgermi in una disquisizione sul viaggio di Frodo che in una su quello di Colombo.
Questo non mi esonera dal conoscere la realtà, com’è dovere di ogni essere umano.
Però ho dei film che definisco “della mia vita” che la dicono lunga su cosa intendo io per VITA.
I miei film sono Big Fish sopra ogni altro. Poi El Laberinto del Fauno, Le fabuleux destin d’Amélie Poulain, Bridge To Terabithia, Donnie Darko, Predestination.
Ultimamente si è aggiunto anche Men & Chicken.
Cos’hanno in sottofondo tutti questi film?
Un tocco di assurdo, impossibile, che ti sfiora la vita prima che le luci si spengano.
Che la sfiora in modo da renderla speciale per sempre. Qualcosa che fa dire che se anche i giochi si stanno per chiudere, tutto ha avuto senso.
Ognuno dei protagonisti dei MIEI film può dire questo della sua vita, senza timore di esagerare.
Più di tutti lo possono dire Edward di Big Fish e l’unico protagonista (in tutti i sensi) di Predestination.
Voglio dire, si pensi solo alla vita di Edward Bloom. Che importa che sia vero o meno ciò che gli è successo? Che importa se quello è un racconto di fantasia scaturito dalla mente di un uomo che della fantasia aveva fatto la sua linfa vitale?
Quando puoi raccontare così la tua vita, credendoci fino in fondo, quando sei così sicuro che la tua vita è stata meravigliosa, un sogno ad occhi aperti, qualcosa da raccontare per farlo conoscere, che importa di avere prove che certe cose siano accadute? L’importante è che tu le ricordi così, che l’impatto che hanno avuto su di te ha generato un ricordo indelebile nella tua mente.
Che gli altri ci credano non è necessario; come hai percepito il tuo viaggio in questo mondo è solo affare tuo. E Edward Bloom è l’esempio di chi ha goduto e apprezzato ogni singolo attimo.
E Predestination, santo cielo… Per come la penso io sulla vita quella è l’assoluta perfezione. Essere non solo il motivo della tua nascita, non solo l’artefice vero, unico, della tua esistenza, ma anche quello della tua dipartita. Padre, madre, figlio, vita, morte e perfino amico di te stesso.
Morboso sì, lo ammetto, ma chi se ne importa? Posso dire che se scoprissi domani ciò che scopre il protagonista di Predestination potrei dire che non solo la mia vita ha avuto senso, ma che anche dietro alla mia morte c’è una logica schiacciante. Non sono in molti a poter dire una cosa del genere.
Ovviamente, perché certe cose non ci è dato di saperle. Ma a me questa cosa dà fastidio.
È dura quando a darti fastidio è il fatto di non conoscere il senso della vita, perché non dovrebbe farti arrabbiare non sapere qualcosa che non sa nessuno. Però è così.
Penso a Donnie e al profondo significato che lui trova nella sua vita. Tutto un lungo conto alla rovescia alla ricerca di una spiegazione che si trova solo correggendo quell’errore che apparentemente è minimo, e invece fa tutta la differenza del mondo.
Non era previsto che Donnie vivesse. Il caos totale perché un essere umano era lì e non doveva esserci.
Il Nono Dottore lo dice a Rose in una puntata bellissima in cui Rose salva suo padre dalla morte: un essere umano che non era previsto ci fosse ora c’è. Fa tutta la differenza del mondo.
Ma è solo mio padre, dice Rose.
E il fatto che ci sia fa tutta la differenza del mondo.
Così come la fa l’esatto opposto.
Donnie c’è e tutto il mondo attorno a lui si sgretola, Donnie non c’è e probabilmente, anche se il film non lo mostra, sarà tutto un altro tipo di catastrofe.
Un solo essere umano fa la differenza.
Ed io amo questa visione della vita, solo vorrei sapere perché.
Sono convinta sia così davvero, solo che non ho idea della motivazione e vivo cercandola.
È comunque un buon incentivo a proseguire, soprattutto considerando che nessuno ti può aiutare in questa impresa, nessuno può dare consigli, è una cosa personale e privatissima. E a me sta bene perché i consigli sulla vita mi vanno proprio stretti.
Mai ascoltati.
Soprattutto quando sono dati con un’alzata di spalle e lo sguardo spalancato di chi ha capito tutto e ti dice “Basta poco, che ci vuole?”  
Non basta mai poco, nella vita. Se bastasse poco non sarebbe la vita. È un gran bel caos, altrimenti non ne avremmo solo una; se fosse prevista la difficoltà minima ne avremmo dieci probabilmente tutte uguali e noiose e già con una linea da seguire.
Invece no, come in un videogioco subito la modalità Hard così non rischi che a metà ti annoi e ne cominci un altro.
Ho divagato?
Neanche poi tanto, sto parlando di film che danno da pensare, del resto.
C’è Amélie che mi fa tanta tenerezza. Perché di base vive esattamente come me, solo che lei ha una forte componente di romanticismo in tutto ciò che fa che a me manca.
Io ho più l’animo di Ofelia del Labirinto.
Anche i miei sogni me lo dicono. Il mio paese delle meraviglie non è fatto di fate, elfi, creature adorabili e animali paffuti.
Oddio, può essere, magari ci sono anche quelli, ma non ti devi fidare delle apparenze. Mai.
Io preferisco le creature più oscure e spaventose, quelle che a prima vista già ti dicono di stare lontano.
Se ad occhi aperti devo immaginarmi qualcosa che spunta da dietro un albero difficilmente immaginerò un coniglio bianco col panciotto. Immaginerò qualcosa di molto simile al mostro di Ofelia seduto alla tavola imbandita.
La povera, adorabile, Ofelia è il risultato di una mente cresciuta nell’orrore della guerra, però. Di certo lei ha motivazioni più valide delle mie per giustificare i suoi sogni. Ofelia vede solo orrore attorno a lei e il suo paese delle meraviglie, la sua fuga dalla realtà, è un mondo basato su ciò che lei conosce meglio e quindi non molto allegro, non colorato, non facile.
Ci sono amici sì, ma dagli amici stessi si deve guardare. Ci sono premi che si conquista se fa le cose per bene ma, Dio, se sbaglia quali sono le conseguenze…
E cosa posso farci? Il mondo immaginario di Ofelia è terribile eppure lo trovo affascinante. In parte è quasi più bello di Terabithia.
Perché quando esci da Terabithia purtroppo ti devi scontrare con una realtà difficile, mentre Ofelia si scontra con l’orrido in entrambi i casi. E in entrambi i casi vince, anche se può non sembrare.
Ofelia è un’eroina nel vero senso della parola, uno dei pochissimi personaggi femminili che stimo con l’anima, che mi emoziona. Ce ne sono talmente pochi da elencare che ogni tanto mi chiedo se chi scrive e produce film si sia mai reso conto che i buoni personaggi per essere buoni non dovrebbero essere gestiti in base al loro sesso, visto che non è quello che ci muove.
Nel mio mondo ideale mi verrebbe chiesto di che sesso voglio essere prima di affibbiarmene uno ed io risponderei che non mi sta bene che ce ne siano solo due, che se è così allora non mi schiero da nessuna parte.
Per fortuna non è così, di sessi ce ne sono finché mai. Non ho la minima idea di quale sia il mio ma la cosa non mi preoccupa, perché non è quello che mi fa agire.
Ho divagato di nuovo?
È perché la vita nelle sue molteplici sfaccettature mi distrae. Se potessi trascorrere la mia giornata a mettere giù i miei pensieri credo che il tempo trascorrerebbe così velocemente da non avere più quello per vivere davvero.
Che poi chi se ne frega?
L’altro giorno mi è stato chiesto perché non esco di più ed io ho risposto che se esco non posso scrivere.
Allora, c’è da avere pazienza, ci sono le persone che bramano di vivere e sperimentare e ci sono quelle che vogliono mettere per iscritto ciò che gira loro per la testa. Vorrei sapere perché la distinzione tra le due categorie è sempre bene per la prima e male per la seconda.
Chi l’ha stabilito?
Di nuovo sono uscita dal discorso principale, chiedo scusa.
Come ultimo film c’è Men & Chicken, perla, capolavoro, gioiello che mai avrei scoperto non fosse stato per la mia passione per Hannibal.
Non mi curo tanto del sottofondo del film in cui io non credo, la prosecuzione della specie, il fare figli e riprodursi, quello è all’esatto opposto delle mie convinzioni. Si scoprisse domani che la razza umana non è più fertile penso sarebbero contenti tutti quelli che non sono umani, io per prima.
Ma l’insegnamento una vita è una vita, è meraviglioso. Il viaggio dei fratelli Thanatos alla ricerca delle loro origini parte da presupposti diversi dai miei, ma sempre lì va a finire. Cos’è la vita, perché siamo qui, chi siamo.
E la risposta che loro trovano ha quel tocco di impossibile e assurdo che dà senso a tutto, che ti mette il cuore in pace dandoti una spiegazione. Beati loro.
Amo i Thanatos così come sono nella loro imperfezione. Se non rischiassi il linciaggio o una tranvata in testa quella sarebbe la casa perfetta in cui io vorrei vivere per sempre.
Ecco, sono un’appassionata di film, soprattutto di horror e ho una lista infinita di titoli di ogni genere che considero capolavori. Ma questi appena citati sono quelli che toccano nel profondo ciò in cui credo, un po’ come fanno le canzoni di Caparezza.
E non mi capita spesso di trovare pezzi di me in giro.
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frontedelblog · 4 years
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"A DISTANZA RAVVICINATA", UN GIALLO "DI COSTIERA"
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Bentrovati, cari Sabrina e Daniele! Molti non lo sanno, ma noi tre formiamo un triangolo letterario, al cui vertice c'è Daniele, che ha scritto romanzi e racconti a quattro mani con ciascuno degli altri due. Per questo motivo, mi asterrò da commenti sul vostro "A distanza ravvicinata" (vabbè,  se proprio volete saperlo mi è piaciuto moltissimo…), uscito a fine febbraio per "Fratelli Frilli Editore", mantenendo il dovuto distacco nel porre le domande e lasciando che siate soprattutto voi a parlare del vostro lavoro. Siamo d'accordo? Si parte! R: Chi dei due ha avuto l'idea che sta alla base del romanzo, ovvero un'indagine compiuta da una coppia di investigatori che nemmeno si conosce? S: Rino, innanzitutto grazie di cuore per l’ospitalità e l’attenzione! Come talvolta accade anche in questo caso tutto ebbe inizio per … caso! Da uno scambio di ricordi abbiamo scoperto avere un trascorso comune, Daniele ed io, che è quello di aver abitato a Lavagna, io solo in estate mentre Daniele come residente. Ovviamente all’epoca non ci conoscevamo e dalla classica frase magari ci saremo anche incrociati senza saperlo è partita l’idea di una storia che si muovesse su questi presupposti.  D: Il triangolo non l’avevo considerato! Buongiorno, Rino. Grazie a te per l’opportunità di questa chiacchierata tra amici, prima ancora che coautori. Direi che la suggestione di partenza è scaturita da Sabrina, che tra l’altro mi ha fatto conoscere una splendida poesia della poetessa Wisława Szymborska intitolata “Amore a prima vista”. Consiglio a  tutti di leggerla, è meravigliosa. In questo componimento, la poetessa tesse un meraviglioso affresco poetico attorno ai segni premonitori (non colti) del destino d’amore che lega due persone. Ecco, partendo da questa suggestione, è nata l’idea di due personaggi che non si conoscono, ma lo faranno più avanti nel corso di quella che dovrebbe essere una serie di romanzi, e si ritrovano a sostenere un’indagine parallelamente, partendo da prospettive e situazioni molto distanti, se non addirittura opposte: una ragazzina “detective per caso” e un giovane maresciallo dei carabinieri, che finisce cooptato addirittura in un’inchiesta dei servizi segreti. Lo spunto, infine, è piaciuto all’editore Carlo Frilli, che ringraziamo per la fiducia e il sostegno, e ora eccoci qui. R: Un'altra rilevante caratteristica di "A distanza ravvicinata" è che mescola due generi: il giallo vero e proprio, specie per quanto riguarda la protagonista femminile, a tutti gli effetti una "miss Marple" giovanissima, e la spy story, in una versione insolita per lo sfondo italiano della trama spionistica… S: Assolutamente vero! Nelle pagine sono confluite le passioni mie e quelle di Daniele. Io sono molto vicina per gusti e amor di letture al giallo classico e al thriller; più di tutto mi appassionano i personaggi, scandagliarne i pensieri e i modi, prestare loro suggestioni mie e lasciarmi sorprendere quando la storia ne stimola reazioni per me impensabili fino a poco prima di scriverle.  D: In effetti, credo che “A distanza ravvicinata” mescoli più di un genere. Oltre al giallo e alla spy, trovo che ci sia anche qualche spruzzata di “romance”, almeno in alcune scene. E penso di poter dire che, analizzando la parabola dei due protagonisti, sia pure un romanzo di formazione, tant’è vero che Mistral e Pietro, alla conclusione della vicenda, prenderanno decisioni importanti per quella che sarà la loro vita futura. La trama è indubbiamente  e fondamentalmente gialla: abbiamo l’omicidio di un’anziana turista tedesca e occorre chiarire chi sia il colpevole e in quali circostanze sia maturata la sua uccisione. Diventa anche una storia spy nel momento in cui si scopre che la donna ha un fratello che si è macchiato di crimini durante l’ultimo conflitto mondiale ed è coinvolto in alcune pagine oscure del dopoguerra in Italia e nell’America centrale. Infatti, l’anziana signora è tenuta d’occhio dai servizi segreti e le cose si complicano parecchio per i nostri due protagonisti. In realtà, credo che l’Italia sia un ottimo scenario per ambientare storie di spionaggio, basti pensare ai romanzi di alcuni eccellenti autori come Leonardo Gori sul versante storico, oppure Secondo Signoroni, Stefano Di Marino o Andrea Carlo Cappi, giusto per citarne solo alcuni e non me ne vogliano coloro che involontariamente sto trascurando. Del resto, se pensiamo alla nostra Storia più o meno recente, le trame spionistiche non mancano di certo. R: Certo: il romanzo ha una spruzzata di "rosa", in quanto Pietro e Mistral sembrano proprio destinati ad avere una storia d'amore. Suppongo ne sapremo di più in seguito... La prossima domanda è inevitabile: le coppie "eterosessuali" di investigatori sono abbastanza rare. A me vengono in mente alcuni esempi cinematografici: Nick e Nora Charles della serie cinematografica dell'"Uomo Ombra", impersonati da William Powell e Mirna Loy; i coniugi Hart della serie televisiva "Cuore e batticuore", cui prestano il volto gli attori Robert Wagner e Stefanie Powers, e soprattutto Fox Mulder (David Duchovny) e Dana Scully (Gillian Anderson) di X-files... Modelli molto diversi sia di collaborazione investigativa che di rapporto affettivo… Ricordo che gli ultimi due si caratterizzavano per essere lui un intuitivo, e lei una razionale metodica, e che nonostante fossero sentimentalmente attratti l'uno dall'altro mai passarono a una conoscenza biblica… Come si collocano Pietro e Mistal? S: Che bella ed intrigante domanda Rino! Senza svelare troppo posso risponderti che le cose non saranno facili tra loro… ci stiamo divertendo a mettergli un po’ i bastoni tra le ruote sia lavorativamente che sul piano personale…  D: Sono personaggi che stanno crescendo e si stanno sviluppando insieme alle storie, quindi potrebbero anche sorprendere noi stessi che li abbiamo creati. Così all’impronta, ti direi che, come qualcuno tra i nostri lettori ha acutamente notato, hanno un po’ il loro destino e le loro caratteristiche nel nome. Mistral è il nome di un vento, che scompiglia, rinfresca, però porta anche tempesta. Pietro è più granitico, duro, anche se la sua corazza ha molte crepe e fragilità. Ecco, sia nella vita privata, sia nell’indagare sono un po’ così. Impetuosa, intuitiva, “irregolare” Mistral; metodico, chiuso, tenace Pietro. Se vogliamo, quindi, in qualche modo potremmo vederlo come un rapporto Mulder-Scully invertito, se mi passi la semplificazione. E ognuno dei due ha ombre e luci interiori con cui fare continuamente i conti. Come dice Sabrina, in più noi gli mettiamo un po’ i bastoni tra le ruote! R: Venendo meno, per un attimo, al proposito di neutralità (ammesso che fosse realistico... ) devo dire che ho molto apprezzato l'ambientazione sulla costa ligure, così ben richiamata dalla copertina. Forse sono stato influenzato dalla mia nota "venerazione" montaliana, ma trovo il paesaggio che fa da sfondo alla storia, quello di una tipica località di villeggiatura ligure in estate, suggestivo quanto emblematico. Il clima che si respira in quei posti in quella stagione è particolare: la vivacità un po' caotica indotta  dalla calata dei turisti aggiunge un senso di euforia e voglia di vivere a un contesto di natura che, Montale docet, suscita, nel resto dell'anno, riflessioni esistenziali più profonde, anche più malinconiche… Nel vostro romanzo ho trovato entrambi gli aspetti, rimarcati spesso dalle variazioni meteorologiche… Avete voluto fare del contesto una specie di pedale di sottofondo che accompagna lo sviluppo della trama… Mi sbaglio? S: Non sbagli affatto, hai colto un elemento fondamentale anzi. “A distanza ravvicinata” ha la sua ragione d’essere proprio in relazione al luogo dove si svolge. Oltre a contenere una marea di suggestioni emotive dovute alla lunga frequentazione di Lavagna che ce la fa conoscere così bene, la cittadina è perfetta per risultare abbastanza raccolta da giustificare una distanza … ravvicinata, ma allo stesso tempo non è troppo piccola per renderla impossibile. Per intenderci, un borgo di mare tipo Camogli alla lunga non avrebbe retto alla struttura che abbiamo voluto dare alla storia. Ma c’è di più. Ed è proprio quel sapore montaliano al quale facevi riferimento. Una commistione di elementi che invita  a tuffarsi in se stessi anche nel mezzo di una piazza gremita per la Festa rivierasca più popolare e frequentata. D: Ho sempre pensato che il contesto debba risultare un protagonista alla pari degli altri personaggi del romanzo. Come ha detto Sabrina, abbiamo scelto Lavagna perché abbiamo scoperto di avere avuto dei trascorsi comuni in quella località, io addirittura ci sono nato. Le spiagge, il dedalo di stradine del centro, la piazza addobbata per il Palio dei Fieschi, la basilica di Santo Stefano con la sua imponente scalinata, le frazioni dell’entroterra sono immagini che “vivono” dentro di noi, hanno spessore e sostanza, per cui abbiamo cercato di trasmettere questo amore per la nostra terra anche nelle scene di un noir. A ennesima dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, che in Italia si possono ambientare ottimamente delle storie di tensione. La Liguria, poi, trovo che sia particolarissima, sotto questo aspetto. Citavi Montale, che ha fatto del paesaggio ligure una struggente metafora dell’esistenza e ti ringrazio per questo nobilissimo - e un po’ impegnativo - accostamento. Sicuramente il carattere ligure si è plasmato nel tempo sulle asprezze di una terra dura, che regala al contempo una bellezza abbagliante. Carlo Lucarelli, uno che se ne intende, definisce Genova una città “bella, ma pericolosa; molto affascinante e contraddittoria” e indubbiamente salta agli occhi come Genova e la Liguria abbiano un’anima impastata nella luce e nell’ombra. Esattamente come il noir. R: Da ultimo una domanda un po' più da addetti ai lavori, anche se so che i lettori sono incuriositi dall'argomento: come lavorate a quattro mani? Spero non  bisticciate spesso, eh! Io e Daniele, quando scriviamo insieme, abbiamo felicemente testato un metodo che garantisce la maggior omogeneizzazione stilistica. "A distanza ravvicinata", correggetemi se sbaglio, essendo  basato su due differenti angolazioni narrative che si alternano, coincidenti con i due protagonisti, per di più di sesso e dunque con approccio psicologico e visione della realtà diverse, dovrebbe aver richiesto un particolare sforzo per raggiungere la sintonia che si tocca con mano leggendo… S: In realtà devo dire che non c’è stato alcuno sforzo particolare. Ci siamo immediatamente trovati sulla storia che volevamo raccontare, ed essendo forse abituati, conoscendoci bene, a quelle che sono le nostre differenze caratteriali nella vita reale, ci è parso naturale muovere ed “accettare” due personaggi abbastanza diversi tra loro. Detto ciò, lo scambio e l’interazione sono stati continui e divertenti, in particolare ho il ricordo di una scena piuttosto lunga  scritta in “presa diretta”, ossia fatta di un dialogo costruito in tempo reale senza sapere l’altro cosa avrebbe risposto, anzi giocando a metterci in difficoltà l’uno con l’altra …  D: Chiaramente, anche se imperniato su due personaggi dai registri piuttosto differenti, pure il nostro romanzo ha richiesto un lavoro di amalgama stilistica, che non snaturasse eccessivamente, però, i caratteri dei due personaggi e le peculiarità narrative che offrivano. Lo scambio, quindi, è stato costante perché, come ben sai, scrivere a quattro mani richiede un confronto pressoché continuo. Tecnicamente, anche noi abbiamo fatto ricorso a quello che tu chiami “il nostro bicameralismo perfetto”, ossia il continuo rimando delle parti scritte dall’uno all’attenzione ed eventuale integrazione da parte dell’altro autore. Ritengo che sia anche un modo stimolante di mantenere attiva la sinergia su ogni parte di un progetto comune e in questo la condivisione dei file su Google Drive, per esempio, rappresenta davvero un supporto insostituibile sotto il profilo tecnico. Quanto ai bisticci, si sa… notoriamente io ho un ottimo carattere, impossibile discutere o bisticciare con me! E dopo averla sparata di questo calibro, scappo, non prima però di aver ringraziato te per questa bella chiacchierata e aver salutato i lettori del blog che, spero, diventeranno anche i lettori di “A distanza ravvicinata”! S: Grazie di cuore anche da parte mia! Buone letture a tutti! Rino Casazza GLI ULTIMI LIBRI DI RINO CASAZZA: GUARDA Read the full article
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pangeanews · 4 years
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“Se mi fa vergognare, allora è la storia giusta”. Tre domande ad Alessio Forgione, autore di “Giovanissimi”
Giovanissimi narra un mondo di adolescenti a Napoli e Marocco, il protagonista, ha 14 anni. Combattono con il vuoto e l’assenza. È la storia che ti piaceva raccontare o è anche un riferimento più generale a una generazione?
Io scelgo la storia da raccontare che più m’induce vergogna. Se mi fa vergognare tantissimo allora incomincio a pensarci e a furia di pensarci diventa un’ossessione, e siccome sono un pigro mancato e un ossessivo compiuto non incomincio fino a che non posso fare altrimenti. Dopo, mi vergogno tra me e me, poi mi vergogno un po’ in pubblico e, finito il giro, ricomincio con un’altra vergogna.
Leggere è piacevole, scrivere no. Se allo scrittore piace scrivere sono abbastanza certo che ne verrà fuori un libro brutto e vanitoso e che non si tratta di uno scrittore, in questo caso, ma di un grafomane.
Generazione, generazionale e via dicendo sono parole che, abbinate ai libri, sottolineano l’importanza e l’aggregazione insita in un’opera: è capitato tanto a Giovanissimi quanto a Napoli mon amour, il mio precedente romanzo, e ne sono lieto, molto, ma non era mia intenzione, perché non ci credo a queste cose. O meglio: non credo che possano accadere a prescindere. Piuttosto, l’arte non può che essere individuale: parlare di un soggetto e parlarne così bene e approfonditamente da arrivare nel punto dove risiedono una parte delle personalità di tutti.
C’è una geometria nei rapporti tra i ragazzi, un po’ come nel gioco del calcio che pratica Marocco: Lunno, Gioiello, Fusco, Petrone, Marco, poi Maria Rosaria e Serena. A volte sono i gesti, i silenzi della noia, del caldo, gli scoppi di felicità e i cazzotti delle controversie. Linee che definiscono azioni e reazioni, un’atmosfera che fa respirare l’inquietudine dell’assenza. Gli schemi del gioco non funzionano e il goal che aspetti non arriva?
In Giovanissimi il calcio ha la sola funzione di contestualizzare Marocco, il protagonista, e di renderlo isolato rispetto alla sua vita vera. Perché quando hai un talento, piccolo o grande che sia, quel talento ti rende un po’ unico, ponendoti fuori dal branco, e questo per dire che il calcio è irrilevante in questa storia: c’è all’inizio del romanzo e, pagina dopo pagina, va scomparendo, perché Marocco incontra cose, persone, situazioni che, a differenza dello sport, lo appassionano davvero.
Per me, almeno da quanto ho capito fino ad oggi, la vita non ha schemi: ad una data azione non corrisponde, sempre, la reazione attesa e ogni volta accade quel che accade. Infatti, il libro narra del tentativo di Marocco di vincere l’attesa smettendo di aspettare, il suo lanciarsi nell’amore e verso la vita, e poi la vita che arriva.
Non so, dunque. Io ho trentaquattro anni e non farei un figlio nemmeno se mi pagassero, per le responsabilità, i soldi, l’inquinamento acustico e così via e tanti mie coetanei non li fanno perché pensano di dover trovare prima il lavoro giusto, poi la casa giusta, fino a che tutto è giusto. Io stimo molto quelli che lo fanno e basta, costi quel che costi, occupano un posto e si attaccano sul contatore di qualcun altro. Loro sono dei romantici, non io.
Il padre di Marocco, abbandonato dalla moglie, uomo di poche parole, eloquente sul piano della comunicazione emotiva. Con le difficoltà di essere padre di un adolescente che cresce da solo, compie gesti che riescono a dare una direzione alla vita di Marocco e i due hanno una relazione strana e controversa, fatta di silenzi e condivisione dello stesso vuoto. Ho trovato una sorta di somiglianza tra Lunno, il migliore amico di Marocco, e il padre: entrambi mi sono sembrati la realtà che rompe l’equilibrio dei sogni degli adolescenti. Un po’ come la città in cui è ambientato il romanzo, Napoli, che dà e toglie?
Se il romanzo fosse stato ambientato a Londra nessuno avrebbe pensato ad una città che dà e toglie, perché Londra è Londra, e gli italiani hanno un’idea e non gliela togli: Londra è grattacieli, soldi e invece, a ben vedere, è una città incredibilmente povera, popolata di persone povere povere povere, con una povertà che gli scende fin dentro l’anima e gli compromette prima il linguaggio e dopo i pensieri. Invece la città di Giovanissimi è Napoli, che non è Napoli ma una delle sue periferie, ed è la città a dare e togliere, perché alla parola Napoli dobbiamo abbinare le immagini ricorrenti che abbiamo nella libreria della nostra memoria, che c’hanno infilato con la forza e di proposito e allora Napoli è questo e quello, dà e prende ed io sono davvero stanco delle visioni parziali, limitate e limitanti. Napoli, nonostante la sua collocazione geografica nel mondo, è tanto spaccio a cielo aperto quanto una capitale culturale di questo pianeta. A ben vedere, i soli prodotti culturali italiani che funzionano e vengono esportati provengono da Napoli, o meglio: c’è Napoli dentro, un paesaggio che però saccheggiano qui e non altrove, perché Napoli funziona, ha una storia da raccontare, sì, sempre la stessa, ma almeno ne ha una. E non fa niente che se parli con un americano un po’ così e gli dici che sei italiano lui strabuzza gli occhi e risponde “Pizza… Mare… Sole… Caffè…” e questa, che è l’idea che buona parte del mondo ha dell’Italia, non è l’Italia, ma Napoli, posto che a Napoli ci sono migliaia di cose importanti, e non solo queste sciocchezze. E se fosse la nazione, quindi? Se fosse l’Italia a dare e togliere? Qualcuno ci ha mai provato a pensare a questa cosa? Napoli dà e toglie come qualsiasi altro posto del pianeta: io vengo da Soccavo, dove vivo tutt’ora, ovvero nello stesso quartiere di Marocco, e non sono un disoccupato né spaccio, ma uno scrittore, e non sono più intelligente di quello del palazzone di fronte che vende l’eroina, e siamo cresciuti nello stesso posto e siamo stati obbligati a frequentare le scuole fino alla stessa età. Dunque, qual è l’ente che dà e toglie? Napoli? Siamo sicuri? E se Napoli fosse il problema di e per diversi milioni di italiani, com’è che nessuno viene qui ad aggiustare e risolvere il problema? A me, personalmente, Napoli ha dato tutto: è stata il miglior genitore possibile. Punto.
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La lettura. Le risposte di Alessio Forgione mi hanno (positivamente) colpito, come quando si gioca alla battaglia navale e beccano la tua corazzata: colpita e affondata. Mi sono sentita (positivamente) di fronte a un interlocutore che tra le righe mi ha detto: e su dai, non blaterare troppo, Giovanissimi è così e così. Risposte taglienti e  precise. Nette. Alessio Forgione è un po’ come Ken Loach che ti porta negli interstizi della vita comune (nel caso di Giovanissimi quella di adolescenti che crescono a Soccavo, un quartiere napoletano) e non ti fornisce alcuna risposta e men che meno un rimedio. Alessio Forgione è essenziale, rapido, incisivo e, proprio come Ken Loach, poetico perché senza fronzoli. Nell’intervista Alessio afferma “io scelgo la storia da raccontare che più m’induce vergogna”, Ken Loach ha definito il suo cinema “un rifiuto ragionato di accettare l’inaccettabile”. Ammetto di amare molto Ken Loach e dunque ho amato Giovanissimi. Il romanzo va letto per un semplice motivo che non saprei dire altrimenti: è bellissimo; quando sono arrivata alle ultime pagine ho rallentato la lettura, avrei voluto che durasse, che non finisse. Comprendi il finale e pensi no, magari ne avrà scelto un altro, dio ti prego fa’ che ne abbia scelto un altro, ma sai che non è possibile e il finale arriva ed è quello, implacabile e teso come tutta la narrazione. Poi chiudi il libro e ti si apre il vuoto dell’assenza, fai fatica a infilarti in altre pagine, diverse da quelle che hai appena letto. Hai bisogno di dire a Marocco, il protagonista: dammi la mano, resta ancora qui, non te ne andare.
La citazione.“Ci dissanguiamo costantemente e che tutto sanguini, per favore, per sempre, allora, perché il sangue è quello che c’è prima che la vita cominci. La vita. La vita non è altro che un’inconsapevole attesa. Poi arriva, e fa male”.
L’autore. Alessio Forgione è nato a Napoli nel 1986. Scrive perché ama leggere e ama leggere perché crede che una sola vita non sia abbastanza. Il suo romanzo d’esordio, Napoli mon amour, ha vinto il Premio Berto 2019 e il Premio Intersezioni Italia-Russia; in corso di traduzione in Francia e Russia, verrà portato in scena al Teatro Mercadante di Napoli con la regia di Rosario Sparno.
*In copertina: Alessio Forgione, autore di “Giovanissimi” (l’immagine è tratta da qui)
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beautyscenario · 4 years
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Alla scoperta dei prodotti di make-up che Rosangela Pappalepore, Instagrammer, ama di più, e consiglia.. 
“Mi chiamo Rosangela Pappalepore. Vivo a Bari e sono mamma e moglie. Nella mia prima vita sono stata redattrice e coordinatrice editoriale per una importante casa editrice internazionale. Da qualche anno curo un piccolo spazio su Instagram dedicato agli argomenti che da sempre mi appassionano: make-up e skincare. Mi piace immaginarlo come un magazine on line tutto mio nel quale alterno idee make-up, recensioni di prodotti e mini tutorial.”
Parlando di rossetti….Mi piace cambiare, dipende  dall’occasione, dall’umore, dall’outfit e dai colori che decido di usare per gli occhi. Devo dire però che negli ultimi anni ho fatto pace anche con i colori più scuri. Adesso indosso più spesso e volentieri i rossi anche su un no makeup makeup. 
Tra matte o glossy…… Non sono legata al finish matte e ai liquid lipstick. Ammetto che il ritorno ai rossetti satin e creamy o ai very e propri lucidalabbra non mi dispiace affatto. Trovo che questo tipo di prodotto valorizzi le labbra.
Tra tinta labbra o rossetto….Entrambi, sia rossetti liquidi che in stick. La mia scelta si basa sul comfort. Ci sono formule liquide leggere ed elastiche ma anche rossetti in stick pesanti e appiccicosi che non riesco a sopportare più di qualche ora sulle labbra. 
I rossetti che sto usando di più in questo periodo…. il MatteLast in Evening Rose di Pixi Beauty, il Power Bullet in Third Date di Huda, il Matte Trance Flash3 di Pat Mc Grath e Uncuffed di Fenty. Sono i miei go-to nude del momento. I rossetti scuri che più sto amando invece sono Velvet Myth, Velvet Decade e Velvet Midnight di Lisa Eldridge. Formula eccezionale e colori particolarissimi. 
Ho un debole per i mascara. Mi piace provarne sempre di nuovi. E non ho pregiudizi. Anzi mi è capitato di rimanere delusa da prodotti highend e di entusiasmarmi per mascara low cost. Adesso per esempio ho una infatuazione per il The Falses Lash Lift di Maybelline che intensifica e allunga in modo incredibile.
Un brand di make-up che vorrei provare. Molti sono brand indie americani come Givemeglow, altri invece sono brand luxury che per il momento restano nel cassetto dei desideri come Chantecaille o Victoria Beckham Beauty
Parlando di fondotinta.…Sulla mia pelle misto/grassa è dura! Anche perché ricerco un finish il più possibile naturale. Non sopporto i fondotinta full coverage Matte che magari sono longlasting ma appesantiscono e segnano la pelle. Il Face&Bady della linea Dior Backstage mi piace tanto. Modulabile, leggero, effetto seconda pelle.
Quando mi chiedono quanto tempo impiego ogni giorno per truccarmi rispondo che dipende dal tempo che ho a disposizione. Mi possono bastare 5/10 minuti per un makeup essenziale. Per realizzare qualcosa di più elaborato mi occorre una mezz’ora buona.
Un brand di cui avevo sentito tanto parlare ma che una volta provato ha deluso le mie aspettative…Col tempo mi sono resa conto che alcuni marchi lavorano bene con i prodotti per la base ma sono deludenti (dal mio punto di vista, sia chiaro) per i prodotti occhi o labbra. Oppure viceversa. Mi viene in mente Becca che fa tra gli illuminanti più belli in circolazione, ma palette occhi che per quanto mi riguarda sono poco performanti.
Se potessi entrare da Sephora e avere in regalo tutte le referenze di soli due brands senza esitazione al primo posto sceglierei Natasha Denona. E dopo averci pensato su un nano secondo aggiungo Pat Mc Grath. Credo che al momento siano i make-up brand più interessanti. La qualità della Denona è impareggiabile. Della linea Pat Mc Grath apprezzo il taglio editoriale. Finish e scelta colori editorial al passo con la moda.
Prodotti rivelazione dell’ultimo anno per me sono stati i Liquid Fairy Lights di Pixi, glitter liquidi che con pochi gesti e senza complicazioni rendono wow anche il look più basic. Per chi ha più manualità gli ombretti/pigmenti in polvere libera del brand russo Tammy Tanuka e di quello polacco Inglot. I blush stick del marchio italiano Neve Cosmetics che performano alla grande anche su pelle mista. Vorrei invece provare qualcosa dal brand coreano Dear Dhalia e di quello italiano Espressoh.  
Una mania. Faccio fatica a disfarmi delle cose. Per me il decluttering è praticamente impossibile. A volte conservo anche le scatole dei prodotti. Ce ne sono alcune che sono pezzi da collezione come quelle delle palette di Pat Mc Grath, bellissime!
Sei fossi ad costretta ad usare un unico prodotto di make-up, per un anno…. Anche se il mio istinto mi dice di scegliere un buon correttore con il quale realizzare l’intera base, riflettendoci probabilmente mi orienterei per un rossetto in stick rosa malva che userei su occhi, viso e labbra.
Per il mio make-up ultimamente sto alternando diversi prodotti per portarli a termine. Insieme al fondotinta di Dior uso lo Studio Skin di Smashbox,quando voglio maggiore coprenza. Scelgo un correttore cremoso e illuminante. Il mio evergreen è l’Age Rewind di Maybelline. Fisso tutto con la cipria compatta di Nabla che sto terminando in tempi record. Mi piace moltissimo. Ho riscoperto i prodotti in crema per il viso. Non amo il contouring alla Kardashian ma con il Match Stix di Fenty in Amber ottengo giusto un ombra leggera e fredda. I Blush Stick di Neve Cosmetics sono fantastici. Uso tutte le 4 shade in gamma per creare un bell’effetto luminoso e tridimensionale. Trovo ideale per l’applicazione un pennello duo fibre. Se ho poco tempo li uso anche in velocità su palpebre e labbra. Tanto mascara e via! Per un makeup occhi basic invece uso la matita Teddy di Mac (un classico), o la crayon kohl di Chanel in Rouge Noir che con il suo colore Bordeaux scuro è perfetta su occhi verdi. Sfumo verso l’esterno e fisso con delle polveri. Il quad Cocoa Mirage di Tom Ford è facilissimo da usare. Gli ombretti si sfumano da soli. Sulle labbra una matita per definire i contorni e correggere le piccole asimmetrie. Me ne basta una del colore della mia mucosa labiale come la Nude Beige di Diego dalla Palma e uno dei rossetti dei quali parlavo sopra. Ultime ma non ultime le sopracciglia. Per me uno step fondamentale. Adesso sto usando i prodotti della linea Anastasia Beverly Hills. Pomade e mascara colorato. Delle sopracciglia ben disegnate aprono anche lo sguardo più stanco e regalano subito un aspetto curato.
Social e beauty…..Per mancanza di tempo seguo sempre meno i canali youtube. E poi ultimamente mi infastidivano i video haul nei quali venivano mostrati tanti, troppi prodotti. Credo sia il messaggio sbagliato. E poi chi mai può davvero usare e “capire” un prodotto quando ne ha così tanti? Non mi fido delle recensioni seriali. Invece seguo più volentieri profili Instagram. I miei preferiti sono quelli di makeup artist che lavorano in ambito moda. Amo i look editoriali. Li trovo di grande ispirazione. Ma anche quelli che per quanto originali o colorati possono essere indossati. Tra i contenuti che preferisco ci sono quelli di Linda Hallberg, Celine Bernaerts e Katie Jane Hughes. Sono affezionata a Samatha Chapman e trovo che le sue proposte siano sempre particolari ma easy e poi lei ha un viso così bello che rende tutto desiderabile. Infine amo i video tutorial pubblicati da Natasha Denona perchè propongono look sempre molto femminili, eleganti, portabili e riproducibili, cosa che purtroppo si vede sempre meno su Instagram.
La domanda che mi fanno di più le mie followers…. Spesso mi vengono chiesti suggerimenti per prodotti che rispondano a specifiche esigenze. Correttore, fondotinta, matita labbra, spf da usare sotto il makeup in città. Mi fa riflettere sul fatto che siamo diventate consumatrici più consapevoli e che abbiamo le idee sempre più chiare sulle nostre esigenze, un po’ meno sui prodotti più adatti a soddisfarle.
Tra profumeria e online preferisco l’online e per un motivo molto semplice: odio essere tampinata dal personale addetto alla vendita. Anche per questo tra i negozi fisici gli store Sephora sono i miei preferiti. Mi sento libera di girare tra gli espositori. Toccare i prodotti. Informarmi sulle novità. 
A volte, non sempre per fortuna, mi rendo conto che la clientela è più informata di chi vende. Capita di chiedere di una nuova linea o di un nuovo prodotto e di leggere sulla faccia della commessa un enorme punto interrogativo. Per quello che riguarda i prodotti a volte penso che l’offerta sia esagerata. Ogni stagione veniamo travolti da nuovi prodotti ma sono davvero NUOVI? Vorrei che i lanci fossero di meno ma più “pensati”. Che le novità fossero davvero tali per concept e formula.
La make-up routine di Rosangela Pappalepore, Instagrammer Alla scoperta dei prodotti di make-up che Rosangela Pappalepore, Instagrammer, ama di più, e consiglia.. 
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