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#Louis del Gatto
rock--band · 3 months
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Karen Lawrence, Mary Weiss, George Young, Louis del Gatto, Lou Marini, Barry Rogers, Neil Thompson, Paul Harris, John Turi, Reinhard Straub, John Lievano, Drew Arnott, Ian Putz, Henry Christian, Scott Fairbairn, Mike Fraser, Morgan Rael, Jim Vallance, Christine Arnott ......
100+ Rock Band Posters and Canvas Prints
Print Option: ♦ Framed Poster Print ♦ Canvas Print ♦ Metal Print ♦ Acrylic Print ♦ Wood Prints 🌐 Worldwide shipping
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libero-de-mente · 2 years
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CAFALDO
Ho sempre mal sopportato le giornate afose che ci regalava l'anticiclone delle Azzorre. Quei dieci o quindici giorni al massimo nel mese di luglio.
Da qualche anno il caro Azzorrino, carino lui, è stato spodestato malamente dai vari Lucifero, Caronte e Stoccaldo.Ieri sono uscito in giardino con del mais in un contenitore metallico, dopo cinque minuti i pop corn erano pronti.Non oso pensare i coltivatori di mais, me li immagino cantare Battisti che ne sai tu di un campo di pop corn, che scoppietta mentre lo prendi in mano.
Avevo un appuntamento di lavoro a Milano, "mettiti in giacca e cravatta" mi dissero, dannazione... appuntamento all'Hotel Armani, passando per la Via Monte Napoleone a piedi con l'abito in tiro sono entrato nei seguenti negozi: Bulgari, Louis Vuitton, Moncler, Dolce & Gabbana, Gucci, Prada e Valentino.Come entravo la solita domanda: "Buongiorno signore e benvenuto, in cosa posso servirla?"; le mie risposte uguali: "Guardi in realtà mi servono due o tre boccate di aria condizionata".
Devo dire che ho trovato delle commesse molto comprensive, mi sorridevano tutte. Credo che qualcuna si sia anche messa a ridere nascondendosi dietro una mano. Ho avuto anche sguardi di comprensione, o forse compassione, da parte degli energumeni che stanno in abito completo sulla porta, come sicurezza.
Fa talmente caldo che sto rivalutando gli odiati centri commerciali, tutto d'un tratto diventano un'oasi. Un concentrato di aria condizionata e gnagna. Incredibile.
Il caldo afoso africano è il più grande eccitante seduttore, mai nessuno come lui ci fa bagnare. Gli anticicloni africani potrebbero chiamarli Rodolfo Valentino, Cleopatra o Casanova a questo punto anziché con nomi infernali.Vedo gente che gioisce di questo caldo, devo ricredermi sulla teoria dei rettiliani. Solo se sono lucertole possono gioire. Siete dei serpenti sappiatelo.Sogno, con questo caldo, di essere intervistato da un inviato di Studio Aperto quando "scendo i cani", già mi immagino il botta e risposta:
- Signore, ma porta i cani fuori? - Eh si. - Ma con questo caldo? - Si, li scendo e li piscio lo stesso. Perché?
Chiusura servizio in diretta frettoloso con sigla finale del TG.
Ho deciso che riscriverò, rivisitandole e aggiornandole, la fiabe per i bambini. Adeguandole al clima che viviamo. Devono comprendere fin da piccoli cosa li aspetterà da grandi.Quindi spazio a:
- La principessa sul ghiacciolo - Cenerantola (quando non respiri per l'afa) - Cappuccetto Cotto - Biancaneve sciolta in sette vasi - Il Gatto con gli infradito - Polliclinico (storia di un bambino ricoverato per una botta di caldo) - La bella rinfrescata nel bosco - Hitachi & Daikin nella casa di marzapane - Le ancelle sudate della regina - La piccola fiammiferaia ha preso fuoco (storia di un'autocombustione) - Climastronzolo - La regina della neve artificiale - Il ventilatore magico - Il piccolo principe disidratato
Alcuni dicono “muoio dal caldo”, poi come sempre deludono le aspettative e non muoiono mai.
Nel frattempo che tornino temperature gradevoli mi trasferisco a vivere nel frigorifero. Addio.
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personal-reporter · 1 year
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Charles Perrault, favolista del Re Sole
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Lo scrittore che cambiò per sempre il mondo della fiaba… Charles Perrault nacque a Parigi il 12 gennaio 1628, in una famiglia dell'alta borghesia francese. Suo padre, Pierre Perrault, era avvocato al parlamento di Parigi, e sua madre era  Paquette Le Clerc, mentre suo fratello, il noto architetto Claude,  fu l’ideatore della facciata del lato est del Louvre. Il piccolo Charles fu  destinato da subito ad una carriera illustre, infatti studiò legge, prima di intraprendere una carriera al servizio del governo, oltre a prendere parte alla creazione dell'Accademia delle Scienze, nonché al restauro dell'Accademia di Pittura. Nel 1654 si trasferì a Parigi, dove fu coinvolto nella diatriba fra antichi e moderni, nella quale si affrontavano, tra articoli e saggi, i sostenitore dell'una o dell'altra categoria letteraria, i primi ad avvalorare gli antichi e la letteratura di Luigi XIV, i secondi seguaci del nuovo e del moderno. È una riflessione teorica che occuperà gran parte dei lavori dello scrittore, fino alla pubblicazione di una serie di opere molto importanti per la storia della cultura francese, come il manifesto Le Siècle de Louis le Grand del 1687, e il Confronto fra antichi e moderni, edito dal 1688 al 1692, nel quale puntava il dito contro l'avversario Boileau e il suo classicismo. Ad ogni modo, quando l' Accademia delle Iscrizioni e Belles-Lettres viene fondata, nel 1663, ne fece parte Charles Perrault, il quale ebbe la carica di segretario, grazie al suo capo Jean Baptiste Colbert, ministro delle finanze di Luigi XIV . In quel periodo lo scrittore conobbe Gian Lorenzo Bernini, che era l’autore di alcuni disegni preparatori del Louvre. Nel 1668 Perrault portò a termine il saggio La pittura, in onore del primo pittore scelto dal Re, Charles Le Brun e nel 1672 sposò Marie Guichon, allora diciannovenne, che morì nel 1678. Durante i lavori dei giardini di Versailles nel 1669,  Perrault suggerì a Luigi XIV di realizzare 39 fontane ognuna dei quali raffiguranti una delle favole di Esopo, all'interno di un labirinto. Il lavoro viene ultimato nel 1677 e vede, alla fine, anche numerosi getti d'acqua zampillanti dalle bocche delle creature rappresentate, mentre la guida del labirinto fu opera di Perrault, con le illustrazioni di Sébastien Le Clerc. La prima stesura degli otto racconti fondamentali nell'opera di Perrault arrivò nel 1697, firmata dal figlio Perrault d'Armancourt, luogotenente militare. Quando Perrault la scrisse ha quasi settant'anni, con il titolo di Racconti e storie del passato con una morale e un sottotitolo diventato poi leggendario, I racconti di mamma l'oca. La pubblicazione fu fatta a nome del suo terzo figlio perché all'epoca questi era in carcere, a causa di una rissa nella quale è rimasto coinvolto in prima persona, in modo da salvargli la reputazione, ma non ci furono dubbi sulla paternità dell'opera, troppo evoluta dal punto di vista letterario e stilisticamente inequivocabile. Con questa raccolta nacque la fiaba moderna e il nome di Charles Perrault fu  famoso anche al di fuori dei circoli letterari e artistici. Molte delle storie erano trascrizioni popolari, ma l'autore francese non rinunciò ad inserirvi proprie personali intuizioni creative, come il Castello di Ussé de La bella addormentata e Il gatto con gli stivali, fino alle scarpette di cristallo della celebre Cenerentola. Charles Perrault morì a Parigi il 16 maggio 1703, a 75 anni. Read the full article
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lamilanomagazine · 2 years
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Calabria, torna la rassegna itinerante “Women, Jazz & Wine”
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Calabria, torna la rassegna itinerante “Women, Jazz & Wine”   Torna, da mercoledì 7 a venerdì 9 settembre, “Women, Jazz & Wine”, evento nato da un’idea di Sergio Gimigliano (direttore artistico del Peperoncino Jazz Festival, rassegna itinerante nelle più belle località calabresi che quest’anno, alla sua XXI edizione, con i suoi 55 concerti in cartellone, farà tappa complessivamente in 30 comuni della regione) e Demetrio Stancati (presidente del Consorzio Terre di Cosenza DOP, istituito alcuni anni fa per la tutela, valorizzazione e promozione dei vini DOP del Cosentino), che dallo scorso 28 agosto sta portando jazzofili ed enofili calabresi, ma anche tanti turisti in vacanza in Calabria amanti della buona musica e dell’enogastronomia di qualità alla scoperta delle più belle cantine (delle aziende, dei produttori, delle vigne e, ovviamente, dei vini) del Cosentino. Dopo le riuscitissime esibizioni di Sarah Jane Olog presso la Cantina Le Conche e di Elisa Brown presso la cantina Terre di Balbia, l’appuntamento con le meravigliose voci delle signore del jazz selezionate dal PJF che si esibiscono nelle più belle cantine del Cosentino aderenti al Consorzio Terre di Cosenza DOP all’ora del tramonto vivrà, dunque, una intensissima sessione di tre giorni consecutivi che inizierà domani (mercoledì 7 settembre) ad Altomonte nella magnifica cornice architettonica del Castello di Serragiumenta (dove dal 2004, per la grande passione per il vino dei proprietari, supportati da un enologo e produttore dell’Etna, si coltivano vigneti autoctoni che riflettono la varietà del territorio e lo raccontano). L’evento inizierà alle ore 17 con la visita alla cantina, proseguirà con il trekking tra le vigne e con la degustazione dei vini del consorzio in abbinamento ai prodotti tipici del territorio (salumi, formaggi, prodotti da forno, conserve sott’olio, confetture ecc.), per finire con l’esibizione, in programma alle ore 19, ad entusiasmare e coinvolgere il pubblico, in un pomeriggio che sarà all’insegna del gospel, del soul, del blues e del jazz, sarà la sublime voce di Joyce Elaine Yuille, artista di New York le cui doti vocali sono in grado di colpire anche lo spettatore più raffinato, ma allo stesso tempo comunicano a tutto il pubblico la grande energia e passionalità di questa cantante. Joyce ha lavorato con Randy Crawford, Ron, Laura Pausini, Elio e Le Storie Tese, Ronan Keating e molti altri ed è stata sullo stesso palco come corista di Renato Zero, Umberto Tozzi, Enrico Ruggeri e I Pooh, ma anche delle Sister Sledge e di Dee Dee Bridgewater. Nel 2004 inizia la sua collaborazione come corista nelle tournée di Gloria Gaynor, nella quale ha un ruolo fisso e si esibisce anche come corista di Donna Summer. Per l’occasione, la portentosa vocalist si esibirà insieme agli Hammond Groovers, trio composto da Antonio Caps all’organo Hammond (allievo di Joey De Francesco e considerato uno dei più versatili e virtuosi hammondisti d’Europa, già applaudito al fianco di Joe Magnarelli, Jerry Weldon, Greg Hutchinson), Daniele Cordisco alla chitarra (vincitore del premio Massimo Urbani e sicuramente uno dei chitarristi più interessanti degli ultimi anni sulla scena italiana, vanta in curriculum collaborazioni con artisti internazionali del calibro di: Ron Carter, Jeff Young, Fabrizio Bosso, Danilo Rea, Max Ionata, Gary Smulyan, Godwin Louis, Gege’ Munari, Giorgio e Dario Rosciglione, Jimmy LaRocca, i fratelli Deidda, Gregory Hutchinson, Sarah McKenzie, Ronnie Cuber, Roberto Gatto, Donna McElroy, Roy Hargrove, Esperanza Spalding, Denise King, Stjepko Gut ecc.) ed Elio Coppola alla batteria, (Joey De Francesco, Benny Golson e Peter Bernstein). Giovedì 8 settembre, poi, le piccanti note del Peperoncino Jazz Festival si caratterizzeranno nel segno di “Women, Jazz & Wine” in occasione della quarta tappa dell’evento realizzato in joint-venture con il Consorzio Terre di Cosenza, in programma a Bisignano nella splendida Cantina Serracavallo (azienda agricola che si estende per 55 ettari, di cui 30 di vigneto e 10 di uliveto) laddove salirà sul palco la carismatica cantante romana Nicky Nicolai (vincitrice, tra l’altro, del Festival di Sanremo nel 2005), che accompagnata dal DEA Trio e con ospite il fortissimo sassofonista Stefano Di Battista (considerato uno dei migliori jazzisti del panorama europeo) sarà protagonista in un concerto raffinato, accattivante, dalle atmosfere vagamente retrò e cinematografiche. Per il gran finale, in programma venerdì 9 settembre, invece, a Castrovillari, nel suggestivo scenario delle Tenute Ferrocinto (antica dimora circondata da 120 ettari di uliveti e vigneti coltivati prevalentemente con vitigni autoctoni calabresi) sarà di scena una delle cantanti più ricercate della musica nera: Martha High, definita “la Diva del Soul-Funk planetario” per la sua voce potente, raffinata e avvolgente, artista che per oltre 30 anni è stata al fianco del leggendario James Brown, insieme al quale si è esibita, tra gli altri, con Little Richard, Jerry Lee Lewis, The Temptations, Aretha Franklin, George Clinton, B.B. King, Mary J. Blige, Maceo Parker, Stevie Wonder e Police. Per ulteriori informazioni VISITA IL SITO.... Read the full article
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giallofever2 · 5 years
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ilm Storici di Producione Italiana e Internazionale)
«Mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia sia o non sia la più elevata forma d'intelligenza, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non derivi da una malattia del pensiero, da umori esaltati della mente a spese dell'intelletto generale.»
(da Eleonora, 1841)
Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 – Baltimora, 7 ottobre 1849) è stato uno scrittore, poeta, critico letterario, giornalista, editore e saggista statunitense.
Considerato uno dei più grandi e influenti scrittori statunitensi della storia, Poe è stato l'iniziatore del racconto poliziesco, della letteratura dell'orrore e del giallo psicologico.
Poe è considerato il primo scrittore alienato d'America, avendo dovuto lottare per buona parte della vita con problemi finanziari, l'abuso di alcolici e sostanze stupefacenti e con l'incomprensione del pubblico e della critica dell'epoca.
🇬🇧 "They called me crazy; but no one has yet been able to establish whether madness is or is not the highest form of intelligence, if most of what is glorious, if all that is profound does not derive from a sickness of thought, from exalted moods of the mind at the expense of the general intellect. "
(From Eleonora" short story 1842)
🇬🇧 Edgar Allan Poe (born Edgar Poe; January 19, 1809 – October 7, 1849) was an American writer, editor, and literary critic.
Poe is best known for his poetry and short stories, particularly his tales of mystery and the macabre. He is widely regarded as a central figure of Romanticism in the United States and of American literature as a whole, and he was one of the country's earliest practitioners of the short story. He is generally considered the inventor of the detective fiction genre and is further credited with contributing to the emerging genre of science fiction.
He was the first well-known American writer to earn a living through writing alone, resulting in a financially difficult life and career.
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hellovadimme · 3 years
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Лондонская Национальная галерея
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ao3feed-larry · 3 years
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Just a flicker in the dark/ Italian translation
by Defenxles
Harry Styles è il suo partner per il caso. Alto e possente, fastidiosamente compiaciuto Harry Styles che lo conosce da anni e lo ha visto nudo per l’amor del cielo.
Guarda Venere che lo sta fissando sbattendo le palpebre con occhi curiosi, percependo senza dubbio l’agitazione che scintilla nella sua magia.
“Non sta succedendo,” dice Louis ad alta voce. “Questo non sta succedendo,cazzo. Ucciderò Liam,oh mio Dio”. Non sa nemmeno se Liam sia responsabile di questo,ma sembra essere qualcosa che farebbe per far andare Louis assolutamente fuori di testa- Gli ex non si presentano nella casa stregata a te assegnata dal nulla. “Porca puttana!”
Quasi salta quando Harry bussa di nuovo,la sua voce ovattata che passa attraverso il legno. “Posso sentirti,sai” dice lentamente,suonando fastidiosamente divertito.
Louis espira,resistendo all’impulso Di urlare.
Oppure,Louis è una strega in difficoltà che cerca disperatamente di provare se stesso dopo l’ennesimo disastro magico e trova una chiamata nella casa infestata del cliente Niall Horan. Le cose si fanno più complicate quando gli assegnano un partner: acclamato medium ed ex fidanzato Harry Styles.
Words: 3, Chapters: 1/?, Language: Italiano
Fandoms: One Direction (Band)
Rating: Not Rated
Warnings: No Archive Warnings Apply
Categories: M/M
Characters: Louis Tomlinson, Harry Styles, Liam Payne, Zayn Malik, Niall Horan, Gigi Hadid, Original Characters, venus il gatto
Relationships: Harry Styles/Louis Tomlinson, Gigi Hadid/Zayn Malik
Additional Tags: Alternate Universe - Supernatural Elements, Alternate Universe - Ghost Hunters, Ghost Hunters, Paranormal Investigators, Exes to Lovers, Enemies to Lovers, Magic, Witchcraft, Witch Louis, Medium Harry, Familiars, Demons, Not Meant to be Scary, Mystery, Protective Harry, Explicit Sexual Content, Dom/sub Undertones, Sir Kink, (mild), Top Harry, Bottom Louis, Plot focused
via AO3 works tagged 'Harry Styles/Louis Tomlinson' https://ift.tt/3v2JP7S
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magicnightfall · 5 years
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(IF YOU WANNA BE MY) LOVER
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you gotta get with my friends. Si può dire, per restare in tema spicegirlsiano, che questi amici siano i precedenti sei album di Taylor Swift: Taylor Swift (duh), Fearless, Speak Now, Red, 1989 e reputation. C’è, infatti, una differenza fondamentale tra quelli e Lover, il suo ultimo lavoro, che non riguarda né il genere, né la poetica: Lover è il primo disco pubblicato con la nuova etichetta, la Republic Records, e non con quella storica che era la Big Machine Records. Invero, il trasloco ad altra casa discografica non è stato propriamente un fulmine a ciel sereno, perché si sapeva da un po’ che il suo contratto era in scadenza, e non c'erano voci di un rinnovo. Ciò che, tuttavia, ha creato un vero e proprio terremoto - tanto nei fan quanto nell’industria musicale stessa - è stato il motivo sotteso a questa rivoluzione: il fatto che, all’avvicendarsi di un nuovo consiglio di amministrazione nella Big Machine dopo l'alienazione della stessa, abbia fatto seguito il categorico rifiuto di vendere a Taylor i master delle canzoni prodotte e distribuite sotto l’egida di detta casa discografica fino a quel momento, ovvero fino a reputation. A onor del vero, le era stato proposto di “riguadagnarseli” uno a uno: un vecchio album per ogni nuovo, una clausola che più che vessatoria era semplicemente ricattatoria. Ora, per quanto i diritti di autore - morali e, in parte, economici - siano comunque riconosciuti, in questo modo Taylor ha perso (ed è evidente che non l’abbia mai avuto) il pieno controllo della sua produzione musicale. In quanto di proprietà di altri, infatti, non può opporsi all’utilizzo che quegli stessi decidano di farne: se ridistribuirla e come, se utilizzarla e come (film, pubblicità…). Lover, d’altro canto, costituisce un vero e proprio spartiacque tra il passato e presente, in quanto si tratta del primo album che Taylor possiede davvero. In effetti, la questione dell’avere piena disponibilità del proprio lavoro artistico è diventato in breve il pièce de résistance del suo pensiero nel contesto del business musicale: non c’è intervista, dopo che la cosa è diventata di pubblico dominio, in cui non ne abbia fatta menzione, e nella live-chat per il rilascio del video di Lover è stato il primo consiglio che ha dato rispondendo alla domanda su cosa consigliasse a chi volesse intraprendere la carriera di cantautore: “Cerca di fare del tuo meglio per avere la proprietà del tuo lavoro”. Come già per le note questioni Spotify e Apple Music (di cui potete leggere qui) Taylor si trova a fare da apripista per una conversazione più ampia, che non riguarda solo lei stessa, ma tutti gli artisti in generale. In questo senso è un po’ come il Titanic: è necessario che contro l’iceberg si schianti qualcuno o qualcosa di molto grosso e di molto rilevante, perché poi ci si adoperi per cambiare le cose. Così, se è stato proprio il naufragio del Titanic ad avviare il processo di riforma della legislazione marittima, rendendola più rispondente alle esigenze emerse l’indomani del disastro (per farvela molto breve: scialuppe in numero sufficiente per tutte le persone a bordo, operatori radiotelegrafici in servizio giorno e notte, generatori ausiliari di corrente, scafi rinforzati, riduzione della velocità in presenza di ghiaccio), così Taylor si appresta a rivoluzionare (di nuovo) l'industria discografica. Questo perché la gattara ha sempre dimostrato di riuscire a stare a galla con più di quattro compartimenti invasi dall’acqua, e siccome è sempre la prima a sbatterci il muso e non è mai tipa da lasciar correre, e vista e sperimentata la sua influenza, sono sicura che nel prossimo futuro si assisterà a una qualche inversione di tendenza. O perlomeno, il che è comunque auspicabile, i giovani artisti si affacceranno in questo mondo con una maggiore consapevolezza di quello che li aspetta, e forse sapranno anche tutelarsi. Fatta questa dovuta premessa, Lover. È un bell’album. Un gran bell’album. Anche se non sono ancora sicura se sia allo stesso livello di 1989, che per me è il non plus ultra a livello spirituale, ecumenico e grammaticale, di sicuro si colloca sul podio. È un album sull’amore e tutte le sue sfaccettature - positive, negative, finanche spaventose - e il fatto che una persona quale yours truly, che non è mai stata innamorata di niente e di nessuno se non di Floppy, il suo gatto (e, ochèi, di John Krasinski), lo piazzi così tanto in alto nella sua classifica personale, è piuttosto eloquente di come, tredici anni di carriera e sette dischi dopo, Taylor Swift ci sappia ancora fare. *** Com’è ormai tradizione all’uscita di ogni nuovo album, in questo papiro oscenamente lungo proporrò la mia analisi dei brani di Lover. Devo dire che, rispetto agli altri di cui ho scritto (Red, 1989 e reputation) ho avuto parecchia difficoltà a fare mente locale e a ragionarci sopra. È vero che questo disco arriva in un momento, per me, psicologicamente davvero sfibrante, ma non è solo questo: il fatto è che, dietro al pop energico, accattivante e orecchiabile, Taylor ha saputo nascondere una complessità - umana e artistica - che ho faticato a mettere per iscritto. Mai come con quest’album ho pensato, infatti, che la musica di Taylor vada lasciata fluttuare nell’etere senza doverla per forza ancorare a qualcosa, qualsiasi cosa, che sia un’analisi, un ragionamento, un goffo tentativo di sviscerarla. Anche in questo senso il divario tra Lover e il suo immediato predecessore, reputation, non potrebbe allora essere più marcato: non solo per le atmosfere calde, rassicuranti e (per lo più) felici dell’uno rispetto a quelle cupe, elettriche, a tratti nervose dell’altro, ma anche e soprattutto perché reputation era una vera e propria presa di posizione, i cui retroscena non potevano non essere districati. Ora, pur essendo senz’altro vero quanto sopra, io nella vita solo due cose so fare: lamentarmi di aver fatto giurisprudenza, e scrivere di Taylor Swift. Quindi, cari amici vicini e lontani, ecco a voi il Tomone 4.0.™. P.S. Riproporrò in questa sede la conta alcolica, che è stata molto apprezzata nel tomone su reputation, anche perché qualcuno dovrà pur farsi carico della evidente tendenza di Taylor all’etilismo. Io, nel dubbio, metto il SerT tra le chiamate rapide. LADIES AND GENTLEMEN, WILL YOU PLEASE STAND? I Forgot That You Existed [Taylor Swift, Louis Bell, Adam Feeney] La traccia di apertura dell’album pare, almeno di primo acchito, fuori posto: per il tema trattato, infatti, sarebbe sembrata più idonea una sua collocazione in reputation, a chiusura del cerchio. L’interpretazione che io avevo dato di quel disco, infatti, è quella di un percorso organico di crescita in cui si parte dall’affrontare di petto il problema (un vero e proprio invito a farsi sotto, dicevo nel commento a I Did Something Bad) e si arriva al momento in cui ci si rende conto che di certe cose è necessario farsi una ragione e passare oltre (This Is Why We Can’t Have Nice Things), tant’è che, chiosavo, “TS6 indugia molto di più sulla rinascita che sulla rivincita”. Se ci si sofferma appena un po’ di più, tuttavia, si comprende come, invece, abbia senso che si trovi in TS7: innanzitutto, serve del tempo per arrivare a provare quell’indifferenza celebrata nella canzone, serve del tempo per riuscire a vedere le cose dalla giusta prospettiva e con il giusto distacco. Tematicamente sì, questo brano avrebbe avuto senso in reputation, ma forse sarebbe stato un po’ prematuro: avrebbe avuto più il sapore di un “pio desiderio” (in quanto le ferite erano ancora aperte) che di una vera e propria realizzazione di quanto predicato e, proprio per questo, l’affermazione di imperturbabilità sarebbe risultata meno credibile. Inoltre, se del caso, avrebbe potuto trovarsi in reputation soltanto se accompagnata da una produzione ben più corposa: così presentato, infatti, il brano è orecchiabile senza dubbio, ma in qualche misura piuttosto basilare, senza guizzi o trovate brillanti (e anche come durata - nemmeno tre minuti - è piuttosto sottotono). Ma, e questo è il nodo della questione, è giusto così. Anzi, non potrebbe (né dovrebbe) essere altrimenti: è la dimostrazione concreta che quell’indifferenza sia stata raggiunta sul serio. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “Sent me a clear message / Taught me some hard lessons / I just forget what they were” Cruel Summer [Taylor Swift, Jack Antonoff, Annie Clark] Chiariamo una cosa, Taylor: non hai diritto alcuno di qualificare un’estate come “crudele” se non l’hai passata sopra i libri a studiare per l’esame di Stato per avvocato. La tua sarà pure “crudele” ma la mia è inumana e probabilmente in contrasto con la CEDU, quindi nella gara a chi ha un'esistenza più misera e barbina vinco io, stacce. Detto ciò, la canzone sarebbe stata un perfetto primo singolo (estivo, a maggior ragione), affatto impegnato e impegnativo ma energico e accattivante, che di sicuro avrebbe destato curiosità dell’album, e mi ha stupito il fatto che non sia stata estratta, lasciando invece l’incombenza a ME!. È piuttosto interessante notare come il brano ricordi per molti aspetti Love Story (“And I snuck in through the garden gate / Every night that summer just to seal my fate” - “So I sneak out to the garden to see you”) con la differenza che se in Love Story la relazione deve restare clandestina (“We keep quiet 'cause we're dead if they knew”), qua invece è vissuta (o almeno questa è l’intenzione) alla luce del sole (“I don't wanna keep secrets just to keep you”). Curiosamente, se ascoltate una di seguito all’altra, Getaway Car e Cruel Summer sembrano operare una transizione senza soluzione di continuità (in questo vi è utile attivare l’opzione “dissolvenza brani” di iTunes), e dove l’una fisiologicamente cala l’altra inizia a crescere, come se fossero, però, la stessa canzone. #AlcoholicCount: 4 (drunk x2, bar x2) #FavLyrics: “Devils roll the dice, angels roll their eyes / And if I bleed, you'll be the last to know” Lover [Taylor Swift] La canzone che dà il titolo all’album fa proprio venir voglia di essere innamorati (ma per fortuna poi passa). Vabbè, dai, cinismo a parte è una canzone dolcissima, e il primissimo ascolto ha avuto su di me l’effetto di farmi vivere la giornata in modo meno scorbutico del solito. Di questo brano mi piace, anzitutto, la presenza massiccia e preponderante del basso in apertura (il suono del basso elettrico è tra quelli che amo di più al mondo, insieme alle fusa di Floppy), che fa venire subito alla mente un ballo tra due sposi: riesco vividamente a vedere la scena, da una parte una piccola orchestra, al centro i due sventurati che ondeggiano come un pupazzo gonfiabile di una concessionaria di auto, e dall’altra parte gli invitati, alcuni commossi, altri che ingurgitano senza ritegno tutte le tartine burro e alici su cui riescono a mettere le mani (ogni riferimento alla sottoscritta all’ultimo matrimonio cui ha partecipato è puramente casuale). Lo stesso bridge ha il gusto di un voto nuziale (e quel “borrowed” e quel “blue” fanno pensare alla tradizione per cui la sposa dovrebbe indossare una cosa prestata e una cosa blu, oltre a una vecchia, una nuova e una regalata). È interessante leggere questa canzone in contrasto con Cornelia Street: se quella, infatti, è pervasa dal dubbio che le cose non durino, questa è permeata di un sano e solido ottimismo, e soprattuto di certezza (“I’ve loved you three summers now, honey, but I want 'em all”). Il verso più interessante, a parer mio, è “And at every table, I'll save you a seat”: Taylor sta affermando che sa che il suo “lover” si presenterà a ogni occasione, cioè non dovrà mai aspettarlo invano. Sono finiti i tempi in cui vi era chi non riusciva nemmeno ad avvertire di non poter partecipare a una festa di compleanno. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “Ladies and gentlemen, will you please stand? / With every guitar string scar on my hand / I take this magnetic force of a man to be my / Lover / My heart's been borrowed and yours has been blue / All's well that ends well to end up with you / Swear to be over-dramatic and true to my / Lover” The Man [Taylor Swift, Joel Little] Nessun preambolo, nessuna preliminare divagazione, la canzone inizia secca in medias res e ci racconta come sarebbe la vita di Taylor (e di qualsiasi altra donna) se avesse una stanghetta in meno sul secondo cromosoma X: se, cioè, fosse nata uomo. Il brano gratta appena la superficie del problema, ma nei suoi tre minuti e dieci offre una interessante panoramica esemplificativa dei due pesi e delle due misure cui la società costringe le donne a sottostare, per cui, a parità di comportamento, quello dell’uomo è ammirevole, quello della donna riprovevole. Oppure, a parità di risultati, quelli dell’uomo sono incontestati, quella della donna sminuiti (se non proprio messi in discussione). Ciò che rende interessante ed efficace il brano è il modo stesso in cui è costruito, cioè da un solo punto di vista, quello ipotetico maschile. Per ogni situazione presentata, e il modo in cui questa viene percepita dagli altri, non si illustra anche quella femminile, che invece è lasciata aleggiare nel sottotesto: sta all’ascoltatore rendersi conto di quale sia la realtà. Così facendo, si favorisce la riflessione (o almeno si spera). Quando, per esempio, dice che se fosse un uomo sarebbe “Come Leo [Di Caprio] a Saint Tropez” (in riferimento alla ben nota tendenza di questi a frequentare per brevi periodi solo ragazze appena ventenni), cioè un gran figo, un playboy, non dice anche che, al contrario, nella stessa posizione una donna sarebbe vista solo come una puttana: non lo dice perché è implicito. È, appunto, auspicabilmente l’ascoltatore che, di fronte al verso “I'd be just like Leo in Saint Tropez” si domanderà: “Ochèi, a parti invertite la cosa come sarebbe vista?”. Perché se è Taylor a doverglielo dire, da una parte gli entrerebbe e dall’altra gli uscirebbe o, peggio ancora, verrebbe percepita soltanto come patetico vittimismo. Se invece (sempre auspicabilmente) ci arrivasse da solo, allora, forse c’è speranza. Questa canzone è, senza dubbio, tra le mie preferite di tutto Lover, e in particolare mi ha colpito il bridge, e la dicotomia che si crea nei versi “And it's all good if you're bad / And it's okay if you're mad” e “They'd paint me out to be bad / So it's okay that I'm mad”, dove quel “mad”, l’essere arrabbiati, è l’uno conseguenza dell’altro, laddove però solo il primo è giustificato, perché sentimento appartenente all’uomo. Mi ha fatto, tra le altre cose, venire in mente ciò che disse Cat Grant a Kara Danvers dopo un inusitato scatto d’ira di quest’ultima (in cui, peraltro, chiedeva soltanto di essere trattata con rispetto) nell’episodio 1x06 di Supergirl: “Non puoi arrabbiarti al lavoro, soprattutto se sei una ragazza. Quando lavoravo al Daily Planet, Perry White ha preso una sedia e l’ha gettata fuori dalla finestra perché qualcuno non aveva rispettato una scadenza e no, non aveva aperto la finestra prima. Se io avessi tirato una sedia o, mio Dio, se avessi tirato un fazzoletto, sarebbe stato su tutti i giornali. Sarebbe stato un suicidio professionale e culturale.” Interessante anche quel “When everyone believes you / What's that like?”, e la mente non può tornare al processo per molestie sessuali intentato dal suo molestatore (sic!), il quale non solo ha palpato quel che non doveva, ma ha anche cercato di instillare il dubbio che Taylor non dicesse la verità (e in effetti in molti hanno subito dubitato della sua parola - ordinaria amministrazione per qualsiasi donna). Per approfondire, qui il resoconto della vicenda giudiziaria. #AlcoholicCount: 1 (drinkin’) #FavLyrics: “I'm so sick of running as fast as I can / Wondering if I'd get there quicker if I was a man” The Archer [Taylor Swift, Jack Antonoff] La famigerata traccia numero cinque. Un pezzone che va a fare compagnia a Cold As You, White Horse, Dear John, All Too Well, All You Had To Do Was Stay e Delicate. La voce, siccome riverberata, sembra provenire da lontano, e con essa la riflessione, l’esame di coscienza: Taylor sa di aver ferito (“I’ve been the archer”) ma anche di essere stata ferita (“I’ve been the prey”). È una canzone che parla di sé e parla a sé (come già faceva Never Grow Up), e sembra fare un po’ il punto di ciò che è stato e di quello che dovrà essere (il futuro è dato da quel “Help me hold on to you”, nel senso che Taylor è da lì che intende ripartire). La parte più bella è senza dubbio il bridge, che peraltro attinge testualmente alla filastrocca che vede protagonista l’uovo antropomorfizzato Humpty Dumpty. Detta omelette-wannabe, infatti, “sul muro sedeva” e “dal muro cadeva, e non bastarono a metterlo in piè tutti gli uomini e i cavalli del re” (“Humpty Dumpty sat on a wall / Humpty Dumpty had a great fall / All the king’s horses and all the king’s men / Couldn’t put Humpty together again”). La canzone è altresì colorata da figure idiomatiche quali “I cut off / my nose just to spite my face” (che indica un comportamento che, posto in essere per ira o vendetta, finisce col danneggiare soprattutto l’autore stesso), similitudini (“I pace like a ghost”), metafore (“archer” e “prey”), ed è connotata tanto da una triste rassegnazione agli aspetti negativi della vita (“The room is on fire / Invisible smoke / And all of my heroes / Die all alone”, “Screaming, Who could ever leave me darling... But who could stay?”, “'Cause all of my enemies / started out friends”) quanto da una voglia di riscatto personale (“I’m ready for combat”) perché è lei stessa si definisce la parte oscura (“dark side”) di qualcun altro che reputa migliore. #AlcoholicCount: 0
#FavLyrics: “All the king's horses / All the king's men / Couldn't put me together again / ‘Cause all of my enemies / Started out friends / Help me hold on to you” I Think He Knows [Taylor Swift, Jack Antonoff] Non sono mai stata una fan del falsetto e non cambierò certo idea ora, ma questa canzone mi piace così tanto che posso anche chiudere un occhio (fortunatamente, poi, la cosa riguarda solo i ritornelli). Ciò non toglie che la parte migliore sia il bridge perché: 1) è un bridge di marca Taylor; 2)d lì canta normale. Bello lo schioccare di dita che tiene il tempo e esprime proprio quel senso di sicurezza, quell’attitudine cool che promana dalla persona di cui ci sta parlando. E il modo in cui dice “I’ll drive” mi manda in brodo di giuggiole. #AlcoholicCount: 0 (e per fortuna, visto che ha deciso di guidare) #FavLyrics: “Lyrical smile, indigo eyes, hand on my thigh / We can follow the sparks, I'll drive” Miss Americana & The Heartbreak Prince [Taylor Swift, Joel Little] Se in testa alla Lover-classifica c’è, per me, Death By A Thousand Cuts, bisogna pure ammettere che Miss Americana & The Heartbreak Prince la tallona a stretto, strettissimo giro. Cavolo, potrei persino arrivare a piazzarle ex aequo sul gradino più alto del podio. Tutta la canzone è una grande e riuscita metafora politica, che sfrutta gli elementi tipici del mondo del liceo per raccontare una realtà ben più vasta e attuale. La stessa Taylor, nelle secret session, ha confermato l’origine politica dell’ispirazione. Assodato questo, è allora piuttosto facile interpretare il brano per mezzo di tale specifica chiave di lettura. La canzone illustra una progressiva e inevitabile disillusione nei confronti del mondo che ci circonda. Certo, Taylor si riferisce agli Stati Uniti, ma racconta per forza di cose di un disagio globale. Così, all’inizio - stante anche la fisiologica immaturità data dalla giovane età - tutto sembra idilliaco. Non so se scomodare il Candido di Voltaire e la solita pippa sul migliore dei mondi possibili, ma ci siamo capiti (“You know I adore you, I'm crazier for you / Than I was at 16, lost in a film scene / Waving homecoming queens, marching band playing / I’m lost in the lights”). Ben presto, però, ci si accorge della realtà per quella che è (“American glory faded before me / Now I'm feeling hopeless, ripped up my prom dress / Running through rose thorns, I saw the scoreboard / And ran for my life”). La seconda strofa mi ha fatto pensare fin da subito alla contrapposizione tra Democratici e Repubblicani (il blu, peraltro, è il colore che contraddistingue i primi), e allora non è un’ipotesi peregrina credere che quel “She’s a bad, bad girl” possa riferirsi nientemeno che alla candidata presidenziale Hillary Clinton. Quello stesso blob arancione di Donald Trump l’aveva definita, in effetti, una “nasty woman”. La strofa successiva è ulteriormente esplicativa: alla luce dei rigurgiti fascisti e in generale di estrema destra (“I see the high fives between the bad guys”) in ogni dove, il team di Taylor - come anche quello di tutte le persone sedute dalla parte giusta della storia - “is losing, battered and bruising”. E a questo punto la situazione è più tetra che mai (“American stories burning before me / I’m feeling helpless, the damsels are depressed / Boys will be boys then, where are the wise men? / Darling, I'm scared”). Se non altro, la canzone è permeata anche da sentimenti positivi, in quanto Taylor si dice convinta che prima o poi vinceranno (“And I'll never let you (Go) 'cause I know this is a (Fight) / That someday we're gonna (Win)”). D’altronde anche nel vaso di Pandora, fuorisciti tutti i mali, si era mantenuta sul fondo la speranza. Credo che questa sia una delle canzoni più riuscite di Taylor, non solo di questo album ma della sua carriera intera: è senza dubbio commendevole come sia stata in grado di parlare di una situazione molto specifica senza tuttavia mai farvi riferimenti espliciti, ma soltanto attraverso figure retoriche. Non che ve ne fosse bisogno, ma Miss Americana & The Heartbreak Prince è l’ennesima prova di quale cantautrice talentuosa sia. Cambiando radicalmente discorso, la base di Miss Americana & The Heartbreak Prince ricorda tantissimo quella di So It Goes… tant’è vero che nei primissimi ascolti, mentre ancora tutto era un brodo primordiale e facevo fatica a distinguere gli elementi di specificità, dopo “It's been a long time coming, but” mi veniva quasi automatico completare con “And all our pieces fall / Right into place”. #AlcoholicCount: 0 (eppure in questo caso avrebbe avuto tutti i motivi de ‘mbriacasse) #FavLyrics: “American stories burning before me / I’m feeling helpless, the damsels are depressed” Paper Rings [Taylor Swift, Jack Antonoff] Questa canzone è speculare a Stay Stay Stay. In effetti, si può dire che a essersi invertite siano i ruoli. Se in Stay Stay Stay era l’altra persona a farsi carico, oltre che delle cose positive (“My hopes and dreams”) anche di quelle negative (“My fears” e le arrabbiature), qui è Taylor a dire di volere contribuire a portare il fardello (“I want your complications too / I want your dreary Mondays”) perché, evidentemente, ora è psicologicamente in grado di farlo. Non solo, ma anche i due pre-ritornelli, identici se non per la variazione dei pronomi (“I” e “You”) denotano equilibrio e parità nel rapporto, segno di maturità. Questa canzone mi fa pensare agli anni ’60 (epoca che ho sempre associato a idee positive e possibilità), e il fatto che sia così up-tempo me la rende davvero irresistibile. #AlcoholicCount: 1 (wine) #FavLyrics: “I like shiny things, but I'd marry you with paper rings” Cornelia Street [Taylor Swift] La canzone è delimitata, all’inizio e alla fine, da due versi uguali: “«I rent a place on Cornelia Street», I said casually in the car”, e tutto quello che c’è in mezzo non è che un film mentale. Taylor immagina la vita in Cornelia Street, e ragiona sulla paura che ha di perdere la persona con cui, nella casa situata in quella medesima via, vorrebbe trascorrere la vita. In quattro minuti viene sviscerata tutta la storia, dagli inizi ancora tutti da scoprire e da comprendere (“We were a fresh page on the desk / Filling in the blanks as we go / As if the street lights pointed in an arrow head / Leading us home”), passando per gli inevitabili problemi (“I packed my bags, left Cornelia Street / Before you even knew I was gone”) fino ad arrivare, da ultimo, alla positiva risoluzione (“But then you called, showed your hand / I turned around before I hit the tunnel / Sat on the roof, you and I / You hold my hand on the street / Walk me back to that apartment”). Alla fine, però, la canzone ritorna al punto di partenza (“«I rent a place on Cornelia Street», I said casually in the car”), ed è come se Taylor si riscuotesse da quella fantasia: nulla di tutto quello che ha cantato è accaduto, ma potrebbe. Ma forte di quel lieto fine, butta lì di aver affittato un posto... Piccola nota curiosa: l’autoplagio. I versi del bridge “Barefoot in the kitchen / Sacred new beginnings” suonano esattamente identici al ritornello di Invisibile, brano del suo primo disco (“I just wanna show you / she don’t even know you”). #AlcoholicCount: 3 (drink, drinks, bar) #FavLyrics: “We were a fresh page on the desk / Filling in the blanks as we go / As if the street lights pointed in an arrow head / Leading us home” Death By A Thousand Cuts [Taylor Swift, Jack Antonoff] Questa canzone è ciò che, in reputation, è stata per me Getaway Car, ciò che in 1989 è stata Wonderland, ciò che in Red è stata Holy Ground, ciò che in Speak Now è stata Long Live, ciò che in Fearless è stata Love Story, e ciò che, infine, in Taylor Swift è stata I’m Only Me When I’m With You. Trattasi, in poche parole, di quelle canzoni che vorrei trasmesse in filodiffusione sulla mia tomba, roba che già da ora sto mettendo da parte i soldi per pagare la SIAE, così almeno il mio esecutore testamentario non avrà di che preoccuparsi. Quello che mi piace di questo brano è come sia così pieno di un’emozione tanto intensa - emozione che sembra fuoriuscire proprio da quei mille tagli - ma non essere in alcun modo ispirato alla vita privata di Taylor (per quanto, ovviamente, nessuna canzone di un’autrice così coinvolta come Taylor potrà mai essere intrepretata asetticamente: un minimo di lei e delle sue esperienze c’è e ci sarà sempre). In questo caso, infatti, l’ispirazione è dichiaratamente il film Netflix Someone Great scritto e diretto da Jennifer Katyn Robinson. Film che, va detto, non ho alcuna intenzione di guardare perché le commedie romantiche non sono tanto il mio genere, e soprattutto perché non ho nessunissima voglia di associare questa canzone a film diversi che non siano quelli che mi faccio io in testa. #AlcoholicCount: 4 (drunk x3, wine) (e il fatto che abbia iniziato a parlare ai semafori non depone certo a favore della sobrietà) #FavLyrics: “Paper cut stains from my paper-thin plans / My time, my wine, my spirit, my trust / Tryna find a part of me you didn't take up / Gave you so much, but it wasn't enough / But I'll be alright, it's just a thousand cuts” London Boy [Taylor Swift, Jack Antonoff, Cautious Clay, Mark Anthony Spears] Questa è la canzone che mi piace di meno. È leggera e senza pretese, una versione più sofisticata di Gorgeous, ma mentre quella alla fine è simpatica e divertente, questa non è niente di più de ‘na Lonely Planet di Londra, e in effetti salvo (ma appena appena) solo il ritornello. Ad ogni modo, fortuna che si è innamorata di un ragazzo di Londra, perché la città, con i suoi numerosi punti di interesse e la sua vivacità culturale, si presta ad essere “visitata” virtualmente. Chissà che pezzo avremmo ottenuto se si fosse innamorata di un ragazzo di Pantiere di Castelbellino. #AlcoholicCount: 3 (Tennessee whiskey, pub, drinking) #FavLyrics: “But something happened, I heard him laughing / I saw the dimples first and then I heard the accent / They say home is where the heart is / But that's not where mine lives” Soon You’ll Get Better (feat. Dixie Chicks) [Taylor Swift, Jack Antonoff] Questa canzone, come già Ronan, è una di quelle che ti devastano l’anima. Pertanto questa canzone, come già Ronan, la skipperò a ogni piè sospinto. È la seconda volta che Taylor affronta un tema orrendo come il cancro, ma se Ronan celebrava e piangeva un bambino che non aveva mai conosciuto, Soon You’ll Get Better la riguarda personalmente, trattandosi di sua madre Andrea. Sono i dettagli che colpiscono, dettagli concreti, palpabili: non si parla, qui, della luce ultravioletta del mattino, o di fumo invisibile, ma di capelli che si intrecciano ai bottoni del cappotto, i barattoli arancioni dei medicinali (che Taylor definisce “holy”, “sacri”, perché potrebbero contenere la chiave della salvezza), lo studio del medico: è come se la cruda realtà si fosse rivelata tutta insieme, come una doccia fredda, e si notano cose cui mai si sarebbe pensato di dover prestare attenzione. Quando, nell’introduzione, parlavo delle sfaccettature spaventose dell’amore, è a questa canzone che mi riferivo. Qui, infatti, emerge tutta la paura di Taylor di perdere la persona che ama di più al mondo (“Desperate people find faith, so now I pray to Jesus too”), ma anche tutta l’intenzione che ha di sostenerla in questo percorso: vuole illuminarle il cielo, e anche se è consapevole di non essere in grado di farlo, ci proverà lo stesso (“I’ll paint the kitchen neon, I'll brighten up the sky / I know I'll never get it, there's not a day that I won't try”) (questo pezzo mi devasta solo a scriverlo). E allora adesso ciò che il promemoria di Never Grow Up (“Remember that she’s getting older too”) lasciava implicito, cioè che la madre non ci sarebbe stata per sempre, si carica di un significato ben più severo, un ulteriore non detto che pesa come un macigno: “Non ci sarà per sempre, e potrebbe esserci per ancora meno tempo”. E se in Never Grow Up si faceva riferimento a quell’egoismo di un’adolescente che non vede, giustamente, l’ora di vivere la vita alle sue condizioni (“And you can't wait to move out someday and call your own shots”), qua emerge l’egoismo tipico e comprensibile di chi, di fronte a un lutto - vero o solo potenziale - mette al centro se stesso: paradossalmente, infatti, la morte non è mai questione di chi se ne va, ma di chi resta, che deve imparare a vivere facendo a meno di qualcosa su cui ha sempre potuto contare (“And I hate to make this all about me / But who am I supposed to talk to? / What am I supposed to do / If there's no you?”). Questi versi credo siano tra i più belli di Taylor, perché di un’onestà disarmante e dolorosissima. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “I’ll paint the kitchen neon, I'll brighten up the sky / I know I'll never get it, there's not a day that I won't try” False God [Taylor Swift, Jack Antonoff] Per prima cosa, buon per Taylor ad avere così tanta stima di sé da paragonarsi a New York City. Io sò dieci anni che me sento come la zona industriale di Baranzate. Per seconda cosa, questa canzone detiene senz’altro lo scettro e la corona e il mantello d’ermellino di canzone più suggestiva di tutto il disco. L’atmosfera, data dal sassofono, è scura e fumosa, quasi da locale seminterrato in cui si suona il jazz. Mi sembra proprio di vedere gli avventori, la band, i camerieri che si destreggiano tra i tavoli con i vassoi. L’unica altra canzone che mi abbia mai fatto così vividamente pensare a una simile scenografia è Piano Man di Billy Joel, che però è già in partenza ambientata in un bar. Quindi plauso a Taylor per aver saputo evocare immagini in me tanto realistiche senza elementi che le richiamino direttamente. Ora che ci penso anche So It Goes... aveva sortito un effetto analogo, quindi complimenti due volte. Ora, la canzone si snoda fondamentalmente sul contrasto tra sacro e profano, laddove però, a ben guardare, il sacro ha ben poco di sacro (è una religione che adora un falso Dio), e il profano è davvero profano (finanche peccaminoso: “But we might just get away with it / Religion's in your lips”, “We might just get away with it / The altar is my hips”) e l’una e l’altra cosa costituiscono, alla fin fine, causa ed effetto reciproche. #AlcoholicCount: 1 (wine) #FavLyrics: “But we might just get away with it / Religion's in your lips / Even if it's a false god / We'd still worship / We might just get away with it / The altar is my hips / Even if it's a false god / We'd still worship this love” You Need To Calm Down [Taylor Swift, Joel Little] Per quanto riguarda questa canzone, resto ferma sulle mie convinzioni iniziali (di cui potete leggere diffusamente qui). C’è sicuramente da lodare il testo impegnato, che ben si colloca nell’economia globale dell’album e rappresenta adeguatamente la presa di consapevolezza politica di Taylor, e sopratutto la strutturazione in tre grandi blocchi tematici (gli hater, la discriminazione della comunità LGBTQ, l’artificiosa competizione tra donne) ma resta, comunque, irrimediabilmente scarna a livello musicale. #AlcoholicCount: 1 (Patrón) #FavLyrics: “And I ain't tryna mess with your self-expression / But I've learned the lesson / That stressing and obsessing / ‘Bout somebody else is no fun. / And snakes and stones never broke my bones” Afterglow [Taylor Swift, Louis Belle, Adam Feeney] Una delle canzoni più interessanti è senz’altro Afterglow. Potrebbe, tematicamente, fare il paio con il verso di The Archer dove Taylor sottolinea la sua tendenza autodistruttiva a rovinare qualcosa di buono e a danneggiare se stessa nel medesimo processo (“I cut off / my nose just to spite my face” ). Qui, in effetti, lo dice peraltro esplicitamente, senza farsi scudo della retorica: “I blew things out of proportion”, “Thought I had reason to attack”, “Why'd I have to break what I love so much?”, “I'm to blame”, “Hey, it's all me, in my head / I’m the one who burned us down”. Ci vuole coraggio ad ammettere di essere in torto e a fare un passo indietro, assumersi le proprie colpe, ed è quello che sta facendo qui Taylor. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “It's so excruciating to see you low / Just wanna lift you up and not let you go” ME! (feat. Brendon Urie) [Taylor Swift, Brendon Urie, Joel Little] Il brano che è nientemeno il primo singolo estratto da Lover è anche quello che, a questo punto, sembra il più fuori posto. Liricamente è la canzone più debole di tutte (insieme a London Boy), ciò non toglie che mi era piaciuta all’epoca e continua a piacermi ora (avendo contezza, certo, che rispetto ad altri pezzi il confronto è impietoso). Non mi dilungherò troppo, e per un’analisi più approfondita vi invito a leggere qui. In questa sede mi limito a dire che la canzone mi piace perché, fondamentalmente, è un’esaltazione della singolarità e delle imperfezioni di ognuno, cose che in fin dei conti ci rendono quel che siamo. Rispetto alla versione singolo, quella dell’album ha perso il verso “Hey kids, spelling is fun”. Tanto quanto non capivo perché vi fosse stato inserito in primo luogo, tanto non ho capito perché abbia deciso di toglierlo. Sì, c’è chi si è lamentato perché lo trovava stupido, ma non è che stiamo parlando di una canzone papabile per il Nobel per la letteratura, quindi boh, statevi un po’ scialli. Tra l’altro il buco, per chi è abituato alla versione originale, si nota parecchio. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “Living in winter, I am your summer” It’s Nice To Have A Friend [Taylor Swift, Louis Bell, Adam Feeney] Sarò sincera: io questa canzone non l’ho capita. Per prima cosa, strana è strana. È anche molto breve, durando appena due minuti e trenta. In realtà non è tanto il fatto che sia breve a essere strano (I Forgot That You Existed ne dura 2:51, Cruel Summer 2:58, I Think He Knows 2:53, You Need To Calm Down 2:51) quanto piuttosto che mi pare che manchi qualcosa. Come se uno andasse al cinema a vedere un film di Star Wars e poi uscisse dalla sala dopo aver letto le scritte in giallo (non che, in effetti, la terza trilogia dia motivi validi di restare fino alla fine della pellicola). La sensazione che mi provoca è di essere rimasta in qualche modo “appesa”. “Sì, e quindi? Finito qua?” ho pensato. Il Manzoni si sarebbe domandato dove fosse “il sugo della storia”. Volendo lavorare un po’ di fantasia, in effetti, una storia c’è. O forse sono semplicemente io che mi sono costretta a trovarla, perché tanto di qualcosa avrei dovuto scrivere. Innanzitutto, la canzone è molto basilare nella sua struttura: si alternano semplicemente tre strofe e tre ritornelli, senza nemmeno un bridge. Le strofe, ad ogni modo, hanno uno sviluppo narrativo evidente, seppure piuttosto fumoso. A me sembra (ma qualsiasi cosa dica è da prendere cum grano salis, perché ripeto, questa canzone non l’ho capita) la nascita di un’amicizia che poi si trasforma in amore, e quell’amore viene infine sigillato nel matrimonio. Così abbiamo: Strofa 1: “”Wanna hang out?" Yes, sounds like fun” ; Strofa 2: “Something gave you the nerve / To touch my hand”; Strofa 3: “Church bells ring, carry me home / Rice on the ground looks like snow”. E non deve, allora, suonare fuorviante quel “friend” del titolo e dei ritornelli, perché l’amore passa anche dall’amicizia (e non necessariamente il primo assorbe la seconda). In effetti, già in You Are In Love Taylor non esclude le due cose, e le fa coesistere contemporaneamente: “Pauses, then says "You're my best friend, "And you knew what it was / He is in love”. Peraltro, anche in Paper Rings si passa dall’essere amici all’essere, evidentemente, qualcosa di più. Ciò che, ad ogni modo, mi fa impazzire (in senso sia positivo - perché mi piace un sacco - che negativo - perché non ho idea per quale motivo sia lì) di questa canzone è la tromba, che conferisce al brano un’atmosfera davvero indecifrabile. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “Light pink sky up on the roof / Sun sinks down, no curfew” Daylight [Taylor Swift] Fatta eccezione per l’album omonimo, tutti i dischi di Taylor si chiudono su una nota positiva (Change, Long Live, Begin Again, Clean, New Year’s Day). Evidentemente, anche questo non è da meno. È in qualche modo confortante rendersi conto che Taylor ora si trovi in un momento della vita in cui non vede che la luce del giorno (per quanto non tutti i cieli siano sempre luminosi, come quelli che sovrastano quanto raccontato in Soon You’ll Get Better). Ora, il bello delle canzoni di Taylor è come, sebbene nella maggior parte dei casi ancorate a situazioni personali specifiche, e in linea di massima riflettenti le sue esperienze e le sue considerazioni sull’amore romantico, possano in ogni caso attagliarsi anche a persone che, poniamo, hanno intenzione di vivere la propria esistenza da zitella con un gatto di nome Secondo Conflitto Mondiale. Perché se è vero ed evidente che Daylight parli dell’amore, e quella sensazione di ottimismo che vi si accompagna una volta trovato, è pure vero che vi si possa intuire anche un significato più universale. Per quanto mi riguarda, versi come “I've been sleeping so long in a 20-year dark night / And now I see daylight, I only see daylight” mi fanno credere e sperare che a un certo punto le cose andranno a posto. Nel mio caso specifico, la mia notte oscura e piena di terrore dura da dieci anni e non da venti (pietra miliare di quando è andato tutto a scatafascio è stata l’iscrizione a giurisprudenza), ma per il resto mi ci ritrovo. In definitiva questa canzone mi fa pensare a quel fumetto in cui c’è una persona con un cubo di Rubik al posto della testa, tutto mescolato, e la didascalia che accompagna le vignette spiega che se ancora non hai capito quale sia il senso e lo scopo di tutto, non significa che non ci riuscirai e un giorno - e qui il tipo ha il cubo in perfetto ordine - potresti addirittura guardare indietro e chiederti perché mai ti eri preoccupato tanto. Tutto però sta arrivarci, a quel giorno, e non sbroccare prima (tutti gli allibratori dei peggiori bar di Baranzate danno per assolutamente certa la seconda circostanza, comunque). Ma basta parlare di me e dei miei patemi esistenziali. Per quanto invece concerne, nello specifico, l’amore romantico, è interessante vedere quel riferimento esplicito a Red (“I once believed love would be burning red”) e di come la prospettiva di Taylor sulla questione sia cambiata in positivo, tanto che adesso quel medesimo sentimento non è più rosso, ma oro. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “I’ve been sleeping so long in a 20-year dark night / And now I see daylight, I only see daylight” STEP INTO THE DAYLIGHT AND LET GO Un paio di considerazioni tecniche, prima di quelle emotive. Mi ha stupito parecchio la presenza di ben quattro canzoni che non arrivano nemmeno a tre minuti, che per me è un po’ un requisito di durata minimo. La cosa, certo, è compensata dal fatto che nel disco siano presenti ben diciotto brani, un’enormità, ma un minimissimo sforzo in più forse si poteva anche fare. Non è una cosa poi così fondamentale, dopotutto è la qualità che conta, ma il fatto che quei pezzi entrino tre-quattro volte in alcune delle mie canzoni preferite in assoluto nei secoli dei secoli amen (Nightfall On The Grey Mountains [Rhapsody] 7:20, Destruction Preventer [Sonata Arctica] 7:39, White Pearl, Black Oceans… [Sonata Arctica] 8:47, The Scarecrow [Avantasia] 11:15) mi lascia un po’ così. Non serve nemmeno andare a pescare in un genere lontano come il metal, quando la stessa Taylor, ai tempi, non si faceva certo scrupoli a dilungarsi (Dear John 6:46, Last Kiss 6:09, Enchanted 5:53, Long Live 5:18). Ma vabbè, è una riflessione che lascia un po’ il tempo (capito? Il “tempo”... *tap tap* è acceso questo coso?) che trova. Per il resto, ho apprezzato moltissimo come Taylor sia stata in grado di rinnovarsi anche questa volta, e soprattuto come abbia saputo, di nuovo, sperimentare: ci sono alcuni punti, infatti, estremamente suggestivi (quali la tromba di It’s Nice To Have a Friend, il sax di False God, quell’intermezzo strumentale che inizia al minuto 2:54 di Miss Americana) che è certo inusuale trovare in brani pop. Per quanto riguarda le considerazioni emotive, non ho poi molto da dire se non che un album upbeat come questo non poteva capitarmi in un periodo peggiore (e quindi, in senso lato, migliore), dove in termini di futuro e di soddisfazione personale - fatta eccezione per il romanzo per il quale ho firmato un contratto di edizione - non riesco a vedere più in là del mio naso (e non c’entra il fatto che sia più miope di Hans Uomo Talpa). Quindi niente: siccome quest’esistenza stinfia al momento non sembra che un lunghissimo lunedì, posso almeno dire che c’è la musica di Taylor a renderla meno dreary e più shiny.
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23 settembre 2019 - primo giorno di università, un po’ a Vercelli e un po’ a Milano.
Afferro il volante e faccio un respiro profondo: ce la posso fare.
Non sarà mica la fine del mondo, no? Insomma, è solo il primo giorno di università.
Già, il primo giorno di università.
Stanotte ho dormito malissimo, continuavo a sentirmi un peso sullo stomaco che non accennava ad andarsene, e mi giravo e rigiravo nel letto continuamente facendo scazzare il mio gatto che, al contrario mio, dormiva beatamente sui miei piedi.
Non ho praticamente neanche fatto colazione dall’ansia, strano per me che amo pucciare le Gocciole nel latte.
Sono terrorizzata.
Parcheggio la macchina di fronte alla stazione - strano ma vero, ho trovato un posto - e controllo di aver preso tutto: computer, acqua, libri, astuccio, agenda… si, mi sono ricordata di prendere tutto.
Faccio un altro respiro profondo.
Sono le 8:26, in questo momento sta arrivando il treno per Porta Garibaldi, ma ancora non me la sento di scendere dalla macchina, prenderò il treno successivo per Milano Centrale.
Odio le prime volte, mi mettono troppa ansia.
In macchina mi sento al sicuro, niente può toccarmi. 
Prendo il telefono e scelgo l’ultima canzone da riprodurre prima di scendere: Jim Yosef - Wildfire.
Non credo la conoscano in molti, anzi, credo che non la conosca quasi nessuno dato che ho dei gusti musicali parecchio strani.
Mi dà carica.
Spengo la radio: è ora di scendere.
Appena chiudo la portiera della macchina mi sento messa in stan-by, come se il mondo attorno a me si fosse fermato. Controllo che la macchina sia effettivamente chiusa cercando di aprire la portiera - sono parecchio paranoica, a volte chiudo la macchina tre volte prima di convincermi che sia effettivamente chiusa! Cammino verso l’entrata della stazione trovando un centinaio di pendolari come me diretti principalmente verso le tre città universitarie raggiungibili da Vercelli: Milano, Torino o Novara.
Sbuffo: sarà un lungo viaggio.
Il treno è pieno - ovviamente, è un Torino - Milano che passa per cinque città universitarie, che ti aspetti? - ma riesco comunque a trovare posto di fronte ad una ragazza che sta dormendo.
Io non riesco a dormire, ascolto la musica.
“Siamo in arrivo a Milano Centrale.” cazzo.
Slalom tra le persone, scale, passo, passo, passo, scale, passo passo, scale, scale mobili, un po’ di passi, tre scalini, altre scale mobili, metro verde, direzione Abbiategrasso - Assago Forum, nove fermate: Romolo, IULM.
Sono le 10:45 e c’è il benvenuto alle matricole.
Vedo arrivare gruppi di persone tutti insieme: ma sono solo io quella che è venuta completamente da sola? Cinture di Gucci, borse di Louis Vuitton, scarpe Balenciaga: forse sono anche l’unica poveraccia.
Vabbè.
Tutti parlano, io in silenzio li ascolto. Ma come si fa a fare conversazione.
“Comunque mi presento, mi chiamo nonmiricordo”
[…]
“Voi da dove venite?”
“Savona”
“Io da Lodi”
“Ah, Lodi… Lodi!”
Ridono.
“Tu invece?”
“Pescara, mi sono trasferita qui a Milano.”
E almeno loro tre avevano già fatto amicizia, infatti passeranno tutta la giornata (e anche tutte quelle successive) insieme.
E io continuo a stare zitta.
Bene, ora cosa faccio fino alle tredici?
Girovago, si vede proprio che sono una matricola completamente spaesata.
Infatti - per evitare figuracce e ritardi sgraditi il primo giorno di lezione- vado a vedere dov’è la 402.
13:30 - prima lezione: Storia del Teatro.
L’aula 402 è quasi completamente vuota: dove mi siedo, davanti o dietro?
Vedo una ragazza seduta da sola così le chiedo: “Scusa, è occupato? Posso sedermi?” Lei mi dice di no.
Si fa così amicizia in università, no?
Beh, a quanto pare no dato che poi né io né lei abbiamo più spiaccicato parola per il resto della lezione.
16:30 - seconda lezione: Linguaggi della Pubblicità.
Professore molto simpatico: proietta meme.
18:40 - Milano Porta Garibaldi
19:46, treno in ritardo di 17 minuti - Vercelli
Salgo in macchina distrutta. Non ho voglia di guidare per altri quaranta minuti.
Sono stanca, voglio dormire.
Voglio andare a casa.
Giornata di merda.
Mi butto nel letto.
L’università mi piace tantissimo, le due lezioni che ho frequentato anche ma…
Sono sola. ovviamente. Di nuovo, come sempre.
Non ho fatto amicizia con nessuno, non ho spiaccicato parola tutto il giorno.
Brava me, te ne pentirai.
Quando ti deciderai a darti una svegliata sarà troppo tardi.
Continua così, cogliona.
- saracordera
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ilcielodipuglia · 5 years
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Ars poetica (Dorothea Lasky n. a Saint Louis, Missouri, USA il 27/3/1978) Volevo dire all'aiuto veterinario di quel video del gatto che Jason mi ha mandato Ma ho resistito per paura lo trovasse strano Sono davvero solitaria Ieri il mio ragazzo mi ha chiamato, di nuovo sbronzo E in mezzo a squillanti lacrime e un che di appiccicoso Mi ha urlato contro con una tale amarezza Come non avevo sentito prima da altri umani E mi ha detto che non ero brava Be' magari lui non voleva dire quello Ma è quello che ho sentito Quando mi ha detto che la mia vita non valeva niente E il mio lavoro della vita un lavoro da elite. Io dico che voglio salvare il mondo ma in realtà Voglio scrivere poesie tutto il giorno Voglio alzarmi, scrivere poesie, andare a dormire, Scrivere poesie durante il sonno Fare dei miei sogni poesie Fare del mio corpo una poesia con magnifiche vesti Voglio che la mia faccia sia un poema Ho appena imparato come mettere La matita agli angoli degli occhi per farmeli più grandi C'è sempre in me un romantico abbandono Voglio sentire il timore per gli altri E lo posso sentire attraverso il canto Solo attraverso il canto posso sommare in poche così tante parole Come quando lui dice che io non sono brava Io non sono brava La bontà non è più il punto Tenersi stretti alle cose Ecco questo è il punto
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thebookwormsnest · 6 years
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Ho controllato il New York Times. Ho controllato il Telegraph. Ho controllato Le Monde. Ho controllato la BBC. Ho confrontato le proposte delle migliori case editrici italiane. Ho setacciato mezzo internet per poter stilare una lista al contempo più completa e più varia possibile.
E, alla fine, ce l'ho fatta.
Clicca su "Continua a leggere" per scoprire l'elenco completo dei duecento libri da leggere prima di morire! 
I DUECENTO LIBRI DA LEGGERE PRIMA DI MORIRE: L'ELENCO
(IN ORDINE ALFABETICO)
1984 – George Orwell
1Q84 – Haruki Murakami
A Christmas Carol – Charles Dickens
A ciascuno il suo – Leonardo Sciascia
A Fine Balance – Rohinton Mistry
A me le guardie! – Terry Pratchett
A sangue freddo – Truman Capote
Alice nel Paese delle Meraviglie – Lewis Carroll
Alla ricerca del tempo perduto – Marcel Proust
Altri libertini – Pier Vittorio Tondelli 
Amabili resti – Alice Sebold
Amore e Psiche – Apuleio
Anna dai capelli rossi – Lucy Maud Montgomery
Anna Karenina – Lev Tolstoj
Artemis Fowl – Eoin Colfer
Ayla figlia della Terra – Jean Auel
Bar sport – Stefano Benni
Black Beauty: autobiografia di un cavallo – Anna Sewell
Bleak House – Charles Dickens
Brideshead Revisited – Evelyn Waugh
Buchi nel deserto – Louis Sachar 
Buona apocalisse a tutti! – Terry Pratchett and Neil Gaiman
Caino e Abele – Jeffrey Archer
Canto di Natale – Charles Dickens
Casa Desolata – Charles Dickens
Cent'anni di solitudine – Gabriel García Márquez
Charlotte's Web – EB White
Cime tempestose – Emily Brontë
Comma 22 – Joseph Heller
Cristo si è fermato ad Eboli – Carlo Levi
Cuore – Edmondo de Amicis
Cuore di tenebra – Joseph Conrad
David Copperfield – Charles Dickens
Delitto e castigo – Fëdor Dostoevskij
Diario – Anne Frank
Dieci piccoli indiani – Agatha Christie
Dio di illusioni – Donna Tartt
Don Chisciotte della Mancia – Miguel de Cervantes
Dracula – Bram Stoker
Dune – Frank Herbert
Emma – Jane Austen
Fahrenheit 451 – Ray Bradbury
Favole al telefono – Gianni Rodari
Finzioni – Borges
Frankenstein – Mary Shelley
Furore – John Steinbeck
Gente di Dublino – James Joyce
Germinale – Emile Zola
Gita al faro – Virginia Woolf
Gli indifferenti – Alberto Moravia
Gormenghast – Mervyn Peake
Grandi speranze – Charles Dickens
Guerra e pace – Lev Tolstoj
Guida galattica per autostoppisti – Douglas Adams
Harry Potter – J. K. Rowling
Ho un castello nel cuore – Dodie Smith
I Buddenbrook – Thomas Mann
I cercatori di conchiglie – Rosamunde Pilcher
I Dolori del Giovane Werther – J. W. Goethe
I figli della mezzanotte – Salman Rushdie
I fiori del male – Charles Baudelaire
I fratelli Karamazov – Fedor Dostoevskij
I Malavoglia – Giovanni Verga
I Miserabili – Victor Hugo
I pilastri della terra – Ken Follett
I Promessi Sposi – Alessandro Manzoni
I Tre Moschettieri – Alexandre Dumas
Il barone rampante – Italo Calvino
Il bianco e il nero – Malorie Blackman
Il buio oltre la siepe – Harper Lee
Il Cacciatore di Aquiloni – Khaled Hosseini
Il canto del cielo – Sebastian Faulks
Il Codice da Vinci – Dan Brown
Il Colore Viola – Alice Walker
Il Commissario Maigret – George Simenon
Il Conte di Monte Cristo – Alexandre Dumas
Il diario di Bridget Jones – Helen Fielding
Il Dio delle piccole cose – Arundhati Roy
Il dottor Jekyll e Mr. Hyde – Robert Louis Stevenson
Il dottor Zivago – Boris Pasternak
Il fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello
Il Gattopardo – Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Il giardino dei Finzi-Contini – Giorgio Bassani
Il giardino segreto – Frances Hodgson Burnett
Il giornalino di Gian Burrasca – Vamba
Il giovane Holden – J. D. Salinger
Il grande Gatsby – Francis Scott Fitzgerald
Il leone, la strega e l'armadio – C. S. Lewis
Il maestro e Margherita – Bulgakov
Il mago – John Fowles
Il Mandolino del Capitano Corelli – Louis De Berniere
Il mondo nuovo – Aldous Huxley
Il Nome della Rosa – Umberto Eco
Il Padrino – Mario Puzo 
Il paradiso degli orchi – Daniel Pennac
Il passaggio segreto – Enid Blyton
Il Piccolo Principe – Antoine De Saint-Exupery
Il potere e la glori – Graham Greene
Il Processo – Franz Kafka
Il Profeta – Kahlil Gibran
Il profumo – Patrick Süskind
Il ragazzo giusto – Vikram Seth
Il ritratto di Dorian Gray – Oscar Wilde
Il Rosso e il Nero – Stendhal
Il signore degli anelli – J. R. R. Tolkien
Il signore della magia – Raymond E. Feist
Il signore delle mosche – William Golding
Il vecchio e il mare – Ernest Hemingway
Il velo dipinto – W. Somerset Maughan
Il vento tra i salici – Kenneth Grahame
In culo al mondo – Antonio Lobo Antunes 
Io, robot – Isaac Asimov
Jane Eyre – Charlotte Brontë
Katherine – Anya Seton
Kitchen – Banana Yoshimoto
La casa degli spiriti – Isabel Allende
La ciociara – Alberto Moravia 
La collina dei conigli – Richard Adams
La coscienza di Zeno – Italo Svevo
La Divina Commedia – Dante Alighieri
La donna in bianco – Wilkie Collins
La fabbrica di cioccolato – Roald Dahl
La famiglia Winshow – Johnathan Coe
La fattoria degli animali – George Orwell
La fattoria delle magre consolazioni – Stella Gibbons
La fiera delle vanità – William Makepeace Thackeray
La lettera scarlatta – Nathaniel Hawthorne
La luna e i falò – Cesare Pavese
La Storia – Elsa Morante
La trilogia della città di K – Agosta Kristof
La verità sul caso Harry Quebert – Joel Dicker
La versione di Barney – Mordecai Richler
L'alchimista – Paulo Coelho
L'amore ai tempi del colera – Gabriel García Márquez
L'arte della guerra – Sun Tzu
L'arte di essere felici – Arthur Schopenhauer 
Le affinità elettive – Goethe
Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie – Lewis Carroll
Le Avventure di Pinocchio – Collodi
Le Avventure di Sherlock Holmes – Sir Arthur Conan Doyle
Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco – George R. R. Martin
Le notti bianche – Fedor Dostoevski
L'eleganza del riccio – Muriel Barbery
Lessico Familiare – Natalia Ginzburg
Lettera a un bambino mai nato – Oriana Fallaci
L'insostenibile leggerezza dell'essere – Milan Kundera
L'isola del tesoro – Robert Louis Stevenson
Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte – Mark Haddon
Lolita – Vladimir Nabokov
L'ombra del vento – Carlos Ruiz Zafon
L'ombra dello scorpione – Stephen King
L'opera completa di Shakespeare
Madame Bovary – Gustave Flaubert
Mattatoio n. 5 – Kurt Vonnegut 
Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar
Memorie di una geisha – Arthur Golden
Middlemarch – George Eliot
Moby Dick – Herman Melville
Morty l'apprendista – Terry Pratchett
Niente di nuovo sul fronte occidentale – Remarque
Night watch – Terry Pratchett
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino – Christiane F.
Non ora, non qui – Erri De Luca
Norwegian Wood – Haruki Murakami 
Notes From A Small Island – Bill Bryson
Oceano mare – Alessandro Baricco
Odissea – Omero
Oliver Twist – Charles Dickens
Opinioni di un clown – Heinrich Boll
Orgoglio e pregiudizio – Jane Austen
Pastorale americana – Philip Roth
Persuasione – Jane Austen
Piccole donne – Louisa May Alcott
Possession – AS Byatt
Preghiera per un amico – John Irving
Quel che resta del giorno – Kazuo Ishiguro
Queste oscure materie – Philip Pulman
Racconto di due città – Charles Dickens
Rebecca, la prima moglie – Daphne du Maurier
Ritorno a Brideshead – Evelyn Waugh
Se questo è un uomo – Primo Levi
Shining – Stephen King
Siddharta – Hermann Hesse
Sostiene Pereira – Tabucchi
Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare – Luis Sepulveda
Suite francese – Irene Nemirovsky
Sulla strada – Jack Kerouac 
Tess dei d'Urbervilles – Thomas Hardy 
The Faraway Tree Collection – Enid Blyton
The Wasp Factory – Iain Banks
Tre Uomini in Barca – Jerome K. Jerome
Uccelli di rovo – Colleen McCullough
Ulisse – James Joyce
Un Uomo – Oriana Fallaci
Una città come Alice – Nevil Shute
Uomini e topi – John Steinbeck
Via col vento – Margaret Mitchell
Via dalla pazza folla – Thomas Hardy
Vita di Pi – Yann Martel
Winnie the Pooh – AA Milne
Mi sembra strano che autori come Baudelaire, Wilde o Shakespeare siano stati citati un'unica volta, così come il Diario di Anna Frank o Ulisse di Joyce - che per carità possono piacere o non piacere, ma sono comunque importanti dal punto di vista storico il primo ed il padre del modernismo inglese il secondo - mentre Harry Potter o Il Signore degli Anelli erano presenti in tutte le liste - anche qui, importantissimi per la storia del fantasy e perfino rivoluzionari, ma paragonarli a Shakespeare?
E voi, cosa ne pensate? Siete d'accordo, anche parzialmente, o ci sono grandi assenti? Fatemelo sapere nei reblog :)
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pangeanews · 5 years
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50 anni senza Jack Kerouac! Ipotesi per un Dizionario Kerouachiano. Parte prima: dalla A di Alcol alla L di Lowell
A cinquant’anni dalla pubblicazione di Satori a Parigi, resoconto del viaggi in Francia di Jack Kerouac, a trenta dalla traduzione edita da Mondadori, e per ricordarsi anche che l’anno che viene segnerà il cinquantennale della morte del grande romanziere d’origine quebecuoise, tanto famoso quanto male incasellato autore di Sulla strada, I sotterranei, Big Sur, Il dottor Sax, Angeli di desolazione, Visioni di Gerard e di versi come quelli di Mexico City Blues, un abbozzo di dizionario, una ventina di spunti per riscoprirlo.
Una sincopata esplorazione di temi standard su cui è bene tornare, aspetti più o meno noti di un autore vittima dei cliché ideologici imposti dalla sua prima, pur meritoria, promotrice, Fernanda Pivano, e dallo spirito del tempo, degli anni che certo incarnò ma da cui volle anche prendere risolutamente le distanze, e in cui scrisse, fu letto e si appropriarono della sua poesia, delle sue visioni, fino a farne un santino hippie, sinistrorso, rivoluzionario, progressista. Una cantonata.
Non che ne sia stata l’unica vittima. La lista è lunghissima e prestigiosa. Tra gli altri Hemingway e Chatwin. E un altro beat, William Burroughs, di cui Kerouac scrive che: “aveva un debole sentimentale per l’America dei vecchi tempi, soprattutto degli anni Dieci, quando […] il Paese era selvaggio, rissoso e libero, libertà di ogni genere in abbondanza per tutti. La cosa che odiava di più era la burocrazia di Washington; subito dopo venivano i progressisti; poi i poliziotti.”
Kerouac non solo generazionale ma anche eterno. Kerouac non solo stelle e strisce ma anche francese. Kerouac non solo beat ma anche proustiano. Kerouac non solo nomadista ma anche sedentario. Kerouac non solo droghe e alcol ma anche cattolico. Kerouac non solo scrittore ma anche pittore. Kerouac non solo celibe in macchina sulle strade d’America. Kerouac anche a scrivere nella casa di sua madre. Kerouac anche alla ricerca del padre nelle chiese di Francia. Kerouac da rileggere, riscoprire e ridefinire, dalla A alla Z…
*
Dizionario Kerouachiano (parte prima):
Alcol – La ricerca di paradisi visionari per via artificiale finì male per Jack. La prossimità con la madre, a sua volta alcolista, non gli fu d’aiuto. Ciò non toglie che pagine apocalittiche come ultime di Big Sur non possono esser lette solo come un episodio di delirio alcolico. Lo attestano le immagini, simili ma ben più lucide, de Il dottor Sax. Si tratta di testimonianze di visioni che sono pari a quelle di Dostoevskij, l’epilettico… Che ne L’eterno marito scriveva: “Uno beve la propria tristezza e quasi se ne ubriaca”. Nel caso di Jack si tolga il quasi. Tra Parigi e la Bretagna, cognac. Proprio in Satori a Parigi scrive: “E io, a volte detestabile, so essere dolce. Invecchiando divenni un ubriacone. Perché? Perché amo l’estasi della mente. / Sono un Disastro. / Ma amo l’amore”.
Beato – Kerouac era un beat. Anzi inventò il beat. Da non confondere con beatnick, illegittima appropriazione da parte di gruppetti hippie di una parola che il romanziere aveva radici antiche, medievali, chiaramente cristiane, nella “beatitudine”. Quella dei santi cattolici. Non dei guru New Age…
Cattolicesimo – Tutta la vita, l’opera, le idee, le radici, le ricerche, le visioni di Kerouac sono profondamente permeate dal Cattolicesimo dei padri, a tratti sincreticamente fuso con meditazioni, affermazioni, letture, episodi legati alle discipline d’Oriente, zigzag attorno alla linea cui fu sempre fedele.
Droga – Morfina, anfetamine, marijuana, funghi allucinogeni. Oltre a bere, Kerouac provò molte sostanze tossiche. Passò d’altronde gran parte della vita con dei drogati. Fu una delle ragioni delle sue crisi e della sua morte. Lui che a destra seppe farsi soltanto acerrimi nemici. (Verso la fine della sua vita, in uno show televisivo raccontò ridendo d’essere appena stato fermato da dei poliziotti per decay e vale a dire “decadenza”). Lui che non ebbe remore a dirsi avverso alla sinistra. (Altro aneddoto, negli Cinquanta si divertì a guardare in televisione la “caccia alle streghe” fumando marijuana e tifando per il senatore Joe McCarthy). Lui che, come molti cattolici, rimane inclassificabile.
Europa – Viaggiando sulle strade degli Stati Uniti: “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati” – “Dove andiamo?” – “Non lo so, ma dobbiamo andare”. Così in Sulla strada. E in Satori a Parigi: “Insomma stavo cercando di scoprire qualcosa della mia famiglia, io fui il primo Lebris de Kérouack che mai tornò in Francia in 210 anni e meditavo di andare in Bretagna e poi in Cornovaglia Inghilterra”. (Pierre Drieu La Rochelle in una recensione ad Addio alle armi di Hemingway, tradotta ne L’eroe da romanzo, parla di “dolente bisogno dell’Europa”).
Francia e Francofonia – La Francia, e più precisamente Bretagna e Normandia, era la terra d’origine degli antenati di Jack, il cui vero nome era d’altronde Jean Louis, e Kirouac il cognome originario, modificato dal nonno Jean Baptiste quando sbarcò nel “Nuovo Mondo”. La lingua madre di Kerouac non era dunque affatto l’inglese americano bensì il francese dei canadesi spregiativamente detti canuck, ovvero francofoni del Quebec. Il soprannome che si dette, “’Ti Jean”, è poi la forma contratta di “Petit Jean”, Piccolo Jean. Anche la parola beat è meglio comprensibile se si pensa alla sua versione francofona, béat. Jack era solito chiamare in francese, mémêre, ovvero mammina, la madre Gabrielle Ange. Tra i francofoni che ha letto, Pascal, Voltaire, Balzac, Chateaubriand, Céline, Montherlant. La sua prima raccolta di versi, ancora inedita, l’ha scritta in francese, in contemporanea a Sulla strada, e s’intitola La Nuit est ma femme [La notte è la mia donna]… In Satori a Parigi afferma che il suo nome originale sarebbe Jean Louis Lebris de Kérouac, e di recarsi in Francia proprio per trovare, senza riuscirci, né alla Nationale né alla Mazarine, delle prove a questo proposito (“Sicuramente de Kérouack dovrebbe esistere in Francia visto che è registrato nel British Museum di Londra”) e in particolare del fatto di essere un discendente dai principi di Bretagna e di un ufficiale di stanza a Montcalm, Quebec, a metà Ottocento.
Gerard, Gatti e Gargolle – Visioni di Gerard, l’esile romanzo dedicato alla figura del fratello maggiore morto a soli quattro anni, è assieme a Pic uno dei libri più struggenti e misconosciuti delle lettere nordamericane. Appunti a riguardo: – La visione compassionevole di Kerouac verso il mondo e le creature ha accenti francescani. – La compassione di Kerouac è inscindibilmente connessa a un profondo senso di malinconia. – L’amore dello scrittore è universale, nei confronti del fratello come dei gatti, e su tutti Tyke. – I più grandi autori moderni sono stati fotografati con gatti, quando non ne hanno pure scritto. – Ricordarsi di Poe e Baudelaire, Twain e Lovecraft, Eliot e Neruda, Drieu e Céline, Nimier e Bukowski, Kerouac e Burroughs. – Necessario sarebbe un fotoritratto di ogni grande scrittore moderno in contemplazione delle gargouille delle cattedrali francesi. Tra gatti e gargolle: – Leggendo di Gerard si ha l’impressione che il romanziere più che un gatto tra le braccia abbia una gargolla distesa sul ventre, a fargli vibrare di fusa il ventre, a piantargli gli artigli nel cuore.
Holmes, Hipster, Huncke – John Cellion Holmes, poeta e docente universitario americano, considerato uno degli iniziatori del genere Beat (con Go e con l’articolo This is Beat Generation, entrambi del 1952), in un saggio intitolato The Name of the Game sottolinea la grande capacità che Kerouac ebbe di descrivere lo stato mentale dei giovani hipster (nulla a che vedere con gli ininteressanti hipster degli anni Duemila), che come lui camminavano lungo le strade di New York, “guardinghi, come dei gatti, rasenti ai palazzi, nella strada ma non della strada”. Un po’ dei Gesù Cristi. Cf. Giovanni 15,15-19. Nel suo articolo Holmes attribuiva la paternità del nome Beat allo stesso Kerouac, il quale l’attribuì invece a Herbert Huncke… Altro figlio del Massachussets trasferitosi a New York, dove alla Columbia University incontrò Kerouac, Burroughs e Ginsberg.
Icone – Grande appassionato d’arte, lo scrittore studiò tanto la pittura degli informali newyorkesi quanto l’arte europea dei secoli passati. Di suo realizzò, in forme tra l’astratto e il figurativo, una serie di ritratti di personaggi famosi, da Joan Crawford a Truman Capote. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò in particolare a ritrarre uomini di Chiesa, tra i quali anche il cardinal Montini, Paolo VI. Sue opere sono state esposte presso il Museo d’Arte di Gallarate, in provincia di Milano, in occasione della mostra Beat Painting.
Lowell – Leggere Il dottor Sax: Kerouac lo considerava il suo miglior romanzo. Questo è il suo incipit: “L’altra notte ho sognato che mi trovavo seduto sul marciapiede di Moody Street, Pawtucketville, Lowell, Massachusetts, con carta e matita in mano e mi dicevo: ‘Descrivi l’asfalto grinzoso di questo marciapiede, e anche i paletti di ferro dell’Istituto Tessile, oppure il portone dove Lousy e tu e G. J. vi mettete sempre a sedere, e non soffermarti a pensare alle parole quando ti fermi, soffermati solo per immaginare meglio la scena – e lascia vagare libera la mente in questa storia’”. Guardare in rete qualche fotografia della cittadina in cui Jack nacque e visse tutta la sua infanzia. (I fiumi, il canale, gli alberi, i ponti, le strade, gli edifici di mattoni rossi, la neve). Sognare della propria. A Lowell è ambientato anche il romanzo Maggie Cassidy, che dà conto della partenza dalla città. (Sempre a Lowell sono nati anche l’attrice Bette Davis e lo scrittore Tom Sexton).
Marco Settimini
*continua
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“Vito Perri Freed,” Toronto Globe. October 30, 1931. Page 12. ---- Niagara Falls, Ont., Oct. 29. - (Special.) - On advice of Crown Attorney T. D. Cowper, the charge of wounding laid against Vito Perri was withdrawn in police court. Perri was fired upon by Louis Gatto and Vitto Del Vecchio, and was alleged to have wounded five people with buckshot when he fired in self-defense. Gatto this week received a life sentence and Del Vecchio ten years.
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Il topo Jerry si trasferisce nel miglior hotel di New York alla vigilia del "matrimonio del secolo", costringendo il disperato organizzatore dell'evento ad assumere il gatto Tom per sbarazzarsi di lui. La conseguente battaglia tra gatto e topo minaccia di distruggere la sua carriera, il matrimonio e forse l'hotel stesso. Ma presto, sorge un problema ancora più grande: uno staff diabolicamente ambizioso che cospira contro tutti e tre.
Rilasciato: 2021-02-12 Genere: Commedia, Famiglia, Animazione Stelle: William Hanna, Mel Blanc, Chloë Grace Moretz, Michael Peña, Jordan Bolger Regista: Lucinda Syson, Joseph Barbera, William Hanna, Tim Story, Tim Story
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Dopo una lunga parentesi di stasi creativa e scarsità di produzioni, "Tom & Jerry Film completo italiano " dovuta forse alla maggiore attenzione riservata alle produzioni commerciali, i corti sono stati ampiamente rivalutati già a partire dagli anni ottanta, anche con l istituzione di numerosi concorsi e festival cinematografici a loro riservati Negli anni duemila, poi, grazie alla sempre più ampia diffusione di tecnologie per gli effetti speciali digitali a basso costo, hanno cominciato a proliferare una gLa guerra lampo dei fratelli Marxde quantità di opere amatoriali assai elaborate, di fantascienza o qualsivoglia genere, il cui livello qualitativo è spesso capace di eguagliare quello delle maggiori produzioni cinematografiche
Le prime proiezioni pubbliche di film a cui è stata addebitata l ammissione sono state fatte nel 1895 dall americano Woodville Latham e dai suoi figli, usando film prodotti dalla loro società Eidoloscope , [2] e dai - probabilmente meglio conosciuti - fratelli fLa guerra lampo dei fratelli Marxcesi Auguste e Louis Lumière con dieci delle loro produzioni [ citazione necessaria ] Le proiezioni private le avevano precedute di diversi mesi, con Latham leggermente precedente ai fratelli Lumière [ scaricare Tom & Jerry Film completo sub ita ]
La terminologia utilizzata per descrivere i film varia notevolmente tra inglese britannico e americano Tom & Jerry Film streaming Altadefinizione Nell uso britannico, il nome del mezzo è "film" La parola "film" è compresa ma raramente usata [7] [8] Inoltre, "le immagini" (plurale) sono usate semi-frequentemente per fare riferimento al luogo in cui sono esposti i film, mentre in inglese americano questo può essere chiamato "film", ma sta diventando obsoleto In altri paesi, il luogo in cui sono esposti i film può essere chiamato cinema o cinema Al contrario, negli Stati Uniti, il "film" è la forma predominante Sebbene le parole "film" e "film" siano talvolta usate in modo intercambiabile, "film"aspetti teorici o tecnici Il termine "film" si riferisce più spesso a aspetti di intrattenimento o commerciali , come dove andare per divertirsi la sera ad un appuntamento Ad esempio, un libro intitolato "Come capire un film" verrebbe probabilmente sull estetica o la teoria del film, mentre un libro intitolato "Let s Go to the Movies" verrebbe probabilmente sulla storia di film e film di successo
citazione necessaria I miglioramenti dalla fine del 19 ° secolo includono la meccanizzazione delle telecamere Tom & Jerry Film streaming CB01 che consente loro di registrare a una velocità costante, un design silenzioso della telecamera - consentendo al suono registrato sul set di essere utilizzabile senza richiedere gL'angelo sterminatoredi "dirigibili" per racchiudere la telecamera, l invenzione di più sofisticati film e obiettivi , che consentono ai registi di filmare in condizioni sempre più deboli, e lo sviluppo di suoni sincronizzati, che consente di registrare il suono esattamente alla stessa velocità della sua azione corrispondente La colonna sonora può essere registrata separatamente dalle riprese del film, ma per le immagini dal vivo, molte parti della colonna sonora vengono generalmente registrate contempoL'angelo sterminatoreeamente
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Build-A-Bear lancia la linea Promise Pets, promuove le capacità di responsabilità degli animali nei bambini con l'app interattiva
La partnership con la Petfinder Foundation sottolinea l'eredità del sostegno di Build-A-Bear per il benessere degli animali Build-A-Bear ha lanciato la sua nuova linea di prodotti - Promise Pets - la collezione di peluche per animali domestici più realistica della società fino ad oggi. La linea Promise Pets include un'app mobile complementare che le famiglie possono scaricare su iTunes App Store o Google Play Store. L'app Promise Pets dà vita all'esperienza della cura degli animali domestici, insegnando ai bambini la cura degli animali attraverso un'esperienza di gioco interattiva. (PRNewsFoto / Build-A-Bear)
ST. LOUIS, 9 aprile 2015 - Build-A-Bear (NYSE: BBW), un rivenditore di intrattenimento interattivo di animali di peluche personalizzati, ha lanciato la sua nuova linea di prodotti - Promise Pets ™ - la collezione di peluche più realistica dell'azienda fino ad oggi. La linea Promise Pets presenta un'app mobile complementare che le famiglie possono scaricare per dare vita all'esperienza della cura degli animali, insegnando ai bambini la cura degli animali attraverso un'esperienza di gioco interattiva.
Le razze nella collezione includono Golden Retriever, Beagle, Yorkshire Terrier e Persian Kitten. Build-A-Bear prevede di introdurre più razze durante l'anno.
"In linea con la nostra iniziativa strategica di espansione del prodotto per creare un gioco oltre il peluche, la nostra app interattiva Promise Pets fornisce una piattaforma per insegnare ai bambini l'importanza del benessere degli animali e la responsabilità per la loro cura", ha affermato Gina Collins, chief marketing officer, Build-A -Orso. "Inoltre, la nostra partnership con Petfinder è una testimonianza dell'eredità di Build-A-Bear di sostenere gli animali nei programmi di adozione di animali domestici e sottolinea il nostro impegno ad aggiungere un po 'più di cuore alla vita con collaborazioni filantropiche uniche".
App mobile Promise Pets L'app mobile Promise Pets offre ai bambini un'esperienza realistica di gioco degli animali mentre insegna loro la responsabilità della proprietà degli animali domestici. Gli utenti dell'app inizieranno come "Pet Care Rookies" e si faranno strada attraverso cinque livelli di certificazione per ottenere lo stato definitivo di "Pet Care Pro". Attraverso giochi divertenti e coinvolgenti, gli utenti potranno raccogliere punti zampa, guadagnare certificati e dare al loro animale domestico tutto l'affetto e le cure che merita.
Alimentazione: ogni animale ha esigenze di alimentazione diverse, ma è importante che ogni animale lo alimenti secondo un programma, usi il controllo delle porzioni, fornisca molta acqua e fornisca snack e dolcetti. Ricorda, i dolcetti dovrebbero essere usati solo come ricompensa.Addestramento al vasino: quando si tratta di addestrare il vasino al tuo animale domestico, iniziare non appena lo porti a casa ti aiuterà a garantire il successo. Ricorda sempre che l'addestramento in casa di un cane, un gatto o un altro animale domestico richiede una routine e molta pratica.Controlli veterinari: portare il tuo animale domestico a controlli veterinari di routine è importante per aiutare il veterinario a tenere un registro della normale salute e comportamento del tuo animale domestico e coglierne i segni Esercizio fisico: svolgere attività quotidiane con i tuoi animali domestici, come camminare o giocare con giocattoli che mettono alla prova la loro curiosità, può aiutare a mantenere la loro salute fisica e mentale. Toelettatura: è importante mantenere il tuo animale ben curato, che per molti animali comportano regolarmente il bagno, il controllo delle pulci e lo spazzolamento. Gli utenti possono scaricare l'app Promise Pets dall'App Store di iTunes o dal Google Play Store.
Petfinder Partnership Nell'ambito del lancio, Build-A-Bear collabora con Petfinder.com e la Petfinder Foundation per aiutare gli animali domestici a trovare un rifugio felice. Petfinder.com è il più grande database ricercabile di animali domestici adottabili negli Stati Uniti ed è responsabile del 44% delle adozioni di animali domestici in tutto il Nord America, mentre Petfinder Foundation è un'organizzazione senza scopo di lucro indipendente che aiuta le agenzie locali per il benessere degli animali a promuovere le adozioni di animali domestici. I beneficiari delle sovvenzioni dell'organizzazione includono più di 13.000 organizzazioni, che si prendono cura di più di 300.000 animali domestici senzatetto in qualsiasi momento in tutto il Nord America.
Da ora fino al 31 maggio, gli ospiti negli Stati Uniti possono fare una donazione di $ 1,00 o più, tramite pagamento in negozio o online, alla Build-A-Bear Workshop Foundation per sostenere i programmi educativi locali che insegnano ai bambini come prendersi cura degli animali domestici. Questo programma di sovvenzioni nazionali sarà gestito dalla Petfinder Foundation.
"Build-A-Bear è il partner perfetto per aiutarci a educare le famiglie, in particolare i bambini, su come possono aiutare a trovare case felici per fantastici animali domestici attualmente disponibili nei rifugi e nei soccorsi", ha affermato Emily Fesler, marketing manager, Petfinder. "Crediamo che se i bambini imparano in giovane età, la loro compassione per gli animali porterà avanti tutta la loro vita e, si spera, li spronerà ad adottare i propri animali domestici in futuro".
Un'eredità da restituire a Build-A-Bear Sin dal suo inizio, Build-A-Bear ha concentrato i suoi sforzi di sensibilizzazione della comunità sul miglioramento della vita di bambini, famiglie e animali. Insieme, l'azienda ei suoi ospiti hanno donato più di 41 milioni di dollari a livello globale a organizzazioni tra cui Make-A-Wish, USO, The Marine Toys for Tots Foundation, DonorsChoose.org, First Book e dozzine di altre organizzazioni non profit a sostegno della salute e del benessere dei bambini, nazionali animali domestici, alfabetizzazione e istruzione e altre cause importanti.
Informazioni su Build-A-Bear Workshop, Inc. Fondata a St. Louis nel 1997, Build-A-Bear Workshop, Inc. è l'unica azienda globale che offre un'esperienza interattiva di intrattenimento al dettaglio di animali imbalsamati. Ci sono circa 400 negozi Build-A-Bear Workshop in tutto il mondo, inclusi negozi di proprietà dell'azienda negli Stati Uniti, Porto Rico, Canada, Regno Unito, Irlanda e Danimarca e negozi in franchising in Europa, Asia, Australia, Africa e Medio Oriente e Messico. La società è stata nominata nell'elenco FORTUNE 100 Best Companies to Work For® per il settimo anno consecutivo nel 2015. Build-A-Bear Workshop (NYSE: BBW) ha registrato un fatturato totale di $ 392,4 milioni nell'anno fiscale 2014. Per ulteriori informazioni, chiamare il numero 888.560.BEAR (2327) o visitare la sezione Investor Relations del suo sito Web all'indirizzo buildabear.com®.
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iltrombadore · 3 years
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“La tua leggenda, Dora!” La tormentata e simbolica esperienza umana dell’ artista che fu la succube modella di Picasso...
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Nel vasto salone al primo piano del museo Fortuny, tra le dovizie imbandite di quello scenario Art Nouveau con lampade, dipinti, tessuti ed abiti di seta e velluto che rivestono le pareti, nella primavera-estate del 2014 una serie di gemme visive sbucò con l’evidenza della rarità: erano le fotografie di Dora Maar, che visse un tormentato amore con Pablo Picasso subendone la personalità al punto di trasformarsi nel più disponibile, acquiescente e più famoso tra i modelli prescelti.
Le foto di Dora, riemerse dal suo archivio per merito della studiosa Victoria Combalìa, inaugurarono la mostra veneziana (“Dora Maar. Nonostante Picasso”) al merito di un’ artista dallo sguardo malinconico e penetrante, documentario e sognatore, fiorita nella Parigi tra le due guerre mondiali e pervasa dal clima incandescente della ‘rivoluzione surrealista’.
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Ecco, nelle stanze addobbate del Fortuny, sorgere il profilo inatteso di una storia individuale, l’ avventura di un’ artista con il suo occhio prensile e creativo, l’ espressività piena di pathos ed ironia delicata e attenta agli istanti drammatici della vita quotidiana, sismografo del tempo e dei suoi paradossi secondo le regole bene interpretate della ‘estraniazione’ surrealista.
Prima di conoscere Picasso, Dora Maar , alias Dorothea Markovic (1907-1997), franco- croata di origine ebraica (per parte di padre) era stata una fotografa di notevole qualità, emula di Man Ray e capace di stringere nell’ immagine una capacità di racconto e invenzione. Una volta entrata nella famiglia artistica di Montparnasse (  Breton, Eluard e tutti gli altri) si era accreditata come fotografa di moda e pubblicità, con ritratti e nudi di donna dalla scintillante individuazione fisiognomica e caratteriale (tra questi, oltre alla  indimenticabile ‘Nusch’ Eluard, c’è anche il ritratto in chiaro oscuro, ‘le visage posé sur la main’, di un mito androgino degli anni Trenta, la cantante saffica Suzy Solidor, che nel suo cabaret ‘La vie Parisienne’ attraeva tutto il milieu culturale di avanguardia: da Jean Cocteau, a Jean Louis Barrault, Tamara de Lempicka, la Duchesse de La Salle …).
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Di primo acchito appaiono alcuni piccoli e preziosi cammei. Ecco Dora, mentre ritrae l’amica ‘Nusch’ Eluard, ‘accoudée, les mains sur le visage’, per una posa attonita, dai lineamenti riflessi in uno specchio che riassume quell’ ideale disincarnato, etereo e onirico di bellezza ‘convulsiva’, della vocazione surrealista.
‘…Les sentiments apparents/ la légèrete d’approche/ la chévelure de caresses…’: così Paul Eluard raccontava di ‘Nusch’ già nel 1935 in un ‘fotopoema’ realizzato insieme a Man Ray; ma la delicata fantasia di Dora Maar avrebbe di lì a poco immortalato con altrettanta efficacia la felicità di quell’ amore integralmente laico grazie ad un’ immagine ‘entrelacée’ della coppia schermata da un frastaglio orizzontale di ombre e di luci.
Il poeta e ‘Nusch’ si trovavano allora a Mougins, sulla Costa Azzurra, nel 1937, mentre Dora viveva il suo idillio con Picasso, e si apprestava a posare nella parte della donna che in ‘Guernica’ urla di terrore e solleva col braccio una lampada accesa in mezzo al delirio di corpi devastati nel fragore del bombardamento. Dora fece la modella, poi fotografò le sequenze della esecuzione di ‘Guernica’ e le pubblicò sui ‘Cahiers d’Art’ appena il quadro venne terminato. Lei, però, non salì sul palcoscenico della fama. Picasso l’aveva incitata ad abbandonare la fotografia per tentare la pittura: lei aveva ubbidito, e lui non avrebbe risparmiato le sue acuminate frecce (‘..tanti segni per non dire niente…’).
Poi, erano sopraggiunte, giustificate o meno, le gelosie: verso la compagna precedente di Pablo, Marie Therèse Walther, che gli aveva dato una figlia, mettendo Dora di fronte alla sua non voluta sterilità (‘…l’aridità, il deserto, io sono il luogo dove si getta il seme e non fiorisce…’). Modella, preferì riconoscersi nei ritratti di donna che piange, con il gatto, il volto deformato da spigoli e diagonali (‘…sono la donna verde dei quadri del genio, sono l’idea stessa del dolore: il mio, il suo, il dolore del mondo…’).
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Dora era bella, con un ovale dagli zigomi orientali, due grandi occhi sempre spalancati, che tornano nei lineamenti della picassiana ‘Femme qui pleure aux chapeau’ ( e Picasso diceva di lei: ‘…per me è sempre stata la donna che piange…’).
Errante, erotica, eretica, Dora Maar: lo era stata con lui, e qualche anno prima con l’altro amante Georges Bataille, il mistico indagatore dell’ eros acefalo, che l’aveva accompagnata nei sobborghi di Barcellona e Parigi, in lunghe escursioni ai confini della realtà, per escogitare la magia delle cose viste, praticando il ‘surrealismo della strada’: una bambola appesa ad un chiodo su una staccionata, mendicanti, bambini emarginati dietro cancellate dirute, piccoli Jackie Koogan nelle baracche di Barcellona, Parigi e Londra, e ancora manichini, erme di ponteggi sulla Senna, e soprattutto fotomontaggi dettati dalla volontà di esaltare il lato spaesante della realtà.
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Il gusto per il dettaglio, un certo preziosismo dell’ impaginato, la tornitura affettiva dello sguardo, definiscono uno stile che si differenzia dal sintetico approccio compositivo del suo maestro Man Ray. Fotografie solarizzate, sovraimpressioni, fotomontaggi, non tolgono al linguaggio visivo di Dora un certo tono sentimentale che la rende partecipe della scena raffigurata, tanto che di fronte alle immagini pare anche di ascoltare la sua voce di commento, almeno come ce la ricorda lo scrittore americano James Lord, amico e biografo di Picasso, che ne restò incantato: ‘…aveva una bella voce, singolare, unica. Era come il gorgheggio del canto degli uccelli…’.
Molto limpide, le immagini, chiare e distinte e gravide di emotività: la stessa emotività che impedì forse alla Maar di reggere l’urto con la personalità onnivora di Picasso, e le procurò la depressione di cui soffrì lungamente dopo che lui, nel 1943, si distaccò per amare la più giovane Francoise Gilot, penultima compagna di vita. L’isolamento psichico in cui la donna si ridusse per quasi mezzo secolo (fino alla fine dei suoi giorni), i devastanti elettroshock, le sedute di psicoanalisi con Jacques Lacan, ebbero una causa scatenante nel convulso rapporto col trascinante malagueño (così ce la presenta la fama cinematografica che ha avuto lungo corso per il mid-cult divulgativo); ma è cosa certa che il temperamento malinconico e autodistruttivo di Dora traeva già la sua linfa speciale dall’ esperienza passata, da una inquietudine di donna nomade per destino e per carattere ( dal crollo austro-ungarico all’ emigrazione argentina e infine nella Francia dell’estenuato dopoguerra del Dada, dei Bardamu e degli Stawisky ) alle prese con l’ansia di smarrita identità. Picasso se ne era innamorato incontrandola seduta ad un tavolo dei Deux Magots, pronubi gli amici ‘Nusch’ e Paul Eluard, mentre sfidava la sorte e si feriva lanciando un  coltello tra le dita aperte della mano inguantata (lui, allora, le tolse il guanto di poco insanguinato, e se lo tenne come pegno del loro incontro…).
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Di questa ribelle e introversa fragilità, dal fondo masochista, è testimone l’opera fotografica di Dora come anche la sua vita, compresa la decisione di assoggettarsi alle peripezie artistiche del suo uomo, dedizione da intendere primaditutto come un altrettanto personale ‘comportamento estetico’ (l’abbandono, l’annullamento totale di sé, il divenire totalmente ‘altro’ secondo il motivo surreal-rimbaudiano: ‘Je est un autre’). Così che se fu vittima, Dora fu certamente consenziente, ancorché sofferente…
Nel secondo dopo guerra, perduto Picasso, perduto il padre, oltre il tempo delle crisi psicotiche, Dora recuperò lentamente una traccia di vita interiore, una meditazione che la portò ad abbracciare la fede cristiana: divenne cattolica fervente di stampo tradizionalista secondo i precetti di Dom Jean de Monleon, l’ultimo dei suoi padri spirituali, fino a quando non morì, a Parigi, nel 1997. Non usciva né aveva più il piacere di curiosare tra le cose viste per la strada, continuò però a dipingere (in forme sempre più stilizzate) e a fotografare, si concentrò sul repertorio del suo archivio fotografico, vide solo pochi intimi amici (Cocteau, la de Noailles, Oscar Dominguez) e attenuò tutto il rancore che aveva pubblicamente dichiarato nei confronti di Picasso, la passione perduta.
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Si sarebbe così venuta attenuando la dicotomia di un comportamento nevrotico sintetizzato nei due poli della biografia amorosa (l’ invito alla ‘dépense’  della vita messa in gioco secondo le ispirazioni del primo amante, Georges Bataille; e la soggezione totale ad una sorta di ‘signoria sadiana’ di cui Pablo Picasso sarebbe il segno personificato) che potrebbe fungere da paradigma simbolico per le tipiche vicissitudini sentimentali e umane toccate alla condizione femminile nel XX secolo: nella perdita e l’abbandono della identità tradizionale, il sentimento consapevole di una presente differenza, il sopravvento ansioso di una liberazione intellettuale e morale nella pervasiva e sempre irrisolta contesa di potere e amore-attrazione per l’altro sesso.
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E tanto viene da pensare osservando l’opera di Dora: dalle foto di strada, ai ritratti, alle nature morte surreali, le architetture ribaltate, gli oggetti controluce, così come le pose da ‘modella picassiana’ che ce la restituiscono per tagli di zigomi, larghi occhi scompaginati, ritagli di visione angolare e prospettica, come un caleidoscopio di forma entro una sintetica, e incisiva, costituzione d’ immagine.
Metafora della femminilità turbata che attraversa il XX secolo, il volto e l’anima di Dora Maar si presentano come l’ inchiostro simpatico da decifrare una volta messo a contatto col reattivo giusto: così la eccentrica biografia dell’ inquieta nomade, ribelle e sottomessa, capace di intensa dedizione e di altrettanto impenetrabile isterismo psichico, si può tradurre in emblematico paradigma di una crisi spirituale.
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Sembra occasionale notare (ma ci sarà pure un valore, in tale concomitanza di ‘segni’) come quel suo diminutivo di ‘Dora’ (da Dorothea) non sembri quasi appartenere più alla singola esistenza di cui fu il segno, raccordandosi per simbolica omofonìa ad altre ‘Dora’ che furono oggetto di  attenzioni vaticinanti il dissidio tra i due sessi a contrassegno del moderno ‘disagio della civiltà’.
E toccò precisamente ad un’ altra inquieta ‘Dora’ (o Dorothea), sorella del socialmarxista austroungarico Otto Bauer, rigettare l’analisi cui l’aveva sottoposta Sigmund Freud nei primi anni del ‘900 dopo il tentativo di interpretarne i sogni quale ‘caso di isterìa’ che alla fine si rivelò come trauma psicologico causato dall’ esperienza diretta della ‘crisi familiare’ (gli adulteri, le avances degli amici paterni, eccetera). La vicenda fallimentare del caso Dora Bauer servì egualmente a Freud per le sue teorie sul ‘transfert’. Gli sfuggì tuttavia di sicuro il significato di quella insorgenza come sensibile ‘rivolta femminile’ a tutto un sistema di valori e convenzioni fondato su pregiudizio e rimozione del corpo delle donne.
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Non diversamente, ma forse con maggiore acume, sarebbe andata qualche decennio più tardi (tra il 1928 e il 1939) al compagno di simbolici ‘senhals’ di Eugenio Montale, l’amico Bobi Bazlen che incaricò il poeta di comporre versi in omaggio ad un’ altra ‘Dora’ (o Dorothea?) la fantomatica e inaccessibile Dora Markus, come traccia della quale aveva solo potuto mostrare una foto delle gambe dal ginocchio ai piedi contornate da un lembo di gonna plissettata…
Anche in questo caso l’ esistenza della donna evocata per accenni è negata nella sua pienezza: e pure da quel profilo senza volto, e senza identità, se ne ricava la poesia di una femminile inquietudine, di un’ esiliata dalla propria terra e dalla propria vita che sembra affidare la salvezza all’incantesimo di un piccolo portafortuna (‘…forse/ ti salva un amuleto che tu tieni/ vicino alla matita delle labbra,/ al piumino, alla lima:/ un topo bianco, d’avorio;/ e così esisti…’ .
La figura controluce di Dora Markus, che dal porto di Ravenna indica una ‘sponda invisibile’ della patria lontana con il cuore immerso in un ‘lago di indifferenza’, sembra il contrassegno di una metaforica coincidenza tra destini coevi: come quello dell’ altra Dora, la sofferente e docile modella di Picasso, paradigmatica figura di donna identificata nell’ incontro capitale della vita, fatto di magiche corrispondenze e premonizioni, per il desiderio di amare e di essere amati, per l’esistenza che si fa sogno e arte, secondo la regola della bellezza di Andrè Breton (‘la bellezza convulsiva sarà erotico-velata, esplosivo-fissa, magico-circostanziale, o non sarà’).
Anche nei versi di Eugenio Montale, il dramma dell’ambiguità tra arte ed esistenza si riconoscerà nell’esperienza ‘convulsiva’ dello scambio identitario di analoghe e distinte figure, associando la memoria di un premonitore ‘Carnevale’ della amica Gerti (‘…in un mondo soffiato entro una tremula bolla d’aria…’) alla comparsa del nome vagheggiato della indefinibile Dora (Markus), anche lei d’origine israelita e mitteleuropea, ‘oggetto ansioso’ della immaginazione, che mima il desiderio di fermare la fuga del tempo, parabola della sofferenza umana sullo sfondo di storiche (s’annunciava la guerra mondiale) e sempiterne catastrofi imminenti: ‘…La tua leggenda, Dora!/ Ma è scritta già in quegli sguardi/ di uomini che hanno fedine/ altere e deboli in grandi/ ritratti d’oro e ritorna/ ad ogni accordo che esprime/ l’armonica guasta dell’ ora/ che abbuia, sempre più tardi…’.
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