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#C’era una volta
semioticapocalypse · 2 months
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Tazio Secchiaroli. Sophia Loren on the set of ‘C’era una volta’. 1966
I Am Collective Memories   •    Follow me, — says Visual Ratatosk
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penelopeparis · 9 months
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‘90
Negli anni novanta ci si divertiva. Eravamo tutti più sereni. Saranno sereni i ragazzi di 20 anni oggi? Eravamo spensierati, ed ognuno con i suoi impegni, cose da fare, studio e lavoro, anche contemporaneamente, si rideva comunque di più. C’erano le compagnie, un gruppo di persone, sempre quelle, con cui si usciva, ogni tanto se ne aggiungeva uno, o uno se ne andava per altre strade da…
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seduccionarte · 2 months
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Claudia Cardinale en la película Hasta que llegó su hora (C’era una volta il West y en inglés Once upon a time in the West). Dirigida por Sergio Leone en 1968
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“I due riferimenti, i due pilastri, Toloi e De Roon (..) di cui si fida ciecamente Gasp”.
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Quentin Tarantino: Leonardo DiCaprio era "nervoso" nell'improvvisare il monologo di C'era una volta a Hollywood
Quentin Tarantino: Leonardo DiCaprio era “nervoso” nell’improvvisare il monologo di C’era una volta a Hollywood
Leonardo DiCaprio ha avuto qualche esitazione a entrare pienamente nella mente di Rick Dalton. Interpretando l’attore immaginario degli anni ’70 in C’era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino, DiCaprio apparentemente era un po’ nervoso per gli scatti d’ira nei panni di Rick durante una tesa sequenza di monologo. La scena vede Rick (DiCaprio) precipitarsi fuori dal set dopo aver dimenticato…
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iannozzigiuseppe · 1 year
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Fiaba Sovversiva. C’era una volta un pianeta d’incompetenti e disonesti - Fabrizio Sabelli, disegni di Edmond Engel - Fefè Editore
Fiaba Sovversiva. C’era una volta un pianeta d’incompetenti e disonesti – Fabrizio Sabelli, disegni di Edmond Engel – Fefè Editore
Fiaba Sovversiva C’era una volta un pianeta d’incompetenti e disonesti Fabrizio Sabelli disegni di Edmond Engel FEFÈ EDITORE Quando i soprusi e l’incompetenza al potere arrivano al livello di guardia, viene il tempo della ribellione. Traballa l’ordine mercantile subdolamente totalitario. Questa è una fiaba: non troverete animali ma i Megamercanti, i Fintimaghi, la Piovra, i Loyoliti, i…
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dominousworld · 2 years
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C’era una volta la scuola
a cura di Lorenzo Tucci Il prodotto della filiera scolastica (prodotto, si intende, sotto specie umana) deve essere il cittadino globale e digitale. Il processo di lavorazione dello scolaro lungo il tempo della sua formazione oggi muove verso questo esito: forgiare il bravo cittadino, che sia insieme, appunto, globale e digitale. Era il 1943 quando Lewis, in un piccolo saggio intitolato…
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chez-mimich · 2 years
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ANNA FUNDER: C’ERA UNA VOLTA LA DDR
Ho sempre nutrito una passione malsana per la DDR, una passione che deve avere qualche causa psicanaliticamente analizzabile e spiegabile, ma non credo di essere l’unico ad aver nutrito una sorta di inspiegabile simpatia per quel regime così spietato. La Repubblica Democratica Tedesca, quella che esisteva prima del novembre del 1989, sembrava voler dimostrare che il socialismo potesse essere realizzato e che essa ne fosse la prova tangibile tanto che, per accedere a questa consolatoria convinzione, si era disposti anche a sorvolare su “qualche dettaglio”. Ecco sono proprio questi dettagli l’argomento del volumetto, edito nel lontano 2005 e riedito nel 2010 da Feltrinelli , che leggo solo ora (un regalo di compleanno di mio nipote Stefano che conosce le mie debolezze). “C’era una volta la DDR” (goffa ed insulsa traduzione di “Stasiland”) è un romanzo storico, semplicemente terribile, che racconta della più crudele e becera polizia politica di un regime moderno, la famigerata Stasi, attraverso le ricerche di Anna Funder, giornalista australiana che ha studiato a lungo la Germania Est ed ha vissuto a Berlino. Anna Funder ripercorre la vicenda della Stasi attraverso le testimonianze di vittime e carnefici, che nella Germania dell’Est fino al 1989, qualche volta, potevano essere anche incarnati in una stessa persona: molti cittadini spiavano per la Stasi ed erano a loro volta spiati. Del resto la cosa non sorprende visto che, per stessa ammissione di fonti ufficiali, il rapporto tra spie e spiati in quel losco regime era di uno a sei. Spina dorsale di tutto il libro è certamente la storia di Julia, una donna spiata e perseguitata a lungo dalla Stasi e che racconta la sua storia, fatta di pedinamenti, indagini, interrogatori e torture psicologiche a causa della posizione critica del padre verso il regime. “Nella DDR si chiedeva alla gente di acquisire per dati di fatto tutto un assortimento di invenzioni. Alcune erano fondamentali, come l’idea che la natura umana sia un’opera in via di realizzazione che può essere migliorata, e che il modo di farlo è il comunismo…” scrive Anna Funder. Altre invenzioni erano che nessun tedesco orientale fosse responsabile dell’Olocausto (cosa oggettivamente difficile da credere) e che il cosiddetto socialismo reale avrebbe portato alla pace. La Funder inoltre racconta, anche attraverso la voce dei testimoni, di una serie di assurdità che appaiono comuni a molte dittature di ogni colore, come per esempio che i telegiornali erano molto lunghi, poiché ogni volta veniva nominato Erich Honecker, venivano anche citati tutti i titoli e con tutte le sue funzioni, dalla primo all’ultima. Anna Funder penetra nello spettrale edificio della Stasi, il cosiddetto “palazzo di linoleum” nel quartiere Mitte, con edifici in cui predominano tutti i toni di grigio. La ricerca dei documenti risulta particolarmente semplice nonostante che, alla caduta del muro, la DDR avesse assunto centinaia di persone con lo specifico scopo di distruggerli. Ma, naturalmente, le scoperte non mancano a cominciare dalla intensa attività di Erich Mielke, famigerato capo della Stasi. Dopo la caduta del muro, i media tedeschi definirono la Stasi come “il più perfezionato sistema di sorveglianza di uno stato” e, quel che più colpisce del volume, è certamente il fatto che non si tratti solo di un saggio dotto e documentato del sistema di controllo e repressione della DDR, ma contemporaneamente una sorta di romanzo documentario che intreccia le vicende politiche a quelle umane di tanti abitanti della ex Germania democratica. Come tutti i libri di valore il tempo, che è intercorso tra la sua uscita editoriale e quello della lettura, non influisce minimamente sulla qualità della scrittura dell’autrice e nemmeno sulla disumanità di quelle vicende che urlano, ancora una volta, che qualsiasi democrazia difettosa, è sempre assai meglio di una perfetta dittatura. E qualche vicenda attuale ce lo ricorda, ancora una volta, con forza.
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mccek · 3 months
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Lettera aperta a tutti quelli che che mi hanno conosciuto. 
Passano gli anni ma mi rendo conto che chi sta meglio di me in realtà sta peggio. 
Persone che ho sempre voluto vedere felici, che mai avevo visto nemmeno di persona, hanno cercato di usarmi pensando fossi ingenuo, ma la bontà non è sinonimo di ingenuità, di debolezza, io ho aperto le porte a chiunque, perché dentro non smetterò mai di abbandonare quel bambino che sono stato, che condivideva anche i sorrisi che non aveva per sé stesso, ma che non avrebbe passato la notte se avesse saputo che il suo “amichetto/a” il giorno dopo avesse avuto il broncio. 
Perché siete “cresciuti” dando spazio all’odio? 
Perché anziché promettere ad altri non promettete a voi stessi di ritrovarvi? 
Di guardarvi dentro una volta tanto, e affondare nel male che avete condiviso con me, anziché condividere quella parte di “esseri umani” che era ancora insita in voi? 
Se foste stati di parola, come a quegli anni, non mi avreste mai abbandonato, così dicevate. 
Vedere lasciare soffrire una persona non rientrerà mai nei mei pensieri, anche se fosse qualcuno che, come successo fino all’altro ieri, ha fatto di tutto per mettermi i bastoni fra le ruote, no, perché so che anche il peggiore ha dentro qualcosa di positivo da condividere con chi gli sta accanto, solo che non lo sa, ma anche se fosse, non ci proverebbe minimamente a mostrarlo, l’egoismo è letale. 
Parto sempre dal presupposto che non ho lezioni da dare a nessuno, sono anni che passo muto ad osservarvi, non ho mai commentato una virgola, chi sarei per farlo? 
È proprio per questo, che ho preso in mano una penna e ho iniziato a sfogare tutto ciò che avevo dentro, quello che avrei voluto dirvi, ma sarebbero stati guai a raccontarvi quello che provavo, perché un consiglio oggi è visto come una condanna. 
Eppure vi ho sempre lasciato sfogare con me, vi ho sempre ascoltato, anche quando ne avevo le palle piene, avevo i problemi a casa con mia mamma e la sua maledetta malattia, io per anni non sono esistito per voi, ma non me ne vergogno, ho ammesso anche io i miei sbagli, ho chiesto scusa, anche quando non non mi andava di farlo, e soprattutto quando non c’era motivo per scusarmi, ma pensavo: “Magari domani sanno che potranno sfogarsi nuovamente con me, si sentiranno più liberi dal peso che questa società ci scaglia addosso”.
Quanto male mi son fatto!
Ma rifarei di nuovo tutto, vi verrei di nuovo incontro, vi vorrei vedere sorridere solo a sentirmi parlare, vi vorrei tutti più uniti, come da piccoli ricordate? 
Non c’era bimbo/a che stesse solo. 
Perché qualcuno andava a recuperarlo, anche a costo di restarci solo assieme. 
Ma abbiamo dimenticato, come si dimentica la storia, stessa identica cosa. 
Di voi ricordo ciò che dicevate tutti: “Mattia non cambiare non diventare come gli altri, hai qualcosa in più che non riuscirò mai a spiegarti”, questa frase me la ricordo ogni mattina quando mi sveglio, da quanti anni ormai? Troppi. 
Permettetemi una domanda? 
Perché voi siete cambiati? 
Per piacere a gente che poi vi ha fatto lo stesso gioco che avete fatto con me? 
Perché farsi del male da soli? 
Perché arrivare a non guardarsi più in faccia? 
E poi c’è ancora qualcuno che pensa di cambiare il mondo? 
Sì, uno ce n’era, il sottoscritto, ma non voleva cambiare il mondo, solamente la sua generazione, il mio sogno più grande, che continuerò anche se con molto sconforto, a portare avanti, “UNO CONTRO TUTTI”, chissà se ora qualcuno, capirà/collegherà tante mie frasi passate a cosa fossero collegate. 
Siete riusciti a darmi contro per una canzone su ciò che ho vissuto sulla mia pelle, e sono stato zitto, scendeva una lacrima, ma stavo zitto, so che qualcuno ancora l’ascolta e sappiate che vi leggo spesso nei commenti, e mi fa sorridere il fatto proprio da chi mi “odiava” ingiustificatamente alla fine è finito a farmi i complimenti, ma no, io non voglio queste cose, voglio solo capire perché un giorno disprezzate e l’altro apprezzate una persona come nulla fosse, ma non sapreste spiegarmelo, ne sarei sicuro. 
Io ho tanti di quei testi scritti negli ultimi anni, che spesso mi faccio paura da solo, non mi rendo conto di quanti ne scrivo, di quante cose il cuore comunica alla mano che spesso trema, come non volesse accettare quelle cose, ma deve, dobbiamo, accettare tutto in questa vita, ma io in primis non vorrei mai. 
Come non ho mai accettato le malattie di mia madre, la morte degli unici amici che avevo fin da quando ero adolescente, che sono gli angeli in terra che hanno evitato quel pensiero maledetto che avevo di togliermi la vita…ma qui mi fermo, perché ognuno di noi non accetta il passato, quindi si blocca, respira, e sa, che se continuasse a pensare a tutto ciò, prima o poi sarebbe lui stesso ad andarsene. 
Purtroppo la rabbia generata dalla mia generazione, da chi è passato per la mia anima, e dai quali ho voluto assorbire, pur di evitare di vedervi soffrire ancor di più, mi ha ucciso dentro.
Voi tutti qui, fuori da qui, avete visto Me per quel poco che mi è rimasto da far vedere esteriormente, con un maledetto sorriso che non farò mai mancare a nessuno, gentili o meno che siate con me; quelle poche volte che stavo al centro estivo le animatrici mi dicevano che un mio sorriso giornaliero, era la carica per tutti i ragazzi dello staff, e chi sono io per tenere musi?
Dentro non esisto più, da anni, ma sto cercando di recuperarmi, pezzo per pezzo, forse non mi basterà il resto della vita, ma voglio ritrovarmi anch’io. 
Il “numero uno” non esiste, qui dietro al mio essere, c’è solo tanta fragilità, tanta voglia di donare amore, un po’ di spensieratezza, anche se momentanea, di rialzare chi è a terra e spronarlo a rigenerarsi, assieme, mai da soli. 
Questa società c’ha fatto sbranare fra di noi, fatto credere che uno potesse essere meglio dell’altro, che potesse avere tutti ai suoi piedi, e noi ci abbiamo creduto, dai più piccoli ai più grandi, passando da un social alla vita reale, visto che ormai non c’è più differenza fra quest’ultime.
Voglio essere sincero con me stesso fino all’ultimo, anche a costo di perdere qualsiasi cosa ma mai la dignità, quindi risponderò a semplici domande che mi son state fatte negli ultimi anni, alle quali non ho mai voluto dare risposta. 
Cos’è l’amicizia? 
Puro opportunismo. 
Cos’è l’amore?
A 16 anni ti avrei risposto, quello che ha verso di me mia madre, piange, urla *silenziosamente* dai dolori, passa settimane a letto, ma rinasce quando mi vede felice, anche se solo per un giorno. 
Oggi? 
La stessa cosa. 
Il significato del termine “amore” mi ha aperto gli occhi mentre pensavo inconsciamente di viverlo, ma andando avanti si inciampa negli errori degli anni passati, e l’amore per giunta non è mai stato amore, è sempre quel qualcosa con una data di scadenza, una parola inventa per stupire un pubblico di creduloni, sii sincero, per quante forme possa avere l’amore, come può essere chiamato tale, se siamo nati con l’odio e il disprezzo reciproco dentro? 
E tu come ultima cosa mi hai domandato perché scrivo? 
Perché tutto ciò chi mai avrebbe avuto il coraggio di ascoltarlo? 
Vi abbraccio con tutte le mie paure, spoglio di tutto ciò che negli anni non ho saputo tenermi stretto, consapevole che domani potrei non esserci più, e sicuro di aver raccontato tutto di me, perché l’oscurità non mi appartiene, e so di essere stato messo al mondo con uno scopo;
come ognuno ha il suo, io ho il mio, quello di far farvi splendere nel vostro piccolo, anche se per poco, assieme a me.
Chiudo mandando un abbraccio forte a mia mamma, il delfino che mi porto sempre in tasca da quando ero piccolo, per ricordarmi che non sono mai solo, anche nei momenti più disperati, mio padre, che nonostante le voragini d’incomprensioni conta su di me, per i vostri sacrifici, mi metto dalla vostra parte e riconosco tanti miei errori ingiustificabili, un abbraccio forte a tutte quelle persone che conosco e ho conosciuto che stanno passando dei brutti momenti, del resto non c’ha mai uniti così tanto il male quanto il bene…e a te che sei arrivato fin qui, l’unica cosa che chiedo sempre a tutti dopo un semplice ma per molti ormai banale: “Come stai”?! Ricordati di farti un sorriso appena puoi. 
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fridagentileschi · 5 months
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“Siamo noi, la generazione più felice di sempre.
Siamo noi, gli ormai cinquantenni, i nati tra gli inizi degli anni ’60 e la metà degli anni ’70. La generazione più felice di sempre.
Siamo quelli che erano troppo piccoli per capire la generazione appena prima della nostra, quelli del ’68, della politica e dei movimenti studenteschi. Ancora troppo piccoli per comprendere gli anni di piombo, l’epoca delle brigate rosse e delle stragi nere.
Siamo quelli cresciuti nella libertà assoluta delle estati di quattro mesi, delle lunghe vacanze al mare, del poter giocare ore e ore in strade e cortili, delle prime televisioni a colori e i primi cartoni animati. Delle Big Babol e delle cartoline attaccate alle bici con le mollette da bucato. Delle toppe sui jeans e delle merendine del Mulino Bianco. Dei gelati Eldorado e dei ghiaccioli a 50 lire. Dei Mondiali dell’82 e della formazione dell’Italia a memoria. Di Bearzot e Pertini che giocano a scopa.
Siamo quelli che andavano a scuola con il grembiule e la cartella sulle spalle, e non ci si aspettava da noi nulla che non fosse di fare i compiti e poi di giocare, sbucciarci le ginocchia senza lamentarci e non metterci nei guai. Nessuno voleva che parlassimo l’Inglese a 7 anni o facessimo yoga. Al massimo una volta a settimana in piscina, giusto per imparare a nuotare.
Poi siamo cresciuti, e la nostra adolescenza è arrivata proprio negli anni ’80, con la musica pop, i paninari e il Walkman. Burghy e le spalline imbottite. Madonna e il Live Aid. Delle telefonate alle prime fidanzate con i gettoni dalle cabine e delle discoteche la domenica pomeriggio. Di Top Gun e Springsteen. Dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Delle gite scolastiche in pullman e delle prime vacanze studio all’estero.
E poi c’era l’esame di maturità, e infine il servizio militare, 12 mesi lontano da casa, i capelli rasati e tante amicizie con giusto un po’ di nonnismo. Nel frattempo magari un Inter Rail e infine un lavoro. All’Università ci andavi solo se volevi fare il medico, l’avvocato o l’ingegnere. Che il lavoro c’era per tutti.
Siamo cresciuti nella spensieratezza assoluta, nella ferma convinzione che tutto quello che ci si aspettava da noi era che diventassimo grandi, lavorassimo il giusto, trovassimo una fidanzata e vivessimo la nostra vita. Non abbiamo mai dubitato un istante che non saremmo stati nient’altro che felici.
E, dobbiamo ammetterlo, per quanto il futuro ci sembri difficile, e per quanto questa situazione ci appaia incomprensibile e dolorosa, siamo stati felici. Schifosamente felici. Molto più dei nostri genitori e parecchio più dei nostri figli.
Siamo la generazione più felice di sempre."
Quelli del tempo delle mele
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apropositodime · 14 days
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Il tempo, inesorabilmente, svuoterà gli occhi dei miei figli,
che ora traboccano di un amore poderoso e incontenibile.
Toglierà dalle loro labbra il mio nome urlato, cantato, sillabato e pianto cento, mille volte al giorno.
Cancellerà un po’ alla volta oppure all’improvviso,
la familiarità della loro pelle con la mia, la confidenza assoluta che ci rende praticamente un corpo solo.
Con lo stesso odore, abituati a mescolare i nostri umori, lo spazio, l’aria da respirare. Subentreranno, a separarci per sempre, il pudore, il giudizio, la vergogna.
La consapevolezza adulta delle nostre differenze.
Come un fiume che scava l’arenaria, il tempo minerà la fiducia che mi rende ai loro occhi onnipotente. Capace di fermare il vento e calmare il mare. Riparare l’irreparabile, guarire l’insanabile, resuscitare dalla morte.
Smetteranno di chiedermi aiuto, perché avranno smesso di credere che io possa in ogni caso salvarli. Smetteranno di imitarmi, perché non vorranno diventare troppo simili a me. Smetteranno di preferire la mia compagnia a quella di chiunque altro,
e guai se questo non dovesse accadere.
Sbiadiranno le passioni, la rabbia e la gelosia, l’amore e la paura. Si spegneranno gli echi delle risate e delle canzoni, le ninne nanne e i "c’era una volta" termineranno di risuonare nel buio.
Con il tempo, i miei figli scopriranno che ho molti difetti, e, se sarò fortunata, ne perdoneranno qualcuno.
Saggio e cinico, il tempo porterà con sé l’oblio. Dimenticheranno, anche se io non dimenticherò.
Il solletico e gli inseguimenti "Mamma, ti prendo io!",
i baci sulle palpebre e il pianto che immediato ammutolisce con un abbraccio.
I viaggi e i giochi, le passeggiate e le febbri alte. I balli, le torte, le carezze mentre si addormentano piano.
I miei figli dimenticheranno. Dimenticheranno che li ho allattati e cullati per ore, portati in fascia e tenuti per mano. Che li ho imboccati e consolati e sollevati dopo cento cadute. Dimenticheranno di aver dormito sul mio petto di giorno e di notte, che c’è stato un tempo in cui hanno avuto bisogno di me quanto dell’aria che respirano.
Dimenticheranno, perché è questo che fanno i figli, perché è questo che il tempo pretende.
E io, io, dovrò imparare a ricordare tutto anche per loro, con tenerezza e senza rimpianto. Gratuitamente. Purché il tempo, sornione e indifferente, sia gentile abbastanza con questa madre che non vuole dimenticare.
(dal web)
Ho pianto.
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crosmataditele · 7 months
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C’è stato un periodo della mia vita in cui questo posto, Tumblr, era diventato una realtà. Conoscevo, adoravo seppur da lontano tanti di voi. Mi ero creata un microcosmo in cui mi era facile esprimermi, viverci. Penso di aver sviluppato una vera e proprio dipendenza. Nel momento in cui tanti, se non quasi tutti quelli che seguivo, sono spariti mi sono sentita persa, non mi riconoscevo in niente, la mia bacheca era vuota e così ho smesso di venirci o di farlo saltuariamente. Io non lo so quanto durerà questa volta, fortunatamente qualcuno di voi tiene botta e c’è ogni volta che torno e anche se non ci siamo sentiti per anni mi sembra sempre che il rapporto sia rimasto immutato. Fermo nel tempo.
Tumblr è il paesino di montagna dei miei Nonni, quello che, appena finiscono le scuole in città, si riempie di vita, dove tutti si conoscono, crescono insieme e per quei tre mesi l’anno vivono mille avventure. C’ho una nostalgia per quello che era, per quello che ero io e che non sono più. La vita vera ha preso il sopravvento; impegni, scazzi, lavoro mi hanno completamente assorbita. Torno, spero, per viverlo diversamente.
Grazie a chi c’era e c’è e anche a chi ci sarà.
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donaruz · 30 days
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Auguri Tracy.
Queste parole non sono per te. Ma per tutte/i quelli e quelle che non c’erano.
Che l’hanno vista per la prima volta quest’anno ai Grammy. Che non sanno cosa è stato sentirla per la prima volta sbucare dal buio e sentirla cantare di rivoluzione che si sussurra e di amore inaudito per potenza e dolcezza.
A voi perché possiate scoprire che si può avere un talento titanico di scrittura e musica eppure stare lontani dai palcoscenici.
E tornare a farlo solo perché un ragazzo bianco che canta country è rimasto folgorato dall’ascolto dj una vecchia cassetta dei genitori rimasta lì. E ha desiderato farne una cover, la più fedele possibile. Per non sporcare la meraviglia neanche con la bellezza nuova.
E in ultimo le dedichiamo a chi c’era in quegli anni e ha continuato a sentirla come quasi una preghiera.
E, come lei, ha mantenuto la meraviglia e l’incanto anche coi capelli bianchi.
Lei si chiama Tracy Chapman.
E oggi compie 60 anni.
(con le parole di Gianna Maz)
#labodifsegnala #tracychapman #tempo Tracy Chapman Online
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ambrenoir · 3 months
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Dopo 21 anni di matrimonio, mia moglie mi prese da parte per dirmi qualcosa di importante. Voleva che passassi del tempo con un’altra donna, la portassi al ristorante e poi al cinema. Mia moglie mi disse: “Ti amo, ma so che anche quest’altra donna ti ama, e voglio che tu trascorra del tempo con lei”.
Quest’altra donna era mia madre. Viveva da sola da 19 anni, dopo la morte di mio padre e a causa del mio lavoro e dei miei tre figli, potevo farle visita solo occasionalmente.
Così quella sera stessa ho fatto quello che mia moglie mi aveva chiesto. Ho invitato mia madre al ristorante e poi al cinema.
“Cosa sta succedendo?”, mi chiese la mamma: “Sei sicuro che vada tutto bene?”
“Ho pensato che sarebbe stata una buona idea trascorrere del tempo con te”, ho risposto. “Solo io e te”.
Mia madre, al telefono, restò in silenzio un momento, poi finalmente disse: “Mi piacerebbe davvero tanto”.
Poi il venerdì seguente, dopo il lavoro, sono andato a prenderla a casa. Ero un po’ nervoso, era passato tanto tempo… Si era fatta i capelli e indossava lo stesso vestito del suo ultimo anniversario di matrimonio. Il suo sorriso, raggiante di felicità, la faceva sembrare un piccolo angelo.
“Ho detto alle mie amiche che uscivo con mio figlio stasera e sono rimaste tutte molto colpite”, ha detto entrando in macchina. “Non vedono l’ora che racconti loro della nostra serata!”
Così siamo andati in un ristorante, non troppo elegante, ma abasstanza intimo e confortevole. Mia madre mi ha preso il braccio come se fosse la First Lady. Ci siamo seduti e le ho dovuto leggere il menù, dal momento che i suoi occhi riuscivano a leggere solo i caratteri più grandi. Appena finito di leggere le portate, ho girato gli occhi e ho visto che lei mi guardava con un sorriso carico di nostalgia. “Quando eri piccolo, ero io che dovevo leggerti il menù”, mi ha detto con semplicità. “Allora, è tempo che tu ti riposi un po’ e mi lasci restituire il favore”, ho risposto.
Abbiamo cenato e abbiamo parlato, niente di straordinario, abbiamo solo parlato delle novità nelle nostre rispettive vite. Alla fine, abbiamo parlato così tanto che ci siamo dimenticati del film. Ma in realtà, non ci è dispiaciuto averlo perso. Quando l’ho riaccompagnata a casa, mi ha detto che voleva uscire di nuovo, ma solo se le promettevo che l’avrei lasciata invitare me la prossima volta. Ho accettato.
“Come è andato il tuo appuntamento?”, mi chiese mia moglie quando rientrai a casa. “È andato davvero bene. Ancora meglio di come avrei mai immaginato”.
Non sono però stato in grado di mantenere la mia promessa e farmi invitare al ristorante. Pochi giorni dopo, mia madre è morta a causa di un problema cardiaco. È successo così velocemente che nessuno ha potuto fare niente per lei.
Sono passate alcune settimane e poi ho ricevuto una busta con una copia di un conto di un ristorante, lo stesso ristorante dove avevo portato mia madre. Insieme alla ricevuta, c’era una piccola nota che diceva: “Ho pagato questo conto in anticipo. Non ero sicura se avrei potuto esserci, ma in ogni caso, ho già pagato per due, per te e per tua moglie. Non sai quanto questa serata abbia significato per me. Ti amo, figlio mio”.
Quel giorno ho capito l’importanza di dire “ti amo”, e l’importanza di trascorrere del tempo con la propria famiglia e le persone che ci sono care. Niente, in verità, è più importante di quest’amore ❤️
Autore sconosciuto
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sottileincanto · 11 days
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Il 18 aprile 1480, secondo le fonti, nasceva a Subiaco, nel Lazio, Lucrezia Borgia, celeberrima nobile rinascimentale alla cui figura sono legate infinite storie e misteri.
E non poteva mancare - e no che non poteva - l’Abruzzo.
Da secoli una leggenda aleggia sui territori della Valle Siciliana, sotto al Gran Sasso.
Lucrezia Borgia e Alfonso d’Aragona, in fuga dal Duca Valentino (al secolo Cesare Borgia, fratello di Lucrezia), intorno al 1499 trovarono rifugio a Castiglione della Valle, antichissimo paese oggi disabitato (ma ancora visitabile, fa parte del comune di Colledara, TE).
Gli abruzzesi della vallata aiutarono Lucrezia a salvarsi, scacciando inoltre le truppe del Duca in una battaglia campale.
Per molti anni a Castiglione si è svolta una festa mascherata in “ricordo” di questi eventi.
Non lontano da Castiglione della Valle, oggi esiste un paese, con tanto di cartello.
Castelmaidetto, uno dei nomi più straordinari della toponomastica abruzzese.
Gli abitanti della zona chiamano questo paese “Chiarino” (dal nome di un fiume che passa lì accanto), anche perché un castello non ci sta… ma forse ci stava.
E che si dice in giro? Perché questa attuale frazione di Tossicia, non lontana da Castiglione della Valle, si chiama ufficialmente Castelmaidetto?
Perché una volta lì c’era un castello e Lucrezia, nei mesi della presunta battaglia abruzzese, mentre il duca la cercava arrajato, soleva appartarvisi per celebrare la lussuria e la libertà.
Nessun abitante del luogo osava fare la spia su ciò che accadeva nell’antico castello sulla piana del Fiume Chiarino.
E allora, quel castello che non fu mai detto, quel castello in cui accadevano cose da non dire, divenne “Castelmaidetto”.
Ed io penso che questa sia la leggenda più bella di sempre dietro al nome di un paese.
Da "L' abruzzese fuori sede"
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papesatan · 9 months
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a volte ritornano
Tornare su tumblr è come tornare al vecchio paesino dove s’è lungamente vissuto, col timore di non trovarvi più i luoghi amati e le persone di un tempo, ormai incapaci di riconoscerle, tutto cambiato, tutto stravolto. Qualcosa è cambiato, ma è quasi tutto come lo ricordavo, sono io piuttosto ad esser cambiato. “Che hai fatto in tutti questi anni, Noodles?” Non posso dire di essere andato a letto presto, ma ho vagato, spesso al buio, alla ricerca di un senso, una direzione, qualcosa che ancora non so se ho davvero scovato, ma va bene così. Dall’ultima volta qui, ho cambiato tre lavori, e alla fine mi sono deciso a sfanculare lo stato, aprendomi un mio doposcuola, un posto creato da me, dove poter essere capo (e carnefice) di me stesso, senza dover più aspettare che coi suoi comodi lo stato mi permetta di fare ciò che vorrei con piena dignità. Ho sbagliato così tanto in vita, che ormai una volta in più cambierebbe poco. Nel caso, ne subirò le conseguenze. Le vacanze sono al termine e lunedì tornerò a devastarmi l’animo fra gomme volanti ed espressioni matematiche, ma per ora non ci penso, voglio farmi un giro fra i vicoli di questo splendido paesino, scoprire quant’è rimasto di ciò che c’era e passare a salutare i miei vecchi compaesani, se ancora, vagamente, si ricordano di me.    
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