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#serena ma troia
serenamatroia · 1 year
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petalodiseta · 5 months
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C'è Anna che ha un bambino e rimane per lui, quando la sera si chiude la porta e il suo uomo le si avvicina a pugni stretti ormai non cerca più nemmeno una via di fuga.
Serena sta cercando lavoro e si è sentita chiedere se mai vorrà figli, che è stato brutto, ma si è anche sentita chiedere quanto sarebbe disposta a dare all'azienda, che è stato anche peggio.
Poi c'è Terry che sta per strada, quando è arrivata pensava di trovare lavoro tramite un conoscente e infatti l'ha trovato: viene caricata su una macchina otto volte a notte e quando torna a casa i soldi che vorrebbe non aver guadagnato non sono nemmeno suoi.
Lucia porta gli occhiali da sole a novembre, gira sempre con lunghi foulard e le batte ancora il cuore quando Marco le porta un mazzo di rose a sorpresa per il suo compleanno.
Veronica non viene nemmeno sfiorata, secondo Tommaso lei non vale nulla, nemmeno il tempo di un sorriso, di una carezza, di una parola che invece non manca mai di essere espressa quando sbaglia e lei sbaglia sempre, inizia a crederci persino lei.
Federica vive da sola, ha solo ventisette anni, ma se ne sente molti di più: gli altri pensano che non sia bella abbastanza e non ne fanno segreto, nessuno glielo dice apertamente ma appellativi come cesso e cozza sono spesso sussurrati fra i colleghi e le risatine alle sue spalle non mancano.
Teresa ha la quinta di seno, come se fosse una sua scelta, come se su quelle tette ci fosse scritto Toccami, come se i vestiti non fossero mai abbastanza larghi, come se il suo corpo gridasse troia ad ogni passo anche se lei ormai cerca di affogarci dentro a quei maglioni sformati.
Evelina ha fatto giurisprudenza come i suoi colleghi, si è laureata con un voto di tutto rispetto, eppure è proprio il rispetto che le manca sul posto di lavoro dove deve correre due volte di più per dimostrarsi all'altezza di meriti che agli uomini vengono riconosciuti di diritto.
Sofia ha quattro anni e queste cose le vede sempre, quando cerca di salire in alto sulla rete del parco giochi insieme ai suoi coetanei ma viene fermata perché potrebbe farsi male, quando Ludovico le ha stretto il braccio e l'ha spinta per terra e le mamme hanno ridacchiato un 'fa così, perché gli piaci', quando ha deciso che voleva fare basket e si è trovata in un tutù, quando il papà la tratta come se fosse un oggetto delicato, che potrebbe rompersi da un momento all'altro, che ha bisogno di protezione, ma soprattutto di sorveglianza.
Sono tanti corpi e tante menti di donne, sono violenze: fisiche, psicologiche, di genere.
Sono e siamo noi.
dal web
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parmenida · 5 months
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C'è Anna che ha un bambino e rimane per lui, quando la sera si chiude la porta e il suo uomo le si avvicina a pugni stretti ormai non cerca più nemmeno una via di fuga.
Serena sta cercando lavoro e si è sentita chiedere se mai vorrà figli, che è stato brutto, ma si è anche sentita chiedere quanto sarebbe disposta a dare all'azienda, che è stato anche peggio.
Poi c'è Terry che sta per strada, quando è arrivata pensava di trovare lavoro tramite un conoscente e infatti l'ha trovato: viene caricata su una macchina otto volte a notte e quando torna a casa i soldi che vorrebbe non aver guadagnato non sono nemmeno suoi.
Lucia porta gli occhiali da sole a novembre, gira sempre con lunghi foulard e le batte ancora il cuore quando Marco le porta un mazzo di rose a sorpresa per il suo compleanno.
Veronica non viene nemmeno sfiorata, secondo Tommaso lei non vale nulla, nemmeno il tempo di un sorriso, di una carezza, di una parola che invece non manca mai di essere espressa quando sbaglia e lei sbaglia sempre, inizia a crederci persino lei.
Federica vive da sola, ha solo ventisette anni, ma se ne sente molti di più: gli altri pensano che non sia bella abbastanza e non ne fanno segreto, nessuno glielo dice apertamente ma appellativi come cesso e cozza sono spesso sussurrati fra i colleghi e le risatine alle sue spalle non mancano.
Teresa ha la quinta di seno, come se fosse una sua scelta, come se su quelle tette ci fosse scritto Toccami, come se i vestiti non fossero mai abbastanza larghi, come se il suo corpo gridasse troia ad ogni passo anche se lei ormai cerca di affogarci dentro a quei maglioni sformati.
Evelina ha fatto giurisprudenza come i suoi colleghi, si è laureata con un voto di tutto rispetto, eppure è proprio il rispetto che le manca sul posto di lavoro dove deve correre due volte di più per dimostrarsi all'altezza di meriti che agli uomini vengono riconosciuti di diritto.
Sofia ha quattro anni e queste cose le vede sempre, quando cerca di salire in alto sulla rete del parco giochi insieme ai suoi coetanei ma viene fermata perché potrebbe farsi male, quando Ludovico le ha stretto il braccio e l'ha spinta per terra e le mamme hanno ridacchiato un 'fa così, perché gli piaci', quando ha deciso che voleva fare basket e si è trovata in un tutù, quando il papà la tratta come se fosse un oggetto delicato, che potrebbe rompersi da un momento all'altro, che ha bisogno di protezione, ma soprattutto di sorveglianza.
Sono tanti corpi e tante menti di donne, sono violenze: fisiche, psicologiche, di genere.
Sono e siamo noi.
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c3ss4 · 6 months
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oggi ero nel mio mondo fatato fatto di piselli e arcobaleni mano nella mano col mio fidanzato che a una certa mi fa “ah ma conosci lei? che cessa, pensa che tempo fa mi ha chiesto di trombare ed era fidanzata”
SCUSAAAAAAAAA???? allora la persona in questione viene a casa mia da più o meno CINQUE ANNI perché figlia di una amica di mia madre…………e io imparo ora che fa la schifosa col mio ragazzo…………ve lo giuro io sono la persona più serena al mondo (non lo sono) ma appena mi piace qualcuno divento una troia isterica, se la vedo potrei perdere tutti i capelli per quanto stress mi provoca
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melagranaab · 1 year
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Ecco che di nuovo si scopre la verità.
Mi sono fatta privare di ogni cosa di mia spontanea volontà per arrivare al vero obiettivo (tra l'altro espresso e comunicato) che era una relazione con te.
Non ho chiesto questo
Ho chiesto se ti sentissi con qualcuna o avessi tarantelle a scuola.
Mi hai detto di non aver nessun problema visto che avevamo anche chiarito la tua infondata paura riguardo dirmi tranquillamente ciò che fai senza di certo essere giudicato o "sgridato" per ciò che sei.
Non ho avuto problemi quando hai fatto lo schifoso con quella troia madre mentre io e te eravamo in una relazione da tre anni.
Dicendo che era un periodo (solo secondo te) in cui tra noi andava particolarmente male, il che è la giustificazione più squallida mai sentita.
Tralasciando il passato che avevo accettato a fronte dei discorsi e gli accordi presi successivamente.
Conta il presente per me
E ora come in passato hai tradito e sei stato un approfittatore, falso e schifoso viscido.
Ciò che hai fatto, ciò che hai detto.
Per quanto uno lasci perdere le parole e tenga conto più del comportamento.
Beh sei falso
E ora è stata davvero una tua scelta, sei proprio questo.
Io sarò qui, ovviamente ma non mi toccherai più e chiuderò il mio amore dentro di me, ora dovrai provarci.
Come fai con le altre.
Ma non avrai più nulla, non devi preoccuparti.
Avevi chi ti accompagnava la prima volta a fare la patente no? Fino a Molino Dorino quando hai fatto pesare la cosa a me con tutti quei discorsi.
Eri con lei.
La sera dopo che scopavi me scendevi a vendere a quella che fino a un mese fa era una troia che non conoscevi ?
Assurdo
Stai con Sara
Ilaria
Serena
Quelle che ti inviano le foto nude e che hanno il corpo che ti piace tanto.
Io sono una persona troppo monogama sincera e chiara.
Tu non sai nemmeno cos'è lontanamente la maturita, il rispetto, la comunicazione chiara e sincera, la sensibilità e l'empatia, il controllo e la gestione delle proprie emozioni e la comprensione delle conseguenze delle proprie parole e azioni.
Al posto di aprire sempre bocca su altre persone.
Dici che è questione del tempo che dedichi per dimostrare che vuoi qualcosa con me.
Sfortunatamente il tempo che passi con me lo fai anche mentre scrivi a loro e sommando le ore che ci passi la mattina, prestando le tue felpe alle ragazze con cui tu evidentemente non hai nulla a che fare per quanto dici.
Per tutto questo
Non avrai conseguenze ne ciò che meriti, andrai avanti schifoso come sei a peggiorare e trattare gli altri con sufficenza e falsità, usando le persone e soprattutto le ragazze solo per riempirti le tasche e svuotarti i coglioni.
Che ridere se la sapesse che figlio le è realmente venuto su, le sono vicino.
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c'ho l'ansia
ho sempre ansia madonna
anzi no cazzata non ce l'ho sempre però ogni scusa è buona per averla a quanto pare (???)
ho chiuso le finestre e le porte stamattina, lasciamo perdere il fatto che ho lasciato la luce accesa mannaggia a quella zoccola troia
ma a parte questo ma che ansia hai? probabilmente f+z stanno dormendo in corridoio/sulle scale, dove comunque stanno anche quando sono a casa.
non so perché mi è presa st'ansia così random del vivere.
in ogni modo ho mangiato e mi sento un pochino meglio.
dovrei anche caricare il macbook in realtà.
comuque necci è carino, ma per studiare meglio il caffè letterario a sto punto, se no hoxton è top.
mi è presa così di botto, eppure mi sembra che non ci sia nulla di cui preoccuparsi, anzi! devo dire.
non lo so perché mi è presa così, sicuramente se vedessi i pupi sarei più serena ma quelli dormono tutto il giorno
cristo come fa la gente ad essere genitore???????????
follia locura
comunque
dovrei iniziare a studiare ecco cosa
la verità c'è anche da dire che questa distanza VT-RM è abbastanza inquietante angosciante, c'è anche da dire che ho dormito forse 4 ore a malapena quindi non sarei in pienissima forma. penso che dopo il mcdonald's mi farò una dormita da papà perché davvero non se ne esce se no.
potrei usare questo tempo per l'ordine di ikea.
in ogni modo sì, penso che questa ansia nello stomaco dipenda dal fatto che ho dormito a malapena 4 ore e quindi sono angosciata da necci.
comunque ho rivisto la tapo ed effettivamente è tutto chiuso così si percepisce quindi dovrei solo darmi una cazzo di calmata
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ohana-senzapensieri · 3 years
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Ero indecisa se postarla o no... comunque, ultimamente (ma anche in precedenza) mi arrivavano domande tipo “perché non apri la chat” “perché non dai Instagram” adesso anche tipo “perché hai tolto il nome” ... il motivo è questo; questo è esattamente il motivo per cui non mi sento più libera, per cui prima di postare qualcosa ci penso 8mila volta, per cui ho tolto il nome; parole che posso fare “male” e lo dico tra virgolette perché dette da una persona del genere non hanno troppo peso, ma ti fanno avere pensieri e quelli hanno un grande peso purtroppo... che poi persone del genere sono le prime a salvarsi le foto, commentarti ogni singola cosa che metti, anche su altri social; la trovo una cosa bho... davvero, mi ha fatto non “stare male” ma pensare, quello sì... ed i pensieri hanno iniziato a soffocarmi, finché non ho parlato con qualcuno che mi ha aiutato a tornare serena; questo è uno schifo, “se sei una ragazza seria...” ma chi lo ha detto a te che non sono seria?! Postare foto (e precisiamo che non ho mai postato nudo), rispondere alle domande o fare “la troia” come mi ha definito, non significa che non tenga al mio ragazzo; una ragazza seria non si definisce dalle foto, ma che cazzo vivere ancora nel 1800? Le donne allora lasciamole a casa con la prole, non sia mai... ma vi prego. Siete davvero povero dentro. Detto ciò, nulla avevo solo voglia di sfogarmi su sto fatto, perché per quanto siano passati i giorni, queste parole continuano a farmi venire dubbi e pensieri su cosa e come sono io. Quindi cristo santo, prima di sparare sentenze solo perché una ragazza vi rifiuta, pensateci parecchio e poi fate il cesso ugualmente. Grazie. Ps: preciso che è una persona “conosciuta” qua ovviamente, che era entrata nel gruppo di cui sono admin, che ha iniziato a contattarmi anche su Instagram.
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serenamatroia · 6 months
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blondeannalisa · 3 years
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Pioggia
Ciao, sono Annalisa, oggi sono stata molto fortunata. Può essere lo sia in assoluto. Ma un’ora fa, se qualcuno me l’avesse detto, gli avrei menato. Sto parlando di una cosa di cui magari a voi non frega un cazzo, ma a me sì. E’ stato quando la prof mi ha vista e mi ha detto “Ah, ma se c’è anche lei facciamo tutto stasera”. Le ho risposto che sì, insomma, a dire il vero l’esame era previsto per il pomeriggio successivo, io ero solamente venuta a vedere... Però quando una che ha assoluto potere su di te ti risponde “ma non è detto che domani sera sarà più facile” che fai? Che le dici? Io ho detto “va bene”, avrei voluto vedere voi. Anche se tra me e me pensavo “ma guarda tu sta fija de ‘na mignotta, stai a vedè che per questo esame del cazzo mi rovino la media...”.
 E invece no, è andata benissimo. Mi ha pure fatto i complimenti, mi ha detto “signorina, ce ne fossero come lei...”. E’ una un po’ fissata con il fatto che le donne sono sempre state discriminate a proposito di matematica. Mi è pure sempre stata simpatica anche se, appunto, la materia è un po’ del cazzo. Ma in quel momento l’avrei strozzata.
 Comunque ci siamo rivisti tutti al bar, dopo l’esame. Eravamo in sei, eh? Non è che a matematica ci siano tutte ste frotte di gente agli appelli. Anche i miei compagni, quando hanno saputo l’esito, si sono affrettati a sottolineare “ma che culo, Annalì”. Non nel senso in cui in genere me lo dicono. Intendevano proprio la fortuna. Ahò, ma che cazzo volete? Si vede che avevo studiato.
 Già mi pregustavo i complimenti al mio ritorno a casa, avevo in mano le chiavi della macchina. L’unico vero vantaggio di fare un esame a quest’ora del pomeriggio, per la verità si erano fatte le sette, in questa villa fuori dalla città universitaria, è che si trova parcheggio abbastanza facilmente. E della macchina, oggi, ne avevo proprio bisogno. Perché sono tre giorni che piove a dirotto. Ma forte, eh? E non smette mai. Al massimo rallenta un po’ e poi ricomincia.
 A me non è che la pioggia dia fastidio, anche se la gente comincia già a rompere i coglioni dicendo che un tempo così non c’è mai stato. Ora, a parte il fatto che non è vero, di che cazzo vi stupite? Siamo agli inizi di dicembre, è autunno, piove! Fa il dovere suo. E quando fa 27 gradi a Natale che vi dovete preoccupare.
 Anyway, stavo per salutare e andare via quando a qualcuno è venuta la bella idea di festeggiare a cena. Declinare mi è stato praticamente impossibile, perché sono partiti una serie di appelli molto gentili, del tipo “dai, Annalì, non fare la stronza come al solito” che non me la sono sentita di rifiutare. E’ stata Elena a convincermi. Non tanto per il suo “viene pure Gilberto”, che io ho registrato mentalmente con un sarcastico “ah beh, allora...”, quanto perché ha detto “viene pure Gilberto e offre lui”. Ok, già va meglio. Sto Gilberto è il suo ragazzo ed è impaccato di soldi, suo padre gli ha comprato – non affittato, comprato – una casa dalle parti del Colosseo dove vivono insieme. Voglio dire, io con Gilberto non ci vivrei mai, ma se a lei piace... No, ok, esagero. Sono carini. Una volta mi hanno invitata a una festa da loro ed è lì che ho conosciuto le mie amiche Serena e Giovanna. Almeno questo glielo riconosco, glielo devo. E poi non è che i miei compagni mi stanno sul cazzo. Sono bravi ragazzi. Non li trovo interessanti, d’accordo, ma per una sera...
 L’unico dubbio mi viene al momento in cui mi annunciano la destinazione: “Da Eataly? Cazzo, ma è dall’altra parte della città, con questa pioggia ci sarà un traffico terrificante, non si può fare altrove? Più vicino?”. No, non si può fare, hanno tutti voglia di andare da Eataly. Mi carico in macchina Elena e partiamo. Durante il viaggio si parla del più e del meno. Si vede che lei è molto compresa nel suo ruolo di ragazza-fuorisede-che-convive-con-il-suo-ragazzo-fuorisede e che le piace molto giocare all’adulta. A me pare molto buffa, ma non gliene voglio, anche se quando mi domanda “ma tu ce l’hai il ragazzo, Annalisa?” a me sembra che voglia più che altro sottolineare la nostra differenza di status. Ma forse mi sbaglio.
 No. No, non ce l’ho il ragazzo. Sì, è vero, sarebbe carino avercelo, ma finora non ho trovato nessuno che.. e poi preferisco pensare solo a studiare, ci tengo molto a finire il prima possibile. Sì, ok, d’accordo, ma come mai, tu così carina, eh lo so ma che ci vuoi fare, ogni tanto qualcuno che sembra interessante lo trovo ma poi... sai com’è, vogliono solo quello. Frasi così, chiacchiere sconclusionate che per fortuna si fermano sempre abbondantemente prima di toccare argomenti più scabrosi. Elena non è il tipo da chiederlo e io certo non mi sogno di rivelarle che razza di troia stia in questo momento al volante, figuriamoci.
 Il problema è che, mentre parliamo, all’argomento “ragazzo” inizio a pensarci io, in piena autonomia, tra me e me. E non mi ci vuole poi molto per fare l’upgrade “ragazzo-sesso”. Anche perché son quasi due mesi che non faccio nulla, ma proprio nulla a parte le (poche) avventure in solitario nel mio letto.
 L’ultima volta è stato con Fabrizio, il più classico degli scopa-amici. L’avevo cercato dopo due esperienze che mi avevano lasciata, per usare un eufemismo, parecchio turbata.
 Essere stata beccata a scoparmi uno dentro casa sua dalla moglie, essere stata menata e buttata fuori di casa nuda sul pianerottolo, sempre dalla suddetta moglie, già mi aveva scossa e non poco. Trovarmi un paio di giorni dopo a essere aggredita insieme alla mia amica Serena dentro la Rinascente da un pazzo omofobo era stata la ciliegina sula torta.
 Ero stata io a cercare Fabrizio, a chiedergli se quella sera fosse libero. Senza ipocrisie, tra noi non ce n’è bisogno. Mentre ero a gambe aperte sotto di lui, mi aveva detto “ma quanto sei troia stasera? sei già venuta sei volte”. Appena finito di dirmelo è arrivata la settima. Io lo adoro, Fabrizio. E non solo perché mi scopa benissimo, ma anche per questi particolari. Perché tiene il conto dei miei orgasmi e perché mi chiama troia come un altro in quei momenti mi chiamerebbe amore mio. Io, troia, lo preferisco. Anche perché nessuno mi ha mai detto amore mio. Sì, oddio, quando ero al liceo ogni tanto c’era qualcuno che lo faceva. Di solito dopo che gli avevo fatto un pompino, a volte anche prima. C’è sempre qualcuno che si innamora o pensa di farlo.
 Ma la verità è che quella sera non ero andata da lui perché volessi farmi chiamare troia. E nemmeno perché avessi voglia solo di essere scopata. In realtà avevo voglia di essere scopata prima e abbracciata dopo. Coccolata. Che avete da guardarmi in quel modo? Anche a me piace essere coccolata, sapete? E che cazzo...
 Comunque, l’ultima volta è stata quella, quasi due mesi fa. Poi Fabrizio è partito. Lui lavora in uno studio di progettazione, è ingegnere idraulico o qualcosa del genere. Arabia Saudita, fino a Natale. In realtà, mi ha spiegato, va più che altro a fare il garzone di bottega, altro che ingegnere. Ma pare che sia la prassi. Ci sono rimasta talmente male a sapere che partiva che gli ho estorto – sì, io, proprio  io – un appuntamento per il suo ritorno. In quel momento non avrei proprio voluto che se ne andasse, e fargli promettere che ci saremmo rivisti al suo ritorno mi era sembrato l’unico modo per lenire il dispiacere.
 Così mi sono buttata sulle lezioni, su questo cazzo di esame a dire il vero molto facile, sono stata molte sere a casa, ho visto le mie amiche. Anche Serena, naturalmente. Con la quale però non c’è stato più nulla, da quel punto di vista. Ho fatto la brava, insomma, la bravissima. E volete sapere una cosa? Non ho nemmeno avuto bisogno di sforzarmi tanto. Ecco.
 Solo che, adesso che sto in macchina con Elena e lei mi chiede come mai una come me non abbia un fidanzato che-a-te-i-ragazzi-dovrebbero-correrti-dietro-mamma-mia, penso in effetti quasi due mesi senza combinare nulla di nulla mi sembrano un periodo piuttosto lungo. Tanto lungo da pensare che forse vale la pena di aspettare qualche giorno e raggiungere i due mesi tondi tondi e intanto fare qualche calcolo per cercare di stabilire se sia o meno un record.
 E invece no, un attimo dopo penso che ho voglia, anche se non so esattamente di cosa. Un attimo dopo ancora capisco di cosa ho voglia: ho voglia di farmi riempire la bocca. Sì, un pompino. Di quelli nemmeno troppo delicati. Odore, sapore e dominio incontrastato di un cazzo nella mia bocca. Anzi no, nemmeno questo a dire il vero. Sì, ok, lo so che vi do ai nervi, ma aspettate un momento, cavolo, sto mettendo a fuoco! Un pompino ok, brutale ok. Ma in realtà, quello che voglio è bere. Bere sperma. Ecco. Sì è questo. Ho una formidabile voglia di ingoiare sperma, in questo momento. Anche se so perfettamente che, vista la compagnia, si tratta di una voglia che di sicuro non esaudirò stasera.
 Non lo so, sono confusa. A tutto pensavo tranne che a questo, quando sono uscita di casa.
 - Cosa stai pensando? – mi domanda Elena. Non so nemmeno da quanto tempo la ascolto senza sentire quello che dice.
 - Scusa – le rispondo – stavo pensando che per festeggiare stasera vorrei bere qualcosa di speciale.
 - Per ora c’è solo acqua – commenta lei. La pioggia batte fortissimo, di là dal vetro faccio fatica a vedere le macchine davanti.
 Il “qualcosa di speciale” è alla fine una birra artigianale, anzi due. Ma per il resto non è che la serata sia il massimo della convivialità. Mangiare, si mangia bene, eh? Non fantastico, ma si mangia bene. Però, un po’ perché i miei amici non sono proprio una banda di allegroni, un po’ perché non ci fanno nemmeno accostare i tavolini, la serata è davvero moscia. La mia proposta di vendicarci dei camerieri parlando ad alta voce da un tavolo all’altro e tirandoci le molliche di pane viene, tra l’altro, bocciata. Ho di fronte a me un tipo, Enrico, che d’ora in poi chiamerò “Harry tre parole”, perché in tutta la cena avrà spiccicato tre parole, appunto. Vi lascio immaginare i discorsi e il divertimento. Mi annoio come in una serata passata davanti alla tv a guardare la De Filippi.
 Fortunatamente agli altri tavoli c’è un po’ di turn over, così almeno posso distrarmi con la gente che va e viene. Proprio davanti a me, due postazioni più in là, a un certo punto arrivano due coppie. Non li osservo uno per uno, almeno all’inizio, mi mantengo su una visione complessiva del quartetto, per così dire. Solo che quello che sta proprio di fronte a me, a meno di una decina di metri, mentre si siede mi fissa. E mentre mi fissa viene anche a me da fissarlo. Per reazione, più che altro. Non so dire bene che età abbia, intorno ai trentacinque, direi. Ma è davvero difficile, non ci scommetterei. Sono tutti e quattro vestiti molto casual, con jeans e maglioni. Come me del resto. Qualche secondo dopo volto lo sguardo e vedo che mi sta riservando un’occhiata clandestina, poi si sporge un po’ in avanti per dire qualcosa a quella che presumo sia la sua ragazza e finisce sotto la luce della lampada. Non è per niente male. Che sia alto, asciutto e con le spalle larghe me ne ero accorta prima. Ora posso vedere meglio e suoi riccetti corti e castano-chiari, gli occhi azzurri. E, soprattutto, un sorriso da canaglia.
 “Mica male”, penso rimanendo un po’ imbambolata. Lui muove ancora una volta gli occhi nella mia direzione e si accorge che lo sto osservando. Ricambia. Ehi, ma tu sei un uomo, io sono solo una ragazzina. Te ne dovresti accorgere dai miei occhioni spalancati e dal ditino che porto alle mie labbra fingendo di mordermi un’unghia nervosamente. Una ragazzina un po’ impertinente, d’accordo, visto che col cazzo che abbasso lo sguardo, aspetto che sia tu a farlo. Del resto, è uno dei miei giochi preferiti prendere in castagna uomini più grandi di me che mi lanciano occhiate eloquenti di nascosto dalle loro compagne. Mi diverte da matti.
 Tra una chiacchiera e l’altra con le nostre rispettive compagnie il gioco di occhiate va però avanti più del solito. Così decido di giocare un po’ più pesante. Mi alzo e vado verso la cassa a pagare la terza Menabrea, accentuando impercettibilmente il mio naturale sculettamento. Credo che le forme del mio sedere e i jeans stretti facciano il resto. Quando torno a voltarmi verso di lui avanzo bevendo direttamente dalla bottiglia, fissandolo. Arrivo al mio posto e mi siedo continuando a bere dalla bottiglia. Fissandolo. Non ho staccato gli occhi dai suoi nemmeno per un’istante. Sono sfacciata e mi godo il gioco sino in fondo, proprio sulla soglia dell’eccitazione.
 Purtroppo però l’ora di andarsene arriva troppo presto. E poiché il conto lo abbiamo già pagato prima di mangiare, non ci resta che alzarci, metterci i giacconi e scendere. Il boato di un tuono sottolinea il momento. Oltre le vetrate l’acqua riprende a scendere a secchiate.
 Mi volto un’ultima volta, di nascosto. Lui mi sta osservando ancora e si accorge che lo sto guardando anche io con la coda dell’occhio. Spero che possa vedere il mio sorriso, spero che capisca che mi sono divertita.
 Pianto i miei compagni con una scusa. Anzi due, visto che la prima non basta. “Ciao ragazzi, devo andare al bagno”, “dai ti aspettiamo”, “no, ma poi volevo anche fare un giro a cercare una marmellata di mandarino tardivo per mia mamma”, “ah ok, allora ci vediamo a lezione”, “sì, ci vediamo a lezione, ciao ragazzi”. Mi dirigo verso i bagni e, già che ci sono, faccio pipì, compiacendomi della mia innata capacità di inventare cazzate su due piedi.
 Non è che abbia proprio un programma, mi va semplicemente di continuare il gioco, vedere se funziona ancora con qualcun altro. Sì, è vero, non sono appariscente stasera, ma gli sguardi li ho sempre attirati. E stasera ci ho preso proprio gusto. Voglio attirare sguardi e rispondere agli sguardi, altro che mandarino tardivo.
 L’idea è divertente, la sua realizzazione pratica molto meno. Soprattutto perché non mi si caga nessuno. Tranne uno, in realtà, una specie di sosia di Danny De Vito che è meglio perderlo che trovarlo. La cosa mi indispettisce non poco, come sempre quando va così. Anche perché, ma cazzo, fino a cinque minuti fa funzionava benissimo. Forse proprio per questo decido di fare una cosa che non ho mai fatto. Non da sola almeno. Vado alla birreria, direttamente al bancone, mi siedo su uno sgabello alto e aspetto di essere servita dal ragazzo. Assumo un’aria civettuola perfino con lui, faccio l’oca. Voglio proprio vedere se qualcuno si avvicina.
Vorrei chiarire una cosa: non ho voglia di essere rimorchiata. Non ho voglia di sesso. Sì, lo so che prima in macchina avevo pensato che fare un pompino del tutto senza senso a qualcuno e bere il suo sperma non sarebbe stata per nulla una cattiva idea. Ma quel momento è passato e dopo il gioco degli sguardi con il riccetto, interrotto dagli eventi, la mia immaginazione mi ha portata da tutt’altra parte.
 Comunque niente, eh? Non succede un cazzo nemmeno qui. Dopo un po’ l’unica cosa che mi trattiene dall’andarmene è che fuori è ormai un nubifragio vero e proprio e che io ho lasciato la macchina al parcheggio più lontano, cretina che sono.
 Poi però una cosa succede, cazzo. Succede che il riccetto di poco fa è seduto con la sua ragazza e l’altra coppia su un divanetto della caffetteria, e mi ha vista. E che porco cane la situazione non è esattamente quella di prima, quando stavamo a scambiarci occhiate ognuno al riparo delle proprie compagnie. Manco per niente. Quella che lui sta osservando adesso è una ragazzina bionda con la faccia da adolescente che sta facendo l’oca con il ragazzo delle birre e che  ha in pratica un cartello addosso con su scritto “sono una troietta, che aspettate a farvi avanti?”.
 Non so nemmeno io perché, ma improvvisamente mi sento a disagio, mi vergogno. Cioè, non è proprio vergogna. E’ che il gioco con questo tipo è andato anche troppo avanti, mentre a me questo gioco piace perché è fatto di momenti, sguardi allusivi. A me diverte fare l'oca con gli uomini quando sono in compagnia delle loro donne, è vero. Divertono le piccole provocazioni, mi piace l'ammirazione clandestina che leggo nei loro occhi e godo nel vedere come reagiscono quando si accorgono che non volto la faccia dall'altra parte, che li fisso con un'espressione a metà tra l'ironico e il malizioso che dice "ah, se fossimo soli".
 Quasi mi vergogno a scrivervelo, ma in realtà tutto quello che volevo quando mi sono seduta al bancone era essere abbordata da qualcuno, ma non dal riccetto. Con quello meglio di no, troppo pericoloso per questo tipo di gioco.
 Mi andava solo di fare la troietta idiota, rifiutare le eventuali avances di un tipo qualsiasi, almeno per l’immediato, facendogli però capire che uno di questi giorni sarei stata molto più che disponibile a restare come mamma mi ha fatta davanti a lui, dargli un numero di telefono fasullo e lasciarlo all’asciutto. Per poi tornare a casa e sditalinarmi nel mio letto immaginando come sarebbe stato farmi scopare da lui in centouno modi.
 Scema, vero?  Me l’hanno detto in tanti. In ogni caso, il numero del Servizio di igiene mentale della mia zona è 06 7730 8400. Magari potreste volermi fare un favore e segnalare il mio caso.
 Mi alzo quasi di scatto e imbocco il tapis roulant che scende al primo piano, all’uscita. Nubifragio o non nubifragio è meglio levare le tende.
 Solo che, ecco, chiamatelo intuito femminile o come cazzo vi pare, ma sento di essere seguita, sento una presenza alle mie spalle. Non è che ci sia poi tanta gente su questo tapis roulant, sono quasi certa che se mi voltassi lo vedrei. E questo è il motivo per cui non mi va di voltarmi. Il motivo per cui invece mi volto ve l’ho detto prima: sono scema. E’ così, fatevene una ragione che io me la sono fatta da un pezzo.
 L’occhiata che ci scambiamo per un paio di secondi che sembrano interminabili è completamente diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. La mia è l’occhiata della preda che ha individuato il predatore e che viene assalita dal panico perché non sa dove cazzo andare a nascondersi.
 Chiariamoci: a me piace sentirmi preda. A patto però che il cacciatore lo scelga io. Altrimenti ho delle reazioni che variano dall’indifferenza al vattelapijanderculo, dipende da una serie di fattori. In questo caso il cacciatore non è nemmeno male, ve l’ho detto. Ma non l’ho scelto io.
 Avete presente quando fate una cosa e immediatamente dopo vi chiedete "ma perché cazzo l'ho fatto?". E vi date pure della cretina, perché non è che avete seguito un impulso, manco per niente. Avete pianificato le cose, avevate una strategia. E d'improvviso, puff: ma perché ho fatto una stronzata del genere? E’ esattamente quello che è successo. Lui è dietro di me e, a meno che non si tratti di una coincidenza assurda, si appresta a tirare fuori il gancio per il rimorchio. D'improvviso tutto mi sembra implausibile, inattuabile. Inutile, persino. E anche un po' imbarazzante. Voglio dire, io volevo solo giocare e adesso mi trovo a dovere fare i conti con le conseguenze del mio gioco.
 Non sento il rumore delle porte automatiche che si richiudono. Non so se è a causa del fracasso della pioggia sul selciato o del fatto che qualcuno è passato dopo di me e ne ha ritardato la chiusura. Piove da matti, adesso. Non si vede nulla e dalla fine del porticato alla mia macchina ci saranno almeno cento metri allo scoperto. Mi fermo giusto un paio di metri indietro dalla fine della copertura. L’acqua cade talmente forte che le gocce rimbalzano e arrivano a bagnarmi. Ma non è questo su cui sono concentrata, sono concentrata su una cosa che sta per succedere, che è inevitabile che succeda.
 “Ciao, come ti chiami?”, penso tra me e me.
 - Ciao – dice una voce alle mie spalle.
 - Ciao – rispondo dopo essermi voltata lentamente. Una lentezza che mi sono imposta.
 - Che acqua, eh?
 - Già.
 - Io sono Marco.
 - Io Annalisa.
 Nonostante il buio mi è talmente vicino che posso vederlo meglio di come abbia fatto prima. Probabilmente ho fatto male i miei calcoli, credo che abbia di più dei 35 anni che gli davo. E’ molto giovanile nei modi e nel vestire, ma certi dettagli non mentono. Il contorno occhi, per esempio.
 - Stai andando a casa?
 - Sì.
 - Anche io. Vado a prendere la macchina.... inutile bagnarsi in quattro.
 Fisicamente non potrebbe essere più diverso, ma parla come Silvio Muccino, ha persino la zeppa di Silvio Muccino. E’ incredibile quanto sia identico. Per il resto no, per il resto è davvero un bel manzo. Vista l’età dovrei dire un bell’uomo. E non posso non notare il suo modo timido di atteggiarsi, quasi premuroso, che si annulla completamente quando sfodera il sorriso da canaglia. E’ obiettivamente un sorriso fatto per stenderti.
 - Ho visto che mi guardavi – dice.
 - A dire il vero hai cominciato tu...
 - Mi sei piaciuta, non hai mai abbassato gli occhi.
 - Era un gioco...
 - Che tipo di gioco?
 - Nulla una cazzata...
 - Potremmo riprovare a giocare, una sera di queste...
 Istintivamente starei per dirgli “ma no dai, lascia perdere”. Poi mi fermo, senza un motivo. Gli squilla il telefono e mi dice “scusa” prima di rispondere. Dice, presumo alla sua compagna, che è meglio aspettare che spiova un po’, che è una tempesta, che per strada è un lago. E che chiamerà lui quando starà per arrivare, che forse ci vorrà un po’. Mi torna in mente Elena, quando mi ha chiesto se avessi un ragazzo, mi torna in mente il suo ingenuo senso di superiorità. E però immediatamente dopo mi torna anche in mente il pensiero osceno che le sue parole mi avevano portata a fare.
 Per la verità, non so nemmeno io di che cosa ho voglia in questo momento. Sì, ok, farmi riempire la bocca in modo insensato, bere sperma. Avevo pensato questo. Ma ora come ora non saprei nemmeno dire se ho voglia di qualcosa di più. O di meno. O di nulla in assoluto. Mi sento confusa e anche abbastanza idiota.
 - Certi giochi ha senso portarli in fondo una volta che si sono cominciati... – gli dico d’impulso una volta che ha chiuso la telefonata.
 - Cosa intendi dire con “portarli fino in fondo”?
 E’ chiaro che ha capito. O meglio, spera di aver capito. Ma è ancora guardingo.
 - Intendo dire che potresti baciarmi – gli faccio avanzando di un passo verso di lui.
 Si volta per guardarsi alle spalle ma non ce n’è bisogno. Ci siamo solo io e lui qui sotto il porticato. Pochi metri più in là tonnellate di acqua che scendono con violenza. Mi afferra la mano e mi trascina dietro un angolo buio e qui sì che ci bagnamo, cazzo. Ci schiacciamo contro il muro, ma la tettoietta che è sopra di noi è troppo piccola per ripararci da questa valangata di pioggia. Ridacchio stupidamente, è un riflesso nervoso. Lo faccio sempre quando vengo forzata fisicamente a fare qualcosa, non posso farci nulla. L’unica cosa che riesco a fare, in realtà, è coprirmi la testa con il cappuccio della mia The North Face tecnica. Lui fa altrettanto e poi mi bacia.
 E’ un bacio lungo, furioso, cinematografico. In quante canzoni avete sentito il verso “kiss you in the rain”? Abbiamo troppa roba addosso, labbra e lingue sono il nostro unico punto di contatto, eppure bastano e avanzano. Almeno per me.
 - Dimmi che mi vuoi – ansima.
 - Ti voglio... – rispondo quasi in automatico.
 - Domani sera? – domanda. E mentre me lo domanda porta la mano in mezzo alle mie gambe. Avrò pure i jeans, ma vi assicuro che la scossa la sento tutta.
 Io però non riesco a concepire che lui si possa proiettare su domani sera. E adesso che cazzo devi fare, portare a casa la fidanzata? Oppure vivete insieme? Come cazzo pensi di mollarmi qui così? E stanotte? E domani mattina? Che c’è, ti aspettano al lavoro? Mi vuoi così tanto da non poter mandare all’aria niente della tua vita? Sono irragionevole, lo so. Ma se non lo fossi non starei qui sotto l’acquazzone a farmi baciare e a farmi tastare la fregna da un perfetto sconosciuto.
 - Chissà se ci sono, domani sera – gli dico concitata, prima di rituffarmi a baciarlo.
 - Che significa?
 - Significa che ti voglio ora...
 - E come cazzo facciamo?
 Apro la bocca per accogliere la sua lingua e stavolta sono io che gli porto la mano in mezzo alle gambe. Il contatto di questo pacco gonfio per me mi fa quasi piegare le ginocchia.
 - Posso farti venire con la bocca, se vuoi... – gli mormoro quando ci stacchiamo.
 Mi guarda esterrefatto, preso in contropiede. Non so cosa stia pensando. Se stia valutando le possibilità, la fattibilità della cosa. O se mi abbia semplicemente presa per matta.
 - Un pompino... – gli sussurro come se sentissi la necessità di spiegarmi, guardandolo negli occhi. Dall’alto in basso, perché nonostante io non sia proprio una nana, lui è decisamente alto. Ehi, l’hai capita? Sto parlando di succhiartelo...
 - Ma chi cazzo sei, Baby?
 - Ahahaha... sicuramente sono meno annoiata di Chiara, ma probabilmente sono anche peggio, da quel punto di vista...
 - Quale punto di vista?
 - Indovina...
 Adesso il suo sguardo non è più esterrefatto. Adesso il suo sguardo è quello di un maschio che si è velocemente arrapato e che sta per prendersi qualcosa che gli è stato offerto su un piatto d’argento.
 - Corriamo in macchina... – propone.
 - Rischiamo di annegare prima di arrivarci, alla macchina – gli dico – qui va bene.
 - Qui? – domanda sorpreso.
 - Qui. Qui è perfetto.
 - Tu sei strana, non sei normale... – mi dice, ma il suo è più che altro un tono sorpreso, di autodifesa.
 “Cos’è normale?” gli domando mentre mi accuccio davanti a lui. Non mi sembra il caso di posare le ginocchia per terra. Mentre gli lavoro le cerniere del giaccone e dei pantaloni sento la sua voce ancora un po’ incredula che mi apostrofa con un “ma lo sai che sei un po’ troia?”. Gli rispondo “anche più di un po’” in modo veloce, quasi disinteressato, senza nemmeno alzare lo sguardo verso di lui. L’unica cosa su cui sono concentrata in questo momento è il tentativo di liberare quel bozzo che vedo sotto il tessuto delle mutande color prugna.
 Sarà che mi sono raffreddata con tutta questa pioggia, ma non sento nessun odore particolare quando glielo tiro fuori. Non è ancora duro, ma quasi. Duro lo diventa quando me lo lascio scivolare dentro la bocca e inizio a rotearci la lingua intorno. Nonostante tutta la stranezza della situazione, mentre lo faccio ammetto con me stessa che il pompino mi sta venendo benissimo. Forse perché oltre a voler bere il suo sperma voglio che gli piaccia davvero, che ne goda. Non saprei dire perché, ma ci tengo.
 Dire che abbia un grande arnese sarebbe una bugia, ma chissenefrega. La sua consistenza mi gratifica, il suo sapore mi gratifica. Il suo “oh cazzo” sospirato quando glielo prendo tutto mi gratifica. Siamo fradici e infreddoliti, ma la mia bocca e il suo uccello sono roventi.
 “Che troia”, “sei bravissima”, “sei una bravissima troia”. Anche queste frasi smozzicate mi gratificherebbero, e non poco, se non fosse per il suo telefono che riprende a squillare. Se non mi interrompessi, sinceramente non lo so se lui risponderebbe. Ma comunque lo faccio, e lui risponde.
 - Sì, c’è anche uno che blocca la sbarra del parcheggio con la macchina, sto deficiente, ma adesso arrivo, vi chiamo io...
 Penso tra me e me che anche lui non è male, quando si tratta di inventare cazzate. Lo guardo dal basso in alto, tenendo in mano il suo affare. Improvvisamente, però, non ne ho più voglia. Che cazzo ne so. Potrei dire che ho paura che la sua ragazza scenda e che mi meni anche lei, come ha fatto la moglie di quello che mi aveva rimorchiata al parco. Ma non è vero, non è così. La verità è che non mi va più e basta. Con quella telefonata si è rotta la magia del momento, se vogliamo chiamarla così.
 - Lasciamo perdere, dai, non voglio farti passare un guaio – gli sorrido cercando di rimettergli il cazzo nelle mutande.
 Mi guarda con un misto di riconoscenza e di rimpianto. Spero solo che capisca che non sono incazzata con lui, mi dispiacerebbe. E’ andata così, non è colpa di nessuno. Mi rialzo e gli appoggio la testa sotto la spalla. Cazzo, se è alto.
 - Che hai da ridere? – mi domanda.
 Rido. Non ci posso fare nulla, mi viene da ridere. Anzi, da ridacchiare. Nulla di esplosivo, però inarrestabile.
 - E' la prima volta che faccio un pompino con un cappuccio in testa - riesco a dire. E poi riattacco a ridere.
 - Come prima volta non c'è male... però non hai finito, non è stato un vero e proprio pompino...
 Trovo la precisazione un po’ pignola, ma sono indulgente e sto al gioco. “Ok, allora diciamo che è la prima volta che succhio un cazzo con un cappuccio in testa...”. Mi risponde ridacchiando anche lui, mentre io forse per la prima volta realizzo lo stato in cui si trovano i miei jeans.
 - Dio santo, sono tutta bagnata.
 - Non in quel senso, intendi.
 - Ahahaha... non lo so, sono talmente zuppa che in quel senso dovrei controllare...
 - Se vuoi controllo io...
 - Ahahahahah meglio di no... meglio che andiamo.
 - Annalisa, hai detto?
 - Non è molto carino da parte tua non ricordarti il nome...
 - Se domani sera continua a piovere possiamo darci appuntamento qui...
 - Ahahahah... magari domani sera ho la polmonite...
 - Sarebbe carino, però. Potrei metterti con le spalle al muro. Anche quella è una cosa che non ho mai fatto sotto la pioggia.
 - Ah, ecco... non so se avrei voglia di essere inchiodata a quel muro.
 In realtà, se ci penso, la prospettiva non mi dispiace affatto. Pioggia o non pioggia. Ma è meglio non creare tante aspettative.
 - "Inchiodata al muro"... ma parli sempre così?
 - In genere no. Ci sono cose che si pensano e non si dicono...
 - Ma si immaginano...
 - Sì...
 - Immagine per immagine, non spalle al muro, ma faccia al muro. E con i jeans calati. Io immagino di inchiodarti così, prima un buco e poi l'altro.
 Eccolo, anzi eccoli. Lo spasmo e il calore. Adesso sì che non ho più bisogno di controllare se sono bagnata anche sotto le mutandine.
 - Sei un porco... – sibilo.
 - E tu una troia...
 - Non sai quanto, te l’ho detto. E poi avevo proprio voglia di qualcuno che mi chiamasse troia.
 Mi stringe, poi mi bacia ancora. Sta combattendo contro il suo desiderio, lo sento. E la cosa mi piace. Il mio calore avanza.
 - Allora facciamo per domani sera? - sussurra.
 - No – gli rispondo senza nemmeno pensarci tanto.
 - Perché no? – domanda sorpreso.
 - Perché no. E nemmeno dopodomani o un’altra volta. Vorrei dirti restiamo semplicemente amici – gli dico sbottando quasi a ridere – ma in realtà chi cazzo ti conosce?
 - Te l’ho detto prima – mi fa dopo qualche secondo di silenzio – non sei normale.
 - E io te l’ho chiesto prima, ma non mi hai risposto: cos’è normale? Scambiarsi i numeri, vedersi domani sera o comunque quando sarai libero, uscire, corteggiarsi, farti un pompino in macchina, portarmi a casa tua? Scoparmi in un albergo?
 - Cosa ci sarebbe di male? – chiede.
 - Nulla. Per carità, nulla. Anzi. Ma perché sarebbe stato meglio di un pompino qui? Poi è andata buca, pazienza... ma sarebbe stato fantastico.
 - Però avremmo più tempo – obietta - staremmo più comodi. Di sicuro più asciutti.
 - Non discuto. Ma a me andava ora.
 - Davvero non me lo dai il telefono?
 - Davvero.
 - Sei proprio matta...
 - Sì, lo so. Matta e troia. Una troia matta... Stammi bene, Marco.
 Mi volto e comincio a correre verso il parcheggio, verso la mia macchina. Non perché non voglia bagnarmi. Tanto, nonostante l’acqua continui a precipitare in modo assurdo, più bagnata di così non potrei essere. Corro perché ho voglia di scomparire alla sua vista, ho voglia di non voltarmi indietro. Ho voglia di salire in macchina grondante e bagnare i sedili, accendere il riscaldamento e correre il più veloce possibile a casa. Spogliarmi e infilarmi sotto una doccia bollente.
 E sditalinarmi prima che mi scompaia dalla mente l’immagine di lui che si stupra una ragazzina tenendola faccia al muro. Una ragazzina bionda con i jeans abbassati e il giaccone tirato un po’ su. Sotto la pioggia che batte e che copre ogni altro rumore intorno. Ma che non riesce a coprire gli strilli di quella zoccoletta.
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levyl · 3 years
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"Ma lei provocava".
Come a dire, se l'è cercata. Come a dire, te lo meritavi. Come a dire, vestiti da suora e cammina rasentando i muri. Come a dire, sei nata femmina e se non vuoi essere stuprata, se non vuoi essere ammazzata, ti devi coprire. Come a dire, il diritto di fiatare non ce l'hai. Se mi dici di no, se mi dici che è finita, se mi dici che ami un altro, io ti sfregio la faccia, ti sfregio la vita con l'acido. Il tuo no non conta niente, perché sei nata femmina. Io, invece, sono nato maschio. Come a dire, sei una puttana e per le puttane non esiste pietà. Come a dire, sei una donna, cosa pensi di fare? Come a dire, sei una donna, se mi eccito è colpa tua. Come a dire, io sono più forte e te lo dimostro. Come a dire, chiamo i miei amici e ti violentiamo a turno, perché lo devi capire, lo devi capire, che sei solo una donna. Solo una donna. L'hai capito che sei solo una donna? Come a dire, tu non ti appartieni, di te dispongo io. Come a dire, e dai, che sotto sotto ne hai voglia, ti piace, ti fa bagnare in mezzo alle cosce.
Come a dire, non ti ribellare, altrimenti ti strangolo con un cavo elettrico e stringo forte, fortissimo, intorno al tuo bel collo bianco; altrimenti ti trivello il cuore con venti coltellate, te lo faccio diventare uno scolapasta di carne, vuoi vedere?; altrimenti ti brucio viva, come una candela, come i ciocchi di legno in un camino, come le stelline di Natale; stai zitta, zitta!! Altrimenti ti riempio di botte e se provi a parlare, se provi a denunciarmi, ti ammazzo madre e padre, e tu non vuoi che loro ci vadano di mezzo solo perché hanno una figlia che è una cagna, giusto? Come a dire, ho l'imbarazzo della scelta, ti posso sopprimere in mille modi.
Come a dire, non puoi lasciarmi perché non lavori e senza soldi non si cantano messe. Sei mia, sei roba mia, sei un fatto mio, dirò che sei una pazza, che sei caduta, che ti stai inventando tutto. A chi crederanno, secondo te? Al professionista stimato o a te, che sei solo una donna?
Come a dire, devi avere paura se di sera torni a casa da sola. Come a dire, tieniti la mano sul culo altrimenti ti licenzio.
Come a dire, se ti chiamo cinquanta volte al giorno, devi rispondere cinquantuno; se ti dico di non uscire con le amiche, tu non esci, tu obbedisci; chi è quel collega con cui ti ho vista parlare? Cosa vi dicevate, eh? Stavi facendo la troia pure con lui? Dimmelo. Stavi facendo la troia pure con lui? A lavoro non ci devi più andare, hai capito? Da oggi non ci vai più a lavoro.
Come a dire, sei una stupida, una poveretta, una ritardata. Non sai fare niente, non sei buona a niente, non vali niente.
Come a dire amore mi dispiace, mi dispiace, perdonami, prometto che non accadrà ancora, non ti sfiorerò nemmeno con un dito, è stato un attimo di debolezza, ho perso la testa, avevo paura che mi lasciassi. Tu sei troppo importante per me, capisci? Troppo importante. Se ti perdo, impazzisco. Se ti perdo muoio.
E allora è meglio se muori tu, donna. Perché sei solo una donna. Perché ti chiami Jessica, ti chiami Lucia, ti chiami Sara, ti chiami Alessandra, ti chiami Serena, ti chiami Patrizia, ti chiami Antonella, ti chiami Maria, ti chiami Rossella. Ti chiami donna. Sei solo una donna. E mi hai provocato.
"Ma lei provocava" è la morte di ogni umanità.
Antonia Storace
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#noallaviolenzasulledonne👠🖤
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serewwna-blog · 5 years
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Ciao..mi chiamo Serena e ho 12 anni.. Iniziò tutto il 5 gennaio 2019.Ma in realtà partì tutto 2 anni fà (i miei genitori sono separati) il figlio del compagno di mia madre faceva seconda media (io facevo la quinta elementare) ora fa la 1 superiore,avevo sentito che parlava con suo padre di una ragazzina che credo fosse una sua compagna di classe,si tagliava,io subito iniziai a giudicarla pensando fosse stupida,però poi pasaarono 2 anni è si arrivò appunto al 5 gennaio 2019..Ero a casa di mia nonna andai nel piano di sotto e nel bagno aprii un armadietto trovai una scatolina con su scritto "GILLETTE" la presi e guardai dentro,c'erano 10 cartine,ne presi una e andai nel bagno al piano di sopra,che era più sicuro perchè potevo chiudermi a chiave,dopo averla aperta decisi di farmi un taglietto non molto profondo..ma giusto per lasciare un segnetto...(in quel periodo stavo con un 'ragazzino' che aveva un anno in meno di me, si chiamava "M", volevo trovare qualcosa per tagliarmi ogni volta che litigavamo..) deve essere la prima ed ultima volta che mi incido la pelle,dissi che non dovette più accadere..ma ti feci tagli per tutto il mese..Arrivò così febbraio e iniziai a farli un po più profondi ma non troppo, dissi basta non deve più succedere...anche lì andai avanti per tutto il mese fino a marzo,li feci molto più profondi, fu un cambiamento come da caldo a freddo,bruciò molto, mi ricirdai che mi scesero 2 lacrime dall'occhio sinistro.Arrivò aprile provai a smettere ma non riusciì,e così continuai con i tagli fino ad oggi..Mi dicono che una ragazza che si taglia prova soltanto rabbia,ma per me non è così..io provo 4 cose:
1)Delusione
2)Rabbia
3)Tristezza
4)Gelosia
1)Si,forse è esagerato che io alla mia età parlo già di delusioni,ma è così mi hanno abbandonato tutti e tutte,si divertivano a fare le doppie facce
2)La rabbia anche perchè comunque per sfogarmi non ho più nessuno e così "sacrifico" la mia pelle..
3)La tristezza,io nonostante abbia avuto sempre tutto quello che volevo sono sempre triste,non mi accontento mai e pretendo sempre,tutti mi odiano,sono sempre triste ormai ogni singolo giorno va così...non riesco ad accettare il fatto che i miei si siano separati..e poi a scuola...
4)Io sono sempre stata gelosa e possessiva delle persone a cui tengo veramente,a volte non lo dimostro per fare la stronza,ma ci tengo veramente......
Mi sono rotta che a scuola mi reputate tutti una troia..tanto troverete sempre un modo per giudicarmi..
-Se mi metto un maglione sono sfigata,
-Se metto scollature sono troia,
-Prendo 4 sono ignorante
-Prendo 8 sono fissata
-Sorridi e sembri un oca
-Sei seria e te la tiri..Finisce sempre così tanto..
L'altro giorno sono tornata a casa piena di lividi sul braccio e piccole ferite sulla gamba a fuori di essere presa a calci..In questo ultimo periodo ho scoperto di avere 2 persone che forse si ritroveranno a leggere questa "lettera". Uno è un compagno di classe che conosco credo dalla quarta elementare..e che ho sempre sottovalutato,lui è dall'inizio dell'anno che c'è sempre per me e lo ringrazio veramente tanto.L'altro è un ragazzino di 14 anni che ho conosciuto..beh lui,lui cè sempre da quando lo conosco, e so che a volte sono stronza ma sono fatta così e non posso farci nulla, comunque grazie veramente tanto per tutto.♡
Parlando di delusioni sono stata delusa proprio dalla mia migliore amica e dal tipo che mi piace... ma questa è un altra storia..
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oodamnedsouloo · 2 years
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Ma porca troia che ansia! Svegliarsi alle 4 col tuo pensiero.
"devi stare tranquilla..." "devi dormire.." "stai serena.." "non ci pensare.." ma andate a cagare.. Come si fa?
Ma se dopo che mi hai uccisa io sto ancora così, te che hai smesso di amare, come hai fatto? Cioè io neanche con una motivazione smetto di amare!
Ma quale amore era il tuo? Tu non amavi.
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supergaietta · 2 years
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Il messaggio
Ieri ho fatto un colloquio conoscitivo con una psicologa perché avevo trovato un sito a caso su una story a caso di un influencer a caso e mi sono sentita ispirata. Il colloquio era gratis, il resto delle sedute ovviamente no, quindi scriverò alla dottoressa che il nostro primo incontro è stato già così illuminante che non ho bisogno di altro o qualche altra stronzata per nascondere il fatto che non ho i soldi e non ho nessuna intenzione di dirlo ai miei. Però che sia stato un colloquio illuminante è vero perché alla fine sempre nello stesso modo è andata a finire. La psicologa mi ha chiesto “Ti piaci?”. Questo tipo di terapia lo sto già facendo con i miei amici. L’amicizia non mi curerà, ma è un passo avanti, e soprattutto è gratis.
Tra i tanti problemi che ho, ho parlato solo di quello che al momento mi sembra più invalidante: la paura delle persone che se ne vanno. Ma porca troia, alla morte preferisco mille volte il ghosting. Fabio lo odio, ma almeno so che sta bene. Serena invece non c’è più e che sarebbe andata a finire così lo avevo già capito due giorni fa quando, durante una delle mie tante notti insonni. sono andata a stalkerare tutte le sue amiche perché la vedevo poco attiva sui social e mi sono preoccupata. Avevo ragione.
Oggi mi ha scritto Kiara. Data la mia mentalità catastrofista, avevo già immaginato tante volte questo momento. Immaginavo di essere in compagnia, non so perché, magari a casa di qualcuno pronto a sostenermi alla ricezione della notizia. Invece ero da sola, come sempre, in uno stanco venerdì che sembrava normale. Mezza vestita, seduta sul letto. Ho preso il telefono e ho visto la notifica. Pensavo che avrei avuto paura. Quando Marco ha risposto alla mia dichiarazione ci ho messo due ore per aprire l’email perché mi era venuta l’ansia (ragionevolmente, visto che avevo fatto una stronzata). Invece ho aperto il messaggio di Kiara subito, con una sicurezza quasi disarmante forse proprio perché sapevo già cosa avrei letto.
Ne avevo la certezza perché io non conosco Kiara quindi l’unico motivo che aveva per scrivermi era questo. L’avevo vista tante volte nelle foto di Serena quindi ho contattato lei quando l’anno scorso ho pensato di farle una piccola sorpresa. Le ho inviato un messaggio per chiederle il suo indirizzo di casa per spedirle una cartolina con un’illustrazione personalizzata che le avevo fatto fare da Federica. Non so se Kiara si è ricordata di me per questo piccolo favore che le ho chiesto quasi un anno fa o se mi ha visto nelle visualizzazioni delle sue stories due giorni fa, in ogni caso è stata molto carina. E io sono stata rapida nel risponderle, non ho avuto paura, sono stata lucida, perché avevo immaginato questo momento un casino di volte. Sapevo anche già che fare. Ho contattato le ragazze con cui gestisco il fanclub di Noemi e mi hanno aiutato nel compito che mi era stato affidato: spargere la voce. Perché Sere parlava con un sacco di gente e Kiara non conosceva tutti. Io mai più nella vita voglio essere la persona che scrive alla gente per annunciare una morte. Mi serve un segretario. Comunque l’ho fatto, e mentre Alessandra mandava vocal in lacrime, io sono rimasta professionale, mi tremavano solo un po’ le mani.
Mi tremavano le mani anche quando nel 2013 Serena passò davanti a me e a mio padre seduti a un bar di Giffoni. Lui mi chiese come si chiamava questa mia amica perché voleva chiamarla e chiederle come aveva iniziato la sua carriera da giornalista perché io dovevo seguire le sue orme. Mi vergognavo. Lei per fortuna non sentì il richiamo di mio padre e passò oltre velocemente. Ma il 24 luglio di quell’anno io decisi che volevo essere come Serena, che volevo fare quello che faceva lei. Dodici mesi più tardi lo facevo davvero. Il giorno in cui ho capito qualcosa in più sul mio futuro grazie a lei era lo stesso giorno in cui Naya Rivera è stata ospite al Giffoni. Se tanto mi dà tanto, la prossima a morire sono io… Anche se con i Cereali Sottomarca oggi abbiamo parlato di testamenti biologici e di ceneri ma con loro anche certi discorsi di merda diventano divertenti. Comunque lasciando da parte considerazioni macabre che non dovrei fare (ma che, data la situazione ridicola, mi escono spontanee), quello è stato anche il giorno in cui ho incontrato Levante per la prima volta. E lei, per fortuna, sta per dare alla luce una bambina. Mi piacerebbe pensare che tutto si compensa così, sono le leggi dell’Universo e così via, ma al momento mi sembra lo stesso che il mondo faccia schifo.
Ho passato due giornate di merda perché ho fatto crashare il mio sito (nb: ho fatto il backup e conosco almeno 5 informatici che possono farmi il lavoro gratis, ma mi sono comunque preoccupata in modo allucinante) ed ero pronta a pensare che adesso le cose dovevano migliorare per forza. Che non mi sarei più svegliata nel cuore della notte pensando al fatto di aver buttato nel cesso gli ultimi 5 anni della mia vita regalati a quella piattaforma. Che le cose si sarebbero sistemate. Perché non può piovere per sempre e stronzate varie. E invece ecco come ho vissuto una giornata ancora più di merda. Il sito me lo aggiusta Attilio, quando troverà un’ora di tempo per fare un favore a me nonostante debba lavorare. Tutto il resto, però, non si può sistemare.
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il-diario-di-moon · 6 years
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A cena dal Signor Cordoni...
parte¹
L: Moon sei pronta per andare? siamo sempre gli ultimi!!
M:Arrivo,Arrivo....
Oggi é il grande giorno del compleanno del capo di mio marito, il signor Cordoni ha invitato tutti i suoi familiari e dipendenti con le rispettive famiglie, al suo compleanno....Io non volevo andare a quel compleanno, sapevo già come sarebbe andata con la moglie del Signor Cordoni....
L: Moon devo parlarti ...
M:dimmi amore.
L:Ti prego, non metterti a fare le tue solite scenate con la Signora Roberta...
M: Light sai bene come non la sopporto, mi provoca, mi manda in bestia e poi flirta con te!!!
L: Moon, non voglio rimetterci il posto per le vostre bambinate!!!! se non vorrai ricevere delle brutte conseguenze, ti consiglio di comportarti come si deve, non vorrei essere costretto a prenderti a sculacciate lí di fronte a tutti!
M: D-di fronte a tutti? non ne saresti capace...
L: Moon non sfidarmi, mi conosci bene come son fatto.. tu stai serena e lasciala perdere, non credo tu voglia che assista a una delle tue punizioni...
M: Noooo! ti prego...
L: Comportati bene e lasciala perdere... per quanto riguarda il flirt, puó fare ció che vuole, lo sai che amo solamente te! Ora andiamo che siamo già in ritardo.
La signora Roberta nonché moglie del Signor Cordoni é mia nemica fin dai tempi delle scuole medie, mi bullizzava e si prendeva gioco di me, l ho sempre odiata per tutto questo,ma stasera non posso commettere errori....
Arrivammo alla villa Cordoni, c'era tantissima gente, il signor Cordoni si avvicinó a salutarci...
S.C.: Oh Light, come siete arrivati in ritardo,la puntualità é una delle prime cose che una persona dovrebbe imparare.
M: mi scusi signor Cordoni, é stata colpa mia, ci metto sempre un infinità di tempo a prepararmi...
cercai di farlo stare zitto al piú presto, non vorrei iniziasse uno dei suoi soliti monologhi di quello che é giusto e quello che non é giusto fare ... mi basta Light! ...
S.C.: bhe se é cosí Light dovresti rimetterla in riga, altrimenti se la prenderà a vizio.. Ora andiamo incominciano le danze...
il signor Cordoni andó dagli altri ospiti, ed io e Light ci spostammo vicino ai nostri amici...
M: Light vado a prendere qualcosa da bere torno subito...
L: Si grazie Moon..
mi incamminai, presi due bicchieri di vino e come mi girai, mi ritrovai Roberta di fronte...
M:Scusa devo proprio andare, permesso
R:Nemmeno si saluta? ... cosa fai la cameriera ora? bhe ti si addice di sicuro, non sei un donna soffisticata come me, a dire il vero nessuno lo é.
la lasciai parlare da sola,ma inizió a seguirmi...
R: Non so proprio come il caro Light abbia potuto sposarti, una donna come te,cosí di poco gusto...
per poco non mi usciva il fumo dalle orecchie e le narici,
M: Senti un pó..
stavo per risponderla a tono quando mi sentií la mano di Light nella schiena...
L:Eccoti qui, ce l hai fatta a prendere da bere finalmente...
M: Si, Amore ecco,va bene questo vino? io non lo conosco...
R: Certo, come potresti conoscere un buon vino come questo, é un Merlot, non sapresti distinguerlo nemmeno da una bottiglia di un discount qualunque...Ma come hai fatto Light a sposare una donna cosí di poco conto...
M: Sei veramente una troia!!!!!!!!!!!
L: MOON!!!!!, fai silenzio!Signora Roberta, se offende mia moglie offende me, potrebbe essere anche un pó piú femminile nel parlare non solo nel vestire...
Roberta rimase di stucco,non sapeva cosa rispondere; 
S.C: Tutto apposto miei cari?
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icomaidirros · 6 years
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“Mi hanno chiamata puttana. Perché gli ho sorriso quando mi diceva che avevo un bel culo, gli ho detto si senza aspettare troppo tempo, mi sono fatta toccare ovunque senza particolari impedimenti, gliel’ho preso in mano senza guanti sterilizzati da chirurgo e poi l’ho perfino messo in bocca e non ci eravamo ancora neppure presentati. Mi hanno chiamata troia perché mi è piaciuto, ed eravamo in un piccolo sgabuzzino ricavato dentro il pub, mi sono liberata di mutande, reggiseno, gli ho sbottonato il pantalone e mi sembrava gli piacesse, era felice, lui godeva e devo dire che godevo anch’io.
Mi hanno chiamata sporca perché non ho tenuto a precisare i dettagli della mia intimità, gli ho solo detto “tiè, mettiti ‘sto preservativo” e poi ho sollevato l’anca e l’ho spinto dentro senza indugiare. E se ne avevo voglia non ho capito perché mai avrei dovuto rifiutare. L’unica cosa della quale avrei potuto lamentarmi era il fatto che è venuto troppo presto, era eccitato, c’era da capirlo, allora mi sono toccata e lui mi ha dato una mano, anzi la lingua, per fare arrivare pure me.
Ma come, non lo fermi? Non gli dici niente? Non vuoi neppure avere un abbraccio, una parola dolce, qualcosa che possa dare l’illusione di un interesse differente? E dico no, non me ne frega niente. Mi è piaciuto. Dovessi mai incontrarlo un’altra volta può anche ricapitare. Se gli sta bene. Se mi sta bene. Ma al momento dirsi ciao e grazie dopo il sesso e continuare a trascorrere la serata come prima mi sembra la migliore cosa.
Mi hanno chiamata troia perché secondo la mia amica mi sarei comportata come un maschio. E ho chiesto “un maschio gode quando scopa? e perché mai non posso farlo anch’io?“. Mi hanno chiamata puttana perché mi è piaciuto quello che non avrebbe mai dovuto piacermi. Anzi mi eccita, ancora, solo ripensarci. Perché sono fatta di carne e di libido e non c’è alcuna morale che possa convincermi del fatto che mi sono sbagliata.
Mi hanno chiamata sporca perché avrei dovuto, come minimo, sperare che lui mi chiamasse il giorno dopo, a me che non gli ho neppure dato il numero di telefono, avrei dovuto sospirare, innamorarmi, immaginare di mettere su casa e fare mille figli con uno con il quale mi è solo piaciuto scopare. Mi hanno chiamata stronza quando è sembrato che per difendermi dalle accuse ho dato delle bacchettone e moraliste alle mie conoscenti, quelle che mi hanno vista entrare con quel tale dentro lo stanzino e poi mi hanno aspettata fuori. Una mi ha detto “ero preoccupata… pensavo ti stesse stuprando…“.
Mi hanno chiamata troia perché avessi detto si trattava di uno stupro forse sarebbe stato meglio, avrei evitato di essere processata perché manco dell’aspirazione alla santità. E mi chiedevo se esiste regola che imponga alle donne di sentirsi violate se non rispettano le convenzioni sociali.
Io mi ricordo ancora quelle mani strette, i colpi serrati, il caldo, l’odore, lo rifarei senza problemi, perché certe volte l’intesa scatta in un momento e di lui non so cosa mi ha colpito, forse la voce, forse. Ma se dopo il sesso non proclamo di essere una martire profondamente innamorata, se ben distinguo la chimica dal sentimento, allora sono un maschio, che per chi è un po’ specista diventa essere un “animale”, nel senso becero e deteriore di quel termine.
Io troia, io puttana, io animale, io sporca. Perché in fondo c’è una mentalità che ci vuole un po’ così: stuprate, sofferenti e infelici o se felicemente scopanti dunque stigmatizzate. Al massimo sposate figlianti, senza eccessiva eccitazione per gli appuntamenti a letto.
Ho fatto sesso consensuale con un tale che non me l’ha chiesta, io non gliel’ho chiesto, mi è piaciuto e poi non ci siamo mai più visti. Per la mia amica sono ancora quella che avrebbe avuto un trauma da piccola ché altrimenti sarei lì a fare la sentimentale con qualcuno. Mi ha triturato le ovaie con il mio presunto senso di solitudine, ché noi femmine saremmo diverse, che non è possibile che possa piacerci una cosa così, che per sentirsi realizzate per davvero le “donne”, e l’ha detta proprio così declamando teorie al plurale, avrebbero bisogno di sicurezza, stabilità, casa, famiglia, figli. Le ho detto “stai serena… a te forse non sarebbe piaciuto ma a me invece si“. Lo posso dire che se lei trombasse di più e avesse meno moralismi attaccati sulla pelle forse starebbe meglio e farebbe stare meglio pure me?”
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pleaseanotherbook · 4 years
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Raccolte di racconti ne abbiamo? #2 parte
Il cielo è terso qui a Torino, l’aria pesante di smog e io sono sempre presa dal lavoro, dagli impegni che si accumulano e dal tempo che mi scivola dalle mani e ho sempre la sensazione di non riuscire a concretizzare. È come essere sempre gettati in un frullatore e non avere il tempo neanche di riprendermi. È una giravolta e trovare il punto di equilibrio una sfida. Sicuramente sono meno ansiosa, più serena, meno stressata, ma questo non significa minimamente essere più libera. Mi sto assestando e sono pronta a cambiare ancora, spero.
Negli ultimi mesi il tempo per leggere è sempre stato molto risicato e a volte ho preferito leggere volumi più brevi che mi dessero la sensazione di leggere come prima anche se di fatto il numero delle pagine macinate si è notevolmente ridotto. Ecco allora che in mio aiuto è venuta una serie di raccolte di racconti che ho accumulato nell’ultimo anno e che di fatto ho preso in mano solo recentemente. E dal momento che stava diventando un post chilometrico ho deciso di dividerlo a metà. In questa seconda parte troverete un breve commento a questi volumi:
Attraverso la finestra di Snell. Storie di animali e degli umani che li osservano – Paolo Pergola edito da Italo Svevo Edizioni
Piccola guida tascabile ai luoghi da non frequentare in letteratura edito da Abeditore
Le nuove Eroidi edito da HarperCollins
Donne difficili – Roxane Gay edito da Einaudi
La vita fino a te – Matteo Bussola edito da Einaudi
Enjoy!
Attraverso la finestra di Snell. Storie di animali e degli umani che li osservano – Paolo Pergola
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Per quanto Paolo Pergola sia uno scienziato affermato e serio nel suo lavoro di ricerca, senza che le due cose siano in un qualche e apparente modo collegate, è anche un membro dell’Opificio di Letteratura Potenziale. E questa è forse la principale premessa per quello che, senza essere un libro di divulgazione scientifica, parla di scienziati, zoologi, e del loro oggetto di studio, gli animali. Se la scienza cerca di spiegare il mondo, i quattordici racconti qui raccolti ci mostrano quali divertentissimi e appassionanti fatti possono accadere quando il mondo, in questo caso degli animali, viene messo sotto osservazione. La scrittura di Pergola riesce a decentrare la nostra attenzione e destare la nostra meraviglia, con un’accuratezza e un’ironia che ricordano quelle delle Cosmicomiche e di Ti con Zero di Italo Calvino.
Sono sempre affascinata dalle storie di animali, soprattutto quando non sembra così scontato il loro esito. I volumi della Italo Svevo Edizioni poi sono dei piccoli gioiellini, che rendono l’oggetto libro un qualcosa da collezionare e spacchettare come un dono. Di fatti ogni volume è impaginato come un piccolo regalo da scartare, pagine da tagliare, bordi da pareggiare, e data la mia scarsa manualità ogni pagina è il cimitero delle mie buone intenzioni. Pergola è uno scienziato ma ha anche il dono del narratore provetto, e riesce a ricreare storie improbabili da fatti realmente accaduti che si dilatano nel tempo di una scoperta o nel racconto di un aneddoto. La finestra di Snell diventa quindi una lente di ingrandimento che si scontra con il buon senso e con le scoperte fortuite che si colgono osservando uccelli che gettano cozze dall’alto per romperle, conferenze in cui ci si perde continuamente e per cui si aspettano i colleghi, ingegnose scoperte fortuite che cambiano la nostra percezione del mondo e dei suoi abitanti. Le opere della Italo Svevo nascondono sempre un fascino senza tempo, delle vere e proprie opere da collezione e anche questa non fa eccezione.
Piccola guida tascabile ai luoghi da non frequentare in letteratura
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Paradisi tropicali, hotel di lusso e pittoreschi sentieri di campagna: nulla di più evocativo e rilassante, no? Sbagliato, perché quando la scenografica stradina costeggia un camposanto o ci si vede costretti a fare i conti con una casa dalla quale sembra impossibile uscire, allora trovare un attimo di relax diventa l'ultimo dei problemi. Se con una linea si collegassero tutti i luoghi nominati in questa "Piccola guida", oltre a macinare chilometri di grafite probabilmente si darebbe vita a un disegno dalle fattezze tremende e spaventose. Un tour letterario di luoghi nefasti, oscuri, sconvolgenti, spesso nascosti dietro facciate insospettabili o patine oniriche. Non importa che si tratti di antichi nidi di perfidia, tenuti in piedi dalle influenze malvagie delle entità che li abitano o di luoghi di passaggio che, impregnati di sofferenza e angustia, si fanno tramite di turbamenti e presagi: ciò che fa sì che un posto ci rimanga nel cuore (o ci perseguiti come un incubo - ma perché impelagarsi in sottigliezze?) è come esso ci ha fatto sentire. Contiene: La casa del giudice, Bram Stoker; La camera ammobiliata, O. Henry; Il paese blu, Marcel Schwob; C'era un uomo che viveva presso un cimitero, Montague Rhodes James; I prigionieri di Longjumeau, Léon Bloy; Sibilo, Gustav Meyrink; La casa vuota, Algernon Blackwood; L'addormentatrice, Guy de Maupassant; La stanza dell'incubo, Arthur Conan Doyle.
Il fascino del gotico riesce sempre a conquistarmi, soprattutto quando si rivela in grandi classici senza tempo. Gli autori che appaiono in questa raccolta della Abeditore sono illustri e meno illustri, ma hanno la capacità di tratteggiare in poche righe mondi inquietanti che si riversano tra le mura degli edifici che le ospitano. I luoghi di per sé sembrano sempre innocui, incapaci di generare terrore, ma se li si unisce a suggestioni o al sentore di paranormale finiscono per incunearsi nei meandri del subconscio e generare mostri crudeli e aberranti. Viaggiare nel mondo dell’horror e del fantastico è sempre un’esperienza che non si riesce a mantenere nascosta, perché provoca spasmi in tutta la popolazione. Sia che si tratti di sprovveduti studenti in cerca di tranquillità che vengono risucchiati in suggestioni pericolose, sia che si tratti di un paio di sprovveduti esploratori che non credono a nulla e finiscono per sperimentare una delle notti più spaventose della loro vita. Il volume è impreziosito da illustrazioni curatissime, che sottolineano la storia e ne inquadrano la situazione, da Parigi alla campagna, da Londra al paesino più sperduto, nessun luogo è sicuro, scappare è sempre una soluzione da tenere a mente.
Le nuove Eroidi
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Otto delle più importanti autrici delle nuove generazioni riscrivono il classico di Ovidio che racconta i miti dalla prospettiva delle donne. Un libro sovversivo, sospeso tra modernità ed eternità.Poco più di 2000 anni fa Ovidio scrisse una raccolta di lettere poetiche straordinariamente moderna e originale: le Eroidi, epistole in cui le eroine del mito si rivolgevano ai loro (generalmente non irreprensibili) mariti e compagni, rovesciando il tradizionale punto di vista maschile. Oggi, otto tra le più importanti scrittrici italiane reinterpretano il classico di Ovidio con assoluta libertà. Così, fra le altre, incontriamo una nuova Medea in Maremma raccontata da Teresa Ciabatti; leggiamo Antonella Lattanzi che ci racconta di Fedra in tribunale; partecipiamo al dramma di Ero e Leandro, in fuga dal loro paese su un barcone nel Mediterraneo nelle parole di Ilaria Bernardini; Veronica Raimo ci mostra Laodamia in una chat erotica, mentre Caterina Bonvicini ci fa conoscere una Penelope che si è imbarcata per mare mentre Ulisse la attende a Itaca… Un libro che, partendo dall’attualità del mito, mette nuovamente al centro la prospettiva femminile, con una collezione di storie appassionanti e universali.
Per questo volume edito HarperCollins otto donne Ilaria Bernardini, Caterina Bonvicini, Teresa Ciabatti, Antonella Lattanzi, Michela Murgia, Valeria Parrella, Veronica Raimo, Chiara Valerio si sono cimentate nella rivisitazione di miti classici trasportandoli nel nostro presente e dando ritratti spietati di altrettante donne, vessate, spaventante, irriconciliabili. C’è molta veridicità, che si alimenta da storie vere, storie di migranti, di omicidi, di passioni e di mancanze, che si aggrappano alle storie rese immortali dalla storia. Ogni autrice aggiunge il proprio tocco personale, che si divincola dal setting originale e contrappone realtà apparentemente inconciliabili. Sono incredibilmente di parte ma il mio preferito resta quello della Murgia che racconta di Elena, una delle donne più belle del mondo antico che finisce per scatenare inconsapevolmente una guerra decennale in quel di Troia. Attualizzando la Murgia lascia tutto il fascino della vicenda originale, cambia solo la prospettiva da cui si visualizza Paride, che addormentato appare quasi come un bambino inconsapevole. Sono troppe le forze in gioco, ma tutte queste donne non sono solo vittime degli eventi, ma sono donne che cercando di cambiare le cose con le proprie forze, affrontano paure e processi e inevitabilmente finiscono per essere giudicate male. A volte i retelling sono troppo drastici, e finiscono per definire storie che non hanno niente a che fare con il mito originale e pur essendo racconti molto validi perdono la potenza delle eroine che vorrebbero emulare.
Donne difficili – Roxane Gay
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Due sorelle, letteralmente inseparabili da quando, ancora bambine, sono state rapite, devono fare i conti con il matrimonio di una di loro. Una donna sposata finge di non accorgersi che il marito e il fratello gemello di lui si scambiano di ruolo. Una spogliarellista lotta contro quelli che considera i rischi del mestiere per pagarsi il college. Un ingegnere nera si trasferisce in Michigan per lavoro e qui si scontra con il pregiudizio dei colleghi e la difficoltà di lasciarsi il passato alle spalle. Una ragazza affronta la solitudine come le ha insegnato la madre da bambina, non importa il prezzo da pagare. In questi racconti sfrontati, animati da donne vere e, per questo, difficili, il realismo più crudo sfocia nell’assurdo senza soluzione di continuità e le passioni perdono i loro confini per sfumare l’una nell’altra.
Roxene Gay è un’attivista femminista, una scrittrice e una studiosa, una donna poliedrica che ha vissuto una adolescenza difficile e burrascosa che ha raccontato in parte in Fame. La Gay non è una che cerca di dissimulare ma ogni sua storia è un pugno nello stomaco che attinge alle sue esperienze autobiografiche e dalle sue peggiori paure che si materializzano in racconti mordaci e vividi che si insinuano nella mente del lettore e divelgono le sue sicurezze. Taglienti e spietati sono dei quadri che hanno sempre una donna per protagonista e non sono per nulla rassicuranti. C’è violenza non sempre fisica ma soprattutto psicologica, quei vortici in cui è facile cadere vittime inconsapevoli dei pregiudizi e delle parole degli altri. La Gay è una di quelle penne che non si fermano mai, ma scavano continuamente in situazioni apparentemente innocenti, ma che invece sono all’ordine del giorno e per questo ancora più difficili da digerire. Parlare delle condizioni in cui le donne si trovano a vivere, senza nascondersi a quella che molti definiscono normalità, serve, serve terribilmente a prendere coscienza, a superare i preconcetti di una società in cui si afferma la parità ma che soffoca ogni giorno nelle discriminazioni più infamanti. Roxane Gay prova a farlo con la sua ferocia e la sua rabbia.
La vita fino a te – Matteo Bussola
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Matteo Bussola riconosce ciò che di straordinario si annida nelle cose ordinarie perché le guarda come se accadessero per la prima volta, come se sentisse sempre la vita pulsare in ogni cellula. Ed è con quello sguardo che racconta di relazioni sentimentali, l'istante in cui nascono, il tempo che abitano. Lo fa mettendosi a nudo, ricordando gli amori passati, per ripercorrere la strada che lo ha portato fino a qui, alla sua esistenza con Paola e le loro tre figlie. Soprattutto, lo fa specchiandosi nelle storie di ciascuno: quelle che incontra su un treno, o mentre sbircia dal finestrino della macchina, o seduto in un bar la mattina presto. Quelle che incontra stando nel mondo senza mai dare il mondo per scontato, e che la sua voce intima e familiare ci restituisce facendoci sentire che sta parlando esattamente di noi.
Matteo Bussola è riuscito a compiere un piccolo miracolo, con la sua scrittura fluida e immediata, con la sua gentilezza e i suoi spicci modi da veneto, ha aperto uno spaccato sulla sua vita e sulla sua sfera privata, parlando ai cuori di tutti i suoi lettori. Pur avendo continui riferimenti alla sua famiglia, ogni suo scritto ha un carattere più generale, che racconta con una delicatezza e una grazia estrema la sua visione del mondo e della vita, racchiudendo in poche righe episodi della sua quotidianità. Leggerlo da sempre il senso della misura su questa esistenza spietata e gli si riconosce l’abilità di non essere mai banale pur non raccontando avvenimenti dal carattere unico e sensazionale. O meglio riescono a diventare speciali proprio perché pongono la luce su aspetti su cui non ci soffermiamo mai troppo presi dai ritmi frenetici delle nostre vite. Bussola è quasi un miniaturista e in questa raccolta prova a descrivere l’amore e le relazioni, l’intimità di rapporti che sfuggono le logiche e si ritrovano sul filo di un equilibrismo raro e contagioso. Si sorride molto, si piange a volte, ma perlopiù si vive, insieme.
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