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danielscrepanti · 4 years
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4 anni fa partecipai a un ciclo di riunioni estive nelle quali si parlava poco di problemi e di programmi e troppo di cariche e di nomine. Allora non avevo la forza per battere i pugni sul tavolo e dire: “Signori, parliamo di questioni e di proposte politiche. Parliamo di quanto costano le azioni e se riusciamo a far quadrare i conti”. Avevo avuto alcune esperienze politiche ma un conto è la rappresentanza degli studenti alle scuole superiori, o quella dei dottorandi nel Consiglio di Dipartimento e nella Giunta, un conto è rappresentare gli architetti in un Consiglio dell’Ordine. Poi io sono un diesel (Euro 6) e ci metto un po’ di tempo ad inquadrare le situazioni, a partire e a carburare. Questo per giustificare solo (esclusivamente) chi alla prima esperienza di candidatura politica non ha pensato di presentarsi agli elettori con un programma di intenti, o almeno un kit di riflessioni da fare più approfonditamente prima e dopo Ferragosto, anche insieme ad altri candidati. E ovviamente per giustificare me stesso di non aver dato il buon esempio quando avrei dovuto e potuto.
Non ha tuttavia giustificazione il fatto che nessun candidato abbia trovato tempo a sufficienza e tempo di qualità, per rispondere a 5 delle 13 domande che con molto sacrificio, eccessiva scrupolosità e enorme dispendio di energie (fino alle 2 di notte dopo aver lavorato in ufficio come tutti), ho personalmente costruito per aiutare i candidati a presentarsi e per rimediare al mio errore grave di 4 anni fa. Tuttavia, a me nessuno aveva offerto delle domande su cui ragionare e a cui rispondere. Delle domande scritte in modo da inquadrare ciò che auspico facciano i nuovi colleghi Consiglieri appena eletti: escano fuori dall’Ordine, si dispongano tutti belli allineati davanti alla parete vetrata che dà accesso dall’esterno alla Sala del Consiglio, e inizino a guardare cosa c’è intorno. Con gli occhi bene aperti che consentano di evitare di pensare solo alle solite inutili lagne (che poi sono alibi): il lavoro è calato, lavoro troppo e non posso dedicarmi alla politica, occorre essere realisti e occuparsi dei veri problemi della categoria, la società è ignorante e i colleghi sono tutti stronzi.
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viveksony305-blog · 7 years
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Indian Institute of Management (IIM) Ahmedabad had issued a recruitment notification for filling Program / Research Associates, Research Assistant, Head-India Gold Policy Centre, Library Professional Assistant, Hardware & Network Engineer, Chaired Faculty Positions and Research Associate. Check more details in below given official notification.
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danielscrepanti · 4 years
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Il problema centrale della politica professionale è capire a chi si debba rivolgere (e quindi dove esercitarla). Ci sono due campi fondamentali di azione e non sono contrapposti. Uno contiene l’altro. Il campo più piccolo è la comunità degli architetti, il campo più grande è la società. A mio avviso il punto è che occorre spostarsi dal centro del campo più piccolo, tradizionalmente concepito per risolvere tra architetti i problemi dei soli architetti, e frequentare più assiduamente il suo perimetro per capire quali sono i punti in cui passano quei raggi che attraversano il campo più grande della società in un territorio. In questo modo si possono individuare azioni politiche vere perché legate a temi che migliorano la vita di tutti i cittadini, inclusi gli architetti, e non solo degli architetti. Inutile dire che si ampliano notevolmente anche i luoghi e le sedi istituzionali in cui ha senso rappresentare la professione di architetto (e si riesce a capire anche la scala territoriale delle singole questioni e se ha senso che i problemi vengano discussi dai rappresentanti degli Ordini provinciali o servano piuttosto di volta in volta rappresentanze sovralocali di scala intermedia, regionale, nazionale, internazionale). Con un approccio centrifugo alla politica professionale, si scontentano sicuramente alcuni colleghi, ma si fa il bene della professione perché cresce enormemente la platea di interlocutori istituzionali, economici, del terzo settore o semplici cittadini, potenzialmente interessati alle nostre proposte e al nostro punto di vista sulle loro.
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danielscrepanti · 4 years
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La nuova webserie che vi propongo da qui al silenzio elettorale per l’elezione del Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della mia Provincia (Fermo) si intitola: “Il problema della rappresentanza: appunti su come risolverlo o ignorarlo per sempre”. Premetto che sono un Consigliere uscente al primo mandato che non si ricandiderà (e con questi post cercherò anche di elaborare i motivi che istintivamente mi hanno condotto serenamente a questa scelta). Voglio tuttavia continuare a fare politica professionale (a modo mio) e a dare un contributo di idee (e di consigli, non potendo più dare il cattivo esempio) fin dalla settimana fondamentale della presentazione delle candidature. Perché? Per due motivi:
1- la cosa che ho sofferto di più durante il mio mandato ormai alle battute conclusive, è stata l’impossibilità di determinare felicemente e senza troppi traumi delle discontinuità di azione politica tra il prima e il dopo le passate elezioni. Dunque spero che questi post stimolino i 2/3 dei colleghi che l’ultima volta non hanno votato, a partecipare sia come elettorato attivo sia come elettorato passivo. Perché così si determinano le vere discontinuità che evitano l’egemonia della cosiddetta e leggendaria “memoria storica dell’Ordine” (di cui sono stato messo al corrente tante volte quando facevo proposte che non si volevano discutere);
2- siccome io riconosco alla storia un solo primato, quello di aver fatto prima gli errori che noi faremo (o non faremo) dopo, credo che quando la storia impone l’impossibilità di ragionare sul dopo perché “abbiamo sempre fatto così” (non necessariamente bene), la storia vada messa al suo posto: nel passato. Prossimo, non remoto. Ma passato. Pertanto mi auguro che questi post permettano a chi ha già dato un contributo in passato di sentirsi libero di impegnarsi in altro per svincolare finalmente la politica professionale locale da ogni forma di retaggio, inclusi quelli non desiderati. Mi auguro soprattutto che i passi indietro (non di lato) che ci saranno sicuramente, aiutino chi se la sente a fare un passo in avanti, a trovare il coraggio di voltare pagina, a sfruttare pienamente una inedita libertà di approccio ai problemi che vorrei si sperimentasse in una Provincia piccola che ha grandi temi di architettura, di paesaggio e di urbanistica da affrontare e da risolvere (come tutti i luoghi).
Il titolo che ho scelto per la serie di post che vi attendono è collegato con il primo punto che mi preme sottolineare ai candidati e agli elettori e che credo di aver imparato a fondo.
Quattro anni fa, prima di candidarmi come Consigliere provinciale, mi candidai alle elezioni del Consiglio Nazionale degli Architetti. Tornavo dal Portogallo e dallo splendido luna park dell’architettura che è stata per me la Facoltà di Architettura di Porto. Tornavo soprattutto dall’esperienza formativa e lavorativa più importante della mia vita: la ricerca universitaria presso il Centro de Estudos de Arquitectura e Urbanismo (in cui avevo trascorso quasi tutti i giorni dei miei due anni portoghesi imparando tantissimo da tutti i miei colleghi ricercatori che saluto con amore). Tornando avevo le idee molto chiare: salvare il mio paese e poi una volta fatto provarci anche con il mondo (Greta Thunberg non aveva ancora debuttato). Non ho scritto a caso paese con la p minuscola. Chi vuole candidarsi (e chi sceglieremo di votare) deve aver chiaro che rappresenterà le problematiche connesse alla professione, di un territorio. Non in un territorio, ma di un territorio. Conseguentemente, e qui termina la prima puntata di questa lunga serie estiva, è importante chiedere ai candidati se è chiaro questo punto. E se vogliamo candidarci, è necessario che lo chiediamo a noi stessi.
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danielscrepanti · 4 years
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So perfettamente che “chi se vanta se sbroda”, come dicono dalle mie parti, tuttavia quando si vince un concorso sarebbe molto sciocco e presuntuoso non farlo sapere agli altri. Sara Corradi è sicuramente troppo generosa ma il mio ringraziamento le è sinceramente dovuto perché le sue parole mi hanno riempito di gioia ed energia per andare avanti senza paura e senza rinunciare alla libertà di pensare ed esprimermi (che faticosamente difendo). I motivi della mia enorme soddisfazione sono diversi, ma il principale è che le sue parole colgono il senso. La parte più importante. Grazie, grazie di cuore
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danielscrepanti · 4 years
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Le 10 domande che sottoporrò in giornata ai colleghi che si sono candidati come consiglieri dell’Ordine degli Architetti sono in realtà più di 10. Ho invitato privatamente tutti i candidati a rispondere a non più di 5 quesiti ciascuno scegliendo le domande dalla seguente lista. Alcuni hanno risposto che lo faranno, altri che lo faranno se lo faranno tutti gli altri, altri ancora che lo faranno ma non sanno se faranno in tempo, altri ancora non hanno risposto e dubito che lo faranno. Ho pregato tutti di accompagnare le risposte con una loro foto (anche artistica) e una brevissima presentazione (sarò drastico nei tagli). Nel rispondere alle 5 domande scelte, ciascun candidato dovrà essere molto chiaro nel precisare se i contenuti espressi lo sono a titolo puramente personale, oppure lo sono come sintesi di un dibattito svolto, o in corso di svolgimento, all’interno di un gruppo di lavoro per definire un programma condiviso di azioni politiche della professione.
1. Qualità dello spazio – Penso alla vicenda della riqualificazione del lungomare di Porto San Giorgio (FM) e della sua futura pista ciclabile, con l’Amministrazione comunale che prima ha impegnato l’Ordine per organizzare un concorso di progettazione volto alla scelta della migliore proposta progettuale per un contesto specifico, e poi ha fatto marcia indietro optando per la scelta del progettista economicamente più vantaggioso. Quale strategia adottare per riuscire finalmente nell’impresa di organizzare concorsi di progettazione (non di idee) in Comuni di medie dimensioni?
2. Valorizzazione del patrimonio culturale – Seguo da tempo le iniziative che il Sindaco del Comune di Monte Rinaldo (FM) Gianmario Borroni sta portando avanti per valorizzare al massimo l’Area Archeologica La Cuma: dalla comunicazione dei risultati della terza campagna di scavo condotta nel 2019 (sostenendo sinergie tra la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Marche e l’Università di Bologna e la British School at Rome), al meraviglioso concerto in streaming del Maestro Dario Faini, in arte Dardust, avvenuto i primi di giugno. Quale può essere il contributo degli architetti a simili iniziative di valorizzazione integrata e di promozione condivisa del patrimonio culturale del territorio?
3. Ricostruzione post sisma – Dopo 11 anni, quando lungo l’A24 intravedo il centro storico di L’Aquila, scorgendo in lontananza tante gru provo un senso di profonda tristezza. La stessa tristezza che ho provato in seguito alla recente bocciatura del pacchetto di norme sul terremoto del Centro Italia del 2016 da parte della Commissione bilancio della Camera, che hanno poi indotto il Premier Conte a rassicurare il Commissario Straordinario Legnini. Una tristezza analoga a quella che mi ha causato la lettura di un post di Giovanni Marucci, architetto camerte da sempre impegnato per il suo territorio e per la qualità dell’architettura e del paesaggio in Italia. In un passaggio, il post di Marucci diceva che a Camerino, dopo quattro anni dal sisma, “nessun edificio pubblico è stato risanato, la città alta, cuore della vita sociale, culturale ed economica è rimasta colpevolmente ferma a quattro anni fa, senza nessun cenno di vergogna”. Mi domando, ma gli architetti, tutti gli architetti, non dovrebbero rappresentare con più forza e decisione almeno la sofferenza per il loro territorio? Come lottare il più possibile per lenirla e su quali temi concentrare gli sforzi, inclusi quelli comunicativi?
4. Rilancio territoriale – Il rapporto annuale dell’Istat pubblicato pochi giorni fa ha messo chiaramente in luce quello che mi pare il vero tema urbanistico, e conseguentemente architettonico, dovuto alla pandemia da Covid-19: l’acuirsi delle disuguaglianze sociali. Nell’ultimo libro del compianto Bernardo Secchi, “La città dei ricchi e la città dei poveri”, tale tema veniva individuato come la questione urbana che siamo chiamati ad affrontare come architetti del XXI secolo. Tra le manifestazioni di quei processi nazionali che aggravano la situazione, come lo smantellamento del welfare state e la dissipazione di quella che potremmo chiamare “la città pubblica” (per usare in senso molto ampio, e forse consapevolmente improprio, un’espressione coniata da Paola Di Biagi riferendosi all’edilizia sociale e alla riqualificazione urbana), mi viene in mente come esempio la drammatica situazione dei posti letto ospedalieri che in Italia si è ridotta dal 1995 al 2018 da 6.3 a 3.5 posti ogni 1000 abitanti. Tutte queste problematiche, legate alle difficoltà degli strumenti e metodi dell’urbanistica in una condizione di crisi economica e di fortissimo cambiamento tecnologico, mi sembrano un po’ lontane dal dibattito professionale e dalle politiche professionali, eppure dovrebbero essere centrali. Quali iniziative di categoria si potrebbero attuare sotto il profilo analitico e progettuale? Come riportare al centro delle politiche professionali le questioni degli investimenti pubblici locali e della loro realizzazione, manutenzione ed eventuale trasformazione? Come collaborare alla riorganizzazione territoriale dei servizi, particolarmente importante ai fini della gestione delle future emergenze epidemiologiche e dei loro effetti sociali?
5. Scuole innovative – L’articolo 7-ter del Decreto legge 8 aprile 2020 n. 22 (Decreto scuola) convertito dalla legge 6 giugno 2020 n. 41, per la realizzazione degli interventi di edilizia scolastica, prevede che tutti i Sindaci e i Presidenti di Provincia, fino al 31 dicembre 2020, possano operare con i poteri dei commissari straordinari, prevedendo specifiche deroghe al Codice dei contratti pubblici. Il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha giudicato tale scorciatoia normativa “un atto di grave immaturità politica e di totale inconsapevolezza delle esigenze del Paese e delle modalità con cui affrontarle”. Alfonso Femia, con una lettera inviata al Presidente Cappochin e ai presidenti di alcuni ordini provinciali, ha rincarato la dose ribadendo che “non è segno di maturità politica affrontare il tema scuola post Covid solo attraverso gli strumenti dell’emergenza, né solo soddisfacendo gli aspetti tecnici e normativi per la sicurezza e l’adeguamento energetico”. Come incentivare una visione strategica che faccia partire la riqualificazione del territorio dalla scuola, affrontando per esempio temi come l’offerta di centri estivi, il rapporto con la digitalizzazione, l’attenzione alle famiglie più fragili, il riuso di altri luoghi per le attività didattiche?
6. Superbonus 110 per cento – Quali iniziative intraprendere per sostenere localmente le linee di intervento che beneficiano del cosiddetto super bonus, ossia il nuovo sgravio fiscale che consente di detrarre il 110 per cento delle spese sostenute per far fronte a interventi antisismici e di efficientamento energetico?
7. Burocrazia – Il 26 giugno Michele Ainis ha pubblicato su La Repubblica un articolo intitolato “Se la riforma diventa un vizio”. Tra gli altri dati a supporto della sua tesi, Ainis richiamava le 608 modifiche ricevute nel giro d’un anno dal codice degli appalti licenziato nel 2016; modifiche che sembrerebbero rendere necessaria la sua riforma. Necessità di tale riforma emersa anche in seguito alla ricostruzione del viadotto sul Polcevera di Genova, che è avvenuta in 22 mesi derogando ampiamente sull’applicazione delle norme vigenti del codice degli appalti stesso. Quale posizione assumere rispetto a questi problemi, l’ipertrofia burocratica e riformatrice italiana da un lato e dall’altro la possibilità di sorvolare tutte le procedure e le norme vigenti attuando il cosiddetto modello Genova?
8. Legge per l’architettura – Uno dei grandi temi della politica professionale è la necessità di una legge per l’architettura in Italia. Gran parte del Congresso Nazionale degli Architetti celebrato due anni fa a Roma, ruotava intorno a questo obiettivo, centrale per la qualità della vita dei cittadini, per il rilancio competitivo delle aziende e per il miglioramento delle prestazioni dei servizi pubblici nel territorio italiano. Quale sarebbero i principali contenuti della legge che si vorrebbero proporre all’attenzione della politica?
9. Ordinamento della professione – La bozza di proposta recante Riforma dell’ordinamento professionale diffusa dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori i primi giorni di marzo, ha avviato un dibattito durante l’emergenza epidemiologica che non si è necessariamente potuto sviluppare con l’ampiezza e l’approfondimento necessari. Il 23 e il 24 luglio si terrà una importante Conferenza Nazionale degli Ordini per discutere gli esiti della prima fase di coinvolgimento degli Ordini provinciali. Dopo la conferenza, il Gruppo Operativo “Ordinamento” invierà agli Ordini il quadro sinottico aggiornato con i contributi emersi in tale sede. Si avvierà conseguentemente l’ultima fase di dibattito prevista in occasione degli incontri che il Consiglio Nazionale terrà con le macro-aree territoriali. Si tratta indubbiamente di un percorso di condivisione con gli Ordini di cui va dato merito al Consiglio Nazionale. È inoltre evidente che occorrerà organizzare al meglio la condivisione locale dei princìpi e dei contenuti della riforma. Quali iniziative attivare per favorire la più ampia partecipazione dei “mondi che sono interessati alla disciplina della professione e che già hanno cominciato, negli scorsi giorni, ad esprimersi”? Come potrà avvenire nel nostro territorio il confronto con gli altri interlocutori, e con tutti gli attori interessati al processo, oltre che ovviamente con le Istituzioni politiche?
10. Cultura professionale – Durante il lockdown ho lamentato più volte una tendenza degli architetti a dimenticare alcune radici culturali della propria disciplina e a proporre come inediti dei processi in verità già avviati da lungo tempo. Manuel Orazi ha scritto un bellissimo articolo su il Foglio pubblicato il 03 maggio scorso, intitolato “Architettura da pandemia”, in cui tra le altre cose ha ricordato l’effettiva nascita su basi igieniste dell’urbanistica. A mio avviso, durante la quarantena gli architetti hanno perso la grande occasione di avvicinare nuovamente le persone alla loro cultura professionale, rendendola meno di nicchia e isolata e rispolverando il suo patrimonio di conoscenze ed esperienze progettuali. Indubbiamente, già esistono alcune iniziative di valore operate per favorire la diffusione di una cultura della domanda di architettura. Per esempio, già prima della pandemia, il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha attivato la seconda edizione del progetto scolastico “Abitare il Paese – La cultura della domanda. Bambini e ragazzi per un progetto di futuro prossimo”. Probabilmente, nel momento in cui la scuola ha consentito inedite possibilità di didattica a distanza, gli obiettivi e le strategie di tale progetto si sarebbero dovute rilanciare. Quali ulteriori iniziative intraprendere per colmare la distanza rispetto alla società della cultura architettonica, paesaggistica e urbanistica?
11. Casa comune dell’architettura – Tre proposte per aprire agli iscritti, alle scuole e alla cittadinanza, le porte dell’Ordine, le porte dell’Archivio dell’architetto Sergio Danielli e le porte della biblioteca dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Fermo.
12. Trasparenza e politiche digitali – Pochi giorni fa, il Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Milano, ad integrazione della documentazione economico-finanziaria, ha pubblicato “Verso il Bilancio Sociale”, un primo esercizio di rendicontazione e trasparenza. Si tratta di “un documento e di una sezione online a disposizione di tutti, dove sono illustrati priorità e obiettivi, oltre a report sulle attività svolte e i risultati raggiunti nel 2019”. Le priorità di mandato, gli obiettivi futuri, le informazioni sulle attività svolte e sui risultati che verranno raggiunti dal prossimo Consiglio dell’Ordine, saranno condivisi e comunicati in modo innovativo e trasparente agli iscritti e a tutti i portatori di interesse? Come avverranno il monitoraggio e la valutazione del lavoro svolto?
13. Aree interne e aree esterne – L’esperienza più significativa di osservazione ed analisi del territorio che ho avuto modo di compiere è avvenuta all’interno di un progetto di ricerca intitolato “Territorio casa comune”, svolto dal Gruppo di Ricerca ‘Morfologie e dinamiche territoriali’ del Centro de Estudos de Arquitectura e Urbanismo della Facoltà di Architettura di Porto, in Portogallo. Gli studi e le ricerche effettuati si sono sostanziati in una mostra aperta alla cittadinanza che si è tenuta nella ‘Casa del Territorio’ del Comune portoghese oggetto di indagine: Vila Nova de Famalição. Lo studio territoriale aveva un obiettivo molto preciso: costruire una idea collettiva del territorio che si producesse moltiplicando i punti di vista sullo stesso per avere letture, rappresentazioni, discussioni e dibattiti su quel qualcosa che si conosce e riconosce in comune al suo interno e che dà senso alla realtà territoriale. La presentazione della mostra recitava: “Mostrare è una condizione per rendere pubblico, per organizzare una visione del mondo ed esporla al giudizio degli altri. Senza di questo la società è invisibile e il territorio, una astrazione. Se desideriamo che il territorio che abitiamo sia inteso e vissuto come casa comune – come spazio di vita e relazione di un gruppo sociale che lì si inscrive – ebbene questa casa dovrà essere il risultato della costruzione collettiva di un immaginario e di progetti comuni su ciò che siamo come società e su cose e luoghi che possiamo e dobbiamo condividere. Una casa in costruzione”. Mi pare vada in qualche modo verso questa direzione la proposta contenuta nella bozza di Riforma dell’ordinamento professionale degli architetti, per istituire un Osservatorio permanente sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione e una rete di Osservatori territoriali organizzati ed animati dagli ordini provinciali. Nelle intenzioni, gli Osservatori dovrebbero essere lo strumento operativo per rafforzare la capacità di interlocuzione della categoria con le istituzioni politiche e con i vari livelli di governo del territorio. Mi chiedo, e chiedo, se tali Osservatori potrebbero anche svolgere il ruolo di supportare i professionisti nel ricollocare le questioni della qualità del progetto all’interno di quadri conoscitivi molto più aderenti alle specificità contemporanee dei contesti territoriali di intervento. Si ritengono necessarie rappresentazioni e analisi del territorio che siano molto attente alla vita contemporanea e alle attuali dinamiche dell’abitare? Si ritengono utili letture ed interpretazioni del territorio meno schematiche e stereotipate di quelle su cui si fondano le politiche urbane e territoriali dell’Unione Europea basate su dualismi arcaici città-campagna, urbano-rurale, centro-periferia, interno-esterno? Se il contrario di interno è esterno, nella Strategia nazionale per le aree interne, credo che la costa adriatica e tirrenica debbano essere incluse tra le aree esterne.
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danielscrepanti · 4 years
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danielscrepanti · 4 years
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Stanotte ho avuto un incubo. Ho sognato di partecipare a un’assemblea dell’Ordine in cui urlavo “incapaci” ai Consiglieri e poi insieme a altri ex Consiglieri votavo contro l’approvazione del bilancio consuntivo per bocciare la politica professionale fatta nel rispetto di un preventivo che forse avevo anche approvato. Mi sono svegliato tutto sudato con il timbro in mano e ho capito che comunicare tutto il senso di ingratitudine che si è provato dopo aver fatto tanto volontariato per più anni (talvolta, come nel mio caso, fatturando zero verso l’Ordine, dunque tutto a spese mie) è il modo migliore per distruggere completamente ciò che dovrebbe animare la politica professionale: l’amore per i colleghi. Anche se non partecipano, anche se a volte sono un po’ ingrati, anche se ti hanno criticato. Essere innamorati dei colleghi e credere sempre in loro (che almeno possano migliorare) è forse la seconda domanda da fare ai candidati e da fare a sé stessi se ci si vuole candidare.
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danielscrepanti · 4 years
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Un passaggio importante è il processo che si sceglie per legittimare la propria candidatura a rappresentante degli architetti: non basta aver voglia di scendere o salire in politica. Come ho scritto nel post precedente, per candidarsi occorre avere chiaro che si dovranno rappresentare le questioni professionali di un territorio. Dopo 4 anni ho capito che queste questioni vanno cercate, discusse e deliberate nel territorio prima della campagna elettorale: occorre pertanto che si organizzino delle serate per ascoltare, dialogare e fare sintesi con i cittadini, le aziende, gli amministratori locali e i colleghi. Non importa se parteciperanno 4 amici al bar e il barista. Importa provarci e rendere la propria candidatura autorevole e piena di significati locali (per il semplice fatto di aver provato a conoscerli). La relazione con il territorio va costruita prima di essere eletti, non dopo. Se poi vi dicono “Votano solo gli architetti”, non li ascoltate e organizzate comunque la vostra campagna di ascolto dei luoghi e delle persone che li abitano.
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