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#è un po' quello il mistero
deathshallbenomore · 2 years
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beh che dire, la diretta della camera dei deputati contrassegnata come offensiva o inappropriata non ce l’avevo nel bingo 2022
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pgfone · 6 months
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Ti seguo da un po' e da quello che ho capito sei un esperto in olio di oliva ti faccio quindi questa domanda da qualche tempo vedo sulle bottiglie di olio pregiato la scritta [BLEND] cosa significa? grazie, sono sicura che ci spiegherai questo mistero!
Esperto in olio di oliva mi ha fatto molto ridere ti giuro! XD
Allora, non è facile da spiegare ma cerco di semplificartela il più possibile, quella scritta significa che il produttore raccoglie le varietà di olive che ha presenti in oliveto separatamente, ne fa olio, e poi chiama un esperto che ne fa una miscela con le varie percentuali delle varie cultivar, questo lo si fa per dare oli più equilibrati possibile (non troppo piccanti, non troppo amari ecc..). Complicato eh? Ti faccio un esempio, io ho perlopiù 3 varietà di olivi: Leccino, Moraiolo e Frantoio, siccome queste olive danno oli completamente diversi tra loro, adatti a pietanze diverse, dovrei macinarle separatamente e poi chiamare un esperto che mi fa il blend, blend per il pesce, blend per le carni ecc ecc, insomma una vera e propria stronzata da chef stellato, visto che a mio parere il bello dell'olio italiano è proprio che ogni singolo oliveto (piantato da mani sapienti in passato) da un olio con dei profumi e dei sapori unici.
ecco tutto, spero sia abbastanza esplicativo.
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diceriadelluntore · 5 months
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Storia Di Musica #309 - Led Zeppelin, Led Zeppelin, 1969
Come iniziare un nuovo anno di storie musicali? Si inizia con la scelta di 4 dischi che portano lo stesso nome dei loro autori, 4 band molto differenti tra loro, alcune famosissime, altre molto di meno (la scoperta di grandi dischi da artisti sconosciuti vorrei fosse una sorta di cardine di tutte le scelte del 2024). La Storia di Musica della prima domenica di gennaio 2024 parte con un modo di dire inglese: Go over like a lead ballon, che significa “è fallito del tutto” perché un lead ballon è un palloncino di piombo che ovviamente non può volare. Leggenda vuole che fu questo detto ad ispirare Keith Moon e John Entwistle, che suggerirono a Jimmy Page il nome per quella che diventerà una delle più formidabili formazioni di sempre: i Led Zeppelin. La storia è piuttosto nota: Page entra nel 1966 negli Yardbirds (già di Eric Clapton) come seconda chitarra di Jeff Beck. La band era già allo sfascio, e Page aveva intenzione di formare una nuova band con Moon ed Entewinstle. I tre con Jeff Beck registrano la storica Beck’s Bolero, registrata nel Maggio del 1966 ma pubblicata come singolo solo mesi più tardi, nel Marzo del 1967, brano fenomenale ma dalla storia travagliatissima, tra cui una intricata questione di diritti d’autore. Page, titolare del nome Yardbirds, prende accordi come leader degli Yardbirds per un mini tour in Scandinavia, ma nessuno dei suoi compagni accetta. Ne trova di altri: convince un session man mago delle tastiere, John Paul Jones, nel progetto, e tramite l’ex cantante degli Yardbirds Chris Dreja (che nel frattempo si è dato alla fotografia) assolda un biondo cantante, Robert Plant, che si porta con sé un batterista un po’ pazzo, John Bonham. È il 1968. Nascono così i Led Zeppelin (scritto così per non confondere il lead “piombo” con il lead “guidare”).
Senza nemmeno un po’ di gavetta registrano in 36 ore, sotto la guida del grande ingegnere del suono e produttore Glys Johns per poco più di 1700 sterline il loro primo, omonimo album per la Atlantic Records (fa più impressione il dato temporale che quello economico, 1700 sterline del 1968 sono 35 mila di adesso). E bastano: Led Zeppelin esce il 12 gennaio 1969 e diviene uno dei 10 album di debutto più belli ed importanti della musica rock. Venderà decine di milioni di dischi e manda in orbita, forse quasi troppo velocemente, il dirigibile più famoso del rock. In copertina mettono l’incidente del dirigibile Zeppelin LZ 129 Hindenburg avvenuto il 6 maggio 1937 nel New Jersey (vicenda leggendaria, su cui aleggia un complotto internazionale e non l’ufficiale incidente aereo). I 4 partono dal furente suono del british blues, ma arrivano dove nessuno si era mai spinto: rifanno due classici del blues, I Can’t Quit You Baby (eccezionale, caldissima e stupenda) e You Shook Me di Willie Dixon, e prendono da Jack Holmes Dazed And Confused (che nei live diverrà infinita con medley di altri classici della Musica del Delta). Per capire il suono Zeppelin e la sua travolgente natura, basta capire come strutturano il suono di una canzone tutto sommato banale come Good Times Bad Times. Your Time Is Gonna Come è quasi corale, come la veloce How Many More Times. Black Mountain Side è uno strumentale acustico in cui Page rincorre la maestria del fingerpicking di Bert Jansch, allora in auge con i superbi Pentagle. Communication Breakdown diviene un altro classico, con il suo stile particolare: parte blues, poi sale con l’intensità della voce di Plant e diviene furiosa ed accesa, e per molti è la nascita dell’hard rock. Gemma dell’album è però Babe I’m Gonna Leave You: presa da Joan Baez, in realtà la canzone, accreditata come traditional, è dalla folksinger inglese Anne Bredon (che fu ricompensata con un cospicuo assegno dalla band una volta risolto il mistero). Plant canta babe come mai nessuno più farà, la canzone ha un intro acustico ma poi esplode nel nuovo suono elettrico e potente, diviene struggente, torbida, assolutamente memorabile.
Questo fu il primo episodio di un modo di “gestire” le ispirazioni da altre canzoni che fece scuola, e si potrebbe aprire un dibattito infinito sulla loro musica. Per alcuni (pochini, va sottolineato) il loro rock blues portato all'estremo, con la chitarra rivoluzionaria di Page (che influenzerà 3 generazioni di chitarristi), il bombardamento ritmico di Bohnam (davvero feroce), l’elegante e mai invasivo tessuto sonoro di Jones (che suona basso e tastiere) e la voce, straordinaria e incantatrice di Plant, non è niente di così innovativo. Per altri (la stragrande maggioranza degli appassionati) il loro suono, le idee, la maestria tecnica dei musicisti e l’alone leggendario che la band riesce a costruire su di sé, li pongono ai vertici assoluti della storia del rock, ne fanno i padri putativi dell’Hard Rock (con i coevi Deep Purple), e la loro genialità è dimostrata dalle future evoluzioni stilistiche e musicali. È innegabile però che per farlo saccheggiarono un po’ dovunque, dal blues del Delta a quello urbano di Chicago, spesso non accreditandolo sui dischi, con picchi assoluti di sorrisetti ironici (tipo il caso di Stairway To Heaven per l’intro uguale ad una canzone degli Spirit, Taurus, caso che finirà addirittura in tribunale con la vittoria di Page e Plant, sebbene lo stesso tribunale ne riconosce le somiglianze). All’epoca era prassi comune raccogliere i semi del blues e riadattarli nel suono, un po’ per convenienze e un po’ perché non esistevano le normative precise e puntuali che esistono oggi sui diritti d’autore (molti altri, tra cui i Rolling Stones, furono protagonisti di episodi analoghi). Il successo dei Led Zeppelin amplificò la questione: il problema fu molte volte la paternità delle musiche, spesso passate come traditional (vedi il caso della canzone della Bredon) e quindi non riconducibili ad un artista detentore dei diritti. In tutti i casi di presunta usurpazione di diritti altrui, hanno sempre pagato i richiedenti ufficiali. Quelli che li accusano di scarsa inventiva, sinceramente non li hanno mai ascoltati: nessuno prima di loro suonava così, probabilmente sono tra le band più imitate in assoluto, saranno centinaia quelli che dopo vorranno suonare come loro. E rivoluzionarono anche altri aspetti del mondo del rock: l'andare in tour, i rapporti con le case discografiche, con i promoter, persino con le radio: ruolo centrale lo ebbe in ciò il loro manager Peter Grant, un gigante di stazza e di potere, passato alla storia anche per i modi tutt'altro che amichevoli con cui convinceva i gestori dei locali o chiunque potesse danneggiare il gruppo a farla finita. Un’ultima curiosità: con il crescente successo, una discendente dei Von Zeppelin citò la band per uso improprio del nome, e per un unico, storico concerto a Copenaghen la band si presentò come The Nobs. Poi però tornarono ad essere quel dirigibile di piombo che volava altissimo.
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altrovemanonqui · 9 months
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Mia nonna mi asciugava il sudore. Passava un fazzoletto tra la maglietta e la schiena, a volte ce lo lasciava per assorbire il bagnato. I bambini, per star bene, dovevano tenere occhi e schiene all’asciutto.
Io vengo da lì. 
Da dove vengo si dice “ho voglia di piangere” ad alta voce per non piangere davvero.
Da dove vengo si urla “vattene via”, sperando che l’altro resti.
Da dove vengo la cosa peggiore da sentire è “ti devi vergognare”. E in effetti ancora oggi vergognarmi mi fa fisicamente male. 
Da dove vengo ti mandavano in collegio, svizzero. Ma per finta. (In pratica da dove vengo i genitori per far star bravi i figli minacciavano di offrir loro un’ottima istruzione, internazionale, in un paradiso fiscale.)A pensarci è un buffo posto quello da dove vengo.
Da dove vengo c’è silenzio. Il silenzio è un valore non è un caso che si debba rispettare.
Da dove vengo ho comunque imparato che di troppe o di troppe poche parole ci si muore.
Da dove vengo quando dicevi qualcosa di brutto, volgare, sbagliato, maleducato, ti intimavano di lavarti la bocca col sapone.
Da dove vengo eri tu che ti facevi delle fantasie e non erano mai gli altri ad illuderti.
Da dove vengo i genitori chiudevano le contrattazioni con “fai un po’ quel che vuoi”, non bluffavano, ma tu sapevi che poi i cocci erano tuoi. 
Da dove vengo i miei nonni sono stati insieme una infinità di anni. Come scemi ci siamo domandati come avessero resistito tutto quel tempo quando il vero mistero resta come abbia resistito lei alla morte di lui. (Probabilmente grazie all Alzheimer.)
Da dove vengo io “se sei felice e tu lo sai” era una canzone per bambini, ma nessuno ci chiedeva se davvero lo fossimo. Ho ricevuto un’educazione pseudo cattolica (in cosa creda o non creda io adesso è tutta un’altra storia), ma non ricordo che i Vangeli parlassero di felicità, di beatitudine certo sì, ma Gesù non era felice o almeno così mi pare, era un tipo ok, con un sacco di preoccupazioni e le idee chiare, ma felice non direi.
Vengo da luoghi in cui la tristezza era culturalmente più approfondita, quindi sono anche più preparata. So per esempio che l’infelicità è diversa dalla tristezza, la tristezza crea anticorpi per ricondurti alla guarigione, l’infelicità è appiccicosa, endemica, a volte posturale. 
Il posto da dove vengo non lo abito più. Sono andata via, ma a pensarci a volte e quando sto per tornarci mi ammazzo di nostalgia, mi viene da piangere e lo scrivo e lo dico ad alta voce, per non piangere davvero.
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abatelunare · 3 months
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Di cose convincenti e meno convincenti
Nella quarta stagione di True Detective ci sono diverse cose che mi convincono. La regia. L'ambientazione. La caratterizzazione dei vari personaggi (su tutti, spicca lo sceriffio della Foster: cinica, antipatica, intuitiva, in fondo meno dura di quanto lei stessa non voglia apparire). I dialoghi. Però c'è una cosa che mi convince poco. La commistione dei generi giallo e mistery. Un giallo - perché mi rifiuto di chiamarlo thriller - è un giallo. Mischiarci degli elementi soprannaturali mi sembra un po' forzato. Inoltre hanno messo troppa carne al fuoco e continuano a mettercene (io sono arrivato al terzo capitolo). Quando fanno così, il rischio - più che concreto - è quello di fornire una risoluzione banale e/o deludente del mistero cui si tenta di dare una spiegazione un minimo sensata. Un po' come quando ti promettono un raffinatissimo piatto gourmet. Poi ti mettono davanti un minestrone sciapo. E freddo.
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autolesionistra · 1 year
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Caro diario, venerdì scorso sono stato a suonare ad un centro anziani (perché mi piacciono le vite spericolate, di quelle vite fatte così). Mentre smontavo armi e ritagli (cit.) mi si avvicina un vecchino di quelli modello vintage con giacca oversize, opacità corneale e la mano tesa per stringertela prima ancora di aprire bocca.
Sa, suonavo anch'io una volta. e mentre pensavo di imbarcarmi in due chiacchiere di circostanza sono finito in realtà in una traversata atlantica di emozioni.
Suonavo la chitarra, ma la musica non la conoscevo proprio e il direttore che era un clarinettista bravo ma molto severo mi prende da parte e mi dice, senti, tu basta che fai gli accordi giusti e vai a tempo e va benissimo così, e io quello facevo. Sul genere musicale suonato resta un'alone di mistero, mi ha risposto "musica da ballo" e io stavo per dirgli che nella mia testa è un genere che va dalla pizzica ai prodigy ma si faceva un po' fatica a spostare il fiume della conversazione, perché a quel punto eravamo già passati al fatto che lui suonava per arrotondare (con un clarinettista che era davvero molto severo), perché di giorno faceva il ragioniere al mulino di Cento, e sa quanto macinavamo? ottanta tonnellate al giorno [o qualcosa del genere] e le farine le so tutte, c’è la triplo zero, la doppio zero [...] la due, poi c'è quella integrale poi si va ai sottoprodotti che vengono dati agli animali, però non erano mica uguali da vendere, sa da quant'era la marca da bollo sulle fatture per le farine alimentari? duemila lire! ma quella per le farine da animali no, era più bassa. Poi mi sono perso un attimo a notare il contrabbassista e mia sorella che qualche metro dietro di lui mi guardavano con un misto di aria perculatoria e "se ti vuoi sganciare fingiamo un malore" ma tutto sommato andava bene così.
Solo che poi la storia ha preso una piega triste perché sa, mi ha portato qui mio figlio, per distrarmi, mia moglie è morta una quindicina di giorni fa, poi è tornato a parlare di Cento, poi del comodino con la foto della moglie perché sa, mia moglie non c’è più, credo da una quindicina di giorni, e per noi cristiani la croce è un bel simbolo però quando la guardo di fianco alla foto di mia moglie sto tanto male e gli era venuto l'occhio lucido, e io al di là di qualche frase di circostanza davvero non sapevo che dirgli perché sopravvivere alla persona con cui campi ⅚ della tua vita è uno di quei dolori che cosa vuoi dirgli, puoi solo toglierti il cappello in silenzio, e me l’ero già tolto. Improvvisamente si è riavuto, è tornato sereno e sì sono qui con mio figlio, mi ha portato qui per distrarmi, domani vado a pranzo dall’altro mio figlio. Con un sorriso a trentadue denti aggiunge sa, ho quattro nipoti  facendo un quattro con la mano che ondeggiava un poco.
Ci siamo salutati, poi ho incrociato il figlio che anche lui è un gran bel personaggio e ho finito di smontare cose.
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lisia81 · 2 months
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The lost Tomb 2
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La drama saga di The lost Tomb è tratta da una serie di romanzi di tale Xu Lei, autore con una sconfinata passione per tutto cio che è geografia, orografia, geologia e scoregge .sopratutto scoregge
Ma se il primo drama percorre abbastanza fedelmente la storia del romanzo, nel secondo i punti di contatto sono veramente pochi.
Il primo libro ha una certa utilità: il lettore scopre perché nel drama c’e’ una bara trasparente senza nulla dentro, scopre che la poracciata del tubo di plastica se l’è inventata l’autore, scopre che Little Master non è mezzo nudo in una Tomba umida e fredda perché Yang Yang, con lo splendore e lucentezza della sua pelle e i suoi pettorali, allieti la visione o sostituisca qualche luce di set rotta. Semplicemente c’è stata una lotta con uno zombie e gli si è strappata la maglia.
Non c’è Ning questa è una bellissima cosa.
Insomma chiarisce incongruenze scene che ti lasciano 😳 o 😍 dando spessore e un senso alla vicenda
.
Con @dilebe06 ci siamo chieste più volte se la serie fosse stata fatta per gli appassionati del romanzo. Se non si è letto il romanzo, The lost Tomb è incomprensibile?
La parte seconda per primo libro e il secondo libro ci hanno dato la risposta. Assolutamente no!
The The lost Tomb 2, per usare un eufemismo è LIBERAMENTE tratto dai romanzi.
- Nel romanzo non esiste un personaggio principale, come Xie Yu Chen, ovvero l’unico uomo che pur di rosa vestito sembra essere letale. Non esistendo lui, non esistono minimamente tutte le vicende legate al suo personaggio. 😅😅😅😅😅😅😅
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- Manca completamente l’esplorazione della Tomba dei muti. Quindi il mistero del cadavere/non cadavere di Poker Face rimane tale. 😳😳😳😳 Comparirà sta storia prima o poi? Lo scoprirò solo leggendo.
- Fatty e Little Master e l’inutile Ning non sanno neppure cosa sia l’albero di Bronzo perché non andranno mai in quella tomba 😩
- Di contro l’avventura nella Tomba sotterranea in Paracelso è abbastanza fedele e là si comprende meglio. La teoria di come era stata costruita la tomba era corretta, evviva!!!!! L’interno però, per quanto mi sia impegnata rimane ancora un mistero.
- Capiamo il rapporto tra Wu Xie e Lao Yang nella Tomba dell’albero di bronzo, la storia di Lao Yang e dell’albero acquista un senso.
- Possiamo presupporre perché a fine drama Wu Xie abbia perso la memoria. Ma lo presupponiamo solo perché quel pezzo, nel libro, non esiste.
- La marcia della morte nella neve è veramente una marcia della morte ed è fedele al libro. Però nel libro le ciaspole le hanno.
Ma “il problema” principale è che il Trio di ferro (Wu Xie, Fatty, Poker Face) passa nel romanzo molto meno tempo assieme. Ne deriva un legame di amicizia fra i 3 quasi inesistente. Aggiungiamoci che Xu Lei non è che sia un mago nel far esprimere sentimenti ed emozioni ai suoi personaggi si sforza solo col lead visto che parla in prima persona per cui da lettore ne soffro un po’.
A fine del secondo romanzo troviamo i nostri eroi assoldati dallo zio Three per andare al Palazzo Celeste. C’è molto rispetto per Poker Face ma il suo mutismo è pari a quello del primo drama, c’è un germe di complicità tra Fatty e Wu Xie.
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Ma tutto è ben lontano da quello che è la parte migliore del drama. Il loro rapporto di scherzoso cameratismo e l’intesa tra Wu Xie e Poker Master che ti fa sospirare è inesistente.
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Ringrazio e ringrazio ancora solo che nel libro Wu Xie abbia più e più volte l’istinto omicida per a Ning. Sta storia non dovrà nascere mai!!!!
Tutto questo per dire cosa? Che The Lost Tomb è il suo mondo rimane ,in un modo o nell’altro,sempre fedele a se stesso. Strano, sconvolgente ma…
Adorabile!!!
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soggetto-smarrito · 9 months
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.......................
D'un tratto la vibrazione del telefono mi ridestò dai miei sconci pensieri.
La tendina dei messaggi di Tumblr si abbassò per qualche secondo, facendomi scorgere un nome che non avevo mai visto.
Incuriosito aprii la chat di messaggistica:
- Ciao sono molto curiosa di quello che pubblichi, ti va di chattare un po'?
Questa richiesta mi spiazzo' un pochino, guardai la foto profilo ma non diceva assolutamente nulla. Una piramide con un lato di colore verde con due puntini come occhi su sfondo arancione, comunque l'intuito mi suggeriva fosse una donna.
Provai a rispondere, sperando fosse ancora lì, nel web, in attesa di un mio messaggio.
- Cosa ti colpisce dei miei blog ? le scrissi
Passò qualche secondo e la tendina si mosse ancora...
- I pensieri, sono molto simili ai miei, soprattutto quando descrivi momenti erotici.
Le fantasie di prima, accantonate in un angolo del cervello..sommate a questa risposta mi fecero mettere una mano nei jeans. L'arrivo inatteso di questa nuova chat con una probabile donna eccitò ancora di più la mia mente e mi domandai se fosse stato il caso di dirglielo.
( magari più tardi ) pensai...( Vediamo dove si và a parare )
- Se abbiamo pensieri simili, sapresti dirmi cosa sto facendo adesso mentre ti scrivo?
- Mentalmente?
- Si mentalmente...e se vuoi..anche fisicamente 😎😎
- Secondo me ti stai toccando.
Caspita..non mi aspettavo che centrasse al primo colpo la verità. È sicuramente una donna molto sveglia.
Tolsi la mano dal cazzo, che nel frattempo si era fatto duro...e scrissi,
- cosa te lo fa pensare ?
Attesi qualche secondo ma la risposta non arrivò.
- comunque si..hai indovinato.
Niente, nessuna risposta.
- Stamattina sono particolarmente eccitato e quando mi hai scritto, ho immaginato subito scene di sesso.
Sei molto mentale anche tu ?
- moltissimo.
Eccola....la mano torno immediatamente dentro i jeans, afferrandolo.
- La mente e tutto. mi scrisse..
E ha bisogno sempre di nuove emozioni, e quelle più belle, sono quelle che capitano all'improvviso..probabilmente spinte da qualche mancanza, anzi...tolgo il probabilmente. Da qualche mancanza che va riempita con nuove emozioni, perché purtroppo quelle vecchie sono diventate monotone.
Sbaglio?
- assolutamente no. Scrissi
E subito dopo la incalzai senza darle il tempo di sparire di nuovo
- Cos'è che ti stimola di più la mente ?
Un racconto..una foto, un film ?
- parole...ogni parola
- che tipo di parole ?
- Che formulano una frase e che di conseguenza eccitano la mente, so che mi hai capito....40. 😎.
- 40 ?
Cazzo aveva visto il mio post dell'altro giorno, quello in cui dicevo che era per pochissimi, chissà se si era avvicinata alla soluzione.
-Il numero 40 indica il mistero, quindi la prova iniziata, il trapasso che permette una seconda nascita, quella spirituale. Secondo R. Allendy, medico, psicanalista e astrologo, il numero 40 “è la realizzazione di un ciclo nel mondo, o meglio il ritmo delle ripetizioni cicliche dell'Universo”.
- Sei una ragazza molto sveglia...lo ammetto, e quindi ti senti nella condizione di rinascere?
- si.
-
- E come desideri... rinascere ?
l'attesa della risposta mi incendiò la mente.
- Con conoscenze nuove che mi eccitano di nuovo la mente...sai quella scintilla che non ce più...
- Nuove conoscenze capaci di aprire nuovi orizzonti.
- Esattamente.
-
- Facendoti fremere, bagnare...per non dire di più. Posso fare un piccolo test ?
- Si.
- La parola cazzo..cosa ti evoca nella mente ?
- Desiderio di scopare.
- Dolcemente o con ferocia ?
- Prima dolcemente con i baci e poi forte forte, senza limiti.
- E la parola....corde ?
- Di essere legata e usata 😎
.................................
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curiositasmundi · 1 year
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Circa dieci anni fa qualcuno si è inventato un modo nuovo di potare gli alberi. L’idea era semplice se paragonata ai metodi tradizionali: si trattava di tagliare i rami  sotto la biforcazione. Dal momento che però, a lavoro finito, ciò che restava era qualcosa di simile a un attaccapanni, l’inventore del nuovo sistema ha creduto di dover conservare su ogni ramo potato un singolo rametto, con tanto di foglie, poche dita sotto il taglio. Continuava comunque ad avere l’aria di un attaccapanni; l’albero era irrimediabilmente perduto.         Quell’anno, e negli anni successivi, molti alberi potati, nei giardini privati e pubblici, non hanno superato la primavera. Avevano troppe poche foglie. Ovviamente. Un fatto evidente a chiunque che si è ripetuto per centinaia e migliaia di alberi, non solo per un anno, ma fino a oggi, tra le proteste dei soliti ambientalisti e nello stupore di gente che la mattina usciva di casa con la macchina sporca di guano d’uccello (sono troppi, bisogna sfoltire) e poi rientrava a pranzo credendo di aver sbagliato via. Nel giro di una stagione, gli alberi potati troppo venivano sostituiti con giovani alberelli muniti di cartellino. Il cartellino era vuoto, e non indicava né la specie né l’impresa che lo aveva piantato.      Quello che mi ha colpito in questa faccenda è che tutto è avvenuto come se ‘altri’ ne fossero responsabili. Non importa che in quei giorni un titolo di giornale recitasse: COMINCIATI I RICORSI PER LE POTATURE. Non ho letto l’articolo, e forse si trattava di una metafora sui tagli alle pensioni. Il punto è che qualcuno ha fatto, e tutti hanno lasciato fare. Ma sono certo che nessuno con un filo di buonsenso se la sia bevuta. Avevano potato a quel modo anche pini e abeti. Era la prima volta che vedevo potare pini e abeti. E il risultato è a dirpoco surreale. Nessuno che abbia un filo di intelligenza lo farebbe, nessuno che abbia un filo di intelligenza lo farebbe fare ai  suoi alberi. Eppure...      Per anni ho considerato quelle immagini di alberi potati come il mio limite a comprendere certe cose. Era come trovarsi di fronte a una sfinge. Potevi stare ore a cercare la risposta giusta ma perdevi il tuo tempo, e l’albero era sempre là mentre tu non avevi uno straccio di idea per alleviare quell’impressione di non-senso. Non bastava pensare che fosse tutta una strategia delle imprese del verde. Un po’ come chi fa le lampadine che si bruciano dopo un certo tempo (sennò chi le compra più?): i vivaisti fanno crepare con potature vertiginose un certo numero di alberi e poi li rimpiazzano, perché un albero dura troppo, così ci si inventa la sua manutenzione, la sua morte, la sua resurrezione.      No. Non basta pensare a cose del genere, perché se anche fosse (e non è improbabile), il vero mistero siamo noi, che ci muoviamo solo se ci toccano il nostro, e molto spesso non ci muoviamo neanche così. Noi, da un lato abituati a delegare tutto, dal potere al potare, e dall’altro semplicemente pigri, lasciamo che idiozie palesi si consumino sotto il nostro naso, con un talento speciale per l’indignazione da poltrona e giornale.      Solo in questi giorni, senza nessun evento eccezionale, mi sono fatto una ragione della potatura degli alberi. Il punto è che è esattamente il genere di cose che fa l’uomo. Più intelligente degli altri mammiferi superiori, ha battuto i suoi antagonisti biologici quando era ancora un australopiteco. Tutto andava ancora bene alla fine del Paleolitico, ma con il Neolitico ha imparato a immagazzinare cibo e da allora non ha mai smesso di crescere di numero. La potatura è allora un sistema drastico per eliminare e fare spazio a una nuova produzione: sono in troppi, gli facciamo fare la guerra, li aiutiamo a ricostruire, con i guadagni della guerra e della ricostruzione mandiamo in scuole eccellenti i nostri figli. E le sfumature sono molte: le risorse sono limitate? Immagazziniamole. Una petroliera naufraga e inquina la costa della Bretagna? Multiamo la multinazionale. Dobbiamo tagliarci le unghie? Amputiamo la mano all’altezza del gomito. La mano non ricresce? Montiamo un laboratorio per la ricerca in protesi umane. Basterebbe solo un po’ meno di tutto e qualche attenzione in più. Ma il taglio è una cosa rapida, e dopo si vedrà
Da: Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica - di Matteo Meschiari. (©  2017 Armillaria)
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Primavera di libri
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Torniamo a suggerirvi nuove letture e film “raccomandati” dai vostri bibliotecari di fiducia.
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Un autentico caso letterario l’inedito di Gabriel García Márquez Ci vediamo in agosto, che, come narra la leggenda a proposito dell’Eneide di Virgilio, l’autore avrebbe voluto distruggere: “un omaggio alla femminilità, una storia di libertà e di desiderio che non si sopisce con l’età e nemmeno con l’amore coniugale”. I figli hanno consentito la pubblicazione di questo breve romanzo, che esce in contemporanea in tutti i paesi e ci delizia come una sorpresa inaspettata, nonostante la volontà del suo artefice, forse troppo esigente con sé stesso.
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Tutt’altro che deprimente, Piccoli suicidi tra amici di Arto Paasilinna è ormai diventato un classico. Scritto con stile quasi cronachistico, la sua apparente freddezza (che peraltro ben si addice alle gelide lande della Finlandia da cui provengono i personaggi del libro) non fa che accrescere l’ironia, magari un po’ macabra, di cui è pervaso. “… ogni giorno è per ciascuno sempre il primo della vita che gli resta da vivere, anche se siamo troppo occupati per rendercene conto” è la sintesi filosofica di un romanzo divertente, originale, che si risolve in un inno non banale alla vita, alla solidarietà, all’amicizia. Un vero toccasana “per tempi agitati”, citando Mauro Bonazzi, come sono quelli in cui ci troviamo a vivere. Dalla postfazione di Diego Marani: “Una delle cose più belle dei romanzi di Paasilinna è che dopo il tumulto, il fragore e le spericolate rincorse tutto si risolve delicatamente, come una risata di cui resta solo il gioioso ricordo, nell’acqua increspata d’un lago, nel vento della sera, nell’odore di foraggio appena tagliato. … In questo libro la grande beffata è la morte”.
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Ambientato a Bologna durante le festività natalizie tra la fine del 1953 e l’inizio del ’54, Intrigo italiano di Carlo Lucarelli ci ripropone la compagnia del commissario De Luca, sempre ombroso, inappetente e drogato di caffeina. Lo accompagna un giovane poliziotto che lo introduce negli ambienti musicali degli amanti del jazz, di cui era appassionato un noto professore morto in circostanze non chiare. Ma il mistero si infittisce quando anche la vedova viene trovata uccisa e De Luca stesso è controllato dai Servizi Segreti. Non siamo più in tempo di guerra mondiale, ma di guerra fredda e anche i migliori si devono aggiornare. Un giallo di classe, con una ricostruzione storica sempre molto accurata. È del 2022 il ritorno del commissario Marino, segretamente ma attivamente antifascista, in Bell’abissina, dopo l’esordio del 1993 con Indagine non autorizzata, quando era ancora soltanto ispettore. Si tratta di un cold case soltanto apparente, perché la serie di delitti, legati da somiglianze via via sempre più chiare, si protrae dal passato al presente pericolosamente minacciato dall’imminente scontro bellico. Marino ha un temperamento diverso da quello di De Luca e si getta anima e corpo in questa indagine che coinvolge corrotti fiancheggiatori del regime. Un incontro, come dice l’autore stesso nei Ringraziamenti, tra la storia, con la s minuscola, frutto di fantasia, e la Storia, quella del secondo conflitto mondiale che Lucarelli conosce molto bene e che ha trattato anche in diverse trasmissioni televisive.
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Irresistibile la doppietta di Simenon che vi proponiamo. Gli altri, inedito in Italia fino alla pubblicazione di Adelphi del 2023, è scritto in forma di diario-confessione e ci guida con il suo ritmo irresistibile tra i meandri di un suggestivo castello francese, che racchiude, ça va sans dire, una morte misteriosa, una giovane e affascinante castellana, nonché un burbero e attempato maggiordomo, sospettosamente depositario di ogni segreto… Come sempre, con pochi abili tratti l’autore descrive una serie di personaggi che non potrebbero essere fra loro più diversi, anche se appartenenti alla stessa famiglia: la sua penna riesce a far sembrare del tutto naturali e accettabili legami apparentemente inconciliabili e al limite della moralità. Il finale è riservato all’apertura del testamento: a chi andrà la cospicua eredità del vecchio Antoine Huet? Ma soprattutto: in che modo la ricchezza influirà sulla vita e le abitudini dei protagonisti? A voi il piacere di scoprirlo. Il romanzo La prigione inizia ex abrupto con un misterioso omicidio, su cui la polizia indaga. Ma duplice è la ricerca intrapresa dall’autore: da una parte il movente del delitto, dall’altra la psicologia del protagonista, costretto a scavare nella sua vita per scoprire su sé stesso e sulle persone che gli erano più intimamente vicine segreti che ignorava o che, più probabilmente, cercava di rimuovere per superficialità, paura o inadeguatezza. Così la prigione diventa una metafora per descrivere una vita fasulla che implode in un solo istante di un giorno d’autunno. Al di là del caso limite rappresentato dal fatto di sangue e delle inevitabili differenze di carattere, è talmente accurata l’analisi psicologica che ogni lettore potrebbe ritrovare qualcosa di sé nell’indole del protagonista e comprendere i suoi atti apparentemente privi di logica. Simenon, come sempre, con ritmo inesorabile e accanito vaglio introspettivo ci conduce all’unica soluzione possibile.
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Furio Scarpelli e Agenore Incrocci hanno firmato, sotto la nota sigla di Age&Scarpelli, “le più memorabili sceneggiature dell’epoca d’oro del cinema italiano”, da Totò le Mokò di Bragaglia, a La banda degli onesti di Mastrocinque, C’eravamo tanto amati di Scola, I soliti ignoti, L’armata Brancaleone e La Grande guerra di Monicelli, per citarne solo una minima parte. Tra gli inediti di Scarpelli che Sellerio sta ripubblicando (è del 2019 Amori nel fragore della metropoli) vi consigliamo Si ricorda di me, signor tenente?, romanzo che introduce i protagonisti alternando, con la tecnica del flash back, la narrazione contemporanea al memoriale di guerra. Lo scavo nel complesso passato del personaggio principale porterà alla luce gravi traumi, profondi e rimossi sensi di colpa. Ma chi è lo sgangherato seccatore che apostrofa con la domanda del titolo il vecchio Giulio, tranquillo pensionato che passeggia per le vie della Milano del 1999? Un truffatore, un commilitone o un rigurgito della sua coscienza addormentata? Si legge piacevolmente tutto d’un fiato.
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Per una lettura diversa dal solito vi proponiamo Nightmare Alley, La fiera delle illusioni di William Lindsay Gresham, “una tipica storia noir”, da cui sono stati tratti ben due film: un classico con il fascinoso Tyrone Power in una veste per lui inedita e il recentissimo remake di Guillermo Del Toro con Bradley Cooper, Cate Blanchett, Willem Dafoe. Diviso in due parti (con un finale ad anello): da un lato il fantastico, bizzarro, grottesco mondo del circo, con i suoi misteri e le sue crudeltà; dall’altra quello dell’alta borghesia, non meno pericoloso. In sintesi, il libro e i due film sono “Tre facce della stessa storia che presentano tutte letture degne di essere lette e viste per una storia che potrebbe benissimo svolgersi anche al giorno d’oggi. I prestigiatori, che siano o meno appassionati di mentalismo/spiritismo, vi troveranno molti spunti interessanti.”
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Un prezioso suggerimento dal passato: se vi fosse sfuggito, potete rimediare cogliendo dai nostri scaffali Il peso falso di Joseph Roth. Un autentico gioiello che mischia allo stile formulare dei poemi omerici, un’autentica passione d’amore e una finissima riflessione sull’essere umano, dominato dai suoi difetti, quasi deterministicamente volto verso il male, incapace di sfuggire alla tentazione del peccato, anche quando è mosso dalle migliori intenzioni. I temi sono quelli consueti della poetica di Roth, e spesso tornano anche gli stessi personaggi, che inevitabilmente cadono nella colpa: il tutto senza pessimismo né amarezza, anzi forse con una leggera sfumatura di fatalistica ironia.
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Come una diabolica matrioska le vicende biografiche dell’autore, Herbert Clyde Lewis, giornalista e scrittore americano, nato a New York da ebrei russi emigrati, si ripercuotono sul protagonista del romanzo per poi accanirsi inspiegabilmente sulle vicissitudini editoriali dell’opera che vi vogliamo consigliare, Gentiluomo in mare. Sì, perché come l’autore ebbe una vita difficile, nonostante gli incessanti sforzi profusi per affermarsi e l’indubbio talento, così il protagonista di questo delizioso romanzo breve è vittima di “una sorte bizzarra e cattiva”, per citare la splendida canzone di Lauzi-Conte, e infine la novella fu ingiustamente ignorata alla sua prima pubblicazione nel 1937 per essere poi “ripescata” (è proprio il caso di dirlo) dall’abisso dei libri dimenticati per la prima volta in Argentina nel 2010: da quel momento il successo, più che meritato anche se postumo, divenne planetario. Davvero “una perlita”, come fu definito nella recensione argentina.
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susieporta · 9 months
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DA DOVE VENGO.
Mia madre mi asciugava il sudore, passava un fazzoletto tra la maglietta e la schiena, a volte ce lo lasciava per assorbire il bagnato. I figli, per star bene, dovevano tenere occhi e schiene all’asciutto. Io vengo da lì.
Da dove vengo si dice “ho voglia di piangere” ad alta voce per non piangere davvero.
Da dove vengo si urla “vattene via”, sperando che l’altro resti.
Da dove vengo la cosa peggiore da sentire è “ti devi vergognare”. E in effetti ancora ora vergognarmi mi fa fisicamente male.
Da dove vengo ti mandavano in collegio, svizzero. Ma per finta, non c’erano i soldi per il collegio, svizzero poi. In pratica da dove vengo i genitori per far star bravi i figli minacciavano di offrir loro un’ottima istruzione, internazionale, in un paradiso fiscale. A pensarci è un buffo posto quello da dove vengo.
Da dove vengo c’è silenzio. Il silenzio è un valore non è un caso che si debba rispettare. Da dove vengo ho comunque imparato che di troppe o di troppe poche parole ci si muore. Da dove vengo quando dicevi qualcosa di brutto, volgare, sbagliato, maleducato, ti intimavano di lavarti la bocca col sapone, dove sto ora invece laviamo le parole.
Da dove vengo eri tu che ti facevi delle fantasie e non erano mai gli altri ad illuderti.
Da dove vengo i genitori chiudevano le contrattazioni con “fai un po’ quel che vuoi”, non bluffavano, ma tu sapevi che poi i cocci erano tuoi.
Da dove vengo i miei nonni sono stati insieme settantacinque anni. Come scemi ci siamo domandati come avessero resistito tutto quel tempo quando il vero mistero resta come abbia resistito lei per altri quattro anni alla morte di lui.
Da dove vengo io “se sei felice e tu lo sai” era una canzone per bambini, ma nessuno ci chiedeva se fossimo felici. Ho ricevuto un’educazione cattolica, non ricordo che i Vangeli parlassero di felicità, di beatitudine certo sì, ma Gesù non era felice o almeno così mi pare, era un tipo ok, con un sacco di preoccupazioni e le idee chiare, ma felice non direi. Vengo da luoghi in cui la tristezza era culturalmente più approfondita, quindi sono anche più preparata. So per esempio che l’infelicità è diversa dalla tristezza, la tristezza crea anticorpi per ricondurti alla guarigione, l’infelicità è appiccicosa, endemica a volte posturale.
Il posto da dove vengo non lo abito più, sono andata via, ma a pensarci a volte mi ammazzo di nostalgia, mi viene da piangere e lo dico ad alta voce, per non piangere davvero.
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Una giornata di sole
È una giornata piena di sole, una di quelle in cui egli trascorre un'ora al balcone a capo scoperto, come gli ha consigliato il medico. La sua carnagione, di solito, è pallida, ma il sottotono olivastro della sua pelle gli impedisce di arrossarsi e scottarsi, cosicché egli si abbronza, assumendo un'aria più sana. Ed è solo per esibire al medico questa illusione di salute che si sottopone al bagno di sole. Gli chiedo, mentre guardo la strada sottostante, popolata di venditori ambulanti e ragazzetti che si rincorrono, se avverta un miglioramento nelle proprie condizioni. "Sì, come ogni anno quando finisce l'inverno," ma conclude la frase con un colpo di tosse. Volgo le spalle alla ringhiera del balcone e immergo gli occhi nella penombra della stanza dove in fondo, proprio sopra il letto, sulla parete azzurra, è appeso un grande rosario dai grani di legno scuro. "E così reciti le preghiere prima di andare a dormire," dico per scherzo. "Oh sì," risponde lui con gravità, "tridui e novene".
"Quella ragazzetta ha lo sguardo vispo," sussurro accennando a colei che sembra affaccendarsi riassettando le carte sopra uno scrittoio. "Ti assiste con amore?" "Amore di carità," soggiunge lui. "Le invidio che sappia leggere il greco, il latino e il francese; sapessi farlo anch'io, le farei recuperare tutto il sonno che ha perduto in queste notti." La ragazza esce dalla stanza senza salutare, con passo zoppicante, ma leggero. Ha lasciato sullo scrittoio una Bibbia, accanto a un'Iliade.
"Nella Bibbia è scritto che i morti dormono," dico trasognata. "E nell'Ade gli eroi non sono altro che ombre," prosegue lui. "Ma allora, se questa vita è sogno, e poi continueremo a dormire, non ci sveglieremo mai? Conosceremo soltanto il sonno?"
Lui tiene gli occhi chiusi al sole. "Io credo che stiamo facendo esattamente ciò a cui la necessità ci spinge. Tutto in noi è materia," prosegue. "Da bambino trascorrevo molte ore in ginocchio, pregando di essere risparmiato dall'inferno; poi da ragazzo sognai di poter entrare in paradiso con una corona di lauro. In realtà non ci spettano premii né castighi, dal momento che siamo esseri governati dalla fortuna. L'unico bene sarebbe non ricordare mai più di essere stati, e che qualcosa vi sia".
"E se la tua coscienza sopravvivesse?"
"Immagino che la natura dei morti non li faccia riguardare più la vita. In nessun modo. L'istinto di conservazione, la speranza...sono nelle fibre di questa carne."
"Torneresti?..." gli chiedo.
"Se fosse utile."
"A te o ad altri?"
"A chiunque, anche a un topolino. Purché ne avessi certezza."
"Se gli dei vogliono continuare a giocare con noi, dovranno farlo a carte scoperte," azzardo.
"Vorrei non capirli mai, gli dei."
"Ma se hai detto che vuoi certezza..."
"Ho risposto alla tua domanda: mi chiedevi se sarei tornato, non cosa volessi. Io voglio esattamente questo silenzio, questo mistero, in cui si è identici a prima di nascere e si può ignorare sia la vita che la morte, e che esistono differenze. Se un dio si chiarisse, ci darebbe la vita, e con essa la morte."
"Infatti Dio si è espresso," spiego accennando alla Bibbia.
"No," dici: "Quello lo abbiamo sognato..."
"Sai qual è l'espressione più evidente di Dio?" Lancio la sfida, e proseguo: "Quella ragazza. Si sacrifica per te, e potrebbe non farlo. Questo si chiama libero arbitrio, non necessità".
"Lo fa per ambizione," sorride amaramente, "vuole diventare santa, per compiacere suo fratello, l'unico uomo che non l'abbandonerà. Se morissi prima di stanotte, per lei sarebbe un sollievo."
"Che dici!" Protesto. Ma dentro di me so ch'è vero.
"Io e lei siamo due infelici che non s'incontreranno mai. E ora sono stanco, vorrei riposare un po'."
Lo accompagno a letto. Gli sistemo i due grossi cuscini che tiene sotto la testa e, mentre lo faccio, avverto qualcosa di duro tra l'uno e l'altro. "E questi?" Dico, vedendo un cartoccio di confetti.
"Me li ha regalati lei. La mia dolce morte. Stanotte, lei potrà finalmente riposare."
"Piantala," gli dico brusca. "Stanotte penserò io a intrattenerti. Ti leggerò le mie poesie e i miei racconti."
"Tu scrivi?" Chiede con una sfumatura sarcastica, inarcando leggermente le sopracciglia.
"Ma certo. Ti ho dedicato tante poesie..." Gliene recito subito una.
"Sono frasi, non è poesia. Non c'è metrica. E il linguaggio è colloquiale, direi trasandato."
"Questa è poesia contemporanea," spiego. "Si chiamano versi liberi."
"I versi sciolti sono tutt'altra cosa..."
"Infatti questi non sono sciolti, ma proprio liberi. Come i pensieri, come il vento..." sorrido. "Vuoi provare anche tu?"
"Certo. Sembra facile come parlare nel sonno."
Io assaggio un confetto, mentre lui sussurra con aria canzonatoria: "Dalla vita  volevo fuggir via,
perché la morte sola beltà mi apparia;
ma la mia vile anima immortale
mi parla e dice che ancora avrò a dare
e la beltà di ciò che darò
è così grande che più non morirò!"
"Ecco, bravo," lo incoraggio ridendo. Forse attratta dalle risate, entra la graziosa ragazzetta zoppa. "Vuoi?" Dico offrendole il cartoccio di confetti. "Questo screanzato li aveva rubati per suicidarsi prima di stanotte," dico scrollando il capo.
Lei arrossisce e si torce le mani. "Il suicidio è peccato mortale..." finge di rimproverare il malato con lo sguardo fisso alla punta delle proprie scarpe. Esce portandosi via i confetti.
"E ora?" Mi chiede lui.
"Faremo versi tutto il pomeriggio e la notte. I più liberi e sciocchi che riusciremo a fare. Ma prima voglio leggerti un mio racconto."
"Come s'intitola?" Chiede rassegnato.
"Una giornata di sole"...
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gregor-samsung · 11 months
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“ Vedo Akiko alla mensa, è seduta a un tavolo con due amiche e chiacchiera animatamente. Ha sciolto i capelli che le arrivano a metà schiena, mentre prima, quando è venuta nel mio studio, li aveva legati sulla nuca. Risatine, espressioni di marcato stupore, dinieghi sconcertati, le vivaci reazioni delle tre ragazze lasciano pensare che la conversazione verta su un argomento appassionante: deve trattarsi di qualche vicenda personale, escluderei la possibilità che stiano discutendo di problematiche sociali o grandi questioni esistenziali, considerato lo scarso interesse che le une e le altre riscuotono fra i giovani. Vista al di fuori del contesto formale della classe o del colloquio con me, che sono la sua sensei, la sua insegnante, Akiko mi sembra più disinvolta e rilassata. Ha una gestualità un po’ affettata ma espressiva, un atteggiamento vivace. Tutt’a un tratto entra il suo ragazzo insieme a uno studente che non conosco. Avanzano con i vassoi del pranzo, strascicando i piedi, si guardano intorno, poi vanno a sedersi con aria indolente al tavolo delle ragazze, le quali non si scompongono più di tanto e continuano la loro infervorata conversazione. I due ultimi arrivati ogni tanto interloquiscono, ma ben presto si disinteressano delle ragazze e cominciano a parlare tra di loro. Manca ancora un quarto d’ora all’inizio delle lezioni, ma Akiko e le sue amiche a un certo punto si alzano e se ne vanno, solo lei si attarda ancora un momento accanto al tavolo per dire qualcosa al suo ragazzo, poi raggiunge le altre che sono già sulla porta. Dopo cinque minuti anche i due maschi, che nel frattempo hanno finito di mangiare, se ne vanno. Non fossi stata informata da Akiko poco prima, non avrei mai sospettato in quel gruppo di cinque persone la presenza di una coppia. L’apparente indifferenza dei due non deve però trarre in inganno, potrebbero essere perdutamente innamorati l’uno dell’altra, se non lo dànno a vedere è perché in Giappone non si fa, non si mostrano in pubblico gli affetti privati, tanto meno negli ambienti che si frequentano per studio o per lavoro. Nell’università dove insegno, le storie d’amore fra studenti sono all’ordine del giorno, ma raramente l’atteggiamento esteriore degli interessati le lascia indovinare. Però non se ne fa mistero, e quando se ne presenta l’occasione se ne parla senza falsi pudori. Altre volte ne sono venuta a conoscenza anni dopo, ricevendo un cartoncino che mi annunciava le nozze fra due ex studenti che per quattro anni erano rimasti seduti uno a un angolo della classe e l’altra a quello opposto. Il massimo dell’intimità che le coppie più giovani si concedano davanti a terzi è tenersi per mano. Una volta, tornando dall’Italia, mi sono per caso trovata a viaggiare nello stesso aereo con un mio studente che non vedeva la sua ragazza da due mesi, ed era letteralmente esasperato per un ritardo di un paio d’ore. Ebbene, quando i due si sono finalmente rivisti all’aeroporto, si sono salutati con un mezzo inchino impacciato; morivano palesemente dalla voglia di buttarsi l’uno nelle braccia dell’altra, ma per farlo hanno dovuto aspettare di essere soli. Tanto più appassionate e profonde sono le relazioni affettive, in questo popolo, tanto meno vengono esibite, tanto più intensa è l’emozione, tanto meno le si lascia libero sfogo in pubblico. Mi è successo di assistere all’aeroporto all’incontro di persone che non si vedevano da anni – madre e figlia, o fratello e sorella – e si salutavano con un cenno del capo, un sorriso, una pacca sulla spalla. Belle frasi e grandi dichiarazioni, sia di gioia che di dolore, sono di solito riservate alle relazioni formali e poco sentite. Come in tutti i fenomeni, anche negli affetti in Giappone la facciata è diversa dalla realtà che si cela dietro di essa, e può essere molto fuorviante dedurre la seconda dalla prima. “
Antonietta Pastore, Nel Giappone delle donne, Giulio Einaudi, 2004. [Libro elettronico]
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Il mondo "magico" ha sempre attirato la mia attenzione,ma non per quelle cose di pozioni,magie o rituali di attrazione.
Quello che attira la mia attenzione è quello fatto da rituali scanditi dalle stagioni,dalla natura,il vivere attraversando il rispetto del mondo che ci circonda,il mistero delle fasi lunari che scandiscono il movimento della terra.Scoprire quel mondo che nasconde la "magia" tra le foglie di un albero,nella luce della luna,dal silenzio di una giornata di sole,nel soffiare del vento.Quella che si trova nella luminosità di una candela colorata,di una stella disegnata in un cerchio protettivo,dell'incenso bruciato per purificare l'ambiente.
Un anno fa è cominciata la mia ricerca in questo mondo che agli occhi degli altri risulta un po' malvagio,dove si insinua il male,che esiste un solo "sacro" dove si trova il bene,cose che mi hanno sempre fatto dubbitare su di me facendomi sentire anche un po' in colpa,sbagliata,attratta da qualcosa che era il male assoluto.Scoprire che i riti definitivi maligni sono spesso nelle mani di chi vuole solo giocare a fare il mago.
E trovare,invece,una conoscenza che viene tramandata e passata a chi ricerca la spiritualità del mondo e dei suoi cicli.
Che il bene che si trova tra le pagine di un libro è un interpretazione buona di qualcosa che viene definito "male".Che in quel "male" si trova il bene solo se lo sai aspettare e rispettare.
-la ragazza dal cuore nero♡
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spettriedemoni · 1 year
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Il mistero della grisette parigina di New York
Ho visto il film "The Pale Blue Eye" su Netflix (mi ci è voluto un po' perché è maledettamente lento) e mi è tornata la passione per Edgar Allan Poe.
La sinossi del film in breve: un detective in pensione, vedovo e con una figlia scappata di casa, Augustus Landor impersonato da Christian Bale, indaga sull'omicidio di un cadetto di West Point, accademia militare frequentata da Edgar Allan Poe, impersonato da un bravissimo Harry Melling, che finisce per aiutare il vecchio investigatore.
La storia procede senza grossi scossoni ma nel finale il "plot twist" mi ha lasciato piacevolmente sorpreso.
Ma sto divagando, torniamo a Poe. Anni fa mi capitò di leggere "La Maschera della Morte Rossa" e "Il Ritratto Ovale". Poi ritrovai tra i libri di mia madre una collana di pubblicazioni con diversi romanzi. Tra questi vi erano pure i "Racconti Straordinari" di Poe.
In mezzo a questi racconti vi era pure "Gli Assassini della Rue Morgue" in cui compariva il proto investigatore della letteratura ben prima di Sherlock Holmes: Auguste Dupin (immagino abbiate notato lo stesso nome di battesimo dell'investigatore del film di cui sopra).
Dupin vive a Parigi ed è protagonista anche de "La Lettera Rubata" e de "Il Mistero di Marie Roget". Quest'ultimo racconto mi colpì molto ai tempi. Il motivo è presto detto: mentre i primi due erano racconti completamente inventati, Marie Roget era esistita veramente ma il suo vero nome era Mary Cecilia Rogers.
Poe aveva spostato la vicenda da New York a Parigi e alterato il nome della protagonista ma era fin troppo evidente che parlasse di lei. L'edizione che avevo io aggiungeva delle note per mostrare i nomi originali dei personaggi e soprattutto delle testate giornalistiche a cui Poe attinse per scrivere il racconto e trarre poi le sue conclusioni.
La mente straordinaria di Poe si avvicinò alla soluzione del mistero, come due confessioni successive confermarono, si può anzi ragionevolmente supporre che se Poe fosse stato sui luoghi della vicenda avrebbe probabilmente risolto il mistero ben prima della polizia.
Per certi versi qualcosa della vicenda di Mary Rogers può far pensare a Laura Palmer di Twin Peaks come a molti altri delitti irrisolti o risolti o a misteri come la scomparsa di Emanuela Orlandi che hanno destato scalpore per la giovane vittima o per la doppia vita che in qualche caso esse conducevano. Quello però che più di tutto mi colpisce è come una mente tormentata come quella di Edgar Allan Poe sia riuscita a vedere prima degli altri con lucidità attraverso la coltre di mistero che avvolgeva la vicenda.
Poe era dedito all'alcolismo, i suoi scritti erano spesso surreali, pazzeschi e spesso cadeva in depressione. Lo si sarebbe definito pazzo.
Poi ripenso all'incipit di un suo racconto, Eleonora, dove dice:
«Mi han chiamato pazzo e sia, ma nessuno è mai riuscito a stabilire se la pazzia sia o meno una forma superiore di intelligenza».
e mi vengono i brividi come quando leggevo "Gli Assassini della Rue Morgue".
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chaosdancer · 10 months
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Luna e cielo stellato 🌌🌙
Alba 🌅
O tramonto? 🌇
Scrivo questa introduzione all'inizio come post scriptum. So di aver "evitato" di dare una risposta netta, secca e diretta a questo ask ma spero di aver risposto in modo esaustivo in ogni caso. Ti ringrazio davvero di cuore per avermi chiesto qualcosa che mi abbia stimolato a scrivere ed esprimermi così tanto🤍
Oddio anon così mi metti in difficoltà, è come scegliere un solo gusto tra la tua top 3 dei gusti dei gelati ahaha
A mio parere, per come sento io la bellezza di questi elementi naturali, direi che tutti e tre sono momenti magici allo stesso modo. Non credo di poter scegliere cosa io preferisca tra i tre dato che hanno tutti le loro peculiarità e le loro unicità. Esattamente come credo che sia quando si parla di persone (o di un brano pianistico/musicale che scegli di studiare e portare in concerto)
Luna e cielo stellato è un paesaggio magico (anche perché qui ho un favoritismo per quanto riguarda la magia, la pace e l'introspezione che riesce a donare la notte). Non a caso la notte era un'ispirazione e una parte centrale in varie opere che sono state concepite durante il Romanticismo in ogni sua espressione artistica e letteraria. Beh, io non aggiungerò niente di nuovo alla loro poetica vecchia di circa 200 anni ormai ahah La notte è sempre stata un'ispirazione anche per me. In estate, quando ho meno impegni e più libertà nella quotidianità mi piace ritagliarmi delle nottate in cui contemplo la Luna e le stelle. C'è sempre molto silenzio (soprattutto dalle mie parti) e quindi la vista mi è sempre stata accompagnata da quei suoni che durante il caos del giorno non si sentono. Oltre a questo, la Luna e il cielo stellato mi fanno sempre volare con l'immaginazione per quanto riguarda tutto quello che c'è in quello spazio sconfinato che sto ammirando. Questa contemplazione mi fa sentire sempre piccolo, insignificante, un granello di polvere microscopico. Però è lì che mi sento ritornare anche un po' con i piedi per terra, è il mio reminder di quanto tutti noi dovremmo rimanere umili e che siamo esseri piccolissimi destinati a ritornare alla Natura nel nostro breve ciclo esistenziale. Al tempo stesso riesco anche a capire cosa si prova nel contemplare e provare un certo tipo di amore platonico per un qualcosa che, per me, sarà irraggiungibile per tutta la vita. Il tutto accompagnato spesso e volentieri dai meravigliosi Notturni di Chopin (quando ho finito di tenere la mia attenzione uditiva sui piccoli suoni notturni).
Ed è qui che poi arriva lentamente l'alba, dopo l'aurora. Magari in quel delirio mentale dovuto alla stanchezza, quando ormai i pensieri vanno alla deriva e ci si sente un po' ubriachi e poco lucidi. Ed è qui che si viene poi colpiti dai primi raggi di Sole ed è come se la Natura si mettesse a dipingere il cielo con colori magici che stregano il nostro spettro visivo. Oltre a quanto scritto sopra posso dire anche che è una sensazione diversa quando ci si sveglia presto e si riesce ad ammirare l'alba. Un momento dove il tempo sembra quasi fermarsi, il cielo diventa una tela e senti che il mondo intorno a te si sta lentamente svegliando un passo alla volta. A differenza della notte (dove ci si sente un viandante o un "pastore errante" e solitario nel mistero e nel misticismo quasi primordiale delle ore notturne), all'alba ci si sente meno soli e più partecipi del meccanismo sociale del mondo. E, nel frattempo, ci si sente anche un po' curiosi su cosa il futuro della giornata avrà da offrirci. Diciamo che è da mesi che sono diventato molto più ottimista e mi piace anche svegliarmi presto all'alba per avere quella sensazione di avere davanti a me un giorno nuovo, colmo di possibilità (soprattutto di miglioramento per fare più di ieri). Tutto questo oltre alla magnifica sensazione di sentire di avere a disposizione tantissimo tempo per fare tutto quello che si vuole.
Per quanto riguarda il tramonto e il conseguente crepuscolo si può parlare quasi all'opposto di quanto detto prima. La luce del Sole che ha accompagnato la nostra giornata ci sta dando la buonanotte e un "arrivederci e a domani" e, qui, la Natura gioca di nuovo a fare la pittrice usando altre tecniche e tavolozze di colori rispetto a quanto fatto precedentemente. Io amo particolarmente quando ci sono quelle sfumature di colori che vagano indefinitamente intorno al rosa chiaro e all'arancione tenue. In questo momento si iniziano a tirare le somme della giornata e a pensare a quali propositi si sono riusciti a portare a termine e a che cosa si possa ancora migliorare in futuro. Il momento di transizione tra il crepuscolo e la sera mi porta alla mente proprio questa rendicontazione da farsi. Si entra nella sera, in un momento che, almeno per me, è spesso di riposo mentale per stare da solo o in compagnia delle persone a me care. E pian piano si sente il mondo intorno a sé sprofondare nel sonno, spegnersi, farsi sempre più silenzioso fino a chiudere il ciclo e sfociare di nuovo nel "silenzio" e nella solitudine della notte.
Scusami per la prolissità e ti ringrazio (ringraziando anche tutti coloro che avranno voglia di leggere fino a questo punto). Non mi aspetto che nessuno legga fino a qui dato che la lettura di una serie di pensieri scritti non dovrebbe mai essere obbligatoria ma spontanea, che sia mossa da interesse o curiosità (secondo me).
Grazie🤍
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