Tumgik
#quesiti anche per gli altri giorni
spettriedemoni · 2 months
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Grandi quesiti del lunedì
È meglio ghostare dopo aver letto o prima di aver letto?
In buona sostanza: meglio le spunte blu o grigie?
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lamilanomagazine · 10 months
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Modena: in vigore il nuovo piano urbanistico generale
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Modena: in vigore il nuovo piano urbanistico generale. È entrato in vigore il Piano Urbanistico Generale (Pug), approvato dal Consiglio comunale lo scorso 22 giugno, che in sostituzione ai precedenti strumenti urbanistici governerà le trasformazioni del territorio d'ora in poi per i prossimi 30 anni, puntando sulla rigenerazione dell'esistente e sulla qualità urbana ed ecologico-ambientale, oltre al potenziamento dei servizi. L'avviso di approvazione del nuovo strumento urbanistico, nella giornata di mercoledì 2 agosto è infatti stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Emilia-Romagna (Burert), facendo acquisire al Pug, insieme al Regolamento edilizio e al Regolamento del Verde, piena efficacia. "Con l'entrata in vigore del nuovo Piano non trova più applicazione il precedente Piano Regolatore Generale (PRG – PSC, POC, RUE) e, viste le sostanziali modifiche alla materia, l'assessorato ha attivato diversi strumenti, a partire da un avviso pubblico per la prima attuazione del Pug, che verrà pubblicato a inizio settembre. È in corso, inoltre – prosegue l'assessora – l'organizzazione di attività di formazione in collaborazione con il Comitato unico Professioni e con gli ordini e i collegi non aderenti alle precedenti organizzazioni"afferma l'assessora all'Urbanistica Anna Maria Vandelli. Il Piano approvato e tutti gli altri i documenti utili per le pratiche relative alle nuove trasformazioni edilizie e urbanistiche sono consultabili sul sito del Comune nella sezione dedicata al Piano Urbanistico nella pagina del servizio Catasto, Urbanistica, Edilizia. Sullo stesso sito istituzionale verranno pubblicate le risposte ai quesiti di interesse generale che possono essere proposti da singoli professionisti, collegi, ordini, imprese e associazioni, oltre a consentire la richiesta di incontri di approfondimento. Con l'entrata in vigore del Piano arriva a conclusione un percorso, quello della formazione del nuovo strumento urbanistico, avviato nel 2017 e che ha visto il Consiglio esprimersi per l'assunzione del Pug a dicembre 2021, per l'adozione a dicembre 2022 e per l'approvazione definitiva a giugno 2023. Il nuovo Piano punta alla rigenerazione e alla riduzione del consumo di suolo, senza rinunciare allo sviluppo della città, rende più semplici e rapide le trasformazioni dell'esistente come destinazioni d'uso, frazionamenti di alloggi, ampliamenti di attività produttive e definisce regole chiare e trasparenti per le trasformazioni più complesse rispetto alle quali è stato introdotto lo strumento della Valutazione del beneficio pubblico. Il Regolamento edilizio rende pienamente efficace l'attuazione del Pug e disciplina le modalità di realizzazione delle trasformazioni edilizie ordinarie e dirette ma anche di quelle complesse ammesse dal Piano urbanistico generale. In particolare, porta a una semplificazione e al riordino dell'attività edilizia, rendendo più snelli, trasparenti e uniformi gli iter amministrativi, contenendo i tempi, semplificando e rendendo chiare le regole. Il Regolamento del Verde si applica a tutto il territorio comunale e riguarda sia il verde pubblico sia quello privato, fornisce gli strumenti per la sua tutela e valorizzazione ed è pensata come "vademecum" per i cittadini e come strumento di lavoro per i tecnici. Nello specifico, disciplina le modalità di tutela del patrimonio vegetale, individua e vieta i comportamenti che possono danneggiare gli alberi, delimita i casi nei quali sono consentiti abbattimento e la potatura, e indica i criteri per la sostituzione delle piante abbattute e per i nuovi impianti. L'avviso pubblico per la prima attuazione del Piano, che sarà pubblicato a inizio settembre e rimarrà attivo per 90 giorni, è volto alla raccolta di manifestazioni di interesse alla presentazione di trasformazioni complesse e rappresenta uno strumento per condividere il processo per la definizione dei progetti. Le manifestazioni saranno valutate sulla base delle priorità e dei criteri preferenziali definiti nel Documento di indirizzo approvato insieme al nuovo Piano in Consiglio comunale.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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annalisalanci · 1 year
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L'anima. Che cos'è l'anima. I limiti di una definizione
L'anima
Che cos'è l'anima
I limiti di una definizione
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Anima
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Embrione
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Pitagora
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Plotino
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Santi'Agostino. Agostino d'Ippona
Da parte degli storici delle religioni, è stata spesso posta in rilievo la limitazione e anche l'inadeguatezza del termine anima; A.M. Di Nola aveva infatti precisato che:
<<Il termine anima appartiene ad una particolare dimensione culturale e ideologica, che ha una sua specifica storia nella filosofia e nelle visioni religiose occidentali e cristiane, e che ha elaborato un suo proprio quadro dell'uomo, del suo vivere e del suo essere nel mondo. La modalità di tale quadro, in cui è implicita la presenza di una determinata attività, variamente qualificata come anima, spirito, mente, ragione, ecc. entra in una radicale crisi, ogni volta che intendiamo servirici di essa come pattern ideologico per interpretare altre realtà culturali>>.
Il background occidentale-cristiano che contrassegna il concetto di anima, può risultare furviante quando ci si pone al cospetto di culture strutturate su modelli religiosi diversi dai nostri.
<<Uso il termine anima in mancanza di un altro che meglio si adatti alle rappresentazioni della mentalità primitiva>>.
La nostra nozione di anima è comunque piuttosto fluida e incerta e tende spesso a confondersi con quella di spirito. Possiamo, considerare l'anima, nelle sue più arcaiche esperienze religiose, come la concretizzazione di istanze umane, motivate da cause vitali. Solo in seguito, la teologia e la filosofia ne hanno definito il significato con valori più profondi, giungendo alla costruzione di modelli astratti dai quali erano respinti gli elementi esperenziali perché considerati residui di concezioni naturalistiche.
Tra i quesiti che più di altri caratterizzano il nostro rapporto con l'anima vi è quello della sua origine.
Sulla <<nascita>> dell'anima sono state elaborate molteplici teorie; anche in contraddizione, che hanno dato origine a un corpus di ipotesi spesso difficili da definire nel dettaglio e che è praticamente impossibile cercare di far convivere.
Volendo semplificare, possiamo indicare due fonti:
1. L'anima proviene dalla divinità.
2. L'anima è originata dal basso, cioè dalla terra.
Seguendo le diverse interpretazioni filosofiche, le due ipotesi non si ecludono a vicenda, ma possono convivere.
Sant'Agostino chiariva:
<<Non ho trovato nelle Scritture canoniche nessuna affermazione inequivocabile sull'origine dell'anima>>.
I teologi hanno individuato molte <<origini>< dell'anima, dando vita ad un dibattito anocora oggi vivissimo. Qualcuno ha suggerito la possibilità che le anime siano state create tutte insieme all'origine dei tempi: avrebbero l'età di Adamo ed Eva, via via ognuna si è congiunta e si congiungerà con un corpo nel tempo seguendo un disegno conosciuto da Dio.
Questo tipo di origine, sostenuta da G.W. Leibniz (1646-1716), assegna all'anima una dimensione al di fuori del tempo e una precisa collocazione nell'eternità.
Altri come Plotino (205-270) e i platonici hanno ipotizzato che le anime non sinao <<create>> da Dio, perché sarebbero una sua emanazione, di conseguenza parte integrante della sua stessa sostanza.
Vi è inoltre chi ipotizza la creazione dell'anima da parte di Dio nell'istante del concepimento del corpo (posizione assunta della Chiesa cattolica), o immediatamente dopo (posizione dell'Ebraismo e dell'Islam): in genere quaranta giorni, come già sosteneva Pitagora (575-490 a.C.): <<L'embrione prende forma in quaranta giorni>>.
In estrema sintesi, la creazione dell'anima da parte di Dio potrebbe presupporre tre modalità:
1. Prima del corpo.
2. Insieme al corpo.
3. Dopo il corpo.
La suddivisione precedente non condiziona le tesi sul'origine vale a dire sulla sostanza dell'anima e la sua provenienza, perché è sempre Dio l'artefice della sua <<gestione>>.
Si può parlare, molto semplicisticamente, di <<creazionismo>> cioà il contributo <<dal basso>> nella formazione dell'anima: specificamente, si intende assegnare un ruolo fondamentale ai genitori; in questo senso la sostanza spirituale dell'anima deriverebbe dal corpo e dall'anima dei genitori nel momento del concepimento.
<<Dio non infonde direttamente l'anima, chi pensa così, che Dio infonda direttamente l'anima spirituale e immortale al primo istante del concepimento umano, pensa l'anima come una sostanza separata, e si fa sostenitore di una teoria concepibile solo al prezzo di ipotizzare un continuo via vai di anime che ogni secondo scendono dal cielo, attente peraltro a non scontrarsi con quelle che, nello stesso secondo, al cielo fanno ritorno>>.
Siamo al cospetto si un'interpretazione moderna che assegna all'anima valenze assimilabili al concetto di energia, ma per le sue specificità implicite rende difficile relazionarla all'idea di anima come si è via via sbozzata nella nostra mente.
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corallorosso · 3 years
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Meloni, l’arte della menzogna: attribuire all’avversario cose non dette per fare la vittima Il derby al ribasso con Salvini continua. Se Capitan Nutella aveva guadagnato terreno dicendo con naturalezza tutto e ili suo contrario, non rispondendo alle domande, svicolando da quesiti imbarazzanti e cambiare discorso, Giorgia Meloni si sta specializzando nella menzogna politica, ossia attribuire all’avversario cose che non sono state dette, oppure deformare una frase per poterla criticare e passare da vittima. Nei manuali di guerra psicologica questa tecnica di propaganda (più correttamente di contro-propaganda) viene chiamata ‘inganno imitativo’. Io dico che i tuoi atteggiamenti ti fanno perdere credibilità e tu urli ai quattro venti che ti vogliamo chiudere in prigione. Anche oggi l’ex missina ci ha deliziato con questi giochini, che funzionano quando gli interlocutori sono una massa di beoti (e ce ne sono tanti) o quando non hanno la prontezza d’animo di rispondere per le rime. Con una avvertenza: in una disputa verbale chi disinforma è come se giocasse a scacchi con il bianco, talché costringe l’avversario a inseguire, come avviene sul nero. Se io dico: “Mi vogliono scogliere”, costringo chi non ha mai pronunciato quella frase a spiegare nel merito perché aveva detto altro. Ma il merito (la razionalità) perde sempre rispetto alla pancia soprattutto in un contesto comunicativo nel quale l’elaborazione critica delle cose evapora all’istante. Così in serata Meloni è comparsa in un video a recitare la parte della vittima e a non prendere fino in fondo le distanze dal fascismo. Che ha detto? “Non ci faremo intimidire da minacce di scioglimento e tentativi di demonizzare FDI da parte della sinistra. Continueremo a batterci al fianco degli italiani e, come sempre, saranno loro a giudicarci e dirci se pensano che il pericolo per la democrazia siamo noi, o piuttosto altri” Le bugie della mattinata “Il vicesegretario del partito ’democratico’ vorrebbe sciogliere il primo partito italiano (oltre che l’unica opposizione al governo). Un partito a cui fanno riferimento milioni di cittadini italiani che confidano e credono nelle nostre idee e proposte. Spero che Letta prenda subito le distanze da queste gravissime affermazioni che rivelano la vera intenzione della sinistra: fare fuori Fratelli d’Italia” afferma la leader di FdI. “O forse i toni da regime totalitario usati dal suo vice rappresentano la linea del Pd? Aspettiamo risposte”. “Ieri Meloni aveva un’occasione: tagliare i ponti con il mondo vicino al neofascismo, anche in FdI. Ma non l’ha fatto. Il luogo scelto (il palco neofranchista di Vox) e le parole usate sulla matrice perpetuano l’ambiguità che la pone fuori dall’arco democratico e repubblicano” ha detto l’ex ministro del Sud. “In questo modo Fdi si sta sottraendo all’unità delle forze democratiche e repubblicane contro i neofascisti che attaccano lo Stato. Un evidente passo indietro rispetto a Fiuggi”. In quale parte Provenzano ha detto che va sciolta Fratelli d’Italia? Da nessuna parte. Semmai, in altri termini, Provenzano ha rievocato il cosiddetto Marco costituzionale’ che nella prima repubblica vedeva tutti i partiti esclusi Msi (erede del fascismo) e Partito Monarchico (ostile alla repubblica). L’arco costituzionale non significo sciogliere Msi e Pdium (che non furono mai sciolti) ma tenerli ai margini senza considerarli interlocutori validi. Esattamente come la cosiddetta “conventio ad excludenum” non di tradusse mai nello scioglimento del Pci ma in una serie di formule politiche pensate per non consentire al Partito comunista italiano di accedere al governo. Ma molti politici - e Giorgia Meloni tra questi - non hanno nemmeno le basi. ps: pochi giorni orsono Giorgia Meloni aveva attribuito all'Anpi la richiesta di voler sciogliere Fratelli d'Italia, cosa non vera. O una menzogna consapevole, oppure un lapsus freudiano scappato dall'inconscio, visto che l'Anpi chiede lo scioglimento delle organizzazioni fasciste... globalist
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paoloxl · 5 years
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Caso Battisti: giustizia fai da te
di Cinzia Nachira
da http://rproject.it/
L’arresto di Cesare Battisti in Bolivia, la sua discutibilissima e immediata estradizione in Italia, ci pone per l’ennesima volta di fronte al fatto che il nostro Paese non è in grado, per ignoranza e malafede, di fare i conti con il proprio passato: dal periodo coloniale e i crimini commessi in Libia, Eritrea ed Etiopia; sulla collaborazione attiva del fascismo e delle sue strutture poliziesche ed amministrative nella deportazione e nello sterminio degli ebrei italiani a partire dal 1938 – anno in cui furono promulgate le leggi razziali; per terminare con la vicenda dei cosiddetti “anni di piombo”, tra la fine degli anni settanta e la metà degli anni ottanta del ‘900. Questi ultimi sono stati enfatizzati con lo scopo preciso di mischiare le carte e di minimizzare le stragi di Stato ad opera di gruppi neofascisti e neonazisti organici, fino a volte a coincidere, con alcuni settori dei servizi segreti e di altre strutture dello Stato, iniziate con piazza Fontana nel 1969. Il nostro Paese è stato molto attivo nella protezione di molti criminali nazisti, che attraverso l’Italia hanno potuto raggiungere l’America Latina e i Paesi Arabi (per non parlare dei tanti gerarchi fascisti che all’indomani della liberazione si sono riciclati in diversi apparati statali e hanno beneficiato di amnistie generalizzate). Coloro che oggi festeggiano l’arresto di Cesare Battisti sorvolano, ovviamente, sui tanti estremisti di destra che hanno avuto “condonati” i loro crimini, oppure vivono tranquillamente all’estero. Due nomi per tutti: Roberto Fiore e Delfo Zorzi.
La polemica sul gesto disgustoso ed idiota del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che ha inviato via Facebook un video che doveva sintetizzare la giornata del 14 gennaio è segno, forse, che in Italia c’è ancora qualcuno che riesce ad indignarsi, almeno quando si supera la soglia del ridicolo. Anche se poi la grande stampa (quasi all’unisono), che oggi stigmatizza il video di Alfonso Bonafede, in questi ultimi anni non ha avuto difficoltà ad usare linguaggi sensazionalistici e spesso ha enfatizzato con titoli cubitali false notizie su cui sono state costruite campagne per creare una sorta di union sacrée intorno al “nemico” (ricordiamo solo due episodi: i cosiddetti “fatti di Colonia” nel gennaio 2016 e “l’Isis a sud di Roma” nel febbraio 2016). Se molti commentatori sui giornali più importanti esprimono lo sdegno per un ministro che ignobilmente espone una persona in stato arresto come un fenomeno da circo e un trofeo, questa indignazione spesso si basa sulla critica mossa ad Alfonso Bonafede di “aver offerto a Cesare Battisti” l’occasione di trasformarsi in vittima, da carnefice quale deve essere riconosciuto. Nessuno, o pochissimi, dei commenti che da giorni invadono giornali, TV, siti Web, ecc. si pongono la domanda su quanti e quali diritti di Cesare Battisti siano stati violati con questa operazione tutta politica e che coinvolge almeno tre Paesi – Italia, Bolivia e Brasile – che non hanno avuto difficoltà a calpestare anche le basi della cultura giuridica liberale, che nonostante i suoi limiti e l’uso spesso strumentale per difendere interessi “particolari” di chi è al governo o più genericamente delle classi dominanti è oggi il quadro nel quale comunque vengono garantiti i diritti individuali e collettivi. Infatti il governo italiano di estrema destra trova la cultura giuridica italiana un intralcio da eliminare con nuove proposte di legge liberticide come il decreto sicurezza e la legge sulla “legittima difesa”. Per non parlare del disprezzo della Costituzione che Matteo Salvini e Alfonso Bonafede, come l’intero esecutivo, calpestano disinvoltamente.
In questo desolante quadro, ci sono delle domande semplici, semplici a cui il nostro governo, quello boliviano e quello brasiliano dovrebbero rispondere, se qualcuno le ponesse. La prima domanda è: quale diritto avevano le autorità boliviane di “concedere l’estradizione” di un cittadino straniero dal loro territorio quando quest’ultimo aveva un permesso di soggiorno permanente in un secondo Paese, il Brasile, dove era in corso l’estradizione? Le dichiarazioni delle autorità boliviane sembrano dare ragione a chi dubita fortemente dell’onestà del governo di Evo Morales. Infatti, solo dopo il rientro di Cesare Battisti in Italia, un balbettante militare boliviano ha sostenuto che la richiesta di asilo gli era stata rifiutata il 26 dicembre. Questo argomento che avrebbe dovuto giustificare l’atteggiamento del governo boliviano invece apre ad altri moltissimi quesiti. Soprattutto uno: perché Cesare Battisti, dopo l’arresto, non è stato rimandato in Brasile? La duplice risposta è sconcertante: se fosse rientrato in Brasile avrebbe potuto avvalersi dei suoi avvocati, che invece in questo modo non potevano fare nulla per difendere il loro assistito. Per un altro verso, si dice che se l’estradizione fosse avvenuta dal Brasile Cesare Battisti si sarebbe potuto sottrarre all’ergastolo che gli era stato comminato nel 1981 (anno della sua evasione e l’inizio della latitanza), perché nonostante tutto Michel Temer (l’autore del golpe parlamentare contro Dilma Roussef) il predecessore di Jair Bolsonaro, ed anche quest’ultimo, per quanto è probabile lo desiderino, non hanno potuto del tutto ignorare la Costituzione brasiliana che non prevede la pena dell’ergastolo e quindi l’accordo raggiunto con il governo Gentiloni nel 2017 comprendeva l’impegno da parte dell’Italia a “limitare” la pena da scontare a trenta (diconsi 30!) anni di carcere. Ma visto che Cesare Battisti ha sessantaquattro anni qualcuno dovrebbe spiegare in definitiva la differenza tra le due pene visto che eventualmente tornerebbe libero a novantaquattro (diconsi 94!) anni. In questo atteggiamento il governo italiano ha superato perfino il governo del fascista Jair Bolsonaro, fatto che dà la misura della gravità di tutta questa vicenda.
Il Brasile voleva liberarsi di un ingombrante “ospite”, l’Italia aveva bisogno di un ennesimo capro espiatorio e la Bolivia “ha fatto il favore” di facilitare il tutto. Tutta questa vicenda è allarmante perché con clangore di tromba ogni genere di appello allo stesso diritto liberale è stato reso impossibile. In questo quadro si inserisce anche il travisamento ad arte della cosiddetta “dottrina Mitterand”, che ha consentito a molti protagonisti della stagione della lotta armata di sottrarsi alle leggi speciali emanate in Italia negli anni ottanta. Quando François Mitterand rifiutava l’estradizione di molte persone ed offriva loro rifugio, non lo faceva, come oggi sostengono in tanti – partendo da quel personaggio disgustoso che è Matteo Salvini (ma non è il solo, e questo è ben più grave) – per una sorta di “complicità” francese con i gruppi armati dell’estrema sinistra in Italia, ma perché le leggi speciali erano una distorsione giuridica che ha messo in discussione il diritto di difesa, la presunzione di innocenza ed ha introdotto reati di opinione. Tutto questo era inaccettabile giuridicamente dalla Francia e François Mitterand (che certo non era un estremista, né era estraneo a molte pagine nere della storia francese) altro non ha fatto che dare priorità al diritto invece che alla vendetta pura e semplice.
Oggi sbandierare l’arresto di Cesare Battisti come “solo l’inizio” è una minaccia esplicitamente fatta dal ministro degli interni italiano verso tutti noi che ancora pensavamo di poterci appellare almeno al diritto liberale, già molte volte calpestato ed ignorato. Ovviamente, per fare questa considerazione non è necessario condividere oggi o averlo fatto in passato il progetto politico, tantomeno i metodi per realizzarlo, in cui credeva Cesare Battisti. Siamo convinti che la storia non si possa processare, senza per questo voler assolvere nessuno dalle proprie responsabilità individuali, neanche Cesare Battisti. I bilanci storici e politici sono indispensabili per riacquistare quella consapevolezza necessaria per non commettere vecchi errori e perché il nostro presente, ma ancor più il nostro futuro, non sia costruito sulle scorciatoie e sui capri espiatori. (c.n.)
http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=3041:caso-battisti-giustizia-fai-da-te&catid=20:ipocrisie-e-dimenticanze&Itemid=31
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sophiaepsiche · 3 years
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Nāṉ Ār?
Paragrafo 1. Spiegazione di Michael James del primo paragrafo del ‘Chi sono io?’ di Ramana Maharshi.
‘Dato che tutti gli esseri viventi desiderano sempre essere felici e liberi dalla sofferenza, dato che per ognuno il più grande amore è solo per se stessi, e dato che solo la felicità è la causa dell’amore, al fine di conseguire quella felicità, che è la propria vera natura, sperimentata quotidianamente nel sonno senza sogni, che è privo della mente, è necessario conoscere se stessi. Per questo jñāna-vicāra [l’indagine] ‘chi sono io’ soltanto è il mezzo principale.’
(Nan ar - paragrafo 1)
(Nota del traduttore: ho omesso le domande e risposte a Michael e così farò anche per le seguenti trascrizioni della serie ‘Nāṉ Ār?’, la versione completa col q&a la trovate nel video)
Trascrizione della traduzione dei sottotitoli:
MICHAEL: Solitamente mi davano un argomento di cui parlare ogni mese ma ora Alan e Alistar mi hanno chiesto di scegliere l’argomento così ho pensato che per i prossimi 20 mesi approfondiremo un paragrafo del நானார்? (Nāṉ Ār?), ‘Chi sono io?’ di volta in volta. Oggi cominciamo dal primo paragrafo di Nāṉ Ār?. Prima di leggerlo, vi do qualche informazione generale.
Nāṉ Ār? è uno dei più importanti lavori di Bhagavan. È notevole in molti sensi e contiene insegnamenti molto importanti.
Molti dei più importanti principi dell’insegnamento di Bhagavan sono nel Nāṉ Ār?. Fu composto da Sivaprakasam Pillai, quando Bhagavan era molto giovane, aveva 20/21 anni, agli inizi dello scorso secolo, circa nel 1900, 1901 o 1902. Sivaprakasam Pillai andò da Bhagavan, Bhagavan non parlava molto all’epoca, così quando Sivaprakasam Pillai gli pose le domande, Bhagavan scrisse sulla sabbia per rispondere, altre volte Sivaprakasam Pillai gli dava una lavagna oppure un pezzo di carta e alcune risposte le potrebbe aver date verbalmente perché Bhagavan non stava osservando un voto di silenzio, semplicemente parlava poco. E la prima domanda che Sivaprakasam Pillai fece a Bhagavan fu ‘நானார்?’ (Nāṉ Ār?)‘Chi sono io?’ ed è questo che rende quest’opera così notevole.
Se guardiamo alla vita di Bhagavan, capiamo che la sua missione, per così dire, non che Bhagavan avesse una missione in mente, ma… Era d’insegnare la via dell’auto-indagine (l’investigazione: chi sono io?). E la domanda di Sivaprakasam Pillai dimostra che era sulla stessa frequenza del suo guru, sin dal primo incontro. La qualità, il valore dell’insegnamento che Bhagavan dava dipendeva molto dalle domande che gli ponevano. Bhagavan non dava insegnamenti di suo ma se la gente gli chiedeva: ‘Bhagavan, faccio japa (o gayatri o altro) va bene?’ Bhagavan rispondeva: ‘sì, va bene’. Se le persone cercavano l’approvazione di Bhagavan per la loro pratica, lui l’approvava. Ma se andavano a chiedere: ‘Bhagavan, ho provato molte pratiche ho fatto japa, tanto pūjā, dhyāna, ho fatto molte cose ma ancora non mi è chiara la strada, qual è? Qual è il sentiero? Come posso riuscirci?’ o anche: ‘qual è lo scopo da perseguire?’ che è un punto assai importante, dato che molti andavano da Bhagavan a chiedere ma il loro scopo non era di annientare l’ego, che, per Bhagavan, è l’unico scopo sensato della vita. Quindi a seconda dei loro credo, dei loro scopi, desideri e aspirazioni Bhagavan rispondeva. Il che spiega perché, se leggiamo libri come ‘Discorsi’ troviamo tanta varietà di domande e di risposte.
Alcune risposte sono utilissime perché lo era la domanda ma molti quesiti non lo erano, a volte chiedevano: ‘Perché nel testo tale è detta quella cosa?’ Bhagavan spiegava dalla prospettiva del testo e del perché era scritto così ma questo non prova necessariamente che fosse un suo insegnamento. Sivaprakasam Pillai era invece totalmente in sintonia con Bhagavan. Aveva studiato al college filosofia indiana e aveva capito che la domanda fondamentale era: ‘chi sono?’ Prima di conoscere il resto, dobbiamo capire chi o cosa siamo. Se non sappiamo la verità su noi stessi, come possiamo capire la verità su qualsiasi cosa? La domanda che ardeva nel suo cuore era: ‘chi sono?’ E fu la prima che fece a Bhagavan.
Poi nei giorni, nelle settimane e nei mesi successivi andò da Bhagavan spesso a fargli domande e appuntava le risposte, soprattutto quelle che Bhagavan aveva scritto sulla sabbia o la lavagna, le riportava su un quaderno e, nei vent’anni successivi, le rielaborò in forma diversa sul suo quaderno, senza cambiare ciò che Bhagavan disse, ma cercando di stabilire connessioni tra le varie risposte di Bhagavan. Lo faceva per se stesso, non aveva nessuna idea di pubblicarlo. Ma era anche un poeta e, per amore di Bhagavan, scrisse una biografia di Bhagavan in versi Tamil, intitolata ‘Ramaṇa Carita Ahaval’. Prima che chiunque altro avesse scritto una sua biografia. Quando i suoi amici lo seppero, gli chiesero di pubblicarla.
Nel ‘Ramaṇa Carita Ahaval’ aveva già riassunto le risposte di Bhagavan ma in appendice mise 13 delle risposte di Bhagavan alle sue domande, pubblicò il libro e inserì le domande in appendice. Questa fu la prima volta che le persone entrarono in contatto con questo tesoro. Molti non sapevano che tale tesoro fosse disponibile. Così quando il libro fu pubblicato tanti gli chiesero subito: ‘oh, hai avuto altre risposte da Bhagavan?´ Così dopo (un anno circa) fu pubblicata la versione con le 30 domande e risposte.
Poi, nel 1926, Bhagavan stesso lo riscrisse in forma di saggio per rendere tutte le connessioni più chiare. E quando scrisse il saggio aggiunse un paragrafo iniziale, che è quello di cui parleremo oggi. Non era nelle risposte date a Sivaprakasam Pillai, ma è un’introduzione perfetta all’intero testo perché dice molto chiaramente qual è lo scopo e il mezzo primario per raggiungerlo. Ciò che scrisse in questo paragrafo, soprattutto nella prima frase, è molto simile a quello che aveva scritto 10 o 12 anni prima quando gli fu chiesta una traduzione in Tamil del Vivēkacūḍāmaṇi, di Adi Sankara. Ne fece una traduzione in prosa Tamil, e scrisse un’avatārikai (un’introduzione). La prima frase di quell’introduzione la riadattò per scrivere questo paragrafo. Ci torneremo più tardi. Quindi questo paragrafo che Bhagavan aggiunse, precede la domanda ‘chi sono?’ e consiste di due frasi. La prima è lunga, ed è composta da 3 proposizioni che esprimono i motivi di ciò che dice nella frase principale e un’altra proposizione che esprime lo scopo, dopodiché c’è la frase principale. Iniziamo dalla frase principale così è chiaro dove vuole arrivare. È molto semplice:
‘தன்னைத் தானறிதல் வேண்டும்’
(taṉṉai-t tāṉ aṟidal vēṇḍum),
‘è necessario conoscere se stessi’,
questa è la conclusione della frase e i motivi sono nelle proposizioni precedenti. La prima dice:
‘சகல ஜீவர்களும் துக்கமென்ப தின்றி எப்போதும் சுகமாயிருக்க விரும்புவதாலும்’
(sakala jīvarga���um duḥkham eṉbadu iṉḏṟi eppōdum sukham-āy irukka virumbuvadālum)
‘Dato che tutti gli esseri viventi desiderano essere sempre felici senza ciò che viene chiamata tristezza’
Questo può essere notato in tutti, tutti vogliono essere felici. Chi non desidera essere felice? Si può cercare la felicità in posti strani. Anche assurdi, pensate, per fare un esempio estremo, ai masochisti che si impartiscono dolore… Lo fanno comunque per propria soddisfazione. Qualsiasi cosa facciamo, anche se siamo caritatevoli e aiutiamo gli altri, in fin dei conti, il motivo è che non ci piace vederli soffrire e proviamo soddisfazione nell’alleviare la sofferenza altrui.
Fondamentalmente cerchiamo sempre la nostra felicità e la troviamo in molteplici cose. Se i nostri cari sono felici, siamo felici, e ci prendiamo cura di loro per questo. Per renderli più felici possibile facciamo tante cose. Oppure se siamo avidi e pensiamo d’ottenere la felicità col denaro, tentiamo di accumularlo. Tutti gli esseri viventi, non solo gli uomini, dice Bhagavan:
‘சகல ஜீவர்களும்’ (sakala jīvargaḷum),
jīva vuol dire ‘tutti gli esseri viventi’.
Tutti gli esseri senzienti stanno cercando la felicità, non solo gli uomini. Dalla formica al più potente Dio nel paradiso, tutti cercano la felicità. Dunque la frase principale dice che cerchiamo la felicità e non solo felicità ma una felicità libera da ogni tristezza… La parola ‘duḥkham’, dal sanscrito ‘duḥkham’ è spesso tradotta con tristezza e sofferenza ma ha un significato un po’ più ampio, indica ogni tipo d’insoddisfazione. Tutti assaporiamo la felicità in diverse forme nella vita, ma non siamo mai pienamente soddisfatti. Anche se la nostra vita è piacevole, confortevole e le circostanze favorevoli, non importa quanto riusciamo a soddisfare i nostri piccoli desideri, nessuno di noi è mai soddisfatto pienamente. L’insoddisfazione è connaturata. Perché siamo insoddisfatti?
Come disse Ramakrishna Paramahamsa: ‘L’insoddisfazione è di per sé una prova che siamo brahman, che siamo il supremo sat-cit-ānanda.’
Niente può soddisfarci se non la felicità assoluta. Qualsiasi piacere o bella esperienza possiamo avere, non siamo mai pienamente soddisfatti. Cerchiamo sempre qualcosa di più. Se puntiamo al denaro e vogliamo un milione di sterline, lavoriamo duro e le guadagnamo ma poi non è abbastanza, vogliamo 10 milioni e poi 100, per fare un esempio col denaro. Ma è lo stesso per tutto…
Bhagavan dice nel Guru Vāchaka Kōvai:
‘La natura del desiderio è tale che, prima che venga soddisfatto, trasforma una manciata di terra nel Monte Meru’ ingigantisce oltremisura una piccola cosa, prima che la otteniamo ma… ‘dopo averla ottenuta, anche il Monte Meru sembrerà solo un cumulo di terra’.
Cioè cerchiamo la felicità nelle cose esterne, pensiamo: ‘se avessi una macchina più bella’ o ‘se avessi casa più grande’, ‘più di questo’ o ‘se studio di più’, ‘se trovo un lavoro migliore’… sviluppiamo grandi aspettative in queste mete, prima di raggiungerle, ma dopo averle raggiunte, non ci soddisfano e cerchiamo altro, cerchiamo oltre. Questa è la natura del desiderio. Noi vogliamo una felicità senza questa insoddisfazione, delusione, questo è il significato della prima proposizione. Nella seconda dice:
‘யாவருக்கும் தன்னிடத்திலேயே
(yāvarukkum taṉ-ṉ-iḍattil-ē-y-ē
பரம பிரிய மிருப்பதாலும்’
parama piriyam iruppadālum),
‘Dato che tutti provano l’amore più grande per se stessi’
Cioè, amiamo i genitori, i nostri figli, marito o moglie, parenti e amici, amiamo tante cose… Ma più di tutte queste cose, anche se proviamo grande amore per Dio, sopra a tutto e più di tutti amiamo noi stessi… è inevitabile, secondo Bhagavan, l’amore per se stessi è naturale, non possiamo evitare di amarci. Qui Bhagavan stabilisce due cose: vogliamo tutti la felicità e il più grande amore di tutti noi è per noi stessi.
Bhagavan usa la parola ‘தன்னிடத்திலேயே’ (taṉ-ṉ-iḍattil-ē-y-ē),
Bhagavan mette un doppio rafforzativo: ‘taṉ-ṉ-idattil’ vuol dire ‘in sé’ o ‘per sé’ ‘idattil-ē’, enfatizza e ‘idattil-ē-y-ē’ è una doppia enfasi. Dunque Bhagavan lo enfatizza due volte:
‘È solo per noi stessi che proviamo parama piriyam: il più grande, il supremo amore è per noi stessi’.
Ma in Tamil è tutto espresso in modo più impersonale. Al posto di ‘noi proviamo’ dice:
‘In ognuno il più grande amore esiste solo per sé o verso di sé’. E nella terza proposizione dice:
‘பிரியத்திற்கு சுகமே காரண மாதலாலும்’ (piriyattiṟku sukham-ē kāraṇam ādalālum),
‘dato che solo la felicità causa l’amore’.
Ossia, amiamo solo ciò che ci rende felici. Se una persona fa sempre cose che ci rendono felici, la amiamo. Ma se comincia a causarci problemi, il nostro amore diminuisce ed è una cosa del tutto naturale. Amiamo ciò che ci rende felici, e non ci piace ciò che ci rende infelici. È così. Da queste tre frasi, Bhagavan ci fa arrivare ad una conclusione espressa nella frase successiva, di cui la parte principale è:
‘தன் சுபாவமான’
(taṉ subhāvam āṉa a-c-sukhattai y-aḍaiya-t).
‘Per ottenere quella felicità taṉ subhāvam: che è la nostra vera natura’.
Tutte le frasi portano a questo, legittimano che: ‘taṉ subhāvam āṉa a-c-sukhattai’: ‘La felicità è la nostra vera natura’. Perché è la nostra natura? Primo: perché si cerca sempre la felicità. Secondo: perché il più grande amore si nutre per se stessi. Terzo: perché la felicità è la causa dell’amore. Allora, se la nostra natura è cercare felicità, se la nostra natura è provare supremo amore per noi stessi e se ciò che causa amore è felicità; ne consegue, come dice Bhagavan, che la nostra vera natura è felicità, la nostra natura essenziale è felicità. Questa è la conclusione di Bhagavan. E in questa frase ci sono due proposizioni relative a taṉ subhāvam (la propria reale natura), aggiunge due cose, una è:
‘நித்திரையில் தின மனுபவிக்கும்’
(niddiraiyil diṉam aṉubhavikkum), ossia:
‘La propria natura reale che si sperimenta ogni giorno (diṉam: ‘ogni giorno’) niddiraiyil: ‘nel sonno’.
Quando dormiamo siamo separati da tutto. L’ego cessa e con lui tutto il resto cessa. Non siamo più consapevoli delle cose che ci danno piacere nella veglia, né delle cose che ci danno dolore nella veglia. Non ne siamo consci, ci separiamo da tutto nel sonno, eppure proviamo felicità. Cosa possiamo dedurne? Nel sonno esistiamo solo noi, separati dal resto, eppure siamo felici. Questa è un’ulteriore prova che Bhagavan adduce, ci dà una prova esperienziale che la felicità è realmente la nostra natura. Se la felicità non fosse la nostra vera natura, quando tutto scompare nel sonno, saremmo infelici. Se la nostra natura fosse la tristezza saremmo tristi nel sonno, quando siamo staccati da ogni altra cosa. Ma la nostra esperienza reale è che, nel separarci da tutto, siamo felici. Ogni giorno nel sonno proviamo quella felicità che è la nostra vera natura. Poi aggiunge un'altra frase relativa per il sonno:
‘மனமற்ற நித்திரையில்’
(maṉam aṯṟa niddiraiyil),
‘il sonno privo della mente: in cui la mente non esiste’
Dunque quando la mente esiste tutto il resto esiste, in assenza della mente non c'è nulla ma ciò che rimane è l'esperienza della felicità perfetta, quindi la perfetta felicità è la nostra vera natura. Dato che ciò che noi cerchiamo è la felicità Bhagavan dice: ‘per ottenere quella felicità’… e arriva alla frase principale:
‘தன்னைத் தானறிதல் வேண்டும்’
(tannai-t tan aridal vendum),
‘Per ottenere quella felicità è necessario conoscere il proprio sé’
Il che significa: è necessario conoscere noi stessi, ‘conoscere’ qui non vuol dire ‘conoscere teoricamente’ ma vuol dire, அறிதல் (aṟidal) ‘conoscere’ in ogni senso della parola, è usata nel senso di fare reale esperienza (o essere consapevoli) di noi stessi. Se siamo consapevoli di noi stessi per quello che siamo davvero, se siamo consapevoli della nostra vera natura, che è felicità, otteniamo la felicità che vogliamo. Non possiamo ottenere la felicità in nessun altro modo che conoscendoci per quello che siamo davvero, perché solo noi siamo felicità, come dice più tardi nel Nāṉ Ār?.
Bhagavan in questa frase dà la base logica del perché la vera meta è il ‘conoscere se stessi’. Elabora su questo punto di più nei paragrafi successivi di Nāṉ Ār?, ma questa è l'introduzione a tutto ciò di cui parla il Nāṉ Ār? L'intero Nāṉ Ār? parla di come conoscere noi stessi, come conoscere chi siamo, cosa siamo e come poterne fare esperienza diretta. E questa è la ragione per cui è necessario. Poi nella frase successiva dice:
‘அதற்கு’ (adaṟku), che significa: ‘per far ciò’
‘நானார் என்னும் ஞான விசாரமே’
(nāṉ ār eṉṉum ñāṉa-vicāram-ē),
jñāna-vicāra, jñāna significa conoscenza, come la parola ‘அறிவு’ (aṟivu) in Tamil vuol dire conoscenza diretta o consapevolezza. Per cui jñāna-vicāra è ‘investigare la consapevolezza’. Più tardi Bhagavan dice ‘la consapevolezza è la nostra vera natura’. Quindi jñāna-vicāra vuole dire ‘auto-investigarsi’ (conoscersi) o ‘investigare la consapevolezza che siamo’
‘nāṉ ār eṉṉum ñāṉa-vicāram-ē’ che vuol dire:
‘Solo jñāna-vicāra, chiamata il ‘chi sono io?’’ eṉṉum vuol dire ‘chiamata’ "chi sono io?"
ossia, solo l’indagine… ‘Solo indagare ciò che davvero siamo è mukhya sādhaṉam’ mukhya sādhaṉam significa ‘il mezzo principale’.
Sadhana spesso è tradotto ‘pratica spirituale’ ma in realtà sadhana vuol dire ‘mezzo’ per qualsiasi scopo… Se voglio scalare l’Everest, il sadhana sarà avere abiti pesanti, una bombola d’ossigeno una tenda e persone che mi aiutino, questi sono i sadhana per scalare. Dunque sadhana vuol dire solo il ‘mezzo’ per raggiungere qualsiasi cosa, abbiamo bisogno di denaro per vivere e lavorare per guadagnare lo stipendio è il sadhana per avere i soldi necessari a vivere. Nonostante sadhana, nel contesto spirituale, si traduce ‘pratica’, in realtà è ‘mezzo’. E il mezzo principale per conoscere se stessi e quindi fare esperienza della felicità è l’indagine ‘chi sono io?’
Quando investighiamo il resto non troviamo felicità perché la felicità è la nostra natura. Dobbiamo volgerci a noi stessi e investigare cosa siamo. Perché è necessario? Perché nonostante la felicità sia la nostra natura, ora siamo infelici a causa del fatto che non facciamo esperienza di noi per come siamo davvero. Ora crediamo di essere il corpo, questa persona, chiamata Michael, non è ciò che sono essenzialmente, sono conscio di questo corpo solo ora, nella veglia, nei sogni non sono conscio di questo corpo, faccio esperienza di me in un altro corpo (proiettato mentalmente). Nel sonno, sono conscio di me senza esser conscio di nessun corpo. Ora ci sembra di essere il corpo, questa persona, ma in essenza non è ciò che siamo, la nostra vera natura è felicità perfetta, secondo Bhagavan. Ecco, questo è un paragrafo importantissimo perché è la perfetta introduzione al testo.
Perché è nato il Nāṉ Ār? ? Perché Bhagavan parla tanto del modo per conoscere noi stessi? Perché noi siamo la felicità che stiamo cercando e per ottenerla non dobbiamo far altro che volgerci a noi, conoscerci, investigare ciò che davvero siamo.
Come dicevo prima, Bhagavan scrisse questo paragrafo riassumendo l’introduzione che aveva precedentemente scritto per il Vivēkacūḍāmaṇi. Essendo un po’ più elaborato di questo, vale la pena compararli.
Qui Bhagavan dice molto semplicemente nella prima proposizione:
’Dato che tutti gli esseri viventi vogliono essere sempre felici senza ciò che viene chiamata tristezza’
Le parole sono molto simili a quelle in Tamil, ma è più elaborato, voglio dire… Le parole Tamil usate da Bhagavan sono simili ma la frase è più elaborata nell’introduzione del Vivēkacūḍāmaṇi, perché lì fa anche un esempio.
La parte principale della proposizione è:
‘உலகத்தில் எல்லா ஜீவர்களும் துக்கமென்ன தின்றி எப்போதும் சுகமாயிருக்கவேண்டுமென [...] கோருதலானும்’
(ulahattil ellā jīvargaḷum duḥkham eṉbadu iṉḏṟi eppōdum sukham-āy irukka vēṇḍum eṉa [...] kōrudalāṉum).
‘dato che tutti desiderano essere [sempre] felici senza tristezza’
‘Tutti gli esseri viventi del mondo desiderano questo.’ Ma aggiunge un esempio:
‘தன் சுபாவமல்லாத ரோகாதிகளை நீக்கி எப்போதும்போற் சுகமாயிருக்க வேண்டும்’
(taṉ subhāvam allāda rōgādigaḷai nīkki eppōdum-pōl sukham-āy irukka vēṇḍum)
Perché quando siamo malati, per esempio abbiamo un mal di testa, vogliamo liberarci del mal di testa?
Se il mal di testa fosse la nostra vera natura, non ci infastidirebbe ma avere il mal di testa non è naturale.
Qualsiasi dolore o disturbo spunta, sappiamo che qualcosa non va e ce ne vogliamo liberare. E solo quando ce ne sbarazziamo, siamo felici che sia andato via. Siamo sempre intenti a sbarazzarci di ciò che non è la nostra vera natura.
Quindi: ‘taṉ subhāvam allāda’: ‘ciò che non è la nostra vera natura’;
‘rōgādigaḷai’: ‘malattie e cose simili’, o ‘cose come le malattie’;
‘nīkki’: ‘rimuovere’, ‘eppōdum pōl’: ‘come sempre’; ‘sukham-āy irukka vēṇḍum’:
‘Proprio come vogliamo sempre essere felici, liberi dalle malattie e cose simili, così vogliamo anche essere felici, liberi dalla tristezza, perché la tristezza non è la nostra vera natura’.
Insoddisfazione, tristezza, ‘duḥkham’, non è la nostra vera natura, che è felicità perfetta.
E nella frase successiva dice:
‘யாவர்க்கும் தன்னிடத்திலேயே அத்தியந்தம் பிரீதி யிருப்பதானும்’ (yāvarkkum taṉ-ṉ-iḍattil-ē-y-ē attiyantam pirīti y-iruppadāṉum)
È di nuovo molto simile alla seconda,ma al posto di ‘parama priyam’, usa ‘atyanta prīti’. Atyanta significa ‘oltre i limiti’, non c’è limite all’amore che abbiamo per noi stessi, poiché ognuno ha amore illimitato per se stesso, qui dice amore (sì, è lo stesso)
‘பிரியம் சுகத்திலன்றி யுண்டாகாததாலும்’
(piriyam sukhattilaṉḏṟi y-uṇḍāhādadālum).
Nel Nāṉ Ār? dice: ‘solo la felicità causa l’amore’
Qui lo esprime un po’ diversamente: ‘Dato che l’amore non nasce da nient’altro che la felicità’, amiamo solo le cose che ci fanno felici. Nessuno ama le cose che lo rendono infelice…
‘நித்திரையில் ஒன்று மின்றியே சுகமாயிருக்கு மனுபவத்தாலும்’
(niddiraiyil oṉḏṟum iṉḏṟiyē sukhamāy-irukkum aṉubhavattālum)
Qui è sottinteso ‘per tutti’ (era nella frase precedente) ‘[per tutti] l’esperienza dell’essere felici senza nulla nel sonno’.
Cioè non abbiamo bisogno di nulla oltre che noi stessi, per essere felici.Nel sonno siamo felici senza avere nulla.
‘தன்னையறியாத அஞ்ஞானத்தாலேயே’
(taṉṉai-y-aṟiyāda aññāṉattāl-ē-y-ē)
Qui, subito dopo, è leggermente diverso, dice: ‘taṉṉai-y-aṟiyāda aññāṉattāl-ē-y-ē’,
‘solo per l’ignoranza di non conoscere noi stessi’
‘அபார சம்சாரத்தி லுழன்று’
(apāra saṁsārattil uṙaṉḏṟu),
‘turbiniamo in questo grande saṁsāra’, questo vasto ciclo di attività senza fine, nascite e morti senza fine,
‘சுகந்தரும் மார்க்கம் விட்டு’
(sukham-tarum mārggam viṭṭu),
‘lasciando la via [o il mezzo] che dona felicità ‘
‘இகபர போக மடைதலே’
(iha-para bhōgam aḍaidalē),
‘இகபர போக மடைதலே சுகவழியென’
(iha-para bhōgam aḍaidalē sukha-vaṙi-y-eṉa),
Vuol dire: ‘illudendoci che avere i piaceri di iha’ – ‘iha’ è questo mondo, ‘para’ è il prossimo mondo quindi ‘i piaceri di questo mondo e del paradiso’, ‘illudendoci che ottenere questi piaceri è il mezzo per avere felicità ‘
‘பிரவிருத்திக்கின்றனர்’ (piraviruttikkiṉḏṟaṉar),
‘ci impegniamo in attività esterne, estroverse’
Come dicevo, l’ultima parte della frase è un po’ diversa da quella scritta qui da Bhagavan ma le ragioni che dà sono le medesime. Ecco le successive due frasi dell’introduzione al Vivēkacūḍāmaṇi, nella frase dopo Bhagavan dice:
‘ஆனால் துக்கமற்ற சுகங்கிடைக்கிறதில்லை’
(āṉāl duḥkham-aṯṟa sukham-kiḍaikkiṟadillai),
‘Ma non otteniamo la felicità priva di tristezza’
Sebbene ci affatichiamo a cercare la felicità nel saṁsāra in diversi modi nessuno di noi raggiunge la felicità senza insoddisfazione.
Per mostrare la via diretta a raggiungerla, sākṣāt Sri Sankara (Sri Sankara qui sta per ‘Shiva stesso’) ‘Shiva stesso prese la forma di Sankara’ (di Adi Sankara). Poi Bhagavan va avanti, aggiunge una lunga frase che spiega… è una frase di due pagine. La pagina dopo (più che piena) è una sola frase che spiega e riassume il contenuto del Vivēkacūḍāmaṇi ma non ci addentriamo.
Un’altra cosa che vorrei accennare, prima di finire, è che nell’introduzione a Nāṉ Ār? Bhagavan, già dalla prima frase, parla di felicità e di quanto tutti la cerchino. Più avanti riprende lo stesso argomento nel Nāṉ Ār?, anche nel 14º paragrafo parla di felicità:
‘சுகமென்பது ஆத்மாவின் சொரூபமே’
(sukham-eṉbadu ātmāviṉ sorūpamē)
‘quella che viene chiamata felicità è svarūpa’.
Svarūpa, significa letteralmente ‘forma propria’, ‘la nostra propria forma’, ossia ‘la nostra propria natura’, ‘la nostra vera natura’, ‘ātmāviṉ’ vuol dire ‘di se stessi’. ‘Ciò che è chiamata felicità è solo la reale natura di se stessi’.
‘சுகமும் ஆத்மசொரூபமும் வேறன்று’
(sukhamum ātma-sorūpamum vēṟaṉḏṟu),
‘la felicità e la nostra vera natura (atma-svarupa) non sono due cose differenti’.
‘ஆத்மசுகம் ஒன்றே யுள்ளது’
(ātma-sukham oṉḏṟē y-uḷḷadu)
‘la felicità, che siamo noi, sola esiste’
‘அதுவே ஸத்யம்’ (aduvē satyam),
‘solo essa è reale’.
‘பிரபஞ்சப்பொருள் ஒன்றிலாவது சுகமென்பது கிடையாது’
(pirapañca-p-poruḷ oṉḏṟil-āvadu sukham-eṉbadu kiḍaiyādu)
‘Nessuna felicità è ottenuta da nessuna delle cose del mondo’.
E poi va avanti a spiegare come in apparenza otteniamo felicità dalle cose esterne, dagli oggetti del mondo.
Se desideriamo qualcosa, c’è agitazione nella nostra mente. Diciamo: ‘oh non avrò pace finché non ho questo’ (qualsiasi cosa sia). Sino a che il desiderio per qualcosa è nella mente, sia che abbiamo fame o sete, sia che abbiamo grosse ambizioni o qualsiasi altra cosa, quel desiderio crea agitazione nella mente. Più la mente è agitata più annebbia la nostra vera natura, che è felicità. Così quando desideriamo qualcosa… supponiamo il cioccolato, mi piace e ne vedo un pezzo lì, penso ‘sarebbe bello se mi offrissero quel pezzo di cioccolato’. Non è nostra, è lì sul tavolo e non possiamo prenderla senza permesso ma il pensiero è lì nella mente: ‘oh sarebbe bello mangiare un po’ di cioccolato’. In quel caso, se ce la offrono proviamo piacere ‘ah com’è buona’ e associamo quel piacere alla cioccolata, pensiamo venga dalla cioccolata. Bhagavan dice che non è così, in realtà quello che succede è che il desiderio che assillava la mente è temporaneamente soddisfatto, così l’agitazione mentale si placa. La mente si calma e la felicità, che è la nostra vera natura, risplende da dentro. Però noi pensiamo venga dalla cioccolata o dalla macchina o dalla casa nuova o da qualsiasi sia l’oggetto del desiderio che vogliamo al mondo.
Pensiamo di ottenere la felicità da queste cose mentre in realtà la felicità viene esclusivamente da dentro di noi.
E Bhagavan fece un’analogia a riguardo, che Muruganar scrisse nel Guru Vāchaka Kōvai: Un cane va al crematorio a cercare un bell’osso ma vede che tutte le ossa fresche sono già andate, ne trova una vecchia e pensa: ‘forse c’è ancora un po’ di midollo succulento in quest’osso, vediamo un po’… ora lo mastico’… era molto affamato. Allora comincia a masticare e masticare l’osso. Ma era un osso vecchio e privo di midollo ormai, così si frantuma e taglia la bocca del cane, ferendola in più punti. Dopo un po’ che mastica, il cane molla l’osso e lo guarda, vedendo il sangue, pensa: ‘oh bene, un osso molto gustoso’. Lecca il sangue e continua a masticarlo. Più lo mastica, più ferite si provoca e più sangue sente nell’osso. Il nostro cercare la felicità fuori di noi, crea esattamente la stessa illusione.
La felicità, che è la nostra vera natura, viene associata all’ottenimento della cioccolata (o di questo o quello). Pensiamo che gli oggetti ci diano felicità. La felicità che proviamo nel fare esperienza degli oggetti esterni che vogliamo è in realtà la felicità che già risiede in noi. Cercarla fuori dà solo risultati parziali in quanto la mente si riagiterà sempre finché la nostra attenzione sarà proiettata all’esterno, possiamo solo ottenere un piacere relativo dagli oggetti esterni. Se bramiamo qualcosa, quando la otteniamo la mente si acquieta per un po’ di tempo, la superficie non è più agitata, ma la mente non è totalmente cessata, è solo relativamente calma ed è questa calma che dona grande piacere. Ma quanto maggiore potrebbe essere il piacere se l’attenzione si introiettasse fino a provocare la piena resa della mente? Quanto più grande sarebbe il piacere provato, la felicità sentita? Secondo Bhagavan quella è la ‘felicità suprema’.
E quella felicità assoluta la possiamo provare solo se conosciamo chi siamo, solo facendo esperienza di noi stessi per ciò che siamo davvero. Sebbene le due frasi siano semplici, Bhagavan ha... c’è così tanto significato nel primo paragrafo del Nāṉ Ār?
Ed ora per dieci minuti, cerchiamolo in noi.
{silenzio}
Qualcuno ha trovato la felicità infinita in questi dieci minuti? No. {risate} Se Bhagavan dice che la felicità è in noi, perché non la troviamo quando guardiamo dentro? Ne assaggiamo un po’ ma non la proviamo nella sua pienezza. In altre parole non facciamo esperienza di noi come realmente siamo, perché, malgrado quello che ci dice Bhagavan, ancora crediamo fermamente che la felicità sia al di fuori di noi. La mente ancora nutre interesse e piacere a volgersi all’esterno e fino a che quell’interesse sarà lì non saremo pronti a lasciare andare l’ego- che è la causa del problema. Allora abbiamo bisogno di perseverare nella pratica che ci ha insegnato Bhagavan finché, pian pianino, il vizio di cercare fuori di noi non diminuirà e, nello stesso tempo, il gusto (o l’amore) di entrare in noi aumenterà.
Questo avviene con la pratica, Bhagavan disse che nessuno raggiunge questo senza perseveranza. Perché la mente è incline all’estroversione, cerca sempre cose fuori. Bhagavan dice: ‘l’ego nasce afferrando forme, sta in piedi agguantando forme e aggrappandosi alle forme si nutre e prospera’. Qui ‘aggrapparsi alle forme’ sta per ‘partecipare’ a cose fuori da sé. Ecco come l’ego esiste e sopravvive, come viene in vita e continua ad esistere. Dirigersi all’esterno è la natura stessa della mente. Quando cerchiamo di far restare la mente dentro nuotiamo contro corrente, per così dire, andiamo contro la corrente della mente. Ma esiste anche una corrente che ci aiuta, che è la corrente della grazia, che è l’amore per la felicità, che tutti nutriamo. Dobbiamo solo ridirezionare quell’amore per la felicità e cercarla dentro di noi, piuttosto che fuori.
C’è una cosa che ho dimenticato di dire, noterete che l’ultima frase è quasi tutta in grassetto (tranne la prima parola). Bhagavan stesso, prima che fosse stampato per la prima volta la sottolineò nel manoscritto, dando istruzioni che venisse stampata in grassetto. Si trovano poche altre parole in grassetto nel Nāṉ Ār?, e sono così perché Bhagavan stesso le voleva enfatizzate. Quindi la cosa principale qui è l’auto-indagine, investigare ‘chi sono?’ Questo è il mezzo principale per ottenere la felicità, e Bhagavan lo enfatizza.
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COSI’ SOLEVA MENARE IL GIORNO ORAZIO
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COSI’ SOLEVA MENARE IL GIORNO ORAZIO
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Ottanta anni circa dopo la morte di Augusto, un grande storiografo, CORNELIO TACITO, scrive la storia degli imperatori romani della dinastia Giulio-Claudia, iniziata con Augusto il 31 a.C. e terminata con Nerone nel 68 d.C. Si intitola ‘Annales’, con un voluto riferimento alla tradizione annalistica romana (raccontare la storia anno per anno).
E’ un racconto a tinte fosche, di un’epoca caratterizzata da una paura, a cui ci si era fatta l’abitudine: veleni serviti a pranzo e a cena, morti misteriose e continue, trame occulte, sotterranee,
un fuoco sempre lì a covare sotto la cenere, il tutto in palazzi sfarzosi, ma sempre in penombra. E la plebe ormai ridotta ad uno sfondo indistinto, come in una grande foto di gruppo, nella quale però le facce senza nome degli individui sono tutte uguali e senza lineamenti.
Ed un presentimento di fine che si avvicina.
Uno storiografo, certo, ma anche uno stupendo romanziere.
Scrive anche un prezioso saggio di tipo etnologico sui germani, popolazione ancora selvaggia, se paragonata alla cultura dell’impero romano, ma Tacito ti fa avvertire il brivido della paura che egli prova, immaginando che da quelle popolazioni al confine con Roma prima o poi arriverà il pericolo.
Dice Tacito:
“Valgono tra loro i buoni costumi, più di quanto altrove volgono le buone leggi.”
Altrove? E dov’è altrove, se non a Roma? Le buone leggi: è una regola che vale sempre, quella per cui chi governa emana leggi, quando il costume non basta più. Ed allora più sono nutriti i codici, più è segno che il costume non funziona. Alcuni decenni fa in Italia, una stretta di mano valeva più di un puntiglioso atto notarile, oggi non basta nemmeno questo. Viene da concludere con Tacito che, più è abbondante il codice, più è diffuso il malcostume.
E Orazio?
Andava a rendere visita al suo amico e protettore Mecenate, nella villa dell’Esquilino. Quando arrivava, nei pressi della fastosa dimora trovava una folla di varia umanità. Lo riconoscevano, e tutti a farglisi intorno, chi per congratularsi per le sue aderenze in alto loco, chi per consegnargli petizioni da inoltrare a Mecenate.
E molti gli ponevano quesiti sulla politica: che fanno i Parti, che si dice dei Germani, è vero che i Daci….?
E lui a ripetere di saperne quant’e loro:
“Sai tenere bene i segreti, tu, eh!”. E non sapevano che Orazio ed il ministro si incontravano per il piacere della compagnia, ed i discorsi erano del tipo: “Che ora sarà?”; oppure: “Comincia a fare freschetto la mattina, e, chi non si copre, si buggera!”; o anche: “Secondo te quale gladiatore è più forte, Syro o Gallina?” (insomma Ronaldo o Messi? Maradona o Pelé?), e cose simili, che ben si depongono in orecchie con le fessure. Ma non andrà mica tutti i giorni da Mecenate. E negli altri?
Orazio è ostinatamente deciso ad evitare la carriera politica, da buon epicureo: quello che ha, gli basta ed avanza. Se fosse schiavo della depravante ambizione, dovrebbe dire addio alla serenità che gli dà la saggezza, e fa degli esempi di persone che vivono vita grama per colpa dell’ambizione. E dice nella VI satira del I libro: “Se volessi darmi alla carriera politica, mi dimostrerei malato della malattia di Barro, che desiderava di essere considerato uomo bellissimo: ovunque andasse, metteva nelle ragazze la curiosità smaniosa di esaminarlo con attenzione ed in ogni parte del fisico: la faccia, i capelli, le gambe, i piedi, i denti. Così se prometto di proteggere l’impero l’Italia, e Roma ed i sacri templi degli dèi, indurrei tutti gli uomini ad interessarsi di me, a chiedere da quale padre io discenda, e se sono figlio di madre di bassa origine. E poi dovrei di continuo incrementare le mie sostanze, ed andare a salutare questo e quello più potente, e portarmi dietro della compagnia, per non andarmene solo soletto in campagna ed in giro; e poi dovrei mantenere cavalli e stallieri, e guidare carrozze di rappresentanza. Invece, così come sto ora, me ne vado in giro su un modesto mulo, se voglio addirittura fino a Taranto, senza essere mai biasimato per spilorceria. E per questo, e per mille altre ragioni, me la passo meglio di un senatore illustre. Me ne vado dove mi pare e piace, e domando il prezzo della verdura e del farro. E vado girando per il Circo massimo pieno di insidie, e di sera nel Foro; sosto davanti agli indovini; e poi me ne torno a casa, ad un piatto di porri frittelle e ceci. Mi servono il pasto solo tre schiavetti, due coppe su una tavola di marmo , una ciotola con una saliera dozzinali, ed un’ampolla con un piatto largo, mercanzia alla buona della Campania. Poi me ne vo a dormire, senza il pensiero di dovermi alzare presto domani, e di dover passare davanti al Marsia, che con l’espressione dolente sembra voler dire che non ce la fa più a sopportare la faccia del minore dei fratelli Novii.”. Spiegazione: Marsia era un satiro, che si fece passare per la testa di sfidare Apollo in una gara musicale. Ovviamente vinse Apollo, che per punizione legò il satiro ad un albero e lo spellò vivo. Ovviamente la cosa doveva essere ben dolorosa, e nelle statue del poveretto la sofferenza era in tutto il corpo, specie nel viso. Una statua così fatta del Marsia era piazzata davanti alla bottega dei fratelli Novii, ed Orazio scherza, dicendo che Marsia è in preda alla lancinante sofferenza, non per la punizione, ma perché non gliela fa più a sopportare la faccia del minore dei due fratelli. I Novii erano usurai. Ma riprendiamo il racconto di Orazio:
“Poi mi riposo fin verso le dieci. Quindi, me ne vado un po’ a passeggio, e poi leggo o scrivo qualcosa per mio silenzioso diletto, e mi ungo di olio, ma mica quello che quello zozzone di Natta usa a tale scopo, dopo averlo rubato ai lampioni della pubblica illuminazione.”. Questo Natta, illustre sconosciuto, tale sarebbe rimasto, se Orazio non l’avesse qui citato. “Il sole alto poi esorta me stanco ad andarmi a fare una bagno, ed allora me ne scappo dal Campo Marzio e dal gioco della palla. Mangio con calma, quel tanto che basta allo stomaco per durare fino a sera, e me ne sto in ozio beato a casa. E’ questa la vita slegata dalla ambizione che ti fa misero e che pesa. Con questo mi sento sicuro che vivrò più serenamente che se avessi avuto un padre o uno zio questori.”.
Nella VI satira del II libro ci dice: “Quando sto a Roma, la mattina presto mi trascina a far da sponsor, da garante (è latino, mica inglese!): ‘forza, sbrigati, prima che qualcun altro ti preceda nel compito ’. Spiri pure la tramontana a spazzare la terra, oppure la bruma trascini la stagione della neve nel giro più basso del sole, è doveroso andare. Mi tocca dire qualcosa che forse mi danneggerà, pure in modo chiaro e certo, mi tocca spintonare tra la folla e maltrattare chi va lento. ‘Che vuoi, scemo! E che hai di urgente?’ mi dice uno incavolato con termini d’ira: ‘Tu sei capace di abbattere tutto ciò che ti si para davanti, quando con il pensiero stai da Mecenate!’. Lo ammetto, questo riferirmi a te mi fa proprio piacere e mi addolcisce il giorno……….. O campagna, quand’è che ti potrò rivedere?! E quando mi si consentirà di affidarmi alla piacevole dimenticanza di una vita affannosa, ora con i libri degli antichi, o con il sonno e con le ore dell’inerzia? O quando mi sarà servita la fava, parente di Pitagora, insieme a verdurine insaporite con lardo abbastanza grasso?”. La fava è parente di Pitagora: l’antico maestro greco credeva nella reincarnazione delle anime, la metempsicosi, trasmigrazione delle anime. Ed a qualche anima toccava reincarnarsi in una fava, pertanto Pitagora aveva proibito ai suoi seguaci di cibarsi delle fave: “Potresti mangiare l’anima di nonno!”. Come mai questa proibizione? A mio avviso aveva capito o appreso che le fave possono attivare una pericolosissima allergia, il favismo, e quindi era meglio tenersene lontani. Però, per essere convincente e terrorizzare con il sacro i suoi seguaci, tira in ballo la metempsicosi. Qualcosa di simile sarà capitato per la carne di maiale e Maometto. Ma di questa satira, la VI del II libro, parleremo nell’ultima puntata di questo lungo, e spero piacevole, viaggio intorno al pianeta Orazio. E la proporrò tutta, commentandola pezzo per pezzo.
Orazio si fa sostenitore della politica e della ideologia di Augusto, e per varie ragioni. Intanto ha chiuso il tempio di Giano, avendo riportato nell’impero la PACE! Dopo un secolo di sangue, sangue, sangue, non è merito di poco conto, celebrato da Ottaviano con l’Ara Pacis. Con la pace sono ripresi i commerci, ed il principe pare la personificazione del dio Mercurio, anzi in area orientale Augusto E’ l’incarnazione di Ermes/Mercurio. Le suggestioni delle aspettative palingenetiche e messianiche da qualche parte lo fanno divenire addirittura il verbo incarnato, la parola degli dèi divenuta uomo, dato che Ermes è il messaggero degli dèi: quando parla lui, è l’Olimpo a rivelarsi agli uomini. Augusto a Roma mira a restaurare gli antichi costumi: vive sul Palatino, in una casa modesta, nella zona dove tutta la storia romana è iniziata, e sua moglie Livia gli confeziona gli abiti, e gli è fedele per mezzo secolo, cosa rara ma antica. Restaura il Cursus Honorum, le tappe e le norme per la carriera politica, rimettendo ordine là dove i torbidi civili e le convulsioni della Repubblica avevano fatto grande disordine. E poi abbellisce Roma di monumenti nuovi (il suo generale e genero, Agrippa, oltre ad avergli fatto vincere tutte le battaglie decisive, contro Sesto Pompeo e Antonio, ha edificato anche il Pantheon, che fa ancora magnifica mostra di sé, anche se non è proprio l’originale, ma un rifacimento di Adriano dopo un incendio). Ha consolidato il limes, il confine dell’impero, rendendolo più sicuro con lo stanziamento di guarnigioni militari. Ha bastonato i Parti, recuperando le insegne perdute da Crasso insieme alla vita; e poi ha bastonato i Germani, recuperando le insegne perdute da Varo a Teutoburgo, e riportato a casa i soldati romani fatti schiavi dai germani. Insomma Augusto pare l’uomo della Provvidenza, uno che ci voleva, perché le cose tornassero a posto. Vivo lui, gli si riconosceva il primato, poi però si sarebbe potuto tornare alle antiche maniere. Ma Augusto aveva altro in testa, e pensava a designare un successore.
Ma questo è un altro capitolo. Ne parleremo più avanti. Ricordo solo che Orazio è nato il giorno 8 dicembre
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ilgrafico-2era · 3 years
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Novembre 2020
Dopo un mese sorpendente quale è stato ottobre 2020, e come teorizza il gyre di Yeats, dopo ogni periodo di grandiosità subentra una crisi. 
Ebbene sì, cari lettori del Grafico, l’universo sta cercando di ostacolare la nostra missione decidendo di far chiudere nuovamente le scuole e ora ditemi voi come si fa a vivere il trash amore in DID, acronimo, tra l’altro, più trash di tutta la merda che succede solitamente a Chiara [ultima delle quali è stata il ritrovarsi le correzioni del compito su classroom di Leshi, giusto perché deve sempre essere in mezzo ad ogni faccenda]. 
Nonostante ciò, come l’amore vince su ogni cosa, il trash non ha restrizioni e attraversa pure lo schermo, motivo per il quale noi siamo qui oggi. D’altronde questa didattica a distanza può anche essere una benedizione giudicando dalla reazione di Anaïs e Giulia che diventano subito vogliose per il professor Noal, meglio conosciuto come faogolo, docente di matematica e che ora possono godere della presenza di innumerevoli sticker per WhatsApp con la sua faccia. Leshi stesso ha preso la palla al balzo, e non solo perché è un calciatore rinomato della metropoli di Onigocity, e si è messo a fare videolezione ignudo coperto solo da un accappatoio in pure stile regista dei porno anni ’80. 
Allo stesso tempo, si può dire che novembre sia stato il mese dove della scuola non importava niente a nessuno e che quindi è stato passato per lo più con la testa fra le nuvole e nel mondo dei sogni. 
In primis è tornata Giulia, che con la solitudine provata a causa della situazione ha deciso di dedicarsi alla santità e a volersi fare un tour completo del sito di Adam&Eve, non trovando però la soddisfazione in cui sperava. 
Anche Nora si mette a sognare una vita sfarzosa e lussureggiante da vero oroscopo del Toro, sogno che si sarebbe potuto trasformare in realtà grazie all’ingresso nei suoi messaggi su Tumblr di tal “Cerco Sugarbabies”, nome effettivo irrilevante, e non tenuto segreto perché mai realmente discusso. La conversazione scorre in modo abbastanza noioso, troppe domande di circostanza e troppo poche discussioni su piani tariffari. Il sogno si è però infranto alla richiesta di CS di una foto a prova della maggiore età della ragazza: no, non una foto di un documento, ma una foto del viso. Insospettita dal fare semi-pedofilo, anche dovuto al fatto che la fanciulla dimostra la veneranda età di 30 anni fin da quando ne aveva 13, chiede divertita la validità di suddetta metodologia. Ne è uscita bloccata dall’utente dal nome e fari misteriosi. Mancato il mantenimento a vita, forse sarebbe il caso che Nora si rimettesse a studiare, ma non sembra particolarmente propensa al farlo. 
Chi altri sogna in grande, o meglio sogna cose grandi, è Anaïs. Una notte sogna, infatti, della sua vera e unica anima gemella e amore della vita Leshi e di come il suo pene “superiore di lunghezza alla media europea” [citazione per pochi] fosse particolarmente invitante. Sarà stato il suo outfit da pappone a farle immaginare certe cosacce? O sarà invece il subconscio che sta lottando affinché le cose vadano per i verso giusto? 
È forse però inutile vivere nel mondo della fantasia, come quella di Anaïs di ricevere da Mazz un anello per Natale [specifichiamo UN anello e no L’anello]. Nonostante gli sforzi della ragazza, nemmeno così tanto subdoli, per far capire al fidanzato la sua volontà di avere un dito ingigantito, una domanda posta da un personaggio estraneo ha chiarito le intenzioni del ragazzo di non concedere un anello all’amata per un bel po’ di tempo. 
Di questa notizia si interessa particolarmente, diciamolo in coro tutti assieme: Leshi. Come non sospettarlo. Durante una pausa fra una lezione e l’altra, Leshi chiede infatti informazioni circa le intenzioni di Mazz con suddetto anello, facendosi astutamente rivelare anche le personali preferenze di Anaïs in merito. Noi tutti aspettiamo di vederlo fuori da una gioielleria con un sacchetto in mano, in modo che riesca finalmente a dimostrare ad Anaïs che è lui il suo vero amore, pronto a sbandierare i suoi sentimenti ai quattro venti. 
C’è qualcuno che però non è ancora pronto a profonde dichiarazioni romantiche, Federica, che dopo la disastrosa litigata con il suo nuovo fidanzato dopo 20 giorni, trova una nuova armonia nella coppia che arriva a vedere il suo primo mese! Federica pubblica la data in una storia Instagram dove mostra una foto assolutamente non sfocata e incomprensibile di loro due assieme, senza però mettere alcun tag. Sembra quindi che voglia mantenere segreta l’identità del suo amante, anche se ha rivelato essere un coetaneo montebellunese. Bah. 
Dopo tutti questi quesiti e queste incertezze, ci lasciamo alle spalle il mese di novembre, che nonostante impedimenti vari ha saputo darci un po’ di soddisfazione. L’unica cosa che ci resta da fare, oltre che sopravvivere l’ondata tipo Tsunami 2004 di verifiche, esposizioni e interrogazioni varie, è quella di sperare di ricevere come regalo di Natale altre notizie dal mondo del trash amore. 
Ci si rivede a fine scorpacciata dei cioccolatini del calendario dell’avvento. 
XoXo Grafico.
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corallorosso · 5 years
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Ma Matteo Salvini è il ministro dell’Interno spagnolo? di DANIELE TEMPERA Sono giorni intensi per Matteo Salvini. Mentre imperversano le polemiche sulle risposte date ai giornalisti che lo interpellano, di volta in volta, sul presunto scandalo dei fondi russi o sull’utilizzo improprio dei mezzi della polizia di Stato, la ricetta social del ministro dell’Interno è sempre la stessa: bacioni, comizi balneari, gogne mediatiche e indignazione per mantenere alta la rabbia dei followers e degli elettori, vera e propria benzina della politica salviniana. E quando non c’è nulla di cui indignarsi, la rete offre sempre ottimi spunti. Del resto, si sa, la nostra attenzione sui social dura solo pochi istanti, chi si prende la briga di verificare ciò che i politici postano? E anche se qualcuno si dovesse accorgere della mistificazione sarebbe poi così importante, rispetto alla mole di condivisioni che si ottengono? Quesiti ai quali gli strateghi della comunicazione di Salvini hanno evidentemente già risposto. L’ennesima conferma viene dal video postato dal ministro proprio nella serata di ieri. Ci sono due uomini che buttano via un vecchio frigorifero in una scarpata sul mare. Una scena di ordinaria inciviltà prontamente capitalizzata dal ministro che, dopo aver indignato i followers, si pone subito come l’uomo forte, l’unico pronto a ristabilire la legalità e la civiltà in un mondo in mano ai “barbari”. «Non so se è più cretino quello che lancia il frigo vecchio verso il mare o quello che gli fa il video…Spero che li prendano e li costringano a recuperare quel frigo a pedate nel sedere!» sentenzia il ministro. Un post di certo non inconsueto per chi è abituato alla comunicazione di Matteo Salvini, ma questa volta il contesto è un po’ diverso. Innanzitutto basta attivare l’audio e accorgersi che i due protagonisti del misfatto sono spagnoli. Non ci troviamo in Italia quindi, ma in Spagna, e più precisamente nel comune di Almería. Come si può evincere dal tweet della Guardia Civil inoltre, i due sono stati già individuati dalla polizia lo scorso 31 luglio, ovvero ben quattro giorni prima del video rilanciato da un “indignato” Matteo Salvini. Del resto il particolare non sfugge nemmeno a molti commentatori della pagina del ministro: “Adesso fa il ministro dell’Interno pure della Spagna? (Per la cronaca la Guardia Civil li ha presi, ha fatto loro recuperare il frigo e li ha multati per 45mila €, da quel che si legge” scrive un utente, a cui fanno eco altri commenti su questo tono: “Si ma questo è in Spagna tu cosa centri? E poi già è stato recuperato… se vede che eri impegnato al papeete oggi…ah non sono un fan di nessuno ne pd, 5 stelle e bla bla bla”. Il problema è che però il post di Salvini viaggia sulle 2mila condivisioni e non sono pochi quelli che evocano il PD. Rimane la perplessità di capire perché un ministro dell’Interno senta la necessità di postare un video “virale” che gioca sull’indignazione su dei fatti avvenuti addirittura in Spagna, mentre il governo e il Paese sono scossi da emergenze ben più gravi. E mentre si rifiuta di rispondere alle domande dei giornalisti su questioni ben più serie. La certezza è che anche per oggi la nostra dose di indignazione quotidiana sia servita. Che l’uomo del “Prima gli Italiani” e dei porti chiusi, non conosca confini per la sua propaganda. E che Morisi&Co conoscano molto bene i meccanismi della propaganda social.
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danielscrepanti · 4 years
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Le 10 domande che sottoporrò in giornata ai colleghi che si sono candidati come consiglieri dell’Ordine degli Architetti sono in realtà più di 10. Ho invitato privatamente tutti i candidati a rispondere a non più di 5 quesiti ciascuno scegliendo le domande dalla seguente lista. Alcuni hanno risposto che lo faranno, altri che lo faranno se lo faranno tutti gli altri, altri ancora che lo faranno ma non sanno se faranno in tempo, altri ancora non hanno risposto e dubito che lo faranno. Ho pregato tutti di accompagnare le risposte con una loro foto (anche artistica) e una brevissima presentazione (sarò drastico nei tagli). Nel rispondere alle 5 domande scelte, ciascun candidato dovrà essere molto chiaro nel precisare se i contenuti espressi lo sono a titolo puramente personale, oppure lo sono come sintesi di un dibattito svolto, o in corso di svolgimento, all’interno di un gruppo di lavoro per definire un programma condiviso di azioni politiche della professione.
1. Qualità dello spazio – Penso alla vicenda della riqualificazione del lungomare di Porto San Giorgio (FM) e della sua futura pista ciclabile, con l’Amministrazione comunale che prima ha impegnato l’Ordine per organizzare un concorso di progettazione volto alla scelta della migliore proposta progettuale per un contesto specifico, e poi ha fatto marcia indietro optando per la scelta del progettista economicamente più vantaggioso. Quale strategia adottare per riuscire finalmente nell’impresa di organizzare concorsi di progettazione (non di idee) in Comuni di medie dimensioni?
2. Valorizzazione del patrimonio culturale – Seguo da tempo le iniziative che il Sindaco del Comune di Monte Rinaldo (FM) Gianmario Borroni sta portando avanti per valorizzare al massimo l’Area Archeologica La Cuma: dalla comunicazione dei risultati della terza campagna di scavo condotta nel 2019 (sostenendo sinergie tra la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche e l’Università di Bologna e la British School at Rome), al meraviglioso concerto in streaming del Maestro Dario Faini, in arte Dardust, avvenuto i primi di giugno. Quale può essere il contributo degli architetti a simili iniziative di valorizzazione integrata e di promozione condivisa del patrimonio culturale del territorio?
3. Ricostruzione post sisma – Dopo 11 anni, quando lungo l’A24 intravedo il centro storico di L’Aquila, scorgendo in lontananza tante gru provo un senso di profonda tristezza. La stessa tristezza che ho provato in seguito alla recente bocciatura del pacchetto di norme sul terremoto del Centro Italia del 2016 da parte della Commissione bilancio della Camera, che hanno poi indotto il Premier Conte a rassicurare il Commissario Straordinario Legnini. Una tristezza analoga a quella che mi ha causato la lettura di un post di Giovanni Marucci, architetto camerte da sempre impegnato per il suo territorio e per la qualità dell’architettura e del paesaggio in Italia. In un passaggio, il post di Marucci diceva che a Camerino, dopo quattro anni dal sisma, “nessun edificio pubblico è stato risanato, la città alta, cuore della vita sociale, culturale ed economica è rimasta colpevolmente ferma a quattro anni fa, senza nessun cenno di vergogna”. Mi domando, ma gli architetti, tutti gli architetti, non dovrebbero rappresentare con più forza e decisione almeno la sofferenza per il loro territorio? Come lottare il più possibile per lenirla e su quali temi concentrare gli sforzi, inclusi quelli comunicativi?
4. Rilancio territoriale – Il rapporto annuale dell’Istat pubblicato pochi giorni fa ha messo chiaramente in luce quello che mi pare il vero tema urbanistico, e conseguentemente architettonico, dovuto alla pandemia da Covid-19: l’acuirsi delle disuguaglianze sociali. Nell’ultimo libro del compianto Bernardo Secchi, “La città dei ricchi e la città dei poveri”, tale tema veniva individuato come la questione urbana che siamo chiamati ad affrontare come architetti del XXI secolo. Tra le manifestazioni di quei processi nazionali che aggravano la situazione, come lo smantellamento del welfare state e la dissipazione di quella che potremmo chiamare “la città pubblica” (per usare in senso molto ampio, e forse consapevolmente improprio, un’espressione coniata da Paola Di Biagi riferendosi all’edilizia sociale e alla riqualificazione urbana), mi viene in mente come esempio la drammatica situazione dei posti letto ospedalieri che in Italia si è ridotta dal 1995 al 2018 da 6.3 a 3.5 posti ogni 1000 abitanti. Tutte queste problematiche, legate alle difficoltà degli strumenti e metodi dell’urbanistica in una condizione di crisi economica e di fortissimo cambiamento tecnologico, mi sembrano un po’ lontane dal dibattito professionale e dalle politiche professionali, eppure dovrebbero essere centrali. Quali iniziative di categoria si potrebbero attuare sotto il profilo analitico e progettuale? Come riportare al centro delle politiche professionali le questioni degli investimenti pubblici locali e della loro realizzazione, manutenzione ed eventuale trasformazione? Come collaborare alla riorganizzazione territoriale dei servizi, particolarmente importante ai fini della gestione delle future emergenze epidemiologiche e dei loro effetti sociali?
5. Scuole innovative – L’articolo 7-ter del Decreto legge 8 aprile 2020 n. 22 (Decreto scuola) convertito dalla legge 6 giugno 2020 n. 41, per la realizzazione degli interventi di edilizia scolastica, prevede che tutti i Sindaci e i Presidenti di Provincia, fino al 31 dicembre 2020, possano operare con i poteri dei commissari straordinari, prevedendo specifiche deroghe al Codice dei contratti pubblici. Il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha giudicato tale scorciatoia normativa “un atto di grave immaturità politica e di totale inconsapevolezza delle esigenze del Paese e delle modalità con cui affrontarle”. Alfonso Femia, con una lettera inviata al Presidente Cappochin e ai presidenti di alcuni ordini provinciali, ha rincarato la dose ribadendo che “non è segno di maturità politica affrontare il tema scuola post Covid solo attraverso gli strumenti dell’emergenza, né solo soddisfacendo gli aspetti tecnici e normativi per la sicurezza e l’adeguamento energetico”. Come incentivare una visione strategica che faccia partire la riqualificazione del territorio dalla scuola, affrontando per esempio temi come l’offerta di centri estivi, il rapporto con la digitalizzazione, l’attenzione alle famiglie più fragili, il riuso di altri luoghi per le attività didattiche?
6. Superbonus 110 per cento – Quali iniziative intraprendere per sostenere localmente le linee di intervento che beneficiano del cosiddetto super bonus, ossia il nuovo sgravio fiscale che consente di detrarre il 110 per cento delle spese sostenute per far fronte a interventi antisismici e di efficientamento energetico?
7. Burocrazia – Il 26 giugno Michele Ainis ha pubblicato su La Repubblica un articolo intitolato “Se la riforma diventa un vizio”. Tra gli altri dati a supporto della sua tesi, Ainis richiamava le 608 modifiche ricevute nel giro d’un anno dal codice degli appalti licenziato nel 2016; modifiche che sembrerebbero rendere necessaria la sua riforma. Necessità di tale riforma emersa anche in seguito alla ricostruzione del viadotto sul Polcevera di Genova, che è avvenuta in 22 mesi derogando ampiamente sull’applicazione delle norme vigenti del codice degli appalti stesso. Quale posizione assumere rispetto a questi problemi, l’ipertrofia burocratica e riformatrice italiana da un lato e dall’altro la possibilità di sorvolare tutte le procedure e le norme vigenti attuando il cosiddetto modello Genova?
8. Legge per l’architettura – Uno dei grandi temi della politica professionale è la necessità di una legge per l’architettura in Italia. Gran parte del Congresso Nazionale degli Architetti celebrato due anni fa a Roma, ruotava intorno a questo obiettivo, centrale per la qualità della vita dei cittadini, per il rilancio competitivo delle aziende e per il miglioramento delle prestazioni dei servizi pubblici nel territorio italiano. Quale sarebbero i principali contenuti della legge che si vorrebbero proporre all’attenzione della politica?
9. Ordinamento della professione – La bozza di proposta recante Riforma dell’ordinamento professionale diffusa dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori i primi giorni di marzo, ha avviato un dibattito durante l’emergenza epidemiologica che non si è necessariamente potuto sviluppare con l’ampiezza e l’approfondimento necessari. Il 23 e il 24 luglio si terrà una importante Conferenza Nazionale degli Ordini per discutere gli esiti della prima fase di coinvolgimento degli Ordini provinciali. Dopo la conferenza, il Gruppo Operativo “Ordinamento” invierà agli Ordini il quadro sinottico aggiornato con i contributi emersi in tale sede. Si avvierà conseguentemente l’ultima fase di dibattito prevista in occasione degli incontri che il Consiglio Nazionale terrà con le macro-aree territoriali. Si tratta indubbiamente di un percorso di condivisione con gli Ordini di cui va dato merito al Consiglio Nazionale. È inoltre evidente che occorrerà organizzare al meglio la condivisione locale dei princìpi e dei contenuti della riforma. Quali iniziative attivare per favorire la più ampia partecipazione dei “mondi che sono interessati alla disciplina della professione e che già hanno cominciato, negli scorsi giorni, ad esprimersi”? Come potrà avvenire nel nostro territorio il confronto con gli altri interlocutori, e con tutti gli attori interessati al processo, oltre che ovviamente con le Istituzioni politiche?
10. Cultura professionale – Durante il lockdown ho lamentato più volte una tendenza degli architetti a dimenticare alcune radici culturali della propria disciplina e a proporre come inediti dei processi in verità già avviati da lungo tempo. Manuel Orazi ha scritto un bellissimo articolo su il Foglio pubblicato il 03 maggio scorso, intitolato “Architettura da pandemia”, in cui tra le altre cose ha ricordato l’effettiva nascita su basi igieniste dell’urbanistica. A mio avviso, durante la quarantena gli architetti hanno perso la grande occasione di avvicinare nuovamente le persone alla loro cultura professionale, rendendola meno di nicchia e isolata e rispolverando il suo patrimonio di conoscenze ed esperienze progettuali. Indubbiamente, già esistono alcune iniziative di valore operate per favorire la diffusione di una cultura della domanda di architettura. Per esempio, già prima della pandemia, il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha attivato la seconda edizione del progetto scolastico “Abitare il Paese – La cultura della domanda. Bambini e ragazzi per un progetto di futuro prossimo”. Probabilmente, nel momento in cui la scuola ha consentito inedite possibilità di didattica a distanza, gli obiettivi e le strategie di tale progetto si sarebbero dovute rilanciare. Quali ulteriori iniziative intraprendere per colmare la distanza rispetto alla società della cultura architettonica, paesaggistica e urbanistica?
11. Casa comune dell’architettura – Tre proposte per aprire agli iscritti, alle scuole e alla cittadinanza, le porte dell’Ordine, le porte dell’Archivio dell’architetto Sergio Danielli e le porte della biblioteca dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Fermo.
12. Trasparenza e politiche digitali – Pochi giorni fa, il Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Milano, ad integrazione della documentazione economico-finanziaria, ha pubblicato “Verso il Bilancio Sociale”, un primo esercizio di rendicontazione e trasparenza. Si tratta di “un documento e di una sezione online a disposizione di tutti, dove sono illustrati priorità e obiettivi, oltre a report sulle attività svolte e i risultati raggiunti nel 2019”. Le priorità di mandato, gli obiettivi futuri, le informazioni sulle attività svolte e sui risultati che verranno raggiunti dal prossimo Consiglio dell’Ordine, saranno condivisi e comunicati in modo innovativo e trasparente agli iscritti e a tutti i portatori di interesse? Come avverranno il monitoraggio e la valutazione del lavoro svolto?
13. Aree interne e aree esterne – L’esperienza più significativa di osservazione ed analisi del territorio che ho avuto modo di compiere è avvenuta all’interno di un progetto di ricerca intitolato “Territorio casa comune”, svolto dal Gruppo di Ricerca ‘Morfologie e dinamiche territoriali’ del Centro de Estudos de Arquitectura e Urbanismo della Facoltà di Architettura di Porto, in Portogallo. Gli studi e le ricerche effettuati si sono sostanziati in una mostra aperta alla cittadinanza che si è tenuta nella ‘Casa del Territorio’ del Comune portoghese oggetto di indagine: Vila Nova de Famalição. Lo studio territoriale aveva un obiettivo molto preciso: costruire una idea collettiva del territorio che si producesse moltiplicando i punti di vista sullo stesso per avere letture, rappresentazioni, discussioni e dibattiti su quel qualcosa che si conosce e riconosce in comune al suo interno e che dà senso alla realtà territoriale. La presentazione della mostra recitava: “Mostrare è una condizione per rendere pubblico, per organizzare una visione del mondo ed esporla al giudizio degli altri. Senza di questo la società è invisibile e il territorio, una astrazione. Se desideriamo che il territorio che abitiamo sia inteso e vissuto come casa comune – come spazio di vita e relazione di un gruppo sociale che lì si inscrive – ebbene questa casa dovrà essere il risultato della costruzione collettiva di un immaginario e di progetti comuni su ciò che siamo come società e su cose e luoghi che possiamo e dobbiamo condividere. Una casa in costruzione”. Mi pare vada in qualche modo verso questa direzione la proposta contenuta nella bozza di Riforma dell’ordinamento professionale degli architetti, per istituire un Osservatorio permanente sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione e una rete di Osservatori territoriali organizzati ed animati dagli ordini provinciali. Nelle intenzioni, gli Osservatori dovrebbero essere lo strumento operativo per rafforzare la capacità di interlocuzione della categoria con le istituzioni politiche e con i vari livelli di governo del territorio. Mi chiedo, e chiedo, se tali Osservatori potrebbero anche svolgere il ruolo di supportare i professionisti nel ricollocare le questioni della qualità del progetto all’interno di quadri conoscitivi molto più aderenti alle specificità contemporanee dei contesti territoriali di intervento. Si ritengono necessarie rappresentazioni e analisi del territorio che siano molto attente alla vita contemporanea e alle attuali dinamiche dell’abitare? Si ritengono utili letture ed interpretazioni del territorio meno schematiche e stereotipate di quelle su cui si fondano le politiche urbane e territoriali dell’Unione Europea basate su dualismi arcaici città-campagna, urbano-rurale, centro-periferia, interno-esterno? Se il contrario di interno è esterno, nella Strategia nazionale per le aree interne, credo che la costa adriatica e tirrenica debbano essere incluse tra le aree esterne.
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genevieveamelie · 4 years
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❀ 𝐍𝐞𝐰 𝐫𝐨𝐥𝐞 𝐰𝐢𝐭𝐡: Genevieve ❀ 𝐃𝐚𝐭𝐞: 20.04.2020, sera, #ᶠˡᵃˢʰᵇᵃᶜᵏ ❀ 𝐏𝐥𝐚𝐜𝐞: Albero Hayawia ❀ #ravenfirerpg
Meravigliosi tatuaggi adornavano l’esile figura di Diane, coperta quella sera da un abitino che nulla lasciava all'immaginazione. Non albergava malizia nella sua pura e candida persona, bensì solo semplice e genuina voglia di contatto con la natura. Essere una fata e vivere lontano dal bosco era ritenuto normale a quei tempi, ma una vita da essere umano non modificava la linfa che scorreva nelle vene di quelle eteree creature. Sicché la minore delle Ferris sedeva ai piedi dell’albero che le aveva dato la vita. Le spalle scoperte aderivano perfettamente alla corteccia, le ginocchia erano piegate al petto e circondate dalle di lei toniche braccia e lunghe ciocche di crini biondi incorniciavano il suo argenteo viso. Era immobile e respirava profondamente, illudendosi che il sussurro della natura genitrice potesse fugare i suoi dubbi. Molteplici, infatti, erano le domande che la tormentavano da giorni e giorni e che — per l’uno o per l’altro motivo — sembravano non avere risposta. Chi era la donna che si era seduta di fronte a lei qualche giorno prima? Perché aveva avuto l'impressione che ci fosse dell'altro dietro ai suoi quesiti? E, sopratutto, che cosa voleva da una come lei? Chinò il capo, poggiandolo afflitta sulle sue braccia e assumendo così una posizione fetale. "𝖣𝗎𝗇𝗊𝗎𝖾 𝖾̀ 𝗊𝗎𝖾𝗌𝗍𝗈 𝖼𝗁𝖾 𝗏𝗎𝗈𝗅 𝖽𝗂𝗋𝖾 𝖼𝗋𝖾𝗌𝖼𝖾𝗋𝖾? 𝖤𝗌𝗌𝖾𝗋𝖾 𝗂𝗇𝗏𝗂𝗅𝗎𝗉𝗉𝖺𝗍𝗂 𝗂𝗇 𝗎𝗇 𝗏𝗈𝗋𝗍𝗂𝖼𝖾 𝖽𝗂 𝖽𝗎𝖻𝖻𝗂?", si domandò, mentre un involontario singhiozzo la scuoteva. Stava piangendo, tanto per cambiare. Rimase in quella posizione per interminabili secondi, muovendosi però di scatto quando un rumore provenne della sue palle. "𝖣𝖾𝗏'𝖾𝗌𝗌𝖾𝗋𝖾 𝗎𝗇 𝖺𝗇𝗂𝗆𝖺𝗅𝖾", pensò fra sé e sé, alzando il capo e incontrando — in maniera del tutto inaspettato! — lo sguardo di una delle sue sorelle.
"Hey!"
Sussurrò, stendendo le gambe in avanti e asciugandosi le lacrime. Non vedeva Genevieve da circa un anno e (quasi) le spiaceva mostrarsi in quello stato, ma non poteva fare altrimenti. Aveva trascorso delle brutte giornate e Diane era un libro aperto per chiunque.
"Che bello vederti!"
Genevieve Amélie S. Hale
Ciò che era successo nelle ultime settimane aveva scombussolato non poco la giovane fata che, nonostante tenesse tutto dentro di sé, continuava a rimuginare sul ruolo delle fate in quella faccenda. I ragazzi catturati erano evasi e ora nascosti chissà dove ma la tensione che si avvertiva in tutta Ravenfire poteva essere tagliata con il coltello. Le fate sembravano aver avuto un ruolo cruciale nell'aiutare e supportare i veggenti, ma la Hale si chiedeva quando e come sarebbero potuti tornare alla vita di sempre. Vivere la propria condizione sovrannaturale di fata non era sempre felice, v'erano giorni in cui il contatto con la natura si faceva sentire in modo più prepotente e altri in cui il desiderio di evadere dalla cittadina della Virginia diventava sempre più forte. Tuttavia Genevieve sembrava gestire egregiamente il proprio equilibrio, destreggiandosi spesso tra impegni prettamente umani e lunghe passeggiate immersa nella natura o facendo visita al loro albero sacro, esattamente come stava facendo quella sera. Ricaricare le batterie per le fate era assolutamente normale, e lo era anche fare visita alla corte fatata, ma di certo non si aspettava di sentire quel singhiozzo che scuoteva la calma di quel luogo. Avanzò lentamente, incuriosita da chi potesse essere e solo quando vide la figura di Diane, le labbra della Hale si serrarono in un'espressione in cui traspariva la comprensione per quella giovane sorella. « Diane... » Mormorò gentilmente prima di avvicinarsi maggiormente e mettersi poi seduta accanto a lei. Spesso la Hale veniva definita superficiale, attaccata a quelle cose inutili della vita terrena, ma la verità era che Genevieve desiderava mettersi in gioco a trecentosessanta gradi. Inclinò appena il capo prima di allungare una mano e prendere quella della sorella, in una stretta confortevole. « Che succede? Non piangere... Raccontami ogni cosa. »
Diane Ferris
Le vicende che avevano interessato la sua esistenza non corrispondevano all’idea che ella aveva di vita, né all’immagine a cui il suo aspetto rimandava. Diane era da tutti considerata una ragazza fragile, una fanciulla sbadata, un abitante di un mondo fantastico a cui lei sola riusciva ad accedere. Pochi la ritenevano parte di quella comunità e/o le avrebbero affidato qualcosa che non fosse un fiorellino o un animaletto. Era la sorellina minore che tutti desideravano proteggere, persino da se stessa. Eppure, nell’ultimo periodo ella non riusciva più a sentirsi in quel modo. Era cambiata e, per quanto molti aspetti della sua vita fossero migliorati, vi erano dei (rari) momenti in cui ella ricordava la propria spensieratezza con nostalgia, dei momenti in cui non faceva altro che chiedersi cosa sarebbe successo se fosse rimasta sulle sue e se non si fosse affacciata al mondo. Sarebbe cambiato qualcosa? Sarebbe stata più felice? Erano domande che la tormentavano, ma a cui nemmeno un potente veggente sapeva rispondere. Ella, allora, si limitò a reagire nell’unico modo che conosceva, piangendo ai piedi di suo padre e cercando ristoro nella sua clemenza. Fu proprio mentre lo faceva, tuttavia, che l’arrivo di una delle sue sorelle la spinse ad asciugarsi le lacrime, rendendosi un minimo più presentabile. “È un periodo difficile per me.” Sentì il tocco della mano della maggiore e le fu grata per quel contatto, ma ancora non riuscì ad aprirsi. Al contrario, le sarebbe piaciuto avere la capacità di mentire, di poter dire che andava tutto per il verso giusto e che non valeva la pena raccontare il suo dolore; ma Diane non poteva mentire. Era una fata e la linfa che scorreva nelle sue vene la obbligava ad essere sempre sincera. “A te come va?”
Genevieve Amélie S. Hale
Quante volte avevano giudicato superficiale Genevieve? Quante volte gli estranei s'erano soffermati solamente su quell'aspetto così etereo, con quella pelle dorata che sembrava riflettere la luce ogni volta che questa la colpiva? Aveva perso ormai il conto, eppure il carattere della fata era sempre lì, ad osservare il prossimo con attenzione, divertendosi perfino nel vedere come tutte le persone che credevano di conoscerla, non facessero altro che sbagliare. Non era nella sua natura mentire, come non lo era per nessuna delle sue sorelle, ma poter confondere le idee del prossimo era un qualcosa che sapevano fare piuttosto bene. E quante volte s'era divertita. La verità, tuttavia, era che sotto quell'aura così irraggiungibile si nascondeva una persona con un buon carattere che sapeva ascoltare, sapeva esserci per le persone che avevano bisogno di una mano, ma soprattutto la Hale era quanto di più lontano dall'essere superficiale. Quanto sentì quei singhiozzi, la fata non ci aveva pensato due volte ad avvicinarsi per dare il suo supporto a Diane, s'era seduta accanto a lei e sperava che quel semplice contatto potesse darle conforto. « Ehi, non piangere... » Ripeté ancora una volta la Hale prima di rendersi conto che ci sarebbe voluto del tempo prima che la sorella potesse fidarsi di lei tanto da aprirsi. Inclinò appena il capo e il cuore venne stretto in una morsa nel vedere come la sorella fosse abbattuta. « Io sto bene... Ma non voglio parlare di me, che ne dici di raccontarmi dal principio? » Replicò con un tono di voce basso, confortevole quasi prima di stendere la mano libera per asciugarle le lacrime che le stavano rigando il viso. Fece passare la punta del pollice sulle gote prima di cercare i suoi e sperare di darle un po' di conforto.
Diane Ferris
Roventi lacrime continuavano a scivolare sul suo viso candido, che via via si tingeva di vermiglio. Molteplici erano state le volte in cui aveva cercato ristoro in quel luogo — anche solo dopo una lezione di danza troppo dura o brutto voto —, ma mai il dolore che provava era stato così forte. Si sentiva come se un’arpia avesse infilato i propri artigli nel suo petto e le avesse strappato il cuore, come se la linfa che scorreva nelle sue vene si fosse tramutata in lava e come se la sua candida pelle fosse destinata ad andare a fuoco. Si rannicchiò su se stessa, portando le spalle al petto e sperando di alleggerire il peso che lo opprimeva, ma ogni suo sforzo fu vano. Era come bloccata in un limbo, come imprigionata fra la sua sofferenza e l’oblio. Poté, dunque, solo restare immobile, impassibile persino al leggero tocco di sua sorella. “Perché non dovrei?” Pose quelle domanda con tono afflitto, alzando il capo e specchiando i suoi occhi azzurrini in quelli più scuri di lei. Non era quello il caso, ma Diane aveva sempre trovato peculiare l’avversione che tutti avevano verso il pianto. Eppure, almeno secondo lei — che piangeva praticamente per qualsiasi cosa —, non vi era modo migliore per esplicitare la propria sofferenza, il proprio stupore e persino la propria gioia. “Non basterebbe un’intera giornata per raccontare ciò che mi tormenta.” Non vi fu brutalità nelle di lei parole, ma solo pura e semplice sincerità. Come tutte le sue sorelle, Diane era impossibilità a mentire, ma comunque non ne avrebbe visto il senso. Chiunque avesse avuto a che fare con lei nell’ultimo anno, infatti, sapeva più che bene che il destino le aveva riservato parecchi colpi bassi. “Ti riassumo brevemente: mia zia è morta, il mio ragazzo è un fantasma quindi è morto anche lui e qualche giorno fa una tizia strana mi ha riempita di domande.”
Genevieve Amélie S. Hale
Avrebbe voluto replicare che possedeva tutto il tempo necessario per ascoltarla, ma Genevieve preferì rimanere in silenzio e dare così tempo alla sorella di calmarsi. Non era contro alle lacrime di per sé, solo la fata sapeva quanto avesse sofferto durante l'infanzia, ma vedere una sorella in balia della propria sofferenza era un qualcosa che le faceva male. Continuò ad asciugare le di lei lacrime, cercando di immaginare che cosa la turbasse così tanto, ma fu solo quando sentì quel semplice resoconto che la Hale si ritrovò a fare un profondo sospiro. « Non dovresti piangere perché non puoi risolvere nulla piangendo, ma so che è un buon modo per lasciarsi andare... » Commentò la Hale portando dietro l'orecchio una delle ciocche di capelli della sorella. Aveva così un bel viso che era un peccato rigarlo da cotale sofferenza. « Credo di essere la sorella sbagliata, ma non so se sai quale sia la mia storia... Come tutte noi, sono stata adottata da una famiglia del posto, ricordo di aver passato gli anni più belli, fino a quando colui che consideravo mio padre è stato ucciso durante un'incidente in macchina. Per me ed Elizabeth, così si chiamava, sono stati momenti difficili, ho vaghi ricordi di quel periodo, ma non posso dimenticare quella mattina di Natale quando l'ho trovata sanguinante in cucina. Aveva fatto il gesto più estremo e io mi sono sentita assolutamente impotente... Fa male perdere una persona, un dolore che è impossibile da superare, ma ci si convive tesoro. Mi dispiace tantissimo per la tua perdita... Ma il tuo ragazzo è ancora qui, accanto a te, come lo sono io e lo siamo tutte. Mi preoccupa di più la tizia strana... Che cosa ti ha chiesto? »
Diane Ferris
Alzò lo sguardo azzurrino, per poi puntarlo in quello più scuro della sorella. Diverse volte aveva udito frasi di quel tipo, ma piangere era — senza ombra di dubbio — l’attività che ella svolgeva più spesso. Aveva pianto quando aveva invitato Colin a casa sua per la prima volta, aveva pianto quando aveva adottato il suo gattino e piangeva ogni volta che prendeva un bel voto. Le lacrime erano il suo modo di esprimere le sue emozioni, belle o brutte che fossero. Quindi, no, probabilmente non avrebbe mai smesso di andare ai piedi di quell’albero a disperarsi. “No, nessuno me ne aveva mai parlato. Mi dispiace.” Espresse il proprio cordoglio in modo pacato, non plateale. Nessuna delle sue sorelle le aveva riferito la triste storia di Genevieve, ma non le incolpava per questo. Dopotutto, era solo colpa sua sé tutte la consideravano una specie di bambolina da proteggere, no? “Il mio ragazzo è qui e ora, ma domani? Che cosa accadrà quando lui rimarrà giovane e io invecchierò?” Aveva posto quella domanda a più di una persona, ma nessuno era riuscita a darle la risposta giusta, nessuno le aveva detto che era impossibile amare un immortale, che la sua storia era destinata a terminare fra atroci sofferenze. Erano state tutte sognatrici, accomodanti, forse persino false, ma quella era un’altra storia. “Ha iniziato domandandomi quali fossero i miei progetti di vita, quindi abbiamo chiacchierato un po’. Ad un certo punto, però, mi ha chiesto sé questa città mi abbia mai portato via qualcuno. Non lo trovi strano?”
Genevieve Amélie S. Hale
La fata non era mai stata una persona dai grandi discorsi, spesso veniva perfino giudicata superficiale, eppure durante quella confidenza la Hale aveva dimostrato che v'era molto di più in lei. Non sapeva se Diane avesse mai sentito qualcosa su di lei, e sperava con tutto il cuore che potesse darle un po' di sollievo, eppure la sua successiva domanda era più che lecita. « Non devi dispiacerti... Non abbiamo semplicemente mai avuto occasione di parlarne. E non so dirti come andranno le cose con il tuo ragazzo, non ho la sfera di cristallo per dirlo, ma posso dirti che vale la pena vivere il momento. Precludersi qualcosa di bello per la paura del futuro è qualcosa che nessuno dovrebbe fare, soprattutto una persona come te, Diane. » Probabilmente non erano queste le parole che la sorella avrebbe voluto sentirsi dire, eppure che altro avrebbe potuto dire Genevieve? Non poteva dare certezze su un qualcosa che era impossibile da prevedere, e non l'avrebbe fatto. Serrò le labbra per un momento prima di concentrarsi sulle sue successive affermazioni, le quali apparvero decisamente strane. Si ritrovò così ad aggrottare appena la fronte, un piccolo cipiglio in mezzo alle sopracciglia prima di annuire con un cenno del capo. « E' strano... Forse, forse dovresti parlarne con Leah. » Non era certa di che cosa significasse, ma se qualcuno poteva aiutare Diane era senz'altro la loro nuova caporazza.
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isabelamethyst · 4 years
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     👑👠     —      𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐢𝐬𝐚𝐛𝐞𝐥 𝐚𝐦𝐞𝐭𝐡𝐲𝐬𝐭 & 𝐥𝐨𝐫𝐞𝐞𝐧 𝐤. 𝐚𝐦𝐛𝐞𝐫      ❪    ↷↷     mini role ❫      l    a     k     e      14.06.2020  —  #ravenfirerpg
I ricordi di ciò che aveva fatto erano ancora lì, pronti a farle perderle il sonno e non solo, anche la ragione. Il senso di colpa stava diventando sempre più forte, e doveva ringraziare Allison per quegli ultimi giorni a casa Price. La presenza dell'amica era un toccasana per la newyorchese, eppure ancora non era riuscita a confessare ad anima viva ciò che aveva fatto. Non appena abbassava le palpebre vedeva il corpo esangue del giovane, ai suoi piedi e privo di vita, con quegli occhi sbarrati come se avessero visto il peggiore dei suoi incubi, e così era. Isabel aveva, col tempo, cominciato a riprendere in mano la propria vita, partecipava a feste come quella tenuta a villa Fitzgerald, e a poco a poco, stava riprendendo anche tutte le sue abitudini come quella di andare al lago di tanto in tanto. Da quando la sua condizione era cambiata, Isabel mal sopportava il calore sule pelle, il sole diventava sempre più fastidioso, ma a quell'ora del tardo pomeriggio era davvero perfetto. Aveva fatto una corsa, quel tanto da rimanere in forma, e si era fermata ad osservare lo specchio d'acqua che si estendeva davanti a lei, quando udì dei passi alle sue spalle. Si voltò di scatto, osservando una figura longilinea dai capelli corvini che la scrutava come se la stesse studiando attentamente. Trascorse, dunque, qualche secondo prima che una delle due potesse proferire parola.
Loreen K. Amber Schubert
S'era tinto dei colori pastello del sole che s'adagiava all'orizzonte e lasciava spazio alla nascente luna, il cielo al di sopra di Ravenfire, era stato sgombro da nubi quel giorno, segno che l'estate era ormai giunta. Era amata dai più tale parte dell'anno poiché permetteva l'organizzazione di vacanze, il trasferimento temporaneo verso le bianche spiagge delle isole più conosciute, la pelle che si colorava d'ambra e profumava di salsedine, tutte cose agognate durante i rigidi e freddi mesi dell'inverno in cui tutto ciò che si faceva per occupare il tempo era stare dinanzi al cammino a bere cioccolata. Tuttavia, v'era chi date cose non le gradiva affatto perché decisamente poco affine a caldo, sole abbagliante ed escursioni fuori dai confini che non poteva permettersi senza rischiare di morire tra atroci sofferenze, e dunque non camminava per le strade con l'aria simile a quella di un bambino che scartava il regalo tanto ambito a Natale, al contrario semmai, pareva aver appena concluso una veglia funebre. Era parte di quest'ultima categoria Loreen Schubert che, in quanto orgogliosa dooddrear, detestava i raggi solari troppo forti, tanto che, da giugno a settembre, tendeva ad uscir poco e quando lo faceva trovava ampio riparo sulle sponde del lago, luogo ove, in precisi punti, essi battevano molto poco. Inoltre poi, il silenzio del posto le permetteva di mettere ordine tra i numerosi pensieri che le affollavano la mente in quel travagliato periodo, così da trovare un minimo di serenità, concetto ormai sconosciuto. Era ciò che stava facendo anche quel giorno, le iridi color nocciola si specchiavano nelle acque cristalline, quando notò la figura di una ragazza correre velocemente, troppo velocemente per esser solo un'umana e no, non andava bene. Non esitò dunque a raggiungerla e dopo aver scollato la chioma castana attese che si voltasse, dandole modo di notarla. « Devi controllare la velocità, rischi che ti scoprano e no, il Consiglio non sarebbe clemente. » Le disse, certa di aver dinanzi una sua simile forse ancora troppo inesperta. Capitava spesso che giovani dooddrear avessero difficoltà a governare i loro poteri, a lei non era accaduto, era stata duramente addestrata sin da piccola, ma lo comprendeva ampiamente. « Primo livello? » Domandò avvicinandosi lentamente, mentre per un attimo le proprie iridi scintillavano di verde, tipico di un dooddrear di massimo livello. Non intendeva spaventarla, assolutamente no, al contrario, voleva farle capire che erano simili e che di lei poteva fidarsi ad occhi chiusi, non l'avrebbe data in pasto al nemico.
Isabel Amethyst M. Hughes
Col passare del tempo, Isabel aveva riscoperto passioni che sembravano essere sopite o che comunque non avessero mai colpito in modo particolare la newyorchese, come la corsa. Eppure sembrava che quel movimento costante potesse calmare quel turbinio di pensieri che ormai, da giorni, non le dava pace. Il senso di colpa le faceva mancare il fiato ogni volta che ricordava ciò che aveva fatto, ma erano anche i suoi poteri a risentirne. I suoi sensi erano sempre in allerta, come in quel momento, quando osservò con maggiore attenzione la giovane che furtivamente s'era avvicinata. Rimase in silenzio la giovane Hughes, le labbra serrate in una linea rigida, ma allo stesso tempo intimorita da quella giovane che sembrava trasudare potere. « So perfettamente che cosa farebbe il Consiglio, credimi... » E come poteva non saperlo Isabel, la quale aveva trascorso settimane in quella dannata prigione. Ricordava ancora il freddo di quella cella, il buio che sembrava tirarla verso l'oblio ogni minuto che trascorreva lì dentro, ma soprattutto ricordava perfettamente ciò che sarebbe successo se non fosse fuggita. Fidarsi del prossimo sarebbe sempre stato un tasto dolente per la ragazza dai capelli corvini, eppure gli occhi scuri come la notte della sconosciuta sembravano abili abbastanza da farle valutare come rispondere. Era certa di trovarsi in compagnia di qualcuno con i suoi stessi poteri, ma quel luccichio verde fece sì che Isabel annuisse silenziosamente. I suoi poteri erano nulla in confronto a quelli della sconosciuta, e un senso di ammirazione cominciò a sorgere in lei. « Mi chiamo Isabel... Tu sei? »
Loreen K. Amber Schubert
Specchiandosi nelle iridi scure della giovane donna dinanzi a lei, Loreen riuscì a cogliere un velo scuro e malinconico, una sorta di celato turbamento, qualcosa che aveva compiuto e che poi aveva posato in un cassetto remoto dell'anima, il medesimo che tuttavia pareva risultare troppo piccolo per poter contenere la grandezza d'esso. Che cosa stava increspando davvero un volto così bello e che pareva essere stato scolpito da Fidia in persona? Che cosa si nascondeva tra le pieghe del suo essere? Non lo sapeva, la dooddrear, ma aveva tutta l'intenzione di scoprirlo. Non voleva agire a quel modo per puro desiderio di invadere la privacy altrui, — in realtà Loreen non era mai propensa ad intessere rapporti sociali, da bravo lupo solitario quale era non amava lavorare in gruppo, era una leader nata e per questo incapace di sottostare al volere altrui — era piuttosto per il fatto che v'era qualcosa che l'attirava inesorabilmente verso quella creatura che pareva esser discesa dal cielo, ma che quasi certamente portava l'inferno dentro. Con attenzione lo sguardo la scrutò, così come fecero le orecchie udendo ogni parola, mentre una sensazione di familiarità si faceva sempre più spazio in lei: dove l'aveva già veduta? Poi finalmente la mente svelò le risposte ai quesiti che l'affollavano, in un lampo. Isabel, così aveva detto di chiamarsi, era stata, infatti, vittima dei tirannici piani del Consiglio, l'aveva vista chiusa in gabbia per chissà che misteriosa ragione quando anch'ella aveva partecipato al blitz per poter restituire loro la libertà, doveva essere una persona di particolare interesse. « Giusto, stare in una gabbia non deve essere stato bello per nulla. Ancora non capisco sulla base di cosa vi abbiano accusato di omicidio e ci abbiano costretto ad arrestarvi. A me è toccato James, lo conosci? Ancora me ne pento, credimi.» E con ira Ringhiò dette parole, poiché no, proprio non riusciva a mandar giù quel fatto, di notte ancora rivedeva i suoi occhi spaventati in ogni incubo che faceva. Non era certamente una creatura celestiale, Loreen, di male ne aveva inflitto ed anche molto provando immenso gusto, ma non ad un innocente, non a chi non s'era macchiato di nulla, non a chi non lo meritava affatto. Era stato da quel momento che aveva preso a detestare il Consiglio, – non che lo avesse mai amato, ma neppure lo odiava, l'era sempre stato indifferente — poco le importava che ci fosse stato un cambio al vertice, per lei erano tutti soltanto avidi arrivisti assetati di potere: bestie inutili da combattere. « Loreen, mi chiamo Loreen e come avrai capito sono una dooddrear di quarto livello. » Infine si presentò, palesando razza e livello, ma per una volta non a scopo di celebrazione personale. L'intento era quello di far star tranquilla la sua interlocutrice e se, ne avesse avuto bisogno, mettersi a disposizione per un eventuale aiuto.
Isabel Amethyst M. Hughes
Era davvero necessario palesare il proprio nome? In fondo la storia di Isabel e degli altri ragazzi arrestati era di dominio pubblico e il fatto che la giovane sconosciuta la stesse guardando con così tanto interessa significa una cosa solamente, che l'aveva riconosciuta. Si ritrovò così ad abbassare lo sguardo per un momento, quello stesso sguardo che avrebbe preferito continuare a guardare la figura longilinea della mora piuttosto di guardare la punta di quelle scarpe che erano fin troppo fluorescenti per il suo gusto personale. Ascoltò apparentemente in modo distratto quelle parole, ma solo quando pronunciò il nome dell'amico che era stato compagno di ogni sventura, lo sguardo della Hughes si riposò su di lei. Tutti sapevano ciò che era successo, tutti sapevano ciò che era successo loro durante quel periodo in quelle dannate celle, ma mai si era chiesta chi avesse catturato il Collins. « James... E' un mio caro amico, sì. S-sei stata tu ad arrestarlo? » Domandò con una leggera titubanza prima di ripercorrere con la mente tutti quei tasselli che l'avevano portata lì. Erano stati in due a catturarla e quel povero pompiere biondo nulla aveva potuto per evitare la sua incarcerazione eppure ancora adesso nessuno sapeva che cosa fosse realmente successo. Un ragazzo era morto e il colpevole era ancora a piede libero. Ma anche Isabel era colpevole, eccome se lo era. Il ricordo del corpo che cadeva a terra senza vita tormentava ancora le sue ore di sonno, nonostante si trovasse ancora a casa Price, ma furono le successive parole a farle innalzare il livello di attenzione. Si trovava di fronte ad un quarto livello, un qualcuno che sapeva senz'altro destreggiarsi notevolmente tra quei poteri che per lei erano ancora così tanto sconosciuti. « Q-quarto livello? Come hai fatto? Voglio dire... Come hai fatto ad arrivare al massimo dei poteri, io... Forse non dovremmo parlarne qui. »
Loreen K. Amber Schubert
S'abbasarono pregne di senso di colpa le iridi scure di Loreen, le medesime che mai fissavano il suolo, poco importava che dinanzi ad esse si fosse palesato il Presidente Trump, Lo sceriffo o Babbo Natale, ella restava fieramente a capo alto, in ogni circostanza. Quella in particolare, tuttavia, l'aveva enormemente segnata, tanto che la notte terribili incubi disturbavano il suo sonno, in essi non faceva altro che rivedere il momento in cui aveva chiuso i polsi di James tra le manette e lo aveva trascinato via a forza. Una creatura discesa dal paradiso ella proprio non era, di disastri immani ne aveva combinati e l'uso dei suoi poteri era qualcosa cui non rinunciava, ma mai, nemmeno una volta aveva fatto male ad un innocente, e James lo era. Che cosa aveva fatto quel giovane uomo? Perché era stato accusato di una cosa così grave senza uno straccio di prova? Che nascondeva davvero? E cosa nascondeva Isabel? A loro comuni mortali non era dato sapere, ma era chiaro che il Consiglio celasse qualcosa di molto grosso. « Sono stata io, sì. È stato un ordine diretto di Josiah Fright, non ho potuto oppormi. Ma ci tengo a precisare che non mi ha fatto alcun piacere farlo, anzi, inizialmente mi ero anche rifiutata. » Ma essendo Bruce più debole di lei ovviamente non era riuscito ed alla fine s'era dovuta muovere in prima persona. Aveva riflettuto infatti, riflettuto e desunto che se non lo avesse preso lei che nessun male gli avrebbe mai arrecato, certamente Josiah avrebbe inviato suoi scagnozzi e no, su di loro non avrebbe mai messo la mano sul fuoco. Gli era costato, gli era costato moltissimo, ma alla fine s'era accordata con la sua coscienza rischiando tutto e liberandolo, ed ora era tornata a vivere con più serenità. Poi udì le domande della sua interlocutrice e leggermente sorrise furba, incrociando le braccia al seno prosperoso. « Sono stata allenata sin da bambina ed ora so pradroneggiarli perfettamente. Non posso dire lo stesso di te però, rischi di combinare ingenti guai se non ti controlli e di mandare tutti noi al macello, dai piani alti non attendono altro, in fondo siamo i cattivi della storia secondo loro. » E non c'era sciocchezza più grande. Dov'era scritto infatti che ogni dooddrear doveva obbligatoriamente essere uno spietato assassino? Da nessuna parte, non era la razza di appartenenza a fare la persona, ma purtroppo tale concetto sfuggiva ancora a molti.
Isabel Amethyst M. Hughes
Dovette incamerare le parole della bruna davanti a lei, soprattutto perché tutto ciò che diceva sembrava affascinarla oltre al fatto di renderla anche in qualche modo più consapevole della sua nuova natura. Lei stessa aveva ceduto a quei nuovi poteri che le scorrevano dentro come lava, e sempre lei stessa aveva tolto la vita a un giovane totalmente innocente. Isabel si ritrovò a socchiudere gli occhi per un momento, prendendo del tempo per rendersi conto che lei non era cattiva, assolutamente no, ma era tutta la situazione a fare schifo. Capire inoltre che la stessa giovane che le era di fronte fosse la stessa ad aver arrestato James non era semplice da digerire, eppure in qualche modo non la incolpava, in fondo aveva semplicemente eseguito un ordine di un qualcuno più in alto di lei. « E' tutta la situazione a fare schifo. » Commentò solo quando ritrovò la forza di alzare nuovamente lo sguardo e posarlo su Loreen. Emanava potere anche solo guardandola, ne era perfino affascinata da cotale potere, eppure si chiedeva se prima o poi sarebbe arrivata alla cima di quei poteri. « Io... Alleneresti anche me? » Domandò Isabel senza paura. Era una richiesta lecita, no? Avrebbe potuto accettare come rifiutare, ma almeno aveva provato. Fin da piccola i suoi genitori le avevano insegnato l'importanza della determinazione, l'importanza di provarci sempre ed arrendersi mai, nonostante nell'ultimo periodo i suoi sforzi fossero del tutto vani. In quanto a danni, poi, Isabel non poteva confessare di aver commesso il peggiore dei peccati strappando la vita ad un povero innocente.
Loreen K. Amber Schubert
Era ben conscia, Loreen, di non poter essere compresa a pieno da chi quella terribile situazione non l'aveva vissuta sulla propria pelle, ed in fondo neppure lo desiderava, l'approvazione altrui non l'era mai interessata più di tanto, badava unicamente all'opinione ch'ella aveva di sé, poiché da brava creatura egoista e superba, l'amor proprio era qualcosa che poneva al primo posto della sua personale classifica di benessere. E s'era infatti trovata a fare i conti con la sua immagine riflessa allo specchio per quella ignobile azione compiuta, — non era un angelo disceso dal paradiso, questo assolutamente no, aveva usato, gettato, spezzato cuori ed abbandonato chiunque non l'è andasse a genio o le risultasse invadente, ma mai, nemmeno una volta, aveva fatto del male ad un innocente, al contrario, li difendeva anche a costo di lasciarci le penne, perché no, un mostro non era, mai lo sarebbe divenuta — per la prima volta in ventisette anni di vita s'era addirittura trovata riprovevole, ma non s'era strappata carni e vesti, aveva cercato di porre rimedio e c'era riuscirà, poco importava avesse rischiato vita e carriera, era fatta così, agiva sotto l'egida dell'istinto, seguace della ragione non era. Non poté dunque che sgranare leggermente le iridi scure come la notte quando non udì insulto alcuno provenire dalle labbra della sua interlocutrice, in fondo James era suo amico ed avrebbe avuto tutto il diritto di farlo, ma evidentemente empatia ed intelligenza la dominavano ancora più del resto. « Era rivoltante chi prima ci comandava, ora le cose dovrebbero essere diverse. » Il condizionale era d'obbligo, Lucas Fright non era personalmente conosciuto dalla Schubert, dunque non poteva esimersi dall'avere giusti dubbi. Tuttavia, matura ed adulta, non intendeva condannarlo a priori unicamente per il cognome che portava o per la sua giovane età, avrebbe atteso di vederlo all'opera e solo allora avrebbe emesso sentenza. Infine udì la richiesta di Isabel, nessuna ruga d'espressione le increspò il bel viso, semplicemente incrociò le braccia al seno e, felina, prese ad avanzare di qualche passo. « Non saresti la prima che mi pone detta richiesta, sai? E potrei farlo, in fondo mi alleno costantemente io stessa, ma ad una condizione. Voglio sapere la ragione per cui vuoi che io lo faccia ed esigo una risposta sincera. Sono molto brava a scovare le bugie. » Concluse, seria. Non era un quesito a caso, doveva sapere se il reale fine fosse quello di fare del male a persone innocenti o, al contrario, scampare detta ipotesi: solo in questo secondo caso avrebbe accettato di aiutarla.
Isabel Amethyst M. Hughes
Eccolo lì il bivio dove mai Isabel avrebbe voluto trovarsi. Confessare ciò che aveva fatto era un qualcosa di troppo personale, qualcosa che avrebbe messo fine a quel flebile equilibrio che s'era creata, eppure ne sarebbe valsa la pena, giusto? Isabel non poté fare altro che continuare ad osservare la giovane, il suo modo di porsi così fiero, elegante e in qualche modo anche autorevole e non solo per l'impiego che ricopriva ma per quella fierezza che sembrava correrle nel corpo. Come avrebbe potuto non farle gola quell'offerta di aiuto, se così si poteva dire? Chiuse gli occhi per un momento la newyorchese che, aveva fin troppo da imparare a partire anche dalla gerarchia che vigeva nel Consiglio. « Le cose saranno anzi devono essere diverse... » Era difficile per la Hughes non prendersela con i predecessori, doveva a loro la sua prigionia, la sua evasione e successivamente anche quella fuga che l'ha portata a essere ancor più schiva. Eppure una domanda sorgeva spontanea, chi sarebbe seguito sarebbe stato all'altezza? Serrò le labbra la giovane, osservò la posa di Loreen che in qualche modo invidiava perfino prima di riuscire a trovare le parole con cui replicare. « Ho bisogno di aiuto per me stessa in primis, e non importa se mi giudichi egoista... Ma per la mia sanità mentale ne ho bisogno. E in secondo luogo, ne ho bisogno per gli altri, per evitare di poter far qualcosa di cui potrei pentirmi. » Replicò con tono sincero l'esperimento, eppure non poté confessare che la sua paura più grande s'era già avverata. Nei di lei occhi vedeva quanto quelle parole non furono abbastanza per aiutarla, ma cedere di fronte al segreto che portava dentro di sé era un qualcosa che non poteva ancora fare.
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Coronavirus: ecco perché i conti non tornano
di Nazareno Valente
  Ora che siamo stati catapultati in uno di quei racconti di fantascienza in cui l’umanità lotta per la sopravvivenza, molte sono le domande che ci poniamo su un virus che occupa già gran parte dei nostri pensieri. Così, dando un’occhiata alle tabelle statistiche che caratterizzano la situazione nei vari Paesi, viene da chiedersi come mai in Italia il Covid-19 appaia di gran lunga più letale che in altre parti del mondo.
Per darsi una risposta, bisogna necessariamente risalire al momento iniziale, quando vengono definite le modalità con le quali il fenomeno in esame si presenta.
Un numero di per sé dice poco; assume un significato se sappiamo a cosa si riferisce, e questo riferimento deve essere chiaro ed univoco per tutti quelli che partecipano alla discussione. Soprattutto in statistica bisogna accordarsi bene sui termini utilizzati e sul significato da dare loro, in particolare quando si ha a che fare con le cosiddette variabili qualitative, tipo, ad esempio, il colore dei capelli. Se leggiamo che in un certo universo ci sono 100 bionde, 870 brune e 17 rosse, ci si potrebbe chiedere dove siano stati enumerato coloro che hanno i capelli castani. Se chi ha compilato la statistica non l’ha indicato, ciascuno potrà stressare i numeri a proprio uso e consumo. Qualcuno potrà dire che le bionde sembrano poche, perché le castane sono conteggiate nelle brune; altri, le brune sono sottostimate, perché le castane sono finite tra le bionde. E così via. Morale della favola, ognuno potrà tirare acqua al proprio mulino, e tutti potranno dire d’avere ragione. In definitiva, per venirne fuori, dobbiamo prima sapere con precisione cosa effettivamente s’intende per coloro biondo, bruno e rosso.
Tornando al caso specifico, alla domanda: come mai nel nostro Paese il Covid-19 ha un tasso di letalità di gran lunga superiore a quello riscontrato nelle altri parti del mondo? prima di rispondere, bisognerebbe chiedersi se tutti i Paesi hanno usato la stessa definizione di “contagiato”; e, se così non è stato, quali definizioni ciascuno ha adottato.
Alla prima domanda, direi proprio di no. Non a caso le tabelle non sono accompagnate da una legenda e questa circostanza chiarisce che un simile accordo preliminare non ci sia stato. Alla seconda, risponderei che lo sa il Cielo. Ed è già tanto aver scovato quale sia quella adottata dalle nostre autorità, perché in merito c’è un qual certo consapevole riserbo.
Comunque sia, da noi s’intende per “contagiato” da Coronavirus chi risulta positivo al test del tampone ed alla successiva valutazione dell’ Istituto Superiore della Sanità (ISS). Quindi vengono conteggiati i soli casi di positività da tampone, validati dall’ISS. In pratica solo chi ha il bollino dell’ISS è un “vero” contagiato; tutti gli altri, ai quali non è stato fatto il test, sono “sani”, come se non avessero mai contratto il virus, anche nel caso la malattia fosse stata diagnosticata in base ai sintomi.
Da questo assunto, deriva inoltre che solo chi ha bollino di contagiato da Covid-19 può morire per tale causa. Sicché, chi è escluso dai contagiati – perché non gli è stato fatto il test ­– non può conseguentemente far parte dell’aggregato dei deceduti da Coronavirus, e non farà parte delle statistiche relative.
Appare del tutto evidente che la via seguita dalle nostre autorità comporta una sottostima sostanziale del fenomeno, perché esclude qualsiasi caso non certificato dal tampone. In pratica è sufficiente, ad esempio, anche un banale ritardo nel fare un test perché diminuiscano i contagiati ed i decessi per Covid-19.
Questo modo di procedere può creare ulteriori problemi statistici, se rivisto in una diversa ottica.
Per semplificare, ipotizziamo che la persona X sia risultata positiva al tampone. A questo punto si ricostruiscono i possibili movimenti di X per verificare lo stato delle persone che sono venute in contatto con lui. Ad operazione conclusa, con questo gruppo di persone si potrebbe procedere in uno dei seguenti modi:
1) tutti sono sottoposti a tampone;
2) si tamponano solo quelli che manifestano sintomi ed il resto è posto in quarantena;
3) sono sottoposti a tampone sono quelli che manifestano sintomi evidenti; chi ha sintomi lievi o nessun sintomo è posto, invece, in quarantena;
4) non si fa nessun tampone, perché, quando il contagio è talmente evidente da poter essere diagnosticato a prescindere, non è strettamente necessario, e, quando i sintomi sono lievi o nulli, del tutto inutile; tutti sono pertanto messi in quarantena.
Evidente che, a seconda della procedura seguita, si avrà un numero diverso di contagiati; numero che andrà decrescendo dal punto 2) in poi, sino ad azzerarsi del tutto se la strategia seguita è quella del punto 4). In quest’ultimo caso si arriva a non ritenere contagiate persone che in effetti lo sono in maniera palese.
La questione fa sorgere anche domande non banali: come vengono curati questi contagiati non validati alla luce dei criteri dell’Istituto Superiore della Sanità? Sono lasciati in casa, insieme ai parenti che devono accudirli? oppure sono ricoverati in ospedale? Ed in quali casi si sceglie una via oppure l’altro? Nel caso di decesso, inoltre, non essendo stata accertata con il test la loro positività, le morti non sono attribuite all’infezione di Coronavirus ma a chissà a quale altra causa.
Sono quesiti che la statistica non può risolvere ma che servirebbe porre. Da un punto di vista statistico, si constata che una buona fetta di ammalati (e parte dei decessi) non viene considerata tale, e che quindi i numeri che giornalmente comunicati dalla Protezione civile tendano a sottostimare gli effetti dell’epidemia.
Potrebbe, però, ritenersi questo un ipotetico caso di scuola, e nulla più. Magari accademicamente interessante ma con nessun risvolto pratico, se non fosse che una prassi, almeno simile, pare sia stata effettivamente adottata.
Occorre a questo punto ricordare che il Ministero della Salute, con circolare del 25 febbraio scorso, ha raccomandato che “l’esecuzione dei tamponi sia riservata ai soli casi sintomatici”. Quindi c’è l’invito ministeriale a sottoporre a tampone solo chi ha manifestato sintomi, senza tuttavia esserci l’obbligo. Di conseguenza sussiste l’eventualità che qualche regione decida di non fare il tampone, neanche in presenza di sintomi.
Ed è quanto sembra di fatto avvenire o essere avvenuto. “Il Dolomiti”, nella sua versione in linea del 21 marzo, presenta un articolo, “Contagi da Coronavirus, il Trentino fa peggio di tutto il Triveneto”, a firma di Luca Andreazza, in cui si legge: “sappiamo che la Provincia di Trento non fa il tampone a chi si ammala e presenta i sintomi da coronavirus e vive con una persona che era stata già certificata positiva da tampone”. In parole povere, la malattia viene diagnosticata ma non accertata con il tampone, in quanto ritenuta evidente. Tant’è che per questa provincia esistono a quella data due quantità diverse di positivi: quelli validati (642), enumerati poi nelle statistiche tra i contagiati, e quelli complessivi (1067) che comprendono, invece, 425 casi che di fatto sfuggono ai conteggi statistici.
Come diretta conseguenza della definizione data all’aggregato, il dato dei contagiati – ed anche quello delle morti per Coronavirus – risulta qui palesemente sottostimato.
Ma non sono questi i soli motivi, non solo ipotetici, che inducono a credere che i contagiati siano molti di più di quelli validati dall’Istituto Superiore della Sanità. Concorrono infatti a crearli sempre le stesse indicazioni ministeriali sulla somministrazione del tampone che, come già riportato, si raccomanda di non usare nel caso di asintomatici.
In effetti un tale consiglio non pare avere alcuna base scientifica, visto che lo stesso Istituto Superiore della Sanità l’ha contestato a chiare lettera, e sembra piuttosto un marchingegno per non fare emergere il reale numero dei contagiati.
Nei pochi giorni in cui il tampone fu usato con maggiore libertà, si calcolò che gli asintomatici potevano essere quasi il 50% dei positivi, quindi approssimativamente in numero pari ai sintomatici.
Questa scelta, in definitiva, non solo dimezza il numero dei positivi – non ricercando gli asintomatici – ma rischia, alla lunga, di accentuare la diffusione dell’epidemia, in quanto non limita l’azione di potenziali veicoli di propagazione del virus.
Ne è prova evidente quanto si ricava confrontando i dati di due regioni – la Lombardia ed il Veneto – la cui omogeneità socio-economica e strutturale, anche riguardo alla organizzazione sanitaria, è talmente conclamata da accomunarle nell’usuale locuzione geografica di Lombardo-Veneto. Ebbene la Lombardia si è attenuta alla raccomandazione ministeriale lesinando sui tamponi; il Veneto, invece, le ha disattese somministrando, se del caso, il tampone anche a chi non presenta evidenti sintomi. Il risultato di queste diverse strategie è sotto gli occhi di tutti: pur in zone di fatto simili, la letalità del virus in Lombardia risulta del 16,17%, più di tre volte (3,41) superiore a quella del Veneto calcolata pari al 4,73%. Come dire che su 100 contagiati in Lombardia ne muoiono più di 16, mentre nel Veneto meno di 5.
Chiara indicazione questa che un uso ragionato del tampone porta a “stanare” i positivi, elevandone inizialmente il numero ma, alla lunga, frenando la diffusione dell’epidemia, ne limita gli incrementi.
Considerando questo effetto combinato si può calcolare che i contagiati in Lombardia non siano i 42.161 comunicati dalla Protezione civile ma, in realtà, proprio perché il tampone viene usato solo in presenza di sintomi, non meno di 130.000. Mentre in Italia i contagiati totali siano più vicini alle 250.000 unità e non certo agli 101.739 dichiarati.
Se poi si tiene conto che i contagiati da Coronavirus non validati dall’Istituto Superiore della Sanità hanno le stesse probabilità di non farcela di quelli certificati, si può ragionevolmente stimare che anche i decessi siano di più di quelli (11.591) di cui si racconta e probabilmente siano circa il 30% in più, quindi sulle 15.000 unità.
Concludiamo dando un’occhiata alla nostra regione.
In Puglia, il tasso di letalità del virus è attualmente pari al 5,32% mentre a livello nazionale è dell’11,39%; la somministrazione del tampone risulta alquanto diffusa (nell’86,95% dei casi riguarda negativi, contro il 62,04% della Lombardia ed il 91,17% del Veneto); i casi positivi coinvolgono lo 0,042% della popolazione, e quindi la diffusione dell’epidemia risulta molto inferiore a quella della Lombardia (0,419%) e distante anche da quella del Veneto (0,178%). Si deve però considerare che i numeri in gioco sono ancora gestibili. I problemi sorgono quando si debbono fronteggiare numeri ai quali le strutture sanitarie non sono nemmeno lontanamente calibrate e prossime al collasso. Come attualmente avviene in Lombardia, che pure è una zona tra le meglio attrezzate del nostro Paese.
La speranza è che nel prosieguo si voglia seguire la strategia del Veneto, con un uso diffuso del tampone per cercare ed isolare i casi di positività, e non quella basata sulla raccomandazione del Ministero della Sanità che ne riserva l’utilizzo ai soli casi sintomatici. Scelta questa che, temo, ha forse già fatto pagare un prezzo ben più elevato del dovuto.
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Carissime collaboratrici e carissimi professionisti che mi seguite sia in ambito formativo che presso aziende terze con cui abbiamo avuto o abbiamo tutt’ora rapporti a vario titolo , dopo un primo momento di sbandamento , sia come titolare di un gruppo di imprese sia come singolo nel privato , per questo maledetto Covid19 da qualche giorno mi sto ridedicando a produrre endorfine positive ed ho pensato che sia necessario occupare / dedicare un po’ del mio tempo gratuitamente a Voi e chi vorrà / potrà leggerà altri cestineranno e non saranno per questo giudicati negativamente . Abbiamo tutti piu’ tempo per noi stessi , per i ns. affetti ma anche , volendo , per crescere e formarci che è una cosa fondamentale quando , ne sono certo , ripartiremo piu’ forti e temprati di prima quindi dico a tutti senza troppi giri di parole che , compatibilmente con gli impegni aziendali in smart working che hanno ovviamente priorità , dedichero’ delle mail formative e degli articoli sui Social legati al ns. mondo , alle ns. tecnologie e per i miei collaboratori interni ad approfondire da casa i protocolli e le operative da implementare ed approfondire che avevamo in corso come sempre il lunedi di afficamento in azienda ma che , in questi giorni di “riposo forzato” , possiamo comunque portare avanti in proprio facendo fare ginnastica ai ns. neuroni . A tal proposito per tutti , piu’ del solito , essendo maggiormente libero da impegni esterni per i miei collaboratori e per i professionisti che ci seguono sui Social sono a disposizione anche per rispondere e scambiare opinioni , come peraltro già sta avvenendo da giorni con molti , dispensando , ove possibile , gratuitamente consigli , pareri o risposte ai vari quesiti sottoposti. Buona Giornata e ricordate che . . . CHI NON SI FORMA SI FERMA !!!! Burlo Gianmichele https://www.instagram.com/p/B94ME2iqm8M/?igshid=1fbkyl3pe8lrt
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     🏈💥     —      𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐞𝐥𝐨𝐝𝐢𝐞 𝐚𝐝𝐚𝐦𝐚𝐧𝐭𝐢𝐧𝐞 & 𝐥𝐨𝐫𝐞𝐧𝐳𝐨 𝐯𝐚𝐧𝐞      ❪    ↷↷     mini role ❫      c   o  l   l   e  g  e      26.08.2019  —  #ravenfirerpg
Quando arrivava la fine di agosto, si poteva tranquillamente affermare che l'estate era agli sgoccioli, soprattutto per il fatto che un nuovo anno accademico stava per cominciare. Le serate fuori, le bevute con gli amici sembravano un lontano ricordo, ma ciò che non poteva andare via dalla mente erano quelle sensazioni che s'erano create negli animi di coloro che avevano partecipato al Coachella. Il timore e la rabbia erano le sensazioni che più si avvertivano in ognuno dei cittadini di Ravenfire, e per quanto la veggente non fosse rimasta vittima di quegli avvenimenti, il suo animo era ancora scosso. I giorni erano trascorsi in modo lineare, ma con quel sentore costante che qualcosa non quadrasse. V'era forse qualcosa che tutti loro non conoscessero? Giunta, tuttavia, a quel lunedì mattina, Elodie non si lasciò intimidire dai brutti pensieri e si preparò per andare al college. Era importante per lei, impegnarsi a fondo in qualcosa che per suo padre era diventato così vitale, ma soprattutto fin da piccola ne era rimasta affascinata. Arrivò al campus dove si ergeva l'imponente struttura a metà mattina, le lezioni non erano ancora incominciate, ma quel via vai di persone sarebbe incrementato nei giorni a seguire. Il sorriso sulle di lei labbra non poteva essere più contagioso e solo quando trovò un tavolino libero nel giardino circostante, la veggente prese posto. La Dalì odiava presentarsi impreparata, anche ai primi giorni di lezione e, nonostante avesse superato gli esami brillantemente, v'era sempre tempo per qualche approfondimento in più. Immersa completamente nella lettura di quel trattato di psicologia, alzò lo sguardo solamente quando una persona le fece un cono d'ombra.
Lorenzo Vane Hunt
Lorenzo era molto impegnato in quei giorni, quando si trattava di dare il benvenuto per il nuovo anno, lo chiamavano sempre e lui spesso visitava il college, facendo interventi e conferenze. Non aveva scelto di insegnare psicologia perché il suo scopo non era insegnare agli altri, principalmente era lui che voleva continuare ad imparare ed aiutare le persone a capirsi. Era bravo nel proprio lavoro, il suo studio era sempre cosparso di oggetti che nessuno avrebbe usato per il proprio ruolo. Aveva pazienti adolescenti e di tutte le età maggiori, ma per avere la loro fiducia non sfruttava i poteri, faceva colazione con l'anziana Juditte, giocava a scacchi con Michael e a mini pallacanestro con il ragazzino del caso al quale la polizia indagava. Entrava nel loro mondo silenziosamente, con il loro invito e mai con distacco. Era andato a consegnare una dispensa in segreteria e passando dal cortile si fermò vicino alla ragazza, piegando il capo per leggere il titolo del libro che stava studiando. - Interessante lettura, ti prepari per i corsi oppure é una scelta personale?- Eccolo là, mani in tasca, occhiali da sole e ancora quella barba incolta, chi non lo conosceva lo avrebbe scambiato per un professore.
Elodie Adamantine G. Dalì
Provare continuamente ad eccellere in qualcosa a cui teneva particolarmente era il nuovo scopo della Dalì che, da quando aveva scoperto quanto le piacesse il campo del padre, aveva fatto ogni cosa per brillare e dimostrare quanto fosse una degna erede del famoso psicologo criminale. Studiare e ancora studiare per poter capire quanto la mente potesse essere perversa, enigmatica eppure v'era un lato della veggente che sembrava dominare in quel carattere così espansivo e leale, una spensieratezza difficile da eguagliare. Elodie impiegò qualche secondo di alzare lo sguardo ed osservare che le avesse oscurato parzialmente la visuale, una figura alta, spalle larghe ma con un'espressione che la giovane non sapeva esattamente identificare. « Direi entrambe, qualche approfondimento in più non fa mai male... Ma da come osservi il mio manuale di psicologia clinica, sembri averlo già letto. » Difficile era per Elodie tenere la bocca chiusa, ma quel sorriso così contagioso faceva sì che il più delle volte nessuno si arrabbiasse dei suoi modi così schietti. Come se volesse fargli cenno che l'uomo poteva accomodarsi di fronte a lei, Elodie si scostò appena per concedersi un'occhiata più accurata. « Ma per quanto tu possa essere giovane, non sei affatto uno studente... Sbaglio? »
Lorenzo Vane Hunt
Enzo non era " in borghese", si, amava profondamente confondersi tra gli studenti ma non si nascondeva propriamente da essi, anzi ricercando il modo per comunicare e metterli a loro agio, spesso si fermava con loro a parlare, come in quel caso . Accennò un sorriso, alzando gli occhiali per abbandonarli tra i capelli corvini. Era una ragazza molto attenta, si notava, come si notava il fatto che non avesse problemi a dire quello che pensava, anzi. Annuì Lorenzo, indicando il libro. - La seconda parte è la migliore, credo di averlo letto almeno tre volte. Comunque, sono Lorenzo Hunt, psicologo. Di tanto in tanto mi chiamano per tenere qualche conferenza.. - Ammise senza problemi, magari aveva seguito qualcosa negli anni o forse no, ma la cosa più importante era che avesse potuto darle un consiglio su quel libro. - Ottima lettura, veramente , a che anno sei?-
Elodie Adamantine G. Dalì
Diretta e per nulla intimorita, Elodie non aveva paura di esporre il proprio pensiero, anche con perfetti sconosciuti come in quel momento. Aveva abbandonato temporaneamente la lettura del suo libro per rivolgere completamente l'attenzione all'uomo che, una volta tolto gli occhi occhiali, mostrava un aspetto curato e un poco intellettuale. Il sorriso che curvò le labbra della veggente divenne più ampio nel sentire la sua presentazione, soprattutto perché quel nome la ricollegava ad alcune conferenze che aveva avuto modo di ascoltare. « Ecco dove mi sembrava di averti già visto... Credo di averne sentite un paio la primavera scorsa. Mi chiamo Elodie Dalì. » Si presentò la giovane mostrandosi educata, ma soprattutto interessata alla materia. Fin da piccola Elodie aveva mangiato pane e psicologia, assieme al padre, la veggente aveva sviluppato una passione per tutto ciò che riguardava il comportamento umano e il suo essere veggente era stato di certo un buon vantaggio in quello studio. Si ritrovò poi ad abbassare per un momento lo sguardo sul libro di testo che teneva ancora tra le mani prima di alzare di nuovo gli occhi e osservarlo. « In settembre inizierò il quarto anno... Sembra ieri quando sono entrata come una matricola. Ma non stare in piedi, puoi accomodarti, e probabilmente non dovrei nemmeno darti del tu.. Mi scusi! »
Lorenzo Vane Hunt
Lorenzo non era un ragazzo che cercasse di mettere distanza tra lui e gli altri, anzi era il netto contrario, si confondeva tra gli studenti, cercava di trovare ogni modo possibile per mettere a loro agio i pazienti, così anche in quel caso, con il suo solito sorriso, lo psicologo scosse la testa. - Affatto, puoi darmi del tu, neanche quando sarò un vecchio con la dentiera vorrò farmi dare del lei, perché la figura dello psicologo deve dare sollievo, deve stimolare alla fiducia, alla comprensione, non spaventare o desiderare incutere terrore reverenziale.. Io odiavo tutti i miei insegnanti.. tutti meno che uno, lui la pensava come me.- Prese posto vicino alla ragazza, il veggente assottigliò lo sguardo, non ricordava di averla vista, probabilmente perché molte erano le persone che assistevano alle sue conferenze. - Bene, appurato che tu sia una appassionata di psicologia e di sicuro una studentessa modello, ti piacerebbe discutere di qualcosa in particolare?-
Elodie Adamantine G. Dalì
Il comportamento di Elodie era piuttosto spiccio, soprattutto nei rapporti con gli altri ma sapeva essere anche estremamente educata quando la situazione lo richiedeva. In quel momento la Dalì si sentì quasi in imbarazzo per aver dato del tu ad una persona che poteva essere perfino un suo professore e solo quando sentì la sua replica, non poté non ridacchiare. « Lei... Tu potresti essere tranquillamente un mio professore e solitamente nessun professore permetterebbe mai dargli del tu. Però trovo che tu abbia ragione, sai? Spesso ci si dimentica di quanto sia importante poter mettere a proprio agio il prossimo e creare la giusta situazione per poter parlare. » Si ritrovò così ad annuire, un lieve cenno del capo prima di vedere accanto a sé l'uomo che sembrava così tanto a suo agio in compagnia degli studenti. Elodie sorrise poi abbassando per un momento lo sguardo e stringendosi nelle spalle. « Si nota così tanto, eh? E detta così sembra quasi una seduta... Però qualcosina da chiederti ce l'avrei. » Disse con un tono di voce appena più basso e rivolgendogli l'attenzione con lo sguardo che ora s'era spostato sul suo volto. Avrebbe voluto invaderlo di domande, in fondo non era così scontato che uno psicologo si fermasse a parlare con una studentessa, ma allo stesso tempo Elodie era il tipo di persona che sapeva darsi un limite. « Quando hai iniziato sapevi già dove saresti arrivato? O dove avresti voluto arrivare? Te lo chiedo perché a volte mi sembra di aver sbagliato tutto... »
Lorenzo Vane Hunt
Enzo sapeva bene di essere un vero anticonformista, lui giocava con i pazienti più piccoli e faceva colazioni con gli adulti, talvolta andava bene una partita a scacchi, altre una sigaretta insieme. Trovava antico e inutile quel distacco, ecco perché anche in quell'occasione si era guardato bene dall'indossare giacca e cravatta. Sorridendo, comprese subito che la ragazza fosse dotata di talento ma ancora trovasse difficoltà per colpa dell'insicurezza. Niente di sbagliato, era l'età classica per le insicurezze, specialmente riguardanti il college. - Ho tempo, mi piace parlare con le persone, quindi chiedi pure.- La guardava incuriosito, certo non si aspettava chissà quali quesiti, ma amava potersi confrontare sempre. - Quando ho iniziato.. a dire il vero l'ho fatto per capire me stesso, per migliorarmi e superare i miei limiti, per capire i miei che sono, come tutti i genitori, esigenti con i figli ma un vero casino con la loro vita.- Una piccola pausa, ammettendo quella verità, per poi continuare, in modo esauriente, a risponderle. - Sapevo che un giorno avrei voluto aiutare gli altri a superare le loro paure, i loro problemi, come avevo fatto con me stesso.. È stato spaventoso fare tirocinio, mi ero quasi scoraggiato.. Poi, ho trovato un modo tutto mio di fare, allora mi sono sentito a mio agio e i pazienti di quello psicologo sono venuti da me.. - La guardò con un sorriso e cercò di capire se fosse soddisfatta di quella risposta.
Elodie Adamantine G. Dalì
Chiunque altro avrebbe potuto trovare invadente una domanda del genere ma nell'osservare i lineamenti di Lorenzo, Elodie si rincuorò appena. Il suo essere così diretta spesso intimoriva il prossimo, quante volte glielo aveva detto suo padre, ma solo in quel momento la veggente capì che a volte era necessario fare un passo indietro. Il di lui sguardo appariva incuriosito piuttosto che infastidito, e quando udì la risposta cercò di immagazzinare quante più informazioni possibili. « Ho sempre seguito il lavoro di mio padre, è lui che mi ha cresciuta ed è l'unica persona che è anche il mio punto di riferimento. So che lo psicologo non deve sostituire un componente della famiglia, ci mancherebbe... Ma credo che debba essere una persona di cui ci si debba fidare, no? Sapere che c'è... » Disse Elodie questa volta abbassando per un momento lo sguardo. Fin da piccola osservava suo padre lavorare in quello studio che spesso era diventato un po' anche il suo, quante volte s'era addormentata sul divano accanto alla grande scrivania, ma era innegabile che qualche dubbio le fosse venuto. E se avesse compiuto un errore a seguire quella strada? Alcuni l'avrebbero potuta accusare perfino di aver seguito psicologia per la perdita che aveva avuto, ma la verità era che non ricordava nulla di sua madre. Si ritrovò così a buttare fuori l'aria prima di rialzare lo sguardo e stringersi nelle spalle, ma il sorriso che le rivolse le scaldava davvero il cuore. Annuì con un semplice cenno del capo, come per dire che quelle sue parole erano state più che esaurienti, prima di riprendere il discorso. « Quindi... Mi sa che devo armarmi di coraggio durante il tirocinio. Dove l'hai fatto tu? Trovare un proprio modo, eh? E immagino che nessuno possa aiutarmi... Scommetto che è una di quelle cose da fare soli. »
Lorenzo Vane Hunt
Quando Lorenzo aveva deciso di intraprendere quel cammino non conosceva nessuno di influente, si era fatto da solo le ossa,massacrandosi di tirocinio e studio. Eppure era fiero di sé stesso. Quella ragazza doveva avere la stoffa per fare quel mestiere, cresciuta in un contesto perfetto e sembrava, abituata a non darsi per vinta. Prese ad ascoltarla con molta attenzione, era un tipo che entrava nelle storie degli altri con mente e cuore, ma soprattutto avrebbe voluto aiutarla in qualche modo. - Già, il modo devi trovarlo da sola,ma basta che tu sia : Te stessa. Sai, il tirocinio vuole vederti in faccia ed io l'ho fatto al consultorio dell'ospedale, ascoltando per ore donne che non sapevano se abortire e adolescenti con manie suicide, credimi.. Fallo dove meglio credi, anzi, visto che il mio tirocinante ha rinunciato, potresti prendere in considerazione anche il mio studio.. un po' anticonformista ma ti assicuro abbastanza pacifico.- Chiarí il veggente senza troppi problemi, sentendosi a suo agio con le proprie parole.
Elodie Adamantine G. Dalì
Era difficile non rimanere affascinati dal carattere intraprendente della veggente, ma in quel momento quel semplice fattore non era nemmeno da prendere in considerazione. Si trattava infatti del suo mondo, di come il mondo della psicologia avesse invaso ogni lato del suo carattere. Crescere senza la figura di una madre era difficile, ma suo padre aveva fatto un lavoro davvero ottimo, e anche se Elodie in alcuni comportamenti era fuori dalle righe, non si poteva non vedere quanto fosse curiosa nei confronti del mondo. Ci impiegò tuttavia qualche istante prima di capire e recepire la proposta che Lorenzo le aveva appena fatto. Si costrinse così a sbattere un paio di volte le palpebre prima riuscire a spiccicare parola. « Dici... Dici sul serio? » Domandò la veggente con espressione assolutamente sorpresa ma senza nemmeno nascondere la sua contentezza. « Voglio dire, sarei davvero onorata di farne parte. E soprattutto sarebbe un'occasione imperdibile e giuro che saprò essere una spugna a recepire tutto ciò che potrò imparare. Cavolo... Dimmi dove devo firmare e vengo subito. Non ho mai preso in considerazione l'ospedale perché l'ho sempre trovato troppo caotico, ma il tuo studio sarebbe davvero la svolta. »
Lorenzo Vane Hunt
Lorenzo non era certo una persona così sciocca da offrire a chiunque la possibilità di fare un tirocinio, non avrebbe preso Elodie come tirocinante fissa senza vedere quello che sapeva fare, ma qualche settimana l'avrebbe introdotta in quel mondo che dai libri sembrava troppo semplice. Sorridendo scosse la testa il veggente, che fosse una ragazza caparbia e ben istruita era lampante, ecco che senza malizia alcuna annuì. No, Lorenzo aveva chiuso il cuore a doppia mandata ormai, inaccessibile , lo interessava solo la professionalità. - Puoi provare a venire due volte a settimana e vedere come ti trovi, io collaboro anche con una psicologa molto brava, sarebbe interessante per i tuoi studi.- L'entusiasmo della ragazza fu apprezzato e in modo comunque misurato, Enzo prese un biglietto da visita e lo porse alla studentessa. - Ecco, io devo andare adesso, ma qui trovi il numero e l'indirizzo dello studio , io ci sono tutti i giorni, puoi venire direttamente, eccetto il fine settimana . Sono sicuro che ti sarà d'aiuto e toccherai con mano la professione .- Lorenzo, lieto di poter essere utile, accennò un saluto militare scherzando e si allontanò verso la segreteria.
Elodie Adamantine G. Dalì
Era difficile trovare qualcuno che avesse il coraggio di rischiare, ma l'uomo davanti a lei sembrava aver il giusto temperamento per poter offrire di fatto ad una sconosciuta un lavoro. E non si trattava di un semplice lavoro come cameriera, ma un vero e proprio tirocinio in una struttura che avrebbe potuto arricchirle la conoscenza e non solo, anche il suo curriculum. Ella si ritrovò così ad annuire ma senza mai abbandonare quel sorriso da cui ora spuntavano anche due piccole fossette. « So che sarebbe un salto nel buio, ma vi prometto che non ve ne pentirete. » Lo osservò poi prendere un biglietto da visita che prese subito dopo cercando immediatamente di memorizzare il recapito. Lesse almeno un paio di volte il numero di telefono prima di alzare nuovamente lo sguardo ed annuire. « Davvero non so come ringraziarti e senz'altro ti scriverò. » Con un sorriso che difficilmente sarebbe andato via tanto presto, Elodie ricambiò il saluto prima voltarsi verso i suoi libri ma con la mente già a migliaia di chilometri di distanza.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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COSI’ SOLEVA MENARE IL GIORNO ORAZIO
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COSI’ SOLEVA MENARE IL GIORNO ORAZIO
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Ottanta anni circa dopo la morte di Augusto, un grande storiografo, CORNELIO TACITO, scrive la storia degli imperatori romani della dinastia Giulio-Claudia, iniziata con Augusto il 31 a.C. e terminata con Nerone nel 68 d.C. Si intitola ‘Annales’, con un voluto riferimento alla tradizione annalistica romana (raccontare la storia anno per anno).
E’ un racconto a tinte fosche, di un’epoca caratterizzata da una paura, a cui ci si era fatta l’abitudine: veleni serviti a pranzo e a cena, morti misteriose e continue, trame occulte, sotterranee,
un fuoco sempre lì a covare sotto la cenere, il tutto in palazzi sfarzosi, ma sempre in penombra. E la plebe ormai ridotta ad uno sfondo indistinto, come in una grande foto di gruppo, nella quale però le facce senza nome degli individui sono tutte uguali e senza lineamenti.
Ed un presentimento di fine che si avvicina.
Uno storiografo, certo, ma anche uno stupendo romanziere.
Scrive anche un prezioso saggio di tipo etnologico sui germani, popolazione ancora selvaggia, se paragonata alla cultura dell’impero romano, ma Tacito ti fa avvertire il brivido della paura che egli prova, immaginando che da quelle popolazioni al confine con Roma prima o poi arriverà il pericolo.
Dice Tacito:
“Valgono tra loro i buoni costumi, più di quanto altrove volgono le buone leggi.”
Altrove? E dov’è altrove, se non a Roma? Le buone leggi: è una regola che vale sempre, quella per cui chi governa emana leggi, quando il costume non basta più. Ed allora più sono nutriti i codici, più è segno che il costume non funziona. Alcuni decenni fa in Italia, una stretta di mano valeva più di un puntiglioso atto notarile, oggi non basta nemmeno questo. Viene da concludere con Tacito che, più è abbondante il codice, più è diffuso il malcostume.
E Orazio?
Andava a rendere visita al suo amico e protettore Mecenate, nella villa dell’Esquilino. Quando arrivava, nei pressi della fastosa dimora trovava una folla di varia umanità. Lo riconoscevano, e tutti a farglisi intorno, chi per congratularsi per le sue aderenze in alto loco, chi per consegnargli petizioni da inoltrare a Mecenate.
E molti gli ponevano quesiti sulla politica: che fanno i Parti, che si dice dei Germani, è vero che i Daci….?
E lui a ripetere di saperne quant’e loro:
“Sai tenere bene i segreti, tu, eh!”. E non sapevano che Orazio ed il ministro si incontravano per il piacere della compagnia, ed i discorsi erano del tipo: “Che ora sarà?”; oppure: “Comincia a fare freschetto la mattina, e, chi non si copre, si buggera!”; o anche: “Secondo te quale gladiatore è più forte, Syro o Gallina?” (insomma Ronaldo o Messi? Maradona o Pelé?), e cose simili, che ben si depongono in orecchie con le fessure. Ma non andrà mica tutti i giorni da Mecenate. E negli altri?
Orazio è ostinatamente deciso ad evitare la carriera politica, da buon epicureo: quello che ha, gli basta ed avanza. Se fosse schiavo della depravante ambizione, dovrebbe dire addio alla serenità che gli dà la saggezza, e fa degli esempi di persone che vivono vita grama per colpa dell’ambizione. E dice nella VI satira del I libro: “Se volessi darmi alla carriera politica, mi dimostrerei malato della malattia di Barro, che desiderava di essere considerato uomo bellissimo: ovunque andasse, metteva nelle ragazze la curiosità smaniosa di esaminarlo con attenzione ed in ogni parte del fisico: la faccia, i capelli, le gambe, i piedi, i denti. Così se prometto di proteggere l’impero l’Italia, e Roma ed i sacri templi degli dèi, indurrei tutti gli uomini ad interessarsi di me, a chiedere da quale padre io discenda, e se sono figlio di madre di bassa origine. E poi dovrei di continuo incrementare le mie sostanze, ed andare a salutare questo e quello più potente, e portarmi dietro della compagnia, per non andarmene solo soletto in campagna ed in giro; e poi dovrei mantenere cavalli e stallieri, e guidare carrozze di rappresentanza. Invece, così come sto ora, me ne vado in giro su un modesto mulo, se voglio addirittura fino a Taranto, senza essere mai biasimato per spilorceria. E per questo, e per mille altre ragioni, me la passo meglio di un senatore illustre. Me ne vado dove mi pare e piace, e domando il prezzo della verdura e del farro. E vado girando per il Circo massimo pieno di insidie, e di sera nel Foro; sosto davanti agli indovini; e poi me ne torno a casa, ad un piatto di porri frittelle e ceci. Mi servono il pasto solo tre schiavetti, due coppe su una tavola di marmo , una ciotola con una saliera dozzinali, ed un’ampolla con un piatto largo, mercanzia alla buona della Campania. Poi me ne vo a dormire, senza il pensiero di dovermi alzare presto domani, e di dover passare davanti al Marsia, che con l’espressione dolente sembra voler dire che non ce la fa più a sopportare la faccia del minore dei fratelli Novii.”. Spiegazione: Marsia era un satiro, che si fece passare per la testa di sfidare Apollo in una gara musicale. Ovviamente vinse Apollo, che per punizione legò il satiro ad un albero e lo spellò vivo. Ovviamente la cosa doveva essere ben dolorosa, e nelle statue del poveretto la sofferenza era in tutto il corpo, specie nel viso. Una statua così fatta del Marsia era piazzata davanti alla bottega dei fratelli Novii, ed Orazio scherza, dicendo che Marsia è in preda alla lancinante sofferenza, non per la punizione, ma perché non gliela fa più a sopportare la faccia del minore dei due fratelli. I Novii erano usurai. Ma riprendiamo il racconto di Orazio:
“Poi mi riposo fin verso le dieci. Quindi, me ne vado un po’ a passeggio, e poi leggo o scrivo qualcosa per mio silenzioso diletto, e mi ungo di olio, ma mica quello che quello zozzone di Natta usa a tale scopo, dopo averlo rubato ai lampioni della pubblica illuminazione.”. Questo Natta, illustre sconosciuto, tale sarebbe rimasto, se Orazio non l’avesse qui citato. “Il sole alto poi esorta me stanco ad andarmi a fare una bagno, ed allora me ne scappo dal Campo Marzio e dal gioco della palla. Mangio con calma, quel tanto che basta allo stomaco per durare fino a sera, e me ne sto in ozio beato a casa. E’ questa la vita slegata dalla ambizione che ti fa misero e che pesa. Con questo mi sento sicuro che vivrò più serenamente che se avessi avuto un padre o uno zio questori.”.
Nella VI satira del II libro ci dice: “Quando sto a Roma, la mattina presto mi trascina a far da sponsor, da garante (è latino, mica inglese!): ‘forza, sbrigati, prima che qualcun altro ti preceda nel compito ’. Spiri pure la tramontana a spazzare la terra, oppure la bruma trascini la stagione della neve nel giro più basso del sole, è doveroso andare. Mi tocca dire qualcosa che forse mi danneggerà, pure in modo chiaro e certo, mi tocca spintonare tra la folla e maltrattare chi va lento. ‘Che vuoi, scemo! E che hai di urgente?’ mi dice uno incavolato con termini d’ira: ‘Tu sei capace di abbattere tutto ciò che ti si para davanti, quando con il pensiero stai da Mecenate!’. Lo ammetto, questo riferirmi a te mi fa proprio piacere e mi addolcisce il giorno……….. O campagna, quand’è che ti potrò rivedere?! E quando mi si consentirà di affidarmi alla piacevole dimenticanza di una vita affannosa, ora con i libri degli antichi, o con il sonno e con le ore dell’inerzia? O quando mi sarà servita la fava, parente di Pitagora, insieme a verdurine insaporite con lardo abbastanza grasso?”. La fava è parente di Pitagora: l’antico maestro greco credeva nella reincarnazione delle anime, la metempsicosi, trasmigrazione delle anime. Ed a qualche anima toccava reincarnarsi in una fava, pertanto Pitagora aveva proibito ai suoi seguaci di cibarsi delle fave: “Potresti mangiare l’anima di nonno!”. Come mai questa proibizione? A mio avviso aveva capito o appreso che le fave possono attivare una pericolosissima allergia, il favismo, e quindi era meglio tenersene lontani. Però, per essere convincente e terrorizzare con il sacro i suoi seguaci, tira in ballo la metempsicosi. Qualcosa di simile sarà capitato per la carne di maiale e Maometto. Ma di questa satira, la VI del II libro, parleremo nell’ultima puntata di questo lungo, e spero piacevole, viaggio intorno al pianeta Orazio. E la proporrò tutta, commentandola pezzo per pezzo.
Orazio si fa sostenitore della politica e della ideologia di Augusto, e per varie ragioni. Intanto ha chiuso il tempio di Giano, avendo riportato nell’impero la PACE! Dopo un secolo di sangue, sangue, sangue, non è merito di poco conto, celebrato da Ottaviano con l’Ara Pacis. Con la pace sono ripresi i commerci, ed il principe pare la personificazione del dio Mercurio, anzi in area orientale Augusto E’ l’incarnazione di Ermes/Mercurio. Le suggestioni delle aspettative palingenetiche e messianiche da qualche parte lo fanno divenire addirittura il verbo incarnato, la parola degli dèi divenuta uomo, dato che Ermes è il messaggero degli dèi: quando parla lui, è l’Olimpo a rivelarsi agli uomini. Augusto a Roma mira a restaurare gli antichi costumi: vive sul Palatino, in una casa modesta, nella zona dove tutta la storia romana è iniziata, e sua moglie Livia gli confeziona gli abiti, e gli è fedele per mezzo secolo, cosa rara ma antica. Restaura il Cursus Honorum, le tappe e le norme per la carriera politica, rimettendo ordine là dove i torbidi civili e le convulsioni della Repubblica avevano fatto grande disordine. E poi abbellisce Roma di monumenti nuovi (il suo generale e genero, Agrippa, oltre ad avergli fatto vincere tutte le battaglie decisive, contro Sesto Pompeo e Antonio, ha edificato anche il Pantheon, che fa ancora magnifica mostra di sé, anche se non è proprio l’originale, ma un rifacimento di Adriano dopo un incendio). Ha consolidato il limes, il confine dell’impero, rendendolo più sicuro con lo stanziamento di guarnigioni militari. Ha bastonato i Parti, recuperando le insegne perdute da Crasso insieme alla vita; e poi ha bastonato i Germani, recuperando le insegne perdute da Varo a Teutoburgo, e riportato a casa i soldati romani fatti schiavi dai germani. Insomma Augusto pare l’uomo della Provvidenza, uno che ci voleva, perché le cose tornassero a posto. Vivo lui, gli si riconosceva il primato, poi però si sarebbe potuto tornare alle antiche maniere. Ma Augusto aveva altro in testa, e pensava a designare un successore.
Ma questo è un altro capitolo. Ne parleremo più avanti. Ricordo solo che Orazio è nato il giorno 8 dicembre
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