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#poesie romantiche
ffferite · 2 years
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Franco Arminio, Studi sull’Amore (2022)
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natipvrmorire · 1 year
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Poco alla volta
lascio tutto il mio corpo sulla tua bocca, alla fine dei tuoi baci
niente resterà di me nella tua stanza,
solo i vestiti.
- Franco Arminio, Studi sull'Amore
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Mi piacerebbe essere come le conchiglie innamorate del mare, perché portano sempre con sé la melodia del loro amore.
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accovacciarsibene · 9 months
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oggi con la mia coinquilina abbiamo fatto venerdì sera con ciclo a casa con l’idea di guardare una stupida commedia romantica. In particolare abbiamo visto crazy stupid love e ovviamente ho cacciato tutte le lacrime del mondo. È così difficile decostruire l’idea dell’amore romantico soprattutto quando hai vissuto una parte della tua vita come se ne facesse potentemente parte. Mi sono innamorata di Alessia la prima volta che l’ho vista a 16 anni, mi ricordo che fissai le sue labbra e cercai timidamente il suo sguardo che ricambió solo per un attimo. Pensai che era la ragazza più bella che avevo visto. Ma non era solo quello, aveva delle cose dentro che mi attraevano, come uno strano tesoro scavato nel fondo nero del mare che avevo desiderio di trovare ed aprire. Ci sono voluti 5 anni prima che lei si accorgesse di me (nonostante tutte le mie dichiarazioni cringe con letture di poesie e simili). E anche quel giorno fu magico come nelle stupide commedie romantiche: lei che mi chiede di venire a casa mia covando quell’improvviso desiderio, l’aria che vibra forte mentre guido, lo spazio che volevo tenere trai nostri corpi per non approfittarmi del suo essere brilla (volevo rispettare qualsiasi cosa desiderasse davvero), lei che si sposta verso di me per prendersi un bacio, fare l’amore piano ma con desiderio, dormire abbracciate tutta la notte e risvegliarsi come se avessimo capito di essersci trovate. Abbiamo tatuato quella notte sul nostro ginocchio, ti dissi “nel punto più duro in cui i nostri corpi si cercano”. Volevo non dimenticassimo mai che c’era qualcosa sotto che potessero reggerci. Vorrei avertelo sussurrato ancora più forte nell’orecchio
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vampirodimestesso · 2 years
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La notte è fluorescente.
I demoni vanitosi, hanno il diritto di specchiarsi nelle televisioni spente.
Perchè la notte è fluorescente. Tempestata di occhi che bruciano come i giornali di carta riciclata ai falò, nella piazza comunale. E la luce è fievole ma scalda le ossa. Le onde ti minacciano con i coltelli a scatto, per uscire dalle crepe dei muri e unirsi alle piastrelle di marmo. E i ragazzi si smarriscono ai confini del porto, tra gli scogli e le stelle. Che palle queste stelle. Così stupidamente romantiche, così inutilmente tristi, così perfette da farci invidia. Perchè loro rendono la notte fluorescente e noi non ci riusciamo. Noi abbiamo soltanto pensieri folli e ci riempiamo la bocca di parole confuse. Impenniamo sui motorini e ci sembra di essere aeroplani. E facciamo scoppiare le miccette nelle lattine vuote per sentire finalmente quello che abbiamo dentro. Il mio cuore tuona così forte che le tempeste si sciolgono nei buchi neri.
Nelle notti fluorescenti con gli zaini buttati a terra, le cerniere rotte e le toppe stirate male. Pieni di libri di poesie e dischi da ascoltare con una cuffietta sola. E il tabacco che a -2 puzza di libertà misto merda. Ce l'hai una cartina Federico? Ce l'hai un filtro Federico? Si ma tanto non vi dò un cazzo. Visto? sono un ragazzo senza filtri. Anche se la dignità a volte la butto sul fondo insieme ai centesimi di resto e le goleador del 2013. E poi perchè abbiamo tutti questi preservativi se non battiamo chiodo?
Torniamo a guardare le stelle.
- Federico Zavaglia @vampirodimestesso
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rideretremando · 1 year
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"UN CUORE CHE NON DORME. SU DUE POESIE D’AMORE DEL NOVECENTO ITALIANO (2018)
Chi volesse allestire un’antologia di belle poesie d’amore del nostro Novecento, magari per disporre di un bacino di citazioni a uso anche privato, non avrebbe la strada facile. Non, almeno, se pretendesse di trovarsi tra le mani un canzoniere che celebra l’eros nella sua pienezza – l’eros al tempo stesso eccezionale e quotidiano, inconfondibile e universale. Chi dispiega apertamente il suo canto amoroso, se si escludono l’ossessivo riduzionismo efebico di Sandro Penna e la meteoropatia emotiva della penniana Patrizia Cavalli? Ci sono, è vero, lirici suggestivamente terrestri e sensuali, perfino in senso linguistico, come Gatto, Betocchi e certo Caproni, non a caso cresciuti anche loro, accanto a Penna, sul rovescio del tessuto ermetico: ma finiscono quasi sempre per diventare o troppo domestici o troppo sfuggenti, ripiegando su una freschezza insieme patetica e pudica e partendo per la tangente del manierismo. Ci sono, ancora, poeti erotico-famigliari alla Sanguineti o alla Giudici, che non esitano a palpare i corpi e a immergerli nella vita di tutti i giorni: ma lo fanno esibendo preventivamente il falsetto, il passaporto di una vezzosa diplomazia crepuscolare; così come il primo Pagliarani e Massimo Ferretti schiacciano altri corpi sotto la loro musica avida e guascona. Quanto a Sereni, i suoi rossori di innamorato vengono subito puniti da una reticenza brusca che li lascia a galleggiare nel vuoto. La nostra lirica novecentesca, osservava Garboli mezzo secolo fa, è “altamente ‘omosessuale’ ”, nel senso di una estrema introversione del tema amoroso: in genere “s’ispira a presupposti assoluti, di a tu per tu con Dio, sdegnando le sparpagliate occasioni del ‘sentimento’, i suoi trasalimenti, i suoi brividi, le sue piccole e struggenti ferite. La poesia moderna è tutta ‘intellettuale’ (…) Respinge le situazioni da fumetto, il ‘lui e lei’. Il poeta contemporaneo” non si può immaginare “innamorato degli aspetti femminili della vita quali la gioia, la giovinezza, lo splendore della pelle, una bella mattinata piena di sole, le ore della felicità che è sempre rubata, sempre momentanea, sempre sul punto di essere uccisa”.
Del resto questa lirica non è che l’ultimo, stravolto capitolo di una storia poetica occidentale che può leggersi in chiave rougemontiana. È la storia che mantiene al centro l’“amore dell’amore”, Narciso e Tristano: quella tenuta a battesimo dai versi provenzali, stilnovisti e petrarcheschi in cui si sublima l’oggetto del desiderio fino a farlo sparire, secondo una metafisica che torna vestita di panni moderni nell’opera di un Montale. L’amore innalzato all’empireo, si sa, si specchia poi in basso nelle sue caricature popolari, nelle deformazioni carnevalesche che non fanno che sancirne la supremazia; così come le demoniache donne romantiche e baudelairiane, dietro il loro teschio di streghe, di bestie e di carogne, lasciano intravedere il volto etereo dell’angelo caduto.
Ciò che questo Occidente rimuove all’origine è la nudità dei classici: il loro tranquillo intreccio di cerimoniosità rituale e affetto scanzonato, l’umiltà con cui si volgono al desiderio e all’osceno (a ciò che c’è nell’eros di irrevocabile e tremendo, ossia di sacro) proprio mentre ne abbozzano con tratti lievi gli episodi più prosaici. I moderni hanno eletto questa nudità a mito irraggiungibile; e se a volte hanno creduto di vederla riapparire a lampi in qualche loro contemporaneo sfuggito alla morsa della Storia – e magari, per via omosessuale, sfuggito pure al “lui e lei” - l’hanno celebrata come fosse un miracolo. Perché la norma, al contrario, è appunto l’atteggiamento di chi ruota sempre intorno alle aporie dell’amore genialmente descritto da De Rougemont - di chi ne assalta, scalfisce o spernacchia l’idolo per poi tributargli un inevitabile omaggio, o addirittura per rendere ancora più impalpabile e onnipresente il suo fantasma. Questo fantasma, è vero, a un certo punto s’incarna anche al di fuori del mero rovesciamento burlesco: ma l’incarnazione viene allora appaltata al romanzo ‘medio’, o a quel cinema a cui subito, con pochi ritocchi, un tale romanzo si propone come sceneggiatura. Lì, nello specchio narrativo di una società ormai laicizzata, l’afflato idealizzante e romantico rivela il suo spirito volgarmente calcolatore, scende a patti con la routine trascinandosi tra letti precari, scene mélo e struggimenti dozzinali. La poesia invece, già arroccata in sé stessa per sfuggire alla lingua della tribù, ha sommato a questo arrocco formale la vaghezza difensiva con cui l’uomo moderno allude a una realtà che nonostante tutto continua a porglisi pavesianamente davanti come il banco di prova della vita: il “grande amore”, che per definizione “non si trova”. Così l’antico “né con te né senza di te” diventa una ipnosi da eterni adolescenti, un inseguimento della propria ombra, una leggenda che nutre sottotraccia ogni parola ipotecandola senza dichiararsi, e che carica ogni oggetto dell’aura amorosa dopo averla resa irriconoscibile.
Si dànno, ovviamente, le eccezioni. Una è vistosa proprio perché melodrammatica: nei “Nuovi versi alla Lina”, il verdiano e heiniano Saba del 1912 dialoga con la moglie che l’ha tradito, e nella sua temeraria impudicizia ci fa udire tutti del suo cuor gli affanni. Soffre, si lamenta, interroga, accusa, perdona, torna sui fatti senza capacitarsi dell’accaduto e del suo effetto emotivo. Siamo di fronte a un raro caso di poesia imperniata sulla passione coniugale - poesia insieme traumatica e casalinga, canzonettistica e dolorosa. Con sovrana semplicità, il poeta vi dichiara il suo stupore per ciò che può fare l’ossessione, la ferita narcissica inferta dalla gelosia: il mondo caldo e vivido delle sue passeggiate si svuota, e lo sguardo è obbligato a concentrarsi su un punto solo, una femmina qualunque, una cosa così comune e piccola che “una casa nello spazio, / un piroscafo è tanto più di lei”.
Ma se dovessi compilare quell’antologia, io la aprirei in un altro modo. La aprirei con due testi nei quali le domande su Amore e Morte che alonano la più tipica poesia d’Occidente dal Medioevo al Novecento riecheggiano nel nido buio della coppia; e lì, in una situazione d’intimità reale, non vagheggiata ma vissuta, vengono affrontate e approfondite, conservate e superate, o piuttosto scontate, tra tenerezze tremanti e pene solitarie. Parlo di due testi dove l’amore è assolutamente vero e al tempo stesso ‘impossibile’: “Vecchio e giovane” di Umberto Saba e “Canzonette mortali” di Giovanni Raboni. In entrambi i casi un uomo anziano, con gli occhi sbarrati nell’ombra, veglia su un corpo giovane disteso accanto a sé nel letto, e cerca di accettare l'incommensurabilità dei rispettivi destini biologici.
Ecco la poesia di Saba: “Un vecchio amava un ragazzo. Egli, bimbo / - gatto in vista selvatico - temeva / castighi a occulti pensieri. Ora due / cose nel cuore lasciano un'impronta / dolce: la donna che regola il passo / leggero al tuo la prima volta, e il bimbo / che, al fine tu lo salvi, fiducioso / mette la sua manina nella tua. // Giovinetto tiranno, occhi di cielo, / aperti sopra un abisso, pregava / lunga all'amico suo la ninna nanna. / La ninna nanna era una storia, quale / una rara commossa esperienza / filtrava alla sua ingorda adolescenza: / altro bene, altro male. ‘Adesso basta – / diceva a un tratto; - spegniamo, dormiamo.’ / E si voltava contro il muro. ‘T'amo – / dopo un silenzio aggiungeva - tu buono / sempre con me, col tuo bambino.’ E subito / sprofondava in un sonno inquieto. Il vecchio, / con gli occhi aperti, non dormiva più. // Oblioso, insensibile, parvenza / d'angelo ancora. Nella tua impazienza, / cuore, non accusarlo. Pensa: È solo; / ha un compito difficile; ha la vita / non dietro, ma dinanzi a sé. Tu affretta, / se puoi, tua morte. O non pensarci più”.
Ed ecco la poesia di Raboni: “Io che ho sempre adorato le spoglie del futuro / e solo del futuro, di nient’altro / ho qualche volta nostalgia / ricordo adesso con spavento / quando alle mie carezze smetterai di bagnarti, / quando dal mio piacere / sarai divisa e forse per bellezza / d’essere tanto amata o per dolcezza / d’avermi amato / farai finta lo stesso di godere. // Le volte che è con furia / che nel tuo ventre cerco la mia gioia / è perché, amore, so che più di tanto / non avrà tempo il tempo / di scorrere equamente per noi due / e che solo in un sogno o dalla corsa / del tempo buttandomi giù prima / posso fare che un giorno tu non voglia / da un altro amore credere l’amore. // Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno / dopo l’altro ti lascio, anima mia. / Per gelosia di vecchio, per paura / di perderti – o perché / avrò smesso di vivere, soltanto. / Però sto fermo, intanto, / come sta fermo un ramo / su cui sta fermo un passero, m’incanto… // Non questa volta, non ancora. / Quando ci scivoliamo dalle braccia / è solo per cercare un altro abbraccio, / quello del sonno, della calma – e c’è / come fosse per sempre / da pensare al riposo della spalla, / da aver riguardo per i tuoi capelli. // Meglio che tu non sappia / con che preghiere m’addormento, quali / parole borbottando / nel quarto muto della gola / per non farmi squartare un’altra volta / dall’avido sonno indovino. // Il cuore che non dorme / dice al cuore che dorme: Abbi paura. / Ma io non sono il mio cuore, non ascolto / né do la sorte, so bene che mancarti, / non perderti, era l’ultima sventura. // Ti muovi nel sonno. Non girarti, / non vedermi vicino e senza luce! / Occhio per occhio, parola per parola, / sto ripassando la parte della vita. // Penso se avrò il coraggio / di tacere, sorridere, guardarti / che mi guardi morire. // Solo questo domando: esserti sempre, / per quanto tu mi sei cara, leggero. // Ti giri nel sonno, in un sogno, a poca luce // 1982-1983”.
Il ragazzo ritratto da Saba torna nel secondo dopoguerra in diverse sue pagine - telemachie in forma di epigramma, scorciatoie, poesie carezzevoli e terribili – e viene di solito identificato con il figlio del libraio antiquario milanese presso cui il poeta abitò tra il ’45 e il ’48, quel Federico Almansi che pochi anni più tardi sarebbe sprofondato nella schizofrenia. “Vecchio e giovane” fu inserita nel fascicolo di liriche intitolato “Epigrafe” (1947-1948) e destinato a una pubblicazione postuma. È composta da tre strofe di otto, tredici e sei versi, in sostanza endecasillabi camuffati dalle saldature e dalle pause di un racconto che ora si avvolge a spirale e ora si rapprende in laconiche ellissi. Fin dall’incipit, l’ambiguità del contesto è come ignorata (e sottolineata) da un’affermazione perentoria: “Un vecchio amava un ragazzo”. Il poeta finge parodicamente la fiaba, recita una saggezza lineare e una limpidezza che invece nelle prime strofe è negata dai connettivi del discorso, dal ritratto del “giovinetto” e dal dialogo con il suo amico. I “castighi a occulti pensieri” e gli occhi “aperti sopra un abisso”, alternati alla esibita calma gnomica del narratore che tiene ai due capi il filo dell’esistenza, fanno davvero pensare a un turbamento psichico, a un esorcismo condotto sul bordo della follia. “Celeste” qui non è l’azzurra pupilla sabiana che tutto può contemplare e ospitare, ma un cielo che schiaccia e un vuoto che inghiotte. Il vecchio filtra una storia, l’adolescente ingordo l’assume come un farmaco e poi vuole addormentarsi in fretta. Così da un lato del letto inizia il “sonno inquieto”, dall’altro un’insonnia senza speranza. Dopo avere evocato le due prospettive che più frequentemente si fronteggiano nella sua opera, il punto di vista filiale e il punto di vista materno, il poeta prova a lenire il dolore di quella mancata empatia immedesimandosi nel compagno: se non sa restituire l’affetto è perché lotta con la propria angoscia di creatura incompiuta, ancora senza centro, e dunque fatalmente sorda ai bisogni di coloro che la accudiscono. Inutile accusarlo: è fisiologico che i ritmi non possano accordarsi. Non resta che smettere di pensarci, o ‘passare oltre’.
In questa poesia le sigle di stile alto lasciate cadere qua e là non dipendono più dal tono impettito, dalle sonorità goffe o rotonde di banda paesana che caratterizzano molte composizioni giovanili - anzi somigliano quasi a una sprezzatura, al gioco agrodolce di chi si concede il lirismo appunto perché i suoi rischi e le sue promesse non fanno più presa. I panneggi levigati e sontuosi, appena suggeriti a qualche svolta, non contraddicono la natura diafana e fantasmatica del testo. Ogni fanfara, bozzettistica o classicista, resta ormai alle spalle. Il risultato è una maestà calma e dolente, una trasparenza in cui non si dà scarto tra detto e cantato o tra sussurro e musica, fusi in un fraseggio di tenerezza straziata ma asciutta e lucidamente arida (la stessa tenerezza alla quale, giungendovi dall’opposta sponda di una depressione sia vitale sia stilistica, Sbarbaro era approdato intorno al ’30 nei “Versi a Dina”).
Anche il Raboni maturo si muove con un passo felpato di questo genere. È un passo che acquista nelle fasi di transizione della sua parabola poetica: prima, appunto, negli anni Ottanta delle “Canzonette”, luogo di sutura tra lo stile manzonian-brechtiano della penitente giovinezza lombarda e il manierismo delle forme chiuse; poi, alla fine, in “Barlumi di storia”, dove dalle forme chiuse ritorna a uscire ‘verso la prosa’ (ma affiora già nel metricista “Quare tristis”, non appena taglia a metà il sonetto come in “Svegliami, ti prego, succede ancora…”). Anche nelle sue strofe “mortali” la diversa biologia dei corpi stesi nell’alcova è il punto di partenza scelto per evocare i topoi di amore e morte, presenza e assenza, realtà e irrealtà; anche qui il rapporto è vissuto come un’iniziazione sempre esposta al fallimento, destinata a essere giocoforza interrotta; e anche qui l’ansia si attenua solo attraverso una resa simile a un cupio dissolvi. Se Luigi Baldacci giudicava “Vecchio e giovane” la poesia più “marmorea e straziata” del Novecento, a proposito di “Canzonette mortali”, dopo avere opportunamente citato i classici e in particolare Catullo, Paolo Maccari ha ripreso un’espressione utilizzata altrove da Raboni, e pure vicina all’ossimoro, parlando di un testo “obiettivamente straziante”.
“Canzonette” è costruita a imbuto, per strofe di lunghezza decrescente - da dieci versi a uno - secondo una formula mutuata a quanto pare dalla sinfonia 45 di Haydn nota come “Sinfonia degli addii”. La prima strofa s’impernia su un motivo tipicamente raboniano: in quelle “spoglie del futuro” il tempo assume l’aspetto di una pellicola già proiettata, da riavvolgere e far scorrere avanti e indietro con agio funerario (si veda, in “Barlumi di storia”, il riepilogo di “Si farà una gran fatica, qualcuno…”). Tutto è già compiuto e ci sta davanti in una spossata, paradossale eternità barocca. I versi descrivono un moto lento di onde che si allungano e si contraggono, qua limpide e là torbide o schiumose. Le abbreviazioni coincidono spesso con smorzature gravi come pesi sul cuore, in cui la voce sembra strozzata o soffocata. A poco a poco il discorso si assesta intorno alla misura di un endecasillabo che fa da chiusa provvisoria, icastica, per poi riaprirsi subito su un’incertezza allarmata; e dopo trasalimenti, nenie, attese a respiro trattenuto e constatazioni lapidarie, la serie non si chiude con un sigillo ma con una sospensione, un ‘piano’ da stretta che si allenta. ‘Vista’ così alla moviola, la consunzione può ancora confondersi con la stasi, con un indefinito protrarsi di quell’equilibrio squilibrato: nessuno sa quanto durerà il misto di angoscia e incanto.
La lentezza cerimoniale, l’iniziazione religiosa all’eros e alla morte del Raboni d’inizio anni Ottanta si gioca qui tra l’‘amen’ di chi sente di poter accettare qualunque cosa perché ha incontrato il proprio destino (“mancarti, / non perderti, era l’ultima sventura”) e l’allarme che ispira ineluttabilmente il possesso, la consapevolezza della futura perdita (“Il cuore che non dorme / dice al cuore che dorme: Abbi paura”). Se in altre liriche coeve il poeta sgrana le immagini di un teatrino pornografico con leggerezza tenera e devota, qui scioglie il “godere” nel tema della consegna a una sorte di dissoluzione fisica; ma l’accettazione di questa sorte è poi incrinata da commoventi, atroci soprassalti vitalistici - dalla fame di futuro di chi, ormai sulla soglia dell’aldilà, tenta di riafferrare un impossibile accordo della giovinezza e può farlo solo “ripassando la parte” tra una pausa e l’altra, perché il suo stato normale di uomo quasi vecchio è un torpore che se assecondato lo porterebbe lontanissimo dal ritmo a cui batte il cuore della compagna.
“Fare l’amore e morire sono una cosa sola”, diceva Truffaut del cinema “decisamente più sessuale che sensuale” di Alfred Hitchcock, così proustianamente amato da Raboni: e lo si potrebbe ripetere davanti a entrambe le poesie. Ma in chiusura vorrei ricordare un altro regista, che ha girato un film dove la quotidianità condivisa dell’amore appare altrettanto fatale e precaria. È il Chaplin di “Luci della ribalta”. Alla sua uscita, nel 1952, se ne occupò tempestivamente proprio Garboli, che al tema era con tutta evidenza sensibilissimo se trent’anni dopo decise di scrivere anche delle “Canzonette”, opera di un autore per il resto molto distante da lui. In un pezzo pubblicato di recente nella “Gioia della partita”, il ventenne studioso di Dante si concede un’incursione nel campo del grande schermo dialogando con il commento che al film ha dedicato Carlo Muscetta, rappresentante di quel marxismo postbellico verso cui Garboli mantiene sempre un affetto aprioristico pur mentre batte per suo conto tutt’altre strade. Nel descrivere la storia di Calvero e Terry, il giovane critico parla dello “stato di provvisorietà in cui viene a trovarsi un amore per altro verso tanto permanente, tanto terribilmente serio e affondato nelle radici della vita che tollera di paragonarsi solo all’aria stessa in cui unicamente è dato di vivere”. “Come torni in dramma, in amore, in strazio sopportato tanta voglia di vita, che non ha sfogo e non può averlo, una volta ricalati i personaggi dalla favola in realtà e nella storia che loro è data, mediocre fuori, grande e ricca e varia dentro, diversa e uguale a tutte, come tante: questo è ‘Limelight’”, afferma nella pagina centrale del suo pezzo. “Ed è questo, precisamente, il solo modo in cui l’umano incontro di due vite diverse, Calvero e Terry, può divenire, farsi storia e una sola storia; pur non avendo, di una storia d’amore, che l’ansia d’essere tale e il saper d’esserlo e il non esserlo invece, di fatto: così che continuamente si mescola alla favola la realtà e si affaccia nella felicità la disperazione, indissolubile l’una dall’altra; perché ciò che è accaduto in mezzo a quelle due vite scova il modo d’essere una medesima cosa fra loro proprio e appunto perché comune a due vite, a due storie diverse. La vitalità, l’istinto divengono l’amore che salda persona a persona ma l’amore onde si vincolano le vite di Calvero e di Terry suscita davvero un patema indicibile, proprio una sorta di chiuso finimondo se per forza di cose tanto più brucia ogni limite quanto più gli fanno tormentosa prigione i naturalistici limiti della giovinezza e della vecchiaia, i quali infine sbiadiscono e si dissolvono come tali ma riaffiorano nuovamente come i confini stessi del tempo, della realtà in cui ciascuno dei due personaggi si cala, della storicità insomma propria di Calvero, di Terry”.
Verso la fine di questo formidabile saggio, stilisticamente ancora ingorgato, troppo abbondante e tortuoso, ma già molto garboliano nell’andatura avvolgente e nel sapore, il critico si sofferma sul punto di vista della ballerina – cioè del ‘corpo giovane’ che Saba e Raboni guardano dall’esterno – in un passo che vale la pena riportare quasi per intero: “Tanto grande è la dimensione del suo amore che sembra davvero possa tutto, anche restituire la virilità a un vecchio e il talento a chi l’ha esaurito (…): ed è un’illusione, poiché più grande diviene l’amore in Terry più acuto si fa in Calvero e in Terry lo strazio che la vita non lo conceda. Così s’alternano la felicità e la disperazione in una voglia d’amare che trova ostacolo in sé, in ciò stesso onde è nata; e chi rifletta al gusto romantico delle passioni sempre un po’ esagitate può comprendere perché in ‘Limelight’ l’amore si raffiguri in modo da non sembrare neppure più tale, un’altra cosa, tanto è vicino all’elemento inqualificabile che spinge una pietra a stare in un modo, a fiorire la rosa in un altro. Come si muova in grazia, in angoscia, in modi consueti alle storie d’amore, solitudini e improvvise felicità, come s’ammanti il desiderio l’uno dell’altra dell’esser clown Calvero, dell’esser ballerina Terry (ché ognuno simbolizza ingenuamente per suo conto), è la levità della favola, in cui la storia pare che sia sempre lì lì per sfumare; e in fondo a quella visiva trasparenza s’asciuga invece uno spasimo atroce; si dispera e invecchia e intristisce la vita di Calvero e si abbarbica l’amore di lui e di Terry tenace, con la protervia della dolcezza e per il fascino che proviene dalla vita di chi si ama, di chi si è; e si dibatte in voglia impotente, scoppia in patetiche ostinazioni, spoglio del superfluo, in un miscuglio nuovo di sofferenza e di gioia e di solitudine e di dedizione assoluta e dentro cui si vive senza aver fede in altro, perché questo solo c’è e resta, l’amore e la vita che fanno una cosa sola: quel fluido impenetrabile che sembra abbia consistenza mentre passa negli occhi di Calvero e di Terry il giorno che si ritrovano, per caso, a un caffè. Tutto si ferma intorno, si fanno grandi i loro visi accostandosi e in quell’intimità si atteggia una consapevolezza estrema, come si concentrasse in quel momento l’arco in cui la vita si compie tutta; essendo interna alla sua bellezza la sua irrimediabilità (…) C’è in ‘Limelight’ una sorta di naturalismo estremo e quell’umanesimo integrale di cui parla Muscetta e sopra tutto un ateismo quasi sfacciato e una disperazione lucida, che annulla e dà, ricrea, e tutto questo espresso in realtà dura, in pura favola, senza esterni soccorsi di consolazione. Si pensa al viso staccato e solitario di Calvero prima e dopo l’ultima pantomima; vi traspare la commozione come la luce in una pietra limpida, fredda; dice che la vita è immensa, varia, magnifica, perché limitata, terribile, breve, chiusa e angustiata da limiti netti, senza nient’altro all’infuori di sé”.
“Una voglia d’amare che trova ostacolo in sé, in ciò stesso onde è nata”: eppure non una voglia romanticamente esagitata e teatralmente esagerata, ma naturale come ciò che “spinge una pietra a stare in un modo, a fiorire la rosa in un altro”; non un ostacolo rougemontianamente ‘fittizio’, ma invalicabile, oggettivo. E ancora: in uno stile prosciugato, trasparente, il resoconto di una felicità, di una fiaba che ha come rovescio la reale assenza di consolazione, la “disperazione lucida” che dà e toglie con un gesto solo la consistenza a quell’amore. Così, anche in Saba e in Raboni, concretezza e impossibilità sono come due lati di un unico foglio, due espansioni della stessa radice: la contraddizione senza vie d’uscita di un rapporto che nasce alla tangenza di due linee vitali destinate a divaricarsi davanti alla morte. Esiste nel Novecento italiano un’altra grande poesia d’amore, che allo squilibrio di una relazione vissuta, non ‘romantica’, dà la forma più biologicamente estrema, pur sospendendola nel limbo della parodia stilnovista: è l’“Ultima preghiera” di Giorgio Caproni – ma non sono ‘preghiere’ anche “Vecchio e giovane” e le “Canzonette”? – dove i punti di vista tipici della lirica sabiana acquistano un significato letterale: la fidanzata coincide con la madre rimasta giovane accanto a un figlio vecchio.
Squilibrio dei destini, si è detto; ma nella nostra ipotetica antologia dovrebbe trovare un posto d’onore anche la più bella lirica dedicata a un genere differente di squilibrio, quello delle forze. Il potere ‘politico’, la dialettica del servo e del padrone, l’oggettivazione sadica dell’altro penetrano infatti fin dentro le stanze più private: e Noventa, nei versi “A un’ebrea” scritti mentre si annunciava all’orizzonte la Shoah, esprime tutto lo strazio di chi sa di non poter redimere la propria sopraffazione, né attingere una giusta parità, ma solo distogliere vergognosamente lo sguardo: “Gh'è nei to grandi - Oci de ebrea / Come una luse - Che me consuma; / No' ti-ssì bèla - Ma nei to oci / Mi me vergogno - De aver vardà. // Par ogni vizio - Mio ti-me doni / Tuta la grazia - Del to bon cuor, / A le me vogie - Tì ti-rispondi, / Come le vogie - Mie fusse amor. // Sistu 'na serva - No' altro o pur / Xé de una santa - 'Sta devozion? / Mi me credevo - Un òmo libero / E sento nascer - In mi el paron”…
Amare senza scoprirsi né padroni né servi: forse a volte sembra possibile solo là dove incombono ‘gli addii’, là dove tutto è vissuto al colmo di una intimità traboccante, trepida, sconvolta, e al tempo stesso tutto è guardato come già morto. L’amore nella sua pienezza non si dà, pare, senza lo sfondo di due solitudini, senza la minaccia, senza rivelarsi “sempre sul punto di essere ucciso”. La differenza è tra una poesia che rimuove questa realtà nei suoi castelli simbolico-allegorici, e una poesia che con la naturalezza perentoria degli ‘artisti da vecchi’ affronta la consumazione dell’amore sotto un cielo d’ansia."
Matteo Marchesini
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ildalil · 6 months
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Amore
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Amore 1.1 Che cos'è l'amore? L'amore è un sentimento complesso e profondo che ha affascinato l'umanità fin dall'alba dei tempi. È un'esperienza universale che coinvolge il cuore, la mente e l'anima. Ma che cos'è veramente l'amore? È possibile definirlo in modo preciso e univoco? L'amore può essere descritto come un legame emotivo intenso e affettivo tra due persone. È un sentimento che va al di là delle parole e delle azioni, che si manifesta attraverso gesti di affetto, cura, comprensione e rispetto reciproco. L'amore può essere romantico, familiare, platonico o spirituale, ma in ogni sua forma è un'energia potente che ci connette con gli altri e con il mondo che ci circonda. L'amore romantico è forse la forma più conosciuta e celebrata di amore. È quello che si vive in una relazione di coppia, caratterizzato da una forte attrazione fisica, da una profonda connessione emotiva e da un desiderio di condividere la propria vita con l'altro. L'amore romantico può essere passionale e travolgente, ma può anche essere calmo e sereno, basato sulla fiducia e sulla complicità reciproca. Ma l'amore non si limita solo alle relazioni romantiche. L'amore familiare è un altro aspetto fondamentale dell'amore. È quello che si vive all'interno della famiglia, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle. È un amore incondizionato, che va al di là delle differenze e delle imperfezioni, che ci sostiene e ci protegge. L'amore familiare è un legame profondo che ci accompagna per tutta la vita, che ci dà sicurezza e ci fa sentire parte di qualcosa di più grande di noi stessi. Ma l'amore non si ferma qui. Esistono molte altre forme di amore, come l'amore platonico, che è un sentimento di affetto e ammirazione profonda per un amico o una persona cara, senza alcuna componente romantica o sessuale. L'amore spirituale è un altro tipo di amore che va oltre il mondo materiale, è un amore che si nutre di spiritualità e di connessione con il divino. Queste diverse forme di amore ci mostrano quanto sia ricco e variegato il mondo dell'amore. L'amore è un sentimento che ha attraversato i secoli e le culture, ed è stato oggetto di riflessione da parte di filosofi, poeti, scrittori e artisti di ogni epoca. L'amore è stato cantato nelle poesie, descritto nei romanzi, dipinto nei quadri e rappresentato nelle opere teatrali. È un tema universale che ha ispirato e continua a ispirare l'umanità. Ma l'amore non è solo un sentimento romantico o un'ispirazione per l'arte. L'amore ha anche un impatto profondo sulla nostra psicologia e sul nostro benessere emotivo. Studi scientifici hanno dimostrato che l'amore può influenzare positivamente la nostra salute mentale e fisica, riducendo lo stress, aumentando la felicità e promuovendo un senso di appartenenza e di scopo nella vita. L'amore è anche un fattore chiave nelle relazioni sociali e nella costruzione della società. L'amore è alla base del matrimonio e della famiglia, ed è un elemento fondamentale per la coesione sociale. L'amore ci spinge a prendersi cura degli altri, a essere solidali e a lavorare insieme per il bene comune. Senza amore, la società sarebbe priva di empatia, di compassione e di senso di comunità. In conclusione, l'amore è un sentimento universale che ci connette con gli altri e con il mondo che ci circonda. È un'energia potente che si manifesta attraverso gesti di affetto, cura e rispetto reciproco. L'amore può assumere diverse forme, come l'amore romantico, familiare, platonico e spirituale, ma in ogni sua forma è un'esperienza profonda e trasformatrice. L'amore ha un impatto significativo sulla nostra psicologia, sul nostro benessere emotivo e sulla società in cui viviamo. È un valore universale che ci guida e ci ispira nella nostra vita quotidiana. 1.2 Le diverse forme dell'amore L'amore è un sentimento complesso e multiforme che può manifestarsi in molte diverse sfumature. Ogni persona può sperimentare l'amore in modi unici e personali, e ciò ha portato alla nascita di diverse forme di amore che si sono sviluppate nel corso del tempo. In questa sezione, esploreremo alcune delle diverse forme dell'amore e cercheremo di comprendere le loro caratteristiche distintive. L'amore romantico L'amore romantico è probabilmente la forma di amore più conosciuta e celebrata. È l'amore che si sviluppa tra due persone che si sentono attratte l'una dall'altra in modo profondo e passionale. Questa forma di amore è caratterizzata da una forte attrazione fisica e sessuale, ma va oltre l'aspetto fisico. L'amore romantico coinvolge anche una connessione emotiva profonda, una comprensione reciproca e un desiderio di condividere la vita insieme. Nell'amore romantico, le persone si sentono attratte non solo dal corpo dell'altro, ma anche dalla sua personalità, dai suoi valori e dalle sue aspirazioni. Questa forma di amore è spesso accompagnata da gesti romantici, come regali, sorprese e dichiarazioni d'amore. L'amore romantico può essere intenso e appassionato, ma può anche essere vulnerabile e suscettibile alle delusioni. L'amore familiare L'amore familiare è un tipo di amore che si sviluppa all'interno delle relazioni familiari. È l'amore che si prova per i membri della propria famiglia, come genitori, fratelli, sorelle, figli e parenti stretti. Questa forma di amore è caratterizzata da un legame profondo e duraturo che si sviluppa nel corso del tempo. L'amore familiare è spesso basato su un senso di affetto, protezione e responsabilità reciproca. Le persone che si amano all'interno di una famiglia si sostengono a vicenda, si prendono cura l'uno dell'altro e si impegnano a costruire relazioni solide e durature. L'amore familiare può essere un punto di riferimento stabile nella vita di una persona e può offrire un senso di appartenenza e sicurezza. L'amore platonico L'amore platonico è un tipo di amore che si basa su una connessione profonda e spirituale tra due persone. Prende il nome dal filosofo greco Platone, che ha teorizzato sull'amore come un sentimento che va oltre l'attrazione fisica e si concentra sulla bellezza e l'essenza dell'anima. L'amore platonico è spesso privo di desiderio sessuale o romantico. Si tratta di un amore puro e idealizzato, basato su una profonda ammirazione e rispetto reciproco. Le persone che sperimentano l'amore platonico possono sentirsi profondamente connesse a livello mentale ed emotivo, ma non necessariamente desiderano una relazione romantica o sessuale. L'amore fraterno L'amore fraterno è l'amore che si sviluppa tra amici stretti o tra persone che condividono una connessione profonda e duratura. È un amore basato sull'affetto, la fiducia e la reciproca comprensione. L'amore fraterno può essere paragonato all'amore che si prova per un fratello o una sorella, da cui deriva il suo nome. Le persone che sperimentano l'amore fraterno si sostengono a vicenda, si preoccupano l'una dell'altra e si impegnano a costruire una relazione solida e duratura. Questa forma di amore può essere molto gratificante e può offrire un senso di appartenenza e di comunità. L'amore altruistico L'amore altruistico è un tipo di amore che si basa sulla compassione, l'empatia e il desiderio di aiutare gli altri. È un amore che va oltre l'interesse personale e si concentra sul benessere e la felicità degli altri. L'amore altruistico può manifestarsi in diverse forme, come l'amore per l'umanità, l'amore per gli animali o l'amore per l'ambiente. Le persone che sperimentano l'amore altruistico sono spinte dal desiderio di fare del bene e di contribuire al miglioramento del mondo. Questa forma di amore può portare a gesti di gentilezza, generosità e solidarietà. L'amore altruistico può essere una fonte di gratificazione e di realizzazione personale, poiché permette alle persone di mettere in pratica i propri valori e di fare la differenza nella vita degli altri. In conclusione, l'amore si manifesta in molte forme diverse, ognuna con le sue caratteristiche uniche. L'amore romantico, l'amore familiare, l'amore platonico, l'amore fraterno e l'amore altruistico sono solo alcune delle molte sfumature dell'amore che esistono nel mondo. Ognuna di queste forme di amore può arricchire la nostra vita e offrire un senso di connessione, appartenenza e felicità. Read the full article
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memorieallaluna · 7 months
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Lui è la persona che mi viene in mente quando ascolto la musica, è la persona che mi viene in mente quando leggo le poesie, quando guardo un’immagine. Lui è la persona che mi viene in mente se penso alle scene romantiche dei film. Cuore mio, ma cosa stiamo combinando?
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vorticimagazine · 10 months
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"Tutte le volte che avrei voluto odiarti"...
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Una storia ambientata a Milano, che racconta di anaffettività, omosessualità e perdita, ma volge lo sguardo fiducioso verso le seconde possibilità nella vita, perché non è mai tardi… per l'amore.
“Tutte le volte che avrei voluto odiarti” racconta, con la consueta ironia della scrittrice, la storia del primo amore e delle sue difficoltà, ma è anche un romanzo sulle seconde possibilità nella vita, perché non è mai tardi per l'amore.
Al centro della storia i due protagonisti: Miriam e Thomas, con le loro difficoltà di ex ragazzi diventati adulti troppo presto. Miriam è un avvocato affermato felicemente fidanzata con il rampollo di una ricca famiglia; Thomas è un cardiochirurgo di ritorno dagli Stati Uniti in procinto di sposarsi con una collega. Il destino li ha allontanati, il destino li farà rincontrare tra colpi di scena e decisioni dolorose. Intorno a loro ruotano e si intrecciano le storie di amici e familiari, portando il lettore ad affrontare, con delicatezza e deferenza, temi come l’anaffettività, l’omosessualità, la perdita di un genitore, con l’unico intento di riflettere su quanto sia facile e sbagliato giudicare l’apparenza nelle persone. Una storia leggera e profonda insieme, da leggere tutta d’un fiato fino all’ultima pagina e con una sorpresa “nascosta” per chi già ha avuto modo di apprezzare i romanzi di Maria Orlandi. Sinossi Il primo amore non si scorda mai” recita un vecchio adagio. Ma non ditelo a Miriam A 33 anni Miriam ha una vita perfetta: è associata di uno studio legale a Milano, ha un fidanzato da favola e una famiglia unita che la sostiene. Tutto bene, fino a quando tra le carte di un processo non rispunta il nome di Thomas, il suo primo amore che, se potesse, “farebbe condannare all’ergastolo per l’omicidio premeditato di ogni slancio romantico del suo cuore a soli 18 anni”. Un pezzo alla volta il castello di Miriam inizia a sgretolarsi e le sue certezze vanno in frantumi: la sua storia d’amore perfetta vacilla, ricordi dolorosi si riaffacciano con forza, la scoperta del segreto più grande di suo fratello Carlo la costringe ad aprire gli occhi sulla complessità dell’animo umano. E quel sentimento provato un tempo per Thomas, chiuso a chiave in un cassetto per 15 lunghi anni, sembra fremere per tornare a pulsare prepotente nel suo cuore. Possono le macerie di un sogno diventare le fondamenta di una nuova realtà? Biografia dell’autrice Maria Orlandi, nata a Pescara nel 1978, è laureata in Scienze della comunicazione e iscritta all'Ordine dei giornalisti d'Abruzzo. Dal 2006 lavora come giornalista e ufficio stampa libero professionista, collaborando con diverse testate giornalistiche regionali e nazionali. Ama la musica, i romanzi di Jane Austen (e non solo), le commedie romantiche e il lieto fine. Ha già pubblicato il libro di poesie dal titolo Un cuore tra gli altri (Ed. Youcanprint) e i romanzi Non è mai tardi per un sogno (Edizioni Masciulli) e L’amore è una danza. https://www.instagram.com/mariaorlandiautrice --> Vai alla sezione Libri Consigliati di Vortici Magazine.... --> Acquista il romanzo su Amazon.... Read the full article
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cinquecolonnemagazine · 10 months
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Il Cantico dei Cantici: ode all'amore e alla passione
Il Cantico dei Cantici, anche conosciuto come Cantico di Salomone, è un testo poetico e lirico che si trova all'interno della Bibbia. Questo antico e affascinante libro è composto da una serie di poesie e dialoghi che esprimono un intenso e appassionato amore tra due amanti. Cos'è il Cantico dei Cantici? Il Cantico dei Cantici è un'opera unica nella sua natura, poiché è dedicato esclusivamente all'amore umano, alle relazioni romantiche e alla passione sensuale. È considerato uno dei libri più poetici e affascinanti delle Scritture, scritto in forma di canzoni d'amore tra una sposa e lo sposo. Il testo è pervaso da una linguaggio vivido e metaforico, ricco di immagini e simboli che catturano l'essenza dell'amore romantico. Le parole degli amanti si susseguono in un crescendo di emozioni, descrivendo l'attrazione fisica, la dolcezza dell'amore, la tenerezza e l'intimità con una bellezza senza tempo. Le varie letture ed interpretazioni dell'opera Il Cantico dei Cantici è stato oggetto di diverse interpretazioni nel corso dei secoli. Alcuni studiosi lo leggono come un'immagine dell'amore divino tra Dio e il suo popolo, mentre altri lo interpretano come una rappresentazione letterale dell'amore umano tra un uomo e una donna. Indipendentemente dall'interpretazione, il Cantico dei Cantici continua ad affascinare e ispirare, sia per il suo valore poetico che per il suo ritratto dell'amore in tutte le sue sfumature. Una caratteristica distintiva del Cantico dei Cantici è la parità di ruoli tra i due amanti. La figura femminile, spesso indicata come "Sposa" o "Ammirata", è dipinta come una donna forte, sensuale e appassionata. La sua voce risuona con desiderio e amore profondo, dimostrando una parità di sentimenti e desideri rispetto al suo amato. Il Cantico di Salomone è un inno all'amore? Il Cantico dei Cantici è un inno all'amore, alla bellezza dell'attrazione fisica e all'intimità emotiva tra due persone. Attraverso il suo linguaggio poetico e sensuale, trasmette un messaggio universale sull'importanza dell'amore e dell'intimità nelle relazioni umane. Oltre alla sua valenza letteraria, il Cantico dei Cantici ha anche una dimensione spirituale e simbolica. Può essere interpretato come un invito a coltivare e preservare l'amore e l'intimità nelle relazioni umane, a valorizzare la bellezza del desiderio e della passione, non solo nel contesto romantico ma anche in una più ampia prospettiva di amore verso gli altri e verso la vita stessa. Foto di Aritha da Pixabay Read the full article
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ffferite · 2 years
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silvershadoww · 11 months
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sogni di bere in grandi calici di vino in un morbido letto tra un lungo bacio e l'altro
di camminare tra l'erba bagnata e dolci con fragole, di ascoltare romantiche melodie fumando per terra, di partire per viaggi scapigliati con 4 amici. di passare trilla gente e ricevere sorrisi, saluti e abbracci, di sparpagliare per il mio cammino disegni e poesie, di guardare il cielo e commuovermi ancora, la visione del mio corpo nudo adorato tra mille baci fluttuando in un evanescente nuvola.
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nosferatummarzia-v · 1 year
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Una volta una Donna che credeva nell’amore. Era convinto che l’amore fosse la cosa più importante al mondo e che tutti dovessero cercarlo...
Ma un giorno,la Donna incontrò un Uomo che non credeva nell’amore. Diceva che l’amore era solo un’illusione e che alla fine tutti sarebbero stati delusi. La Donna cercò di convincere l'uomo che l’amore esisteva davvero,ma lui non voleva sentirne parlare. Così la Donna decise di dimostrarle il contrario. Iniziò a fare cose romantiche per lui,come scrivere poesie. Ma l'uomo non sembrava interessato. La Donna non si arrese e continuò a cercare di conquistare il cuore dell'uomo. Ma alla fine capì che aveva sbagliato. L’amore non esisteva davvero per la l'uomo e non c’era niente che potesse fare per cambiare.
La Donna capì che l’amore era solo un’illusione e decise di smettere di cercarlo. Iniziò a concentrarsi sulla sua vita e sui suoi interessi e alla fine trovò la felicità senza l’amore. Questa storia dimostra che l’amore non esiste per tutti e che a volte è meglio accettare le cose come sono piuttosto che cercare di cambiarle.
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E rimaniamo così, con il bisogno di coprirci davanti allo sguardo del mondo e il desiderio di spogliarci di tutti gli strati davanti a un solo paio di occhi.
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canterai · 2 years
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— Federico García Lorca
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sognatricedistelle · 4 years
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Questo lo dedico a noi, anime romantiche.
Sì, a noi che abbiamo quel costante impulso a desiderar di spargere pezzi di cuore in giro.
A noi che siam innamorate dell’amore e di tutte le sue sfumature.
A noi che vogliamo essere ricordate come la fonte di condivisione dei più sinceri e intimi sentimenti.
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