Tumgik
#Museo Civico Correr
kultofathena · 1 month
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Tod Cutler – Italian 14th to 15th Century War Hammer – Dragon Hammer
This Italian medieval war hammer is based on a piece from the Venice Museum dated 1380.  Housed at The Museo Civico Correr in Venice, Italy. Francesco II da Carrara.  The original was a staff weapon at 20cm wide and this has been scaled down to be a hammer. War hammers generally had a faceted hammer for powerful concussive blows and a sharper pointed side which could be used for piercing and puncturing. Based on a piece from Venice Museum and dated 1380 . The head is cast bronze and steel and matched with a bronze end cap and all the components are securely fitted to a stout and robust ash hardwood haft.
War hammers generally had a faceted hammer for blows and a sharper pointed side which could be used for piercing/ripping.
51 notes · View notes
rhianna · 1 month
Text
Tumblr media
Carte veneziane - spade - Museo Correr - Cl. XXX n. 0084.jpg
Italiano: Carte da gioco veneziane, seme di spade, xilografie colorate.
English: Venetian playing cards: suit of swordsDate18th centurySourceMuseo Civico Correr, Venice, ItalyAuthorUnknown author
0 notes
lamilanomagazine · 1 year
Text
Trieste, Corsa della Bora presentata al museo d'arte orientale
Tumblr media
Trieste, Corsa della Bora presentata al museo d'arte orientale. E’ stata presentata ufficialmente oggi (giovedì 15 dicembre) nel corso di una conferenza stampa, svoltasi nella sala delle spade del Civico Museo d’Arte Orientale di Trieste, l’ottava edizione della Corsa della Bora, evento clou del trailrunning invernale in Italia, organizzato da Asd SentieroUno, che si terrà dal 6 all’8 gennaio sul Carso triestino e sloveno, con percorsi che vanno dalla Family di 9 km alla S1 Ultra di 164 km. L'evento è sostenuto dalla Regione Fvg e Promoturismo, Aics e i Comuni di Trieste, Nova Gorica, Duino Aurisina - Devin Nabrežina, San Dorligo della Valle – Dolina, Sgonico – Zgonik, Monrupino - Repentabor. Un evento in collaborazione con Coni, Fidal, Trieste Atletica e Wwf. Sono intervenuti alla presentazione il sindaco Roberto Dipiazza, l’assessore comunale alla Cultura e allo Sport del Comune di Trieste, Giorgio Rossi, l’assessore regionale alle Autonomie Locali, Pierpaolo Roberti, il sindaco di Duino Aurisina / Devin Nabrezina, Igor Gabrovec, il sindaco di Monrupino-Repentabor, Tanja Kosmina, l’assessore del Comune di Sgonico-Zgonik, Martina Budin, il presidente dell'Associazione Italiana Cultura e Sport Fvg, Giorgio Mior, Omar Fanciullo per Trieste Atletica e il presidente dell'Asd SentieroUno e direttore della Corsa della Bora, Tommaso de Mottoni. La Corsa della Bora richiamerà in Friuli Venezia Giulia atleti da 42 nazioni, che quest'anno potranno scegliere tra sette distanze per tutti i gusti e livelli di preparazione. Un trionfo di inclusione dopo due anni di restrizioni imposte dalla pandemia con un'adesione senza precedenti, tanto che il record di 2200 iscritti dell'edizione scorsa è stato ampiamente superato a un mese dalla gara. Sette gare per tutti i gusti. Le sette distanze vanno dai 9 Km ai 164 km della gara "regina", la S1 Ultra, che quest’anno partirà da piazza della Transalpina a Nova Gorica, con un percorso per il 50% transfrontaliero, che terminerà, come per tutte le gare, nella splendida finish line di Portopiccolo, nel comune di Duino Aurisina - Devin Nabrežina, con il Bora Village ampliato e potenziato per l’occasione. Da segnalare, tra le non competitive, la passeggiata inclusiva da 9 Km per le famiglie, tra gli antichi sentieri dei pescatori, con la strada Costiera pedonalizzata e l'apertura straordinaria delle Cave di Aurisina. Grande ritorno della partenza in piazza Unità per la Ecomarathon da 42Km, dopo i due anni di restrizioni anti Covid, che hanno visto lo start da piazza Cavana. Altra partenza trionfale dal centro triestino per la S1 Urban da 29 Km, in cui gli atleti si ritroveranno sul Molo Audace, diretti verso Barcola e Opicina. Spettacolari anche le partenze della S1 Half 21 Km, da Monte Grisa, e della S1 Trail 57 Km da Basovizza, verso gli scenari più belli della Val Rosandra. La notturna S1 Night Trail, partirà da Sgonico/Zgonik la rocca di Monrupino/Repentabor illuminata guiderà gli atleti lungo il percorso. Percorsi pensati per valorizzare tutte le meraviglie nascoste dei Comuni carsici, dove gli atleti potranno correre in assoluta sicurezza, vista anche la stretta collaborazione con il Soccorso Alpino e Speleologico, che presidierà alcuni passaggi. Nel giorno della premiazione sarà trasmessa una diretta streaming sui canali social dell’evento, oltre ad altre due dirette su Trieste Cafe. Prevista inoltre l’animazione di Maxino e Flavio Furian. Un volano per il territorio, tra turismo ed enogastronomia. Uno degli obbiettivi della Corsa della Bora è quello di “destagionalizzare” le presenze nel territorio e nelle strutture ricettive, richiamando turismo di qualità in un periodo considerato di bassa stagione. Inoltre, per valorizzare le eccellenze della regione, nei punti ristoro saranno distribuiti prodotti a km 0 delle aziende locali, in un delizioso viaggio anche per il palato. Il tutto in collaborazione con il consorzio Fvg Via dei Sapori. Gli interventi. Per il sindaco Roberto Dipiazza “Sarà una grande festa per la città, l’altro anno è stata una grande emozione partecipare alle premiazioni, per cui continuiamo a promuovere Trieste, che oggi sta correndo insieme al suo territorio e alla regione intera”. “Un evento che promuove e valorizza il nostro territorio e che si sviluppa nel tempo - ha dichiarato l’assessore Rossi -. Se pensiamo alle prime edizioni e alle ultime, c’è stata una crescita fondamentale per questo evento che è uno dei più importanti della nostra città”. L’assessore alle autonomie locali Pierpaolo Roberti ha ricordato che “la Regione sta approvando una legge di stabilità che ancora una volta ha una quota importante destinata allo sport e mai come in questi anni abbiamo sostenuto lo sport per superare un periodo di emergenza”. “Questa è una competizione - ha continuato Roberti - che ha un valore grande, spettacolare per i panorami che riesce a mostrare, grazie anche alle immagini che gireranno sul web”. Una corsa, ha ricordato l’assessore, “con un finale incredibile che raccoglie tutte le partenze delle varie distanze, nella sede di Portopiccolo. Conservo ancora il ricordo dell’anno scorso: vedere arrivare gli ultimi al buio, con le lampadine sulla fronte, dopo aver percorso 164 chilometri, è qualcosa che mette i brividi”. Così il direttore della Corsa della Bora Tommaso De Mottoni: “La nostra gara è percepita all’estero come un appuntamento immancabile, tanto che la maggior parte delle presenze non è locale. Il progetto che volevamo sviluppare, interrotto per due anni a causa del Covid è, quest’anno, l’obbiettivo primario dell’evento: far conoscere la manifestazione anche a chi vive su questo territorio e molto spesso non conosce la bellezza che ha alle porte di casa. Per questo rafforzeremo le corse non competitive, alla portata di tutti, sospese nei due anni passati. Faremo diventare tutti un po’ ‘pazzi’, come noi e come la Bora”. Così il sindaco Gabrovec: “E’ un onore, da sindaco, sapere che il cuore pulsante di questo evento è a Portopiccolo, a Sistiana, nel nostro comune di Duino Aurisina, dove sorgerà il Bora Village”, per una gara “importante perché attira l’attenzione sul nostro territorio, Trieste, il carso, il mare, la montagna, l’area transfrontaliera, il Friuli e l’area Goriziana. Un’area sempre più conosciuta, che ha ancora bisogno di farsi conoscere”. Soddisfazione dalla sindaca Kosmina, che ha ricordato l’importanza del punto di ristoro sulla rocca di Monrupino/Repentabor, mentre l’assessore Budin ha parlato dell’evento come di “un bellissimo biglietto da visita in un periodo in cui il nostro territorio non è molto frequentato” Giorgio Mior ha richiamato l’attenzione sul “concetto di rete, che per questa manifestazione è composta da innumerevoli associazioni sportive. Fare rete non è così semplice perché richiede umiltà, rispetto, condivisione e leadership. L’Aics, che conta 30mila associati in regione, si è sempre proposta come un coagulante tra le varie associazioni”. Omar Fanciullo: “Sono felice che si possa tornare ad essere ‘normalmente sportivi’ alla fine di questa pandemia, che per noi non ha creato grossi problemi, facendo sport all’aperto, ma ha causato problemi psicologici ai ragazzi. Sapersi liberi all’interno di questo evento creerà un beneficio che potrà colmare, speriamo, il vuoto che c’è stato”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
ltwilliammowett · 2 years
Photo
Tumblr media
19th century leaded stained glass panel with central circular painted Venetian scene of the Bucintoro in the bay of Venice,1359 (x)
The Bucintoro, also known as the Bucentaur or Golden Barque, was the ship of state of the Doges of Venice. It was a splendidly equipped Venetian galley with 168 oarsmen on 42 oars. The Bucintoro, built of wood in 1728 in the Venice Arsenal, measured 43.8 × 7.3 × 8.4 metres.
The first bucintoro was first mentioned in 1253. In between, there were several examples and the last bucintoro was largely destroyed by Napoleon's soldiers. They entered the Venice arsenal with axes on 9 January 1798 and smashed the ship's rich ornamentation into small pieces - in the hope of getting hold of the few gold leaves, the value of which they probably overestimated considerably.
The hull of the ship was later repaired and put back into service under the name Hidra (Hydra). It was used to defend the harbour on the Lido and was finally scrapped in 1828. Remains are kept in Venice at the Civico Museo Correr and the Arsenal.
77 notes · View notes
lafilledufeu · 4 years
Link
C'è una cosa molto importante che i romani dovranno fare quando riaprirà Casa Moravia: correre al civico 1 del Lungotevere della Vittoria. Su Harper's Bazaar Italia ho scritto di uno dei posti di Roma a cui sono più legata.
16 notes · View notes
agelessphotography · 5 years
Photo
Tumblr media
Museo Civico Correr Venezia II, Candida Höfer, 2003
36 notes · View notes
sm-art-gallery · 5 years
Text
Antonio Canova: Amore e Psiche
Tumblr media
Antonio Canova, Studio per Amore e Psiche giacenti, 1787, disegno a matita grassa su carta, Bassano del Grappa, Museo Civico, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
Tumblr media
Antonio Canova, Bozzetto plastico per Amore e Psiche giacenti, 1787, terracotta (altezza 25 cm), Venezia, Museo Correr
Tumblr media
 Antonio Canova, Amore e Psiche giacenti, 1787-1793, marmo, Parigi, Musèe du Louvre
Tumblr media
Particolare
6 notes · View notes
annalisalanci · 2 years
Text
Antonio Canova
Tumblr media
Antonio Canova. Due nudi stanti: l'uno di dorso, l'altro di prospetto. Matita e carboncino su carta bianca, 42,2x32,7 cm. Bassano del Grappa, Museo Civico.
Tumblr media
Antonio Canova, Nudo femminile andante, di profilo, Matita e carboncino su carta bianca, 44,2x30,4 cm. Bassano del Grappa, Museo Civico.
Tumblr media
Nudo, Antonio Canova.
Tumblr media
Antonio Canova, Dedalo e Icaro, 1777-1779.
Marmo, alt.200 cm. largh. 95 cm, prof. 97 cm. Venezia, Museo Correr,
Tumblr media
Antonio Canova, Teseo e il Minotauro, 1781-1783. Marmo, alt. 145,4 cm, largh. 158,7 cm, prof. 91,4 cm. Londra, Victoria & Albert Museum.
La scultura neoclassica: una "pacata grandiosità"
Di statura europea fu lo scultore Antonio Canova capace di superare la sua epoca e i confini della sua terra. Egli fu infatti in grado di collaborare, nello stesso tempo, con Napoleone e con il governo pontificio di cui era ospite.
Nato a Possagno (Treviso) nel 1757, Canova ricevette una prima formazione ad Asolo, presso lo scultore Giuseppe Bernardi, e a Venezia, dove frequentò i corsi di nudo all'Accademia ed ebbe un primo incontro con l'antico grazie alla vasta collezione di calchi in gesso dell'abate Filippo Farselli.
Le sue prime opere come Dedalo e Icaro (1777-1779), denunciano anche i legami con la scultura barocca, forse avvicinata in copia presso la collezione dell'abate veneziano.
L'incontro con l'antico si approfondì a partire dal 1779, quando Canova si trasferì a Roma, entrando presto in rapporto con gli artisti veneti là dimorati (tra gli altri, gli architetti Giovanni Antonio Selva e Giacomo Qarenghi) e con esponenti di punta della cultura neoclassica.
Ne derivò una più precisa riflessione sulla classicità evidente nel gruppo Teseo e il Minotauro del 1781-1783. Nell'eroe greco, rappresentato seduto sul mostro che ha appena ucciso, e simboleggia la vittoria della ragione sulla bestialità sulle forze dell'irrazionalità.
Il corpo semidivino è perfetto, rispondente in tutto e per tutto agli ideali che erano stati espressi da Winckelmann. Sul volto, chiaramente modellato sulla statuaria, non trapela la furia della lotta ma solo la tranquillità, non priva di fierezza, di chi ha ottenuto una difficile ma inevitabile vittoria.
Canova, aveva scelto la via dell'arte come valore autonomo, come supremo equilibrio di bellezza e di proporzione, come unico ideale da difendere contro ogni tentativo di ingerenza, in particolare in un periodo storico così tumultuoso.
Tumblr media
Antonio Canova, Monumento funerario di Clemente XIII, 1787-1792. Marmo, 820x630x254 cm. Roma, Basilica di San Pietro.
Tumblr media
Antonio Canova, Monumento funerario di Clemente XIV, 1783-1787, Marmo, 740x590x295 cm. Roma, Basilica dei Santi Apostoli.
I monumenti papali:
la morte come sonno
Ormai affermatosi nell'ambiente romano, Canova ricevette importanti commissioni, a partire da quella, nel 1783 per la Tomba di Clemente XIV per la Chiesa dei Santi Apostoli. Il modello, il monumento funebre berniniano è decisamente superato, perché all'animazione barocca si sostituisce una partizione rigorosa degli elementi e perché sono eslcusi gli effetti pittoreschi e il tumulto dei panneggi.
Ancora più impegnativa è la successiva commissione per il Mutamento a Clemente XIII in San Pietro (1787-1792) per il quale Canova approfondisce il tema tipicamente neoclassico della morte come sonno sulla base di una grandiosità e di una "calma" che caratterizzano ogni elemento dell'opera: il papa inginocchiato in preghiera, la figura della Fede l'adolescente con la torcia rovesciata. Una certa severità nel monumento, convive con la leggerezza che si esprime nel languore dell'adolescente incaricato di rappresentare la morte, sorella del sonno.
Soavità e leggerezza costituiscono infatti un altro polo della poetica canoviana, come nel gruppo di Amore e Psiche, del 1788-1793 dove i due amanti si abbracciano secondo un'insistita ricerca di contrappunti armonici, morbidi e privi di tensioni.
0 notes
pangeanews · 5 years
Text
Patriota, indologo, avventuriero: la storia (rimossa) di Francesco Lorenzo Pullè e del suo “Museo Indiano”. Che è risorto a Bologna
Chi si sognerebbe, oggi, dopo un intenso viaggio nel sudest asiatico, di creare, con gli oggetti rastrellati sul posto, una mostra all’università? Un nostalgico, o un originale, nel peggiore dei casi, uno un po’ suonato, dall’animo globetrotter. Tutt’al più, al rientro dal viaggio, lo strambo viaggiatore scriverebbe un bel reportage, mostrerebbe i selfie agli amici, farebbe girare (brevi o eterni) filmati tramite whatsapp. Perché in fin dei conti, la sabbia finissima e i pregiati fossili, i cocci di un’anfora decorata, il Buddha decollato che (forse anche noi) siamo riusciti a rubare e ad infilare nel sottofondo della valigia, al ritorno a casa, li mettiamo in camera, in bella vista (ma solo per i più intimi), sotto il sacro fuoco dell’abat-jour. Meglio non correre guai.
Perciò, quando sento l’amico, lo storico bolognese, Luca Villa parlarmi di Francesco Lorenzo Pullè, e del suo Museo Indiano a Bologna, mi sembrano passati secoli, anzi un’eternità. Per intenderci, il nobile Francesco Lorenzo Pullè, a sessantacinque anni compiuti, si arruolò volontario allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale e partì soldato semplice per il fronte del Podgora, per poi congedarsi con il grado di tenente colonnello. Il suo diario di guerra – che è stato recuperato dalla nipote Lina, che in passato si laureò in storia contemporanea con una tesi a riguardo – inedito. Francesco Lorenzo non era primogenito, ma il terzo dei nove figli di Carlo Augusto Dionigi e di Virginia Ricci ed era nato a Modena, il 17 maggio 1850. Il padre, fervente ufficiale delle guardie del duca Francesco IV, dalle idee risorgimentali, veniva dall’antica nobiltà originaria delle Fiandre belghe, dalla quale il giovane Francesco Lorenzo prendeva il titolo di conte di San Florian. Tornato dal fronte, il conte studia a Firenze e si appassiona al sanscrito – suo maestro è l’indianista Angelo De Gubernatis – tanto da pubblicare una Piccola crestomazia sanscrita. Quindi non le solite lingue classiche.
La sua carriera è votata all’orientalistica e alla glottologia, tanto che fonda, nel 1890, all’Università di Pisa, il primo Istituto di glottologia d’Europa. Fondatore e promotore della scuola indianistica bolognese, forma valenti sanscritisti della levatura di Ambrogio Ballini e Luigi Suali. A sue spese fa stampare a Firenze la rivista Studi italiani di filologia indo-iranica. Non certo tutti potevano permettersi il lusso dello studio e dei viaggi esotici, quindi, si dedica anche alle classi sociali meno abbienti e vede nell’istruzione un mezzo di elevazione del popolo e di unione della nazione, lui animato da profondo patriottismo. In tale prospettiva, da una parte, si dà da fare come membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione tra il 1902 e il 1913, dall’altra, patrocina la fondazione e la diffusione delle università popolari, prima fra tutte quella di Bologna intitolata a Giuseppe Garibaldi, che inaugura l’11 febbraio 1901.
Ammiratore di Carlo Cattaneo, discepolo e corrispondente del Graziadio Isaia Ascoli – per capirci, lo studioso celebre per aver polemizzato col Manzoni nella questione della lingua – da socialista radicale, qual era nei primi tempi, diventa acceso fascista. Sempre interventista, persino alla tenera età di sessantacinque anni, quando si imbarca come volontario, insieme ai suoi due figli, uno tenente, l’altra crocerossina. Aristocratico, animato da un patriottismo risorgimentale anche dopo il Risorgimento, la grande eredità del conte Pullè si trova (quasi) tutta a Bologna, dove da poco è stata inaugurata una piccola mostra, I volti del Buddha. Dal perduto Museo Indiano di Bologna, al Museo Civico Medievale, visitabile fino al prossimo 28 aprile. Al secondo piano del Palazzo dell’Archiginnasio, sede oggi di alcuni degli uffici dell’omonima biblioteca, dal 1907 al 1935, il conte Pullè aveva infatti aperto il suo Museo di Indologia. Una storia affascinante e senza tempo. Chi oggi, al ritorno da un viaggio di studio tra Vietnam, Sri Lanka e India farebbe come aveva fatto Pullè tra il 1902 e il 1903? Chi si sognerebbe oggi di aprirne un museo? A parte le pastoie burocratiche, la storia di Pullè mi sembra un luminoso esempio della rovina dei nostri tempi.
*
Francesco Lorenzo Pullè, Conte di San Florian (1850-1934)
A Bologna incontro Luca Villa, curatore della mostra I volti del Buddha, che mi apre le porte dell’esposizione e mi racconta un po’ della storia del Museo Indiano. Ma come gli è venuto in mente di fare una mostra indiana? “L’idea di creare un museo indiano era già stata messa in pratica dal maestro di Pullè nello studio del sanscrito, Angelo De Gubernatis. Anche lui, infatti, dopo un lungo viaggio in India, aveva avuto modo di organizzare il Museo Indiano di Firenze, primo esempio di museo tematico di tal genere, il cui patrimonio dopo pochi anni entrò a far parte della collezione del Museo di Antropologia ed Etnologia della stessa città, dove già era depositata una raccolta di materiali di provenienza indiana appartenuta all’antropologo Paolo Mantegazza, fondatore di quel museo e all’epoca animatore degli studi antropologici in Italia, che, nella sua rivista, ospitò peraltro nel 1897 una Memoria di Pullè, il Profilo antropologico dell’Italia, premiata dalla Società Italiana d’Antropologia ed Etnologia, da cui era stato indetto un concorso per la stesura di una carta etnografica nazionale. La storia dell’interesse riguardo all’India nato a Firenze nella seconda parte dell’Ottocento, ben raccontata in un volume della studiosa portoghese Filipa Lowndes Vicente, vede citato Pullè fin dalla prima esposizione di materiali indiani organizzata in Italia in ambito orientalistico, sempre da De Gubernatis, nel 1878, ancor prima che fosse aperto il suo Museo. La città toscana ospitò infatti quell’anno l’edizione del Congresso Internazionale degli Orientalisti, durante la quale furono messi in mostra reperti archeologici e calchi in gesso di analoghi materiali provenienti principalmente da scavi effettuati da W. G. Leitner nell’attuale Pakistan, tramite i quali erano stati recuperati alcuni rilevanti nuclei di reperti relativi all’arte buddhista del Gandhāra. L’attenzione di Pullè per documentare la fioritura e la diffusione del buddhismo in Asia è dimostrata, nella collezione del Museo Indiano di Bologna, grazie alla cospicua raccolta di fotografie, molte delle quali erano esposte nella stanza dedicata all’Arte e Scultura di cui conosciamo l’esistenza oggi grazie alla pianta del Museo ritrovata soltanto nel 2016. Tra le oltre 700 fotografie una significativa raccolta di immagini di reperti archeologici del Gandhāra, oggi visibili anche online grazie al lavoro che abbiamo svolto lo scorso anno insieme alla collega Marta Magrinelli per il progetto Città degli Archivi promosso dalla Fondazione Del Monte (qui il link). Nella stessa stanza era anche esposto un frammento architettonico proveniente dal complesso buddhista di Sanchi, nell’India centrale (I sec d. C.), presente tra i materiali che ho selezionato per l’allestimento della mostra I volti del Buddha, così come un calco in gesso raffigurante il Buddha storico Śākyamuni, descritto nelle pagine di un breve romanzo di Riccardo Bacchelli del 1911, che era stato portato in Italia da Pullè da Lahore, al pari del nucleo fotografico legato all’archeologia del  Gandhāra, e che è stato restaurato in occasione dell’esposizione in corso al Museo Civico Medievale grazie ai laboratori dell’Accademia delle Belle Arti di Bologna. In riferimento all’archeologia, infatti, bisogna ricordare che Francesco Pullè era stato nominato presidente del comitato italiano dell’Indian Exploration Fund pochi anni prima del suo viaggio in Asia, quando ancora appariva possibile collaborare con le autorità britanniche in India al recupero di materiali archeologici, obiettivo frustrato dall’evolversi delle politiche coloniali inglesi in ambito culturale. Un paio di lettere di Pullè riferite al comitato italiano dell’Indian Exploration Fund conservate tra i carteggi di Graziadio Ascoli, dimostrano comunque che in Italia lo studioso di sanscrito non aveva trovato interesse a impegnarsi nel far prosperare l’iniziativa, né da parte dei colleghi orientalisti, né tantomeno fra gli archeologi italiani”.
*
In mostra cosa troviamo? “La raccolta di Francesco Lorenzo Pullè, composta da oggetti, fotografie e manoscritti acquistati in Vietnam, Sri Lanka e India tra il 1902 e il 1903, rappresenta il nucleo fondativo del Museo Indiano, che al suo interno aveva in effetti anche una stanza riservata alla conservazione dei manoscritti e dei testi a stampa, oggi entrati in larga parte nel patrimonio della Biblioteca dell’Archiginnasio. Una prima esposizione di parte della raccolta fu organizzata nel 1904, quando il Ministero della Pubblica Istruzione, ormai concluso l’acquisto della collezione, che sarebbe poi stata ripartita tra Comune e Università di Bologna. All’epoca della chiusura del Museo Indiano, intorno al 1935, tuttavia, una cospicua parte della raccolta di oggetti ritorno alla famiglia Pullè e, tramite il lascito del figlio Giorgio, è ora conservata presso il Museo di Antropologia dell’Università di Padova. L’intera collezione di oggetti e fotografie acquisita durante il viaggio nel continente asiatico da Francesco Pullè, prevalentemente composta da manufatti indiani, si contraddistingue per l’interesse mostrato non soltanto nei confronti dell’arte religiosa, ma anche per la scelta di materiali che appartengono all’ambito delle arti applicate, nel tempo scomparsi dalle esposizioni dei grandi musei, benché all’inizio del Novecento trovassero ampio spazio negli stessi contesti. È bene sottolineare, tra l’altro, che fin dal primo anno di attività del Museo Indiano la raccolta originale fu incrementata, grazie all’impegno delle autorità comunali e universitarie. Risale al 1908, infatti, l’acquisizione della significativa collezione di statue raffiguranti divinità del pantheon buddhista cinese, in gran parte esposte anche nella mostra I volti del Buddha, acquistate da un collezionista privato di cui sappiamo oggi soltanto il cognome, Pellegrinelli. Pare dunque evidente che Pullè volesse, nel tempo, far conoscere l’evolversi delle religioni asiatiche in senso storico e geografico, ma i suoi obiettivi erano persino più ambiziosi. Senz’altro entrarono infatti nella collezione permanente del Museo Indiano altre statue provenienti da Cina e Giappone, oltre altri oggetti di uso comune e mobilio, sempre acquisiti in Asia Orientale, che diedero forma compiuta al Museo ben prima della sua chiusura. In un articolo apparso su un quotidiano nel 1926, addirittura, a proposito dei mobili si affermava che provenissero dallo spoglio del Palazzo Imperiale di Pechino, avvenuto in seguito alla cosiddetta rivolta dei Boxer, quando anche un contingente militare italiano fu inviato in Cina. Difficile, se non impossibile, pensare che quanto scritto all’epoca possa essere vero, in ragione delle ricerche compiute in merito, ma di certo, anche grazie agli affidamenti temporanei di oggetti di cui siamo a conoscenza, a cominciare dai materiali di provenienza asiatica lasciati in eredità al Comune di Bologna dal conte Agostino Sieri Pepoli, nel complesso i visitatori del Museo Indiano potevano avere l’opportunità di conoscere gli aspetti peculiari delle forme culturali e artistiche dei principali paesi asiatici. All’epoca non mi risulta che in Italia ci fosse un’istituzione museale simile”.
Insomma, un patrimonio storico e artistico di prim’ordine; ma perché la figura (e l’opera) del conte Pullè non viene adeguatamente celebrata in Italia? “Rispetto al Museo Indiano, è corretto dire che gli allievi di Pullè, alcuni dei quali si rivelarono essere tra i migliori studiosi di lingue indiane in Italia, come Ambrogio Ballini, altri persino tra i più validi interpreti della materia a livello europeo, se non mondiale, penso qui a Luigi Suali, erano già stati avviati all’insegnamento, anche grazie all’impegno del loro comune maestro, e avevano ormai da anni lasciato Bologna, divenuti a loro volta docenti di sanscrito in altre università italiane. La chiusura del Museo pare quindi essere avvenuta in primo luogo a causa dell’assenza di studiosi capaci di rilevare l’eredità del fondatore, deceduto solo un anno prima rispetto alla cessazione dell’attività del Museo Indiano. Certo, il clima politico e culturale, che si viveva in Italia a metà degli anni Trenta, non favorì in alcun modo una soluzione diversa, ma è opportuno osservare che, negli stessi anni in cui nasceva il Museo Indiano, Pullè fu oggetto di aspre polemiche in ambito accademico. Ricevette attacchi da colleghi orientalisti e da linguisti di varie università italiane, per motivi che si è potuto stabilire essere più che discutibili. Sebastiano Timpanaro, capace filologo e critico, ha saputo infatti ricostruire le vicende che contribuirono a escludere Pullè dagli studi etno-linguistici riferiti all’Italia, vista la forte opposizione di alcuni influenti colleghi, messa in atto con mezzi che fecero esprimere parole di netta censura dei loro metodi allo stesso Timpanaro. In ambito orientalistico, poi, l’opposizione a Pullè si servì di mezzi altrettanto spiacevoli, sanzionati perfino da un tribunale dell’epoca, a cui il fondatore del Museo Indiano si rivolse affinché gli fossero indirizzate pubbliche scuse, come in effetti avvenne. Ben conosciuto e assai apprezzato in contesti europei, come testimoniano i molti incarichi di prestigio ricoperti nel contesto delle varie edizioni del Congresso Internazionale degli Orientalisti, Pullè aveva forse ingenerato più di qualche sentimento d’invidia tra  i colleghi italiani, anche in virtù di una tempra piuttosto vivace, grazie alla quale si dimostrò essere un abilissimo organizzatore di iniziative culturali rivolte a un vasto pubblico, oltre al Museo Indiano, a tal proposito va ricordato anche l’impegno in favore della nascita dell’Università Popolare di Bologna, che senza dubbio lo fecero apprezzare assai poco da quei colleghi che erano più concentrati sui loro ottenimenti personali e meno inclini quindi a dedicarsi all’innalzamento culturale degli italiani di quanto non fossero impegnati ad accrescere il loro prestigio e le loro carriere. Anche per queste ragioni ritengo sia importante oggi far rivivere, anche se solo per qualche mese, la memoria di un italiano come Francesco Lorenzo Pullè. Mi auguro che in un prossimo futuro si possa procedere alla catalogazione delle sue corrispondenze, conservate oggi presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. Forse si potrebbe iniziare già dal materiale disponibile, il diario di guerra, in cui si trovano note, non solo sulla vita militare, ma anche sulla sua attività accademica e politica di Pullè, essendo stato nominato da Giolitti senatore del Regno d’Italia nel 1913, oltre a riferimenti all’Università Popolare. La pubblicazione del diario potrebbe significare l’inizio di un nuovo capitolo negli studi sulla storia della cultura italiana del primo Novecento. Se venisse poi accompagnata da ricerche sulle corrispondenze conservate a Firenze, l’opera sarebbe davvero completa”.
Linda Terziroli
*In copertina: Frammento di altorilievo, pietra, Sanchi (India),inizio I sec. d.C. Uno dei reperti visibili a Bologna, presso il Museo Civico Medievale, nell’ambito della mostra “I volti del Buddha”
L'articolo Patriota, indologo, avventuriero: la storia (rimossa) di Francesco Lorenzo Pullè e del suo “Museo Indiano”. Che è risorto a Bologna proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2MIuy7q
0 notes
kultofathena · 1 month
Text
instagram
✨New from Tod Cutler✨
This Italian medieval war hammer is based on a piece from the Venice Museum dated 1380. Housed at The Museo Civico Correr in Venice, Italy. Francesco II da Carrara. The original was a staff weapon at 20cm wide and this has been scaled down to be a hammer. War hammers generally had a faceted hammer for powerful concussive blows and a sharper pointed side which could be used for piercing and puncturing. Based on a piece from Venice Museum and dated 1380 . The head is cast bronze and steel and matched with a bronze end cap and all the components are securely fitted to a stout and robust ash hardwood haft.
In stock and available to order
1 note · View note
kultofathena · 1 month
Text
Tumblr media
✨New from Tod Cutler✨
This Italian medieval war hammer is based on a piece from the Venice Museum dated 1380. Housed at The Museo Civico Correr in Venice, Italy. Francesco II da Carrara. The original was a staff weapon at 20cm wide and this has been scaled down to be a hammer. War hammers generally had a faceted hammer for powerful concussive blows and a sharper pointed side which could be used for piercing and puncturing. Based on a piece from Venice Museum and dated 1380 . The head is cast bronze and steel and matched with a bronze end cap and all the components are securely fitted to a stout and robust ash hardwood haft.
In stock and available to order
0 notes