Tumgik
#musicista senza braccia e mani
fashionbooksmilano · 10 months
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Saltimbanchi
Marie Desplechin, Emmanuelle Houdart
Logos, Modena 2012, 48 pagine, ill. , Rilegato, 28x37,5 cm, ISBN 9788857604411
euro 25,00
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"Accorrete, non abbiate paura in città è arrivato il circo. Siamo saltimbanchi e viviamo alla giornata. Venite a vedere, grandi e bambini, lasciatevi cullare dalle nostre parole: siamo narratori di favole, mescoliamo magia, illusione e poesia. Sotto il nostro tendone tutto è possibile!" 
Le sorelle siamesi, la donna barbuta, il colosso, la lillipuziana, il musicista senza braccia e senza mani… Undici ritratti strani e bellissimi che immortalano artisti circensi come altrettanti inviti a immaginare per loro vite straordinarie e numeri stupefacenti. L’illustratrice ha affidato i suoi personaggi a Marie Desplechin, che ha dato loro un nome e ha inventato per loro un destino necessariamente fuori dal comune: “Emmanuelle ha immaginato e disegnato undici personaggi favolosi. Me li ha affidati. Sono arrivati alla spicciolata, prima le gemelle siamesi, poi l’uomo senza arti e la donna barbuta, poi il colosso, la cartomante e la lillipuziana… Uno dopo l’altro, ho dato a ciascuno di loro un nome e una storia, poi una famiglia che andava formandosi da sola man mano che scrivevo. È stato facile e divertente: ai vari personaggi i ritratti calzavano a pennello! Così abbiamo inventato il nostro circo itinerante, una famiglia profondamente umana, in cui regnano la fantasia, il coraggio, l’ingegno. E, ovviamente, l’amore.” Marie Desplechin
Dal racconto di una vita rocambolesca a un altro, Emmanuelle e Marie intrecciano i legami che uniscono questi saltimbanchi e ci raccontano questo circo con un umorismo tenero e una profonda poesia. Su un tema dalle immagini abbastanza stereotipate, Emmanuelle trova nuove piste per trascinarci al centro di una moltitudine di personaggi favolosi. Le figure rappresentate appaiono insieme stranamente familiari e al contempo molto enigmatiche, ben riconoscibili e tuttavia avvolte da un velo trasparente che ce ne separa; gli sguardi, le pose, gli elementi che li compongono e li circondano ce li rendono lontani e misteriosi. Hanno una presenza magnetica e stupefacente. Ritroviamo qui l’universo ibrido di Emmanuelle Houdart – corallo o vegetale, maschio o femmina, piuma o pelo? – e i suoi motivi ricorrenti – l’uovo, la spugna, i libri. E quando l’immagine potrebbe rivelarsi troppo disturbante o crudele, ecco che il testo di Marie Desplechin interviene a rassicurare. La diversità diventa fonte di fascino e seduzione. E come al circo, ci si stupisce, si trema, si ride con quegli uomini e quelle donne che non sono come tutti gli altri ma sono comunque nostri simili, nostri fratelli.
08/07/23
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ninetiles · 5 years
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Quantistica
Vorrei che fossi qui
 non sai quanto
e cercami con lo sguardo 
e mi piace sentirti ovunque 
godere in controluce 
mi trasformi in una lampada al plasma
guardarti mani e braccia
guardarti il culo mentre mi stai sotto e sono fradicia
 e ed i tuoi occhi
ci sono certe visioni che l’universo non immagina
che a spiegarle mi vien meglio studiar matematica
e
in tutto questo ci sei tu bellissima e mia
con quelle gambe spalancate
 e il corpo che ad ogni  colpo vedo muovere,
e le tue mani stringon le lenzuola
 fino a che non ti vedo vogliosa
porti la mia mano alla tua gola
e fermarmi quando è ora 
e io che invece esplodo ad ogni tuo gemito
per il tuo odore ed il sapore
mi piace quando gode
credo che possa far nascere le super nove
e non hai
idea di cosa mi fai 
che muovi tutto dentro 
che con te la forza di gravità
diventa energia centrifuga
scorre in tutta la materia fisica
sostieni l esistenza 
come unità della meccanica quantistica
musicista artistica
mi porti ad uno stato di totale inerzia
dammi qualche minuto di ripresa
sei acqua alcolica 
corrente energetica 
e quando ti vedo nuda sdraiata tra le lenzuola 
ed il mio sguardo cade sul tuo corpo percorrendo ogni tua forma
le labbra morbide
 il calore di una stella nascitura
il tuo collo bollente
tra le tue gambe miele
mi metti in moto ho sete 
ho fame e voglia di te 
dipingimi la mente 
sei forza sorprendente 
voglio scendere
e come un alpinista afferro i tuoi fianchi 
e ti sento cedere
e allora scendo a bere un po’ dalla tua fonte
voglio il tuo sapore
fuori sei fresca come quando fuori piove
ma dentro poi sei calda 
come nucleo di magma
sei terra
sei sole
sei alba
e non hai
idea di cosa mi fai
che muovi tutto dentro
come energia centrifuga
che muovi l universo 
che muovi ogni mio atomo
che sei parte del mio mondo 
interagisci con la mia materia 
come la musica e la metrica
il pennello e la tempera
lo spirito e il chakra
ti cerco ovunque come se necessitassi aria
non rispondi a nessuna legge fisica
ti muovi secondo il caos
senza nessuna logica
causa effetto
amore e sesso
ti unisci alla mia vita come se fossi stata sempre e solo mia
come cura e veleno
masturbi ogni mio angolo
ogni mio punto erogeno
mi tocchi e cedo
fammi ciò che vuoi finchè non tocco il cielo
voglio sentirti
voglio muovermi su di te fino a sentire
quanto mi vuoi 
che nessuno al mondo è come noi
che mai è successo che qualcuno riuscisse a entrarmi così dentro
fino al petto 
a masturbarmi fino al cuore e al cervello 
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roses-symphony · 6 years
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In Joy and Sorrow
Salve.  Anita si sposa (già ten’ a casa - cit gigi D’alelssio xD)
Niente è una bozza, la devo allungare e correggere, fatemi sapere che ve ne pare.
stranamente una delle cose che ho scritto mi piace 
In momenti come quelli, in momenti di grandi cambiamenti per noi o per qualcuno a noi vicino, che amiamo, ci troviamo a fare un bilancio della nostra vita. Dei successi. Degli amori. Dei sogni. E chiederci quanti ne abbiamo realizzanti, quanti siano stati veri, se ne sia valsa la pena lavorare così duramente. Questo si trovava a fare ora Fabrizio in quella calda sera di Luglio mentre se ne stava fasciato in un completo nero troppo elegante che mal si addiceva al suo stile e alla calura estiva, poggiato alla ringhiera della terrazza di un ristorante di classe, una sigaretta mezza spenta tra le dita, la vista bellissima di fronte a se che, in quel momento, non sembrava notare minimamente e il rumore ovattato della festa che piano gli arrivava alle orecchie. Più che un bilancio della sua vita però, Fabrizio si ritrovò schiaffeggiato dai ricordi che, in maniera invadente ed inopportuna, gli piombano nella mente. Ricordi che credeva di aver messo da parte per sempre, nascosti in un cassetto che si era ripromesso non avrebbe mai più aperto ma che era sempre stato lì e aveva deciso di rivelarsi proprio quel giorno.
Era una sera di luglio esattamente come quella; era una sera di luglio e lui aveva 25 anni ed era pieno di vita da vivere e amore da offrire   Era una sera di luglio dei suoi 25 anni e, in quella piccola sala prove che usava nei giorni in cui riusciva ad evadere dalla realtà, a scappare  dall’officina  del padre in cui si era trovato costretto a lavorare dopo aver deciso di abbandonare la scuola, aveva incontrato quello che sarebbe stato l’amore più grande e straziante della sua vita.
Era entrato in punta di piedi, silenzioso e austero come tutta la sua figura, e l’aveva travolto nella maniera più inaspettata possibile. La sua rappresentazione dell’amore aveva 19 anni, le mani belle da musicista e la voce calda, graffiata ancora dall’accento della sua lingua madre. Gli occhi profondi di chi, ancora bambino, ha conosciuto già troppe difficoltà nella vita ma ha deciso di andare avanti. Il corpo ancora fermo tra l’adolescenza e l’età adulta; alto, magro, ma forte e resistente anche alla più temibile delle tempeste.
Erano l’uno l’opposto dell’altro. Fabrizio che a scuola non c’era andando, che l’italiano lo conosceva e parlava poco e male preferendo un po’ confortevole dialetto romano. Fabrizio per il quale la musica era uno sfogo, una via di fuga dalla realtà ma che mai sarebbe diventata la sua ragione di vita perché lui un lavoro ce l’aveva, doveva solo trovarsi una bella donna da sposare, fare due o forse tre bambini e mandare avanti l’officina del padre; non poteva permettersi di sognare la vita da musicista e rock star come quella degli artisti che tanto amava ascoltare. Ermal invece era intelligente, era iscritto al primo anno di università e viveva di musica e libri. Quando parlava, Fabrizio si incantava ad ascoltarlo, perché tutto quello che diceva, anche la cosa più piccola e banale, gli restava impressa addosso come un marchio a fuoco, gli rimbombava nella testa per giorni e si trovava a riflettere su ogni sillaba che pronunciasse. Ermal aveva una ragione di vita ed era la musica, si stava battendo per poter fare di quella passione il suo mestiere e, con il supporto della madre, era convinto ce l’avrebbe fatta. Fabrizio era un vigliacco, non avrebbe mai rischiato la sua stabilità -se pur questa gli stesse stretta- per un sogno. Ermal era invece il coraggio e la determinazione; ci avrebbe provato fino all’ultimo e ci sarebbe riuscito. Erano l’uno l’opposto dell’altro e si completavano.
Quella sera di Luglio, quando gli strinse la mano e gli sentì pronunciare il suo nome, Fabrizio capì che la sua vita era cambiata.
Gli incontri sporadici in sala prove divennero sempre più frequenti e puntuali; impararono l’uno gli orari dell’altro e facevano in modo di incontrarsi e scontrarsi. Ermal restava ad ascoltare le prove della band di Fabrizio mentre quest’ultimo scappava via sempre mezz’ora prima dal lavoro per poter ascoltare Ermal cantare, arrivando in sala prove con le mani ancora macchiate di grasso ma un sorriso felice sul viso. E gli incontri in sala prove si trasformarono in sigarette fumate insieme sulle scale antincendio del palazzo parlando di musica, birre bevute seduti sul muretto mentre si discuteva del futuro, di giri in macchina di Fabrizio mentre ascoltavano cd martirizzate e playlist create ad hoc e aprivano i loro cuori all’altro.
A baciarlo la prima volta fu Ermal. Se lo ricordava ancora il sapore delle sue labbra sulle sue, quanto lo avesse desiderato, quanto l’avesse bramato ma non era mai riuscito a spezzare quel muro di timidezza e paura che vedeva tra loro e allora l’aveva fatto Ermal, come al solito. Erano passati più di 20 anni e ancora ne sentiva la morbidezza di quelle labbra sottili e dolci; le dita gli si posarono inconsciamente sulla bocca, tracciando il contorno delle sue labbra mentre mentalmente percorreva quelle dell’altro. Quello era stato l’inizio di tutto, da quel momento Fabrizio aveva messo da parte i suoi dubbi e aveva investito in quel rapporto che, ad occhi esterni, poteva sembrare così sbagliato, così fragile e insensato. Ma per loro no. Loro si amavano, lo sapevano entrambi che erano due anime che si erano trovate e che, non importa cosa fosse successo, sarebbero state legate per sempre.
Era ormai Settembre quando Fabrizio aveva potuto sentire il calore del corpo di Ermal contro il suo; i suoi sospiri soffocati, i gemiti silenziosi, le mani strette insieme. E Fabrizio si stupì di come chiare fossero ancora le emozioni di quella prima volta insieme, di come possa essere così importante una persona per ognuno di noi che, quanto meno ce l’aspettiamo, tutto ci ritorna alla mente come una valanga e ci ricorda quello che siamo stati e quello che avevamo.
Era Gennaio e il loro rapporto era ormai saldo e reale e, per quanto si nascondessero dagli occhi di chi non poteva capire, di chi non avrebbe mai capito, era impossibile nascondere i sentimenti che che portavano dipinti negli occhi. Era Gennaio ed Ermal stava crescendo sotto i suoi occhi e sotto le sue carezze. Era Gennaio e si erano confessati il loro amore sincero e, senza farsi promesse - perché Ermal non ci credeva in quelle stupide parole- , avevano sancito un accordo, avevano deciso che si sarebbero amati per sempre e, mai come adesso, Fabrizio sentì il vero peso di quella decisione. Adesso che, a più di 50 anni, si era reso conto che quel ragazzo lo amava e l’avrebbe fatto per sempre. Che nessun altra persona nella sua vita avrebbe potuto tenere il passo col sentimento che aveva provato per Ermal, nessuno, né la madre dei suoi figli, né altri.
Era ritornata l’estate. Un anno più tardi, quell’anno che era stato speciale per entrambi e durante quell’estate Ermal l’aveva guardato coi suoi occhi liquidi e gli aveva semplicemente detto “Fabrizio, io vado a vivere a Milano. Sentiti libero di fare quello che preferisci” * Solo dopo giorni, dopo aver estorto con la forza le parole dalla bocca di Marco, il miglior amico di Ermal, seppe che aveva ottenuto un contratto con una casa discografica indie, che avrebbe dovuto trasferirsi a Milano ma che non aveva il coraggio di dirlo  Fabrizio perché era convinto che quello che meritasse un contratto fosse il più grande, non lui che si sentiva ancora così impreparato e immaturo. Ma non avrebbe rifiutato, quello mai. Lui era audace ed era stato premiato. Fabrizio di coraggio ne avrebbe voluto avere molto di più,  avrebbe voluto investirlo ma non l’aveva fatto e allora sarebbe stato felice per Ermal e questo gli bastava.
Si salutarono su una fredda banchina alla stazione centrale. Non si erano detti niente, i loro occhi parlarono per loro e quando le porte del treno si chiusero dividendoli per sempre, Ermal cadde sulle ginocchia, il viso tra le mani a nascondere le lacrime, mentre Fabrizio rimase in piedi a guardarlo andare via, gli occhi lucidi e le mani che tremavano.
Era stato solo un anno, ma l’aveva vissuto con un’intensità tale che gli parve un’eternità. Un’eternità che portava il nome di Ermal, i suoi occhi, le sue mani e la sua voce. Un’eternità che Fabrizio si era trovato a vedere cadere sotto i pezzi della realtà dove tutto era diverso, dove un “noi” non esisteva più.  Se solo fosse stato più coraggioso, quel giorno avrebbe preso anche lui quel treno per Milano lasciandosi tutto alle spalle per seguire l’amore della sua vita. Ma Fabrizio coraggioso non lo era, non a 25 anni e ora, che di esperienza e sicurezza ne aveva accumulata in po’, si pentiva delle sue scelte e avrebbe voluto solo vivere un’altra vita e viverla bene.
Si accese un’altra sigaretta e, insieme al fumo, sospirò e lasciò fuggire dalle sue labbra tutta la nostalgia e l’amarezza che quei ricordi gli recavano. Si chiedeva lui cosa stesse facendo ora; sapeva che avesse realizzato il suo sogno di diventare musicista - lo aveva sempre saputo- ma avrebbe voluto parlargli, chiedergli come stava, se era felice, se di lui ancora si ricordava. Mentre guardava la luna che risplendeva nel cielo cercando di tracciare i contorni di quello che si ricordava fosse il viso di Ermal, sbiadito dalla sua memoria, sentì un peso leggero sulla sua schiena e due braccia sottili avvolgerlo: “Papà, che ci fai qua tutto solo? Mi avevi promesso che avremmo ballato almeno un ballo insieme.” Eccola la sua gioia, Anita nel suo bell’abito da sposa. Anita bella come il sole, con gli occhi che ricordavano tanto i suoi, ma molto più puri e spavaldi. Anita che era andata in sposa all’uomo che amava, lei che, al contrario di suo padre, era stata forte e coraggiosa e quell’uomo l’aveva seguito e l’aveva fatto suo. Anita che era, insieme Libero, l’unica ragione per la quale non si sentisse completamente un fallito. 
Le sorrise sincero, carezzandole una guancia con la punta delle dita “Lo sai che ti metterò in imbarazzo se balliamo. Tua madre mi prenderà in giro a vita”. Lei rise, anche la risata era simile alla sua e sapeva che, se Ermal l’avesse vista o sentita, non l’avrebbe smessa di fargli notare quanto fossero simili e sottolineare l’infinita bellezza di sua figlia. “Dai, che importa. Vieni…” lo prese per mano, quella mano affusolata e delicata, così diversa da quella paffuta e piccola che ancora si ricordava stringesse la sua mano troppo grande, e lo portò con se in sala. Fabrizio per il resto della serata si concentrò solo su quella che era l’unica donna della sua vita, godendo della sua gioia e del suo amore ma, tornato a casa, nel silenzio e la quiete del suo appartamento, con i fragori della festa ancora nella testa, aprì una vecchia scatola e tirò fuori un cd. Era il primo singolo di Ermal. Il suo viso in copertina era di una bellezza che gli toglieva ancora il fiato. Gliel’aveva spedito non appena lo incise e, quando l’aveva ricevuto, l’aveva ascoltato così tante volte che aveva avuto il timore di consumarlo. C’era una dedica all’interno,  semplice e che ancora faceva male così come ancora gli scaldava il cuore: “All’amore della mia vita. Grazie per aver accarezzato me e le mie canzoni. Per sempre tuo.”*
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thebigbrohill · 4 years
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[ Hyun & Blake Edward Hill - Casa Fitzgerald - 22.04.2019  _  #ravenfirerpg _ #danceinwonderland ]
Meraviglia. Questa fu la prima parola che associò a casa Fitzgerald non appena arrivò, rimanendo a bocca semi aperta. Gli occhi quasi non riuscirono a tenere il conto di tutti gli sfarzosi addobbi tanto che quasi non fece caso al padrone di casa quando l'accolse. Gli sorrise e ricambiò la cortesia, facendo una semiriverenza e chiedendo indicazioni su dove le partecipanti all'asta per il primo ballo dovessero andare. Hyun aveva trovato divertente la trovata dei Fitzgerald, inoltre se il denaro andava a qualcuno che ne aveva più bisogno era ancora più felice, oltretutto la veggente aveva colto l'occasione per incontrare e conoscere nuove persone. "Perché no?" Aveva pensato quando si era iscritta, pensando che se nessuno avesse voluto ballare con lei era sicura che uno dei suoi fratelli sarebbe venuta in suo soccorso. [...] Era in piedi, in linea con le altre ragazze in attesa del suo turno. Quando venne chiamata, fece qualche passo avanti, mostrandosi al pubblico. Era nervosa, non conosceva tante persone in città e all'improvviso l'idea che nessuno avrebbe offerto qualche soldo per lei le fece venire il panico: si strinse appena nelle spalle magre scoperte, poiché il vestito era a cuore e cadeva vaporoso in strati di tulle e raso nero e viola fino a metà coscia. Fu mentre attendeva che vide una mano alzarsi, forse per fare un'offerta, ma la veggente non aveva riconosciuto la persona che aveva compiuto quel gesto e, nello stesso istante, sentì il cuore sollevarsi appena per il sollievo.
Blake Edward Hill * Casualità. Caos. Erano quelle le parole che definivano il ragazzo vestito in uno smoking rosso e nero in totale stile fante di cuori. Blake Edward Hill era proprio lui, un fante di cuori, ma di cuori spezzati, perché di quelli interi non ne aveva mai conosciuti. Il tema suggestivo di Alice l’aveva condotto lì, a casa Fitzgerarld, senza un vero e proprio scopo. Blake, infatti, non era il tipo da beneficenza né tantomeno il tipo che amava le feste e la gente. Lui odiava il contatto fisico, le persone e la loro positività, non solo perché la sua natura volgeva verso la negatività in generale, ma anche perché la sua vita era sempre stata un inferno. Morfina, morti, tatuaggi, disegni, cadaveri e tormenti abitavano la sua vita sia da sveglio che da dormiente. Quando lui e Vanille, sua collega di lavoro e una tra le sue poche e vere amicizie, entrarono in quella villa qualcosa incominciò ad andare storto. Il venticinquenne Blake Hill aveva chiesto alla ragazza di andare con lui, perché era stato incuriosito dal tema, ma appena si addentrò in quel mondo comprese quanto fosse allergico. Lui odiava le meraviglie. [...] Aveva girovagato tra i pilastri della sala fino a poco prima quando i suoi occhi ghiacciati incominciarono a cercare qualcosa di interessante, ma non vi era nulla. All’orizzonte, aldilà di una moltitudine sorridente e dannatamente schifosa, vi era una schiera di ragazze che, udite udite, aspettavano un ragazzo con cui poter ballare. Edward roteò gli occhi spostando i suoi capelli corvini che ricadevano lunghi sulle spalle. Era disgustato, non avrebbe mai toccato delle sconosciute eppure..... Un violinista dietro di lui continuava a mormorare cose strane mentre con un altro cercava di organizzare uno scherzo a qualcuno, o meglio all’ignaro Blake. Gli alzarono un braccio e poi lo spinsero verso la pista, Blake li maledì e si promise che sarebbero morti. Ad ogni passo verso quella povera ragazza sentiva la forca avvicinarsi alla sua vita. E ora come avrebbe fatto a ballare ? Prese un respiro. Doveva avere coraggio, forse da questo suo sforzo letale avrebbe guadagnato qualcosa per la sua attività. * Hyun-Ae Jang Gli occhi quella sera erano velati dalle lenti a contatto azzurre con tanto di pupilla verticale, come se fosse realmente una gatta.. O posseduta da un demone. Chi conosceva Hyun sapeva bene che possedeva un lato misterioso che a pochi era concesso accedere, perciò aveva trovato affine nel costume dello stregatto il suo essere. Si avvicinò cautamente al ragazzo che aveva alzato la mano, scendendo i gradini lentamente, e ringraziava il cielo nel aver imparato a camminare sui tacchi; una volta arrivata vicino a colui che l'aveva scelta, lo guardò in viso e lo sguardo lo scrutò nei minimi particolari, dai capelli corvini e lunghi agli occhi azzurri: aveva letto molte leggende giapponesi e quel ragazzo le ricordava terribilmente un demone tengu, dalle sembianze di un corvo oscuro. Scende dal palco, fermandosi davanti a lui, e gli sorride in modo divertito ma anche con gratitudine mentre si prodiga in una piccola riverenza. < Grazie mille per avermi scelta.. Cavaliere. > Disse, con tono leggermente ironico alludendo alla sua mise per quella serata, restando ferma davanti a lui, anche se doveva ammettere che lo trovava anche affascinante. Qual'era la prossima mossa? Ballare forse, ma non sapeva molto da dove iniziare e se soprattutto toccava a lei la prima mossa. Beh, forse poteva semplicemente presentarsi prima di tutto, ma preferì tacere, mantenendo quella sorta di mistero fra loro. Blake Edward Hill * Avete presente quella sensazione quando da bambini eravate costretti a fare qualcosa che in realtà non avreste mai voluto fare? Ecco quella era la sensazione che Blake avvertiva dentro di sé, una sensazione che l’avrebbe fatto fuggire a gambe levate o l’avrebbe condotto direttamente al musicista, o meglio a quella tomba ambulante. Già, quel violinista sarebbe morto molto presto. Passo dopo passo, il giovane tatuatore sentì dentro di sé sentimenti contrastanti, da una parte ballare gli piaceva e dunque non gli avrebbe dato fastidio, dall’altra parte, invece, sarebbe andato via perché l’unica, la vera e unica ballerina per lui rimaneva la sua Johanna. Deglutì non appena i suoi occhi cerulei non incontrarono la figura della giovane che sembrava essere davvero innocente. Che peccato! Avrebbe toccato un’altra innocente e se.... No, non voleva pensarci nemmeno, non avrebbe di certo ucciso un’altra donna. La distanza si era fatta minima e Blake fu costretto a fare il galantuomo. Offrì il suo braccio mentre, dentro di sé, sentiva l’intestino contorcersi. Non toccava mai nessuno, non era abituato. Fu forse per questo che non sorrise nemmeno, o forse era per la sua natura cruenta da Dooddrear? Chissà! * Sono stato obbligato. Ma prego. *Tagliò corto in modo diretto. Non era di certo il ragazzo che voleva provarci con lei, gli avevano fatto un dispetto ed entrambi ora avrebbero pagato le conseguenze. In fondo al suo cuore fragile gli dispiaceva per la giovane asiatica che gli era ora affianco. Avrebbe potuto godere di miglior compagnia, ma come un’anima nera le era capitato lui, il demone, il ragazzo dalle nove dita. * Hyun-Ae Jang Alle sue parole di risposta, un brivido corse sulla schiena pallida della veggente, fissando gli occhi in quelli del ragazzo davanti a sé. Era stato obbligato? Cosa voleva dire? L'espressione di lei si fece appena guardinga e fredda, guardando il braccio del ragazzo ancora davanti a sé. Allungò la mano verso il suo braccio, quasi come se lo stesse per toccare, ma all'ultimo cambiò idea. Per lei un tocco significava molte cose, ma soprattutto poteva anche attivare i suoi poteri, cosa che per quella sera (onde evitare di impazzire completamente) aveva cercato di "spegnerli". Alzò appena il mento mentre iniziò a camminare verso la pista da ballo, in modo fiero. < Se la cosa ti disturba troppo non sei obbligato a.. Godere della mia compagnia, mr Tengu. > Era da lei affibiare dei soprannomi a chiunque incontrasse, e lui non faceva altro che trasmettergli una sensazione cupa che non poteva far altro che ricordarle un demone come quello. Forse lo era veramente e raramente si sbagliava, ma allo stesso tempo era curiosa verso quel ragazzo. < Allora cosa sceglierai di fare? Di far vedere che sei superiore a chi ti ha obbligato a ballare con me oppure te ne andrai, facendo vincere gli altri? > Chiese con un leggero tono di sfida, guardandolo in altrettanto modo, stringendosi nelle spalle magre e intrecciando le braccia sotto il seno, attendendo la sua decisione.
Blake Edward Hill * Cosa può significare un tocco se non la scoperta di una vita intrisa di dolore e di morte? In un mondo favolistico e lontano dalle dinamiche di sempre, una sola regola era rimasta immutata quella sera: non toccarsi. Il tocco era una delle componenti essenziali delle vite dei sovrannaturali a Ravenfire, peccato che Blake non si preoccupava soltanto di questo, ma lo odiava a tal punto da utilizzarlo in casi estremi. Casi estremi. Quello era un caso estremo, un caso in cui, purtroppo per lui, o forse più per lei, il tocco era fondamentale. Un’espressione fredda condivisa sostituì ben presto il contatto. Alla vista di un gesto alquanto insicuro, Blake Hill, il Dooddrear spietato e tatuatore, ritirò il braccio, distendendo il gomito. Un colpo di sopracciglia fu la risposta a quel mento femminile alzato ed orgoglioso. * Mr Tengu.. * La interruppe con fare pensieroso. Aveva già sentito quel nome da qualche parte, o meglio letto! Si, l’aveva letto in qualche fumetto che gli aveva prestato un cliente. Un barlume di ironia dipinse il suo sguardo. * Hai una cultura dei disegni e dei fumetti non indifferente, occhi a mandorla.. Hai un punto a tuo favore. *Si voltò verso di lei, i suoi occhi color ghiaccio incontrarono quelli della ragazza. Accennò un sorriso e con voce calda e sicura disse* Non vado mai via dalle situazioni. Chi mi ha obbligato farà una brutta fine. Intanto cerco di salvare la tua reputazione. E anche la mia. Quindi accetta la sorte e non lamentarti. * La sicurezza nella sua voce diede anche alle sue mani un certo coraggio. Allungò la mano e le afferrò il fianco avvicinandola* Fallo. Ti conviene. Hyun-Ae Jang Ascoltò le sue parole in risposta al suo nomignolo e al tentato atto di sfida, poiché quel ragazzo ancora reticente non accennava ad avvicinarsi. Le labbra carnose si allungarono in un cenno di sorriso alla menzione della sua conoscenza in ambito di fumetti e manga, dopotutto si autodefiniva una piccola nerd, ma quel cenno di sorriso sparì al nomignolo che le affibiò. Dopotutto "occhi a mandorla" non era poi così tanto male, l'avevano chiamata anche in modo ben peggiore, ma il solo ricordare il passato la faceva fremere di rabbia. Fece per rispondere quando sentì la sua mano toccarle il fianco e successivamente il corpo spostarsi verso il suo, sorprendendola alquanto, tanto che gli occhi dalle pupille da gatto si sgranarono appena, fissi ancora nei suoi. Inutile dire che una conseguente fila di immagini le si pararono nella testa, immagini di un presente e un passato che non le apparteneva, ma del ragazzo che ora la cingeva a se per un ballo. Cercò di mantenere un'espressione neutra per ciò che aveva scorto, come aveva fatto per tutta la serata, capendo ora chi aveva davanti. Non era la prima volta che aveva a che fare con un droddear, ma era la prima con cui aveva una conversazione.. Decente, perciò il cuore le batteva appena più velocemente, sia per il timore che anche per l'eccitazione. Poggiò lentamente la mano destra sulla sua spalla, guardandolo continuamente negli occhi, e un sorriso più furbo e scaltro le si formò sulle labbra. < È un tango, lo sai ballare, Tengu? > Disse, guardandolo ancora e posizionandosi nella posizione adatta ad iniziare quel ballo, sfidandolo appena con lo sguardo e facendo finta di nulla, sperando di riuscire nell'intento. Non era molto brava a mentire. < Ed ho una reputazione? Non lo sapevo, ma mi fa piacere sentirlo, spero sia buona.. Ma sono curiosa della tua reputazione ora. > Blake Edward Hill * Pronunciare nomignoli e far incontrare il proprio sguardo con un altro totalmente estraneo erano davvero passi avanti in quella che sembrava essere una vera e propria fobia per Blake Hill. Toccare qualcuno sembrava un pericoloso demone da evitare a tutti i costi, nonostante egli, prima di quel maledetto momento in cui era paralizzato davanti alla ragazza dagli occhi a mandarla, aveva volteggiato con la sua futura moglie, donna che era morta a causa sua. Lui era un veleno estremo per chiunque, eppure, così tanto velenoso, ora era obbligato a mettere quella paura da parte. Era solo un ballo, uno di quegli stupidi balli che entrambi avrebbero dimenticato. Era questo che si ripeteva negli ultimi secondi mentre la sua mente, ancora segnata dalla sua vita precedente, incominciava ad immaginare un'altra persona al posto di quella ragazza. Probabilmente con quell'immaginazione sarebbe riuscito a portare avanti un ballo come si deve. Prese un respiro e la toccò. La sua presenza agghiacciante, il suo colorito pallido ed il suo tocco velenoso sembrò essere quasi sfiorito, ma non era così, perché dietro quell'essere quasi umano giaceva un veleno che aveva un odore gradevole, che era profumo. Quel toccò fu leggero, era lo stesso tocco fragile che dedicava spesso alla sua siringa di morfina, quella dose che giornalmente lo accompagnava. * Non ho mai saputo ballare un tango meglio di questo. Conosco le pause della musica. Lasciati condurre e saremo i migliori qui dentro. * Sussurrò con fare sicuro. I loro occhi si incontrarono e i loro fianchi incominciarono ad ondeggiare come mai avevano fatto prima. Gli occhi sofferenti di Blake si chiusero per un attimo. Dentro di sé l'immagine di lui e Johanna che danzavano latino-americani e che continuavano a parlare spagnolo come se fosse la loro prima lingua. Era un segreto, un segreto che però ora la donna che stava toccando avrebbe potuto vedere a discapito del ragazzo. * Non ho reputazioni, sono un ragazzo tutto tatuaggi, morte e cimiteri. Non vivo una vita normale...* La voce calda del ragazzo continuava ad echeggiare in quello spazio interminabile eppure così stretto che si era formato tra i due. La fece volteggiare appena fece una pausa nel suo discorso. L'afferrò nuovamente dai fianchi e la inclinò all'indietro. Quei passi erano la poesia muta che le labbra di Blake non aveva mai pronunciato. Ancora inclinata all'indietro, a mo' casché, Blake sussurrò * Ogni passo è vita vissuta e sogno infranto.. Hyun-Ae Jang Inevitabilmente davanti agli occhi della veggente figurarono immagini ben definite, come se fossero suoi ricordi ma non del tutto. Per lei era sempre stato difficile descrivere il suo dono, un dono che nonostante tutto lei apprezzava e non malediceva, anche se il 90% delle volte si trattava incubi orrendi, come in quel preciso caso. Appena il droddear la toccò, la prima cosa che vide fu il volto dolce di una donna che non aveva mai visto in città, almeno così le sembrava, e successivamente scorse immagini di violenza e droga che la veggente si affrettò ad escludere dalla mente, socchiudendo gli occhi e volteggiano fra le sue braccia mentre cercava di mantenere il più possibile il proposito che si era data per quella serata. Ascoltò la sua voce accompagnare i loro passi e la musica intorno a loro, concentrandosi per lo più su quest'ultima, ma la mente nonostante tutto continuava a ripercorrere ciò che aveva appena "visto". Della pelle d'oca corse lungo la pelle pallida delle braccia nude e gli occhi a mandorla si aprirono, fissandosi nei suoi al momento del caschè in modo deciso nonostante sapesse qualcosa di più sul suo conto e sulla sua natura. < I sogni si infrangono ogni giorno per tutti, ma nonostante ciò bisogna andare avanti e cercarne di più forti e grandi. È così che io sopravvivo.> Commentò forse con tono troppo basso, ma le uscirono di getto quelle parole. Troppe volte si era sentita dire che non poteva fare qualcosa o che non sarebbe riuscita a raggiungere il suo sogno, ma perché poi? Chi erano loro per decidere il suo destino? < Finché vivo e respiro cercherò sempre di raggiungere ciò che è il mio sogno. > Disse, tornando davanti a lui e non distaccando gli occhi dai suoi, stringendosi in quel ballo che ormai contagiava la veggente ancora un po' intimorita davanti a quel ragazzo dal cupo passato e molto probabilmente anche oscuro presente. Blake Edward Hill * Mille ricordi sembrarono riversarsi sulla sua pelle ed essere trasmessi alla giovane donna che stava toccando. La bellezza dell'avere un contatto con un veggente era proprio quel mistero che placava ogni pensiero, ma che leggeva ogni ricordo. Vi si stava innescando una sorta di simbiosi tra i due che entrambi non avrebbero potuto bloccare se non con lo staccarsi ed un toccarsi mai più. Come pagine sfogliate velocemente, la mente di Blake passò ogni singolo ricordo alla veggente, o meglio i ricordi più importanti che, in fondo, potevano essere letti anche sulla sua pelle tatuata, ma erano coperti dalla giacca e dalla camicia. Il giovane Hill aveva, infatti, tatuato, la maggior parte della sua vita sulla sua pelle, perché egli credeva di essere il prodotto di tutta quella sfortuna che l'aveva accompagnato addirittura fin lì, di fronte a quella fanciulla. Fortunatamente non aveva compreso chi avesse di fronte in quel momento e quali fossero le vere potenzialità di quella piccola donna dagli occhi a mandorla; fu probabilmente per questo che si sforzò a non andare via. Blake era sempre stata una persona riservata e sapere che qualcuno, in quell'istante in cui si stava sforzando a ballare, stava divorando quelle pagine di memoria a sua insaputa l'avrebbe di certo danneggiato. * Non si sopravvive sognando. I sogni, come schiuma contro una roccia, si infrangono una volta per tutte, una volta per mai più ritornare. Si vive rischiando, sempre. * Sussurrò cercando di non spostare assolutamente quello sguardo dal suo mentre rialzava la ragazza dal casché come una bambola. * Buona fortuna. * Continuò leggermente ironico una volta tornati nella posizione di base per ricominciare un'altra ottava di quel tango. Blake era davvero molto sicuro in ogni suo passo di danza, era una dote che non metteva più in atto, ma fu soddisfatto del fatto che non aveva dimenticato come attrarre una donna a sé nel ballo. Attrarre.... forse una parola grossa, ma d'altra parte si era sempre narrato nel mondo che gli opposti si sarebbero attratti. * Hyun-Ae Jang Le sue parole furono come un cubetto di ghiaccio passato sulla pelle, freddo e come se mille aghi invisibili passassero attraverso la cute pallida, ma allo stesso tempo aveva un qualcosa di attraente e piacevole. Si, decisamente stava impazzendo. Deglutì, ora nuovamente dinnanzi a lui, stretta in quel vestito da stregatta e con gli occhi resi azzurri e con la pupilla verticale da delle lenti, rendendo forse il suo sguardo meno decifrabile e di questo ne era solo sollevata. Era la prima volta che le capitava di parlare così con un droddear, e di questo ne era inconsapevolmente felice, non pensando che potesse sentirsi così attratta anche da un essere così lontano da lei, o forse nemmeno tanto. Appena si rese conto di quella consapevolezza, le dita fasciate da dei guanti neri strinsero appena la sua giacca mentre il corpo si muoveva con il suo in quella parte della canzone che non conosceva, lasciandosi condurre da lui. Si sentiva stordita da quella rivelazione e si vergognava anche, perché non poteva immaginare che dopo nemmeno un ballo di pochi minuti poteva farle quell'effetto, e invece si sbagliava. Tornò a guardare il ragazzo di fronte a lei, trovando il soprannome ancora più azzeccato, e sorrise appena, forse anche in modo un po' inquietante e prendendo coraggio; dopotutto lei era Hyun la matta, no? < Mi stai suggerendo di rischiare, Tengu? > Chiese, in tono forse più curioso, volendo sapere da lui in che modo doveva avvicinarsi al rischio. Voleva dire altro, ma non voleva rischiare di fargli sapere che sapeva di lui o di rischiare di rivelare anche lei la verità su sé stessa, non sapendo se il ragazzo avrebbe accettato di buon grado la cosa. Blake Edward Hill * Spesso il calore e il freddo venivano confusi, ma in quella situazione i brividi erano così strani che era difficile decidere quale sensazione predominasse. Probabilmente la sensazione agghiacciante date dalle parole del Dooddrear era quella dominante. Blake Hill, l’attraente spietato pezzo di ghiaccio, stava avendo un contatto con una pelle, con la pelle di una donna, dopo quasi millenni di solitudine. Egli era un vento che sferzava forte contro tutti, ma che, nella sua profondissima oscurità, aveva qualcosa di meramente piacevole. Chiunque avesse visto quella scena avrebbe detto che anche il male poteva essere attraente, perché, in fondo, Blake lo era e lo si notava da come faceva volteggiare la donna, da come era sicuro in quell’arte musicale. Gli occhi azzurri del ragazzo, come pezzi di un cielo dipinto di una lontana celeste speranza che a lui era stata privata, incontrarono gli occhi della giovane che aveva ora di fronte e tremarono come quelli di un bambino ladruncolo appena scoperto. Fragile dentro, ma con mani decise fuori. Passò una mano sul suo fianco, quasi per accarezzarla. Quello strano calore che caratterizzava la sua anima stava forse riscaldando quella del Dooddrear. La cosa sconvolgente di quell’incontro restava, però, la conoscenza che egli era riuscito a trasmettere alla giovane senza esserne consapevole: la donna sapeva chi egli fosse un Dooddrear, ma ella restava ignota. * « Si... Siamo fatti per rischiare.» * Ribadì sussurrando ed involontariamente la strinse a sé facendo volteggiare entrambi i corpi. Quel soprannome gli strappò un sorriso e scosse appena la testa cercando di nasconderlo, ma era troppo tardi. Si avvicinò, dunque, al suo orecchio. Era strano, ma quella ragazza sembrava una bambola nelle sue mani, egli riusciva a muoverla come voleva. * « Anch’io dovrei imparare a farlo...» * Continuò e chiuse per un attimo gli occhi. Non l’aveva notato fino a quel momento: la donna aveva indosso lo stesso solito profumo di Johanna.* Hyun-Ae Jang Non appena i due corpi si strinsero, per la schiena della veggente corsero dei brividi, forse dettati dalla sua conoscenza non volontaria di chi egli fosse o da quello che aveva scorto nel suo passato. O forse perché per la prima volta non veniva trattata diversamente o per le sue parole sussurrate. Si mosse ancora a ritmo di musica con quello che era il suo partner per quel ballo soltanto, poiché alla fine era per una mera coincidenza che i due si fossero incontrati e, visto il passato di Hyun, quest'ultima non credeva che si sarebbero mai più visti, dopotutto il destino era sempre stato un'entità che la coreana non era mai stata in grado di identificare. Appena si avvicinò al suo orecchio, involontariamente la veggente strinse le mani sottili sulle sue spalle, sentendo le gote arrossarsi. Perché mai stava avendo questa reazione, e perché poi con lui? Si allontanò di poco con il viso, guardandolo negli occhi con intensità cercando di tornare se stessa, rallentando finché la musica non si fermò. < Davvero? Pensavo fossi tu un esperto, quasi volevo chiederti un consiglio. > Rispose, aprendosi in un leggero sorriso strafottente, staccandosi lentamente da lui. < Beh, penso che il tuo supplizio si sia concluso. È stato tanto terribile? > Chiese, pentendosene poi il secondo dopo ma cercando di non far trasparire nulla dalla sua espressione. Blake Edward Hill * Blake aveva quasi dimenticato quella strana sensazione di provare dei brividi sulla propria pelle o di percepire quelli altrui sotto il suo tatto, d’altronde non toccava più nessuno da una vita. Quel contatto, invece, risvegliò qualcosa in lui che aveva pensato di aver rimosso per sempre: sentire qualcuno rabbrividire visibilmente faceva rabbrividire anche lui. Ed ecco un brivido lungo la schiena che colse il ragazzo alla sprovvista. Che fosse quello il destino del giovane dai lunghi capelli corvini? Che la sua vocazione fosse toccare di nuovo le persone, amarle e accarezzare le loro pelli e non marchiale soltanto con i disegni nel suo studio? Finse che nulla come tutti quei secondi intensi fosse mai accaduto e cercò di godersi gli ultimi passi di danza che avevano unito quei due tipi così bizzarri, che aveva sciolto un’anima nera e degli occhi a mandorla insieme, in un’unica strana essenza. La giovane si appoggiò alle sue spalle, quasi stringendole. Blake non se lo aspettava, per niente. Nonostante la musica finì proprio in quel momento, il ragazzo non si mosse di un solo millimetro, anzi continuò ad ondeggiare un po’, non volendo dare nell’occhio. * « Dovremmo chiedere consiglio a chi da lì Su ci governa. Sono un comune mortale. Non posso esercitare il dono del consiglio. Posso soltanto dire la mia. » * Gli occhi di un blu cielo si incastonarono in quelli della giovane. Sembrava quasi che volesse offrirle un altro ballo ed invece.... Leggermente si staccò da lei. * « Già... Terribile eppure spiacevolmente gradevole. » * Alzò un sopracciglio* « E ora se permetti... Miss China preziosa.. » Hyun-Ae Jang Forse si sbagliava, o forse no, ma il giovane davanti a lei non sembrava voler concludere quel loro ballo. Si sentì appena euforica a quella prospettiva, forse non era andata poi così male il loro incontro casuale dettato dal fato travestito da violinista. La sua euforia si frantumò non appena lui si allontanò, facendole crepare appena il sorriso che si era formato sulle sue labbra senza che se ne accorgesse. Annuí alle sue parole e si guardò le scarpe, non sapendo come allontarsi e lasciarlo andare, anche se la curiosità di conoscere meglio il ragazzo la stava divorando dentro. Forse in realtà non era proprio destino come lei credeva. Alzò lo sguardo e fissò gli occhi da gatta nei suoi, mentre il sorriso si trasmutava in uno più malinconico e con una nota di dolcezza. < Hyun.. Mi chiamo Hyun-Ae Jang. > Disse semplicemente, poiché si era resa conto che non si erano presentati all'inizio di quel ballo. Forse lui l'aveva sentito dalla presentazione della ragazza, o forse poiché non aveva nessuna intenzione di partecipare non aveva prestato troppa attenzione, ma decise comunque di ridirglielo e lasciarlo con il suo nome come ringraziamento. Si allontanò definitivamente da lui, distogliendo lo sguardo dal suo così penetrante per dirigersi verso la parte opposta della sala, non volendo sapere il di lui nome, poiché non credeva che si sarebbero più rivisti. Per la veggente sarebbe stato sempre il Tengu che aveva danzato con lei quella sera, non aspettandosi in cambio tutte quelle emozioni che non credeva le appartenessero piú.
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andreasiobhan · 5 years
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☁️ ; 𝟏𝟗.𝟎𝟔.𝟐𝟎𝟏𝟗 / 𝑜𝑛𝑒 𝑦𝑒𝑎𝑟. ( https://www.youtube.com/watch?v=GlPlfCy1urI ) 𝑪𝒂𝒓𝒐 𝑯𝒐𝒘𝒂𝒓𝒅, Se il mio vocabolario fosse abbastanza vasto da poter mettere nero su bianco tutti i miei sentimenti nei tuoi confronti senza risultare ripetitiva, probabilmente a quest’ora ti avrei scritto più di mille lettere. Ho pensato, prima di iniziare questa dedica, che mi sarebbe piaciuto rinascere scrittrice, poetessa o musicista per poterti donare il mio cuore attraverso tante parole diverse, ma sempre pregne di significato e ricche di emozioni. Sono brava con i numeri e compenso la mia mancanza di parole con dei gesti simbolici che per mia fortuna tu sei sempre riuscito a captare e a custodire nel tuo cuore. Tuttavia questa volta ho deciso di fare un passo più lungo, di andare oltre i miei limiti, di spingermi al di fuori della mia “comfort zone”, perché in un anno sono accadute tante cose e ritengo opportuno renderle indelebili. Anche quando saremo vecchi e i nostri ricordi inizieranno a diventare sfocati e flebili – specialmente i miei –, avremo questo mio scritto che ci permetterà di rivivere i nostri primi momenti insieme. So già che mi terrai la mano in quel momento e che sarò io a leggere, perché tu sarai molto più anziano di me e riserverai ogni tua energia per potermi sorridere e sussurrare nell’orecchio che mi ami tanto e che non smetterai mai di farlo.
Mi sono innamorata di te fin dal primo istante. A volte temo di dirlo pubblicamente o di raccontarlo, anzi, penso proprio di non averlo mai detto sul serio prima d’ora. Poche persone credono davvero nell’amore a prima vista, il restante giudica fatti che non gli riguardano ed è la parte che più mi disturba e mi rende insicura, quindi per evitare di sentirmi in difetto o presa in giro, sto zitta e vivo la mia vita con te e basta. Tu mi dici sempre di fregarmene, perché le considerazioni altrui non sono importanti quanto ciò che penso io di me stessa, mi sproni ad essere ciò che sono anche al di fuori della nostra bolla e mi aiuti a respirare quando mi spingo troppo oltre e mi sento a disagio. Oggi voglio fare questo passo avanti anche per dimostrarti che ti ascolto e che il tuo aiuto è ciò che di più prezioso mi sia mai stato dato. Ti sei offerto di tendermi la mano fin dai primi giorni in cui ci siamo conosciuti. Non ti ho pregato o implorato - come ho fatto con altre persone in precedenza - di starmi accanto, di ascoltarmi, di darmi importanza. Non ti ho chiesto di aiutarmi, di considerarmi o di condividere con me delle opinioni ed esperienze. Hai deciso tu stesso di esserci, di rimanere. Ti sei seduto di fronte a me in una caffetteria alle tre di notte e mi hai osservato il viso come se ci fosse davvero qualcosa di bello da guardare. Mi hai chiesto di farti vedere il tatuaggio del sole che ho sul polso ed eri contento di poterlo vedere finalmente dal vivo. Mi hai rivolto uno sguardo dolce e sincero quella notte ed era solo la prima delle tante notti che eravamo in procinto di vivere insieme. È accaduta a poca distanza dal giorno in cui mi hai scritto, quindi mi sono subito ritenuta fuori di testa, pazza e infantile, perché non credevo fosse normale e possibile ritenerti giusto e perfetto per me senza conoscerti davvero. Eppure, tra tentennii e scetticismo, mi sembrava di aver già trovato la mia persona e non avevo alcun timore a chiederti di uscire alle tre di notte. Sebbene i primi tempi io sia rimasta in silenzio riguardo il nostro rapporto che volevo fuoriuscisse come semplice amicizia, voglio che tu sappia che non vi è mai stato un momento in cui io abbia pensato di vergognarmi di te. Il mio voler attuare un comportamento da ninja è sempre stato per custodire il più possibile il nostro rapporto, perché è personale, intimo, solo nostro da vivere e di nessun altro. Ogni mia insicurezza riguardante la differenza d’età o un’altra relazione da dover affrontare dopo innumerevoli disfatte, è svanita nel momento in cui mi hai guardata negli occhi o baciata con estrema cura. La stessa cura che hai avuto nel non mancare di dolcezza ogni qualvolta mi rivolgevi (e rivolgi) la parola, nell’evitare di posare le tue mani sul mio corpo troppo presto, aspettando pazientemente il momento giusto e, soprattutto, aspettando con garbo e rispetto il mio consenso. Hai avuto cura non solo della mia mente, della mia sanità, delle mie ansie e delle mie nuvole nere, ma anche del mio corpo. Hai saputo sfiorare ogni centimetro della mia pelle con morbidezza e mi hai sempre stretta al tuo corpo come per dirmi “Se stai qui, sei al sicuro, perché non ti farò mai del male e non permetterò neanche ad altri di fartelo”. Ho cambiato quattro appartamenti, ma te lo dico e te lo dirò sempre che le tue braccia ed il tuo calore corporeo sono la casa migliore in cui io mi sia mai trasferita. E non voglio andarmene né ora, né mai, perché sei l’amore della mia vita e in questo titolo non vi è solamente un semplice connotativo da fidanzati che si amano e si dedicano delle belle parole. Sei l’amore della mia vita perché rappresenti tutto ciò che per me risiede nel significato più profondo del termine “amore”. Rappresenti ogni mia vittoria, conquista e felicità. Rappresenti la difficoltà dell’andare d’accordo con un altro essere umano, perché per quanto siamo compatibili, i momenti di sconforto li viviamo anche io e te. E sappiamo entrambi che molto spesso siamo ad un passo dal distruggerci con parole forti che neanche pensiamo. Rappresenti la mia voglia di esistere, di fare, di esserci nel mondo. Rappresenti ogni viaggio che abbiamo intrapreso per vedere altre parti del mondo che hanno arricchito le nostre conoscenze con culture nuove, diverse, particolari e meravigliose. Rappresenti ogni mio sorriso, in quanto sento di avere più ricordi felici da quando ho conosciuto te rispetto a quando sono nata. Rappresenti la mia capacità di amare, quella che credevo di non avere e che non fosse intrinseca nel mio Io, quella che temevo di non poter mai conoscere perché ogni qualvolta mi avvicinavo ad una persona, questa tendeva a volare via lontano da me. Tu non sei volato via, ti sei avvicinato sempre di più fino a farmi percepire le tue braccia intorno al mio corpo anche quando per ben due volte ti hanno spedito in Afghanistan in missione. Ti ho sentito vicino anche in quei giorni e in quelle notti. È forse lì che ho pensato di amarti davvero con tutta me stessa, è lì che ti ho nominato “l’amore della mia vita” con estrema disinvoltura, perché per quanto tu possa dirmi che ti dispiaccia avermi addossato questa responsabilità di stare con un Tenente dell’esercito americano, io questa responsabilità non l’ho mai sentita. Ho sentito solo un nodo in gola e tante pugnalate allo stomaco perché il pensiero di non rivederti faceva più male di qualsiasi altra cosa, ma il nodo l’ho ingoiato e ho messo un’armatura per proteggere il mio stomaco: ho accettato il mio ruolo in quelle situazioni ed è sempre stato più importante sostenerti, supportarti e starti vicino anziché farti vedere le mie lacrime e farti sentire in colpa per qualcosa che in realtà tu non hai voluto. Ed io ti amo profondamente per questo tuo modo di essere. Ciò che ti rimane della tua professione è quella di volermi proteggere, tenere tutto sotto controllo ed impedire che la tua famiglia stia male. Metti da parte te stesso costantemente per far sì che io sia al primo posto, ma hai trovato una persona più testarda di te. Hai trovato una ragazza a cui importa sul serio di te e ti sei sentito spaesato all’inizio, forse ti senti spaesato anche ora, ma mi piace l’idea di essere quella ragazza, mi piace sconvolgerti i piani e sorprenderti quando mi impunto e ti obbligo a metterti al primo posto, perché io non potrei mai tollerare di vederti al secondo. Sei l’amore della mia vita per una miriade di ragioni oltre a ciò che ho già citato e sono certa che mi verranno in mente solo dopo averti dato il permesso di leggere ciò che sto scrivendo, ma abbiamo una lunga vita davanti e potrei scriverti un’altra lettera quando avrò trovato il modo di raggirare diversamente le parole rispetto a queste che sto usando al momento, così da non farti pensare “Ma scrivi sempre le stesse cose?”. In realtà non me lo diresti mai, saresti il mio primo fan anche se copiassi e incollassi tutto questo il prossimo anno, sarò sempre io quella ipercritica e fastidiosa, pronta a buttarsi giù per il minimo errore. Ma non è di certo questo ciò di cui voglio trattare oggi, perché la morale di questa lettera è la seguente: sei l’amore della mia vita, perché quando ci siamo conosciuti non mi hai derisa, mi hai ascoltata e mi hai promesso che mi avresti portata in mezzo all’oceano per poter osservare le balene da vicino. Hai aggiunto anche che se non le avessimo viste, io sarei stata ugualmente felice perché mi avresti portata nel loro habitat e avrei saputo di stare vicino a loro. Alla fine le balene le abbiamo viste, hai mantenuto questa promessa per ben due volte e non posso far altro, dunque, che associarti all’oceano, che per me è sinonimo di libertà.
Con tutta me stessa, Grazie.
𝑨𝒏𝒅𝒓𝒆𝒂.
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songdae-hyun · 6 years
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[3 settembre; Seul.]
Seduto al proprio pianoforte, ancora una volta, DaeHyun cercava di mettere ordine ai suoi pensieri.
Le sue dita affusolate si muovevano, simili ad aracnidi, lungo i tasti d'avorio, lasciando che dalla cassa armonica fuoriuscisse una melodia struggente quanto celebre.
Un amante del cielo notturno come lo era l'avvocato Song non poteva non provare una particolare ammirazione per la serie di armonie composte da Frederic Chopin. Ciascuna di loro, ad ogni ascolto, pareva parlargli con una voce diversa: a volte era dolce, a volte particolarmente sinuosa, altre pareva prendere un'increspatura sognante che faceva sorridere amaramente l'uomo.
Quel giorno, però, la voce dello strumento era colma di confusione. Era la voce di una mente colma di pensieri, una mente portata all'esasperazione, turbata - il Notturno dell'opera 20 in Do minore non era mai stato eseguito in modo tanto tormentoso sul pianoforte di casa Song.
Sembrava assurdo che questa fosse l'immagine della mente di Song DaeHyun: quell'uomo di pietra, imperturbabile, quell'uomo dalle mani sporche, dal sangue amaro e dal cuore fermo - un criminale, un mafioso.
Un uomo che era stufo di essere infelice.
Un uomo la cui mente non riusciva a smettere di focalizzarsi su un unico pensiero: la delusione che avrebbe recato a suo figlio, il risentimento che rappresentava per sua moglie, la falsa speranza che aveva concesso all'unica persona che gli era vicina.
Le parole di perfetti sconosciuti gli sembravano essere l'immagine del suo cupo futuro, un futuro che aveva iniziato ad intristirsi nel momento in cui Haneul aveva scoperto chi fosse l'uomo con cui dormiva ogni notte.
Continuando a suonare, sospirò. Patetico, impotente, era solo un guscio vuoto dell'uomo che recava disagio con la propria sola presenza.
«Mi domando come sia possibile che tu riesca sempre a migliorare, DaeHyun.» la voce di Song DongSun lo riscosse dai suoi pensieri.
«Nonno, benvenuto. Chiudi la porta e siedi, per favore.» la voce stanca, sulle corde vocali la sensazione di parlare per la prima volta dopo mesi. E, forse, era ciò che avrebbe effettivamente fatto durante quel colloquio.
Finalmente, avrebbe parlato.
«Guardati-» la voce dell'anziano si fece tradire da un amaro sbuffo divertito mentre prendeva posto su una delle poltrone, lo sguardo rivolto al musicista «sei in condizioni orribili e preserveri nel voler parlare solo di lavoro. Dovrei preoccuparmi di mio nipote, non credi?»
«Potrai farlo rispondendo alle mie domande. Vedi questo come un colloquio personale, se più ti aggrada.»
Esitò sulle ultime note della melodia, lasciando l'ultima cadenza con un'amara sospensione.
Il silenzio, ormai fattosi denso riempì per pochi dolorosi secondi la stanza.
Quando la voce del maggiore lo ruppe, fu cauta - come per paura di spaventare una creatura indifesa con rumori troppo forti.
«Poni, dunque.»
«Cosa sai degli altri clan qui presenti?» la domanda arrivò diretta, il tono era rotto come le falangi che ripresero a suonare qualunque cosa la sua mente fosse in grado di formulare in quel momento.
Sorrise amaramente quando riconobbe il primo movimento della Sonata in La minore di Schubert.
«Dovresti essere più specifico.»
«Una famiglia mafiosa.»
«É uno dei clan qui presenti a Seul. Non abbiamo mai avuto reali problemi con loro. Spero tu non abbia intenzione di crearne.»
A quell'ultima affermazione, DaeHyun scosse la testa. Non aveva intenzione di creare problemi. Non in quanto figlio dell'ex boss locale.
«Cosa sai dirmi di loro?»
«Sono dei veri figli di puttana. So che c'è un erede, ma non so il suo nome; non sarà diverso da un qualunque bambino viziato.»
I primi accordi dell'Andante furono decisi, i denti del pianista affondarono nelle sue labbra con prepotenza.
Poi la domanda.
«Come tiro fuori qualcuno da lì?»
A quelle parole, l'anziano aggrottò le sopracciglia. Ebbe cura di alzare la voce, seguendo il crescendo incalzante della musica.
«Cosa vorresti dire?»
«Esattamente quello che ho detto.»
«Ma perchè dovresti!»
«Perchè lo esigo!»
Ultima cadenza, fine secondo movimento.
Silenzio.
«Chi è?»
«Un tale.»
«Chi è per te?»
«Una persona. Hai intenzione di rispondermi?» il tono scocciato dell'avvocato si fece sentire, secco, duro. Per un attimo, sembrava che quel guscio vuoto fosse ancora colmo della stessa forza per cui era conosciuto.
Gli occhi sgranati, un sospiro spaventato.
«Potere. Quando diventerai boss locale-»
«Non lo farò.» Un'altra risposta secca.
Questa volta, il selenzio a seguire fu teso.
Profondo lungo.
Una decisione che era stata presa, ormai.
Dopo le battaglie, dopo ciò che aveva perso e nulla vinto.
Non era codardia, non era resa.
Era stanchezza.
«Stai scherzando?»
«No.»
«Hai la strada spianata per il potere, per la vetta, DaeHyun. Vuoi rimanere piccolo a vita?» la voce di Song DongSun era alta, il tono irato - il volto contratto in espressioni eloquenti.
«Voglio smettere di essere qualcuno.» la risposta fu calma. Sfibrato, DaeHyun non aveva che poche forze per lottare. Le ultime, le avrebbe usate per trascinarsi fuori da lì - a costo di doverlo fare sui gomiti.
«Sei del tutto impazzito-» una risata senza gioia uscì dalle fauci dell'uomo, « - devi esserlo. Prenditi una pausa, sei stanco. Poi prenderemo un colloquio con tua madre e-»
«Ho detto di no. Non vi sarà alcun colloquio, non vi sarà niente.»
I due uomini, ora, erano in piedi, uno di fronte all'altro. La natura composta dei loro corpi era del tutto sfigurata davanti alle loro voci, al loro gesticolare concitato, ai loro volti.
«Cosa diavolo ti è successo, DaeHyun? Devi svegliarti! Non si tratta di dare le dimissioni, si tratta di rompere un giuramento! Morirai, la tua famiglia morirà. Tuo figlio, tua moglie!»
«È per loro. Io non riesco. Non posso guardare negli occhi mia moglie, non potrò tenere mio figlio tra le braccia! Non riesco a sopportare le occhiate di Haneul, la possibilità dell'odio di mio figlio.» la sua voce tremava. La rabbia, ciò che aveva tenuto dentro per troppo tempo.
Mai aveva avuto tanti affetti, mai si era sentito così solo.
«Tu non volevi nemmeno un figlio!»
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emme-malcolm · 6 years
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Audubon Park
13/12/17
Malcolm: New Orleans è una città in cui la religione e le tradizioni sono fortemente radicate, confessioni diverse convivono insieme e si mescolano in commistioni particolarissime che forse è difficile trovare in altre parti del mondo. Quando una città come questa si prepara al Natale tale clima e tali intrecci diventano probabilmente ancora più evidenti. In uno degli angoli di Audubon Park vi è un piccolo spiazzo realizzato a mo’ di anfiteatro; questo posticino da circa una mezz’oretta richiama la curiosità di chi si trova a passare dalla parte di Audubon Park che affaccia sul St. Charles Avenue. Dal piccolo anfiteatro, dove sono raggruppate un po’ di persone per lo più in piedi, provengono melodie nello stile dei Christmas Carol, ad opera di un coro unitosi appositamente per questa occasione e formato da ben tre confessioni diverse: ci sono i cattolici, i metodisti e i presbiteriani. La “Corale Natalizia St. Charles”: così è chiamata, a giudicare dall’unico cartellone appeso nelle vicinanze. A simbolo della fraternità cristiana riempiono l’aria circostante di musica e canti, accompagnati da qualche musicista fra organo, violino, chitarra e percussioni varie. È senz’altro piacevole ascoltarli e se proprio a qualcuno non piace basta passare oltre; ma a New Orleans le strade sono piene di artisti che suonano dovunque, seppure questa specie di piccola manifestazione ecumenica natalizia sia qualcosa di più elaborato di una “semplice” esibizione di strada. Insomma, sono attrezzati, preparati. Fra coloro che stanno assistendo a questa esibizione, un po’ in disparte, c’è il nostro asciutto giornalista che se ne sta poggiato con un lato del corpo ad un lampione oramai acceso ed osserva tutto, con sguardo attento ed acuto, quanto serio, apparentemente algido e tutt’altro che nello spirito natalizio. Aspetto curato ed abiti eleganti ma sobri: tutto come al solito insomma. Indossa un completo scuro formato da giacca e pantaloni, una camicia bianca e una cravatta amaranto, affatto vistosa nonostante il colore. Il coro che ha da poco terminato un canto annuncia il super classico “Silent Night” che, ammettiamolo, nel periodo di Natale è sempre bello ed emotivamente coinvolgente da ascoltare.
Abbie: Due passi senza la lupa se li concede ogni tanto, soprattutto se manca poco all'inizio del turno al Dipartimento: una figura alta marziale, con le spalle larghe e i muscoli ben definiti e armoniosi nel complesso, che cammina lentamente alternando lo sguardo chiaro tra il bicchierone di cioccolata calda fondente che tiene nella mano sinistra e la gente che incrocia. Indossa un paio di jeans blu scuro aderenti che vanno ad infilarsi in un paio di stivali poco più alti della caviglia, un t-shirt bianca e un pullover color carta da zucchero che fa capolino da sotto la giacca dal taglio militare in panno blu scuro. I lunghi capelli mossi e ramati sono lasciati sciolti sulle spalle e alcune ciocche ricadono sul volto chiaro illuminato dagli occhi verdi che sono sottolineati da un leggero tocco di mascara e eyeliner. Nessun gioiello, se non un braccialetto della fortuna azzurro al polso destro e niente borsa: chiavi, iphone, documenti, qualche banconota e attrezzini vari sono sparsi nelle tasche della giacca. Alza il bicchierone e lo porta alle labbra sorseggiando soddisfatta quella cioccolata densa che, dopo giorni di ricerca, è riuscita a trovare in uno dei chioschetti del parco. Sono i Christmas Carols che provengono dall'anfiteatro poco distante a distoglierla dai suoi pensieri "natalizi" ed inarca vistosamente il sopracciglio destro: incuriosita decide di andare a vedere cosa sta succedendo e aumenta leggermente il passo andando proprio in direzione dell'anfiteatro e della gente che si è ammassata attorno alla corale. L'oscurità della sera le rende tutto un po' più difficile, ma osserva attenta le persone presenti, sempre alla ricerca di eventuali pericoli, ma tra quelle nota la figura di Malcolm che le dà le spalle, ma che pare riconoscere ed è proprio in quella direzione che decide di andare.
Emmeline: In prima fila, all’estremo sinistro di quell’anfiteatro ricavato nello spiazzo, giusto davanti al gruppo di soprani che finiscono di intonare la loro parte con i contralti lasciando spazio ai tenori ed ai bassi, se ne sta la rossa dai capelli raccolti con l’immancabile fermaglio vintage a forma si libellula. E’ totalmente rapita dalle voci di quegli uomini, tanto da farle piegare il busto in avanti poggiando i gomiti sulle ginocchia mettendo il mento nei palmi delle mani sollevate. Un paio d’occhi color neve ficcati in ognuno di loro, la cravatta vinaccia che penzola in mezzo alle gambe infilate in un paio di calzoni classici blu dentro ai quali s’infila una camicia azzurro polvere; la giacca classica è sbottonata lasciando intravedere il riflesso metallico dell’oro del fermacravatta che le tiene addosso quella mezza lunghezza di cravatta affatto femminile, la sua lunghezza, la punta che finisce oltre la cintola ed il bottone dei calzoni fa apparire palese che sia un accessorio indubbiamente maschile. Il nodo davanti al collo è impeccabile, una precisione meticolosa ed attenta, una compostezza naturale perfino in quella posa rannicchiata; osserva ed ascolta mentre alza un indice per sfregare l’interno dell’occhio sinistro in un riflesso di cui non è affatto cosciente così come sembra non essere cosciente di tutto quello che la circonda, solo lei, il coro ed il proprio profumo di pesca cui si è aggiunta una nota di cannella, portato via da qualche soffio di vento.
Malcolm: Lui si trova in disparte, dicevamo, quindi certo non in prima fila, venendo così ad essere piuttosto distante da Emmeline che invece è proprio rapita da tutta quest’atmosfera di pace, fratellanza e bellezza che si può respirare fino a dove arrivano le voci della Corale St. Charles. Addirittura lei sta lì dove, prevedibilmente, ci sono per lo più familiari o amici delle persone coinvolte, nonché gli organizzatori. Uno spettacolo piccolo piccolo. Malcolm invece sembra quasi non voler essere coinvolto da quest’atmosfera, mantiene la sua apparenza austera ed infrangibile, ma è anche lui attento all’esibizione di fatto, quindi per ora non ha notato – ahinoi – la testa rossa in prima fila. I suoi sensi però sono costantemente all’erta, come racconta anche quella tensione perenne che sembra portarsi dietro nella rigidità del portamento, dell’atteggiamento. Poco dopo l’inizio della soave Silent Night avverte dei passi sul selciato, in avvicinamento dietro le sue spalle; il che significa automaticamente, per lui, voltarsi a scrutare chi sta arrivando. Deformazione professionale diciamo. Tiene le braccia conserte sul petto, come prima, anche quando si gira e si ritrova ad inquadrare Abbie. Non si sono presentati in quel tardo pomeriggio, ma il nome e il cognome sono le ultime cose che interessano Malcolm; se la ricorda bene eppure non manifesta alcuna sorpresa nel ritrovarsela lì, la squadra con quella specie di fredda educazione e discrezione che ammanta la sua figura. Le rivolge pure un lieve cenno di saluto, andando un attimo dopo a dire a voce bassa, dal timbro un po’ graffiante: <Buonasera> un saluto formale, di mera cortesia, niente di più.
Abbie: Raggiunto l'anfiteatro posa lo sguardo chiaro su chi è seduto ad ascoltare la corale senza cercare qualcuno in particolare, ma un particolare attrae la sua attenzione: il fermaglio a forma di libellula di Emmeline. Socchiude per un istante gli occhi pensierosa, infila la mano destra nella tasca della giacca e la chiude stringendola a pugno per alcuni istanti, ma il tutto dura poco più di una frazione di secondo, tanto che la mano destra scivola fuori dalla tasca con l'iphone: lo sblocca con l'impronta del pollice e scrive velocemente un messaggio. Risistema il cellullare nella tasca e punta dritta verso la figura di Malcolm che, in quel momento si gira: gli sorride sincera, un sorriso lieve, ma non freddo e risponde al suo saluto solo quando lo raggiunge affiancandosi a lui «Buonasera» la testa accompagna le parole con un elegance inchino e resta anche lei in silenzio per alcuni istanti, il tempo che finisca il pezzo. Incrocia le braccia al petto tenendo la sinistra sopra la destra così da avere a portata di mano il bicchierone fumante da cui, ogni tanto beve un sorso di cioccolata calda. Quando il coro prende una breve pausa tra un pezzo e l'altro si volta di nuovo verso Malcolm «anche lei qui?» chiede osservandolo attenta, come suo solito, senza insistenza.
Emmeline: Un momento di completa pace e la sensazione che in quel breve istante non potrebbe esserci mai nulla capace di turbare la tranquillità dell’intera città quasi quelle voci fossero capaci di spargere un’aura di benevolenza e fermare il tempo in quell’atmosfera, in quella bolla nella quale la Bowen si è rinchiusa molto volentieri. Non è dato sapere come diavolo abbia fatto a conquistarsi quel posticino “d’onore” ma se lo sta godendo in ogni sfumatura possibile, quasi con l’attenzione tipica dei bambini che rimangono imbambolati di fronte a qualcosa che li colpisce in ogni modo possibile. Ed è in quella calma, in quell’evasione conquistata che si scuote d’improvviso con un balzo che le fa scattare la mano destra all’interno della giacca tirando fuori dal taschino un iPhone illuminato. D’un tratto è chiaro, visibile ed evidente come non mai l’irrigidimento improvviso di quel corpo lungo e sottile sotto la stoffa blu, il modo in cui le spalle si stringono contro il corpo, il collo che si allunga e le dita delle mani che si chiudono con forza. E’ uno scatto pieno di forza quello che la fa voltare con un paio d’occhi chiari spalancati a scorrere famelici tra luci ed ombre dietro di lei senza cogliere nulla, forse cercando l’ombra sbagliata. C’è un terrore privo di filtro nel suo sguardo, senza nessuna maschera e nessun velo, deglutendo a vuoto prima di tornare sul cellulare per scrivere brevemente, incapace di tornare alle proprie spalle se non dopo qualche istante mentre la mano tremola a lasciare di nuovo il cellulare dentro al suo taschino. Ora si volta più lentamente, senza far scuotere i capelli, l’orrore è andato dentro allo sguardo, dentro alla pupilla e stavolta riesce a scorgere almeno la figura di Abbie illuminata dalla luce artificiale del lampione. Non si accorge di Malcolm ma sembra che il saluto della mano sia anche per lui in qualche modo. Torna a recuperare la cartella color cuoio, esattamente come le oxford impunturate che porta ai piedi, tira fuori da sotto il sedere un libro dalla copertina scura e si avvia verso di loro, col braccio piegato e la copertina del libro premuta contro il petto poco fornito, contro la cravatta di seta vinaccia.
Abbie: Sorseggia ancora la cioccolata che ormai è alla fine a scaldare solo più il fondo di quel bicchiere di cartone da passeggio. Socchiude ancora gli occhi e reclina leggermente la testa all'indietro per fa scivolare quel "nettare" divino lungo il bicchiere. Riporta la testa e la figura in posizione più consona e rilassa il braccio destro lungo il fianco, una volta riaperti gli occhi nota il gesto di Emmeline e risponde a quel gesto alzando il braccio destro a sua volta. Non toglie lo sguardo chiaro dalla figura della rossa notandone il fare decisamente poco tranquilo e scuote leggermente la testa, ma non la lascia sola un solo istante passsando allo "scanner" tutte le persone che le sono vicine e andando a cercare anche oltre l'anfiteatro eventuali possibili "problemi" da debellare sicura che da quella posizione Emmeline non si possa accorgere della sua perlustrazione visiva del luogo. Resta al fianco di Malcolm e, in quel momento, la corale riprende a cantare: l'atmosfera natalizia torna ad impadronirsi della zona, ma non della scozzese che sembra non riuscire a farsi trasportare da tutta quella gioia per il Natale e dai preparativi per quella festa che, in realtà ama particolarmente, ma non quest'anno.
Emmeline: “We wish you a merry Christmas” sembra quasi darle un calcio nel di dietro svegliandola da quel suo stato sospeso di irrequietezza residua e facendola praticamente trottare verso di loro. No si accorge di quella scandagliata maniacale dell’altra rossa nei confronti dell’ambiente circostante e delle sue vicinanze, non riesce a notarlo per la distanza o forse per quell’errore che le sfugge di tanto in tanto, quella distrazione fatale da ragazzina che le è rimasta addosso per un qualche motivo, una delle piccole cose che rendono innegabilmente “giovane” perfino rispetto alla sua età, sfumature di un’altra Emma forse «Buonasera signori» e tuttavia arriva con una certa formalità, una baldanza composta ed elegante senza forzature, un’affermazione da manuale per certi contesti e con quella sfumatura personale di cordialità, il tono di voce profondo ed accomodante. Con un sorriso a labbra strette da infilato l’attenzione anche su Malcolm rivolgendogli un cenno della testa fulva mentre su Abbie lascia scivolare un’occhiata sospesa. Quell’accenno di sorriso non è il suo solito degli ultimi giorni, come fosse tornata in sé, una sé precedente che la poliziotta conosce bene
Malcolm: Dopo essersi scambiati quel saluto con Abbie ognuno torna nella propria attenzione all’esibizione del coro; Malcolm torna a poggiarsi lateralmente contro il lampione, con le braccia conserte – all’anulare della mano sinistra è visibile sempre la semplice fede d’oro – a scrutare qua e là i componenti della corale, i passanti che di certo non mancano, il piccolo pubblico. E talvolta getta qualche rapida occhiata anche ad Abbie che sorseggia la cioccolata, così tanto per studiarla. Un solo taciturno cenno affermativo del capo per dirle che sì, anche lui qui. Si accorge di Emmeline solo quando vede una mano che sventola per aria nella sua direzione: aggrotta appena la fronte, trovando strano un tale “trasporto” rivolto a lui dato che si conoscono a malapena, per cui si volta di nuovo e trova Abbie a ricambiare. Era per lei dunque, si conoscono. Emmeline prende le sue cose e svicolando nel pubblico prende le distanze dalla corale, avvicinandosi al duo in disparte. Ci sono dettagli che non manca di notare, come il fatto che Emmeline indossa sempre (?) delle cravatte. Stesso fermacravatte in oro, stesso fermaglio a forma di libellula, stessi accostamenti arditi ma comunque piacevoli di colori. Anche su Abbie ci sono dettagli che ha notato, non preoccupatevi. <Buonasera Miss Bowen-Emma-Bowen> un saluto formale quello del giornalista, eppure condito da una strana ironia, molto vaga, quasi spiazzante vista l’estrema sobrietà nei modi. Un’ironia che rimanda alla presentazione della giovane in stile “Bond, James Bond”; eppure non una traccia di sorriso o di distesa apertura si rinviene sul volto marmoreo. Si sistema rapidamente il nodo della sua cravatta, un gesto consueto, affatto necessario dato l’ordine diremmo maniacale che caratterizza la sua figura. Intanto “We wish you a merry Christmas” risuona, quasi alla fine.
Abbie: Segue ogni singolo passo e movimento di Emmeline attenta, così com'è attenta alle persone che sfilano loro accanto e quando la Rossa li raggiunge e saluta formale la osserva per alcuni istanti soffermandosi su quel sorriso che la Rossa le regala «Emma» la saluta così con un elegante cenno della testa per poi accartocciare il bicchiere di carta che teneva nella mano sinistra facendolo diventare quasi una palla pronta ad essere cestinata. Istintivamente si volta a cercare la reazione di Malcolm al saluto della rossa, i due si conoscono e fin qui ci siamo, ed inarca il sopracciglio destro al sentire Malcolm ripetere il nome di Emma alla James Bond, quindi sorride e sussurra ad entrambi con palese ironia «qui l'unica che potrebbe presentarsi in quel modo sarebbe la sottoscritta per validi e innegabili motivi di nascita» e sfoggia tutto il suo accento scozzese in quelle frasi appena sussurrate per non disturbare troppo l'ascolto dei Carols natalizi. Torna poi in silenzio restando in piedi con la schiena bella dritta, le spalle larghe e le gambe leggermente divaricate in cerca di stabilità e comodità. Mancano solo più le mani dietro la schiena per completare quella posizione da militare che per forza d'abitudine assume spesso, ed è questione di qualche attimo che distende entrambe le braccia e porta le mani ad incrociarsi alla base della schiena chiudendo la mano destra sulla sinistra chiusa a sua volta su quello che resta del bicchiere di plastica. Solo a quel punto si rende effettivamente conto che lei e Malcolmnon si sono mai presentati, ma decide che non è ancora arrivato il momento e, semplicemente alterna lo sguardo tra Emmeline e Barnes per alcuni istanti.
Emmeline: Le capita di allargare appena le narici e di stendere un tantino di più il sorriso in quelle labbra strette luccicanti di lucidalabbra allo stesso sapore del profumo che a questo punto avrà investito l’ironico giornalista attempato, un guru o un vero totem per alcuni, e l’altra rossa in versione chioccia. China la testa da un lato avvicinando il mento appena appuntito, che toglie l’altrimenti totale rotondità al viso bianco, alla spalla destra per poter mandare un’occhiata sottile al vecchio Barnes, qualcosa di vagamente divertito e affatto intimidito dall’atteggiamento così composto e scostante dell’uomo «Oh suvvia, Bond è ben lontano dall’essere patrimonio esclusivamente nazionale, è un bene dell’umanità e per tal ragione ne possiamo fortunatamente fruire tutti…» ci pensa su mandando lo sguardo da un lato, su nessuno dei due «… il ché si, forse potrebbe accrescere un certo orgoglio nazionalista che tuttavia io non incoraggerei ulteriormente, assai pericoloso di questi tempi» la sua personale visione, nonché rivendicazione di potersi ispirare a quel personaggio venuto fuori dal nulla. La musica è alle sue spalle ma non per questo meno presente, la ascolta e la respira «Quest’anno il Natale mi è praticamente piombato addosso» se ne va a dare un’occhiatina a Abbie «Cuocerò il mio primo tacchino, in barba agli animalisti»
Malcolm: Si ritrova dunque alle prese con due teste rosse, entrambe conosciute, una poco più dell’altra. Le studia silenziosamente, al di là di quel saluto formale e ironico nello stesso tempo. Si limita ad ascoltare e le lascia parlare di James Bond; ascolta ma i suoi occhi sono tornati di nuovo intensamente sulla Corale che ora ha appena cominciato a cantare “Shepherd’s Pipe Carol”, intrecciando sapientemente voci maschili e femmili. Voci che creano già tanta musicalità tanto da non aver bisogno di molto accompagnamento strumentale. Pur senza rivolgere lo sguardo alle due, interviene con un commento il cui tono è difficile da decifrare: <Tecnicamente la legislazione degli Stati Uniti protegge ancora i diritti d’autore su James Bond. Per un’altra ventina d’anni se non ricordo male.> preciso e serissimo nell’inserire questa specifica in un discorso leggero. Per il resto tace, prestando apparentemente tutta la sua concentrazione all’ammirevole lavoro di quella corale. Il suo silenzio si protrae a lungo, non intellegibile per i più visti i modi granitici, poi così d’improvviso, proprio come per il commento su James Bond, riapre bocca: <Come mai era in prima fila Miss Bowen?> e dato il tono di voce perennemente serio può sembrare quasi una domanda critica, ma in realtà il suo è solo un intento conoscitivo. Poi che abbia un fare indagatore è tutto un altro discorso.
Abbie: Lo sguardo chiaro scivola sulla corale che continua nella sua performance e le strappa un lieve sorriso, in fin dei conti la bambina che è in lei è contenta che sia Natale, ma non vince sulla versione Scrooge della scozzese. Quando Emmeline torna a parlare riporta veloce lo sguardo sul volto della Rossa sorridendole ancora per poi arricciare vistosamente il naso «io sono fortemente nazionalista Emma» ammette pronta senza troppi giri di parole «ma non sono pericolosa» slega le mani dall'intreccio dietro la schiena ed alza le mani in segno di resa «forse» sussurra con lieve tono ironico, quindi annuisce in sua direzione «beh direi che è un dolce peso da sopportare no?» chiede riferendosi al Natale «se mai dovesse servirti una mano col tacchino non potrò esserti d'aiuto, ma hai tutto il mio appoggio morale» intanto che parla fa salire la mano destra a chiudere la zip della giacca in panno blu dal taglio militare andando a coprirsi il collo: non si è ancora abituata all'umidit di New Orleans e la cosa inizia a darle particolarmente fastidio. Al sentire le parole di Malcolm si volta verso il giornalista e lo osserva attenta «interessante» commenta al sentire la spiegazione sui diritti d'autore, quindi abbozza un lieve, ma sincero sorriso e prende in mano la situazione presentazioni «non ci siamo ancora presentati» fa una breve pausa e, lasciando ancora che sia il suo forte accento scozzese a prendere il sopravvento «Abbie Fionnghal» accompagna le parole con un elegante cenno del capo allungando la mano destra pronta a stringere quella di Malcolm. A interrompere le chiacchiere e quel momento natalizio ci pensa il cellulare che vibra, rigorosamente senza suoneria, nella tasca destra della giacca: la mano destra scivola veloce all'interno della giacca e prende l'i-phone sul cui schermo è chiaramente leggibile NOPD Centrale, il lavoro. Alza lo sguardo sui volti di Emmeline e Malcolm e si rivolge ad entrambi «scusatemi» fa una breve pausa «mi allontano un attimo per rispondere» abbozza un sorriso sincero ad entrambi e si volta dando loro le spalle prima di fare qualche passo allontandosi da loro e rispondere al telefono restando in disparte, a quanto pare la telefonata è lunga.
Emmeline: Continua a tenersi addosso quel libro che è ben lontano dall’essere nuovo a giudicare dallo stato delle pieghe di quella costola che tiene la copertina appena consumata in qualche punto dei suoi angoli; tra le dita che se lo tengono in braccio spunta la seconda parola del titolo in rosso “Royale”, probabilmente una delle classiche letture natalizie ricorrenti della giovane Bowen «Oh bene, avrò da stare tranquilla per un altro po’» accoglie l’informazione aggiuntiva con quell’improvvisa distrazione che viene a salutarla a fasi alterne, rendendola di tanto in tanto conscia della cosa e per questo fortemente infastidita nel corrucciare la fronte mentre torna ad osservarli entrambi rimanendo per metà davanti ad Abbie e per l’altra metà davanti a Malcolm «Dichiarazione mendace, tu sei pericolosa ed io lo so benissimo, avrei potuto crederci un paio di settimane fa forse, forse ci saresti riuscita ma ora…» scuote la testa e la china per ringraziare del pensiero solidale «Ho deciso di fare una prova e vedere se riesco ad intossicare tutta la redazione… se sopravvivono loro allora potrò tranquillamente cucinare a Natale» colleghi come cavie, forse la rossa Emma non è propriamente lo spirito natalizio fatto ragazza ma per lo meno ci mette della buona volontà. Si stringe nelle spalle e d’improvviso alza le sopracciglia e si volta ad osservare il posto che aveva occupato «Le vede quella bellissima signora anziana coi capelli bianchi che era seduta accanto a me? E’ la nonna di due nipoti, rispettivamente un tenore ed un soprano, la loro famiglia è piena di cantanti e musicisti da generazioni e mi ha raccontato che un suo parente era addirittura tra gli sfortunati musicisti del Titanic» per farla breve «Mi ha offerto un po’ di posto vicino a lei e io mi sono seduta» annuisce ad Abbie dopo aver lasciato spazio alle presentazioni, un rituale che lei osserva con attenzione maniacale nel confronti del giornalista rimanendo in silenzio con quell’aria sospesa e leggera «Uh salutami Jason, digli che lo intreccio la prossima volta che lo vedo, anzidiglichelofaraitealpostomio» tutto d’un fiato mentre l’altra si allontana e lei si appresta a prendere il suo posto di fianco a Barnes «Fantasma del Natale passato, presente o futuro?» una domanda che lascia lì, vacua, come non volesse in fondo indagare nulla, senza senso
Malcolm: Non aveva fretta di presentarsi nei riguardi di Abbie tanto quanto non reputava urgente conoscere le sue generalità, ma dato che lei lo fa presente, il giornalista ricambia attenendosi all’impeccabile quanto distaccata educazione che lo caratterizza. Si volta e pur con un momento di esitazione ricambia la stretta rapidamente, senza dare l’impressione di amare così tanto il gesto comunque; <Malcolm Barnes> fa specchio col suo nome e il suo cognome. Getta solo un’occhiata fugace allo schermo del cellulare di Abbie, la cui vibrazione la induce ad allontanarsi. Non che il portamento militare e il fisico della donna lasciassero molti dubbi, ma ora la sua professione è definita meglio. Poliziotta: un altro tassello in più fra quelli che Malcolm ha già raccolto. Certamente lui è molto più taciturno di Abbie ed Emmeline; non si sa quanto volentieri ascolti gli altri. Comunque dopo che Abbie si è allontanata, restano solo Emma e Malcolm. Lui di rado ora scruta la giovane collega, resta statuario rivolto al coro sebbene lo sguardo vaghi anche su tanti altri volti. La corale conclude il canto precedente e dopo una breve pausa, mentre Emmeline pone quella domanda, annuncia e comincia un canto, un altro Christmas Carol, chiamato “All Bells in Paradise”. Ora o Malcolm non ha realmente sentito quella domanda oppure la sta evitando facendo finta di non aver ascoltato, distratto profondamente da questo Carol che risuona e che sembra sinceramente rapirlo più degli altri. Una luce indefinibile percorre i suoi occhi, mentre il volto comunque resta rigido, i lineamenti affilati e segnati dall’età aiutano a definire quell’impenetrabilità. Se Emmeline guardasse giusto un minuto dopo l’inizio di quel Carol potrebbe vedere bene che quella luce nello sguardo ora è diventata acqua negli occhi chiari e glaciali di Malcolm, le labbra sono appena più strette, segno di un animo profondamente toccato. Tanto che poi quell’acqua scivola oltre le palpebre e scende silenziosa a forma di un paio di gocce lungo le gote.
Emmeline: Il tempo scorre, lei si limita a leggere ogni cosa le capiti sotto allo sguardo pur mantenendo quella leggerezza che la farebbe apparire placidamente distratta, forse nuovamente immersa nell’ascolto o forse persa in qualche sua elucubrazione mentale. Il contatto delle mani è profondamente diverso, la mano decisa ed incisiva di Abbie e quella reticenza del giornalista che non può evitare di cogliere, un dettaglio su cui chiude gli occhi per un paio di secondi prima di tornare al viso dell’uomo rimanendovi a lungo, voltandosi solo nell’istante del cambio di brano. Il suono che scaturisce è delicato eppure pieno, di nuovo le voci che si mescolano e le varie parti che si sciolgono l’una dall’altra per poi incontrarsi di nuovo, un equilibrio di volumi tra le voci. Il silenzio le lascia il tempo per respirare, per osservare il coro e poi tornare sul viso segnato dal tempo di Malcolm andando a cogliere quell’istante così profondo, così personale su cui gli occhi della rossa si posano con una delicatezza che s’accentua fino a nasconderli per metà dietro una cortina di ciglia socchiudendo le palpebre. Scruta solo per un momento in più la consistenza delle gocce, il percorso che bagnano su una pelle non più distesa e poi, tra le pieghe di quel viso risollevando le palpebre inspirando la propria sorpresa, non l’imbarazzo di quella particolare esternazione ma l’incapacità di cogliere la motivazione di quella che le sembra un’impellenza troppo grande. Non c’è niente nel viso, il viso può rimanere fermo, immobile a mascherare ciò che gli occhi non riescono a nascondere; deglutisce a vuoto battendo le palpebre lasciando sfuggire una sorta di singulto strozzato prima di abbassare il viso nascondendolo dietro l’onda di capelli rossi che infine si raccoglie sopra al suo orecchio. Nessuna risposta, nessuna domanda ad importunarli, solo la fine delle voci lievi ed una sensibilità che lo lascia nell'intimità di quell'istante.
Malcolm: Sta poggiato al lampione e con le braccia conserte il giornalista, la mano sinistra è quella che domina l’incrocio. Se ne accorge un po’ in ritardo, ma se ne accorge di quelle poche lacrime impertinenti e, facendo prioritaria la compostezza più severa, la mano sinistra corre ad asciugarle, in un gesto veloce che vorrebbe non dare nell’occhio, inconsapevole davvero che Emmeline ha già avuto modo di vedere tutto. Non osa neanche voltarsi verso la rossa a verificare. La mancina torna a comporsi insieme alla gemella in quella postura, ma il pollice giocherella ripetitivamente con la fede al dito, mentre il Carol scorre delicato e solenne nello stesso tempo verso la fine. Quando su quello spiazzo la musica dell’organo e il canto terminano, lasciando spazio agli applausi puntuali del pubblico, il giornalista sembra tornare con i piedi per terra, abbassa appena il capo e tira leggermente su col naso, facendo finta di nulla. In ultimo istintivamente ripete quel suo gesto consueto di riassettare il nodo della cravatta, prima di tornare su Emmeline: <Una storia interessante. Quella della signora.> stringe le labbra e assente con un cenno misurato, come se il discorso fosse stato portato avanti giusto un attimo prima. <Si sono riunite tre chiese di confessioni cristiane diverse. Tutte si trovano lungo St. Charles Avenue; è una zona ricca di edifici religiosi. Un bell’esempio di ecumenismo non trova?> indaga l’opinione dell’altra a riguardo, ignaro comunque della fede di Emmeline che in linea di principio non conta molto per lui. Però si informa lo stesso: <Lei ha una qualche fede?>
Emmeline: Asciugare, respirare, tornare nella propria compostezza senza dimenticare quel dito, esattamente il pollice che stuzzica e fa scivolare l’anello attorno alla carne del dito; sente ogni cosa, la distingue dalla musica, la estrapola dai suoni di sottofondo, dapprima quasi con precisione meccanica ed asettica e poi sciogliendo tutto in un profondo respiro che le preme la stoffa della camicia contro il corpo, il libro contro il corpo, tuto il resto contro il corpo. Prendendo un nuovo respiro lascia separare le labbra tuttavia senza lasciar uscire un solo suono, un paio di labbra sospese che vengono salvate dalle considerazioni di Barnes mentre lei rimane rivolta verso il coro ed il suo pubblico lasciando la possibilità al giornalista di potersi voltare se lo volesse ed osservare un profilo lungo e dritto, una serietà placida che ricalca quel riguardo che gli ha riservato i un istante così personale. Eppure «E’per lei?» la canzone forse, o più probabilmente il pensiero, la voce è talmente sottile e fioca, una piuma che s’insinua appena nelle orecchie altrui ed il timbro profondo ma leggero da un far pesare le parole nella loro intonazione interrogativa quanto piuttosto sottolineando la delicatezza del pensiero. Ha un’accortezza ed una cura, una gentilezza tali da poter svelare una sensibilità molto più spiccata di quanto voglia far intendere, una capacità di sentire. Nel frattempo una parte di sé scivola via dalla pelle calda, ha sollevato la mano libera per infilare le dita dentro al colletto e tirare fuori un paio di giri di sottile catenina d’oro, un filo interrotto solo dalla presenza di una piccola stella di David che gli posta lasciandola poggiata sul palmo della mano aperta. Una risposta senza parole prima che torni a scioglierne alcune «Credo si possa fare molto più di così, la ricerca di un ecumenismo è quanto mai insufficiente per i tempi in cui viviamo, l’esigenza è globale e purtroppo è un’esigenza avvertita ancora da pochi. Certamente costituisce un inizio ma penso che ci sia bisogno di diffondere messaggi ancora più chiari e forti, scuotere le fondamenta di qualcosa che effettivamente non ci si è mai proposti di vedere accostati» dipana la matassa del suo pensiero con calma, perdendo lo sguardo tra le figure dei contralti.
Malcolm: <Hm?> quella domanda dapprima non la comprende, ma nell’inconscio arriva diretta e precisa. Ha bisogno solo di qualche secondo di elaborazione per rendersi evidente. Gli occhi che erano corsi su Emmeline per via di quelle considerazioni si abbassano prontamente. Colpito, dritto nel petto. Stringe le labbra e per un attimo irrigidisce il viso contraendolo appena. Torna a smuovere quella fede, prendendosi del tempo e dei respiri. <E’ per chi manca> dice poi laconico e nel mentre va a sistemarsi la cravatta, di nuovo. Ha imparato un po’ di cose negli ultimi mesi, fortunatamente per lui. Avverte con la coda dell’occhio il movimento di Emmeline che tira fuori la stella di David, segue il gesto e il suo risultato al quale piega appena un angolo delle labbra nell’equivalente di un vago sorriso di distaccata cortesia e di malinconia. Annuisce appena, come a dirle che ha compreso, poi la ascolta in silenzio e quel mezzo sorriso, fattosi più valutativo ed indagatore come lo sguardo, si mantiene. <Lei ha ragione, ma dia ad ogni cosa il suo peso Miss Bowen, ad ogni attore il giusto carico.> le risponde così, timbro graffiante e non troppo profondo; quello che vuole dirle lo lascia al discernimento della rossa, è un ammonimento calmo, accompagnato da qualche occhiata periferica e sguardi che vagano per lo più sul terreno.
Emmeline: Non smuove un solo muscolo a quell’accenno di consonante come fosse rimasta in attesa esattamente di quel suono abbassando assai lentamente le palpebre sul proprio sguardo constatando di aver formulato la giusta supposizione; non c’è alcuna soddisfazione, alcuna affermazione di quell’impalpabile consapevolezza di conoscere almeno qualcosa della natura umana, ma una dolente constatazione che in fondo sembra comprenderla in quella risposta che ha il peso che deve avere, non di più ma nulla di meno, come un dito schiacciato sopra al cuore, uno solo ma pressante come fossero centinaia. La sua gentilezza sarà soave, eppure ha la precisione chirurgica di uno sguardo clinico, qualcosa che la smuove in un brivido forse che la fa stringere un istante nelle proprie spalle. Tutte quelle parole di cui sembrava essere formata se ne sono andate, disciolte in respiri e brevi affermazioni, domande il cui significato deve essere ricercato. Di nuovo la cravatta, il nodo, un gesto che fa ruotare di riflesso la propria mano torcendo comodamente il polso, lasciando andare l’oro via dalle dita e posando i polpastrelli sulla propria cravatta in una carezza lieve e distratta finendo per sistemare l’inclinazione del fermacravatta. Infine volge il viso pallido verso di lui, non alla cortesia quanto alla malinconia posandovi un paio d’occhi ugualmente vacui «Eppure viviamo tra coloro che sono rimasti. Dovremmo dannarci? E al mondo ci sono così tanti, troppi modi per mancare. E’ un mondo fatto di assenze o… di presenze?» una questione di prospettive, taluni dicono di tempo «Ed è quella la ragione per cui ho detto che certamente costituisce un inizio»
Malcolm: Pensieri che vogliono accantonarsi, restare confinati in un momento intimo, in un gesto particolare. Malcolm scioglie l’intreccio delle braccia e le porta lungo i fianchi. Ascolta di nuovo Emmeline e le sue riflessioni che, davanti alla sua interiorità, risultano così astratte da sembrare quasi domande prive di senso. Lo lasciano senza risposte, a cercare di afferare qualcosa di inesistente in un silenzio che pesa. La guarda anche lui ma, nel suo vuoto, porta gli occhi altrove, smuovendo ancora una volta quel semplice anello. Annuisce poi all’ultima affermazione: è un minuscolo inizio, una sera soltanto, un simbolo. <Bene, Miss Bowen. Si è fatto tardi per me.> prende a congedarsi, con tutta la formalità del caso. <Le auguro un buon proseguimento> modi cortesi e distanzianti nello stesso tempo. È un tipo pragmatico, perciò dopo questa formula tendente all’evasività, se non viene trattenuto, gli basta intraprendere la sua andatura un po’ marziale lungo il vialetto. -end-
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Siamo finalmente  giunti ai nostri amati Stalaska   —  l’inizio di questa grande storia, il fulcro del nostro incontro e del loro incontro che benché possano sembrare solo personaggi penso abbiano unito le nostre anime indissolubilmente. Quanto c’era da scoprire di Alaska, la donnina che ruolavo già da qualche mese quando tu arrivasti e con Stiles le fu scompigliata l’intera esistenza fino ad arrivare al suo GRANDE GIORNO. Come non si può ricordare con tenerezza la loro prima interazione, dove ella doveva concedergli un abbraccio per poi perdersi nello stesso profumo che lui emanava e sottrargli un bacio sotto il vischio. Una storia che è nata così, con innocenza e una scintilla di magia, che ci ha portate a stringere amicizia e non allontanarci più ; sarò sincera : non mi aspettavo che accadesse questo, ricordando il 23 dicembre del 2014. Di solito, non mantenevo mai i contatti con le persone che conoscevo, e la mia unica amica poteva considerarsi Fefa, dunque quando mi contattasti un brivido mi salì su per la schiena e poi nel cuore : parlammo, parlammo a lungo e continuammo a farlo, scoprendoci talmente affini che se non ci sentivamo tutti i giorni non stavamo bene. Per Alaska quello è stato l’incontro dell’amore della sua vita, il mio dell’incontro con la mia migliore amica, una sorella, un’anima gemella e non posso che gioire del fatto che nulla si sia affievolito, ma anzi rafforzato e rinato come se man mano che si va avanti, tutto divenisse ancora più pregno di bellezza. Perché è ciò che vedo : bellezza. La bellezza di avere qualcuno con cui piangere, ridere ed alternare le due cose perché non si ha più l’insicurezza di essere inadeguati, ma la consapevolezza di essere amati profondamente.  Chiudo quest’ultima parte con ciò che prova Alaska, e con ciò che proverà per sempre perché nulla le porterà via la felicità finché è con Stiles. Buona lettura. 
‘ ‘ Just to keep you warm, just to bring you home ’ ’
Un raggio di sole, uno spiraglio di calda luce che impregna le candide lenzuola che ne avvolgono le membra stanche ; Alaska Martin è distesa tra i propri pensieri, altrove nel suo universo che continuamente muta come se odiasse restar sempre il medesimo. Eppure, lo stesso che è irrefrenabile ed il suo aspetto non s’aduegua, ha assunto un forte odore che nitido le invade le narice : è sfumata una vita in esso, come se parole vi fossero contenute in quegli sprazzi di bollente cioccolato, sottil carta, e la leggera vaniglia che permea solitamente le camice di flanella messe in disordine nell’armadio. Lo sgomento di sentir impressi in sé tali meraviglie, come se un pezzo dell’anima dell’amato avesse trovato rifugio nella sua ; e come poteva definirsi ciò, se non amore ? Amore assoluto, divino, sconfinato e che non può trovar altra nomea se non quella del ‘ vero amore ’, un concetto che di solito vi narrano nelle favole. Ma la vita della fanciullina non è tinta di rosa, non vede fior ovunque tocchi terra, e aver scoperto tali braccia pronte a stringerla sempre quando il buio invade la sua esistenza fa stillare una lacrima sulla sua gota purpurea : spera di non star piangendo anche fuori, che l’immaginazione si riesca a frenar ai sogni. Com’è vivida la sua pelle morbida sotto i polpastrelli, come si indurisca al mento e tra le venature che gli ricopron le mani e il sottile collo costellato di nei, come se fosse un ciel pallido e notturno. Il suo respiro contro le labbra carnose, schiuse, pronte ad accoglier baci o violente parole : non importa, lui è fermo lì. E’ sua, ogni cosa ha un suo senso. E’ come affermare certezza, come indicare le nuvole e dire che sono in alto, chiudere gli occhi e dire di non veder più il soffitto della stanza. E’ affermare di sentirsi parte di tanto amore, di tanta passione che le sfocia tra la carne, così impetuosa da non poterla frenare con il sol desiderio fisico : no, perché ella è affamata di qualsiasi sensazione le provochi, di qualsiasi risata, sorriso, singhiozzo. Di qualsiasi emozione il giovine provi, assieme ai suoi sbagli e vittorie ; la pienezza di essere, la pienezza di distruggersi con un solo sguardo. Vibra, vibra come non ha mai fatto tra le sue mani, come uno strumento che prova fiducia nel proprio musicista, lasciando le penetri nel suo animo più profondo senza contestare. Si svela, non è più una luna nascosta per metà all’occhio umano ed invece lascia che egli osservi quel dualismo che si incontra proprio nel suo petto : oscurità e luce. Dire un milione di volte ti amo, ti amo e ti amo, ma a cosa servirebbe se il loro sentimento è al di sopra, altrove per ogni pensier che una parola non c’è per descrivere cotanta bellezza. Perché è bellezza, la bellezza che decantano i poeti e che i pittori sviluppan sulla tema : bellezza lontana, fuggitiva, appartenente solo a quelle due metà che si ritrovano tra le caotiche strade di una città. 
OKAY !   sei finalmente giunta al termine, e qui ti dico di portare avanti la playlist fino al punto ‘ stalaskas ending ’. ta ta ta  ... EHI, ma oggi sarà il matrimonio di questi due piccini, quindi bisogna anche festeggiare. NON HO PRESO LO CHAMPAGNE, SCUSAMI. Ma ti ho fatto questo piccolo regalino, che spero possa bastare a farti capire quanto io ci tenga a loro, a noi. Ancora auguri a noi. 
                                             spegni il pc e amami ora.  :D
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